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Qual è la funzione del riesso da stiramento? Questo circuito neuronale, di tipo a feedback negativo, si oppone alle variazioni di lunghezza di un muscol o facendolo contrar re: la prima ipotesi fu dunq ue che servisse come agente di controllo della lunghe zza muscolare. Quest a prima ipotesi, pur convin- cente in teoria, non trova validi tà nell’evide nza degli esperimen ti. Il punto di partenza per confutare l’ipotesi è il fatto che se mentre viene eseguito un movimento si incontra un ostacolo la risposta riessa compensatoria è molto bassa ed è sempre necessario riprogrammare l’intero movimento volontario. Quando viene attivato il riesso da stiramento la risposta ottenuta è in genere inferiore allo stimolo che ha evocato il riesso stesso: se il muscolo viene allungato di un centimetro, la contrazione evocata sarà inferi ore a tal e val ore. Il rappo rto tra la risposta evoca ta e lo stimolo evoc ant e prende il nome di guadagno. Se il guadagno fosse ugua le ad uno, cioè se la risposta fosse ugual e all o sti mol o, non si potrebbe cambiare posizione: qualsiasi movimento atto a cambiare postura verrebbe contrastato da uno uguale ed opposto che riporterebb e il corpo nella condi zione di partenza. In base a quest a spie- gazione dunque il guadagno del riesso da stiramento deve per forza essere inferiore ad uno: in alcune patologie del SNC il suo valore aumenta e infatti questi pazienti assumono spesso posizioni incongrue ed innatural i. Un guada gno eleva to è dunque sinonimo di movimenti ins tab ili . La risp osta riessa compare dopo un intervallo di tempo dallo stimolo che prende il nome di latenza: nel l’a rto super i- ore il valore di latenza è di circa 20-25msec ment re nell’arto infe riore di circa 40-45mse c. La latenza non può essere eliminata perchè è legata alla trasmissione del segnale; in condizioni di guadagno ele-  vato e latenza se viene ad esempio stirato il tricipite ettendo l’avambraccio questo risponde con una contrazione, ma questo fareb be sti rare il bic ipi te e via così. Questo tipo di condiz ione è visibile nei soggetti spastici: se viene abbassata la rotula il quadricipite alterna contrazione e rilasciamento in un movimento oscillatorio detto clono. Il riesso miotatico non serve dunque a monito rare la lungh ezza: una sua spiega zione più plausibile prende in consider azione l’int ero schema neuronale di controllo dei motoneuro ni gamma. Le vie dis- cendenti attivano i motoneuroni gamma e quindi causano lo stiramento del fuso. Quando il muscolo ha un carico da sostenere il fuso viene stirato e la sua scarica afferente raggiunge i motoneuroni alfa del muscolo omonimo facendolo contrarre. In caso di un aumento del carico ecco che la scarica fusale au- menta coerentemente e il muscolo risponde in maniera più potente, opponendosi all’allungamento; se il carico invece diminuisce il fuso smette di scaricare e il muscolo si allunga n tanto che non combacia con lo stato di attivazione dei motone uroni gamma. Quest o meccanismo prende il nome di regolazione 43

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Qual è la funzione del riflesso da stiramento? Questo circuito neuronale, di tipo a feedback negativo,si oppone alle variazioni di lunghezza di un muscolo facendolo contrarre: la prima ipotesi fu dunqueche servisse come agente di controllo della lunghezza muscolare. Questa prima ipotesi, pur convin-cente in teoria, non trova validità nell’evidenza degli esperimenti. Il punto di partenza per confutare

l’ipotesi è il fatto che se mentre viene eseguito un movimento si incontra un ostacolo la risposta riflessa compensatoria è molto bassa ed è sempre necessario riprogrammare l’intero movimento volontario.Quando viene attivato il riflesso da stiramento la risposta ottenuta è in genere inferiore allo stimoloche ha evocato il riflesso stesso: se il muscolo viene allungato di un centimetro, la contrazione evocata sarà inferiore a tale valore. Il rapporto tra la risposta evocata e lo stimolo evocante prende il nomedi guadagno. Se il guadagno fosse uguale ad uno, cioè se la risposta fosse uguale allo stimolo, nonsi potrebbe cambiare posizione: qualsiasi movimento atto a cambiare postura verrebbe contrastato da uno uguale ed opposto che riporterebbe il corpo nella condizione di partenza. In base a questa spie-gazione dunque il guadagno del riflesso da stiramento deve per forza essere inferiore ad uno: in alcunepatologie del SNC il suo valore aumenta e infatti questi pazienti assumono spesso posizioni incongrueed innaturali. Un guadagno elevato è dunque sinonimo di movimenti instabili. La risposta riflessa compare dopo un intervallo di tempo dallo stimolo che prende il nome di latenza: nell’arto superi-ore il valore di latenza è di circa 20-25msec mentre nell’arto inferiore di circa 40-45msec. La latenza 

non può essere eliminata perchè è legata alla trasmissione del segnale; in condizioni di guadagno ele- vato e latenza se viene ad esempio stirato il tricipite flettendo l’avambraccio questo risponde con una contrazione, ma questo farebbe stirare il bicipite e via così. Questo tipo di condizione è visibile neisoggetti spastici: se viene abbassata la rotula il quadricipite alterna contrazione e rilasciamento in unmovimento oscillatorio detto clono.

Il riflesso miotatico non serve dunque a monitorare la lunghezza: una sua spiegazione più plausibileprende in considerazione l’intero schema neuronale di controllo dei motoneuroni gamma. Le vie dis-cendenti attivano i motoneuroni gamma e quindi causano lo stiramento del fuso. Quando il muscolo ha un carico da sostenere il fuso viene stirato e la sua scarica afferente raggiunge i motoneuroni alfa delmuscolo omonimo facendolo contrarre. In caso di un aumento del carico ecco che la scarica fusale au-menta coerentemente e il muscolo risponde in maniera più potente, opponendosi all’allungamento; seil carico invece diminuisce il fuso smette di scaricare e il muscolo si allunga fin tanto che non combacia con lo stato di attivazione dei motoneuroni gamma. Questo meccanismo prende il nome di regolazione

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gamma del riflesso da stiramento. I motoneuroni alfa possono dunque essere influenzati indiretta-mente per tramite dei motoneuroni gamma e l’ipotesi è che il circuito del riflesso da stiramento serva a mantenere una posizione pur non essendone la causa fondamentale.

  Al fine di provare questa ipotesi vennero fatti vari esperimenti, tra i quali chiedere ad un soggetto diflettere lentamente e a velocità costante l’indice. Quando un muscolo si contrae la sensibilità del fuso  viene mantenuta dai motoneuroni gamma: gli alfa accorciano il muscolo, i gamma mantengono la lunghezza del fuso allineata con quella del ventre muscolare. In generale tutti i movimenti studiati, diqualunque tipo, vengono eseguito mandando dei segnali eccitatori sia ai motoneuroni alfa che gamma,quindi avvengono tramite quella che si chiama  coattivazione alfa-gamma. La coattivazione garantisceche il fuso sia in grado di segnalare la lunghezza del muscolo anche durante la fase di accorciamento.La figura dell’esperimento mostra che, pur avendo richiesto un movimento a velocità costante, questa in realtà oscilli tra un minimo ed un massimo: queste diverse velocità trovano corrispondenza nella scarica fusale che è minore dove la velocità è maggiore. Questo risultato è espressione del fatto cheil SNC anche se programma un movimento a velocità costante in realtà non mantiene costante il valore punto per punto, ma mantiene costante la media. La capacità di mantenere costante la media ruota attorno al fuso muscolare; quando la velocità è maggiore del previsto la scarica di contrazionedel muscolo e la scarica fusale vengono disaccoppiate e il SNC interpreta questo come il segnale per rallentare: l’opposto accade in caso di una contrazione troppo lenta. Un movimento lento di flessionedi un dito diventa dunque un movimento scorrevole privo di oscillazioni grazie all’aiuto del riflesso da stiramento, che ha dunque una funzione di assistenza nei confronti di altri sistemi motori.

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Una seconda interpretazione del riflesso è che esso contribuisca, insieme al riflesso inverso, a man-tenere costante la  rigidezza (K) di un muscolo. La rigidezza è definita come

K =ΔTensione

ΔLunghezza=ΔT 

ΔL

Quando viene introdotta una variazione di lunghezza la tensione può aumentare o meno a seconda dello stato di rigidezza del muscolo. Se la rigidezza è costante, e questo è ottenibile regolando i dueriflessi, la possibilità di raggiungere una posizione finale viene incrementata. La relazione tensione-lunghezza di un muscolo dice che la tensione sviluppabile dipende dalla lunghezza, ma questo valorecambia sempre nelle diverse condizioni meccaniche: in altre parole dovrei far partire comandi diversia seconda della posizione in cui si trova il muscolo e il controllo motorio sarebbe complicatissimo.L’esistenza di un sistema capace di mantenermi costante la rigidezza mi permette di semplificare ilsistema di controllo facendo a meno di considerare la lunghezza del muscolo al momento dell’inizio delmovimento. Quando un muscolo si contrae si ha segnalazione della variazione di lunghezza da parte delfuso e della variazione di tensione da parte dell’organo tendineo del Golgi: entrambe queste segnalazionipossono essere modificate da segnali discendenti e quindi anche la rigidezza è controllabile. L’idea di fondo è dunque che il comando motorio volontario fornisca l’istruzione per il movimento, ma che

l’adattamento in funzione dei carichi e in funzione della lunghezza è operato dal coordinamento diriflesso miotatico e riflesso miotatico inverso.

Riflesso flessorio Il riflesso flessorio coinvolge i muscoli flessori che servono ad allontanare una parte del corpo da uno stimolo; lo stimolo più importante per evocare questo riflesso è lo stimolonocivo, quindi l’attivazione dei nocicettori. Una proprietà fondamentale di questo riflesso è il suo ruoloprotettivo nei confronti dell’organismo: tende ad allontanare l’arto dalla sede nociva e quindi a limitareil danno. In pazienti privi di tale riflesso spesso si nota un deturpamento delle mani che non vengonoallontanate da situazioni pericolose.Le informazioni afferenti vengono trasportate dalle fibre A-delta e C che all’interno del corno dorsale siramificano e prendono contatto con diversi interneuroni: si tratta infatti di un circuito polisinaptico.Lo schema neuronale è tale per cui il muscolo flessore viene eccitato e si contrae mentre i muscoliantagonisti estensori vengono inibiti e si rilasciano. Questo riflesso ha la caratteristica di influenzarei muscoli di più articolazioni: questo impone al segnale afferente di viaggiare verso altri segmentimidollari e quindi è necessario reclutare interneuroni spinali che mettono in contatto le diverse regioni

del midollo. Quando l’arto si allontana si nota che la contrazione persiste anche dopo che lo stimolo

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non viene più percepito: un’altra proprietà del riflesso sarà dunque quella di contare su un circuitoriverberante. In questo riflesso, più che in altri, è evidente il rapporto tra la sede dello stimolo e la sede della risposta e tra l’intensità dello stimolo e l’intensità della risposta.In un animale bipede o quadrupede in movimento, in caso di attivazione del riflesso flessorio è concreto

il rischio di caduta: questo è evitato grazie al fenomeno dell’estensione controlaterale. La risposta ri-flessa è infatti tale per cui l’arto controlaterale a quello in cui è evocata si estende facendo da sostegno:una coppia di arti in diagonale si estende e supporta il peso mentre l’altra coppia si flette e si allon-tana dallo stimolo. Il riflesso flessorio interessa dunque tutti gli arti, riducendo i danni e preparandol’organismo ad una reazione. Questo circuito riflesso è in realtà attivato anche dai meccanocettori, soloche gli effetti eccitatori di questa risposta sono molto modesti in condizioni fisiologiche: in patologia invece uno stimolo innocuo può evocare una risposta riflessa completa. Un equivalente del riflessoflessorio degli arti è presente a livello della mandibola, che infatti viene aperta inconsciamente se inocicettori dei denti o della lingua vengono attivati.

Il riflesso flessorio fa parte di un gruppo di riflessi polisinaptici legati ai recettori cutanei che hannoparticolare importanza in medicina; di questo stesso gruppo fanno parte anche:

• Riflessi addominali: lo stimolo dell’addome con una punta smussa genera contrazione dei mus-coli sottostanti in un’organizzazione topografica precisa.

• Riflessi plantari: stimolando con una punta smussa il dorso del piede si ottiene flessione plantaredelle dita. Questo riflesso per manifestarsi richiede un certo grado di controllo centrale e in con-dizioni di lesione della via corticospinale la stimolazione produce un’estensione a ventaglio delledita detta  riflesso di Babinski. In un bambino di pochi mesi il riflesso di Babinski è fisiologico easpettabile, ma se oltre i due anni è ancora presente è sintomo di una lesione delle vie discendenti.

4.2 Movimenti ritmici

I movimenti si dividono in volontari, riflessi e ritmici e la ragione è che i meccanismi di controllo centralesono diversi per ciascuna tipologia. I movimenti ritmici, cioè la locomozione, sono posseduti da tuttigli animali. La locomozione si distingue in una  fase di oscillazione in cui l’arto è innalzato e staccatodal suolo, e in una  fase di appoggio in cui l’arto si estende e poggia a terra. Nei decenni passati eranodue le interpretazioni in voga della locomozione: la prima ipotesi era che i movimenti fossero tantocomplessi da dover essere volontari, la seconda che fossero tanto stereotipati da essere riflessi.

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La prima ipotesi fu la prima a cadere: se il movimento ritmico fosse volontario non dovrebbe avvenire a seguito di una disconnessione tra le porzioni superiori ed inferiori del sistema nervoso. L’esperimentofu semplicemente prendere un gatto spinalizzato, metterlo su un tapis roulant e vedere che in effettil’animale esegue una locomozione: il movimento non può dunque essere volontario, perchè può essereprodotto anche in assenza di connessioni con il sistema nervoso intracranico.Da un punto di vista esclusivamente teorico in effetti la locomozione potrebbe essere il risultato di una serie di riflessi: in particolare è ipotizzabile uno schema in cui un riflesso crea le condizioni stimolanti

per evocarne un secondo e così via. Pur essendo possibile in via teorica, questa ipotesi venne messa incrisi agli inizi del 1900 da esperimenti che diedero risultati non spiegabili con le catene di riflessi; inquesti esperimenti, dopo aver sezionato il midollo e deafferentato alcune radici spinali in un animaleda esperimento, si notò che erano presenti movimenti locomotori per un paio di minuti, appariva cioèuna locomozione spontanea non spiegabile come riflessa. Negli anni ’60 nuovi esperimenti e nuoveconoscenze giustificarono i risultati dei primi del secolo. In un primo esperimento in animali in cui er-ano state sezionate le radici dorsali (cioè incapaci di avere riflessi) l’iniezione di L-dopa a livello spinale osistemico provocava l’insorgenza di movimenti locomotori. Se tramite un neurotrasmettitore è possibileottenere una locomozione anche in assenza di afferenze al midollo spinale ecco che cade la possibilità che i movimenti ritmici siano generati da una successione di riflessi. Un secondo esperimento fornì altririsultati interessanti; se ad un animale posto su di un tapis roulant viene immesso curaro in circolo la locomozione ovviamente si blocca, ma se si va a registrare l’attività nervosa delle fibre che innervanoestensori e flessori si individua comunque un’attività ritmica alternata. L’attività nervosa dunque è

sempre presente, ma non può essere condotta a compimento perchè è presente il curaro.

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Riassumendo il discorso sulla natura del movimento ritmico:

• Non è possibile che si tratti di un movimento volontario, perchè si ottiene anche se viene separatoil midollo spinale dalle porzioni superiori.

• Non è possibile che si tratti di uno schema di riflessi, perchè è ottenibile anche in condizioni cheprecludono l’esistenza di qualsiasi tipo di riflesso.

Queste due condizioni creano le basi per definire un terzo tipo di movimento: nel SNC esistono infattidei circuiti di neuroni definiti generatori centrali di schemi motori, che quando vengono attivatiproducono un’attività motoria ritmica. Questi generatori sono attivati o da segnali volontari o da stimo-lazioni provenienti da altre porzioni del SNC o infine da stimolazioni provenienti dai recettori periferici;qualunque sia la via di attivazione, quando un generatore viene stimolato il segnale in ingresso atti- vante viene trasformato in un segnale di uscita alternato con ritmicità tra fasi di oscillazione e fasi diappoggio. Un dato interessante è che si giunge a queste stesse conclusioni anche studiando il moto deipesci e il volo degli uccelli: i generatori centrali sono dunque comparsi per generare schemi motori e sisono poi adattati all’ambiente di vita dei vari animali.

I generatori centrali di schemi motori sono innati e quindi il movimento ritmico si basa su circuiti

innati e precostituiti al pari dei movimenti riflessi. I bambini non riescono a camminare perchè icontrolli discendenti non sono maturi, ma i circuiti midollari sono già pronti alla nascita. Se ad unanimale in movimento viene afferrata una zampa impedendone la locomozione non si ottiene un arrestodella locomozione stessa perchè l’altro arto continua a compiere movimenti alternati: questo è una prova dell’esistenza di quattro generatori centrali, uno per arto, tra loro coordinati per ottenere unmovimento fluido.

In tutti gli animali da esperimento è possibile indurre locomozione andando a stimolare determinateregioni corticali: nel gatto la regione più importante in questo ambito è la  regione locomotoria mes-encefalica; questa regione proietta ai generatori e quando stimolata produce la locomozione. Quandola regione locomotoria mesencefalica viene stimolata a diverse intensità cambia il tipo di coordinamentodei motoneuroni: stimoli a bassa intensità producono un’andatura lenta mentre stimoli ad alta inten-sità non cambiano l’ampiezza dei movimenti, ma l’accoppiamento dei generatori (trotto/galoppo neglianimali).

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