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SPIE IN DIVISA STORIA DELLO SPIONAGGIO MILITARE ITALIANO/1 PRIMI PASSI STORIA IN RETE | 24 Giugno 2008 Il generale Giuseppe Govone (1825–1872), padre dei servizi segreti militari italiani. «Storia in Rete» ha pubblicato sul numero 9\10 un’anticipazione dalla sua biografia «Lo scrittoio del Generale» scritta da Marco Scardigli (UTET)

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SPIE IN DIVISA STORIA DELLO SPIONAGGIO MILITARE ITALIANO/1

PRIMI PASSI NELL’OMBRA

STORIA IN RETE | 24 Giugno 2008

Il generale Giuseppe Govone (1825–1872),

padre dei servizi segreti militari italiani. «Storia in Rete» ha pubblicato sul numero

9\10 un’anticipazione dalla sua biografia«Lo scrittoio del Generale» scritta da Marco Scardigli (UTET)

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PRIMI PASSI NELL’OMBRA

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L’ intelligence militare italiana non ha ancora suscitato nel panorama storiografico del Paese un vasto interesse ed un corpus organico di ricer-che, nonostante una serie di pregevoli monografie pubbli-cate negli ultimi venti anni (è

il caso delle opere ad esempio di Giorgio Boatti, Giusep-pe De Lutiis, Romano Canosa e Mimmo Franzinelli).

Lo stesso Ufficio Storico dello SME al momento ha solo affrontato argomenti collaterali come quelli

riguardanti l’attività dei nostri addetti milita-ri tra le due guerre (Luigi Emilio Longo) o le

azioni delle forze speciali durante i conflitti. La citata disattenzione dello storico italia-

no può essere riconducibile a due ordini di motivi: innanzitutto il fatto che lo stu-

dio dell’intelligence militare si posizioni forza-tamente a cavallo tra la storia militare e quella po-

litica del Paese, con un corredo di percezioni positive o negative che ne è conseguito nel corso di un secolo, quel-lo scorso, estremamente ideologico. Al di là dei possibili pregiudizi, momenti di grande eroismo ed entusiasmanti azioni di spionaggio o controspionaggio si sono alternati a fasi in cui è prevalso l’utilizzo politico, quindi l’abuso, dello strumento di intelligence. Con una definizione mo-derna e di derivazione anglosassone, l’intelligence deve osservare la politica, analizzarla – non divenirne quindi un mezzo - e prevenire e combattere momenti eversivi e/o antagonisti. Nel caso poi dell’intelligence militare, l’atten-zione dovrebbe essere rivolta prevalentemente alle cause esogene di tali antagonismi, ovvero quelle provenienti dall’estero, e comunque quelle che mirano a colpire la si-

curezza nazionale. Ciò per quanto concerne la dimensio-ne “difensiva” dell’intelligence; vi è poi quella “offensiva” che ha visto grandi successi nel corso dei primi cinquanta anni di storia dell’intelligence militare italiana. Ci si ri-ferisce alla costituzione di reti all’estero, finalizzate alla raccolta di informazioni sensibili (politiche, economiche, militari, scientifico-tecnologiche) su vicini “nemici” ed “amici”. All’indomani della sconfitta della Seconda guerra mondiale lo strumento offensivo venne pressoché meno ed i servizi italiani ripiegarono su se stessi, concentrando la propria capacità di osservazione ed analisi sul dibattito politico domestico. Ogni azione era altresì volta a contra-stare possibili pericoli derivanti dalla Guerra Fredda, in particolare infiltrazioni comuniste nelle istituzioni del Paese. L’Italia divenne un campo di battaglia ed esercizio per molte agenzie straniere e forte fu la presenza in questi anni dell’intelligence community statunitense. Una se-conda ragione della disattenzione da parte degli ambien-ti accademici nei confronti della materia in questione è purtroppo dovuta all’oggettiva - e comprensibile - opacità o veridicità delle fonti utilizzabili. Salvo pochi materiali militari e diplomatici, il grosso delle fonti rimane memo-rialistico o giornalistico. Ne deriva quindi un grave rischio di ulteriore “inquinamento” delle notizie e dei fatti storici. Questa situazione non è solo dovuta all’inaccessibilità di archivi coperti dal segreto di Stato, come può avvenire in altri Paesi, ma anche al fatto che le vicende della Seconda guerra mondiale hanno portato spesso alla perdita di pre-ziosissimi archivi. Le carte dei servizi italiani sono nello scorso secolo andati perduti, distrutti, occultati e riemersi fortunosamente e, comunque, mai collazionati organica-mente. Come si è detto, chi si è finora cimentato con la ma-teria ha per lo più tradito un’impostazione giornalistica. In conclusione, è forse giunto il momento di mettere in moto

I nostri servizi segreti militari nacquero alla vigilia della Seconda guerra d’Indipendenza e raggiunsero la maturità alla vigilia della Prima guerra mondiale. «Storia In Rete» inizia un viaggio nella storia del SIM che ci porterà a ripercorrere un secolo e mezzo di storia unitaria vista da un altro punto di vista. A volte anche esaltante: perché nella realtà gli 007 non sono stati mai un’esclusiva di «Sua Maestà»…

di Andrea Vento

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Jackson morirà colpito da «fuoco amico» durante una ricognizione notturna nel corso della battaglia di Chancellorsville (Guerra di Secessio-ne) del maggio 1863. Sta cambiando la concezione dell’arte militare: ai quartier generali fanno gola infor-mazioni su consistenza, posiziona-mento ed intenzioni di batterie di artiglieria e reparti a cavallo nemici. Negli eserciti più evoluti, si utilizza-no mongolfiere per l’osservazione aerea. Le regole della guerra non pu-niscono ancora con la pena capitale lo spionaggio e tale attività viene quindi condotta con un spirito più sportivo, della «passeggiata» oltre le linee, che non avventuroso.

Nei mesi precedenti lo scoppio del-la Seconda guerra d’Indipendenza (1859), Govone ha steso in Lombar-do-Veneto una vasta rete di infor-matori che riferiscono a Torino ogni movimento austriaco. Inoltre, man mano che avanzano le truppe nemi-che in Piemonte, sottufficiali dei ca-rabinieri, camuffati e disposti lungo le principali vie, hanno istruzioni sull’osservazione delle colonne e sul-l’invio di messaggi al quartiere ge-nerale utilizzando messi, doganieri, contrabbandieri, civili e persino pic-cioni viaggiatori. Il giovane ufficiale piemontese partecipa quindi alle bat-taglie di Magenta e San Martino in-filtrandosi con sagacia dietro gli au-striaci. Con l’Unità d’Italia, Govone fa una celere carriera: generale e depu-tato nel 1861, è spedito in Meridione a reprimere il legittimismo borbonico. Nel 1863 è allo Stato Maggiore ove assiste alla ricostituzione dell’Ufficio Informazioni, affidato al suo colla-boratore colonnello Edoardo Driquet (1824-1916), un oriundo ungherese che ha grandi baffi a manubrio e co-nosce tutte le lingue dell’Impero. La Marmora, ora presidente del Consi-glio, invia nel marzo 1866 Govone e Driquet a Berlino col compito di trat-tare l’alleanza italo-prussiana con Bismarck. La Terza guerra d’Indipen-denza non porta bene: a Custoza gli austriaci schiacciano la divisione di Govone [che pure è uno dei generali che si porta meglio in battaglia. Vedi

lo spedisce all’estero, come addetto presso le legazioni di Vienna e Ber-lino e poi quale volontario nell’eser-cito ottomano durante la guerra del 1853-54 contro i russi sul Danubio. Con l’estensione del conflitto a Gran Bretagna, Francia e Sardegna, il capi-tano Govone è in Crimea. Egli è uno dei due italiani che partecipa alla carica di Balaclava (il suo cavallo è fulminato dalla mitraglia russa e la regina Vittoria gli conferirà l’Ordi-ne del Bagno). Qualche mese dopo è alla Cernaia e riceve dai francesi la Legione d’Onore. Rientrato, met-te subito a frutto l’esperienza: da maggiore partecipa ai preparativi della Seconda guerra d’Indipenden-za, occupandosi della mobilitazione e dell’uso innovativo delle ferrovie. Nella primavera 1859 è promosso tenente colonnello e nominato capo del neonato Ufficio delle Informazio-ni e delle Operazioni Militari, primo servizio segreto italiano.

In questi anni lo spionaggio mi-litare è poco conosciuto dagli Stati Maggiori, e si limita all’attività di perlustratori a cavallo che compiono rapide infiltrazioni nella terra di nes-suno e dietro le linee nemiche, prefe-ribilmente all’alba o al tramonto. Un grande stratega del tempo, il genera-le confederato Thomas «Stonewall»

tali ricerche dando non solo autorevolezza

alla materia, ma facili-tando altresì la definizione

di come siano stati percepiti due concetti non sempre perfet-

tamente messi a fuoco nella sto-ria d’Italia: quali siano i principali assi dell’interesse nazionale in un quadro geopolitico macro-regionale e fin dove debba arrivare il concetto di sicurezza nazionale. (A. V.)

P adre dell’intel-ligence militare italiana è Giu-seppe Govone (1825-1872), un ufficiale eclettico come molti della prima generazio-

ne del Regno. Egli alterna avventura e sperimentazione ad una brillante car-riera che lo porterà alla guida del mi-nistero della Guerra. Nato ad Alba, è al fianco di Carlo Alberto e di Alfonso La Marmora durante la Prima guerra d’Indipendenza. Si batte eroicamente e viene utilizzato da quest’ultimo in alcune operazioni speciali: in Tosca-na per favorirne l’intervento; a Bolo-gna per assoldare mercenari svizze-ri; dietro le linee nemiche a Novara per raccogliere notizie. Negli anni Cinquanta, il mentore La Marmora

STORIA IN RETE | 26 Giugno 2008

«Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta» di Giovanni Fattori (1861)

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sarà eccellente. Nel 1889 il Governo ha regolato, con pene relativamente miti, il reato di spionaggio a favore di potenze straniere. Per la prima volta il servizio ha al suo interno un nu-cleo di Reali Carabinieri, guidato da un capitano. La minaccia non pro-viene solamente dall’estero (sotto la regia del Deuxième Bureau di Parigi – in questi anni la Francia è potenza ostile, dopo la delusione della vicen-da tunisina e l’adesione italiana nel 1882 alla Triplice Alleanza – o del-l’Evidenzbureau di Vienna) ma può avere natura domestica: nel 1892

cida ad Alba a soli 46 anni. Più sere-na la carriera di Driquet che giunge al comando dell’VIII Corpo d’Armata. Senatore, morirà nel 1916, nel pieno di una guerra che ci vede contrappo-sti ai suoi connazionali.

Passeranno 24 anni prima che rina-sca l’Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore del Regio Esercito. L’Uffi-cio I nel 1890 ha funzioni di polizia militare e controspionaggio. Debutta così il filone «investigativo» e di pre-venzione dello spionaggio stranie-ro, nel quale la nostra intelligence

«Storia in Rete» n° 12, NdR], mentre l’Ufficio Informazioni è accusato di inefficienza nel raccogliere dati sul nemico. Ciò ne determina l’immedia-to scioglimento. Nonostante Custoza, Govone è alla guida del ministero della Guerra nel governo Lanza. Allo scoppio della guerra franco-prussiana nell’estate 1870, viene però accusato di aver impedito, con le economie del ministro delle Finanze Quintino Sel-la, l’occupazione di Roma. Il ministro si dimette il 7 settembre. Dopo grave esaurimento, l’amico di Ismail Pascià, Napoleone III e Bismarck, muore sui-

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Strana gente si aggira nel Corno d’Africa alla fi ne dell’Ottocento. Pedine di una partita volta a favo-rire il nostro ingresso nella regione. Diffi cile capire

quanti siano agenti del governo, quanti «liberi imprendi-tori». Personaggi che Emilio Salgari avrebbe faticato ad immaginare: è il caso di Giuseppe Sapeto, missionario lazzarista, che acquista nel 1869 per seimila talleri d’oro la baia di Assab. Del marchese Orazio Antinori: in fuga da Perugia per aver messo in cinta una cameriera o for-se perché compagno d’armi di Garibaldi nella Repubblica Romana. Ma in Africa c’è una chance per tutti: Antinori, che ha fondato la Società Geografi ca Italiana ed è zoolo-go, ottiene da Menelik, sovrano dello Scioa, la tenuta di Let Marefi à dalla quale lanciare missioni in tutta l’Etiopia. Nel 1879 giunge il conte romano Pietro Antonelli, nipote di un car-dinale: mercante di armi – conten-derà ad Arthur Rimbaud il primato di armare Menelik – ma anche di-plomatico. Predispone il trattato di Uccialli che porterà alla disfatta di Adua, e dona cinquemila fucili Re-mington Rolling Block mod. 1866 che purtroppo verranno usati con-tro Baratieri. Altri sono razziatori senza scrupoli che si infi ltrano, ar-mati fi no ai denti, in Etiopia. Molti sono reduci del Risorgimento. È il caso del garibaldino di Casteggio ed agente di Rubattino Giuseppe Giulietti, che con propria banda armata si avventura nel 1881 nella regione dancala e viene stermina-to dallo sceicco di Beilul. Più for-tunato nel 1883 Augusto Franzoj, cospiratore mazziniano di Vercelli che si avventura nel profondo sud, per esplorare le terre degli Oromo e ne esce vivo. Nel 1883 il mercan-te Pietro Sacconi, al servizio dei militari, è massacrato nei dintorni di Harar, mentre nel 1886 è stermi-nata a Gildessa, la spedizione del-

la Società di Esplorazione Commerciale di Milano – «con-corrente» della Società Geografi ca di Roma – guidata dal conte milanese Gian Pietro Porro. Con la strage dei 500 a Dogali nel 1887, il ministero della Guerra avoca a se l’in-telligence. Le nuove esplorazioni sono ora compiute da uffi ciali sotto mentite spoglie. Nel 1896 la preparazione della spedizione di Baratieri, le intelligenze con le bande locali, le ricognizioni sul terreno saranno fallimentari e porteranno alla catastrofe di Adua. Nonostante i precisi rapporti dell’ingegnere Luigi Cappucci da Let Marefi à, la valutazione sul nemico – non più di 30 mila uomini – è er-rata: Menelik ne raduna 120 mila. Il Negus ha vinto la par-tita dell’intelligence, se è vero che i capi tigrini al nostro servizio hanno fatto il doppio gioco. Non hanno aiutato le

repressioni degli etiopi in Eritrea ad opera del tenente dei carabi-nieri Livraghi. Con Adua non termi-na il tributo di sangue dei militari – esploratori: nei mesi successivi Antonio Cecchi viene massacrato da bande somale nello Uebi Sce-beli, e Vittorio Bottegò, uffi ciale dell’esercito e geografo, viene ucciso dai Galla. Diversa è la pre-parazione dell’impresa di Libia: si è detto delle tante missioni «geo-grafi che» che hanno permesso di tracciare la topografi a del paese. L’eroe dell’Uffi cio I in questo con-fl itto è il capitano Pietro Verri che, reduce di Adua, sa tenere conto degli errori del passato. Egli è inol-tre stato responsabile dell’intelli-gence in Cina con Garioni e «resi-dente» dell’Uffi cio I ad Aden, dove ha imparato l’arabo che si aggiun-ge ad altre cinque lingue conosciu-te. Poche settimane prima dello sbarco dei nostri contingenti, Verri è in Tripolitania a fare complete ricognizioni dei luoghi. Ed è nelle ore dello sbarco che cade ucciso dalle truppe arabo-turche. n

Tentazioni oltremare: intelligence e politica coloniale

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gono da famiglie di censo medio alto; quasi tutti del corpo di stato maggio-re o appartenenti ad armi speciali-stiche. È d’obbligo la conoscenza del francese accompagnata, quando vi è una seconda lingua, prevalentemente dal tedesco. Rarissima la conoscenza dell’inglese, al tempo prerogativa de-gli ufficiali di marina.

Il colonnello Felice De Chaurand de Saint Eustache (1857-1944), artiglie-re e storico militare, è dal settembre 1900 al giugno 1902 il primo capo di un potenziato Ufficio I. Rispetto alla concorrenza francese o austro-ungarica è ancora poca cosa: il diret-tore è affiancato da un capitano con funzioni di segretario e da un tenente dei carabinieri a capo della sezione di controspionaggio. In questi anni a capo dei cacciatori di spie sarà il tenente, poi capitano, dei carabinieri Guido Blais, ex alpino e piemontese. Vi sono poi una dozzina di ufficiali, tra i quali De Rossi, prestati dai vari corpi d’armata. Secondo il capitano Tullio Marchetti gli spazi destinati a Roma all’Ufficio I consistevano in «quattro locali quasi indecorosamen-te ammobiliati, in un ammezzato del ministero della Guerra, prospicienti un cortiletto interno, con un soffit-to così basso da dare il senso della soffocazione e così oscuro che vi si teneva la luce accesa anche in pieno meriggio». De Chaurand lascia un’im-portante eredità poiché, complice la passione per l’enigmistica, impone l’innovativa adozione della cifra e lo studio della crittografia, campo in cui l’Italia eccellerà. Il bilancio dell’Uffi-

anni Novanta tale gestione privatista è rilevata dal ministero della Guerra (vedi box nella pagina precedente). La dimensione offensiva dell’Uffi-cio I di questi anni coincide con un ventennio di capi, direttori e quadri provenienti in prevalenza dai ber-saglieri. Uno di questi è Eugenio De Rossi (1863-1925), autore di tante missioni, tessitore di reti, cacciatore di spie, ed innovatore (vedi box nella pagina a fronte).

L’Ufficio I, anche data la compo-nente di RRCC più che in altre fun-zioni dello Stato Maggiore, rispecchia quindi d’ora in poi una propria gerar-chia valoriale, basata innanzitutto sulla lealtà nei confronti della Casa reale e su sentimenti più liberali che conservatori. Per quanto concerne la scena internazionale, fino al 1914, una certa ammirazione propenderà, maggiormente negli ufficiali inferio-ri, a favore della Germania e della capacità di essere nazione giovane e protagonista. Tale sentimento è però diluito nelle gerarchie più alte, ove prevale una forte e crescente simpa-tia nei confronti di Parigi e Londra. Le opzioni monarchica, liberale e filo-francese rispecchiano inoltre una garanzia culturale che le istitu-zioni massoniche esercitano, fin dal Risorgimento, sulla formazione del quadro militare italiano ed in parti-colare degli appartenenti al corpo di stato maggiore, temperandone ecces-sive professioni di fede filo-tedesche e filo-austriache. Nei primi decenni, gli ufficiali dell’intelligence sono pre-valentemente settentrionali; proven-

è nato il Partito socialista italiano con una forte cultura antimilitarista. Tale antagonismo aumenta dopo la violenta repressione delle barricate milanesi nel 1898 da parte del ge-nerale Fiorenzo Bava-Beccaris. La fine del secolo è oltremodo marcata dall’ondata di atti terroristici di ma-trice anarchica. La coscrizione obbli-gatoria, che esiste dal 1861, spinge ora l’intelligence militare al controllo più accurato dei soldati di leva. Per le stesse ragioni, nasce nel 1890 l’in-telligence civile, l’Ufficio Riservato del ministero dell’Interno. La natura dell’Ufficio I non è solo difensiva: è in corso la spinta «imperialista» che culmina nella sconfitta di Adua del 1896. L’attività di intelligence oltre-mare è variegata ed è nata vent’an-ni prima per iniziativa privata della Compagnia di Raffaele Rubattino che conta, nella propria avventura africa-na, su una miriade di agenti: naviga-tori, esploratori, mercenari, mercanti e persino missionari. All’inizio degli

STORIA IN RETE | 28 Giugno 2008

Reparti italiani si imbarcano con destinazione Cina sulla nave Perseo della compagnia Rubattino (1900)

Edoardo Driquet (1824-1916), braccio destro di Govone. oriundo ungherese, parlava tutte le lingue dell’Impero

Franz Conrad von Hotzendorf (1852-1925) arcinemico dell’Italia, propose di aggredirla alle spalle preventivamente

Alfred Redl (1864–1913), capo dei servizi austroungarici e doppiogiochista a favore dell’Ochrana russa

Carlo Porro (1854-1939) creò una fi tta rete nei Balcani e si impegnò nella preparazione geografi ca degli agenti

Vincenzo Garioni (1856-1929), bersagliere, approda all’Uffi cio I dopo aver comandato il corpo di spedizione in Cina

Amici e nemici: i primi 007 italiani contro gli austroungarici

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campo che lo porterà a mietere suc-cessi in Libia nel 1911 e nel 1919, così come nelle prime battaglie del-l’Isonzo tra 1915 e 1917. Nei suoi anni all’Ufficio I si è combattuta una battaglia anche contro le spie al ser-vizio di Vienna: nel 1904 è scoperto il capitano Gerardo Ercolessi, che ha venduto sia ai francesi che agli au-striaci il piano di mobilitazione e al-tri documenti. Il secondo bersagliere alla guida dell’Ufficio I è il colonnello Silvio Negri (1858-1914). La sua car-

cio I ammonta a 50 mila lire annue, destinate a missioni e alla costruzio-ne di reti di «indicatori». La novità del secolo è però diplomatica: con il ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta, l’Italia inaugura i «giri di valzer» che la porteranno progressi-vamente da Paese triplicista ad al-leato dell’Intesa.

Come si è detto, dal 1902 al 1915, tre ufficiali superiori dei bersaglie-ri guidano l’intelligence militare. Il primo di questi è Vincenzo Garioni (1856-1929), nominato nel luglio 1902. Personaggio affascinante, il colonnello Garioni approda all’Uffi-cio I dopo l’esperienza nel 1900-01 di comandante del Corpo di spedizione italiano in Cina all’indomani della ri-volta dei Boxer. Garioni e i suoi 1.965 uomini hanno fatto un’egregia figura a Pechino, considerando le condizio-ni in cui versa la nostra logistica e lo stato di depressione per ogni impresa d’oltremare dopo la sconfitta di Adua. Garioni ha lavorato col maresciallo Albrecht von Waldersee, comandante delle forze alleate ed ha osservato da vicino il modus operandi di tedeschi, britannici e francesi. L’occasione del-la spedizione in Estremo Oriente, ol-tre a definire la futura presenza della Concessione italiana di Tientsin, per-mette di impiantare un primo nucleo di osservatori in Cina, una sezione di carabinieri affiancata da specialisti che interagiranno con l’Ufficio I. Vi è poi la presenza di due ufficiali «fo-tografi»: il tenente medico Giuseppe Messerotti Benvenuti e il tenente Lui-gi Paolo Piovano di Chieri. Entrambi avranno modo di osservare le mano-vre militari russe in Mongolia. Da di-rettore dell’Ufficio I, Garioni è l’uomo della svolta: ottiene l’adozione del primo cifrario telegrafico e detta le istruzioni per la corrispondenza degli informatori all’estero, invia direttive precise ai consolati ed alle legazioni affinché vengano raccolte informa-zioni, introduce un piano per la cen-sura postale e per il controllo della stampa in caso di conflitto.

Garioni lascia l’Ufficio I nel giugno 1905, destinato ad una carriera sul

29 | STORIA IN RETEGiugno 2008

riera sarà, dal punto di vista militare, meno dinamica rispetto ai predeces-sori, ma significativa per lo sviluppo dell’intelligence: Negri rimane alla guida dell’Ufficio I per sette anni, dal luglio 1905 al settembre 1912. Leg-gendo De Rossi e Marchetti, si com-prende che sono gli anni dell’acuirsi della rivalità con l’Austria-Ungheria; della definizione di una politica ita-liana di «potenza» mediterranea, in vista dell’impresa di Libia; di una maggiore presenza, come agenti di

Metà Sherlock Holmes, metà James Bond. Così sembrano i due primi 007 italiani a ca-

vallo del 1900. Eugenio De Rossi e Tullio Marchetti ci hanno lasciato memorie di affascinanti avventure. Militari che dedicarono all’Ufficio I l’intera vita professionale: vent’an-ni il primo, ventotto il secondo. Uo-mini diversi per temperamento: De Rossi, bersagliere lombardo di otto anni più anziano, dà l’impressione di essere più robusto, ma anche un po’ secchione e dall’approccio posi-tivista. Marchetti è invece un alpino di Trento, un irredentista il cui ar-dore è temperato dall’astuzia. Uno è uomo di pianura, l’altro di mon-tagna. Il primo adora la bicicletta, il secondo le escursioni alpestri. Passioni trasformate in strumento di lavoro, nelle ricognizioni in terra straniera: De Rossi percorre a due ruote in lungo e largo Savoia, Alpi Marittime, Carnia e Carinzia. Il se-condo si dedica alle proprie valli. Ad accomunarli l’amore per il la-voro, la volontà di fare grande una piccola potenza, l’assunzione dei rischi. Sempre scarsi i soldi da Roma. Entrambi sono abili tessitori di reti di indicatori nelle pro-vince dell’Impero. Ogni tanto affiorano indiscrezioni su col-leghi beccati dalla polizia militare au-striaca, guidata dal capo dei cacciatori di spie di Vienna, il co-lonnello Max Ronge. Tra i principali successi di De Rossi vi è la scoperta del Pia-no Conrad, secondo cui gli austria-ci, già dal 1908, intendono lanciare

un attacco preventivo contro l’Ita-lia. Per quanto riguarda Marchetti, oltre ad aver organizzato le reti, ha avvicinato Cesare Battisti ed altri eroi. Ma questa è un’altra storia. Nelle loro gesta vi è un continuo misurarsi con le nuove tecnologie, pur riuscendo ancora ad avere la meglio: non è deflagrata la Gran-de Guerra, nel corso della quale la dimensione umana verrà obliterata dalle tecnologie mortali in un delirio marinettiano. De Rossi meraviglia-to osserva il telegrafo aereo, quello senza fi li, i primi cifrari, e poi un’or-gia di stazioni ferroviarie, depositi, vagoni, piattaforme, tabelle di orari. Entrambi credono ancora nella sa-gacia dell’uomo. È il caso della rete di vinattieri veneti contattata in Ga-lizia da De Rossi o dei passeggiatori nelle Giudicarie di Marchetti. Come nei racconti di Ian Fleming, un ruo-lo tutto particolare lo hanno i gad-get. Ecco una bicicletta pieghevo-le modello Gérard con la quale De Rossi scorazza in mezza Francia, macchine fotografi che di novissi-

ma generazione Kodak e Goertz, cassette di tritolo per non

meglio specifi cate azioni. I nostri eroi amano infi -

ne il turismo, non solo quale copertura. Si intuisce che in que-sto scampolo di bel-le epoque prima del baratro, siano tante le organizzazioni

che collaborano con l’intelligence militare:

Touring Club Italiano, Automobile Club, associa-

zioni ciclo-podistiche, Tiro a Segno Nazionale, Club Alpino Italia-no. Ma sarà stato tutto vero? n

I primi 007 italiani: il ciclista e l’alpinista

Il maggiore degli alpini Tullio Marchetti

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spionaggio. Le esigenze oro-grafiche, la conoscenza del terreno e delle genti nelle val-late confinanti col Trentino e la Venezia Giulia, il fatto di essere persone «che – secondo Marchetti – da anni respirava-no l’aria suggestiva della fron-tiera», spinsero quindi lo Stato Maggiore ad un rinnovo del personale periferico. Marchetti compie rilevazioni topografi-che, tattiche e logistiche nelle valli di Sole e di Non, il salien-te che secondo il Piano Cosenz doveva essere occupato dagli italiani prima di attaccare ad oriente oltre l’Isonzo. Per veri-ficare la consistenza del Piano Conrad Marchetti si coordina con altri ufficiali a capo di reti nella regione, come Aristide Manfrin e il capitano dei cara-binieri Giacinto Santucci. Ma nello stesso anno il cacciatore di spie dell’Evidenzbureau Max Ronge, smantella buona parte della rete di Trento, arrestando uno dei principali informatori, l’impiegato di banca Giuseppe Colpi, poi condannato a die-

ci anni di carcere duro, ed altri come Damiano Cis. Nel 1913 riprenderà co-munque con buona lena l’attività in Trentino: su indicazione di Marchetti, il generale Porro affida al deputato socialista di Trento Cesare Battisti la redazione di una monografia sugli aspetti logistici e tattici nelle Giudi-carie. Inizia così la valida e proficua collaborazione di Battisti, già autore di studi geografici, con l’Ufficio I. Un altro successo (mai però confermato) di questi anni, attribuito a De Rossi e Blais, consiste nell’avere «influenza-to» il colonnello Alfred Redl, direttore reggente dell’Evidenzbureau fino al 1911 e doppiogiochista a favore del-l’Ochrana russa. Il capo dell’intelli-gence imperiale-e-regia sarebbe stato sotto osservazione dei nostri servizi fin dal 1908, a ragione delle frequen-ti visite a sfondo omosessuale al Lido di Venezia. In particolare, il fermo nel capoluogo veneto di un giovane ufficiale e presunto amante di Redl avrebbe permesso la concomitante li-

e ad una efficace rete di informatori, ha potuto mettere a fuoco lo sconcer-tante potenziamento della rete ferro-viaria austriaca ed in particolare del materiale viaggiante e degli scali di Klagenfurt in Carinzia, di Przemysl e Lemberg in Galizia, di Czernowitz in Rutenia. A dimostrare la capacità di ribaltare centinaia di reggimenti dal fronte orientale a quello italiano in poco più di una settimana. Un Pia-no che verrà posto in essere con la Strafexpedition nel 1916, quasi per miracolo senza esito dirompente per il fronte italiano.

Fin dal 1902 inizia a Milano l’attività del giovane capitano de-gli alpini Tullio Marchetti (1871-1955), irredentista e fondamentale organizzatore di reti informative in Trentino e Tirolo. È di questi anni il crescente afflusso nell’intelligence di ufficiali alpini, per lo più vene-ti e lombardi, assieme ai trentini. È una naturale mutazione del nostro

STORIA IN RETE | 30 Giugno 2008

influenza, nei Balcani. I colpi

economici inferti all’Austria-Unghe-

ria sono significativi: il conflitto per il control-

lo delle ferrovie balcaniche del 1908; il monopolio sulla navigazione del lago di Scu-tari; il monopolio del tabac-co in Montenegro; la costru-zione del porto di Antivari e della ferrovia montenegrina; la presenza delle banche italiane in tutta la peniso-la. Negri lancia una serie di interessanti innovazioni: ad esempio la collaborazio-ne con l’Ufficio Monografie e guide militari dello Stato Maggiore, con sede a Mila-no e diretto dal colonnello Carlo Porro di Santa Maria della Bicocca. Questo ufficio redige analisi su numero-si «Paesi obiettivo» ed edita eleganti volumetti di grande interesse strategico, con un taglio simile a quello del coe-vo Touring Club Italiano, col quale peraltro sono avviate collaborazioni. L’Ufficio Informazioni e l’Ufficio Monografie fanno quindi uso per la prima volta di missioni geografiche, archeologiche e scienti-fiche in Medio Oriente, Nord Africa, Asia. Le spedizioni saranno moltipli-cate con successo in vista della Guer-ra di Libia. L’intelligence sviluppa inoltre l’uso della telefotografia.

Sotto Negri viene intuita nell’esta-te 1907 la pericolosità del cosiddetto Piano Conrad, che sarà noto al gran-de pubblico solamente dalla fine del-l’anno successivo. Si tratta di quanto ha teorizzato il capo di stato maggio-re austroungarico, il feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf, se-condo cui per la sopravvivenza del-l’Impero sono necessari due attacchi preventivi alla Serbia e all’Italia. Nel 1909 Vienna avrebbe voluto approfit-tare del terremoto calabro-siculo che ha messo l’Italia meridionale in gi-nocchio. L’Ufficio I, grazie a due me-ticolose missioni in Carinzia e Galizia

Soldati austroungarici e prigionieri italiani durante la Strafexpedition (Spedizione Punitiva) del 1916

Page 8: SPIE IN DIVISA STORIA DELLO SPIONAGGIO MILITARE … · I nostri servizi segreti militari nacquero alla vigilia della Seconda guerra d’Indipendenza e raggiunsero la maturità alla

a cura di Enrico Petrucci - [email protected] dello stesso Negri, trattenu-to nelle medesime ore dalla polizia mi-litare austriaca a Laibach (Lubiana).

Secondo Marchetti, Negri era ram-maricato di non aver imbastito una rete altrettanto valida a quella trentino-tirolese in Carnia e Giulia, nonostante la presenza di minoranze italiane. Le uniche informazioni sono vendute dal disertore dell’IeR Marina Umberto Di-minich. Più valide le osservazioni che provengono dalle province orientali dell’Impero grazie alla rete di indica-tori tessuta da De Rossi. È noto che l’Evidenzbureau ha già sviato Negri e l’addetto militare italiano a Vienna, tenente colonnello Cesare Delmastro, rifilandoci notizie artefatte. Per Ronge altre organizzazioni di «provocatori», quali le bande armate trentine guidate da Ricciotti Garibaldi, o l’associazione «Pro Trento e Trieste» del conte Pietro Foscari di Venezia, avrebbero avuto stretti legami con l’intelligence italia-na. Nel 1910 vengono diramate istru-zioni per la raccolta di informazioni a tutte le stazioni di frontiera dei Reali Carabinieri e della Guardia di Finanza. Iniziativa che non produce materiale di importanza significativa per gli analisti di Roma e Milano, ma che comunque alza il livello di guardia della nostra rete ai confini, dato il pullulare, soprat-tutto in Veneto, di indicatori e agenti di influenza dell’Evidenzbureau.

Nell’ottobre 1912 approda alla guida dell’Ufficio I il milanese Rosolino Poggi (1863-1940), ancora un colonnello dei bersaglieri. Nei due anni che seguono, Poggi chiede al capo di Stato Maggiore, generale Alberto Pollio, un aumento del-la dotazione finanziaria fino a 200 mila lire annue per le reti estere, maggiori at-trezzature ed un potenziamento dell’or-ganizzazione decentrata, mediante la costituzione di ulteriori uffici periferici nelle località di frontiera. Le necessa-rie autorizzazioni giungono convulsa-mente nell’autunno 1914, a firma del nuovo capo di Stato Maggiore Luigi Cadorna: è chiaro che l’Italia si appresta all’ingresso in guerra. (1-continua)

Andrea [email protected]

31 | STORIA IN RETEGiugno 2008

Le fasi della trasformazione della Greater Buffalo nella USS Sable

Il 1° settembre 1939 la marina degli Stati Uniti aveva in servizio cinque portaerei e la vecchia Langley, ri-classifi cata come portaidrovolanti. Prima di Pearl Harbor si sarebbero

aggiunte tre sole unità. Ma la disponibilità di portaerei dell’US Navy sarebbe cambia-ta in pochi mesi. Dal gennaio 1942 all’ago-sto 1945 entrarono in servizio ben 99 uni-tà (senza contare le oltre 30 cedute alla Royal Navy inglese per la legge Affi tti e Prestiti). Nel solo novembre 1943 la mari-na armò otto unità: due portaerei di squa-dra capaci di 90 velivoli; due portaerei leggere (derivate da incrociatori leggeri) in grado di imbarcare 45 velivoli; quattro portaerei di scorta (derivate da progetti di petroliere) con a bordo 28 velivoli. Fat-te le portaerei occorreva trovare i piloti imbarcati: uomini capaci di operare su spazi ristretti che non ammettono errori, su piste che mettono a dura prova le so-spensioni dei velivoli e familiarizzare con i ganci d’arresto, capaci di fermare la cor-sa del velivolo nel breve spazio del ponte. Nonostante le unità in cantiere, la situa-zione nel 1942 non era rosea: la battaglia dell’Atlantico richiedeva portaerei per la scorta convogli, mentre nel Pacifi co erano state perse la Langley, Lexin-gton, Yorktown, Hornet e Wasp (tutte affondate nel 1942). Alla ricerca di portaerei da destinare all’addestramento, l’US Navy preferì non rinun-ciare a nessuna delle sue unità in fase d’ap-prontamento, ma decise di realizzare a tempo di record due portaerei d’addestramento, assai poco convenzionali. Le due nuove unità avreb-bero operato dal porto di Chicago, sul Lago Mi-chigan, al sicuro dagli U-Boot. E sarebbero state ottenute riconverten-do due grandi battelli a pale per romantiche crociere sui Grandi La-ghi, il Seandbee ed il

Greater Buffalo, varati rispettivamente nel 1913 e nel 1924. Dovendo operare solo per l’addestramento di piloti e perso-nale di segnalazione, il lavoro fu piuttosto semplice e limitato alla rimozione delle sovrastrutture e successiva installazione di un ponte continuo con isola (il ponte di comando) a lato. Non fu necessario instal-lare ascensori per i velivoli, in quanto non vennero ricavati hangar sottocoperta: i piloti dell’US Navy in addestramento, tra cui un certo George W. Bush senior, do-vevano limitarsi ad appontaggi (l’equiva-lente navale degli atterraggi) e decolli, la vera base delle operazioni era la Glenview Airbase e le stesse portaerei d’acqua dol-ce rientravano nel porto di Chicago ogni sera. Certamente nessun marinaio fu così fortunato durante tutta la guerra. La Sean-dbee divenne la USS Wolverine il 2 agosto, mentre la Greater Buffalo divenne la USS Sable il 19 settembre, ma presero servizio rispettivamente nel gennaio e nel maggio 1943. La carriera delle due navi fu, natural-mente, molto tranquilla. Prestarono servi-zio fi no al settembre 1945, e furono quindi radiate il 7 novembre successivo: in poco più di due anni contribuirono a formare

ben 17.820 piloti (tra questi 11 piloti britanni-ci). Gli incidenti mortali furono invece solo 21. Tra gli equipaggi delle due navi vi era una con-tinua sfi da tra chi avreb-be fatto completare il maggior numero d’ap-pontaggi complessivo. Sfi da vinta il 4 giugno 1944 dalla Wolverine con 633 appontaggi. Fu così che la potenza na-vale emergente diven-ne tale anche grazie a due «navi da guerra» a pale. La Wolverine ebbe anche l’onore di funge-re da Ammiraglia della Flotta, quando ospitò a bordo, il 27 ottobre 1942, il Comandante in Capo della Flotta degli Stati Uniti e Capo delle Operazioni Navali, Am-miraglio E. J. King. n

Furono le ultime navi da guerra a pale, le portaerei d’addestramento del Lago Michigan

Portaerei d’acqua dolce

Le Guerre Improbabili