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UNIVERSIT ` A DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA FACOLT ` A DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI TESI DI LAUREA IN FISICA Spaziotempo noncommutativo: connessione con le teorie di stringa e propagazione di particelle Relatore: Laureanda: Prof. Giovanni Amelino-Camelia Luisa Doplicher Anno Accademico 1999-2000

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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI ROMALA SAPIENZA

FACOLTA DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI

TESI DI LAUREA IN FISICA

Spaziotempo noncommutativo:

connessione con le teorie di stringa

e propagazione di particelle

Relatore: Laureanda:Prof. Giovanni Amelino-Camelia Luisa Doplicher

Anno Accademico 1999-2000

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Indice

1 Introduzione 1

I Motivazioni per la noncommutativita dello spaziotem-po 7

2 Microscopio di Heisenberg e noncommutativita fondamentale 92.1 Microscopio di Heisenberg classico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102.2 Microscopio di Heisenberg con la gravita . . . . . . . . . . . . . . . . 132.3 Argomenti di Bohr e Rosenfeld . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192.4 Lunghezza minima in stringhe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212.5 Microscopio di Heisenberg con particelle massive neutre . . . . . . . . 232.6 Microscopio di Heisenberg con D-particles . . . . . . . . . . . . . . . 27

3 Noncommutativita non fondamentale 333.1 Oscillatore in un campo magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.2 Stringhe in campo esterno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

II Teorie di gauge su spaziotempo noncommutativo construttura canonica 37

4 Aspetti generali delle teorie 394.1 Star prodotto e sue proprieta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 394.2 Invarianza di gauge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

5 Diagrammi di Feynman 515.1 Caratteristiche dei diagrammi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

5.1.1 Struttura delle interazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 515.1.2 Un esempio semplice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 565.1.3 Caratteristiche topologiche dei diagrammi . . . . . . . . . . . 605.1.4 Convergenza e connessione fra ultravioletto e infrarosso . . . . 64

5.2 Regole di Feynman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 675.2.1 Propagatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

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ii Indice

5.2.2 Vertice a quattro scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 685.2.3 Vertici fotoni - scalari neutri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

Vertice fotone - due scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70Vertice due fotoni - due scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

5.2.4 Vertice fotone - fermione di Majorana . . . . . . . . . . . . . . 725.2.5 Vertici a piu fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

Vertice a tre fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73Vertice a quattro fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

5.2.6 Vertice fotone - ghosts . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

6 Diagrammi di self energia 776.1 Self energia del fotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77

6.1.1 Contributo dei fermioni di Majorana . . . . . . . . . . . . . . 776.1.2 Contributo degli scalari neutri . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

Primo diagramma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79Secondo diagramma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

6.1.3 Contributo del settore di gauge . . . . . . . . . . . . . . . . . 81Primo diagramma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81Secondo diagramma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82Terzo diagramma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

6.1.4 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 846.2 Self energia dello scalare neutro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86

6.2.1 Contributo dei fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86Primo diagramma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86Secondo diagramma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

6.2.2 Contributo degli scalari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 876.2.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88

6.3 Self energia del fermione di Majorana . . . . . . . . . . . . . . . . . . 896.3.1 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

6.4 Relazioni di dispersione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 956.4.1 Relazione di dispersione per il fotone . . . . . . . . . . . . . . 956.4.2 Relazione di dispersione per il fermione di Majorana . . . . . . 96

6.5 Implicazioni fenomenologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98

7 Conclusioni 99

A Formule utili 101

Bibliografia 105

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Capitolo 1

Introduzione

Non l’avrei giammai credutoma faro quel che potro.

Lorenzo Da Ponte

Molti elementi portano a credere che la descrizione dello spaziotempo finoraadottata vada radicalmente rivista quando si ha a che fare con scale di lunghezzadell’ordine della lunghezza di Planck LP , definita come:

LP =

√~Gc3

' 10−33cm (1.1)

L’indizio principale in favore di tale ipotesi viene dall’incompatibilita fra relativitagenerale e meccanica quantistica, entrambe necessarie trattando di spaziotempo e dipiccole distanze. Una delle indicazioni piu comuni degli approcci a questo problema ela possibilita di una nuova e piu stringente limitazione alla misurabilita di grandezzegeometriche. Ad esempio nel caso di intervalli spaziali ci si aspetta [1, 2, 3]:

δx & LP (1.2)

E interessante notare come (1.2) vada ad inserirsi in una gerarchia di limitazionisulla misurabilita, stabilite nel corso del tempo con il raffinarsi delle teorie che de-scrivono il mondo fisico. Nella fisica classica ogni grandezza puo in linea di principioessere misurata con precisione arbitraria; i soli ostacoli al raggiungimento di unaprecisione assoluta nelle misure sperimentali provengono dall’imperfezione dei me-todi e degli strumenti usati. Con l’avvento della meccanica quantistica viene persala possibilita di misurare simultaneamente con precisione assoluta alcune coppie diosservabili; e questo avviene per motivi legati alla struttura della teoria, non perimpedimenti pratici. Tuttavia le relazioni di indeterminazione non vietano che unadelle due grandezze possa essere misurata con precisione assoluta, naturalmente al

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2 1. Introduzione

prezzo di rinunciare a qualunque informazione sull’altra. Combinando la meccanicaquantistica e la relativita ristretta emerge l’impossibilita di localizzare una particellamassiva in una regione di dimensioni lineari minori della lunghezza d’onda Comptondella particella; le inconsistenze che ne derivano obbligano a passare ad una teoriache tratti in primo luogo di campi, cosı che il numero di particelle possa variare.Infine, come illustrero in un caso particolare nel capitolo 2, cercando di combinarela meccanica quantistica e la relativita generale emerge naturalmente (1.2), che fissaun limite inferiore assoluto alla misurabilita di una singola grandezza, un interval-lo spaziale. Intuitivamente e facile rendersi conto di come una simile limitazionepossa derivare da considerazioni di meccanica quantistica e di relativita generale.Da equazioni basilari della meccanica quantistica segue che per ottenere una buo-na risoluzione su piccole distanze e necessario impiegare particelle di prova di altafrequenza e quindi alta energia per effettuare la misura (in genere si adoperano fo-toni a questo scopo). Ma una particella molto energetica genera un intenso campogravitazionale, che a sua volta modifica la metrica e quindi introduce una nuovafonte di incertezza nella misura. Cosı aumentando l’energia delle particelle di provasi riduce un contributo all’incertezza totale sulla misura, ma inevitabilmente se neaumenta un altro; in conclusione e facile capire come mai vi sia un minimo assolutonon nullo a questa incertezza. Un altro modo di visualizzare il fenomeno e ricordareche nessuna particella o, in generale, nessun oggetto puo essere localizzato in unaregione di dimensioni lineari minori del proprio raggio di Schwarzschild, altrimenti siformerebbe un orizzonte degli eventi entro cui la particella di prova sparirebbe, cosıche non sarebbe piu possibile effettuare la misura. Anche in questo modo si trovache la precisione delle misurazioni di lunghezza ha un limite inferiore dell’ordine diLP . Seguendo linee di ragionamento analoghe e possibile ricavare un limite inferiorealla precisione di misure di intervalli temporali. Queste argomentazioni molto intui-tive possono essere raffinate e rese rigorose, tramite argomenti di varia natura, macomunque sostanzialmente la conclusione non cambia, ed e sempre simile a (1.2). Avolte (1.2) viene portata come evidenza dell’esistenza di una scala fondamentale del-la natura. Tuttavia sebbene il legame fra i due concetti esista, non necessariamentesi tratta di un’implicazione diretta, poiche il contesto da cui emerge (1.2) potreb-be non permettere un’estrapolazione riguardo alle caratteristiche fondamentali dellospaziotempo sottostante.

E possibile schematizzare queste limitazioni alla misurabilita di intervalli spa-ziali e temporali tramite una relazione di indeterminazione spaziotemporale, cioepostulando che le coordinate siano oggetti noncommutanti; l’estensione di con-cetti geometrici a questo nuovo tipo di coordinate e stato chiamato geometrianoncommutativa.

La geometria tradizionalmente si occupa delle proprieta dell’insieme di punti checostituiscono lo spazio. Tuttavia e stato osservato che e possibile studiare piuttostol’algebra di funzioni definite sullo spazio dato e ricavarne tutte le proprieta dellospazio; in particolare e possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra spazicompatti e algebre delle funzioni continue. Nei casi in cui la descrizione dello spa-

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1. Introduzione 3

zio e problematica questo procedimento e anche piu vantaggioso, poiche l’algebradi funzioni puo comunque essere perfettamente definita. E proprio questo il puntodi partenza per la geometria noncommutativa: si considera l’algebra delle funzionidifferenziabili definite sull’usuale spazio commutativo e poi la si generalizza ad un’al-gebra noncommutativa; questa generalizzazione non e univoca, ad una stessa algebracommutativa possono corrispondere piu algebre noncommutative. Trattando algebrenoncommutative si trovano molte strutture e caratteristiche che non hanno analogonel caso commutativo, e viceversa si perdono alcune nozioni usuali, come quella dipunto [4, 5, 6, 7, 8, 9]. In alcuni casi, ad esempio se il commutatore degli operatori xe costante [10] o lineare [11, 12] in x, e possibile riformulare ulteriormente la teoria intermini di un’algebra di funzioni commutativa in cui il prodotto puntuale ordinariosia sostituito da un opportuno “star prodotto”, la cui forma esplicita dipende daltipo di noncommutativita considerato.

In questa tesi ho esplorato vari contesti che mostrano indizi in favore di una qual-che noncommutativita delle coordinate spaziotemporali, e ho studiato in particolarealcuni aspetti delle teorie di gauge su un tipo di spaziotempo noncommutativo cheha recentemente attratto attenzione, risultando utile in ambito di teorie di stringa.

Nella prima parte considero l’analisi della misurabilita di grandezze geometrichefornita dal microscopio di Heisenberg e passo in rassegna alcuni aspetti delle teoriedi stringa che suggeriscono una relazione di indeterminazione spaziotemporale. Ilmicroscopio di Heisenberg (che descrivero in dettaglio nel capitolo 2) e uno stori-co procedimento per lo studio dei limiti sulla misurazione simultanea di grandezze,originariamente ideato appunto da Heisenberg [13, 14]. Consiste nell’osservare unelettrone tramite un microscopio; l’elettrone puo essere localizzato con una preci-sione massima dell’ordine della lunghezza d’onda dei fotoni che lo illuminano. Ilfotone diffuso dall’elettrone e poi raccolto nel microscopio trasferisce all’elettroneuna parte del proprio impulso per effetto Compton. Ne seguono quindi le relazionidi indeterminazione δxδp ≥ ~ per la posizione e l’impulso dell’elettrone. Tutta-via, come gia accennato, questo risultato non pone limiti alla precisione con cui epossibile misurare la posizione dell’elettrone, stabilisce solo che in proporzione l’in-certezza sull’impulso aumenta finche la misura dell’impulso perde ogni contenutofisico. Idealmente, al limite e possibile ottenere una precisione assoluta sulla misuradella posizione dell’elettrone, semplicemente facendo crescere all’infinito la frequenzadei fotoni incidenti.

Estendendo il ragionamento per includere gli effetti dell’interazione gravitazio-nale fra particella probe (fotone) e particella target (elettrone) [1, 2, 3] si e trovatoun limite alla misura della posizione della particella target del tipo (1.2), che rappre-senta un’assunzione comune in gravita quantistica. E interessante allora chiedersiche limitazioni alla localizzazione dell’evento di scattering emergano quando il probee il target siano tipi diversi di particelle. Questo perche, come esposto da Bohr eRosenfeld [15, 16], nel dedurre caratteristiche fondamentali di una teoria a partireda esperimenti di scattering (eventualmente gedanken) si deve tener presente che irisultati possono dipendere dal tipo di particella considerata. Generalmente il can-

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4 1. Introduzione

didato naturale e il fotone, per le sue caratteristiche che lo rendono maneggevoleteoricamente e sperimentalmente; tuttavia non e detto che concettualmente sia que-sta la scelta migliore. In teorie di stringa questo tipo di analisi e reso ancora piuinteressante dalla presenza di nuovi tipi di oggetti fondamentali, come le stringhestesse e le D-particles, di cui daro una definizione nella sezione 2.4. Una serie dinoti studi [17, 18, 19, 20] ha permesso di stabilire che tramite scattering di stringhechiuse e possibile ottenere una localizzazione spaziale dell’ordine della lunghezza distringa, maggiore di L

(10)P (lunghezza di Planck in dieci dimensioni). Recentemente

si e osservato [21, 22, 23] che tramite scattering di D-particles e possibile migliorare

notevolmente questo limite, ottenendo una localizzazione spaziale minore di L(10)P , e

quindi potenzialmente in disaccordo con (1.2). Per verificare quest’ipotesi ho usatoD-particles nel microscopio di Heisenberg. Le D-particles sono schematizzabili comeparticelle massive legate da un potenziale dipendente dalla velocita relativa (in par-ticolare il potenziale si azzera quando questa e nulla). Quindi in preparazione perl’analisi con D-particles nella sezione 2.5 ho considerato il microscopio di Heisenbergin cui il probe e il target sono particelle massive neutre (ordinarie). Ho trovato chela localizzazione dello scattering e meno precisa che nel caso in cui il probe sia unfotone, e ho potuto cosı stabilire che effettivamente il fotone rappresenta il migliorprobe, nell’ambito di particelle che interagiscano elettromagneticamente o gravita-zionalmente. Nel caso di D-particles si deve pero tenere conto della presenza delpotenziale che le lega, la cui forma dipende anche dalla supersimmetria. Svolgen-do l’analisi del microscopio di Heisenberg per D-particles ho trovato che in effettila localizzazione spaziale raggiunge scale minori di L

(10)P , quindi c’e contrasto con

(1.2). Questa maggiore precisione nella definizione di intervalli spaziali e ottenibilesolo al prezzo di una localizzazione temporale piuttosto imprecisa. Questi risulta-ti sembrano indicare che l’attenzione vada spostata dalla localizzazione spaziale deltarget alla localizzazione dell’evento di scattering, generalizzando (1.2) per includerela localizzazione temporale. Esaminati da questo punto di vista i classici risultati digravita quantistica portano a stabilire un limite del tipo [24]:

δxδt & L2P

c(1.3)

Considerando la localizzazione dell’evento di scattering fra D-particles nell’ambitodel microscopio di Heisenberg ho dimostrato che il limite fornito da (1.3) rimanevalido, e non viene nemmeno saturato.

Queste considerazioni suggeriscono che la geometria noncommutativa abbia unruolo nella caratterizzazione della struttura fondamentale dello spaziotempo. Ma lanoncommutativita puo essere rilevante anche per la descrizione di aspetti specificidel sistema studiato. Ad esempio e possibile schematizzare la presenza di un campoesterno tramite una noncommutativita dello spazio sottostante; accennero a que-sta descrizione nella sezione 3.1, nel caso semplice di un oscillatore immerso in uncampo magnetico [25, 26]. Inoltre, come illustrero brevemente nella sezione 3.2, lanoncommutativita risulta utile anche nella costruzione di teorie di campo effettive

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1. Introduzione 5

che descrivono la fisica delle stringhe in un campo esterno ad energie inferiori a L−1s ,

dove Ls e la lunghezza di stringa [27, 28, 29, 30, 31].Nella seconda parte della tesi esamino piu in particolare il tipo di geometria

noncommutativa rilevante in ambito di teorie di stringa in presenza di campo esterno,quella con struttura canonica, in cui la regola di commutazione tra gli operatori x edata da:

[xµ, xν ] = iθµν (1.4)

dove θµν e una matrice reale, antisimmetrica e costante nelle coordinate. In questocaso e possibile definire uno star prodotto, che derivero in dettaglio nella sezione4.1.

La noncommutativita delle coordinate fa sı che la moltiplicazione dei campi perle coordinate stesse non sia un’operazione covariante. Nella costruzione di teorie digauge e utile introdurre delle coordinate covarianti, definite tramite l’aggiunta allecoordinate originarie di un campo di gauge, analogamente al procedimento seguitoper ottenere la derivata covariante nelle teorie di campo usuali. Procedendo lungoquesta linea per ricavare le trasformazioni dei campi di gauge si trova che, anchenel caso in cui il gruppo di gauge sia U (1), la situazione somiglia molto al casocommutativo nonabeliano: le leggi di trasformazione sono analoghe, di conseguenzal’unitarieta della teoria richiede la presenza dei ghosts, e il campo di gauge, cioeil fotone, interagisce con se stesso [10, 32]. Dalla nonlocalita della teoria seguel’impossibilita di costruire operatori locali gauge invarianti; si ritrova l’invarianzadi gauge integrando su tutto lo spazio (cioe sull’azione e non sulla lagrangiana).E comunque possibile costruire operatori gauge invarianti quasi locali “spalmando”(smearing) gli operatori locali su una scala dell’ordine di

√θ, dove θ e il piu grande

autovalore di θµν [33, 27].Dalle trasformazioni di gauge segue un’interessante caratteristica di queste teo-

rie: il fotone interagisce anche con i campi neutri, dove questa dicitura indica icampi che nel limite θµν → 0 diventano neutri (forniro una caratterizzazione piuprecisa trattando le trasformazioni di gauge). Per poter studiare quantitativamentei diagrammi di Feynman relativi a questa ed altre interazioni ho ricavato le regoledi Feynman per scalari neutri, fermioni di Majorana, fotoni e ghost (sezione 5.2).Da alcune proprieta dello star prodotto segue che i propagatori sono gli stessi delcaso commutativo; si modificano soltanto i vertici di interazione, che contengonopolinomi di funzioni trigonometriche di quantita come pµθ

µνqν , dove pµ e qµ so-no impulsi entranti nel vertice. Per poter comprendere la struttura dei diagrammidi Feynman su spaziotempo noncommutativo e utile introdurre una distinzione fradiagrammi cosiddetti planari e nonplanari, che definiro precisamente nella sezione5.1.3. Quantitativamente si trova che i diagrammi planari sono uguali a quelli com-mutativi, a meno di un fattore di fase globale dipendente dagli impulsi esterni. Idiagrammi nonplanari invece hanno fattori di fase dipendenti anche dagli impulsiinterni, del tipo exp (ipµθ

µνqν) con pµ impulso del loop e qµ impulso esterno. Questifattori migliorano la convergenza ultravioletta dei diagrammi nonplanari; tuttavia seq → 0 svaniscono e il diagramma diverge di nuovo, quindi in queste teorie le usuali

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6 1. Introduzione

divergenze ultraviolette vengono sostituite da divergenze infrarosse [34, 35, 36, 37].Queste divergenze infrarosse non trovano conferma nei dati sperimentali, quindi ilcutoff infrarosso che le regolarizza rappresenta di fatto la scala alla quale questeteorie, se sono rilevanti per la descrizione del mondo fisico, perdono validita. Hostudiato quantitativamente la dipendenza da θµν , ed in particolare la natura dellasingolarita infrarossa, della self energia di alcune particelle. Dopo aver ripercorso ilcalcolo a un loop della self energia del fotone [38] ho calcolato la self energia di unoscalare neutro e di un fermione di Majorana; ho trovato che la correzione comprendeun cutoff effettivo che dipende dal parametro di noncommutativita θ e dall’impulsoesterno. Infine ho utilizzato i risultati per esaminare come vengono modificate leusuali relazioni di dispersione. In particolare ho verificato che la relazione di disper-sione del fotone dipende dalla sua polarizzazione [38], e ho trovato che la relazionedi dispersione del fermione di Majorana non e tale da modificare la sua massa ariposo, quindi non e possibile dare massa al neutrino tramite questo meccanismo.

Notazioni e convenzioni

La segnatura dello spaziotempo e (1,−1,−1,−1).Le componenti di un quadrivettore sono contraddistinte da indici greci, µ, ν ∈

[0, 3]; µ = 0 distingue la coordinata temporale. Le componenti di un trivettore sonodistinte dagli indici i, j ∈ [1, 3].

D’ora in poi uso le unita naturali, in cui c = ~ = 1.L’incertezza sulla misura della grandezza A e indicata come δA, mentre ∆A

indica una variazione di A.Le coordinate operatoriali noncommutanti sono indicate come x; in generale le

grandezze relative ad una geometria noncommutativa verranno contraddistinte daun cappuccio.

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Parte I

Motivazioni per lanoncommutativita dello

spaziotempo

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Capitolo 2

Microscopio di Heisenberg enoncommutativita fondamentale

Poliziotto: Lei sa a che velocitastava andando?

Heisenberg : No, ma so dove sono.

Il microscopio di Heisenberg e un gedanken experiment introdotto da Heisenberg[13] per verificare le relazioni di indeterminazione δxδp ≥ 1 (ricordo che sto usandounita naturali, cioe ~ = c = 1). Un gedanken experiment e un esperimento la cuirealizzazione puo essere difficoltosa per vari motivi, ad esempio di ordine pratico,ma concettualmente possibile. In tal senso puo essere sfruttato per dare una defi-nizione operativa di concetti fisici [14]. Studiando le limitazioni alla misurabilita digrandezze, questo modo di ragionare permette di fare astrazione da problemi praticie di considerare soltanto le limitazioni imposte dalla fisica del problema e dal pro-cedimento adottato per la misura delle grandezze in questione. Questo significa chele limitazioni ottenute costituiranno in genere un limite inferiore che potrebbe an-che non essere raggiungibile in pratica. Naturalmente questo limite e da intendersivalido nell’ambito del procedimento di misura scelto; in generale e possibile che unprocedimento diverso permetta di migliorare il risultato ottenuto.

In questo capitolo sfrutto lo schema concettuale del microscopio di Heisenbergper verificare le limitazioni alla localizzazione di un evento recentemente ottenutein ambito di teorie di stringa tramite scattering di oggetti presenti nelle teorie,le D-particles [21, 22, 23]. In preparazione a quest’analisi nelle prossime sezioniesamino alcune differenti formulazioni del microscopio di Heisenberg. Nella sezione2.1 delineo la formulazione originale del microscopio di Heisenberg, in cui la particellaprobe e un fotone e la particella target un elettrone, e lo scattering fra le due particellecoinvolge solo l’interazione elettromagnetica. In seguito nella sezione 2.2 considerola stessa situazione in cui pero non si trascura l’interazione gravitazionale fra probee target. Siccome le D-particles sono schematizzabili come particelle massive legate

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10 I. Motivazioni

da un potenziale dipendente dalla velocita relativa, ho voluto controllare i risultatiforniti dall’analisi del microscopio di Heisenberg in cui il probe e il target sianoparticelle massive neutre (sezione 2.5). Infine nella sezione 2.6 applico l’analisi alcaso in cui il probe e il target siano D-particles. L’analisi della sezione 2.1 ripercorrel’argomento originale [13, 14]; la sezione 2.2 e basata su quanto esposto in [1, 2, 3],pur con alcuni ampliamenti e precisazioni; invece le analisi delle sezioni 2.5 e 2.6non sono presenti in letteratura.

Il mio obiettivo nello studio dei limiti alla misurabilita di intervalli spaziali etemporali e individuare la dipendenza funzionale di questi limiti da grandezze rile-vanti nella particolare situazione fisica considerata. Quindi nelle analisi trascurerofattori numerici di ordine 1.

2.1 Microscopio di Heisenberg classico

Nel microscopio di Heisenberg classico si effettua la misura della posizione di unelettrone osservandolo con un microscopio, che viene schematizzato come una sca-tola la cui parete di fondo rappresenta una lastra fotografica [13, 14]. Gli assi sonodisposti come in figura 2.1; si suppone che l’elettrone si trovi nel piano xy. Persemplicita si analizza la determinazione della sola coordinata x della posizione del-l’elettrone; a questo scopo l’apertura tramite cui la luce entra nel microscopio puoessere schematizzata come una fessura F di larghezza 2L, come in figura 2.1.

z

b

a

x

y

Figura 2.1: Microscopio di Heisenberg

L’elettrone viene illuminato da un fotone di lunghezza d’onda λ che viaggia ap-prossimativamente nella direzione dell’asse x. Il fotone e diffuso per effetto Comp-ton e viene poi raccolto dalla lastra fotografica del microscopio. Tramite la misuradella posizione di arrivo del fotone sulla lastra fotografica e possibile risalire allacoordinata x dell’elettrone.

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2.1 Microscopio di Heisenberg classico 11

Se l’elettrone restasse fermo in un punto P del piano xy, illuminandolo successi-vamente con vari fotoni si osserverebbe sulla lastra fotografica del microscopio unafigura di diffrazione dovuta alla fessura F . Sopprimendo la coordinata y, la situa-zione sarebbe quella schematizzata in figura 2.2. La figura di diffrazione sarebbe

l’

l

b

a

P’

P

Q’

Q

C

x

z

Figura 2.2: Microscopio di Heisenberg in sezione

centrata in P ′ e il suo massimo avrebbe una larghezza l′ data da:

l′ ' λ′

sin β' λ′

tan β=

λ′bL

(2.1)

dove λ′ e la lunghezza d’onda del fotone dopo lo scattering, mentre b e β sono definitiin figura 2.2. Proiettando P ′ attraverso il centro C della fessura F sul piano xy siotterrebbe la coordinata x del punto P in cui si trova l’elettrone. Tuttavia dopolo scattering l’elettrone si sposta, quindi illuminarlo con altri fotoni dopo il primonon servirebbe ad ottenere informazioni sulla sua posizione al momento del primoscattering. Quindi sara possibile osservare sulla lastra fotografica un solo puntodella figura di diffrazione appena descritta, ad esempio Q′, mentre P ′ non saraosservabile. Supponendo che Q′ appartenga al massimo della figura di diffrazione,si puo affermare che Q′ dista da P ′ meno di l′. Quindi la proiezione di Q′ sul pianoxy, Q, dista da P meno di l, con l data da:

l =a

bl′ ' λ′a

L(2.2)

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12 I. Motivazioni

Siccome P corrisponde alla posizione dell’elettrone al momento dello scattering, lrappresenta l’incertezza δx sulla misura della coordinata x dell’elettrone:

δx ∼ l ' λ′aL

(2.3)

Per effetto Compton parte dell’impulso iniziale del fotone viene trasferito all’elet-trone. Dopo lo scattering la componente x dell’impulso dell’elettrone, px, e datada:

px ' p0x +

1

λ− p′x (2.4)

dove p0x e l’impulso iniziale dell’elettrone lungo x, eventualmente nullo, e p′x e la

componente x dell’impulso del fotone dopo lo scattering. La direzione del moto delfotone dopo lo scattering e ignota, tuttavia deve essere tale che il fotone passi perla fessura F del microscopio. Questa non e un’assunzione arbitraria sulle caratteri-stiche del fotone; equivale semplicemente all’osservazione che se il fotone non vieneraccolto nel microscopio la misurazione non e possibile. Tramite questa osservazionee possibile individuare l’incertezza su p′x:

δp′x ∼1

λ′sin α ' 1

λ′tan α =

1

λ′L

a(2.5)

dove α e definito nella figura 2.2. Per l’incertezza δpx sulla componente x dell’im-pulso dell’elettrone dopo lo scattering si ha:

δpx ' δp′x ∼1

λ′L

a(2.6)

Quindi per le componenti lungo x della posizione e dell’impulso dell’elettrone sitrova:

δxδpx ∼ 1 (2.7)

la ben nota relazione di indeterminazione di Heisenberg. Una relazione analogavale per le componenti lungo y della posizione e dell’impulso dell’elettrone, fin quitrascurate soltanto per semplicita, e immaginando di ruotare l’apparato si vede chee possibile giungere alla stessa conclusione per quanto riguarda le componenti lungoz.

Questo risultato stabilisce un limite alla misurabilita simultanea di due grandez-ze, x e p. Tuttavia, come gia sottolineato nell’introduzione, mirando a misurare xcon la migliore precisione possibile non si incontrano ostacoli concettuali che impe-discano di far tendere δx a zero, sebbene in pratica questo non sarebbe realizzabile.(2.7) implica soltanto che se δx tende a zero δpx cresce sempre piu, finche di fattopx non viene misurato. Si nota come per aumentare la precisione della misura di xsia sufficiente aumentare la frequenza del fotone usato come probe, in accordo conquanto noto a proposito della risoluzione dei microscopi.

Nella sezione successiva illustrero come tenendo conto della gravita si trovi unlimite inferiore anche alla misurabilita di intervalli spaziali, considerata singolarmen-te.

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2.2. Microscopio di Heisenberg con la gravita 13

2.2 Microscopio di Heisenberg con la gravita

In questa sezione ripercorro l’analisi del microscopio di Heisenberg includendo l’in-terazione gravitazionale tra particella probe (fotone) e particella target (elettrone)[1, 2, 3]. In quanto segue adotto una descrizione semi-newtoniana della gravitazio-ne. A rigore occorrerebbe piuttosto trattare l’interazione gravitazionale secondo leequazioni della relativita generale, tuttavia e stato dimostrato che, dopo calcoli piucomplessi, una tale descrizione porta a risultati coincidenti con quelli forniti dallaschematizzazione semi-newtoniana [1].

Rispetto all’esempio svolto nella precedente sezione 2.1 ricavo l’espressione espli-cita di alcune incertezze in base ad un ragionamento leggermente diverso. Inoltregeneralizzo la formulazione del problema, spostando l’attenzione dalla localizzazionedella posizione della particella target alla localizzazione dell’evento di scattering traprobe e target, e considerando anche altre fonti di incertezza rilevanti per la misura.Comunque non tengo conto di tutte le incertezze che influenzano la precisione dellamisura, ma soltanto di quelle che descrivono gli aspetti cruciali del sistema fisico inquestione e del procedimento di misurazione adottato.

In questo modo e possibile che il limite inferiore all’incertezza sulla localizza-zione dell’evento di scattering venga in realta sottostimato. Mentre sarebbe senzadubbio preferibile ottenere una stima precisa di tale limite, l’eventualita che ven-ga sottostimato non e molto preoccupante, poiche verrebbe comunque determinataun’inevitabile incertezza di natura fondamentale, anche se poi l’incertezza minimaeffettivamente ottenibile dovesse essere sempre maggiore di questa. Comunque nonsi tratta di un’eventualita molto probabile, poiche i contributi all’incertezza che hoconsiderato sembrano essere i piu significativi ai fini della determinazione di questolimite inferiore.

D’altro canto si potrebbe immaginare che il limite inferiore venga sovrastimatoa causa di caratteristiche intrinseche del procedimento di misura impiegato. Questapossibilita, che metterebbe in dubbio la bonta della scelta del metodo da seguireper studiare la localizzazione di eventi, e fortunatamente remota, come risulta dalleconclusioni della vasta letteratura dedicata al microscopio di Heisenberg [1, 2, 3],e anche dal fatto che trascurando l’interazione gravitazionale tra probe e target ilmicroscopio di Heisenberg fornisce per la relazione di indeterminazione tra x e p ilcorretto limite inferiore (v. (2.7) nella sezione 2.1).

In ogni caso nell’ambito del microscopio di Heisenberg stesso le conclusioni otte-nute dipendono in modo essenziale dal tipo di particelle scelte come probe e target ;questo aspetto del problema sara evidente nelle sezioni successive, in cui ripeterol’analisi con differenti tipi di probe e target.

In questa sezione la particella probe e un fotone e la particella target e un elettro-ne, tuttavia svolgo l’analisi in termini di probe e target genericamente per stabilireun linguaggio che sara utile negli esempi considerati nelle sezioni successive. Segna-lero comunque i punti in cui le proprieta specifiche del probe e del target impiegatiportano a conseguenze particolari.

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14 I. Motivazioni

Continuando a tralasciare la direzione y cerco di individuare con che precisionee possibile misurare X e T , coordinate dell’evento di collisione fra probe e target.La coordinata X viene ottenuta a partire dalla misura della posizione di arrivodella particella probe sulla lastra fotografica del microscopio; la coordinata T vienericavata dalla relazione:

T ' ti + X (2.8)

dove ti e l’istante iniziale dell’esperimento, cioe quello in cui la particella probe vienesparata verso il target, e dove si e sfruttato il fatto che in questo caso il probe e unfotone, con velocita fissa e pari a 1 (in unita naturali).

Le incertezze sulla misura di X e T , rispettivamente δX e δT , possono essereespresse cosı:

δX & δXc + δx0 + dmin + δxp + δxt (2.9)

δT & δti + δX (2.10)

dove:δXc e l’errore di tipo classico dovuto alla larghezza finita della fenditura del

microscopio;δx0 e l’errore dovuto alla larghezza del pacchetto d’onda del probe, di origine

quantistica;dmin e la distanza minima a cui probe e target vengono a trovarsi, che puo essere

anche minore di δx0 (se dmin e definito come la distanza fra i centri dei due pacchettid’onda);

δxp e l’errore dovuto all’incertezza di tipo quantistico nella determinazione dellaposizione del probe all’istante di collisione, ricavabile dalla condizione che il probedebba passare attraverso la fenditura;

δxt e l’errore dovuto all’incertezza nella determinazione della posizione del targetall’istante di collisione;

δti e l’errore sulla misura dell’istante di partenza del probe.Volendo controllare se e possibile misurare X con una precisione δx∗ dell’ordine

della lunghezza di Planck LP si deve scegliere:

δx0 . δx∗ ∼ LP

dmin . δx∗ ∼ LP

(2.11)

Il probe ha quindi queste caratteristiche:

δx0 . LP

δp0p ∼

1

δx0

(2.12)

dove p0p e l’impulso iniziale del probe, la cui incertezza e δp0

p. La determinazione diuna grandezza A puo avere senso solo se A & δA. In questo caso, dalla richiesta

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2.2. Microscopio di Heisenberg con la gravita 15

a

b

L

dXc

Figura 2.3: Incertezza di tipo classico

p0p&δp0

p segue che p0p e piuttosto grande: p0

p&δp0p ∼ δx−1

0 & EP , dove EP indical’energia di Planck.

δXc e indicato nella figura 2.3, e vale:

δXc = La + b

b(2.13)

Considero ora la determinazione di δxp. Questo contributo a δX e chiaramente lega-to all’incertezza del momento p′p del probe all’istante in cui il probe stesso raggiungela fenditura. Una buona stima di p′p e [1, 3]:

p′p ∼ pp (2.14)

A rigore bisognerebbe considerare anche un altro contributo a p′p, dovuto al trasfe-rimento di impulsi tra probe e target mediato dalla loro interazione gravitazionale.Tuttavia ai fini della valutazione dell’incertezza su p′p questo secondo contributo etrascurabile. Infatti l’impulso trasferito ad un dato istante tra probe e target puoessere stimato in questo modo:

∆pp (t) ' Gppmt

d (t)(2.15)

dove d (t) e la distanza fra probe e target all’istante t. Chiaramente vale:

∆pp (t) . Gppmt

dmin

(2.16)

e quindi ∆pp e trascurabile rispetto a pp, poiche:

pp & Gppmt

dmin

(2.17)

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16 I. Motivazioni

La validita di (2.17) risulta ovvia osservando che la distanza minima fra probe etarget deve essere maggiore del raggio di Schwarzschild del target, cioe:

dmin & Gmt = L2P mt (2.18)

(a meno di un irrilevante fattore 2).Perche il probe possa essere rivelato dal microscopio deve valere:

(δpp)x ≈ pp sin α ' pp tan α = ppL

a(2.19)

dove α e definito in figura 2.2. Questo nel caso in cui la traiettoria seguita dal probedopo lo scattering sia perfettamente verticale, caso che consente il maggiore (δpp)x.Tramite la relazione di indeterminazione di Heisenberg si trova infine:

δxp & 1

ppLa

(2.20)

Il δxp appena calcolato si riferisce alla coordinata x del probe nell’istante in cui

quest’ultimo raggiunge la fenditura del microscopio. E facile convincersi che l’incer-tezza sulla coordinata x del probe all’istante della collisione sara ben stimata da δxp.Infatti e lecito assumere che a, e in generale ogni altra dimensione lineare dell’ap-parato di misura, sia estremamente piccola rispetto alle enormi distanze necessarieper osservare un allargamento significativo di un pacchetto d’onda [39].

Infine occorre identificare δxt, ovvero l’errore dovuto all’incertezza nella deter-minazione della posizione del target all’istante di collisione. Come gia osservato,l’interazione gravitazionale causa un trasferimento d’impulso fra probe e target, si-gnificativo soprattutto quando le due particelle sono vicine. Percio, per la conserva-zione dell’impulso, alla variazione dell’impulso del probe definita in (2.15), ∆pp (t),corrisponde un’uguale variazione dell’impulso del target, ∆pt:

∆pt (t) ' ∆pp (t) ' Gppmt

d (t)(2.21)

Nello scattering al target sara trasferita anche una frazione dell’impulso inizialedel probe, che quantitativamente dipendera dalla direzione presa dal probe dopo loscattering. Tuttavia nel valutare δxt non ne tengo conto, poiche l’errore dovuto alfatto che non si conosce la direzione presa dal probe dopo lo scattering e stato giapreso in considerazione nel calcolo di δxp, il contributo che porterebbe nel calcolodi δxt sarebbe dello stesso ordine, e nell’ottica di puntare soltanto a valutare gliordini di grandezza un fattore 2 non puo essere rilevante. Inoltre a questo stadiointeressa individuare il contributo dovuto all’interazione gravitazionale fra probe etarget. Posso quindi stimare l’incertezza (δpt)x (t) sulla componente x dell’impulsodel target ad un dato istante a partire da (2.21), e poi ricavarne l’incertezza (δvt)x (t)sulla componente x della velocita del target :

(δvt)x (t) =(δpt)x (t)

mt

' ∆pp (t)

mt

L

a(2.22)

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2.2. Microscopio di Heisenberg con la gravita 17

δxt e dato dall’integrale di (δvt)x dall’istante iniziale dell’esperimento, ti, all’istanteT della collisione. Ma poiche (δvt)x (t) e proporzionale all’inverso di d (t), il maggiorcontributo a δxt viene da un piccolo intervallo temporale precedente T . Ne segueche si puo stimare δxt in questo modo:

δxt ≥∫ T

T−dmin

|(δvt)x|dt '∫ T

T−dmin

∣∣∣∣∆pp (t)

mt

∣∣∣∣L

adt ∼ ∆pp (t)

mt

∣∣∣∣dmin

dminL

a(2.23)

e quindi si trova che δxt puo essere approssimato come:

δxt ∼ ∆pp (t)

mt

∣∣∣∣dmin

dminL

a' Gpp

dmin

dminL

a= Gpp

L

a(2.24)

A questo punto posso dare una valutazione quantitativa per δX:

δX & δXc + δx0 + dmin + δxp + δxt & δXc + δx0 + dmin +1

ppLa

+ GppL

a(2.25)

δXc dipende dalla struttura del microscopio, δx0 e dmin dalle caratteristiche cinema-tiche del probe e del target, e vengono scelte appositamente nel tentativo di ottenereil δx∗ prefissato. Quindi per verificare che il limite di precisione richiesto puo essereeffettivamente raggiunto basta controllare il comportamento delle ultime due fontidi incertezza, le sole ad avere un andamento opposto. Il minimo contributo chequeste due fonti di incertezza portano e:

min (δxp + δxt) =

√1

ppLa

GppL

a= LP (2.26)

Quindi si vede che cercare di prendere δx0 e dmin minori di LP non ha molto significa-to, poiche comunque δxp e δxt portano un errore almeno dell’ordine della lunghezzadi Planck. In conclusione verifico che e possibile raggiungere la precisione richiestadi LP , ma non ottenere di meglio:

δX & LP (2.27)

Per quanto riguarda l’incertezza su T :

δT & δti + δX & LP (2.28)

Il risultato sorprendente e che tenendo conto dell’interazione gravitazionale fra pro-be e target emerge un limite inferiore assoluto alla misurabilita di intervalli spaziali,senza che venga specificato nulla sulla misurabilita simultanea di altre grandezze. Inquest’ottica si nota come, a differenza del caso della precedente sezione 2.1, aumen-tare la frequenza del fotone che fa da probe non migliora affatto la precisione dellamisura di X. Come gia osservato nell’introduzione, fisicamente questo fenomenosi spiega osservando che un fotone di energia maggiore puo risolvere distanze piu

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18 I. Motivazioni

piccole, pero genera un campo gravitazionale piu forte, che disturba maggiormenteil target e introduce un’altra fonte di incertezza.

Il risultato (2.27) e comunemente accettato nell’ambito delle teorie di gravitaquantistica; e supportato da argomentazioni di varia natura, anche al di fuori difenomeni di scattering [1, 2, 3]. Quindi in questo caso si puo ragionevolmente sup-porre che il risultato ottenuto non dipenda in maniera essenziale dal procedimentodi misura impiegato. Benche non sempre all’analisi di δX vengano accompagnateconsiderazioni su δT , anche (2.28) trova conferma nella letteratura [1, 2, 3].

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2.3. Argomenti di Bohr e Rosenfeld 19

2.3 Argomenti di Bohr e Rosenfeld

Nella precedente sezione 2.2 ho studiato l’apparato concettuale del microscopio diHeisenberg, adoperando un fotone come probe e un elettrone come target e tenen-do conto della loro interazione gravitazionale, ed ho trovato una limitazione allalocalizzazione dell’evento di scattering del tipo [1, 2, 3]:

δX & LP (2.29)

δT & LP (2.30)

Come gia osservato all’inizio della sezione 2.2, vi sono vari motivi per credere che undifferente procedimento di misura non permetterebbe di migliorare sostanzialmentela stima di δX e δT . Tuttavia, nell’ambito del microscopio di Heisenberg varie scel-te di probe e target potrebbero portare a risultati notevolmente diversi. Rispettoa questo problema e interessante ripercorrere gli argomenti esposti in uno storicoarticolo di Bohr e Rosenfeld [15, 16]. Studiando il problema della misurazione del-l’intensita del campo elettromagnetico tramite una particella di prova nell’ambitodella meccanica quantistica, Bohr e Rosenfeld hanno concluso che a tale misura eassociata un’incertezza proporzionale a q/mi, dove q e mi sono rispettivamente lacarica elettrica e la massa (inerziale) della particella di prova. Questa incertezza sul-l’intensita del campo elettromagnetico non rientra nell’usuale apparato concettualedella meccanica quantistica. Infatti, come gia sottolineato, la meccanica quantisticaprevede limitazioni alla misurabilita di osservabili solo tramite le relazioni di indeter-minazione, che impediscono di misurare con precisione assoluta coppie di osservabilisimultaneamente, ma non le stesse osservabili prese singolarmente. Dall’analisi diBohr e Rosenfeld risulta che il limite alla misurabilita del campo elettromagneticoscompare soltanto se:

q

mi

→ 0 (2.31)

A rigore lo schema concettuale della meccanica quantistica, in cui le limitazioni sullamisurabilita sono stabilite solo dalle relazioni di indeterminazione, ha piena validitasoltanto nel limite (2.31), che corrisponde al limite in cui l’apparato di misura (chein questo caso coincide con la particella di prova) diventa classico. Questa osser-vazione sembra minare alla base la coerenza logica dell’elettrodinamica quantistica,poiche non esistono in natura particelle che soddisfino (2.31), visto che una parti-cella di prova che debba misurare l’intensita del campo elettromagnetico deve averenecessariamente carica elettrica non nulla e quindi, secondo (2.31), dovrebbe averemassa inerziale infinita. Tuttavia, come osservato da Bohr e Rosenfeld, questo pro-blema non sminuisce in nessun modo la validita della meccanica quantistica cometeoria che descriva la natura. Infatti, poiche si tratta di una teoria che non predicei propri costituenti fondamentali (si limita a descrivere correttamente il compor-

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20 I. Motivazioni

tamento di quelli esistenti), l’elettrodinamica quantistica in linea di principio nonvieta l’esistenza di particelle che soddisfino il limite (2.31)1.

Questo esempio chiarisce come per verificare la coerenza logica di una teoria chenon predica i propri costituenti sia importante considerare probes dalle caratteristi-che piu svariate e soprattutto non necessariamente esistenti in natura, mentre se unateoria predice i propri costituenti e sufficiente controllarne la coerenza logica su queicostituenti stessi. Attualmente fra le teorie che sembrano plausibili candidati peruna teoria della gravita quantistica ve ne sono alcune, come le teorie di stringa, chepredicono i propri costituenti fondamentali. Ma in generale non e chiaro se una buo-na teoria della gravita quantistica debba necessariamente predire i propri costituentio meno. In quest’ottica e necessario procedere lungo una linea piu generale possi-bile, e studiare ad esempio quali informazioni provengono da costituenti elementaripredetti da alcune teorie ma ancora non osservati sperimentalmente. Esempi ditali costituenti elementari, la cui esistenza viene predetta all’interno delle teorie distringa, sono le stringhe stesse e le D-particles. E interessante quindi studiare chelimitazioni alla misurabilita di eventi derivano dalle caratteristiche di questi nuovioggetti; i risultati potrebbero rivelarsi utili non solo per comprendere la strutturadelle teorie di stringa, ma anche per verificare la coerenza di teorie che non predi-cono i propri costituenti fondamentali. Nelle prossime sezioni, dopo aver passatoin rassegna alcuni argomenti che si basano su stringhe e D-particles per derivarelimitazioni alla misurabilita di eventi, svolgo l’analisi del microscopio di Heisenbergin cui il probe e il target sono D-particles, trovando una limitazione alla localizza-zione dell’evento di scattering in accordo con risultati precedenti ottenuti seguendoun procedimento diverso.

1E interessante notare come nel caso del campo gravitazionale il principio di equivalenza fissi aduno l’analogo della quantita q/mi, cioe mg/mi (dove mg e mi indicano rispettivamente la massagravitazionale e inerziale della particella di prova), che quindi non puo mai tendere a zero [24, 12, 2].Questo significa che il limite in cui lo strumento di misura diventa classico non e mai raggiungibile,ed e una forte indicazione del fatto che costruendo una teoria della gravita quantistica non si possasemplicemente cercare di fondere la meccanica quantistica e la relativita generale, procedendo sullafalsariga di una delle due teorie, ma ci si debba aspettare l’apparire di strutture completamentenuove [24, 12].

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2.4. Lunghezza minima in stringhe 21

2.4 Lunghezza minima in stringhe

In questa sezione passo brevemente in rassegna alcuni argomenti presenti in lette-ratura a proposito del ruolo di una lunghezza minima nelle teorie di stringa. Inentrambi gli esempi che considero, la lunghezza minima di cui si tratta viene in-dividuata nell’ambito delle dimensioni della regione di collisione di un processo discattering. Come gia osservato nell’introduzione, non necessariamente una lunghez-za minima determinata in questo modo si presta ad essere identificata con unalunghezza fondamentale della natura.

Il primo esempio e lo scattering di stringhe chiuse, studiato in una serie di famosiarticoli [17, 18, 19, 20]. Nel limite di alta energia le dimensioni della regione dicollisione e l’impulso delle stringhe sono legati da questa relazione:

δx & 1

δp+ L2

sδp (2.32)

dove Ls e la lunghezza di stringa. Ne segue:

min δx ∼ Ls (2.33)

La conclusione e quindi che la minima dimensione lineare della regione di collisionein uno scattering tra stringhe chiuse e dell’ordine della lunghezza di stringa Ls.Uno degli elementi fondamentali che portano a questo risultato e una caratteristicaspecifica delle stringhe: il fatto che per energie vicine a L−1

s le loro dimensioni linearicrescono al crescere dell’impulso. Poiche le stringhe sono oggetti estesi, la scala delleregioni di spazio che riescono a risolvere dipende non solo dalla loro energia, comeaccadrebbe per una particella puntiforme, ma anche dalla loro estensione. E oraimmediato capire come mai ne risulti un minimo alla localizzazione di regioni dispazio: per energie vicine a L−1

s , al crescere dell’impulso la migliore risoluzione saracompensata da un aumento delle dimensioni lineari della stringa.

Nella formulazione tradizionale delle teorie di stringa ci sono due tipi di compo-nenti fondamentali: le stringhe chiuse e le stringhe aperte. Si e pero recentementescoperto che gli estremi delle stringhe aperte sono fissati su dei difetti topologicichiamati D-brane, dove la D sta per Dirichlet, per indicare che corrispondono a con-dizioni al bordo di Dirichlet per le stringhe aperte. Le D-brane hanno dimensionivariabili da zero al numero di dimensioni dello spazio meno uno. Malgrado il lororuolo originario fosse soltanto quello di rappresentare le condizioni al bordo per lestringhe aperte, si e trovato che le D-brane sono esse stesse oggetti dinamici. Inparticolare, le D-brane di dimensione zero (D0 brane o D-particles) sono di tipo so-litonico, quindi racchiudono informazioni sugli aspetti nonperturbativi della teoria,e a grande distanza l’una dall’altra possono essere trattate come usuali particelle[40, 41, 42].

In [21, 22] viene considerato uno scattering di D-particles nella teoria IIA indieci dimensioni, e studiata la dimensione minima della regione di collisione. Con-siderando gs ¿ 1, cioe il caso perturbativo, e possibile stabilire una gerarchia di

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22 I. Motivazioni

scale:L

(10)P ∼ g

14s Ls ¿ Ls (2.34)

dove L(10)P e la lunghezza di Planck in dieci dimensioni.

Al fine di studiare lo scattering di D-particles nel limite di piccola costantedi accoppiamento e bassa velocita relativa, e sufficiente adottare una descrizionesemplificata delle D-particles che ne includa soltanto alcune proprieta essenziali.

La massa delle D-particles e:

m =1

gsLs

(2.35)

La gravitazione si compensa con una corrispondente interazione dovuta alla super-simmetria, lasciando un’interazione residua del tipo:

U ∼ −L6s

v4

(r (t))7 +O(

v6L10s

(r (t))11

)(2.36)

dove v e la velocita relativa delle due D-particles; ne segue che due D-particlescon velocita relativa nulla non interagiscono affatto. Questa approssimazione di Uomette contributi di ordine:

v6L10s

(r (t))11 (2.37)

quindi e valida se:v2L4

s

(r (t))4 . 1 (2.38)

cioe per distanze tali che:r (t) &

√vLs (2.39)

Studiando lo scattering di due D-particles nell’ambito di queste approssimazioni sitrova [21, 22] che la dimensione minima della regione di collisione e data da:

δx∗ ∼ g13s Ls (2.40)

Nelle prossime sezioni studio il ruolo di questo risultato nella determinazione deilimiti alla localizzazione di un evento spaziotemporale. A questo scopo nella sezione2.6 analizzo una versione del microscopio di Heisenberg in cui il probe e il targetsono D-particles. In preparazione a questa analisi, nella prossima sezione studio ilmicroscopio di Heisenberg adoperando particelle massive neutre come probe e target.

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2.5. Microscopio di Heisenberg con particelle massive neutre 23

2.5 Microscopio di Heisenberg con particelle mas-

sive neutre

In questa sezione applico lo schema concettuale del microscopio di Heisenberg alcaso in cui sia il probe che il target sono particelle massive neutre, con masse mp

e mt rispettivamente; per generalita scelgo mp 6= mt. Svolgo quest’analisi in pre-parazione a quella della prossima sezione 2.6, poiche le D-particles possono essereschematizzate come particelle massive legate da un particolare potenziale. In que-sto caso l’unico potenziale in gioco e quello gravitazionale, quindi confrontando leconclusioni ottenute in questa sezione con quelle della sezione 2.6 sara possibile in-dividuare qual e il ruolo del potenziale in questione nel determinare le limitazionialla misurabilita dell’evento di scattering.

Il ragionamento procede come nella sezione 2.2, con la differenza che in questocaso la velocita del probe non e piu fissa e pari a 1, e questo portera a conseguenzenotevoli. La coordinata X dell’evento di scattering viene ricavata a partire dallaposizione di arrivo del probe sulla lastra fotografica del microscopio, e la coordinataT viene ottenuta tramite questa relazione:

T ' ti +X

vp

(2.41)

dove vp e la velocita di partenza del probe. Le incertezze su X e T sono date da:

δX & δXc + δx0 + dmin + δxp + δxt (2.42)

δT & δti +δX

vp

+X

v2p

δvp (2.43)

dove δXc, δx0, dmin, δxp, δxt, δti sono stati definiti nella precedente sezione 2.2, apagina 14, e δvp e l’incertezza sulla velocita di partenza del probe.

Di nuovo punto ad ottenere δx∗ ∼ LP , quindi deve essere:

δx0 . δx∗ ∼ LP

dmin . δx∗ ∼ LP

(2.44)

Ne segue che le caratteristiche del probe sono:

δx0 . LP

vp < 1

δvp ∼ 1

mpδx0

(2.45)

Si nota che l’incertezza sulla velocita del probe e molto grande: δvp ∼ (mpδx0)−1 ∼

(mpLP )−1 = EP /mp, dove EP e l’energia di Planck. Poiche vp < 1 la richiesta diconsistenza vp & δvp puo essere soddisfatta solo se mp & EP .

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24 I. Motivazioni

L’incertezza classica δXc, dipendendo soltanto da caratteristiche strutturali delmicroscopio, e ancora (v. (2.13)):

δXc = La + b

b(2.46)

Per prima cosa determino δxp, cioe l’incertezza nella determinazione della posizio-ne del probe all’istante di collisione. Ricordando il ragionamento svolto a questoproposito nella sezione 2.2, se l’interazione gravitazionale con il target non disturbatroppo il moto del probe, cioe se:

pp & ∆pp (t) (2.47)

dove ∆pp (t) e la variazione dell’impulso del probe dovuta all’interazione gravitazio-nale, si puo stabilire che:

p′p ∼ pp (2.48)

dove p′p e l’impulso del probe dopo lo scattering, e concludere (v. la sezione 2.2):

δxp & 1

ppLa

(2.49)

Occorre quindi controllare se (2.47) rimane valida anche in questo caso. Prima ditutto occorre stimare ∆pp (t). Indicando con Ep l’energia totale del probe e con U (t)l’energia potenziale gravitazionale dovuta all’interazione con il target, si ha:

Ep = mp +p2

p

2mp

+ U (t) (2.50)

ne segue:

pp =√

2mp (Ep − U (t)−mp) (2.51)

quindi:∂pp

∂U= −mp

pp

(2.52)

da cui si ricava ∆pp:

∆pp ' −mp

pp

∆U ∼ mp

pp

Gmtmp

dmin

=Gmtmp

vpdmin

(2.53)

in cui l’approssimazione ∆U ∼ Gmtmp/dmin descrive correttamente l’ordine di gran-dezza della variazione dell’energia potenziale gravitazionale in un piccolo intervallotemporale precedente T .

Osservando che la distanza minima fra probe e target deve essere maggiore delraggio di Schwarzschild del target, cioe:

dmin & Gmt = L2P mt (2.54)

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2.5. Microscopio di Heisenberg con particelle massive neutre 25

ottengo:

∆pp ≈ Gmtmp

vpdmin

. mp

vp

(2.55)

Poiche vp < 1, non si trova (2.47) ma:

pp ∼ ∆pp (t) (2.56)

Nell’ottica di valutare soltanto gli ordini di grandezza questo implica comunque:

p′p ∼ pp (2.57)

In tal caso e possibile ripetere i passaggi svolti nella sezione 2.2, ottenendo:

δxp & 1

ppLa

(2.58)

Rimane comunque da notare che nel caso in cui il probe non sia un fotone ma unaparticella massiva neutra generica l’interazione gravitazionale con il target disturbamolto di piu il suo moto. Le relazioni precedenti indicano che questo disturbo diventasempre piu trascurabile al crescere di vp, com’e ragionevole aspettarsi.

Infine stimo δxt, che rappresenta l’incertezza nella determinazione della posizionedel target all’istante di collisione. Ragionando come nella sezione 2.2 si trova:

δxt ∼ ∆pp (t)

mt

∣∣∣∣dmin

dmin

vp

L

a' Gmp

vpdmin

dmin

vp

L

a=

Gpp

v3p

L

a(2.59)

In totale, l’incertezza sulla coordinata X dell’evento di collisione e:

δX & δXc + δx0 + dmin + δxp + δxt & δXc + δx0 + dmin +1

ppLa

+Gpp

v3p

L

a(2.60)

Poiche δXc, δx0 e dmin dipendono dalle condizioni sperimentali fissate, il minimo δXva cercato minimizzando il contributo di δxp e δxt:

min (δxp + δxt) =

√1

ppLa

Gpp

v3p

L

a=

LP

v32p

> LP (2.61)

Siccome vp < 1 non e possibile ottenere che δX sia dell’ordine del δx∗ ∼ LP

prefissato.

Mirando allora ad ottenere δx∗ ∼ LP v− 3

2p :

δx0 ∼ LP v− 3

2p

dmin ∼ LP v− 3

2p (2.62)

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26 I. Motivazioni

L’incertezza sulla velocita iniziale del probe diventa:

δvp ∼ 1

mpδx0

∼ EP

mp

v32p (2.63)

in questo caso e possibile ottenere vp > δvp anche se mp < EP .δXc, δxp e δxt rimangono inalterate, quindi si ha:

δX & LP v− 3

2p (2.64)

Per quanto riguarda δT :

δT & δti +δX

vp

+X

v2p

δvp ∼ δti +δX

vp

+ Xv− 1

2p & Xv

− 12

p (2.65)

Si vede che δT puo essere enorme, poiche X e dell’ordine almeno del centimetroe vp < 1. La precisione delle misure in X e in T aumenta al crescere di vp, macomunque δT resta piuttosto grande. Nel caso in cui il probe e un fotone, invece,il limite inferiore su δX e meno forte poiche vp = 1, e δT e dell’ordine di δXsoprattutto grazie a δvp = 0.

Si nota quindi che non c’e alcun miglioramento rispetto al caso in cui il probee un fotone. Ne segue che in generale, nell’ambito di particelle puntiformi cheinteragiscono elettromagneticamente o gravitazionalmente, il fotone e senza dubbioil miglior candidato per il ruolo di probe. Tuttavia questo non garantisce che ilfotone sia la scelta migliore anche quando l’interazione fra probe e target sia di tipodiverso.

I risultati (2.64) e (2.65) trovano poco riscontro nella letteratura, poiche rara-mente vengono impiegate particelle massive neutre per esaminare le limitazioni allalocalizzazione di eventi, a causa dell’assunzione (tacita, ma confermata da (2.64))che il fotone sia una scelta migliore. Un’importante eccezione e costituita daglistudi sull’esperimento (gedanken) di Salecker-Wigner [24, 43]. La limitazione allalocalizzazione di eventi ottenuta in [24] utilizzando particelle massive neutre nelloschema di Salecker-Wigner concorda qualitativamente con (2.64) e (2.65). Infatti,sebbene l’espressione esplicita di δX e δT sia leggermente diversa, viene confermatala conclusione che particelle neutre che interagiscano solo gravitazionalmente nonsono probes migliori del fotone.

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2.6. Microscopio di Heisenberg con D-particles 27

2.6 Microscopio di Heisenberg con D-particles

In questa sezione applico l’analisi del microscopio di Heisenberg al caso in cui il probee il target sono D-particles, per stabilire se nell’ambito di quest’apparato concettualee possibile confermare le conclusioni ottenute in [21, 22, 23], illustrate nella sezione2.4.

Considero il regime perturbativo:

gs ¿ 1 (2.66)

in cui vale:L

(10)P ∼ g

14s Ls ¿ Ls (2.67)

Come gia osservato nella sezione 2.4, e possibile adottare una schematizzazionesemplificata delle D-particles, in cui la loro massa e data da:

m =1

gsLs

(2.68)

quindi in questo caso mp = mt = m. Inoltre, finche la distanza r (t) fra le dueD-particles e maggiore di un dmin cosı definito:

r (t) > dmin ' √vpLs (2.69)

e possibile schematizzare il potenziale fra due D-particles che si muovono con velocitarelativa vp nel modo seguente:

U ∼ −L6s

v4p

(r (t))7 (2.70)

Come nelle sezioni precedenti, la coordinata X dell’evento di scattering viene ri-costruita a partire dalla posizione di arrivo del probe sulla lastra fotografica delmicroscopio, e la coordinata T viene ricavata da:

T ' ti +X

vp

(2.71)

Per quanto riguarda le incertezze sulla misura di X e T si ha:

δX & δXc + δx0 + dmin + δxp + δxt (2.72)

δT & δti +δX

vp

+X

v2p

δvp (2.73)

dove i vari simboli sono stati definiti a pagina 14 e 23.La conclusione di [21, 22, 23] e che le D-particles permettono di ottenere una

localizzazione spaziale dell’ordine di g13s Ls ¿ L

(10)P . Per verificare questo risultato

miro ad ottenere:δx∗ ∼ g

13s Ls (2.74)

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28 I. Motivazioni

Deve comunque essere:δx∗ & dmin ' √

vpLs (2.75)

perche la descrizione del potenziale fra D-particles qui adottata richiede [21, 22] lacondizione (2.69).

Il probe ha le caratteristiche:

δx0 ' δx∗ ∼ g13s Ls

δvp ' 1

mδx0

∼ g23s (2.76)

Dalla richiesta vp & δvp e dalla condizione (2.75) segue una condizione per vp:

vp ∼ g23s (2.77)

Avendo cosı determinato δx0, dmin e ricordando che vale sempre:

δXc = La + b

b(2.78)

si puo passare ad stimare δxp e δxt, che rappresentano rispettivamente le incertezzesulla posizione del probe e del target all’istante di collisione.

Per poter determinare δxp la prima cosa da verificare e se in questo caso vale lacondizione:

pp & ∆pp (t) (2.79)

Per determinare ∆pp procedo come nella precedente sezione 2.5. Indicando con Ul’energia potenziale gravitazionale e con Ep l’energia totale del probe, si ha:

Ep = m +p2

p

2m+ U (2.80)

e ∆pp puo essere valutato cosı:

∆pp = −m

pp

∆U ≈ L6s

v3p

d7min

(2.81)

Utilizzando le condizioni (2.69) e (2.77) su dmin e vp si puo notare che:

L6s

v3p

d7min

∼ 1

g13s Ls

(2.82)

d’altronde:

pp = mvp ∼ 1

g13s Ls

(2.83)

Quindi, come gia succedeva nel caso delle particelle massive neutre, non si trova(2.79) ma pp ∼ ∆pp, poiche l’interazione gravitazionale con il target modifica la

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2.6. Microscopio di Heisenberg con D-particles 29

traiettoria del probe in modo rilevante. In ogni caso, con un ragionamento analogoa quello esposto nella sezione 2.5, si puo concludere anche stavolta:

δxp & 1

ppLa

(2.84)

Per determinare δxt procedo come nei casi precedenti, poiche il ragionamento nonsi basa in modo essenziale sul tipo specifico di probe e target considerati. Ottengocosı:

δxt ∼ ∆pp (t)

m

∣∣∣∣dmin

dmin

vp

L

a' L6

s

pp

v4p

d7min

dmin

vp

L

a=

L6sv

2p

md6min

L

a' 1

mvp

L

a(2.85)

In conclusione, la precisione sulla misura della coordinata X e:

δX & δXc + δx0 + dmin + δxp + δxt & δXc + δx0 + dmin +1

mvpLa

+1

mvp

L

a(2.86)

Per valutare il limite inferiore di δX stimo il minimo contributo delle due ultimefonti di incertezza, le sole che non dipendano dalla struttura del microscopio ne dacaratteristiche cinematiche delle particelle considerate:

min (δxp + δxt) =

√1

mvpLa

1

mvp

L

a=

1

mvp

∼ g13s Ls (2.87)

quindi:

δX & g13s Ls (2.88)

E possibile soddisfare la richiesta iniziale δx∗ ∼ g13s Ls. Tuttavia osservando che

forma hanno δxp e δxt e facile capire che non sarebbe possibile raggiungere un δx∗

piu basso.Per quanto riguarda l’incertezza sulla misura della coordinata T, ricordando:

δT & δti +δX

vp

+Xδvp

v2p

(2.89)

e osservando:

δti ∼ 1

δEp

∼ 1

mvpδvp

∼ g− 1

3s Ls

δX

vp

∼ g− 1

3s Ls

(2.90)

si puo stabilire sicuramente:

δT & g− 1

3s Ls (2.91)

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30 I. Motivazioni

Il risultato (2.88) coincide esattamente con quello stabilito in [21, 22, 23] e anchecon quello ottenuto nell’ambito dell’esperimento di Salecker-Wigner [24]. Sembraquindi un risultato su cui si possa fare affidamento. Viene cosı confermata l’ipotesiche tramite D-particles sia possibile ottenere una localizzazione spaziale su scaleminori della lunghezza di Planck in dieci dimensioni, poiche:

min δX ∼ g13s Ls ¿ g

14s Ls ∼ L

(10)P (2.92)

dato che gs ¿ 1. Tuttavia (2.92) e in forte contrasto con l’opinione diffusa nellaletteratura di gravita quantistica, in cui si assume:

min δX ∼ LP (2.93)

e generalmente non si controlla la forma di δT . Ma negli esempi delle sezioni 2.2,2.5 e 2.6 l’analisi e stata svolta considerando la localizzazione di un evento nellospaziotempo. Per semplicita ho tenuto conto di una sola coordinata spaziale, maquesto non toglie nulla alla sostanza dell’argomento, che suggerisce di non trattareseparatamente la misurabilita di intervalli spaziali e temporali. A questo puntoappare arbitrario definire la localizzazione soltanto sulla base della misurabilita dellacoordinata spaziale, come in (2.93). Introducendo invece una condizione del tipo:

δXδT & L2 (2.94)

l’apparente contraddizione fra (2.93) e (2.88) scompare. Infatti una condizione diquesto genere viene soddisfatta in tutti i casi da me considerati; nel caso del fotoneL = LP , per particelle massive neutre si trova invece L À LP , L potrebbe addiritturaessere macroscopico. Da scattering di stringhe chiuse, come brevemente menzionatonella sezione 2.4, risulta L = Ls À L

(10)P .

Nel caso delle D-particles vale sicuramente min L = Ls À LP , come risultada (2.88) e (2.91). Tuttavia prima di stabilire qualcosa di piu preciso e necessarioprendere in considerazione il terzo contributo a δT in (2.89):

Xδvp

v2p

∼ g− 2

3s X (2.95)

Dalla richiesta di consistenza:X & δX (2.96)

deriva:Xδvp

v2p

∼ g− 2

3s X & g

− 13

s Ls ∼ δti ∼ δX

vp

(2.97)

Quindi questo contributo e sempre dominante rispetto agli altri, e fa sı che δTdiventi enorme. Si nota quindi come la notevole precisione nella localizzazione del-la coordinata spaziale di un evento di scattering consentita dalle D-particles siacontrobilanciata da una precisione scarsissima nella localizzazione della coordinata

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2.6. Microscopio di Heisenberg con D-particles 31

temporale. Quindi le D-particles rappresentano un utile strumento qualora interes-sasse determinare X isolatamente, e con la maggior precisione possibile. Ma non sipuo dire altrettanto dal punto di vista qui adottato della localizzazione di un evento(un punto nello spaziotempo). Infatti tenendo conto di tutti i contributi a δT sinota come il limite (2.94) con L = Ls non venga affatto saturato, al contrario diquanto accade con le stringhe chiuse (v. la sezione 2.4).

E interessante osservare che i risultati ottenuti nella sezione 2.5 per le particellemassive neutre sono in parte simili a questi. Infatti anche in quel caso la localizza-zione della coordinata temporale dell’evento portava un’incertezza dell’ordine dellacoordinata spaziale (v. la sezione 2.5). Questa e una conseguenza del fatto che lamassa del probe e non nulla, infatti veniva evitata solo nel caso del fotone (v. lasezione 2.2). I risultati ottenuti in questa sezione presentano pero anche una note-vole differenza rispetto al caso della sezione 2.5: mentre in quel caso nemmeno lalocalizzazione spaziale era troppo buona, il limite inferiore a δX ricavato in questasezione e eccezionalmente basso. Confrontando gli elementi che entrano in gioco neldeterminare δX in questa sezione e nella sezione 2.5 non si puo che concludere chela maggiore localizzazione in X ottenuta in questo caso sia dovuta al particolarepotenziale che lega le D-particles.

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32 I. Motivazioni

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Capitolo 3

Noncommutativita nonfondamentale

3.1 Oscillatore in un campo magnetico

Le analisi svolte nelle sezioni precedenti, nell’ambito dello schema concettuale delmicroscopio di Heisenberg, portano a limitazioni sulla misurabilita di un eventospaziotemporale che, combinate come in (2.94), sembrano suggerire una relazionedi indeterminazione per le coordinate spaziali e temporali e portare ad una qualcheforma di noncommutativita fondamentale nella struttura dello spaziotempo. Tut-tavia in alcuni casi la noncommutativita ha anche un ruolo in descrizioni effettivedi alcune proprieta del sistema fisico. Questo si verifica ad esempio nel caso di unaparticella a massa nulla confinata su un piano immerso in un campo magnetico co-stante. Come ora illustrero, e possibile adottare una descrizione equivalente in cuile coordinare del piano non commutano e in assenza di campo magnetico [25].

Adoperando la forma del potenziale vettore:

Ai = xjεji B

2(3.1)

e trascurando il termine cinetico, nel caso di un potenziale scalare armonico lalagrangiana del sistema puo essere scritta come:

L =B

2xiεij dxj

dt− k

2x2 (3.2)

Ricavando i momenti canonici:

pi = −B

2εijxj (3.3)

si nota che sono vincolati alle coordinate trasverse, non sono quindi dinamici. (3.3)equivale a due vincoli di seconda classe, percio non e possibile adoperare le parentesi

33

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34 I. Motivazioni

di Poisson:

xi, pj =δij

xi, xj =0

pi, pj =0

(3.4)

ma per consistenza occorre fare ricorso alle parentesi di Dirac:

∣∣xi, xj

∣∣ =xi, xj − xi, pk +B

2εklxlεmk

Bpm +

B

2εmnxn, xj = −εij

B

∣∣xi, pj

∣∣ =δij

2

∣∣pi, pj

∣∣ =− B

4εij

(3.5)

dove si e sfruttato il fatto che B e costante. L’hamiltoniana che deriva dallalagrangiana (3.2) e:

H =k

2x2 (3.6)

e le corrispondenti equazioni del moto sono:

dxi

dt=

∣∣xi,H∣∣ = − k

Bεijxj (3.7)

Si nota quindi come le due direzioni x e y non commutano, poiche:

|x, y| = − 1

B(3.8)

anzi si trova che le direzioni perpendicolari formano una coppia di operatori coniu-gati.

In questo caso la noncommutativita fra le coordinate non ha un ruolo fondamen-tale: rappresenta soltanto una possibile descrizione del campo magnetico esterno.Nella prossima sezione 3.2 illustro questo stesso meccanismo in un contesto in cuipermette di ottenere molte informazioni sulla natura del sistema fisico descritto.

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3.2. Stringhe in campo esterno 35

3.2 Stringhe in campo esterno

Le teorie di stringhe immerse in un campo esterno sono strettamente collegate alleteorie di campo su uno spaziotempo noncommutativo con struttura canonica, in cuiil commutatore delle coordinate operatoriali x e:

[xµ, xν ] = iθµν (3.9)

dove θµν e una matrice reale, antisimmetrica e costante nelle coordinate. Questolegame puo essere visto come un esempio del fenomeno descritto in un caso semplicenella precedente sezione 3.1: la presenza di un campo esterno apparentemente riducela simmetria del problema e puo essere schematizzata tramite una noncommutativitadelle coordinate (di origine non fondamentale). In questo caso pero l’utilita di unasimile schematizzazione va al di la di una semplice riformulazione del problema,permettendo di ricavare informazioni non banali sulla struttura delle due classi diteorie messe in corrispondenza.

Si trova che teorie di stringa immerse in un campo magnetico esterno per energieinferiori a L−1

s possono essere descritte come teorie di campo noncommutative dellestringhe aperte prive di massa, poiche sia le stringhe aperte massive che le stringhechiuse si disaccoppiano. Queste teorie di campo sono noncommutative soltantorispetto alle coordinate spaziali, cioe hanno θ0i = 0. Come spieghero nella secondaparte della tesi, questa condizione ha l’immediata conseguenza che la teoria sianonlocale nello spazio ma locale nel tempo. Questa osservazione fa supporre che sipossa costruire una hamiltoniana che da origine ad un’evoluzione temporale unitaria;in effetti si trova che e proprio cosı, ed e possibile convincersene pensando anche chela teoria noncommutativa e stata ottenuta troncando in modo consistente la teoriadi stringhe completa, unitaria.

Per analogia si potrebbe pensare che le teorie di stringa immerse in un campoelettrico esterno per energie inferiori a L−1

s possano essere descritte da teorie dicampo noncommutative con noncommutativita anche temporale, cioe con θ0i 6= 0.Tuttavia si trova che questa semplice estensione del meccanismo descritto poco sopranon e valida. Infatti le teorie con noncommutativita spaziotemporale hanno un in-finito numero di derivate temporali dei campi nella lagrangiana e sono nonlocali neltempo, percio non sono unitarie e nemmeno causali. Al contrario le teorie di stringaimmerse in un campo elettrico esterno sono ben definite, quindi evidentemente none possibile troncare in modo consistente la teoria di stringa (unitaria) per ottenereuna teoria che puo essere descritta come una teoria di campo noncommutativa (no-nunitaria). Questa difficolta si riflette nel fatto che a differenza del caso del campomagnetico esterno non e possibile trovare un limite in cui oltre alle stringhe chiusesi disaccoppino anche le stringhe aperte massive, ed inoltre c’e un valore critico delcampo elettrico oltre il quale la teoria non ha piu senso. E proprio la presenza diquesto valore critico ad impedire di trovare un limite in cui la teoria di stringhediventa una teoria di campo su spaziotempo noncommutativo [27, 29, 28, 31, 30].

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36 I. Motivazioni

Esiste tuttavia un caso particolare in cui e possibile considerare una noncommu-tativita che coinvolga anche la coordinata temporale senza perdere unitarieta. Sitratta delle teorie con noncommutativita “di tipo luce”, in cui θ0i = −θ1i. Si ritrovaallora il fatto che la teoria di campo noncommutativa descrive la teoria di stringa incampo esterno per energie inferiori a L−1

s [44, 45].Nella seconda parte della tesi prendero in considerazione il tipo di spaziotempo

noncommutativo considerato in questa sezione, cioe quello a struttura canonica, incui il commutatore delle coordinate e dato da (3.9). Esaminero le caratteristiche delleteorie di gauge su un tale spaziotempo noncommutativo, osservando le differenzerispetto al caso commutativo, ed esplorando le conseguenze sulla propagazione diparticelle.

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Parte II

Teorie di gauge su spaziotempononcommutativo con struttura

canonica

37

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Capitolo 4

Aspetti generali delle teorie

E come un bufalo d’acqua che passi attraverso una finestra.La sua testa, le corna, le quattro zampe passano tutte.Perche non riesce a passare anche la coda?

Koan Zen

In questa seconda parte della tesi esploro alcune caratteristiche delle teorie digauge su spaziotempo noncommutativo con struttura canonica. In questo tipo dispaziotempo noncommutativo la regola di commutazione degli operatori x e:

[xµ, xν ] = iθµν (4.1)

dove θµν e una matrice reale, antisimmetrica e con dimensioni [L]2. Come anticipatonell’introduzione, poiche θµν e costante nelle coordinate e possibile introdurre unostar prodotto e riformulare la teoria in termini di un’algebra di funzioni commutativacon il prodotto dato dallo star prodotto, che adesso passo a costruire.

4.1 Star prodotto e sue proprieta

Anche in meccanica quantistica l’algebra delle funzioni degli operatori q e p, coor-dinate noncommutanti dello spazio delle fasi, puo essere sostituita da un’algebracommutativa dotata di uno specifico star prodotto. Lo spaziotempo noncommutati-vo ha una stretta analogia con lo spazio delle fasi noncommutativo della meccanicaquantistica; quindi per ottenere la forma esplicita dello star prodotto relativo allospaziotempo noncommutativo definito da (4.1) e sufficiente ricalcare il procedimentoseguito in meccanica quantistica [10, 7].

In meccanica quantistica una mappa W tra funzioni classiche nelle variabili q, pdello spazio delle fasi e funzioni degli operatori q, p e specificata dalla quantizzazione

39

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40 II. Teorie di gauge

di Weyl:

W : A (q, p) 7→ W (A (q, p)) =1

(2π)4

∫d4αd4β exp i (αq + βp) A (α, β) (4.2)

dove A (α, β) e la trasformata di Fourier di A (q, p). Questa prescrizione rappresentail modo piu simmetrico di sostituire gli operatori q, p alle variabili q, p. Considerandoil prodotto W (A) W (B):

W (A) W (B) =1

(2π)8

∫d4α1d

4α2d4β1d

4β2A (α1, β1) B (α2, β2) ·

· exp i (α1q + β1p) exp i (α2q + β2p)

(4.3)

Il prodotto dei due esponenziali di q e p puo essere scritto in forma piu semplicegrazie all’identita:

eAeB = eA+Be12[A,B] (4.4)

(4.4) non e che la formula di Baker-Campbell-Hausdorff in cui si sia posto [A, [A,B]] =0 = [B, [A,B]], condizione ovviamente valida in questo caso in cui [q, p] = i. Ilprodotto dei due esponenziali di q, p e proporzionale ad un esponenziale di unacombinazione lineare di q, p:

exp i (α1q + β1p) exp i (α2q + β2p) =

= exp i ((α1 + α2) q + (β1 + β2) p) exp

(− i

2(α1β2 − α2β1)

) (4.5)

Si puo riscrivere W (A) W (B) in questo modo:

W (A) W (B) =1

(2π)8

∫d4α1d

4α2d4β1d

4β2A (α1, β1) B (α2, β2) ·

· exp i ((α1 + α2) q + (β1 + β2) p) exp

(− i

2(α1β2 − α2β1)

)=

=1

(2π)8

∫d4αd4α2d

4βd4β2A (α− α2, β − β2) B (α2, β2) ·

· exp i (αq + βp) exp

(− i

2(αβ2 − α2β)

)

(4.6)

In totale si trova che l’immagine W−1 del prodotto di due operatori W (A) W (B) euna funzione classica:

W−1 (W (A) W (B)) = A ∗B (4.7)

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4.1. Star prodotto e sue proprieta 41

tale che:

˜(A ∗B) (α, β) =1

(2π)4

∫d4α2d

4β2A (α− α2, β − β2) B (α2, β2) ·

· exp

(− i

2(αβ2 − α2β)

) (4.8)

A ∗B e detto prodotto di Moyal, e nel caso della meccanica quantistica e dato da:

A ∗B = A (q, p) exp

(i

24

)B (q, p) (4.9)

dove 4 e l’operatore bidifferenziale che definisce le parentesi di Poisson:

A4B = A,BP = A (q, p)

(←−∂

∂q

−→∂

∂p−←−∂

∂p

−→∂

∂q

)B (q, p) (4.10)

Il prodotto di Moyal e associativo e noncommutativo (a meno che W (A) e W (B)commutino).

In questo modo e possibile studiare la meccanica quantistica considerando unospazio delle fasi classico le cui variabili commutano ma in cui il prodotto ordinariodelle funzioni e sostituito dal prodotto di Moyal. Questo schema e chiamato for-malismo di Moyal o anche deformation quantization, poiche permette di ottenerele informazioni essenziali sul sistema quantistico tramite una formale deformazionedell’algebra commutativa delle variabili classiche.

E possibile procedere esattamente allo stesso modo in geometria noncommutati-va:

W : f (x) 7→ W (f) (x) =1

(2π)4

∫d4keikµxµ

f (k) (4.11)

dove f (k) e la trasformata di Fourier di f (x). In tutto quello che segue nonsi considerano piu operatori nello spazio delle fasi, dunque kµ e un semplice pa-rametro di Fourier, non un operatore. Le x nell’esponenziale sono le coordinatenoncommutative. Ora:

W (f) W (g) =1

(2π)8

∫d4kd4leikµxµ

eilν xν

f (k) g (l) (4.12)

Anche in questo caso e lecito applicare (4.4), poiche [xµ, xν ] = iθµν e costante nellecoordinate. Si ottiene cosı:

eikµxµ

eilν xν

= ei(kµ+lµ)xµ− i2kµlνθµν

(4.13)

Ne segue la forma della funzione f ∗ g tale che W (f) W (g) = W (f ∗ g):

f (x) ∗ g (x) = exp

(i

2θµν∂y

µ∂zν

)f (y) g (z)

∣∣∣∣y=z=x

(4.14)

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42 II. Teorie di gauge

(4.14) e lo star prodotto di Moyal - Weyl; e associativo e noncommutativo, e perθµν = 0 si riduce all’usuale prodotto puntuale di funzioni. In questo modo l’algebradi funzioni su Rd noncommutativo puo essere vista come un’algebra di funzioniordinarie su Rd usuale con il prodotto puntuale deformato da questo star prodotto.I commutatori vengono sostituiti da commutatori di Moyal:

[f, g]∗ = f ∗ g − g ∗ f (4.15)

Si puo verificare che (4.14) fornisce la giusta regola di commutazione per lecoordinate; calcolando il commutatore di Moyal di xµ e xν si trova:

[xµ, xν ]∗ = xµ ∗ xν − xν ∗ xµ = [xµ, xν ] + iθµν = iθµν (4.16)

dove xµ e xν ora sono le usuali coordinate, non operatori, percio il loro commutatore[xµ, xν ] = xµxν − xνxµ e nullo.

A partire dalla definizione (4.14) e facile dimostrare alcune proprieta dello starprodotto, che riporto qui perche saranno utili in seguito.

1. Coniugazione complessa di uno star prodotto:

(f (x) ∗ g (x)) = g (x) ∗ f (x) (4.17)

2. Il commutatore di Moyal fra le coordinate ed una funzione equivale ad unaderivata della funzione:

[xµ, f (x)]∗ = iθµν∂νf (x) (4.18)

questo e un esempio di come con l’introduzione dello star prodotto venganodescritte correttamente le caratteristiche della teoria originaria su spaziotempononcommutativo; infatti in termini di coordinate noncommutanti vale:

[xµ, f (x)] = iθµν∂νf (x) (4.19)

dove ∂ν si comporta come un’usuale derivata rispetto alle x. (4.19) si veri-fica facilmente nei casi in cui f (x) puo essere espressa come somma, magariinfinita, di monomi del tipo xm.

3. Star prodotto di esponenziali:

eikx ∗ eilx = ei(k+l)xe−i2k×l (4.20)

dove si e introdotta la notazione:

k×l = θµνkµlν (4.21)

(in particolare k×k = 0 per l’antisimmetria di θµν). In generale:

eik1x ∗ · · · ∗ eiknx = eix

nPi=1

ki

e− i

2

P1≤i<j≤n

ki×kj

(4.22)

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4.1. Star prodotto e sue proprieta 43

4. Operatore di traslazione. Esprimendo una funzione tramite la sua trasformatadi Fourier e adoperando (4.22) si puo verificare che in geometria noncommu-tativa eikx e un operatore di traslazione:

eikx ∗ f (xµ) ∗ e−ikx = f (xµ + θµνkν) (4.23)

questo si ritrova anche nella forma infinitesima con (4.18):

(1 + ikµxµ) ∗ f (x) ∗ (1− ikµx

µ) ' f (x) + kνθρν∂ρf (x) (4.24)

Relazioni analoghe valgono in termini di coordinate noncommutanti. E danotare la differenza con la meccanica quantistica ordinaria, dove eipx e unoperatore di traslazione a causa dell’azione dell’operatore p dello spazio dellefasi; in questo caso k e un semplice parametro, la traslazione viene dall’azionedell’operatore x, o dalla noncommutativita dello star prodotto, a seconda delpunto di vista adottato.

Rappresentando le funzioni tramite le loro trasformate di Fourier e utilizzandoripetutamente (4.22) e possibile verificare alcune proprieta dello star prodotto difunzioni sotto integrale:

5. Integrale dello star prodotto di due funzioni:∫

f (x) ∗ g (x) d4x =

∫f (x) g (x) d4x (4.25)

6. Ciclicita sotto integrale:∫

f1 (x) ∗ · · · ∗ fn (x) d4x =

∫fn (x) ∗ f1 (x) ∗ · · · ∗ fn−1 (x) d4x (4.26)

7. Integrale dello star prodotto di piu funzioni:∫

f1 (x) ∗ · · · ∗ fn (x) d4x =

=

∫d4k1 · · · d4knd

4x

(2π)4n f (k1) · · · f (kn) e−ix

nPi=1

ki

e− i

2

P1≤i<j≤n

ki×kj

=

=

∫d4k1 · · · d4kn

(2π)4(n−1)f (k1) · · · f (kn) δ(4)

(n∑

i=1

ki

)e− i

2

P1≤i<j≤n

ki×kj

=

=

∫d4k1 · · · d4kn−1

(2π)4(n−1)f (k1) · · · f (kn−1) f

(−

n−1∑i=1

ki

)e− i

2

P1≤i<j≤n−1

ki×kj

(4.27)

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44 II. Teorie di gauge

4.2 Invarianza di gauge

In questa sezione discuto la costruzione di teorie invarianti di gauge su uno spazio-tempo noncommutativo con struttura canonica, nel caso piu semplice in cui il gruppodi gauge e U (1) [10, 46]. Il mio obiettivo non e tanto quello di raggiungere un livellodi perfetto rigore matematico, quanto di dare un’idea dello strano comportamentodelle teorie di gauge su spaziotempo noncommutativo e delle notevoli differenze chesi hanno rispetto al caso commutativo. La formulazione di una teoria di gauge suuno spaziotempo noncommutativo incontra immediatamente un ostacolo che nonsi presenta nel caso commutativo: in geometria noncommutativa la moltiplicazionedi un campo covariante per una coordinata non e un’operazione covariante, poichele coordinate (operatoriali) x non commutano con la trasformazione di gauge. Intermini di star prodotto, il problema deriva dalla noncommutativita di quest’ultimo.Una possibile soluzione e rendere le coordinate x covarianti aggiungendovi un poten-ziale di gauge, esattamente come l’aggiunta del potenziale di gauge rende covariantela derivata parziale nel caso commutativo. In effetti si ritrova qui un’altra tracciadell’analogia fra spaziotempo noncommutativo e spazio delle fasi noncommutativodella meccanica quantistica: l’idea di coordinata covariante e l’analogo del momentocovariante che si definisce usualmente.

Si considera un campo generico ψ (x) e le sue trasformazioni di gauge, para-metrizzate dai campi α (x). Sia ψ (x) che α (x) appartengono all’algebra noncom-mutativa Ax delle funzioni definite sullo spaziotempo noncommutativo considerato;ovviamente vi appartiene anche δαψ, forma infinitesima della trasformazione di gau-ge di ψ. Si richiede che sia valida la condizione (molto naturale) che l’algebra delgruppo di gauge si chiuda sui campi, cioe che i campi si trasformino secondo unarappresentazione lineare del gruppo di gauge:

(δαδβ − δβδα

)ψ = iδ[α,β]ψ (4.28)

da (4.28) segue che δαψ puo assumere solo una di queste tre forme:

δαψ = iαψ (4.29)

δαψ = −iψα (4.30)

δαψ = i[α, ψ

](4.31)

in forma finita le tre trasformazioni sono:

ψ′ = Uψ, U = exp iα (4.32)

ψ′ = ψU , U = exp (−iα) (4.33)

ψ′ = UψU (4.34)

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4.2. Invarianza di gauge 45

Come sara piu chiaro passando al formalismo dello star prodotto, (4.30) e la comples-sa coniugata di (4.29) e (4.33) la complessa coniugata di (4.32). Quindi identificando(4.32) con la rappresentazione fondamentale si vede che (4.33) corrisponde alla rap-presentazione coniugata, e (4.34) alla rappresentazione aggiunta poiche deriva dalprodotto diretto delle prime due. Sono tutte rappresentazioni non banali malgradoil gruppo di gauge sia U (1); in particolare (4.34) descrive come si trasformano icampi neutri (cioe quelli che sono neutri nel limite θµν → 0), poiche se θµν = 0 ilsecondo membro di (4.31) si annulla e la corrispondente rappresentazione ridiventabanale.

Una richiesta essenziale e che le coordinate siano invarianti per trasformazioni digauge. Allora la moltiplicazione di una coordinata per un campo non e un’operazionecovariante: infatti per coordinate operatoriali che soddisfano (4.1) vale [x, α (x)] 6= 0,e quindi

δα

(xµψ (x)

)= ixµαψ (x) 6= iαxµψ (x) (4.35)

δα

(ψ (x) xµ

)= −iψ (x) αxµ 6= −iψ (x) xµα (4.36)

considerando la moltiplicazione a destra o a sinistra, che corrisponde rispettivamen-te a (4.32) e (4.33), cioe a (4.29) e (4.30); poi (4.31) si ottiene come combinazionelineare delle prime due. Come gia anticipato, e possibile risolvere questo problemaintroducendo delle coordinate covarianti, utili per capire il meccanismo dell’invarian-za di gauge ma cui spesso nei calcoli pratici vengono preferite le coordinate ordinarie.Con l’introduzione delle coordinate covarianti Xµ (4.35) e (4.36) diventano:

δα

(Xµψ (x)

)= iαXµψ (x) (4.37)

δα

(ψ (x) Xµ

)= −iψ (x) Xµα (4.38)

in entrambi i casi si ottiene:

δα

(Xµ

)= i

[α, Xµ

](4.39)

Quindi le coordinate covarianti si trasformano secondo la rappresentazione aggiunta.Introducendo un campo Aµ (x) ∈ Ax si possono scrivere le derivate covarianti delletre rappresentazioni:

Dµψ = ∂µψ − iAµψ (4.40)

Dµψ = ∂µψ + iψAµ (4.41)

Dµψ = ∂µψ − i[Aµ, ψ

](4.42)

Aµ non e altro che il potenziale di gauge. Richiedendo che volta per volta Dµψ sitrasformi come ψ e usando (4.29), (4.30), (4.31), e (4.19) si trova:

δαAµ = ∂µα− i[Aµ, α

](4.43)

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46 II. Teorie di gauge

Usando (4.39), (4.43), (4.19) e ricordando che e stato imposto δαx = 0 e facileverificare che Xµ e Aµ sono legati dalla relazione:

Xµ = xµ + θµνAν (x) (4.44)

A questo punto si puo introdurre un tensore F µν :

F µν = ∂µAν − ∂νAµ − i[Aµ, Aν

](4.45)

da (4.43), usando l’identita di Jacobi e osservando che [α, [xµ, xν ]] = 0 segue:

δαF µν = i[α, F µν

](4.46)

Quindi F µν e un tensore controvariante, ed e un candidato valido per la curvatura.Per verificare che ruolo ha F µν si puo procedere nel modo seguente. Si consideranocampi ψ che si trasformano con la rappresentazione aggiunta, e il caso semplice incui θ23 = b = −θ32 e θµν = 0 per ogni altra coppia di indici; vale:

[X2, X3

]= ib + ib2F 23 (4.47)

a causa di (4.19), (4.44) e (4.45). Usando (4.19), (4.42) e (4.44) si ha inoltre:

D2ψ = ∂2ψ + i[ψ, A2

]=

1

ib

[ψ, X3

](4.48)

D3ψ =1

−ib

[ψ, X2

](4.49)

ne segue: [D2, D3

]ψ = −i

(F 23ψ − ψF 32

)(4.50)

Nel caso commutativo non abeliano si costruisce la curvatura esattamente in questomodo, calcolando il commutatore di derivate covarianti; quindi anche in questo casosi puo identificare F µν con la curvatura. E notevole come oltre a questa formulamolti aspetti ricordino il caso commutativo non abeliano. Infatti, sebbene il gruppodi gauge sia U (1), la rappresentazione aggiunta non e banale, e la quantizzazionedelle teorie di gauge richiede l’introduzione di campi ghost, come descrivero nellasezione 5.2.

Come visto nella sezione 4.1, con l’introduzione dello star prodotto un campoψ (x) e rappresentato da una funzione classica ψ (x), e i commutatori sono com-mutatori di Moyal; tutte le formule si traducono di conseguenza. Ad esempio, ri-scalando i potenziali e i parametri di gauge in modo da introdurre una costante diaccoppiamento (4.29), (4.30) e (4.31) diventano:

δαψ = igα ∗ ψ (4.51)

δαψ = −igψ ∗ α (4.52)

δαψ = ig [α, ψ]∗ (4.53)

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4.2. Invarianza di gauge 47

e (4.40), (4.41) e (4.42) si riscrivono come:

Dµψ = ∂µψ − igAµ ∗ ψ (4.54)

Dµψ = ∂µψ + igψ ∗ Aµ (4.55)

Dµψ = ∂µψ − ig [Aµ, ψ]∗ (4.56)

adoperando (4.17) si puo verificare che (4.30) e proprio la complessa coniugata di(4.29) e (4.55) la complessa coniugata di (4.54).

Con queste derivate covarianti e possibile definire l’azione per varie particelle:

• Fotone:

S =− 1

4

∫d4xFµν ∗ F µν

F µν =∂µAν − ∂νAµ − i [Aµ, Aν ]∗

δαF µν =i [α, F µν ]∗

(4.57)

• Fermioni di Dirac:

S =

∫d4xiψ ∗ (γµDµ −m) ψ

Dµψ =∂µψ − igAµ ∗ ψ

δαAµ =∂µα− ig [Aµ, α]∗

δαψ =igα ∗ ψ

δαψ =− igψ ∗ α

(4.58)

• Fermioni di Majorana:

S =

∫d4xiψ ∗ (γµDµ −m) ψ

Dµψ =∂µψ − ig [Aµ, ψ]∗

δαAµ =∂µα− ig [Aµ, α]∗

δαψ =− ig [ψ, α]∗

δαψ =− ig[ψ, α

]∗

(4.59)

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48 II. Teorie di gauge

• Scalari carichi:

S =

∫d4x(Dµφ) ∗Dµφ

Dµφ =∂µφ− igAµ ∗ φ

(Dµφ) =∂µφ + igφ ∗ Aµ

δαAµ =∂µα− ig [Aµ, α]∗

δαφ =igα ∗ φ

δαφ =− igφ ∗ α

(4.60)

• Scalari neutri:

S =

∫d4x

1

2Dµφ ∗Dµφ

Dµφ =∂µφ− ig [Aµ, φ]∗

δαAµ =∂µα− ig [Aµ, α]∗

δαφ =ig [α, φ]∗

(4.61)

Avendo stabilito in (4.43), (4.46) le proprieta di trasformazione dei campi Aµ edF µν e possibile verificare che le azioni introdotte in (4.57)-(4.61) sono invarianti digauge. Si trova tuttavia che le lagrangiane non lo sono. Ad esempio, nel caso delsettore di gauge:

Lgauge = −1

4Fµν ∗ F µν (4.62)

Sfruttando δαF µν = i [α, F µν ] si ottiene:

δαLgauge = −1

4(δFµν ∗ F µν + Fµν ∗ δF µν) =

= − i

4(α ∗ Fµν ∗ F µν − Fµν ∗ α ∗ F µν + Fµν ∗ α ∗ F µν − Fµν ∗ F µν ∗ α) =

= − i

4(α ∗ Fµν ∗ F µν − Fµν ∗ F µν ∗ α) 6= 0 (4.63)

Tuttavia si nota subito che δαSgauge = 0, a causa di (4.26) (ciclicita dello starprodotto sotto integrale). Effettuando il controllo dell’invarianza di gauge sulle altrelagrangiane si incontra lo stesso problema, δαL 6= 0 ma δαS = 0; i calcoli esplicitisono semplici benche lunghi e richiedono soltanto l’uso delle definizioni e di (4.26).

Il fatto che non esistano lagrangiane invarianti di gauge riflette una caratteristicafondamentale delle teorie di gauge su spaziotempo noncommutativo: l’impossibilita

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4.2. Invarianza di gauge 49

di costruire operatori locali invarianti di gauge. Si puo intuire come emerga questoproblema osservando che una traslazione di un campo corrisponde ad una trasforma-zione di gauge. Se il campo appartiene alla rappresentazione aggiunta c’e perfettaequivalenza, altrimenti questa identificazione e valida a meno di una traslazione co-stante del campo di gauge [33, 47]. Quantitativamente, considerando un campo chesi trasforma secondo la rappresentazione aggiunta:

δαψ = ig [α, ψ]∗ (4.64)

α puo essere della forma cµxµ; allora, adoperando (4.18):

δαψ = ig [α, ψ]∗ = igcµ [xµ, ψ]∗ = −gcµθµν∂νψ = gcνθ

µν∂µψ (4.65)

confrontando con (4.24) si nota che questa e proprio una traslazione:

eikx ∗ f (x) ∗ e−ikx ' f (x) + kνθµν∂µf (x) (4.66)

A questo punto diventa chiaro come mai non esistano operatori locali gauge inva-rianti nello spazio delle coordinate, poiche traslare i campi equivale ad applicareuna particolare trasformazione di gauge. E una situazione analoga a quella che sipresenta in relativita generale, dove le traslazioni sono equivalenti a trasformazionidi gauge, che non sono altro che trasformazioni generali di coordinate.

E comunque possibile costruire operatori quasi locali invarianti di gauge. Esi-stono vari procedimenti, che in genere richiedono di ridefinire gli operatori comeconvoluzioni con distribuzioni a supporto finito [46, 35, 27]. E interessante notarecome una procedura simile si renda necessaria anche nelle teorie di campo commuta-tive. Infatti la localita delle interazioni porta a moltiplicazioni di campi nello stessopunto, ma poiche i campi sono distribuzioni (come si nota osservando ad esempioche i loro commutatori danno delta di Dirac) questa e un’operazione singolare cheporta a divergenze ultraviolette. Per rimuovere le divergenze si regolarizza la teoria;questo equivale a delocalizzare gli operatori locali su una regione la cui dimensione edeterminata dal regolatore, cioe a riscriverli come convoluzioni con una distribuzio-ne f il cui supporto e dell’ordine della scala fissata dal regolatore. In questo modogli operatori diventano insensibili all’ultravioletto oltre la scala di regolarizzazione.Rimuovere il regolatore equivale a far tendere f ad una delta di Dirac.

Un modo per costruire operatori quasi locali in una teoria noncommutativa con-siste nello sfruttare la mappa di Seiberg - Witten, che mette in relazione i potenzialidi gauge Anc e i parametri di gauge αnc della teoria noncommutativa con i corrispon-denti commutativi, Ac e αc. I gruppi di gauge delle due teorie non sono isomorfi,dato che l’U (1) di gauge della teoria noncommutativa mostra molte caratteristichedi un gruppo nonabeliano, quindi non si puo costruire una corrispondenza biunivoca,tale che Anc dipenda solo da Ac e αnc dipenda solo da αc. Tuttavia e sufficiente unarichiesta piu debole, cioe che a potenziali gauge equivalenti della teoria commutativacorrispondano potenziali gauge equivalenti della teoria noncommutativa:

Anc (Ac) + δαncAnc (Ac) = Anc (Ac + δαcAc) (4.67)

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50 II. Teorie di gauge

a partire da questa condizione e possibile costruire relazioni Anc (Ac) e αnc (αc, Ac)come serie di potenze in θµν . A questo punto si puo adoperare la mappa per traspor-tare nella teoria noncommutativa operatori locali commutativi invarianti di gauge,come ad esempio FµνF

µν , costruiti a partire da Ac. Gli operatori noncommutati-vi che ne risultano sono invarianti di gauge ma non locali; essendo costruiti comeuna serie di potenze in θµν saranno di fatto delocalizzati su una scala dell’ordinedi√

θ, dove θ e il piu grande autovalore di θµν e fissa in qualche modo la scala dinoncommutativita.

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Capitolo 5

Diagrammi di Feynman

5.1 Caratteristiche dei diagrammi

In questo capitolo descrivo le proprieta dei diagrammi di Feynman di una teoria non-commutativa, e in particolare stabilisco qual e la dipendenza da θµν di un genericodiagramma di Feynman.

5.1.1 Struttura delle interazioni

Gli integrali di prodotti di due campi non vengono modificati dallo star prodotto,come risulta da (4.25). Quindi l’azione di una teoria noncommutativa libera e ugualea quella della corrispondente teoria commutativa, e i propagatori della teoria non-commutativa sono gli stessi del caso commutativo. Ne segue che la dipendenza daθµν puo trovarsi soltanto nei fattori da associare ai vertici. Considerando un termined’interazione:

∫d4xφ1 (x) ∗ · · · ∗ φn (x) =

=

∫d4k1 · · · d4kn

(2π)4(n−1)φ1 (k1) · · · φn (kn) V (k1, . . . , kn)

(5.1)

dove:

V (k1, . . . , kn) = δ(4) (k1 + · · ·+ kn) exp

(− i

2

∑1≤i<j≤n

ki×kj

)(5.2)

Questa non e che una riscrittura di (4.27). Ad ogni vertice va associato un fattoreV . In totale la dipendenza da θµν del diagramma si raccoglie in fattori di fase otrigonometrici di quantita come p×q = pµθ

µνqν , dove pµ e qµ sono impulsi entrantiin un vertice del diagramma in questione.

Si nota che il fattore V non e simmetrico sotto qualsiasi scambio degli argomentiki, ma soltanto per permutazioni cicliche. Se ad ogni vertice va associato un fattore

51

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52 II. Teorie di gauge

V dipendente dagli impulsi e dal loro ordinamento potrebbe non essere piu possibilescrivere delle regole di Feynman come nel caso commutativo, cioe stabilire in generaledei fattori da associare ad ogni elemento di un diagramma, indipendentemente dallospecifico diagramma considerato. Nel seguito controllo se questa possibilita sussisteancora, considerando il caso semplice di una teoria λφ4.

La noncommutativita delle coordinate, o equivalentemente dello star prodotto,rende difficoltoso definire l’ordinamento normale. Per evitare questo problema uso ilformalismo funzionale. Procedo formalmente nel minkowskiano, senza effettuare ilpassaggio all’euclideo. Data la forma del fattore V da associare a ogni vertice, che di-pende dagli impulsi entranti nel vertice, conviene lavorare nello spazio degli impulsi.L’integrale d’azione nello spazio degli impulsi si ottiene semplicemente esprimendole grandezze dipendenti dalle coordinate come trasformate di Fourier. Di seguitoripercorro brevemente la formulazione funzionale nello spazio degli impulsi per unateoria scalare libera su spaziotempo commutativo [48]. Il funzionale generatore dellefunzioni di Green e:

Z(J)

=Z

(J)

Z (0)=

∫ DφeiS(φ)+i

R d4p

(2π)4J(p)φ(−p)

∫ DφeiS(φ)(5.3)

S(φ)

=

∫d4p

(2π)4

p2 −m2

2φ (p) φ (−p) (5.4)

dove le grandezze con tilde sono le trasformate di Fourier delle grandezze espres-se nello spazio delle coordinate, e dove J (−p) e la sorgente associata al campoφ (p). D’ora in poi sottintendo la normalizzazione del funzionale generatore, e scrivo

Z(J)

per indicare Z(J). Nel caso libero Z

(J)

e gaussiano, e puo essere risolto

esattamente:

Z(J)

= exp

(−1

2

∫d4p

(2π)4 J (p) G (p) J (−p)

)(5.5)

G (p) =i

p2 −m2(5.6)

G (p) e proprio il propagatore nello spazio degli impulsi. In presenza di un termine

d’interazione, ad esempio del tipo −iλ4!

φ4, si sviluppa Z(J)

in una serie perturbativa,

e poi si esprimono i campi come derivate dell’integrale funzionale libero rispetto alle

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5.1. Caratteristiche dei diagrammi 53

sorgenti:

Z(J)

=∞∑

n=0

∫Dφ

(iSint

(φ))n

n!e

iS(φ)+iR d4p

(2π)4J(−p)φ(p)

=

=∞∑

n=0

∫Dφ

1

n!

(−iλ

4!

∫d4xφ4 (x)

)n

eiS(φ)+i

R d4p

(2π)4J(−p)φ(p)

=

=∞∑

n=0

1

n!

(−iλ

4!

)n ∫ n∏i=1

d4xid4pi,1 · · · d4pi,4

n∏i=1

e−ixi(pi,1+···+pi,4)·

· 1

i4n

n∏i=1

δ4

δJ (−pi,1) · · · δJ (−pi,4)e− 1

2

R d4p

(2π)4J(p)G(p)J(−p)

=

=∞∑

n=0

1

n!

(−iλ

4!

)n ∫ n∏i=1

d4pi,1 · · · d4pi,4

n∏i=1

(2π)4 δ(4) (pi,1 + · · ·+ pi,4) ·

· 1

i4n

n∏i=1

δ4

δJ (−pi,1) · · · δJ (−pi,4)e− 1

2

R d4p

(2π)4J(p)G(p)J(−p)

(5.7)

dove pi,j e il j-esimo impulso dell’i-esimo vertice. Per ottenere funzioni di Greena n punti all’ordine m e sufficiente poi prendere i termini della serie perturbativaall’ordine m e derivare n volte:

〈0|T (φ (x1) · · ·φ (xn)) |0〉 =1

inδnZ (J)

δJ (x1) · · · δJ (xn)

∣∣∣∣J=0

=

=

∫d4p1 · · · d4pne

−ip1x1 · · · e−ipnxn1

in

δnZ(J)

δJ (−p1) · · · δJ (−pn)

∣∣∣∣∣∣J=0

(5.8)

Calcolando la funzione a due punti all’ordine zero si ritrova il propagatore libero, eal primo ordine:

〈0|T (φ (y1) φ (y2)) |0〉 =−iλ

4!

1

i6

∫d4x1d

4p1 · · · d4p4d4l1d

4l2·

·e−ix1(p1+···+p4)e−il1y1e−il2y2·

· δ6

δJ (−p1) · · · δJ (−p4) δJ (−l1) δJ (−l2)e− 1

2

R d4p

(2π)4J(p)G(p)J(−p)

∣∣∣∣J=0

(5.9)

si trova il contributo di una inserzione di self energia nel propagatore libero tramiteun diagramma di tipo “tadpole”.

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54 II. Teorie di gauge

Per trovare i fattori associati ai vertici non occorre fare tanti calcoli. Da (5.7)

risulta che per ogni vertice c’e un fattore iSint

(φ), i cui campi vengono poi espressi

come derivate del funzionale generatore libero rispetto alle sorgenti per dar luogo

ai propagatori. I fattori numerici provenienti da iSint

(φ)

sono quelli da associare

ai vertici secondo le regole di Feynman. Nel caso appena illustrato il fattore daassociare a ogni vertice e semplicemente −iλ

4!.

Passando al caso noncommutativo, la proprieta (4.25) dello star prodotto assicurache (5.3)-(5.6) restano invariate; la teoria noncommutativa libera e uguale a quellacommutativa. Introducendo un termine d’interazione si ha:

iSint =−iλ

4!

∫d4xφ (x) ∗ φ (x) ∗ φ (x) ∗ φ (x) =

=−iλ

4!

∫d4pd4qd4kd4h

(2π)16 d4xφ (p) φ (q) φ (k) φ (h) e−ipx ∗ e−iqx ∗ e−ikx ∗ e−ihx =

=−iλ

4!

∫d4pd4qd4kd4h

(2π)16 d4xφ (p) φ (q) φ (k) φ (h) ·

·e−ix(p+q+k+h)e−i2(p×q+p×k+p×h+q×k+q×h+k×h) =

=−iλ

4!

∫d4pd4qd4kd4h

(2π)16 (2π)4 δ(4) (p + q + k + h) ·

·φ (p) φ (q) φ (k) φ (h) e−i2(p×q+p×k+p×h+q×k+q×h+k×h)

(5.10)

dove ho usato (4.22). Ne segue:

Z(J)

=∞∑

n=0

∫Dφ

(iSint

(φ))n

n!e

iS(φ)+iR d4p

(2π)4J(−p)φ(p)

=

=∞∑

n=0

1

n!

(−iλ

4!

)n ∫ n∏i=1

d4pi,1 · · · d4pi,4

(2π

i

)4n

·

·n∏

i=1

δ(4)

(4∑

j=1

pi,j

)n∏

i=1

exp

(− i

2

1≤j<k≤4

pi,j×pi,k

·n∏

i=1

δ4

δJ (−pi,1) · · · δJ (−pi,4)e− 1

2

R d4p

(2π)4J(p)G(p)J(−p)

(5.11)

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5.1. Caratteristiche dei diagrammi 55

al primo ordine:

Z(J)

=−iλ

4!

∫d4p1 · · · d4p4

(2π

i

)4

δ(4) (p1 + · · ·+ p4) e− i

2

P1≤i<j≤4

pi×pj ·

· δ4

δJ (−p1) · · · δJ (−p4)e− 1

2

R d4p

(2π)4J(p)G(p)J(−p)

(5.12)

La funzione a due punti al primo ordine e:

〈0|T (φ (y1) φ (y2)) |0〉 =−iλ

4!

(2π)4

i6

∫d4p1 · · · d4p4d

4l1d4l2·

·e− i

2

P1≤i<j≤4

pi×pj

e−il1y1e−il2y2δ(4) (p1 + · · ·+ p4) ·

· δ6

δJ (−p1) · · · δJ (−p4) δJ (−l1) δJ (−l2)e− 1

2

R d4p

(2π)4J(p)G(p)J(−p)

∣∣∣∣J=0

(5.13)

Osservando che:

δ2

δJ (−q1) δJ (−q2)e− 1

2

R d4p

(2π)4J(p)G(p)J(−p)

∣∣∣∣J=0

=

(− 1

(2π)4 δ(4) (q1 + q2) G (q2)

)

(5.14)si trova:

(2π)4

i6δ6

δJ (−p1) · · · δJ (−p4) δJ (−l1) δJ (−l2)e− 1

2

R d4p

(2π)4J(p)G(p)J(−p)

∣∣∣∣J=0

=

=1

(2π)8F (q1, . . . , q6) (5.15)

dove q1, . . . , q6 rappresenta una permutazione degli impulsi p1, . . . , p4, l1, l2.F (q1, . . . , q6) e una somma di

(62

)= 15 termini del tipo:

(δ(4) (q1 + q2) G (q2)

)(δ(4) (q3 + q4) G (q4)

)(δ(4) (q5 + q6) G (q6)

)(5.16)

F (q1, . . . , q6) e completamente simmetrico nei qi, quindi in (5.13) il fattoreF (q1, . . . , q6) δ(4) (p1 + · · ·+ p4) e completamente simmetrico nei quattro im-

pulsi pi. Il fattore:

exp

(− i

2

∑1≤i<j≤4

pi×pj

)(5.17)

non ha una simmetria definita nei pi, ma quando lo si moltiplica per F (q1, . . . , q6) ··δ(4) (p1 + · · ·+ p4) ne sopravvive solo la parte simmetrica.

Questa osservazione suggerisce una strategia per evitare di calcolare separata-mente tutti e 15 i termini di F (q1, . . . , q6). Nel caso commutativo si conserva

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56 II. Teorie di gauge

un solo termine di F (q1, . . . , q6), poi si considerano tutti i modi di contrarre gliimpulsi esterni con quelli del vertice. Molti di questi modi daranno luogo ad unostesso diagramma. Si definisce il fattore di simmetria del diagramma come il numerodi modi equivalenti di contrarre gli impulsi, considerando identiche le configurazioniche differiscono soltanto per permutazioni dei vertici, poiche all’ordine n queste sonon! e si semplificano con il fattore n!−1 proveniente dalla serie perturbativa. Infinesi considerano tutti i diagrammi distinti, ma con le stesse linee esterne e allo stessoordine, con i propri fattori di simmetria, e in questo modo si ricostruiscono tutti i15 contributi.

Nel caso noncommutativo si simmetrizza il fattore (5.17) rispetto a tutti gliscambi degli impulsi pi, dopodiche e possibile definire in generale delle regole diFeynman e seguire lo stesso procedimento. Un fattore del tipo di (5.17) simme-trizzato e proprio il fattore da associare al vertice in questione secondo le regole diFeynman. In questo modo tutta l’informazione rilevante sull’ordine degli impulsientranti nel vertice e raccolta nel fattore associato al vertice, cosı che e possibiletrattare un diagramma di Feynman noncommutativo come se fosse un diagrammacommutativo con un fattore di vertice modificato. In particolare le regole di Feyn-man comprendono tutti i contributi di un singolo diagramma, riunendo i contributidovuti a differenti configurazioni topologiche delle linee che lo costituiscono, cioealla parte planare e a quella nonplanare che verranno definite nella sezione 5.1.3.

5.1.2 Un esempio semplice

Per illustrare in un esempio semplice l’utilizzo delle regole di Feynman nel casononcommutativo, ripercorro qui il calcolo ad un loop della funzione a due puntiirriducibile a una particella nella teoria λφ4 [35]. Emergono naturalmente la distin-zione fra diagrammi planari e nonplanari, che saranno definiti nella sezione 5.1.3, eil fenomeno della connessione tra ultravioletto e infrarosso, che sara illustrato nellasezione 5.1.4.

Considerando soltanto l’interazione del campo φ con se stesso, e ridefinendo lacostante di accoppiamento, l’azione euclidea e:

S =

∫d4x

(1

2(∂µφ)2 +

1

2m2φ2 +

λ2

4!φ ∗ φ ∗ φ ∗ φ

)(5.18)

Come notato in precedenza, il propagatore della teoria noncommutativa e lo stessodel caso commutativo, quindi la funzione a due punti irriducibile a una particellaall’ordine piu basso, che non e altro che l’inverso del propagatore, e semplicementep2 + m2. Il contributo a un loop, cioe il primo termine della self energia Σ (p), edato dal diagramma in figura 5.1 (“tadpole”).

Le regole di Feynman per i vertici verranno derivate in dettaglio nella sezione5.2. Nel caso di questo diagramma si semplificano molto, il fattore da associare alvertice e:

λ2

3·4!

(2 + Re eik×p

)(5.19)

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5.1. Caratteristiche dei diagrammi 57

k

p p

Figura 5.1: Contributo a un loop alla self energia

dove p e k sono rispettivamente l’impulso esterno e quello del loop, come indicato infigura 5.1. Occorre poi moltiplicare per il fattore di simmetria del diagramma, chein questo caso vale 12. In totale la self energia a un loop, Σ(1) (p), e data da:

Σ(1) (p) =λ2

6

∫d4k

(2π)4

(2 + Re eik×p

)

k2 + m2(5.20)

sfruttando la simmetria dell’integrando questo puo essere riscritto come:

Σ(1) (p) =λ2

3

∫d4k

(2π)4

1

k2 + m2+

λ2

6

∫d4k

(2π)4

eik×p

k2 + m2= Σ

(1)pl + Σ

(1)npl (p) (5.21)

I due termini possono essere identificati rispettivamente come i contributi del dia-gramma planare e di quello nonplanare, di cui daro la definizione esatta nella pros-sima sezione 5.1.3. Per ora e sufficiente notare come il termine planare sia propor-zionale al risultato che si trova nel caso commutativo, e quello nonplanare raccolgatutta la dipendenza da θµν . Per poter ricondurre il secondo integrale al primo e utileriscriverli entrambi adoperando la parametrizzazione di Schwinger:

1

k2 + m2=

∫ ∞

0

dαe−α(k2+m2) (5.22)

Con questa sostituzione gli integrali in d4k diventano gaussiani, e la divergenzaquadratica per grandi k si ritrova in una divergenza per piccoli α degli integrali indα. Risolvendo gli integrali in d4k si trova:

Σ(1)pl =

λ2

48π2

∫ ∞

0

α2e−αm2

(5.23)

Σ(1)npl (p) =

λ2

96π2

∫ ∞

0

α2e−αm2− p2

4α (5.24)

dove si e posto:

pµ = θµνpν , [p] = [L] (5.25)

p2 = θµν pνθµρpρ = −pµθ2

µν pν (5.26)

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58 II. Teorie di gauge

Per regolarizzare gli integrali in dα si puo ad esempio moltiplicarli per exp (−Λ2α)−1

,ottenendo:

Σ(1)pl =

λ2

48π2

∫ ∞

0

α2e−αm2− 1

Λ2α (5.27)

Σ(1)npl (p) =

λ2

96π2

∫ ∞

0

α2e−αm2−

p2

4 + 1Λ2

α (5.28)

E ora evidente che, a meno di fattori, il contributo che ho chiamato nonplanare eidentico a quello planare in cui si sia sostituito a Λ2 un cutoff efficace cosı definito:

Λ2eff =

11

Λ2 + p2

4

(5.29)

La dipendenza da p di Σ(1)npl (p) si raccoglie in Λ2

eff . Quindi e sufficiente risolverel’integrale del termine planare:

Σ(1)pl =

λ2

48π2

∫ ∞

0

α2e−αm2− 1

Λ2α =λ2

48π2

2m2

√x

K1

(2√

x), x =

m2

Λ2(5.30)

dove K1 (t) e la funzione di Bessel modificata di secondo tipo di ordine uno. Perpiccoli valori dell’argomento, K1 (t) puo essere approssimata come:

K1 (t) −→t→0

1

t+

t

2ln

t

2(5.31)

quindi:

Σ(1)pl '

λ2

48π2

(Λ2 −m2 ln

Λ2

m2+O (1)

)(5.32)

Σ(1)npl (p) ' λ2

96π2

(Λ2

eff −m2 lnΛ2

eff

m2+O (1)

)(5.33)

dove Λ2eff e definito in (5.29).

E interessante osservare la dipendenza di Λ2eff da p2. Se il cutoff Λ va all’infinito,

Λ2eff ∼ p−2, e quindi diverge se p → 0 (limite infrarosso). Ne segue che la self energia

ha una singolarita nell’infrarosso. Questo significa che le teorie su spaziotempononcommutativo possono essere valide come teorie effettive solo fino alla scala fissatada un opportuno cutoff infrarosso, analogamente a quanto succede nelle teorie usualila cui validita e limitata da un cutoff ultravioletto.

Questo e un aspetto di un fenomeno piu generale, la connessione fra ultraviolettoed infrarosso, da cui segue che la singolarita infrarossa della teoria noncommutativacorrisponde alla divergenza ultravioletta della stessa teoria nel caso commutativo.

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5.1. Caratteristiche dei diagrammi 59

Nel caso dell’esempio considerato in questa sezione si puo avere un’idea di questimeccanismi osservando la forma dell’azione effettiva, la cui parte quadratica e:

Γ(2) [φ] =

∫d4p

p2 + M2 +

λ2

96π2(

1Λ2 + p2

4

)+

− λ2M2

96π2ln

1

M2(

1Λ2 + p2

4

) +O (

λ4) φ (p) φ (−p)

(5.34)

dove si e definita la massa rinormalizzata M2:

M2 ' m2 +λ2Λ2

48π2− λ2m2

48π2ln

Λ2

m2(5.35)

A questo punto si considerano due limiti:

1. p → 0: in questo caso Λeff ≈ Λ, e in particolare si ritrova l’azione effettiva delcaso commutativo:

Γ(2) [φ] =

∫d4p

[p2 + M2 +

λ2Λ2

96π2+

− λ2M2

96π2ln

Λ2

M2+O (

λ4)]

φ (p) φ (−p)

(5.36)

Γ(2) [φ] diverge se Λ → ∞ seguendo lo stesso comportamento che ha nel casocommutativo.

2. Λ →∞: in questo caso Λ2eff = 4

p2 , e l’azione e:

Γ(2) [φ] =

∫d4p

[p2 + M2 +

λ2

96π2 p2

4

+

− λ2M2

96π2ln

(1

M2 p2

4

)+O (

λ4)]

φ (p) φ (−p)

(5.37)

Γ(2) [φ] rimane finita tranne che per particolari valori di p; in particolare divergesoltanto se p → 0.

Questo caso semplice mostra il fenomeno della mescolanza fra ultravioletto einfrarosso caratteristico delle teorie noncommutative. Prendere i limiti Λ → ∞ ep → 0 porta comunque ad una divergenza, pero a seconda dell’ordine in cui sonostati effettuati la divergenza che ne risulta ha un significato diverso. Ad esempiosi vede come nel limite ultravioletto (Λ → ∞) l’azione effettiva non diverge piu a

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60 II. Teorie di gauge

causa della presenza di p−2 che fa da regolatore [49]. La divergenza ricompare sesi rimuove questo regolatore, cioe prendendo il limite p−2 → ∞, che corrisponde ap2 → 0, quindi si tratta di una divergenza infrarossa, legata ad un particolare valoredegli impulsi esterni. In totale prendendo prima il limite ultravioletto si ottiene unaquantita divergente nell’infrarosso e viceversa; in un certo senso i due limiti noncommutano [35].

5.1.3 Caratteristiche topologiche dei diagrammi

Considerando di nuovo il fattore V definito in (5.2):

V (k1, . . . , kn) = δ(4) (k1 + · · ·+ kn) exp

(− i

2

∑1≤i<j≤n

ki×kj

)(5.2)

Il fatto che V non sia invariante per scambi qualsiasi dei suoi argomenti, ma soltantoper permutazioni cicliche, implica che l’ordine delle linee uscenti o entranti in unvertice non e irrilevante, e piu in generale che un diagramma in cui due linee sisovrappongono senza creare un vertice, come in figura 5.2, non e equivalente allostesso diagramma in cui le due linee non si sovrappongono.

Figura 5.2: Sovrapposizione senza incrocio

Questa caratteristica delle teorie noncommutative permette di introdurre la di-stinzione tra diagrammi planari e nonplanari. Diagrammi nonplanari sono quelli incui alcune linee si sovrappongono senza incrociarsi, come in figura 5.2. Il diagram-ma planare e quello nonplanare che contribuiscono al calcolo della self energia adun loop nella teoria λφ4, svolto nella sezione 5.1.2, sono quelli schematizzati nellefigure 5.3 e 5.4 rispettivamente. Questi due diagrammi si ottengono unendo il ver-tice ai propagatori esterni come indicato rispettivamente nelle figure 5.5 e 5.6. Nelcaso commutativo i diagrammi ottenuti nei due modi sarebbero identici, se θµν 6= 0sono distinguibili perche differiscono nell’ordinamento delle linee che si chiudono aformare il loop.

E utile osservare che i fattori V associati ai vari vertici di un diagramma possonoessere raccolti in un unico fattore Γ, come dimostro in seguito derivando esplici-tamente Γ, nel caso semplice di un termine di interazione del tipo (5.1), dato dal

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5.1. Caratteristiche dei diagrammi 61

k

p p

Figura 5.3: Contributo planare alla self energia a un loop

k

p p

Figura 5.4: Contributo nonplanare alla self energia a un loop

prodotto di n campi uguali [34]. Γ comprende tutta la dipendenza da θµν del dia-gramma. In questo caso naturalmente si sta distinguendo fra diagrammi planarie nonplanari, poiche a diversi modi di unire vertici e propagatori per formare ildiagramma corrisponde un diverso ordinamento degli impulsi nei vari fattori V chevengono moltiplicati, e quindi, come si vedra, un diverso Γ.

Si comincia adoperando due proprieta di V per osservare quali impulsi, esterni ointerni, contribuiscono al fattore Γ del diagramma in questione. Tenendo presente laciclicita di V e l’antisimmetria di θµν e facile dimostrare che V soddisfa le seguentirelazioni:

1.

V (k1, . . . , kn1 , p) V (−p, kn1+1, . . . , kn2) =

= V (k1, . . . , kn2) δ (k1 + · · ·+ kn1 + p)(5.38)

2.

V (k1, . . . , kn1 , p, kn1+1, . . . , kn2 ,−p) =

=V (k1, . . . , kn1 , kn1+1, . . . , kn2)

se

n2∑i=n1+1

ki = 0

(5.39)

La prima relazione, (5.38), stabilisce che, ai fini del calcolo dei fattori V , undiagramma con un propagatore interno di impulso p porta allo stesso risultato diun diagramma identico al primo ma in cui i due vertici uniti dal propagatore siano

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62 II. Teorie di gauge

Figura 5.5: Collegamento fra linee esterne e vertice che porta ad un diagrammaplanare

Figura 5.6: Collegamento fra linee esterne e vertice che porta ad un diagrammanonplanare

riuniti in un unico vertice. Infatti p scompare dal fattore di fase e il fatto che rimanganella δ non modifica la dipendenza da θµν . In altri termini ai due diagrammi in figura5.7 corrisponde lo stesso fattore di fase Γ. La seconda relazione, (5.39), stabilisceche anche un loop che non si sovrappone con nessuna linea non modifica Γ, e quindiai due diagrammi in figura 5.8 corrisponde lo stesso fattore Γ. I vincoli aggiuntivisugli impulsi non costituiscono un problema perche sono in accordo con i vincolisugli impulsi interni ed esterni per ciascun diagramma.

p

kn1

k1

kn2

1kn1+

kn1

k1

kn2

1kn1+

Figura 5.7: Diagrammi cui corrisponde lo stesso fattore di fase, secondo la formula(5.38)

Per quanto riguarda il calcolo del fattore Γ, tramite le due proprieta (5.38) e(5.39) e possibile associare ad ogni diagramma di Feynman un diagramma semplifi-cato ottenuto dal diagramma originario eliminando gli elementi che non contribui-scono a Γ. Quindi per definizione ai due diagrammi corrisponde lo stesso fattore

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5.1. Caratteristiche dei diagrammi 63

p

Figura 5.8: Diagrammi cui corrisponde lo stesso fattore di fase, secondo la formula(5.39)

Γ. Si vede che grazie a (5.38) il diagramma semplificato conterra un solo vertice, eche per (5.39) non conterra nessun loop che non si sovrapponga con qualche linea.Con questa procedura ad ogni diagramma possono essere associati piu diagrammisemplificati distinti, ma il fattore Γ risultante sara invariato, a causa della simmetriadi V per permutazioni cicliche. La figura 5.9 illustra un esempio di un diagrammacui viene associato un diagramma semplificato.

Figura 5.9: Diagramma generico cui viene associato un diagramma semplificato

Se il diagramma originario e planare il diagramma semplificato risultante nonconterra loop. Quindi il fattore Γ associato ad entrambi dipende soltanto dagliimpulsi esterni, e proprio il fattore V definito in (5.2) scritto per gli impulsi esterni;e quindi uguale per tutti i diagrammi planari con le stesse linee esterne.

Se invece il diagramma originario e nonplanare il diagramma semplificato ri-sultante contiene loop che si sovrappongono con altri loop o con linee esterne. Ilfattore Γ associato ad entrambi comprende quello che si avrebbe se il diagrammaoriginario fosse planare, cioe un esponenziale ed una δ di conservazione dipenden-ti dagli impulsi esterni, e un ulteriore esponenziale dipendente anche dagli impulsiinterni. Assegnando alle linee esterne o interne un indice (in modo arbitrario) eun’orientazione (+k e −k corrispondono rispettivamente ad un impulso uscente eentrante in un vertice) si puo definire una matrice di intersezione per un diagramma

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64 II. Teorie di gauge

di Feynman:

Iij =

1 se la linea j interseca la linea i da destra

−1 se la linea j interseca la linea i da sinistra

0 se le linee j e i non si intersecano

(5.40)

Con questa definizione si puo scrivere la forma del fattore Γ per un diagrammanonplanare:

Γ = V (impulsi esterni) exp

(− i

2

∑ij

Iijki×kj

)(5.41)

dove V (k1, . . . , kn) e definito in (5.2). Iij puo essere equivalentemente la matrice diintersezione del diagramma di Feynman originario o di quello semplificato. Ridefi-nizioni di Iij o degli indici associati alle linee non modificano (5.41) a causa dellasimmetria per permutazioni cicliche degli impulsi. (5.41) e valido anche nel caso didiagrammi planari: Iij e identicamente nulla e si ritrova il risultato precedente.

A questo punto si puo ritrovare per questa strada la regola di Feynman (5.19)enunciata nella sezione 5.1.2. Al diagramma planare di figura 5.3 compete soltantoun fattore di fase dipendente dagli impulsi esterni, che in questo caso e del tipoexp

(− i2p×p

)= 1. Il diagramma nonplanare, in figura 5.4, ha anche un fattore di

fase dipendente dagli impulsi interni, che in questo caso si riduce a eik×p. I fattoridi simmetria dei diagrammi planare e nonplanare sono rispettivamente 8 e 4 perchebisogna aggiungere la richiesta addizionale che ci sia o meno sovrapposizione tra lelinee. Sommando i due contributi si ritrova proprio (5.19).

5.1.4 Convergenza e connessione fra ultravioletto e infra-rosso

Come gia notato la teoria noncommutativa libera e uguale a quella commutativa,invece per quanto riguarda la teoria interagente l’introduzione dello star prodotto fası che i termini di interazione contengano infinite derivate dei campi, di ordine viavia piu alto. Questo si vede facilmente sviluppando (4.14) in serie di potenze di θµν :

φ1 (x) ∗ φ2 (x) = exp

(i

2θµν∂y

µ∂zν

)φ1 (y) φ2 (z)

∣∣∣∣y=z=x

=

=∞∑

n=0

(iθµν

2∂y

µ∂zν

)n

n!φ1 (y) φ2 (z)|y=z=x

(5.42)

Ne segue che nelle teorie noncommutative le interazioni sono non locali. Si potrebbeallora pensare che l’effettiva regolarizzazione causata dalla nonlocalita sia sufficientead eliminare le divergenze a livello di espansione perturbativa. Al contrario, tutte

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5.1. Caratteristiche dei diagrammi 65

le divergenze della teoria commutativa si ritrovano nella teoria noncommutativa.Questo perche in presenza di θµν 6= 0 diagrammi di Feynman con una certa to-pologia possono acquisire nuove divergenze [34]. Inoltre (5.42) potrebbe portare asupporre che ad energie molto minori della scala di noncommutativita, k2 ¿ θ−1,i termini con derivate di ordine piu alto siano termini irrilevanti. Ci si aspette-rebbe quindi che nell’infrarosso sia lecito trascurarli. Questo significherebbe che ilcomportamento della teoria noncommutativa nell’infrarosso e identico a quello dellateoria commutativa corrispondente. Si trova che a livello classico questo e vero, maquantisticamente questa ipotesi e invalidata dalla mescolanza fra limite infrarosso eultravioletto nell’espansione perturbativa della teoria noncommutativa [37].

Tenendo presente il fattore di fase Γ e la distinzione fra diagrammi planari o non-planari, introdotti nella sezione precedente, e possibile cominciare a delineare il pro-blema della convergenza dei diagrammi di Feynman di una teoria noncommutativa[50, 35].

La situazione e profondamente diversa per diagrammi planari o nonplanari. Nelprimo caso il fattore di fase Γ dipende solo dagli impulsi esterni, quindi il dia-gramma da lo stesso risultato gia noto dalla teoria commutativa, a meno di Γ e dieventuali fattori di molteplicita. In particolare le divergenze sono le stesse del casocommutativo.

Nel caso di diagrammi nonplanari invece la presenza di un fattore di fase Γdipendente anche dagli impulsi interni cambia radicalmente la situazione. Questafase migliora il comportamento ultravioletto del diagramma e si potrebbe quindipensare che lo renda finito. Piu in generale, si potrebbe pensare che i diagramminonplanari non abbiano divergenze oltre a quelle dovute ad eventuali sottodiagrammiplanari divergenti, e che quindi basti rinormalizzare questi ultimi.

Si e trovato che questo non e sempre vero. E opportuno distinguere ulteriormentela situazione fra nonplanarita dovuta a sovrapposizioni fra linee interne (cioe alcarattere nonplanare del diagramma amputato) o a sovrapposizioni fra linee esterneed interne.

Si trova che diagrammi con nonplanarita che coinvolge solo le linee interne, e i cuisottodiagrammi nonplanari sono dello stesso tipo, sono convergenti. Si puo definireun cutoff efficace che svolge il ruolo che ha il cutoff Λeff introdotto nella sezione

5.1.2. Si trova che la dipendenza da θµν del cutoff efficace e della forma θ−12 [36],

dove θ e uno degli autovalori di θµν (supponendo che siano tutti dello stesso ordinedi grandezza). Per diagrammi con nonplanarita che riguarda anche le linee esternela situazione e piu complicata. Se i sottodiagrammi nonplanari non sono dello stessotipo il diagramma e finito o meno a seconda dei valori degli impulsi esterni, poiche ilcutoff efficace e della forma p−1 (dove p e definito in (5.25)). L’esempio della sezione5.1.2 rientra in questo caso, infatti il diagramma nonplanare corrispondente (figura5.4) ha una sovrapposizione fra una linea interna e una esterna, e il cutoff efficace,derivato esplicitamente, e proprio della forma p−1 (v. (5.29)).

E in quest’ultimo caso che si ritrova la connessione fra ultravioletto e infrarosso,come gia anticipato nella sezione 5.1.2. Infatti Γ rende il diagramma convergente

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66 II. Teorie di gauge

nell’ultravioletto, ma vale 1 se gli impulsi esterni si annullano e il diagramma divergedi nuovo. Poiche emerge nel limite in cui gli impulsi esterni tendono a zero, ladivergenza cosı trovata e una divergenza infrarossa. Dato il particolare meccanismospecifico a questo tipo di teorie, contrariamente al solito questa divergenza infrarossanon segnala la presenza di una particella di massa nulla.

Il fenomeno della connessione fra ultravioletto e infrarosso rende problematico illimite commutativo di una teoria noncommutativa. Infatti nel limite θµν → 0 ci siaspetterebbe di ritrovare la teoria commutativa, ma se θµν → 0 anche p → 0 e quindiun’intera classe di diagrammi di Feynman diverge in modo particolare. Quindi sealcune grandezze della teoria noncommutativa nel limite θµν → 0 riacquistano laforma che hanno nel caso commutativo lo stesso non vale per l’intera teoria.

Intuitivamente la connessione fra infrarosso e ultravioletto puo essere giustificatanel modo seguente. La noncommutativita delle coordinate implica relazioni comeδxδy ≥ 1 (in unita opportune); quindi il limite δx → 0 (limite ultravioletto per lacoordinata x) equivale al limite δy →∞ (limite infrarosso per la coordinata y) [51].

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5.2. Regole di Feynman 67

5.2 Regole di Feynman

In questa sezione derivo le regole di Feynman su spaziotempo noncommutativo rela-tive all’interazione del campo scalare con se stesso, e alle interazioni di varie particelleneutre con il campo di gauge, tramite le azioni definite nella sezione 4.2. I propa-gatori sono gli stessi del caso commutativo, li riporto per completezza. Il verticea quattro scalari e l’unico che esiste anche nel caso commutativo, quindi ha unadipendenza da θµν leggermente diversa dagli altri, e in particolare non si annulla nellimite θµν → 0. Tutti gli altri vertici che considero presentano una dipendenza dafattori come sin p×q che si annullano se θµν = 0.

Le regole di Feynman relative ai vertici sono presentate anche in [38]; tuttavia ioho voluto derivarle indipendentemente, e si puo notare che non tutti i fattori da meottenuti concordano con quelli presenti in [38]. Ciononostante adoperando i verticida me ricavati per ripercorrere il calcolo della self energia del fotone presentato in[38] ho ottenuto gli stessi risultati di [38]. Attribuisco quindi le discrepanze tra ivertici di Feynman presenti in [38] e quelli derivati da me ad un errore tipograficoin [38].

In seguito ho adoperato i vertici calcolati da me anche per calcolare la self ener-gia dello scalare neutro e del fermione di Majorana, che non sono presenti nellaletteratura.

5.2.1 Propagatori

Come gia osservato nella sezione 5.1.1 la teoria noncommutativa libera e uguale aquella commutativa, quindi i propagatori sono uguali a quelli del caso commutativo;li riporto per completezza. Per il propagatore del fotone scelgo la gauge di Feynman.

• fotone:

−igµν

p2(5.43)

• scalare:i

p2 −m2(5.44)

• fermione:i

γµpµ −m=

i (γµpµ + m)

p2 −m2(5.45)

• ghost:i

p2(5.46)

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68 II. Teorie di gauge

5.2.2 Vertice a quattro scalari

Definendo la costante d’accoppiamento come e d’uso nella letteratura [35], il terminedell’azione che genera l’interazione a quattro scalari e:

Sint (φ) =−λ2

4!

∫d4xφ (x) ∗ φ (x) ∗ φ (x) ∗ φ (x) (5.47)

poi, passando nello spazio degli impulsi e usando (4.22):

iSint =−iλ2

4!

∫d4xφ (x) ∗ φ (x) ∗ φ (x) ∗ φ (x) =

=−iλ2

4!

∫d4pd4qd4kd4h

(2π)16 d4xφ (p) φ (q) φ (k) φ (h) e−ipx ∗ e−iqx ∗ e−ikx ∗ e−ihx =

=−iλ2

4!

∫d4pd4qd4kd4h

(2π)16 d4xφ (p) φ (q) φ (k) φ (h) ·

·e−ix(p+q+k+h)e−i2(p×q+p×h+q×k+q×h+k×h) =

=−iλ2

4!

∫d4pd4qd4kd4h

(2π)12 δ(4) (p + q + k + h) ·

·φ (p) φ (q) φ (k) φ (h) e−i2(p×q+p×k+p×h+q×k+q×h+k×h)

(5.48)

Come osservato nella sezione 5.1.1, per fare i calcoli e conveniente usare un fattore divertice simmetrico negli impulsi. Per ottenerlo si riscrive (5.48) nel modo seguente,sfruttando la possibilita di rinominare le variabili mute:

iSint

(φ)

=−iλ2

(4!)2

∫d4pd4qd4kd4h

(2π)12 δ(4) (p + q + k + h) ·

·φ (p) φ (q) φ (k) φ (h)[e−

i2(p×q+p×k+p×h+q×k+q×h+k×h)+

+ tutte le permutazioni di p, q, k, h]

(5.49)

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5.2. Regole di Feynman 69

Ricordando che p×q = −q×p e adoperando la δ per eliminare un impulso, ad esempioh, si ottiene:

iSint

(φ)

=−iλ2

6·4!

∫d4pd4qd4k

(2π)12 φ (p) φ (q) φ (k) φ (−p− q − k) ·

·(e− i2(p×q+p×k+q×k) + e−

i2(p×q+p×k−q×k) + e−

i2(−p×q+p×k+q×k)+

+ e−i2(p×q−p×k−q×k) + e−

i2(−p×q−p×k+q×k) + e−

i2(−p×q−p×k−q×k)) =

=−iλ2

3·4!

∫d4pd4qd4k

(2π)12 φ (p) φ (q) φ (k) φ (−p− q − k) ·

·(

2 cosp×q + p×k

2cos

q×k

2+ cos

p×q − p×k − q×k

2

)

(5.50)

ne segue che il fattore da associare al vertice secondo le regole di Feynman e:

−iλ2

3·4!

(2 cos

p×q + p×k

2cos

q×k

2+ cos

p×q − p×k − q×k

2

)(5.51)

dove p, q e k sono gli impulsi di tre dei quattro scalari, orientati tutti allo stessomodo (tutti entranti o tutti uscenti). Usando le formule di trigonometria riportatein appendice e possibile riscrivere questo fattore in una forma piu simmetrica negliimpulsi:

−iλ2

3·4!

(cos

p×q + p×k + q×k

2+ cos

p×q + p×k − q×k

2+ cos

p×q − p×k − q×k

2

)

(5.52)in questo modo e possibile verificare che il fattore e invariante sotto qualsiasi scambiodegli impulsi.

Se θµν = 0 (5.52) si riduce a:

−iλ2

3·4!·3 =

−iλ2

4!(5.53)

che e proprio il fattore da associare ad un vertice di quattro scalari nel caso com-mutativo.

Nella sezione 5.1.2 ho utilizzato questo vertice in un caso particolare. Per ri-trovare esplicitamente (5.19) occorre assegnare agli impulsi i nomi indicati in figura5.1. Ad esempio si puo rinominare p → p, q → −k, k → k, ottenendo:

−iλ2

3·4!

(2 + Re eik×p

)(5.54)

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70 II. Teorie di gauge

che e proprio (5.19) scritta nel minkowskiano. Si vede quindi che dividere il contri-buto di un diagramma in planare e nonplanare e valutarne separatamente i fattoriesponenziali e di simmetria porta allo stesso risultato che si ottiene adoperando leregole di Feynman e valutando il fattore di simmetria del diagramma come se fossecommutativo.

Per derivare gli altri vertici si procede esattamente nello stesso modo, quindi milimito ad illustrare brevemente alcuni passi dei calcoli e il risultato finale.

5.2.3 Vertici fotoni - scalari neutri

L’azione per scalari che si trasformano secondo l’aggiunta del gruppo di gauge e (v.(4.61)):

S (φ) =

∫d4x

1

2Dµφ ∗Dµφ =

=

∫d4x

1

2(∂µφ ∗ ∂µφ− ig (∂µφ ∗ [Aµ, φ]∗ + [Aµ, φ]∗ ∗ ∂µφ) +

−g2 [Aµ, φ]∗ ∗ [Aµ, φ]∗)

(5.55)

Vertice fotone - due scalari

Considerando il termine della lagrangiana d’interazione che genera il vertice a unfotone e due scalari, e sfruttando la ciclicita dello star prodotto sotto integrale (4.26)si ottiene:

iSint =g

2

∫d4x (∂µφ ∗ [Aµ, φ]∗ + [Aµ, φ]∗ ∗ ∂µφ) =

=g

∫d4x (Aµ ∗ φ ∗ ∂µφ− Aµ ∗ ∂µφ ∗ φ)

(5.56)

Passando nello spazio degli impulsi e usando (4.22):

iSint

(φ, A

)=g

∫d4x

d4pd4qd4k

(2π)12 Aµ (p) φ (q) φ (k) (−ikµ) ·

·e−ix(p+q+k)(e−

i2(p×q+p×k+q×k) − e−

i2(p×q+p×k−q×k)

) (5.57)

Ripetendo in questo caso il calcolo svolto nella sezione (5.1.1) per l’interazione aquattro scalari, si troverebbe che l’analogo del fattore F definito in (5.15) non esimmetrico per qualunque scambio degli impulsi ma soltanto per scambi fra impulsidei fotoni o degli scalari. Il vertice, contenendo un solo fotone, puo essere resosimmetrico soltanto rispetto a permutazioni degli impulsi degli scalari. Quindi in

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5.2. Regole di Feynman 71

questo caso e sufficiente riscrivere (5.57) nel modo seguente:

iSint

(φ, A

)=

g

2

∫d4x

d4pd4qd4k

(2π)12 Aµ (p) φ (q) φ (k) e−ix(p+q+k)·

·[(−ikµ)

(e−

i2(p×q+p×k+q×k) − e−

i2(p×q+p×k−q×k)

)+

+ (−iqµ)(e−

i2(p×q+p×k−q×k) − e−

i2(p×q+p×k+q×k)

)](5.58)

Di fatto ci si limita ad eliminare l’asimmetria proveniente dal fatto che uno deicampi φ e derivato e l’altro no. Infine estraendo la δ di conservazione ed usandolaper eliminare l’impulso del fotone si ottiene:

iSint

(φ, A

)=

∫d4qd4k

(2π)8 Aµ (−q − k) φ (q) φ (k) g (qµ − kµ) sinq×k

2(5.59)

che consente di identificare il fattore da associare al vertice secondo le regole diFeynman:

g (qµ − kµ) sinq×k

2(5.60)

dove q e k sono gli impulsi degli scalari, entrambi entranti, poiche la presenza diuna derivata definisce un verso per gli impulsi. Per come e stato costruito il fattore(5.60) e invariante sotto lo scambio q ↔ k, come e facile verificare.

Vertice due fotoni - due scalari

Il termine della lagrangiana d’interazione che genera il vertice a due fotoni e duescalari e:

Sint =− 1

2g2gµν

∫d4x

([Aν , φ]∗ ∗ [Aµ, φ]∗

)=

=− g2gµν

∫d4x (φ ∗ Aµ ∗ φ ∗ Aν − Aµ ∗ Aν ∗ φ ∗ φ)

(5.61)

Passando allo spazio degli impulsi:

iSint

(φ, A

)= −ig2gµν

∫d4x

d4pd4qd4kd4h

(2π)16 e−ix(p+q+k+h)φ (p) Aµ (q) φ (k) Aν (h) ·

·(e−

i2(p×q+p×k+p×h+q×k+q×h+k×h) − e−

i2(q×h+q×p+q×k+h×p+h×k+p×k)

)

(5.62)

Si procede esattamente come gia visto nei due casi precedenti. Stavolta la massi-ma simmetria che il fattore di vertice puo avere corrisponde a scambi fra impulsi

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72 II. Teorie di gauge

dei fotoni o degli scalari. Quindi nel riscrivere (5.62) e sufficiente considerare le 4permutazioni (p, q, k, h), (k, q, p, h), (p, h, k, q), (k, h, p, q) (l’ultima sara identica allaprima per la ciclicita dello star prodotto sotto integrale). Nel caso dei fotoni si puoconsiderare che la simmetrizzazione si riferisca agli impulsi o alle polarizzazioni; ela stessa cosa poiche a ciascun impulso viene fatta corrispondere sempre la stessapolarizzazione. Con passaggi analoghi a quelli descritti in precedenza si trova:

iSint

(φ, A

)=ig2gµν

∫d4pd4qd4k

(2π)12 φ (p) Aµ (q) φ (k) Aν (−p− q − k) ·

·(

sinp×q

2sin

p×k + q×k

2+ sin

q×k

2sin

p×q + p×k

2

) (5.63)

Quindi il fattore da associare al vertice secondo le regole di Feynman e:

ig2gµν

(sin

p×q

2sin

p×k + q×k

2+ sin

q×k

2sin

p×q + p×k

2

)(5.64)

dove p e k sono gli impulsi degli scalari, q e l’impulso di un fotone e l’impulsodell’altro fotone e stato eliminato con la conservazione dell’impulso. Gli impulsisono tutti orientati allo stesso modo, tutti entranti o tutti uscenti. E facile verificareche in effetti il fattore e invariante sotto lo scambio p ↔ k.

5.2.4 Vertice fotone - fermione di Majorana

L’azione per un fermione di Majorana che interagisce con il fotone e (v. (4.59)):

S(ψ, ψ, Aµ

)=

∫d4x

(iψ ∗ (γµ∂µ −m) ψ + gψ ∗ [γµAµ, ψ]∗

)(5.65)

Ad ogni vertice corrisponde un termine:

iSint =ig

∫d4x

d4pd4qd4k

(2π)12 ψ (p) γµAµ (q) ψ (k) ·

· (e−ipx ∗ e−iqx ∗ e−ikx − e−ipx ∗ e−ikx ∗ e−iqx)

=

=ig

∫d4pd4k

(2π)8 ψ (p) γµAµ (−p− k) ψ (k)(e−

i2(−p×k) − e−

i2(p×k)

)=

=− 2gγµ

∫d4pd4k

(2π)8 ψ (p) Aµ (−p− k) ψ (k) sinp×k

2

(5.66)

In questo caso non ci sono simmetrizzazioni dell’integrando da fare perche ognifattore corrisponde ad un campo distinguibile dagli altri tramite qualche numeroquantico. Il fattore da associare al vertice e:

2gγµ sink×p

2(5.67)

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5.2. Regole di Feynman 73

dove p e k sono gli impulsi del fermione e dell’antifermione rispettivamente, se con-siderati entrambi uscenti, o dell’antifermione e del fermione rispettivamente, se con-siderati entrambi entranti. Questo consegue dal tipo di operatori di creazione edistruzione contenuto nei campi ψ o ψ. In termini del fermione il vertice e:

2gγµ sinp×k

2(5.68)

dove p e l’impulso del fermione uscente e k l’impulso del fermione entrante.

5.2.5 Vertici a piu fotoni

L’azione e (v. (4.57)):

S = −1

4

∫d4xFµν ∗ F µν (5.69)

dove:

Fµν = ∂µAν − ∂νAµ − ig [Aµ, Aν ]∗ (5.70)

percio:

Sint =

∫d4x

[ig∂αAβ (x) ∗ Aγ (x) ∗ Aδ (x)

(gαγgβδ − gαδgβγ

)+

+g2

2Aα (x) ∗ Aβ (x) ∗ Aγ (x) ∗ Aδ (x)

(gαγgβδ − gαδgβγ

)] (5.71)

Vertice a tre fotoni

Il termine dell’azione che genera il vertice a tre fotoni e:

Sint = ig

∫d4x∂αAβ (x) ∗ Aγ (x) ∗ Aδ (x)

(gαγgβδ − gαδgβγ

)(5.72)

La massima simmetria del fattore di vertice corrisponde a scambi di tutti gli im-pulsi; per ottenere il fattore di vertice con questa simmetria occorre simmetrizzare(5.72) rispetto alle 4! permutazioni degli indici muti α, β, γ, δ. Questo equivale aconsiderare tutte le permutazioni degli impulsi perche, come osservato calcolando ilvertice a due fotoni e due scalari, ad ogni polarizzazione viene fatto corrisponderesempre lo stesso impulso. Alla fine dei calcoli, dopo aver eliminato un impulso conla δ di conservazione resta:

iSint =−g

3

∫d4pd4q

(2π)8 Aα (p) Aβ (q) Aγ (−p− q) sinp×q

·(gαβ (pγ − qγ) + gαγ(−2pβ − qβ

)+ gβγ (2qα + pα))

(5.73)

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74 II. Teorie di gauge

e quindi il fattore da associare al vertice e:

−g

3

(gαβ (pγ − qγ) + gαγ

(−2pβ − qβ)

+ gβγ (2qα + pα))sin

p×q

2(5.74)

dove p e q sono gli impulsi di due dei tre fotoni, tutti entranti poiche la derivata fissail verso degli impulsi in questo modo. All’impulso p corrisponde la polarizzazioneα, all’impulso q la polarizzazione β, all’impulso k = −p − q la polarizzazione γ. Ilfattore e simmetrico per lo scambio (p, α) ↔ (q, β).

Vertice a quattro fotoni

Il vertice a quattro fotoni e generato dal termine:

Sint =g2

2

∫d4xAα (x) ∗ Aβ (x) ∗ Aγ (x) ∗ Aδ (x)

(gαγgβδ − gαδgβγ

)(5.75)

Per ottenere un fattore di vertice simmetrico rispetto a tutti gli scambi degli impulsisi riscrive (5.75) simmetrizzando sulle 24 possibili permutazioni degli indici muti.Dopo aver eseguito i calcoli come nei casi precedenti ed aver eliminato un impulsocon la δ di conservazione si trova:

iSint =− ig2

6

∫d4pd4qd4k

(2π)12 Aα (p) Aβ (q) Aγ (k) Aδ (−p− q − k) ·

·[(

gαγgβδ − gαδgβγ)sin

p×k + q×k

2sin

p×q

2+

− (gαβgδγ − gαγgδβ

)sin

p×q + p×k

2sin

q×k

2+

− (gαδgγβ − gαβgγδ

)sin

p×q − q×k

2sin

p×k

2

]

(5.76)

Il fattore da associare al vertice e:

− ig2

6

[(gαγgβδ − gαδgβγ

)sin p×k+q×k

2sin p×q

2+

− (gαβgδγ − gαγgδβ

)sin p×q+p×k

2sin q×k

2+

− (gαδgγβ − gαβgγδ

)sin p×q−q×k

2sin p×k

2

] (5.77)

simmetrico per scambi delle coppie di indici (p, α), (q, β), (k, γ). Gli impulsi sonoorientati tutti allo stesso modo, sono tutti entranti o tutti uscenti.

5.2.6 Vertice fotone - ghosts

Calcolando valori di aspettazione di operatori O (A) invarianti di gauge:

〈O (A)〉 =

∫ DAeiS(A)O (A)∫ DAeiS(A)(5.78)

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5.2. Regole di Feynman 75

si trovano risultati privi di significato, poiche si integra sia su potenziali che corri-spondono a configurazioni fisiche differenti che su tutte le loro repliche di gauge, esiccome l’azione e invariante di gauge l’integrazione sulle (infinite) repliche di gaugenon e soppressa. Per risolvere questo problema si riscrive l’integrazione funzionale sututti i potenziali come integrazione sull’orbita di gauge di ogni potenziale, costituitada tutte le sue repliche di gauge, e poi sui potenziali che corrispondono a situazionifisiche differenti. L’integrazione sull’orbita di gauge puo essere espressa come inte-grazione sul gruppo; non dipendendo da A si semplifica nella normalizzazione delfunzionale generatore. Quindi l’integrazione funzionale e limitata ai potenziali checorrispondono a situazioni fisiche differenti, o piu in generale ad un’ipersuperficie cheintersechi ogni orbita di gauge un numero finito di volte. Nel procedimento di Fad-deev e Popov questa restrizione viene realizzata inserendo nell’integrale funzionaleil fattore:

∆f (A) δ(f

(AΩ

µ

))(5.79)

dove AΩµ indica la trasformata di gauge di Aµ. δ

(f

(AΩ

µ

))restringe l’integrazione

funzionale all’ipersuperficie scelta, identificata da f(AΩ

µ

)= 0; ad esempio f

(AΩ

µ

)=

∂µAΩµ . Il determinante di Faddeev e Popov ∆f (A) viene introdotto per mantenere

l’invarianza di gauge. E cosı definito:

∆f (A) =1∫

δΩδ(f

(AΩ

µ

)) (5.80)

dove∫

δΩ rappresenta l’integrazione sull’orbita di gauge scritta come integrazionesul gruppo. Supponendo che l’ipersuperficie intersechi ogni orbita di gauge una solavolta si puo limitare l’integrazione sull’orbita di gauge ad un intorno centrato suipotenziali Aµ appartenenti all’ipersuperficie, cioe tali che f (Aµ) = 0. Si riscrivequindi f

(AΩ

µ

)per trasformazioni di gauge infinitesime. Se ad esempio f

(AΩ

µ

)=

∂µAΩµ , si ha ∂µAΩ

µ = ∂µAµ + ∂µδΩAµ = ∂µδΩAµ.Nel caso commutativo abeliano si ha AΩ

µ = Aλµ = Aµ + ∂µλ; δΩAµ = ∂µλ

non dipende da Aµ, neanche ∆f (A) dipende da Aµ e quindi si semplifica nellanormalizzazione del funzionale generatore.

Nel caso commutativo nonabeliano vale Ω ' 1 − iga (x) λa con λa ∈ SU (N)con costanti di struttura fabc. Si ha AaΩ

µ = Aaµ − ∂µg

a − fabcAbµg

c e ∂µδΩAaµ =

∂µDacµ (A) gc, dove Dac

µ (A) e la derivata covariante della rappresentazione aggiuntascritta in componenti. Si puo calcolare ∆f (A) esplicitamente:

δ(∂µDac

µ (A) gc)

=1

det(∂µDac

µ (A))δ (gc) (5.81)

∆f (A) =1∫

δΩδ(∂µAΩ

µ

) =det

(∂µDac

µ (A))

∫δΩδ (gc)

= det(∂µDac

µ (A))

(5.82)

perche il fattore∫

δΩδ (gc) si semplifica nella normalizzazione del funzionale gene-ratore. Si scrive questo determinante come il risultato di un integrale gaussiano

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76 II. Teorie di gauge

fermionico nell’euclideo:

det(∂µDac

µ (A))

=

∫DcDc exp

(∫d4xca∂µDac

µ (A) cc

)=

=

∫DcDc exp

(−

∫d4x

(∂µca∂µc

a + ∂µcafabcAbµc

c)) (5.83)

c sono i ghosts: campi fittizi, fermionici, scalari (non hanno indici vettoriali o spino-riali), che compaiono solo nei loop. Sono solo una rappresentazione matematica delfattore det

(∂µDac

µ (A))

che serve a mantenere l’invarianza di gauge; tuttavia trat-tandoli come particelle che compaiono nei loop e piu facile vedere che contribuisconoalla cancellazione dei gradi di liberta non fisici della teoria.

Nel caso noncommutativo, come osservato nella sezione 4.2, sebbene il gruppo digauge sia U (1) la situazione e analoga a quella del caso commutativo nonabeliano.Ad esempio la trasformazione di gauge del potenziale Aµ dipende da Aµ stesso:

δαAµ = ∂µα− ig [Aµ, α]∗ (5.84)

quindi l’unitarieta della teoria richiede l’esistenza di un vertice a un fotone e dueghosts. Si puo verificare che il fattore da associare a questo vertice e [38, 52]:

2gpµ sinp×k

2(5.85)

dove p e l’impulso del ghost uscente e k e l’impulso del ghost entrante.

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Capitolo 6

Diagrammi di self energia

In questo capitolo calcolo i diagrammi di self energia del fotone, dello scalare neutroe del fermione di Majorana. Nel calcolare la self energia del fotone ho ripercorsoquanto esposto in [38], mentre la self energia dello scalare neutro e del fermione diMajorana non sono presenti nella letteratura.

Il calcolo dei diagrammi di self energia e interessante perche la self energia descri-ve la correzione alla propagazione libera delle particelle. Tenendo conto di questacorrezione e possibile ottenere le relazioni di dispersione, che caratterizzando le pro-prieta di propagazione delle particelle offrono un’opportunita di verifica sperimentaledei risultati.

6.1 Self energia del fotone

In questa sezione ripercorro il calcolo della self energia del fotone [38], adoperandoi vertici ricavati nella sezione 5.2. Considero in particolare i contributi specificidel caso noncommutativo, cioe quelli che coinvolgono particelle neutre: fermioni diMajorana, scalari neutri, fotoni stessi e ghosts. Seguendo il procedimento esposto in[38] non calcolo esattamente i vari contributi ma mi limito ad individuare la partedivergente e ad isolarne la dipendenza da θµν .

6.1.1 Contributo dei fermioni di Majorana

Il diagramma che descrive il contributo alla self energia del fotone dato dall’inserzionedi un loop di fermioni e riportato in figura 6.1. Il fattore di simmetria e stato definitonella sezione 5.1.1 come il numero di modi possibili in cui unire le linee per formareil diagramma, in cui pero non si considerano come differenti i modi che differisconosolo per permutazioni dei vertici, perche portano un n! che si semplifica con il fattoren!−1 proveniente dalla serie perturbativa. In questo caso il fattore di simmetria vale1.

77

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78 II. Teorie di gauge

p p

l

l-p

Figura 6.1: Contributo dei fermioni di Majorana

Usando il vertice (5.68) e gli impulsi definiti come in figura:

iΠµνf (p) =− 4g2

∫d4l

(2π)4

i

l2 −m2

i

(l − p)2 −m2tr (γµγργνγσ) ·

· (lρ + m) (lσ − pσ + m) sinl× (l − p)

2sin

(l − p)×l

2=

=− 4g2

∫d4l

(2π)4

tr (γµγργνγσ) (lρ + m) (lσ − pσ + m)

(l2 −m2)((l − p)2 −m2

) sin2 pl

2

(6.1)

dove pµ, definito in (5.25), e θµνpν ; quindi pl = l×p. Considerando il caso di grandiimpulsi del loop, cioe conservando solo la parte divergente:

iΠµνf (p) → iΠµν′

f (p) = −4g2

∫d4l

(2π)4

tr (γµγργνγσ) lρlσl4

sin2 pl

2(6.2)

Con un’identita trigonometrica:

sin2 pl

2=

1− cos pl

2=

1

2

(1− Re eipl

)(6.3)

e un’identita sulle tracce di matrici γµ:

tr (γµγργνγσ) lρlσ = 4 (gµρgνσ − gµνgρσ + gµσgνρ) lρlσ = 4(2lµlν − gµνl2

)(6.4)

si ottiene:

iΠµν′f (p) = −8g2

∫d4l

(2π)4

2lµlν − gµνl2

l4(1− Re eipl

)(6.5)

Usando le proprieta di simmetria dell’integrando si puo scrivere la parte dipendenteda θµν come:

iΠµν′f (p, θµν) = 8g2

∫d4l

(2π)4

2lµlν − gµνl2

l4eipl (6.6)

Infine:

iΠµν′f (p, θµν) = 16g2

∫d4l

(2π)4

lµlν

l4eipl − 8g2gµν

∫d4l

(2π)4

eipl

l2(6.7)

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6.1. Self energia del fotone 79

Questi integrali possono essere risolti con gli integrali notevoli riportati in appendice,(A.12) e (A.13), ottenendo:

iΠµν′f (p, θµν) = −4ig2

π2

pµpν

|p|4 (6.8)

6.1.2 Contributo degli scalari neutri

Gli scalari neutri contribuiscono alla self energia del fotone con due differenti dia-grammi. Per calcolarli si procede esattamente come gia fatto nel caso del fermionedi Majorana.

Primo diagramma

Fra i due contributi degli scalari neutri alla self energia del fotone considero perprimo quello in figura 6.2, che coinvolge il vertice a un fotone e due scalari. Ilfattore di simmetria del diagramma e 2.

p p

l

l-p

Figura 6.2: Contributo degli scalari: primo diagramma

Usando il vertice (5.60) si ha:

iΠµνs1 (p) =− 2g2

∫d4l

(2π)4

(2l − p)µ (2l − p)ν

(l2 −m2)((l − p)2 −m2

) ·

· sin(

l× (l − p)

2

)sin

((l − p)×l

2

)=

=2g2

∫d4l

(2π)4

(2l − p)µ (2l − p)ν

(l2 −m2)((l − p)2 −m2

) sin2 pl

2

(6.9)

Per grandi impulsi del loop si puo approssimare iΠµνs1 (p) cosı:

iΠµνs1 (p) → iΠµν′

s1 (p) =8g2

∫d4l

(2π)4

lµlν

l4sin2 pl

2=

=4g2

∫d4l

(2π)4

lµlν

l4(1− Re eipl

)(6.10)

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80 II. Teorie di gauge

L’unico contributo dipendente da θµν e:

iΠµν′s1 (p, θµν) = −4g2

∫d4l

(2π)4

lµlν

l4eipl (6.11)

ed usando l’integrale (A.12) riportato in appendice si ottiene:

iΠµν′s1 (p, θµν) = − ig2

2π2

(−2

pµpν

|p|4 +gµν

|p|2)

(6.12)

Secondo diagramma

Il diagramma che rappresenta il secondo contributo degli scalari neutri alla selfenergia del fotone coinvolge il vertice a due scalari e due fotoni; e rappresentato infigura (6.3). Il fattore di simmetria del diagramma e pari a 2.

l

p p

Figura 6.3: Contributo degli scalari: secondo diagramma

Adoperando il vertice (5.64) si trova che questo contributo ha la forma:

iΠµνs2 (p) = 2ig2gµν

∫d4l

(2π)4

i

l2 −m2·

·(

sin

(−p× (−l)

2

)sin

(p×l

2

)+ sin

(p× (−l)

2

)sin

(−p×l

2

))=

= 4ig2gµν

∫d4l

(2π)4

i

l2 −m2sin2 pl

2(6.13)

Per grandi impulsi del loop il contributo si riduce a:

iΠµνs2 (p) → iΠµν′

s2 (p) = −4g2gµν

∫d4l

(2π)4

1

l2sin2 pl

2(6.14)

Considerando soltanto la parte dipendente da θµν si trova, usando (A.13):

iΠµν′s2 (p, θµν) = 2g2gµν

∫d4l

(2π)4

eipl

l2=

ig2gµν

2π2 |p|2 (6.15)

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6.1. Self energia del fotone 81

In totale, combinando (6.12) e (6.15), si trova che il contributo degli scalari e:

iΠµν′s (p, θµν) =iΠµν′

s1 (p, θµν) + iΠµν′s2 (p, θµν) =

=− ig2

2π2

(−2

pµpν

|p|4 +gµν

|p|2)

+ig2gµν

2π2 |p|2 =

=ig2

π2

pµpν

|p|4

(6.16)

6.1.3 Contributo del settore di gauge

Il contributo del settore di gauge alla self energia del fotone e costituito dai dia-grammi con inserzioni di loop di fotoni e di ghosts.

Primo diagramma

Il primo diagramma coinvolge il vertice a tre fotoni; e riportato in figura 6.4. Ilfattore di simmetria del diagramma vale 18.

p p

l

l-p

Figura 6.4: Contributo dei fotoni: primo diagramma

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82 II. Teorie di gauge

Usando il vertice (5.74) e le polarizzazioni e gli impulsi definiti come in figura:

iΠµνg1 (p) =2g2

∫d4l

(2π)4 sin

((l − p)×p

2

·((−p− p + l)α gµρ + (p− l − l)µ gρα + (l + p)ρ gµα)·

·−igαβ

l2sin

((l − p)× (−l)

2

·((−l − l + p)ν gβσ + (l − p− p)β gσν + (p + l)σ gνβ

) −igρσ

(l − p)2 =

=2g2

∫d4l

(2π)4 ((l − 2p)α gµρ + (p− 2l)µ gρα + (l + p)ρ gµα) ·

· 1l2

((p− 2l)ν gαρ + (l − 2p)α δν

ρ + (p + l)ρ δνα

) 1

(l − p)2 sin2 pl

2

(6.17)

Per grandi impulsi del loop l’espressione da calcolare si semplifica molto:

iΠµνg1 (p) → iΠµν′

g1 (p) =2g2

∫d4l

(2π)4 (lαgµρ − 2lµgρα + lρgµα) ·

· 1l4

(−2lνgαρ + lαδνρ + lρδ

να

)sin2 pl

2=

=4g2

∫d4l

(2π)4

l2gµν + 5lµlν

l4sin2 pl

2

(6.18)

La parte dipendente da θµν e:

iΠµν′g1 (p, θµν) = −2g2

∫d4l

(2π)4 eipl

(gµν

l2+ 5

lµlν

l4

)(6.19)

Usando gli integrali (A.12) e (A.13) riportati in appendice si ottiene infine il risultato:

iΠµν′g1 (p, θµν) =

−g2i

4π2

(7gµν

|p|2 − 10pµpν

|p|4)

(6.20)

Secondo diagramma

Il secondo diagramma con cui il settore di gauge contribuisce alla self energia delfotone coinvolge il vertice a quattro fotoni; e riportato in figura (6.5). Il fattore disimmetria del diagramma e pari a 12.

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6.1. Self energia del fotone 83

p p

l

Figura 6.5: Contributo dei fotoni: secondo diagramma

Usando il vertice (5.77) si trova:

iΠµνg2 (p) =− 2ig2

∫d4l

(2π)4

[sin

(p× (−l)

2

)sin

(l× (−p)

2

) (gανgµβ − gαβgµν

)+

+ sin

(l×p

2

)sin

(l×p

2

) (gαβgµν − gαµgβν

)+

+ sin

(l× (−l)

2

)sin

(p× (−p)

2

) (gαµgβν − gανgµβ

)] −igαβ

l2=

=− 12g2gµν

∫d4l

(2π)4

1

l2sin2 pl

2

(6.21)

La parte dipendente da θµν risulta essere, usando (A.13):

iΠµνg2 (p, θµν) = 6g2gµν

∫d4l

(2π)4

eipl

l2=

3ig2gµν

2π2 |p|2 (6.22)

In questo caso il risultato e esatto, non deriva da un’approssimazione per grandiimpulsi del loop.

Terzo diagramma

Il terzo diagramma con cui il settore di gauge contribuisce alla self energia del fotonecoinvolge il vertice a un fotone e due ghosts; e riportato in figura (6.6). Il fattore disimmetria del diagramma e semplicemente 1. Usando il vertice (5.85) si trova chequesto contributo vale:

iΠµνg3 (p) = −4g2

∫d4l

(2π)4 i2lµ (l − p)ν

l2 (l − p)2 sin

(l× (l − p)

2

)sin

((l − p)×l

2

)=

= −4g2

∫d4l

(2π)4

lµ (l − p)ν

l2 (l − p)2 sin2 pl

2(6.23)

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84 II. Teorie di gauge

p p

l

l-p

Figura 6.6: Contributo dei ghost

in corrispondenza a grandi impulsi del loop si ha:

iΠµνg3 (p) → iΠµν′

g3 (p) = −4g2

∫d4l

(2π)4

lµlν

l4sin2 pl

2(6.24)

Considerando soltanto la parte dipendente da θµν e adoperando (A.12) si trova:

iΠµν′g3 (p, θµν) = 2g2

∫d4l

(2π)4

lµlν

l4eipl =

ig2

4π2

(−2

pµpν

|p|4 +gµν

|p|2)

(6.25)

In totale, combinando (6.20), (6.22) e (6.25), si trova che il contributo del settoredi gauge e:

iΠµν′g (p, θµν) =iΠµν′

g1 (p, θµν) + iΠµνg2 (p, θµν) + iΠµν′

g3 (p, θµν) =

=−g2i

4π2

(7gµν

|p|2 − 10pµpν

|p|4)

+3ig2gµν

2π2 |p|2 +

+ig2

4π2

(−2

pµpν

|p|4 +gµν

|p|2)

=

=2g2i

π2

pµpν

|p|4

(6.26)

6.1.4 Conclusioni

In questa sezione ho calcolato i contributi del fermione di Majorana, degli scalari edel settore di gauge alla self energia del fotone in una geometria noncommutativa,

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6.1. Self energia del fotone 85

seguendo il metodo esposto in [38]. I tre contributi sono rispettivamente:

iΠµν′f (p, θµν) = −4ig2

π2

pµpν

|p|4 fermioni di Majorana

iΠµν′s (p, θµν) =

ig2

π2

pµpν

|p|4 scalari neutri

iΠµν′g (p, θµν) =

2ig2

π2

pµpν

|p|4 settore di gauge

dove p, definito in (5.25), e:pµ = θµνpν (6.27)

Questi tre contributi sono stati ottenuti isolando la parte divergente nell’ultravio-letto (considerando il limite di grandi impulsi del loop) dei diagrammi nonplanari.Tuttavia si nota che non divergono poiche p−1 svolge il ruolo di un cutoff efficace.Questo e un esempio di come la noncommutativita possa migliorare il comporta-mento nell’ultravioletto dei diagrammi. Se si manda all’infinito il cutoff efficace,cioe si considera il limite p → 0, ricompare una divergenza quadratica. E lo stessotipo di divergenza che si trova per la self energia del fotone nelle teorie commutativetramite argomenti di power counting, sebbene poi il grado di divergenza possa essereridotto grazie all’invarianza di gauge.

In questo caso la divergenza che compare rimuovendo il cutoff efficace, essendolegata al limite degli impulsi esterni che tendono a zero, e una divergenza infrarossa.Questo effetto e gia stato descritto in generale nella sezione 5.1.4.

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86 II. Teorie di gauge

6.2 Self energia dello scalare neutro

In questa sezione calcolo la self energia di uno scalare neutro in uno spaziotempononcommutativo. Considero sia il contributo dovuto all’interazione con i fotoni,descritta dall’azione (4.61), che quello dovuto all’interazione tra scalari del tipo λφ4.Analogamente a quanto e stato fatto nel caso del fotone mi limito ad individuare laparte divergente di ogni diagramma e ad isolarne la parte dipendente da θµν .

6.2.1 Contributo dei fotoni

I fotoni contribuiscono alla self energia dello scalare tramite due differenti diagram-mi, dovuti ai vertici (5.60) e (5.64).

Primo diagramma

Il primo diagramma con cui i fotoni contribuiscono alla self energia di uno scalareneutro e riportato in figura 6.7. Il fattore di simmetria del diagramma e 4.

l

p-lp p

Figura 6.7: Contributo dei fotoni: primo diagramma

Utilizzando il vertice (5.60), e con gli impulsi definiti come in figura 6.7, si trova:

Σg1 (p) =4g2

∫d4l

(2π)4 (p + p− l)µ (p− l + p)ν ·

· sin (p− l)× (−p)

2sin

p× (l − p)

2

−i

l2gµν

i

(p− l)2 −m2=

=− 4g2

∫d4l

(2π)4

(2p− l)2

l2((p− l)2 −m2

) sin2 pl

2

(6.28)

Per grandi impulsi del loop vale:

Σg1 (p) → Σ′g1 (p) = −4g2

∫d4l

(2π)4

1

l2sin2 pl

2(6.29)

Considerando soltanto la parte dipendente da θµν ed adoperando (A.13) si trovainfine il risultato:

Σ′g1 (p, θµν) = 2g2

∫d4l

(2π)4

eipl

l2=

g2i

2π2 |p|2 (6.30)

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6.2. Self energia dello scalare neutro 87

Secondo diagramma

Il secondo diagramma con cui i fotoni contribuiscono alla self energia di uno scalareneutro e riportato in figura 6.8; ha un fattore di simmetria pari a 2.

l

p p

Figura 6.8: Contributo dei fotoni: secondo diagramma

Adoperando il vertice (5.64) si trova che questo contributo vale:

Σg2 (p) =2ig2gµν

∫d4l

(2π)4

−igµν

l2

[sin

p×l

2sin

p× (−p) + l× (−p)

2+

+ sinl× (−p)

2sin

p×l + p× (−p)

2

]=

=16g2

∫d4l

(2π)4

1

l2sin2 pl

2

(6.31)

Isolando la parte dipendente da θµν e usando (A.13) si trova direttamente il risultato:

Σg2 (p, θµν) = −8g2

∫d4l

(2π)4

eipl

l2= − 2ig2

π2 |p|2 (6.32)

In questo caso il risultato e esatto, non deriva da un’approssimazione per grandiimpulsi del loop.

Combinando (6.30) e (6.32) si trova che in totale, considerando soltanto la partedivergente e dipendente da θµν , il contributo dei fotoni e:

Σ′g (p, θµν) =Σ′

g1 (p, θµν) + Σg2 (p, θµν) =

=− 3ig2

2π2 |p|2(6.33)

6.2.2 Contributo degli scalari

Il diagramma che descrive il contributo di un loop di scalari alla self energia delloscalare e di nuovo il tadpole, ed e riportato in figura (6.9). Ha un fattore di simmetriapari a 12.

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88 II. Teorie di gauge

p p

l

Figura 6.9: Contributo degli scalari

Ripeto in modo leggermente diverso il calcolo gia svolto nell’euclideo nella sezione5.1.2, usando il vertice (5.52):

Σs (p) =− iλ2

6

∫d4l

(2π)4

i

l2 −m2

[cos

−p×l + p×l − l×l

2+

+ cos−p×l + p×l + l×l

2+ cos

−p×l − p×l + l×l

2

]=

=− iλ2

6

∫d4l

(2π)4

i

l2 −m2(2 + cos p×l)

(6.34)

Per grandi impulsi del loop si puo approssimare Σs (p) cosı:

Σs (p) → Σ′s (p) =

λ2

6

∫d4l

(2π)4

1

l2(2 + cos p×l) (6.35)

Considerando solo la parte dipendente da θµν e usando (A.13) si trova infine:

Σ′s (p, θµν) =

λ2

6

∫d4l

(2π)4

eipl

l2=

iλ2

24π2 |p|2 (6.36)

6.2.3 Conclusioni

In questa sezione ho calcolato la self energia di uno scalare neutro in una teorianoncommutativa, considerando l’interazione del campo scalare con il campo di gaugee con se stesso. I contributi sono (v. (6.33) e (6.36)):

Σ′g (p, θµν) = − 3ig2

2π2 |p|2 fotoni

Σ′s (p, θµν) =

iλ2

24π2 |p|2 scalari neutri

Come gia visto nella sezione 6.1 nel caso della self energia del fotone, questi termini,che rappresentano la parte divergente nell’ultravioletto dei diagrammi nonplanari,sono regolarizzati dal termine p−2 dovuto alla noncommutativita. La divergenzaricompare se p → 0, cioe nel limite infrarosso; questo e un altro esempio dellaconnessione tra infrarosso e ultravioletto che si manifesta in queste teorie.

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6.3. Self energia del fermione di Majorana 89

6.3 Self energia del fermione di Majorana

In questa sezione calcolo la self energia ad un loop di un fermione di Majorana, con-siderando soltanto l’interazione del fermione con il campo di gauge. Diversamentedalle sezioni precedenti in questo calcolo non mi limito ad individuare la parte di-vergente e dipendente da θµν ma calcolo esattamente il risultato, senza tralasciarenessun contributo.

E interessante notare che lo stesso calcolo nel caso di un fermione di Dirac portaad un risultato identico a quello del caso commutativo [52], poiche i due fattoriassociati ai vertici si combinano per dare un fattore di fase uguale ad 1. Per unfermione di Majorana invece la presenza della noncommutativita e rilevante.

Il diagramma che descrive la self energia del fermione e quello in figura 6.10.

Figura 6.10: Self energia del fermione di Majorana

Adoperando il vertice (5.68) si trova:

−iΣ(2) =4g2

∫d4k

(2π)4γα −igαβ

k2 + iε

i (γµpµ − γµkµ + m)

(p− k)2 −m2 + iεγβ·

· sin (p− k)×p

2sin

p× (p− k)

2=

=4g2

∫d4k

(2π)4

1

k2 + iε

γµpµ − γµkµ − 2m

(p− k)2 −m2 + iε

(1− Re eip×k

)

(6.37)

Per dare senso agli integrali e necessario passare all’euclideo con una rotazione diWick:

ip0M =p0

E

(pµkµ)M =− (p·k)E

(6.38)

Per rotazione di Wick il termine ip×k diventa:

ip×k =ip0Mθ0iki + ipiθi0k0M + ipiθ

ijkj =

=− p0Eθ0iki − piθi0k0E + ipiθ

ijkj

(6.39)

Pero questa espressione, oltre ad essere poco maneggevole nei calcoli, rompe espli-citamente l’invarianza di Lorentz. Mi limito quindi al caso particolare in cui:

θ0i = 0 (6.40)

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90 II. Teorie di gauge

D’altronde, come gia notato nella sezione 3.2, le teorie in cui θ0i non e nullo hannovari problemi di unitarieta e causalita, quindi la condizione (6.40) e abbastanzanaturale. D’ora in poi continuo a scrivere ipiθ

ijkj = ip×k sottintendendo questacondizione. Effettuando la rotazione di Wick si ottiene:

−iΣ(2) = 4g2

∫(d4k)M

(2π)4

1

(k2)M + iε

(γµpµ)M − (γµkµ)M − 2m((p− k)2)

M−m2 + iε

(1− Re eip×k

)=

= 4ig2

∫(d4k)E

(2π)4

1

(k2)E

(γµpµ)E − (γµkµ)E + 2m((p− k)2)

E+ m2

(1− Re eip×k

)(6.41)

cioe:

Σ(2) = 4g2

∫(d4k)E

(2π)4

1

(k2)E

− (γµpµ)E + (γµkµ)E − 2m((p− k)2)

E+ m2

(1− Re eip×k

)(6.42)

D’ora in poi il pedice E che contraddistingue le grandezze euclidee viene omesso.A questo punto l’operazione di parte reale puo uscire dall’integrale:

Σ(2) =4g2

∫d4k

(2π)4

1

k2

−γµpµ + γµkµ − 2m

(p− k)2 + m2+

− 4g2 Re

∫d4k

(2π)4

1

k2

−γµpµ + γµkµ − 2m

(p− k)2 + m2eip×k

(6.43)

Per risolvere (6.43) lo spezzo in quattro integrali:

A =

∫d4k

(2π)4

1

k2

1

(p− k)2 + m2(6.44)

Bµ =

∫d4k

(2π)4

1

k2

(p− k)2 + m2(6.45)

C =

∫d4k

(2π)4

1

k2

1

(p− k)2 + m2eip×k (6.46)

Dµ =

∫d4k

(2π)4

1

k2

(p− k)2 + m2eip×k (6.47)

cosı che:

Σ(2) = 4g2 ((−γµpµ − 2m) (A− Re C) + γµ (Bµ − Re Dµ)) (6.48)

Comincio quindi a risolvere il primo integrale, A. Come nell’esempio svolto nellasezione 5.1.2, conviene usare la parametrizzazione di Schwinger:

1

k2 + m2=

∫ ∞

0

dαe−α(k2+m2) (6.49)

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6.3. Self energia del fermione di Majorana 91

Risolvendo gli integrali gaussiani che ne derivano ottengo:

A =

∫d4k

(2π)4

1

k2

1

(p− k)2 + m2=

=

∫ ∞

0

∫ ∞

0

∫d4k

(2π)4 e−αk2

e−β((p−k)2+m2) =

=

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2−αβp2

α+β1

16π2 (α + β)2

(6.50)

E possibile procedere analogamente per calcolare gli altri tre integrali:

Bµ =

∫d4k

(2π)4

1

k2

(p− k)2 + m2=

=

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−β(p2+m2)∫

d4k

(2π)4kµe−(k2(α+β)−2pβk) =

=

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2−αβp2

α+βpµβ

16π2 (α + β)3

(6.51)

C =

∫d4k

(2π)4

1

k2

1

(p− k)2 + m2eip×k =

=

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2−αβp2

α+β e−p2

4(α+β)1

16π2 (α + β)2

(6.52)

Dµ =

∫d4k

(2π)4

1

k2

(p− k)2 + m2eip×k =

=

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2−αβp2

α+β e−p2

4(α+β)1

16π2 (α + β)3

(pµβ +

ipµ

2

)

Re Dµ =

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2−αβp2

α+β e−p2

4(α+β)pµβ

16π2 (α + β)3

(6.53)

Riunendo i quattro integrali:

Σ(2) =4g2 ((−γµpµ − 2m) (A− Re C) + γµ (Bµ − Re Dµ)) =

=

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2−αβp2

α+βg2

4π2 (α + β)2 ·

·(−αγµpµ

α + β− 2m

)(1− e−

p2

4(α+β)

)(6.54)

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92 II. Teorie di gauge

A questo punto riporto gli impulsi esterni nel minkowskiano; p non cambia a causadi (6.40):

Σ(2) =

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2−αβp2E

α+βg2

4π2 (α + β)2

(−α (γµpµ)E

α + β− 2m

)(1− e−

p2

4(α+β)

)

=

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2+αβp2

Mα+β

g2

4π2 (α + β)2 ·

·(

α (γµpµ)M

α + β− 2m

)(1− e−

p2

4(α+β)

)

(6.55)

D’ora in poi tralascio il pedice M intendendo che le grandezze sono minkowskiane.E possibile distinguere in Σ(2) una parte planare, Σ

(2)pl , e una parte nonplanare,

Σ(2)npl:

Σ(2) = Σ(2)pl − Σ

(2)npl (6.56)

Σ(2)pl =

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2+αβp2

α+βg2

4π2 (α + β)2

(αγµpµ

α + β− 2m

)(6.57)

Σ(2)npl =

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2+αβp2

α+β− p2

4(α+β)g2

4π2 (α + β)2

(αγµpµ

α + β− 2m

)(6.58)

La parte planare e proporzionale al risultato che si trova nel caso commutativo perla self energia dell’elettrone. Si nota ancora una volta come le regole di Feynmancomprendano correttamente entrambi i contributi, planare e nonplanare, che poipossono essere facilmente separati isolando la dipendenza da θµν .

Regolarizzo Σ(2) come gia fatto nella sezione 5.1.2, cioe moltiplicandolo perexp− (Λ2 (α + β))

−1:

Σ(2) (Λ) =

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2+αβp2

α+β e− 1

Λ2(α+β)g2

4π2 (α + β)2

(αγµpµ

α + β− 2m

)(1− e−

p2

4(α+β)

)

(6.59)Si nota che:

Σ(2)npl (Λ) = Σ

(2)pl (Λeff ) (6.60)

dove:1

Λ2eff

=1

Λ2+

p2

4(6.61)

Esattamente come nel caso della sezione 5.1.2, si osserva che la parte nonplanaree uguale alla parte planare in cui il cutoff e sostituito dal cutoff efficafe definito in(6.61). Anche la definizione del cutoff efficace e uguale a quella della sezione 5.1.2.

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6.3. Self energia del fermione di Majorana 93

Per calcolare l’integrale planare non regolarizzato Σ(2)pl faccio riferimento al pro-

cedimento seguito da [53] nel caso commutativo. Il punto di partenza e quindi:

Σ(2)pl =

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−βm2+αβp2

α+βg2

4π2 (α + β)2

(αγµpµ

α + β− 2m

)(6.62)

Per ricondurre Σ(2)pl all’integrale calcolato in [53] pongo α → iα, β → iβ ottenendo:

Σ(2)pl =

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−iβm2+ iαβp2

α+βg2

4π2 (α + β)2

(αγµpµ

α + β− 2m

)(6.63)

Introduco nell’integrale Σ(2)pl un fattore di scala comune per α e β:

1 =

∫ ∞

0

dρδ (α + β − ρ) (6.64)

ottenendo:

Σ(2)pl =

∫ ∞

0

∫ ∞

0

∫ ∞

0

dβe−iβm2+ iαβp2

α+β δ (α + β − ρ)g2

4π2 (α + β)2

(αγµpµ

α + β− 2m

)

(6.65)Cambio variabile ponendo α = ρa, β = ρb:

Σ(2)pl =

∫ ∞

0

da

∫ ∞

0

dbδ (a + b− 1)g2

4π2(aγµpµ − 2m)

∫ ∞

0

ρeiρ(abp2−bm2) (6.66)

dove ho sfruttato il fatto che la δ forza a + b = 1. A questo punto regolarizzol’integrale:

Σ(2)pl (Λ) =

∫ ∞

0

da

∫ ∞

0

dbδ (a + b− 1)g2

4π2(aγµpµ − 2m)

∫ ∞

0

ρ

(eiρ(abp2−bm2) − e−iρaΛ2

)

(6.67)Poi uso l’identita:∫ ∞

0

ρ(exp iρ (z1 + iε)− exp iρ (z2 + iε)) = ln

z2

z1

(6.68)

ottenendo:

Σ(2)pl (Λ) =

∫ ∞

0

da

∫ ∞

0

dbδ (a + b− 1)g2

4π2(aγµpµ − 2m) ln

−aΛ2

abp2 − bm2=

=

∫ 1

0

dag2

4π2(aγµpµ − 2m) ln

aΛ2

(1− a) (m2 − ap2)=

=

∫ 1

0

dag2

4π2(aγµpµ − 2m)

(ln a + ln

Λ2

m2− ln (1− a)− ln

(1− ap2

m2

))=

=g2

4π2

(−2m ln

Λ2

m2+

γµpµ

2ln

Λ2

m2+ 2m

(ln

(1− p2

m2

)(1− m2

p2

)− 1

)+

−γµpµ

2

(−3

2+ ln

(1− p2

m2

)(1− m4

p4

)− m2

p2

))(6.69)

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94 II. Teorie di gauge

Infine:

Σ(2) (Λ) = Σ(2)pl (Λ)− Σ

(2)pl (Λeff ) =

=g2

4π2

(−2m ln

Λ2

m2+

γµpµ

2ln

Λ2

m2− γµpµ

2ln

Λ2eff

m2+ 2m ln

Λ2eff

m2

)=

=g2

8π2(−4m + γµpµ) ln

Λ2

Λ2eff

(6.70)

6.3.1 Conclusioni

In questa sezione ho calcolato esplicitamente la self energia di un fermione di Majo-rana, trovando conferma a molte osservazioni generali della sezione 5.1.4. Si trovadi nuovo un cutoff efficace che va come p−1 (v. (6.61)), in analogia a quanto trovatonella sezione 5.1.2. Di conseguenza la self energia mostra la divergenza infrarossa giatrovata nella sezione 5.1.2 calcolando la self energia dello scalare senza approssima-zioni. Tuttavia il grado di divergenza e diverso: nel caso dello scalare si trattava diuna divergenza quadratica, in questo caso la divergenza infrarossa viene dal termineln p2 e quindi e logaritmica.

Anche in questo caso calcolando esplicitamente l’azione effettiva si troverebbeuna manifestazione della connessione fra ultravioletto e infrarosso.

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6.4. Relazioni di dispersione 95

6.4 Relazioni di dispersione

In questa sezione esploro le conseguenze fisiche dei calcoli dei diagrammi di selfenergia ricavando le corrispondenti relazioni di dispersione.

6.4.1 Relazione di dispersione per il fotone

Il risultato della sezione 6.1 e che la parte divergente dei diagrammi nonplanari checontribuiscono alla self energia del fotone e:

iΠµν′ (p, θµν) = ikg2 pµpν

|p|4 (6.71)

dove k e una costante che dipende dal numero di fermioni di Majorana e scalarineutri presenti nella teoria. Si considera il caso in cui l’unica componente di θµν nonnulla e θ12 = −θ21. L’inverso del propagatore libero e:

igµν

4p2 (6.72)

quindi al secondo ordine l’inverso del propagatore corretto e:

i

4

(gµν

(p2

0 − p23 − P 2

)− 4kg2 pµpν

|p|4)

(6.73)

dove P µ e la proiezione dell’impulso spaziale sul piano (1, 2). Per identificare ilcontenuto fisico della relazione (6.73) e sufficiente esaminare un caso semplice, adesempio si considera che la componente di P µ lungo la direzione 1 sia nulla, cosıche pµ = P µ e orientato lungo la direzione 1. Per un fotone con vettore di pola-rizzazione perpendicolare a P si trova una relazione di dispersione identica al casocommutativo:

p20 = p2

3 + P 2 (6.74)

Per un fotone con vettore di polarizzazione parallelo a P , si trova una relazione didispersione modificata:

p20 = p2

3 + P 2 + 4kg2 1

P 2(6.75)

La noncommutativita fa sı che la relazione di dispersione dipenda dalla direzionedi polarizzazione. Si usa quindi concludere (v. ad esempio [38]) che l’invarianzadi Lorentz e completamente persa. Infatti generalmente non viene data sufficienterilevanza alla seguente osservazione: a livello fondamentale la teoria e ancora inva-riante di Lorentz per costruzione. Un esempio di una simile situazione e fornito dalcaso descritto nella sezione 3.1, dedicata alla meccanica quantistica di un oscillatoreimmerso in un campo magnetico. La presenza del campo esterno riduce la simmetriaper traslazioni del contesto fisico considerato, permettendo cosı di individuare un

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96 II. Teorie di gauge

sistema di riferimento privilegiato, ma non implica affatto che la teoria fondamen-tale abbia perso qualche simmetria. D’altronde l’apparente rottura della simmetriacaratterizza solo la teoria effettiva, che non coinvolge esplicitamente il campo ester-no. A livello della teoria fondamentale l’invarianza di Lorentz e manifesta se si tieneconto delle leggi di trasformazione del campo esterno.

6.4.2 Relazione di dispersione per il fermione di Majorana

Nella sezione 6.3 ho trovato (v. (6.70)):

Σ(2) (p) =g2

8π2(γµpµ − 4m0) ln

Λ2

Λ2eff

(6.76)

dove m0 e la massa nuda che appare nella lagrangiana, e Λ2eff e definito come (v.

(6.61)):1

Λ2eff

=1

Λ2+

p2

4(6.77)

Il propagatore e:i

γµpµ −m0 − Σ (p)(6.78)

al secondo ordine:i

γµpµ −m0 − Σ(2) (p)(6.79)

La relazione di dispersione e quella che fornisce il polo del propagatore. Al secondoordine:

γµpµ −m0 − Σ(2) (p) = 0 (6.80)

cioe:

γµpµ −m0 − g2

8π2(γµpµ − 4m0) ln

Λ2

Λ2eff

= 0 (6.81)

Ricordando la definizione di Λ2eff :

lnΛ2

Λ2eff

= ln

(1 +

p2Λ2

4

)(6.82)

si ha:γµpµ (1− A)−m0 (1− 4A) = 0 (6.83)

dove:

A =g2

8π2ln

(1 +

p2Λ2

4

)(6.84)

Una conveniente caratterizzazione del polo del propagatore, cioe dello zero di (6.83),si ottiene tramite la relazione:

(γµpµ (1− A) + m0 (1− 4A)) (γµpµ (1− A)−m0 (1− 4A)) = 0 (6.85)

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6.4. Relazioni di dispersione 97

che equivale a:p2 (1− A)2 −m2

0 (1− 4A)2 = 0 (6.86)

e ricordando la definizione di A:

p2

(1− g2

8π2ln

(1 +

p2Λ2

4

))2

−m20

(1− g2

2π2ln

(1 +

p2Λ2

4

))2

= 0 (6.87)

Si nota che se la massa m0 e nulla la relazione di dispersione e del tipo p2 = 0.Quindi se inizialmente m0 = 0 le inserzioni di self energia non danno luogo ad unamassa fisica non nulla per il fermione di Majorana.

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98 II. Teorie di gauge

6.5 Implicazioni fenomenologiche

Dopo aver valutato quantitativamente alcune grandezze derivanti dalla geometrianoncommutativa di tipo canonico, e interessante cercare di identificare predizioniche si prestino a verifica sperimentale. Infatti, eventuali risultati sperimentali ricon-ducibili a parametri di noncommutativita θµν non nulli non solo testimonierebberodella rilevanza di queste teorie, ma fornirebbero anche un’indiretta evidenza speri-mentale in favore delle teorie di stringa, e quindi avrebbero ripercussioni profondenell’identificazione di una teoria che descriva correttamente le leggi fondamentalidella Natura. Evidenze di questo tipo avrebbero ugualmente molto peso nello stabi-lire la rilevanza o meno di queste teorie se, anziche determinare i θµν , individuasserosolo dei limiti superiori al valore di questi parametri, poiche ne risulterebbero deivincoli sperimentali alla costruzione di teorie di stringa. Questo e particolarmentesignificativo visto che sono estremamente rare [54] le opportunita di ottenere infor-mazioni sperimentali sulle teorie che tentano di unificare la meccanica quantistica ela relativita generale.

Di fatto c’e gia stato un impegno notevole nell’identificazione di limiti sperimen-tali sui θµν , che nella maggior parte dei casi (si vedano, ad esempio, gli studi in[55, 56, 57]) e stato incentrato su analisi di dati ottenuti in regimi di bassissimeenergie, cioe studiando le interazioni di particelle con impulsi quasi nulli. Tutta-via i limiti sui θµν cosı ottenuti potrebbero essere scarsamente significativi, comesi puo capire osservando che, come ho enfatizzato in parte di questo lavoro di tesi,nell’infrarosso le teorie noncommutative presentano caratteristiche nuove, che riflet-tono la connessione fra ultravioletto ed infrarosso, e che in ultima analisi segnalanoun’inconsistenza di queste teorie nell’infrarosso. Questa inconsistenza fa sı che ladescrizione effettiva delle teorie di stringa in un campo esterno come teorie di campononcommutative non sia piu valida nel regime infrarosso [58].

I miei risultati sulla self-energia di alcune particelle neutre, e l’associata de-formazione della relazione di dispersione, suggeriscono un metodo alternativo perdeterminare di limiti sperimentali sui θµν , evitando di basarsi su dati di basse ener-gie. Infatti, e stato recentemente rilevato che l’analisi di alcuni tipi di osservazioniastrofisiche consente di mettere limiti molto significativi sull’ipotesi di una deforma-zione della relazione di dispersione nel vuoto. Nel caso dei fotoni la deformazionedella relazione di dispersione puo essere verificata tramite osservazioni di “gamma-ray bursts” e di fotoni di alte energie prodotti dalle galassie attive Mk421 ed Mk501[54, 59, 60, 61]. Analogamente, limiti significativi sulle deformazioni della relazionedi dispersione dei fermioni di Majorana possono essere ottenuti da osservazioni deineutrini di alte energie emessi da alcune supernova (del tipo della supernova 1987a)[54].

Da un confronto tra le relazioni di dispersione ottenute in questa tesi ed i relatividati sperimentali sara quindi possibile ottenere limiti significativi sui parametri θµν ,e questi limiti non saranno invalidati dalle inconsistenze delle teorie noncommutativenel regime infrarosso. Questa analisi fenomenologica e rinviata a studi futuri.

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Capitolo 7

Conclusioni

In questa tesi ho esaminato due questioni rilevanti per individuare l’eventuale ruolodella geometria noncommutativa all’interno delle teorie di stringhe. Nella primaparte ho studiato le limitazioni sulla localizzazione di eventi (capitolo 2), connessecon la possibilita che un qualche tipo di geometria noncommutativa possa essereusato per la riformulazione esatta della teoria di stringa a livello fondamentale.Nella seconda parte (capitoli 5 e 6), ho studiato alcune proprieta delle teorie dicampo su uno spaziotempo noncommutativo canonico, rilevanti per la possibilitache le geometrie noncommutative di tipo canonico possano essere utili come teorieeffettive delle teorie di stringa, cioe che ne descrivano bene le caratteristiche in uncerto limite.

Il punto di partenza per il lavoro di ricerca da me riportato nel capitolo 2 so-no alcuni recenti studi [21, 22, 23] svolti in ambito di teoria di stringa a propositodelle proprieta di nuovi costituenti della teoria, le D-particles. In [21, 22, 23] e sta-to suggerito che le collisioni tra D-particles potrebbero identificare una regione dicollisione molto piccola, di dimensioni lineari addirittura minori della lunghezza distringa. I miei studi hanno chiarito quali sono le implicazioni di questi risultati perla determinazione di un limite assoluto alla localizzazione di un evento in teorie distringa. I limiti di localizzazione sono ritenuti una importante e generale caratte-ristica delle teorie che unificano la meccanica quantistica e la relativita generale, evengono spesso usati per motivare una descrizione fondamentale dello spaziotempoin termini di una geometria noncommutativa. Infatti una geometria commutati-va non consente l’introduzione di limiti assoluti sulla misurabilita delle coordinatespaziotemporali. Tramite l’analisi di un gedanken experiment con la struttura delmicroscopio di Heisenberg, in cui il ruolo di probe e target era svolto da D-particles,ho ottenuto un nuovo limite assoluto sulla localizzazione di un evento. La partespaziale di questo limite riflette il contenuto dei precedenti studi [21, 22, 23], ovverodescrive una localizzazione spaziale che e piu accurata del limite che ci si aspette-rebbe sulla base di una analisi dimensionale basata sulla lunghezza di stringa. Imiei studi hanno pero evidenziato che una cosı elevata localizzazione spaziale puoessere ottenuta solo al prezzo di rinunciare ad una buona localizzazione tempora-

99

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100 7. Conclusioni

le dell’evento. Questi risultati contribuiscono ad una caratterizzazione fisica dellanatura dello spaziotempo che emerge in teorie di stringa, e potrebbero fornire utilispunti per la ricerca di una geometria noncommutativa che possa essere usata peruna riformulazione esatta delle teorie di stringa.

Il mio lavoro di ricerca riportato nei capitoli 5 e 6 ha preso l’avvio da alcunirecenti studi [10, 32, 62, 63, 64, 27, 38, 35] sulla costruzione di teorie di gauge inuna geometria noncommutativa di tipo canonico, che fornisce una descrizione ef-fettiva delle teorie di stringa in presenza di campi esterni di un certo tipo. Questistudi precedenti avevano evidenziato alcune proprieta del regime infrarosso, enfa-tizzandone le implicazioni per la struttura della relazione di dispersione dei fotoni.Dalla mia analisi e emerso che caratteristiche analoghe hanno validita piu generale:in questo tipo di geometria noncommutativa tutte le particelle neutre hanno unarelazione dispersione deformata, ed il termine aggiuntivo introdotto dalla noncom-mutativita della geometria non e ben definito nell’infrarosso. Per ciascun tipo diparticella neutra si trova una diversa relazione di dispersione, in particolare per ineutrini la deformazione della relazione di dispersione ha una dipendenza dal qua-drimpulso molto caratteristica, mentre per i fotoni c’e una forte dipendenza dallapolarizzazione, ma gli aspetti qualitativi del regime infrarosso sono comuni. Sfrut-tando i miei risultati sulle relazioni di dispersione delle particelle neutre si possonoindividuare nuove strategie sperimentali per cercare evidenze di questo tipo di geo-metria noncommutativa; tali evidenze rappresenterebbero anche un indizio indirettoin favore della rilevanza delle teorie di stringa nella descrizione della Natura. Comeho sottolineato nella sezione 6.5, finora la fenomenologia di queste teorie e statastudiata basandosi su esperimenti a basse energie, che tuttavia non possono fornirerisultati significativi, poiche nel regime infrarosso le teorie noncommutative hannovari problemi di consistenza, tanto che la connessione con le teorie di stringa vienepersa. Nella sezione 6.5 propongo un approccio radicalmente diverso alla fenomeno-logia di queste teorie, basato su osservazioni astrofisiche che coinvolgono particelledi alte energie, in grado di fornire affidabili limiti sperimentali sui parametri checaratterizzano la geometria noncommutativa.

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Appendice A

Formule utili

Formule trigonometriche

Riporto qui alcune semplici formule trigonometriche, utili per manipolare i fattorida associare ai vertici della teoria noncommutativa secondo le regole di Feynman.

Dalle espressioni del coseno e del seno della somma di angoli segue:

sin a cos b =1

2(sin (a + b) + sin (a− b))

cos a sin b =1

2(sin (a + b)− sin (a− b))

cos a cos b =1

2(cos (a + b) + cos (a− b))

sin a sin b =1

2(− cos (a + b) + cos (a− b))

(A.1)

ovvero:

sin p + sin q =2 sinp + q

2cos

p− q

2

sin p− sin q =2 cosp + q

2sin

p− q

2

cos p + cos q =2 cosp + q

2cos

p− q

2

cos p− cos q =− 2 sinp + q

2sin

p− q

2

(A.2)

ed anche:

sin2 α

2=

1− cos α

2=

1

2

(1− Re eiα

)(A.3)

101

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102 Appendice

Integrali utili

Riporto qui alcuni integrali utili nello svolgere i calcoli relativi ai diagrammi di selfenergia della teoria noncommmutativa.

I notissimi integrali gaussiani:

∫ +∞

−∞e−(ax+b)2dx =

√π

a(A.4)

∫ +∞

−∞xe−(ax+b)2dx = − b

a

√π

a(A.5)

possono essere estesi al caso di variabili euclidee quadridimensionali, ottenendo:

∫e−(ax+b)2d4x =

(√π

a

)4

(A.6)

∫xe−(ax+b)2d4x = − b

a

(√π

a

)4

(A.7)

dove ogni variabile e integrata da −∞ a +∞.Tramite prolungamento analitico dell’integrale gaussiano si trova l’integrale di

Fresnel: ∫ +∞

−∞ei(ax+b)2dx = e

iπ4

√π

a(A.8)

L’integrale di Fresnel permette di calcolare i seguenti integrali su variabili minkow-skiane:

∫ei(ax+b)2d4x = −i

(√π

a

)4

(A.9)

∫xei(ax+b)2d4x = i

b

a

(√π

a

)4

(A.10)

Studiando diagrammi a un loop della teoria noncommutativa e necessario ado-perare i seguenti risultati:

∫d4l

(2π)4

eipl

l4=

i

8π2(ln Λ− ln |p|) (A.11)

∫d4l

(2π)4

lµlν

l4eipl =

i

8π2

(−2

pµpν

|p|4 +gµν

|p|2)

(A.12)

∫d4l

(2π)4

eipl

l2=

i

4π2 |p|2 (A.13)

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Formule utili 103

dove pl = pµlµ = lµθµνpν = l×p. Per verificare questi tre risultati occorre ricordare

la parametrizzazione di Schwinger per propagatori nel minkowskiano:

i

k2 −m2=

∫ ∞

0

dαeiα(k2−m2) (A.14)

Ad esempio, per calcolare (A.11) si comincia sfruttando (A.9) e (A.14):

∫d4l

(2π)4

eipl

l4=

i

16π2

∫ ∞

0

dαdβ

(α + β)2 e−i(p)2

4(α+β) (A.15)

A questo punto si procede analogamente a quanto fatto per risolvere l’integrale dellaself energia del fermione di Majorana, nella sezione 6.3. Si introduce un fattore discala comune per α e β:

i

16π2

∫ ∞

0

dαdβ

(α + β)2 e−i(p)2

4(α+β) =i

16π2

∫ ∞

0

dαdβ

(α + β)2 e−i(p)2

4(α+β)

∫ ∞

0

dρδ (ρ− α− β) =

=i

16π2

∫ ∞

0

dαdβ

∫ ∞

0

ρe−i

(p)2

4ρ δ (α + β − 1) =i

16π2

∫ ∞

0

dy

ye−i(p)2y (A.16)

Si regolarizza l’integrando moltiplicandolo per e−iΛ2y e lo si risolve grazie all’identita(6.68):

i

16π2

∫ ∞

0

dy

ye−i(p)2y → i

16π2

∫ ∞

0

dy

y

(e−i(p)2y − e−iΛ2y

)=

i

16π2ln

Λ2

(p)2 (A.17)

(A.12) puo essere ottenuto facilmente da (A.11):

∫d4l

(2π)4

lµlν

l4eipl = − ∂

∂pµ

∂pν

∫d4l

(2π)4

eipl

l4(A.18)

Infine (A.13) si ottiene come (A.11), sfruttando (A.9) e (A.14).

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104 Appendice

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