Spazio e Tempo - Istituto Nazionale di Fisica Nucleareandrea/seminari/spaziotempo.pdf23 Settembre...

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23 Settembre 2006 Spazio e Tempo il tessuto dell’ Universo Andrea Rappoldi 1 M. C. Escher: “Altro Mondo” (1947) 1 Istituto Nazionale di Fisica Nucleare - Sezione di Pavia e-mail: [email protected] 1

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23 Settembre 2006

Spazio e Tempoil tessuto dell’ Universo

Andrea Rappoldi1

M. C. Escher: “Altro Mondo” (1947)

1Istituto Nazionale di Fisica Nucleare - Sezione di Paviae-mail: [email protected]

1

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1 IntroduzioneLa nostra esperienza quotidiana difficilmente ci fa soffermare l’ attenzione sui signifi-cati profondi che si possono attribuire ai concetti di spazio e di tempo. A prima vista,sembra trattarsi di due entità completamente diverse ed indipendenti, ciascuna dotatadelle sue proprie caratteristiche e peculiarità.

Lo spazio, infatti, siamo abituati a pensarlo e a considerarlo come il teatro entroil quale sono contenuti tutti i fenomeni naturali e l’ Universo stesso, mentre il tempoviene pensato solitamente come il fluire regolare e continuo di un parametro universaleche ci da la misura dell’ evoluzione di qualunque fenomeno o sistema dinamico.

Tuttavia, uno dei maggiori successi del progresso scientifico degli ultimi cento anniconsiste proprio nel fatto di aver capito (e dimostrato) che le due entità spazio e tempo,così apparentemente diverse tra loro, non sono altro che due diversi aspetti del concettodi distanza che separa due qualsiasi punti distinti dell’ Universo. Per essere più precisi,la scienza del XX secolo ci ha mostrato che l’ Universo in cui viviamo ha la strutturageometrica di uno spazio a 4 dimensioni, di cui 3 dimensioni sono di tipo spaziale epossono essere assimilate alle ordinarie dimensioni dello spazio geometrico tridimen-sionale (a tutti noi molto familiare), mentre la quarta dimensione, di tipo temporale,descrive correttamente la ”direzione” verso cui evolvono spontaneamente tutti i feno-meni naturali ed i processi macroscopici (quali ad esempio le forme viventi, i sistemiplanetari, ecc.).

Questo breve lavoro si propone di descrivere in modo molto elementare gli svilup-pi della scienza moderna che hanno portato alla concezione dello spazio–tempo a 4dimensioni, che costituisce a tutt’ oggi il solido fondamento di tutte le teorie fisiche di-mostrabili sperimentalmente, che riescono a spiegare con notevole precisione la quasitotalità dei fenomeni noti, in tutta la scala di dimensioni che si estende dal mondo sub–microscopico delle particelle elementari, fino a coprire la scala dell’ intero Universoosservabile.

2 Il concetto di spazio in fisicaIl concetto di spazio in fisica è talmente intiutivo che risulta quasi difficile darne unadescrizione. Chiunque di noi, guardandosi intorno, percepisce il fatto che, oltre la po-sizione in cui ci si trova, esistono un’ infinità di oggetti ed entità, ognuno dei qualioccupa una propria posizione. È possibile dare una descrizione qualitativa di tali posi-zioni medianti semplici indicazioni (in alto, a destra, dietro, ecc.), ma è anche possibiledarne una descrizione molto più precisa e quantitativa, ricorrendo alla matematica.

O U P

0 1 3.5 Distanza (cm)

r

Figura 1: Sulla retta r sono definiti il punto origine O ed il punto U, che definiscel’ unità di misura. La posizione di qualunque altro punto P può essere definita medianteil valore della sua coordinata, ossia la sua distanza dall’ origine (misurata nel versodel punto U).

2

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In matematica esiste il concetto di spazio, inteso come una sorta di ”ambiente” o”contenitore” ove è possibile posizionare e localizzare degli oggetti. Un esempio moltosemplice di spazio matematico è rappresentato da una linea retta, sulla quale è possibileidentificare e localizzare uno qualunque dei punti che la costituiscono, semplicemen-te specificandone la distanza in cui si trova, misurata a partire da un certo punto diriferimento, detto origine.2

La Fig. 1 mostra una retta sulla quale è definito il punto di origine O. Una voltadefinita l’ unità di misura mediante il punto U, il quale per definizione si trova a di-stanza 1 dall’ origine, è possibile identificare qualsiasi altro punto sulla retta, come adesempio il punto P, semplicemente indicando la sua distanza dall’ origine.

Il valore di tale distanza rappresenta la coordinata3 del punto.Nell’ esempio di Fig. 1 il punto P, che si trova a 3.5 cm dall’ origine, sarà dunque

caratterizzato dall’ avere la sua coordinata pari a 3.5.

2

3

4

5

1

6

7

8

a b c d e f g h

Figura 2: La superficie di gioco di una comune scacchiera è suddivisa in caselle bian-che e nere. La posizione di ognuna di esse può essere determinata con due coordinate:la colonna, indicata con una lettera, e la riga, indicata con un numero. Per entrambele coordinate, l’ origine, ovvero il punto di riferimento, è costituito dall’ angolo dellascacchiera situato un basso a sinistra (indicato con un cerchietto bianco). Così, adesempio, la pedina rappresentata con il cerchio nero si trova nella casella e6, corri-spondente all’ incrocio della quinta colonna (da sinistra a destra) con la sesta riga(dal basso verso l’ alto) della scacchiera.

L’ insieme di tutti i punti (infiniti) che costituiscono una retta rappresenta un esem-pio di spazio in cui la posizione di ogni punto è univocamente determinata medianteuna sola coordinata (la distanza dall’ origine). Tale spazio si estende dunque in unasola dimensione, e costituisce pertanto uno spazio unidimensionale. Un esempio mol-to comune di spazio unidimensionale può essere dato dal percorso rappresentato daun’ autostrada. È molto semplice identificare ogni casello o area di servizio presentelungo l’ autostrada specificandone semplicemente il chilometro a cui si trova.

2In realtà, per poter stabilire in modo univoco la posizione di un punto su di una retta, è necessario definirenon solo l’ origine, ma anche l’ unità della misura utilizzata per la distanza, come mostrato in Fig. 1.

3(la coordinata può assumere un valore negativo nel caso un cui il punto in esame si trovi dalla parteopposta, rispetto all’ origine, del punto U

3

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Una volta compresa la struttura di uno spazio unidimensionale, è abbastanza im-mediato estendere il concetto verso gli spazi a più dimensioni. Ad esempio, è ben notoa tutti (ed anche abbastanza intuitivo) che per poter localizzare una posizione su unasuperficie (quale la superficie di gioco di una scacchiera), è necessario fare ricorso adue coordinate indipendenti per poter indicare la riga e la colonna di una qualunquecasella della scacchiera, come mostrato in Fig. 2.

Lo stesso criterio di bidimensionalità vale nel caso in cui si voglia localizzare unaqualunque posizione sulla superficie terrestre, per la quale occorre utilizzare due coor-dinate, quali ad esempio la latitudine (che indica la distanza dall’ equatore, assuntocome origine, misurata in direzione Nord–Sud), e la longitudine, che rappresenta in-vece la distanza dal meridiano di Greenwich (assunto come origine) misurata lungo ladirezione Est–Ovest.4

Est

Nord

Alt.

Figura 3: Vista tridimensionale del quartirere di Manhattan. La posizione di ogni ap-partamento abitato è facilmente (ed unicamente) individuabile mediante le tre coordi-nate: Est, Nord ed Altitudine oppure, in modo del tutto equivalente: Avenue, Strada ePiano.

A questo punto diventa piuttosto facile estendere ulteriormente il numero di di-mensioni di uno spazio. È ben noto a tutti, dalla geometria elementare, che l’ ambientein cui viviamo è costituito da uno spazio tridimensionale, nel quale sono necessarietre coordinate indipendenti per poter individuare la posizione di qualunque oggetto.Sappiamo infatti che due dimensioni sono più che sufficienti per poter localizzare unaqualunque posizione su una carta geografica o sulla mappa di una città, ma se vogliamo

4Per i più esperti: l’ esempio relativo alla superficie terrestre è in realtà leggermente più complicato diquello della scacchiera, in quanto si ha a che fare con una superificie sferica anziché piana. In tal caso, infatti,vi sono dei punti di anomalia (costituiti dal polo Nord e dal polo Sud) per i quali la coordinata longitudineperde di significato: quando ci trova in uno dei poli, non ha più alcun senso parlare di Est o di Ovest !

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indicare con esattezza la posizione di una qualunuqe abitazione, è necessario ricorreread un’ ulteriore coordinata, rappresentata dall’ altezza o dal numero del piano (nel casodi un edificio).

La Fig. 3 mostra uno scorcio dell’ isola di Manhattan, a New York, la quale risultaattraversata in modo piuttosto regolare da un reticolo formato dalle Avenue (orienta-te secondo la direzione Nord–Sud) e dalle Strade (orientate secondo la direzione Est–Ovest). Pertanto, è piuttosto facile individuare un edificio in tale sistema di riferimento,in modo del tutto analogo a quanto già visto per il caso della scacchiera (ad esempio:incrocio tra la

���Avenue con la ��� � Strada), ma se vogliamo localizzare un particolare

appartamento, occorre precisare anche il piano a cui si trova. Così, ad esempio, l’ abi-tazione di un nostro collega americano potrebbe essere univocamente indicata con laseguente terna di coordinate:

���Avenue, ��� � Strada, ��� piano.

Avendo ora in mente, almeno intuitivamente, il concetto di spazio tridimensionale,non dovrebbe risultare difficile capire come questo possa costituire il teatro in cui simanifestano i più svariati fenomeni fisici. Così, ad esempio, se pensiamo ad un bol-lettino meteorologico, in cui vengono elencate le temperature rilevate in varie località,non dovrebbe stupire il fatto che tutte queste informazioni possono venire in qualchemodo espresse, almeno in linea di principio, mediante una particolare relazione che,usando il linguaggio matematico, viene indicata come funzione delle coordinate.

Più precisamente, si può esprimere questo concetto utilizzando la seguente nota-zione: � �����������������

(1)

che può essere letta come: ”T è funzione di�

,�

e�”, ed è da intendersi nel modo

seguente:”per ogni possibile combinazione di valori delle coordinate

�,�

e�, la temperatura

�assume un suo preciso valore”.

Il significato appare chiaro se si pensa, ad esempio, ad�

come la coordinata dilatitudine,

�come la longitudine, e

�come valore corrispondente all’ altitudine. In tal

caso, infatti, la funzione���������������

non è altro che la mappa della temperatura, chedipende non solo della località (individuata da latitudine e longitudine, cioè da

�ed�

),ma anche dall’ altitudine (si pensi alla diminuzione della temperatura all’ aumentaredella quota).

Questo esempio molto semplice ha permesso di introdurre un concetto fisicopiuttosto complesso e ricco di significati, ovvero il concetto di campo.

Un campo rappresenta una grandezza fisica (quale ad esempio la temperatura) chedipende dalla posizione, ovvero che può assumere valori diversi a seconda del valoreassunto dalle coordinate nel punto dello spazio in cui la grandezza stessa viene misuratao calcolata.

Un campo fisico può essere di tipo piuttosto semplice, come il campo di tempe-ratura descritto nell’ esempio precedente; in tal caso la grandezza in questione risultacompletamente descritta e perfettamente specificata mediante un semplice valore nu-merico, dipendente naturalmente dalle coordinate

�,�

e�. Un campo di questo tipo

viene propriamente indicato come campo scalare, di cui un esempio è mostrato inFig. 4 a sinistra.

D’ altra parte, vi sono grandezze fisiche per le quali non è sufficiente un solo va-lore numerico per specificarne le proprietà, ma è necessario fornire più informazioni.Per rimanere nell’ ambito meteorologico, si pensi ad esempio ad una mappa tridimen-sionale del vento (indispensabile per la navigazione aerea). In tal caso per ogni valoredelle tre coordinate (latitudine, longitudine, quota) è necessario specificare non solo

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-2

-1.5

-1

-0.5

0

0.5

1

1.5

2

-2 -1 0 1 2-1

0

1

2

3

4

x

y

-2

-1.5

-1

-0.5

0

0.5

1

1.5

2

-2 -1 0 1 2x

y

Figura 4: A sinistra: esempio di rappresentazione grafica di un campo scalare. In ognipunto dello spazio la grandezza fisica associata al campo assume un particolare va-lore numerico (rappresentato da una diversa tonalità di colore). A destra: esempio dirappresentazione di un campo vettoriale. In questo caso in ogni punto dello spazio lagrandezza fisica associata al campo presenta non solo un valore di intensità, ma anchedi direzione, rispettivamente rappresentati dalla lunghezza e dall’ orientazione di unafreccia.

l’ intensità del vento (o meglio, la sua velocità), ma anche la sua direzione. In tal casosi ha a che fare con un cosiddetto campo vettoriale, in quanto la funzione che dipendedalle coordinate

�,�

e�

deve fornire sia un valore di intensità che di direzione, il cheè facilmente esprimibile utilizzando particolari oggetti matematici detti vettori, che so-no direttamente paragonabili a delle frecce, la cui lunghezza equivale all’ intensità delcampo, mentre l’ orientamento corrisponde alla direzione, come mostrato nel graficodella parte destra di Fig. 4.

I campi rappresentano delle grandezze fisiche che possono assumere un particolarevalore in ogni punto dello spazio.

3 Il concetto di tempo in fisicaGli esempi illustrati nel capitolo precedente riguardano grandezze fisiche quali la tem-peratura o la velocità del vento (descritte mediante opportuni campi scalari o vettoriali),il cui valore dipende solamente dalla posizione, ovvero dal valore delle coordinate

�,�

e�.In realtà la maggior parte dei fenomeni fisici riguarda sistemi in evoluzione, ovvero

mutevoli nel tempo. Questo significa che la grandezza fisica in esame dipende non solodalla posizione (coordinate spaziali), ma anche dall’ istante in cui essa viene misurata.

Si consideri ad esempio un semplice sistema meccanico costituito da una piccolamassa sferica appesa ad una molla.

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t = 1 s t = 3 s t = 5 st = 0 t = 2 s t = 4 s

2

0

1

3

4

L (cm)

Figura 5: Moto di oscillazione di una massa appesa ad una molla. La figura mostrale diverse posizioni assunte della massa sferica in diversi istanti (t=0, t=1 s, ecc.). Laposizione della massa è facilmente identificabile con la lunghezza della molla, misuratasulla scala riportata nella parte più a sinistra della figura.

Supponiamo che tale sistema si trovi inizialmente in equilibrio, per cui la molla,sottoposta al peso dell’ oggetto appeso ad essa si allunga di una quantità tale per cui lasua reazione elastica (ovvero la forza di richiamo, che si oppone al suo allungamento)risulta tale da contrastare esattamente il peso dell’ oggetto. In tale situazione la forzapeso dell’ oggetto e la forza di richiamo della molla si equilibrano a vicenda, ed ilsistema risulta assolutamente statico ed immobile. Se per un breve istante viene eserci-tata una certa forza in senso verticale (verso il basso, ad esempio) sulla massa sferica,l’ effetto sarà quello di provocare un ulteriore allungamento della molla, la quale, unavolta cessata la forza aggiuntiva, tenderà a richiamare verso l’ alto la massa sferica.Questa inizierà dunque a muoversi verso l’ alto, acquistando velocità e facendo al tem-po stesso accorciare la molla. Ad un certo punto la molla raggiungerà la lunghezza cheaveva a riposo (ovvero senza la sollecitazione dovuta al peso della massa appesa), equindi non eserciterà più alcuna forza di richiamo sull’ oggetto sferico. Ma siccometale oggetto si sta muovendo con una certa velocità verso l’ alto, non potrà fermarsidi colpo, a causa dell’ inerzia dovuta alla sua massa, e pertanto proseguirà a muoversiverso l’ alto, cominciando a comprimere la molla. Man mano che la molla si comprime(ovvero presenta una lunghezza inferiore alla sua lunghezza a riposo), questa comince-rà ad esercitare una certa forza sull’ oggetto sferico, diretta verso il basso. L’ effetto ditale forza sarà quello di rallentare il movimento di salita dell’ oggetto, fino a che questosi fermerà. Ma una volta raggiunta questa condizione, la molla si troverà con un certogrado di compressione, per cui continuerà ad esercitare sull’ oggetto la sua forza versoil basso, causandone il moto discendente.

È facile intuire che tale moto continuerà fino a che la molla risulterà abbastanzaallungata da poter esercitare una forza di richiamo verso l’ alto, del tutto equivalente aquella che inizialmente ha causato l’ abbandono dello stato di equilibrio del sistema.

In queste condizioni si avrà dunque che la massa appesa alla molla continuerà amuoversi alternativamente verso l’ alto e verso il basso, causando una serie di allun-gamenti e compressioni della molla, come mostrato in Fig. 5. Tale sistema viene detto

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oscillatore armonico.5

È possibile analizzare l’ evoluzione del sistema effettuando una serie di misurerelative alla posizione della massa sferica (rappresentata, ad esempio, dalla lunghezza�

della molla) in istanti successivi. Riportando su un grafico i valori di�

misurati invari istanti, si ottiene una figura simile a quella mostrata in Fig. 6 dove, per semplicitàsono mostrati solo i valori relativi a 6 misurazioni (indicate con i pallini bianchi). Sesi effettuassero molte più misure, cercando di coprire il più possibile tutte le posizionidell’ oscillatore, si troverebbe che la posizione della massa sferica in funzione del temposegue l’ andamento mostrato in Fig. 6 dalla linea continua che collega i punti.

4.0

3.5

3.0

2.5

2.0

1.5

1.0

0.5

0.0

0 1 2 3 4 5Tempo (s)

Lun

ghez

za (c

m)

Figura 6: La lunghezza della molla del semplice oscillatore meccanico mostrato inFig. 5, misurata in vari istanti (pallini bianchi), risulta variare nel tempo in modo re-golare e prevedibile, seguendo una precisa regola matematica (funzione seno) indicatadalla linea rossa.

Dal punto di vista matematico, tale linea rappresenta il grafico di una funzione, cheperò assume un significato fisico molto diverso da quello già visto per i campi descrittinel Cap. 2.

Nel caso dell’ oscillatore, infatti, è possibile esprimere la posizione della sfera infunzione del tempo, ovvero: � ������ !�

(2)

dove viene messo in evidenza il fatto che la lunghezza L della molla dipende daltempo.6

Vi sono fenomeni fisici che si evolvono nel tempo, per cui possono essere descritti dauna grandezza che è funzione del tempo. Nei fenomeni di oscillazione, la funzionerisulta periodica, ovvero ripete invariato il suo andamento nel tempo.

5Su tale principio si basano tutti i meccanismi atti alla misura del tempo, quali gli orologi a bilancere.6Più precisamente, la dipendenza di L dal tempo è del tipo: "$#%"'&�(*)*+-,/.�021'3�4 , dove "5& rappresenta la

lunghezza a riposo della molla, ) è l’ ampiezza dell’ oscillazione, mentre 1 è la frequenza dell’ oscillatore.

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4 Spazio e tempo insiemeLe entità fisiche descritte nel Cap. 2 (campi estesi nello spazio) e Cap. 3 (oscillazio-ni nel tempo) sembrano descrivere fenomeni che interessano una sola delle possibiliestensioni dell’ Universo (spazio o tempo).

Tuttavia, la maggior parte dei fenomeni fisici si estendono contestualmente nel-lo spazio e nel tempo, come nel caso molto semplice delle onde, che ora verrannodescritte.

Le onde costituiscono in un certo senso l’ insieme delle due entità viste finora, erappresentano infatti dei campi in oscillazione.

L’ esempio più immediato ed intuitivo è costituito dalle onde che si propagano suuno specchio d’ acqua, inizialmente in stato di quiete, in seguito ad una perturbazione,causata ad esempio dal lancio di un sasso.

-5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5

-5-4

-3-2

-10

12

34

5

-1

0

1

2

3

4

Figura 7: Simulazione di un onda prodotta sulla superficie dell’ acqua in seguito allacaduta di un sasso. L’ immagine, che rappresenta l’ onda ”fotografata” in un de-terminato istante, consente di valutare l’ entità della perturbazione in funzione delladistanza dal centro (punto di caduta del sasso).

L’ onda non è altro che la propagazione di tale perturbazione, dal punto in cuiha avuto origine (dove il sasso è entrato in acqua) alle sue immediate vicinanze. Masiccome l’ onda che si genera costituisce a sua volta una perturbazione dello specchiod’ acqua, ecco che essa, a sua volta, è in grado di generare un’ onda in una regione unpo’ più lontana dal centro, e così via, formando i caratteristici cerchi sulla superficiedell’ acqua, che si allontanano progressivamente dal centro.

Se si effettua una fotografia istantanea dei cerchi mentre si propagano, si nota cheessi non sono altro che una perturbazione della superficie dell’ acqua (intesa come sco-

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stamento, sia verso l’ alto che verso il basso, rispetto al livello assunto in stato di quiete)che assume valori differenti in funzione della distanza dal centro, come mostrato nellaFig. 7, che riproduce un’ onda simulata al calcolatore.

Dunque, l’ immagine istantanea di un’ onda rappresenta un vero e proprio campo,ovvero una grandezza fisica (in questo caso la perturbazione della superficie dell’ ac-qua) la cui intensità o ampiezza dipende solo dalle coordinate spaziali

�ed�

,7in mododel tutto analogo a quanto indicato nell’ espressione (1).

D’ altra parte, se ci si posiziona in un punto fisso dello spazio (in questo caso, dellasuperficie dell’ acqua) e si misura l’ andamento nel tempo della perturbazione causatadal passaggio dell’ onda, si trova un’ andamento simile a quello mostrato in Fig. 8.

-1

0

1

2

3

4

5

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10Tempo (s)

Alte

zza

(cm

)

Figura 8: Andamento, in funzione del tempo, della perturbazione prodotta sulla su-perficie dell’ acqua al passaggio dell’ onda. La perturbazione viene misurata comescostamento della superficie dal suo livello di quiete.

In tal caso si ha la variazione di una grandezza fisica in funzione del tempo,esattamente come nel caso dell’ oscillatore, riassunto dall’ espressione (2).

Risulta allora chiaro che le onde rappresentano un’ entità fisica che possiede sia lecaratteristiche di un campo, sia le caratteristiche di un fenomeno variabile nel tempo,come un oscillatore.

Dunque, la corretta rappresentazione matematica di un’ onda deve tener conto siadella dipendenza spaziale, sia della dipendenza temporale, e può quindi venir espressacon una relazione del tipo: 6 �������7�!�����8�! !�

(3)

con ovvio significato dei simboli.

5 I fenomeni ondulatoriIl semplice esempio appena visto, consente di analizare alcune caratteristiche moltointeressanti dei fenomeni fisici in cui vi sia la presenza di onde.

Si consideri il caso, molto semplice, di un’ oscillazione che si propaghi lungo unacorda tesa. Senza entrare troppo nei dettagli, è abbastanza semplice dimostrare che la

7Nel caso in esame, trattandosi della deformazione di una superficie, si ha che fare con un campo bidi-mensionale. In modo del tutto analogo si potrebbe considerare il campo tridimensionale associato all’ ondadi compressione dell’ aria causato da un’ esplosione.

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relazione matematica che esprime l’ ampiezza dell’ oscillazione della corda in funzionedello spazio e del tempo è del tipo:6 � 6:9�;�<2= ��>? �@A�CBED��

(4)

dove>

rappresenta la frequenza dell’ oscillazione, mentreD

rappresenta la lunghezzad’ onda, ovvero la distanza fra due ”creste” (o due ”ventri”) dell’ onda, come mostratoin Fig. 9, dove viene visualizzata l’ onda ”fotografata” in un certo istante.

-1

0

1

2

3

4

5

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

λ

Figura 9: Definizione della lunghezza d’ ondaD

.

Se si analizza ora la configurazione che l’ onda descritta dall’ equazione (4) assumein diversi istanti, si ottiene la serie di immagini mostrata in Fig. 10.

Appare subito evidente una caratteristica molto importante: la forma dell’ onda,”fotografata” in diversi istanti, rimane nel suo complesso invariata, mentre quello checambia, col passare del tempo, è la posizione dell’ onda. Più precisamente, interpretan-do la serie di immagini mostrate in Fig. 10 come se fosse la sequenza di fotogrammi diun filmato, se ne deduce immediatamente che l’ onda si sta muovendo verso destra.8

Questo fatto, di notevole importanza, può essere riformulato nel modo seguente:

Un’ onda può essere intepretata come un campo in movimento.

Nella concezione più generale, dunque, i campi devono essere pensati non più comedelle entità statiche, che esprimono i valori di una grandezza fisica in funzione dellesole coordinate spaziali, ma piuttosto come delle entità dinamiche, in cui la grandezzaespressa dal campo risulta funzione anche del tempo.

Tali considerazioni rivestono un ruolo molto importante nella fisica moderna che,come verrà accennato nel Cap. 9, trova nella teoria quantistica dei campi il suo piùcompleto significato.

6 L’ unificazione dello spazio–tempoAppare dunque evidente, per quanto appena visto, che la descrizione dei fenomeni fisicirichiede necessariamente il coinvolgimento sia delle coordinate spaziali, sia del tempo.

8Questo fatto può venir facilmente interpretato notando che la funzione indicata in (4) ripresenta lo stessovalore numerico per tutti i valori di F e 3 tali che 1'3�GIHJK#MLONP+RQ!S , ovvero FT#ULONP+RQ!SV(W18X*YZ3 . Dunquel’ onda presenta la stessa ampiezza per tutti gli F tali che F[#\18X:Y�3 , e quindi per analogia con la formuladel moto rettilineo uniforme F[#^]_3 se ne deduce che i punti di uguale ampiezza si muovono con velocitàdata da ]`#W18X , che costituisce dunque la velocità dell’ onda.

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0

0.5

1

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

t = 0 s

0

0.5

1

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

t = 1 s

0

0.5

1

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

t = 2 s

0

0.5

1

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

t = 3 s

0

0.5

1

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10Distanza (cm)

t = 4 s

Figura 10: La successione di grafici di ampiezza dell’ onda, relativi a differenti istanti,mostra che la forma dell’ onda, nel suo complesso, non varia, ma si sposta nello spazio(verso destra, nell’ esempio mostrato).

Per questo motivo risulta abbastanza spontaneo cercare di considerare le due co-se nel loro insieme, supponendo che anche il tempo possa rappresentare una sorta dicoordinata lungo la quale si estendono i fenomeni fisici, in modo del tutto analogoall’ estensione nello spazio.

Ecco allora che nella fisica moderna il tempo viene considerato a tutti gli effetti unacoordinata, talvolta chiamata coordinata temporale per distinguerla dalle coordinatespaziali già ben note.

Se si assume tale punto di vista, ci si trova quindi a trattare i fenomeni fisici con-siderandoli immersi in uno spazio che si sviluppa, globalmente, in 4 dimensioni (3spaziali ed una temporale), denominato spazio–tempo. Tale concetto, piuttosto difficileda assimilare, in quanto non supportato né dall’ esperienza comune, né dalle normalipercezioni, risulta tuttavia estremamente semplice da rappresentare matematicamente.

In matematica, infatti, il passaggio da uno spazio a 3 dimensioni ad uno spazioa 4 dimensioni non ha assolutamente nulla di più complicato del passaggio da unospazio a 1 dimesione (linea) ad uno spazio a 2 dimensioni (superficie), o da uno spaziobidimensionale (superficie) ad uno tridimensionale (volume).9

9Il passaggio da 2 a 3 dimensioni è già stato affrontato nel Cap. 2, quando è stata presa in cosiderazionela reale estensione di una città, con i suoi edifici a più piani, a partire dalla sua rappresentazione su una cartastradale.

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Dal punto di vista pratico, purtroppo, risulta impossibile dare la rappresentazionedi uno spazio quadridimensionale, per cui spesso si cerca di semplificare il problematrattando le 3 dimensioni spaziali come se fossero una sola (che rappresenta generica-mente lo ”spazio”), e contrapponendola alla dimensione temporale, la quale riveste ilsuo diverso ruolo (il ”tempo”).

Fatta questa convenzione, risulta allora immediato fornire una rappresentazione deifenomeni fisici, nello spazio–tempo quadridimensionale, utilizzando dei semplici gra-fici o diagrammi, che per loro natura sono obbligati a giacere nelle due dimensioni diuna pagina stampata.

Tem

po

Spazio

Tem

po

Spazio

Tem

po

Spazio

l

a) b) c)

rpq

Figura 11: Linee di universo di alcuni sistemi fisici. In a) viene mostrato il caso di unoggetto immobile: il valore delle sua coordinate spaziali rimane assolutamente inva-riato al passare del tempo. In b) viene mostrata la linea d’ universo (retta p) di unoggetto che si muove con velocità costante, per cui il valore delle coordinate spazialevaria linearmente col tempo: a �cb%d�

. La linea q si riferisce ad un oggetto che simuove con velocità maggiore del precedente (la linea risulta infatti più inclinata). Inc), infine, viene mostrato il moto di un oscillatore: l’ oggetto torna periodicamente adassumere la stessa posizione in istanti successivi.

Supponendo di utilizzare la scala orizzontale per rappresentare le coordinate spa-ziali (riunite in una sola) e la scala verticale per rappresentare la coordinata tempora-le,10 vediamo alcuni esempi di descrizione di sistemi fisici. In un grafico di questo tipo,qualunque oggetto o sistema fisico può essere rappresentato da una linea, detta linead’ universo che rappresenta la correlazione tra la posizione assunta dall’ oggetto (coor-dinate spaziali) nel vari istanti di tempo in cui l’ oggetto esiste (coordinata temporale).La linea d’ universo consiste di fatto in una traiettoria nello spazio–tempo.

Pertanto, un oggetto immobile, le cui coordinate spaziali non cambiano nel tempo,è rappresentato da una linea retta verticale, che simboleggia il fatto che, con il passaredel tempo, l’ oggetto continua a trovarsi sempre nella stessa posizione, come mostratoin Fig. 11a.

È da notare che in questo schema, anche un corpo perfettamente immobile risultadescritto da una sua propria traiettoria (nello spazio–tempo). Infatti, pur essendo essofermo nello spazio, risulta costantemente in movimento nel tempo.

Un corpo che si muove nello spazio con velocità costante (moto rettilineo unifor-me), risulta invece descritto da una delle linee d’ universo mostrate in Fig. 11b, lacui inclinazione dipende dalla velocità del moto. In tal caso, infatti, vale la relazionea � b$dV

.Infine, un oggetto dotato di moto periodico (oscillatore), risulta raffigurato dal-

10Questa è la convenzione normalmente utilizzata nei testi di fisica. La scelta opposta è comunquealtrettanto valida.

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la linea d’ universo r mostrata in Fig. 11, dove è evidente che l’ oggetto ritornaperiodicamente ad occupare la stessa posizione al passare del tempo.

Il formalismo dello spazio–tempo quadridimensionale consente di trattare in modomolto semplice tutti i casi legati al moto di sistemi fisici (ovvero quella parte dellafisica nota con il nome di cinematica), in quanto il moto di un oggetto si traducesemplicemente in una linea o traiettoria nello spazio–tempo.

Tuttavia, all’ inizio del ventesimo secolo sorsero alcuni seri problemi, legati sostan-zialmente allo studio delle proprietà della luce e dei campi elettromagnetici, che hannoportato ad una radicale modifica del modo di trattare la cinematica, dando origine allafamosa teoria della relatività ristretta formulata da Albert Einstein.

7 Spazio e tempo nel quadro della relatività ristrettaUno dei fondamenti della fisica, scienza sperimentale, consiste nel fatto che i fenomeniche essa descrive devono essere esattamente riproducibili in luoghi e tempi diversi, for-nendo gli stessi risultati. Naturalmente, quando si dice stessi risultati, è sottointeso chebisogna, a volte, tener conto dei differenti sistemi di riferimento in cui l’ esperimentoviene condotto.

Ad esempio, se si studia il moto di un oscillatore meccanico, come quello descrittonel Cap. 3, in un laboratorio sulla terraferma, e poi si ripete la prova effettuando lemisure bordo di un treno in movimento, ci si aspetta di ottenere gli stessi risultati,purché si tenga conto dei possibili effetti dovuti al moto (supposto rettilineo uniforme)del treno rispetto alla terraferma.

Tuttavia, un osservatore posto sulla terraferma che assiste alle misure effettuate sultreno, vede l’ oscillatore muoversi in modo diverso rispetto a quello che vede il suocollega sul treno, come schematizzato nelle Figg. 12 e 13.

A

Figura 12: L’ osservatore A, che si trova a bordo del treno, vede la massa che oscillaperiodicamente in senso veritcale.

Nella prima, l’ osservatore A a bordo del treno non si accorge di essere in movi-mento, e vede il suo oscillatore che si muove periodicamente in senso verticale, comeindicato dalla doppia freccia.

D’ altra parte, quando il treno transita davanti al collega B che si trova sulla terra-ferma, quest’ ultimo vedrà che la massa appesa alla molla si muoverà in verticale (conmoto periodico) e contemporaneamente in orrizzontale, verso destra, per effetto del

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A

B

v

Figura 13: L’ osservatore B, sulla terraferma vede la massa che oscilla in senso verti-cale e contemporaneamente si sposta verso destra per effetto del movimento del treno(indicato dalla grossa freccia sulla destra), per cui assisterà ad un moto complessivoche è descritto da una linea ondulata.

movimento del treno, per cui vedrà un movimento complessivo che corrisponde allatraiettoria ondulata mostrata in Fig. 13.

La situazione appena descritta, molto comune nell’ esperienza quotidiana, è sem-plicemente dovuta alla composizione dei moti: se un oggetto si muove all’ interno diun sistema di riferimento, a sua volta in moto rispetto all’ osservatore, l’ effetto risul-tante sarà la somma dei due moti (quello dell’ oggetto nel suo sistema di riferimento, equello del sistema di riferimento rispetto all’ osservatore).

Naturalmente, siccome la velocità è una grandezza vettoriale (per cui risulta deter-minata non solo dalla sua grandezza, ma anche dalla sua direzione), la somma di dueo più velocità è da intendersi in senso vettoriale, come mostrato in Fig. 14, dove vieneriportata la somma di due vettori a e b, la cui risultante è il vettore c.

c

ba

Figura 14: Regola di somma o composizione di due vettori: a + b = c.

Il principio di sovrapposizione dei moti appena descritto vale per la maggioran-za dei sistemi meccanici, dove le velocità in gioco sono sempre molto inferiori allavelocità della luce.11

Invece, gli scienziati che per primi hanno studiato la luce (e le onde elettromagne-tiche) ed effettuato la misura di precisione della sua velocità, si sono ben presto resiconto che questa si comporta in un modo apparentemente paradossale.

Infatti, è ormai ben verificato sperimentalmente che la velocità della luce è semprela stessa, per qualunque osservatore. Questo significa che anche se si dovesse realizzareun esperimento simile a quello schematicamente rappresentato in Fig. 15, sia l’ osser-vatore che si muove insieme alla sorgente di luce, sia quello che vede tale sorgente inmovimento, misurerebbero esattamente lo stesso valore per la velocità di propagazione

11Si ricorda che la velocità della luce vale circa ePfPfhgifPfPf km/s.

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A

B

v

L

Figura 15: La sorgente di luce L si trova su un sistema in movimento (con velocitàb

. Lamisura della velocità della luce effettuata dall’ osservatore A, rispetto a cui la sorgenteluminosa è ferma, vale j ( j = kml�lon/lml�l km/s), ma anche l’ osservatore B, rispetto a cuila sorgente si allontana con velocità

b, rileva esattamente lo stesso valore, anzichéjqp b

(durante la fase di avvicinamento) o j @rb (durante l’ allontanamento), come cisi aspetterebbe intuitivamente.

della luce, indipendentemente dal fatto che la sorgente sia in quiete o in moto rispettoal loro sistema di riferimento.

Per un certo tempo questo fatto ha causato non poco imbarazzo ai fisici, i quali nonriuscivano a trovare una spiegazione ragionevole,12 finchè Albert Einstein non giunsea formulare la sua famosa teoria della relatività ristretta, inizialmente piuttosto osticada capire e difficile da interpretare, ma la cui validità ha sempre trovato, fino ad oggi,piena conferma sperimentale.

Il punto di partenza per giungere alla formulazione della teoria della relativitàristretta è il seguente.

Se consideriamo lo spazio ed il tempo come coordinate di un sistema geometricocome quello descritto nel Cap. 6, e supponendo che risulti lo stesso per qualunqueosservatore,13 allora deve valere la regola di composizione dei moti per cui le velocitàsi sommano vettorialmente.

Ma siccome per la luce (la cui velocità appare essere costante per qualunque siste-ma di riferimento) la regola di somma delle velocità non risulta valida, allora questosignifica che quando vi sono in gioco velocità molto elevate (confrontabili con la ve-locità della luce) i riferimenti di spazio e di tempo non sono più gli stessi per tutti gliosservatori.

In un certo senso, i riferimenti delle coordinate dello spazio–tempo non sono da in-tendersi assoluti, come ci si aspetterebbe intuitivamente, ma relativi, nel senso che ogniosservatore potrà vedere ”deformato” lo spazio–tempo di altri osservatori, a secondadello stato di moto in cui si trova rispetto ad essi.

La descrizione accurata e la completa comprensione della teoria della relativitàrisultano alquanto complesse (vi si potrebbero scrivere parecchi volumi), ma è possibileaverne una comprensione abbastanza intuitiva ricorrendo ad una sua rappresentazionegeometrica.

12Ricorrendo a volte a ”scappatoie” piuttosto fantasiose, ma non prive di difetti, tipo quella dell’ ipotesidell’ etere.

13Il comune senso fisico ci porta a pensare che, una volta fissati i riferimenti di scala per le coordinatespaziali e per la coordinata tempo di un certo sistema di riferimento, questi debbano valere per qualunqueosservatore, sia esso in quiete o in moto.

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Come è già stato visto nel Cap. 6, è possibile rappresentare lo spazio–tempo co-me un normale spazio piano14 bidimensionale, in cui l’ asse delle coordinate spazia-li (assunto per convenzione orizzontale) e l’ asse temporale (assunto verticale) sonoortogonali, ovvero perpendicolari.

t∆

s∆

∆ t’

a) b)t t’

s’

s

l’t t’

s’

s

Figura 16: a): Secondo la teoria della relatività ristretta, un sistema di riferimento inmoto (rettilineo uniforme) con velocità

bviene visto con gli assi relativi alle coordinate

spaziali (s’) e temporali (t’) ruotati di un certo angolo, proporzionale al rapporto s t .b): L’ intervallo di tempo u t’ relativo alla linea di universo l’ di un oggetto nel sistemadi riferimento s’t’ viene visto di lunghezza differente nel sistema st (intervallo u t) edassume anche una certa componente spaziale u s.

Ebbene, nell’ interpretazione geometrica della relatività ristretta, si ha che lospazio–tempo di un sistema di riferimento in moto (rettilineo ed uniforme) rispettoad un osservatore, risulta ”deformato”, nel senso che sia l’ asse spaziale che quellotemporale non coincidono più con gli assi del sistema di riferimento dell’ osservatore.In particolare, l’ asse spaziale risulta ruotato verso l’ asse temporale, mentre l’ assetemporale risulta ruotato verso l’ asse spaziale, come mostrato in Fig. 16a, e l’ enti-tà di tali ”rotazioni” è in qualche modo proporzionale alla velocità relativa tra i dueosservatori.15

Più precisamente, l’ angolo di rotazione è funzione del rapporto s t , doveb

è lavelocità relativa tra i due sistemi di riferimento, e j è la velocità della luce. Da questo sene deduce immediatamente che, essendo j molto grande, gli effetti di distorsione dellospazio–tempo si manifestano solo per velocità

bmolto grandi. Ad esempio, anche nel

caso di un oggetto considerato molto veloce, quale un aereo supersonico che si muovaalla notevole velocità di 3000 km/h (circa 3 volte la velocità del suono), il rapporto s tvale solo circa 0.0000003, e qualunque effetto di distorsione spazio–temporale risultapraticamente trascurabile.

Quando invece la velocità relativa tra i due sistemi di riferimento tende ad assumerela grandezza della velocità della luce (ovvero quando il rapporto s t tende a 1) gli angolidi rotazione degli assi delle coordinate tendono a � ��v , che corrisponde alla situazionelimite in cui l’ asse spaziale e quello temporale si sovrappongono e coincidono con la”bisettrice” del piano st, indicata nelle Figg. 16 con una linea punteggiata.16

Una conseguenza diretta della rotazione degli assi dello spazio–tempo è la nonuniversalità degli intervalli, nel senso che un qualunque intervallo misurato in un certo

14Più esattamente, si dovrebbe dire piatto, o meglio ancora euclideo. Uno spazio è euclideo se la sommadei tre angoli interni di un triangolo è pari esattamente a w!xPf_y .

15È evidente che, per effetto di tale rotazione combinata degli assi, lo spazio–tempo del sistema diriferimento in moto risulta essere non più ortogonale.

16In tale caso limite, corrispondente ad un sistema che si muove con la velocità della luce, si perde ladistinzione tra spazio e tempo. È noto infatti che per i quanti di luce (fotoni) lo scorrere del tempo coincidecon il loro moto nello spazio.

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sistema di riferimento, sia esso di tipo spaziale (distanza) o di tipo temporale (intervallodi tempo), può apparire differente se misurato in un altro sistema di riferimento, in motorispetto al primo.

La figura Fig. 16b mostra questo effetto. In essa è raffigurata la linea di universol’ relativa ad un oggetto che si trova fermo nel sistema di riferimento formato dagliassi s’ e t’ (ed è dunque una linea parallela all’ asse del tempo t’), sulla quale vieneosservato un intervallo di tempo u t’. Lo stesso intervallo di tempo, visto nel sistemadi riferimento formato dagli assi s e t, risulta essere invece dato dalla proiezione u t, lacui lunghezza è inferiore a quella di u t’.17 Dunque si giunge alla conclusione che lalunghezza di un oggetto o di un’ intervallo di tempo possono assumere valori differentise misurati in sistemi di riferimento diversi che siano in moto relativo fra loro.

Naturalmente nessuno dei due sistemi di riferimento deve potersi ritenere privile-giato rispetto all’ altro, per cui deve valere – e questo è un punto di fondamentale im-portanza – il principio di relatività, per cui ciascuno dei due osservatori vede sempreinvariato il proprio sistema di riferimento, mentre nota delle variazioni (allungamen-to o accorciamento) nelle misure effettuate nell’ altro sistema di riferimento. Questoperché ogni osservatore, ovviamente, vede fermo il proprio sistema di riferimento,18

mentre vede l’ altro in movimento.In definitiva, secondo la teoria della relatività ristretta, lo spazio–tempo di sistemi

di riferimento in moto relativo è tale che sia le coordinate spaziali che quelle tem-porali risultano in qualche modo ruotate,19 per cui ne risulta una specie di miscela osovrapposizione fra spazio e tempo: quella che per l’ osservatore di uno dei sistemidi riferimento è una semplice distanza spaziale, per l’ altro osservatore può assumereanche una connotazione temporale e viceversa.

Dati due osservatori in moto relativo (rettilineo ed uniforme), ciascuno di essi vede lospazio–tempo dell’ altro con gli assi ruotati in misura proporzionale a s t . Per effettodi tali rotazioni lo spazio–tempo risulta non più ortogonale, ed inoltre si ha una certa”miscela” tra lo spazio ed il tempo.

8 Spazio e tempo nel quadro dellla relatività generaleLa teoria della relatività ristretta riguarda e descrive solo il caso, piuttosto semplice,in cui gli osservatori (ed i loro rispettivi sistemi di riferimento) si muovono di motorettilineo uniforme l’ uno rispetto all’ altro.

Come è possibile generalizzare tale teoria anche nel caso in cui il moto relativo siadi tipo qualunque, soggetto (ad esempio) ad una accelerazione ? Tale passaggio risultaalquanto complesso, e richiese un tempo piuttosto lungo (decenni) prima che lo stessoEinstein giungesse finalmente ad una formulazione molto più generale della sua teoria,universalmente nota come teoria della relatività generale.20

Si è visto nel Cap. 7 che l’ effetto di un moto rettilineo uniforme è sostanzialmentequello di modificare l’ orientazione degli assi spazio e tempo nel sistema di coordinate

17È altresì da notare che l’ intervallo z t’ visto nel sitema di riferimento s e t possiede anche una certacomponente spaziale, indicata in Fig. 16b con z s.

18L’ osservatore A di Fig. 15 vede fermo il treno e la sorgente di luce S.19Per la precisione, dal punto di vista matematico si tratta di una rotazione in cui l’ angolo di rotazione ha

valore complesso, ovvero formato da una parte reale ed una immaginaria.20Le complicazioni della teoria della relatività generale risiedono principalmente negli strumenti matema-

tici necessari per descrivere nel modo più generale possibile la struttura dello spazio–tempo per sistemi diriferimento animati di moto qualsiasi.

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quadridimensionali col quale è possibile rappresentare lo spazio–tempo, il cui effettopiù vistoso è quello di causare una sorta di ”mescolamento” tra le coordinate spazialie quella temporale: un’ intervallo di tempo misurato in un certo sistema di riferimen-to, può assumere una qualche componente spaziale se misurato in un altro sistema diriferimento (in moto rispetto al primo), e viceversa.

Dunque, secondo la teoria della relatività, i concetti di spazio e tempo non sono piùassoluti, ma in qualche modo interscambiabili tra di loro, a seconda del sistema diriferimento in cui viene fatta l’ osservazione.

Si è visto anche che nelle trasformazioni relativistiche, l’ angolo con cui ruotano gliassi delle coordinate dipende dalla grandezza della velocità, e quindi nel caso di motorettilineo uniforme, tale angolo è uniforme e costante in tutto lo spazio–tempo (perchèlo è la velocità).

Dunque, non è difficile intuire cosa succede quando la velocità relativa tra i duesistemi di riferimento non è costante oppure non è uniforme. Il primo caso (velocità chevaria nel tempo), corrisponde alla descrizione di un moto accelerato, mentre il secondo(velocità che assume valori diversi in diverse posizioni nello spazio) corrisponde alladescrizione di un campo gravitazionale (si pensi alle orbite ellittiche dei pianeti).

Ed ecco quindi emergere uno dei significati più profondi della teoria della relativitàdi Einstein: dato che in virtù della relatività ristretta spazio e tempo sono in qualchemodo interscambiabili, allora non ci deve essere alcuna differenza sostanziale nel con-siderare sistemi soggetti ad un moto accelerato (variazione della velocità nel tempo)oppure sistemi soggetti ad un campo gravitazionale (variazione della velocità nellospazio).

Dunque, gli effetti prodotti da un moto accelerato o da un campo gravitazionaledevono essere del tutto equivalenti.

La Fig. 17 illustra tale principio di equivalenza. In particolare, in a) viene mostratoun osservatore a bordo di un’ astronave in viaggio nello spazio. Egli effettua il sem-plice esperimento di liberare un oggetto che tiene in mano: a causa dell’ accelerazioneimpressa dai motori a razzo, l’ oggetto ”cade” verso il pavimento dell’ astronave, conaccelerazione a uguale e contraria a quella con cui si muove l’ astronave. In b), invece,l’ osservatore si trova all’ interno di una navicella che giace immobile sulla superficiedi un pianeta. Anche in questo caso l’ oggetto, lasciato andare, cade verso il pavimento,con accelerazione g determinata dall’ attrazione gravitazionale esercitata dalla massadel pianeta sulla massa dell’ oggetto. Se si suppone che in entrambi i casi i due osser-vatori siano perfettamente isolati (senza poter vedere l’ esterno e senza poter udire ilrumore dei motori), nessuno dei due sarà in grado di poter dire se la caduta dell’ og-getto sia causata dal moto accelerato della navicella o dall’ attrazione gravitazionale diun pianeta, in quanto la caduta dell’ oggetto avviene in modo rigorosamente identico.

Il principio di equivalenza afferma che è assolutamente impossibile distinguere glieffetti di un moto accelerato da quelli di un campo gravitazionale. In entrambi i casisi assiste ad una variazione di velocità (accelerazione) con caratteristiche del tuttoidentiche.

Assumendo dunque valido il principio di equivalenza, vediamo allora quali sonogli effetti sullo spazio–tempo causati da un moto accelerato (indipendentemente dallasua origine).

Utilizando ancora, per semplicità, la rappresentazione bidimensionale dello spazio–tempo (già descritta nel Cap. 6), sappiamo che l’ angolo di rotazione degli assi (sia s

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*

*

*

*

*

**

*

*

*

*

*

*

g

a

a) a)

Figura 17: Principio di equivalenza. a): L’ osservatore che si trova all’ internodell’ astronave che sta viaggiando nello spazio vede l’ oggetto cadere verso il pa-vimento, per effetto dell’ accelerazione { prodotta dalla spinta dei motori a razzo.b): L’ osservatore che si trova nella navicella ferma sulla superficie del pianeta ve-de l’ oggetto cadere verso il pavimento, per effetto dell’ attrazione gravitazionale |esercitata dalla massa del pianeta. In assenza di indicazioni (oblò per l’ osservazionedell’ esterno, strumenti di controllo dei motori), nessuno dei due osservatori è in gradodi stabilire se la caduta dell’ oggetto sia dovuta ad un moto accelerato o ad una forzagravitazionale, essendo del tutto identici gli effetti.

che t) è proporzionale alla velocità, ma se questa è variabile (non importa se varia neltempo o nello spazio) allora deve variare, punto per punto, anche l’ angolo di rotazionedegli assi, e quindi se ne deduce che gli assi non sono più rappresentati da delle lineerette, ma bensì da delle linee curve.

Dunque, per un generico sistema di riferimento dotato di moto accelerato o in pre-senza di campi gravitazionali (come già visto, le due cose sono del tutto equivalenti),lo spazio–tempo è descritto da una geometria curvilinea, e non più ”piatta” o euclidea.

La Fig. 18 mostra schematicamente la differenza tra lo spazio–tempo a) della re-latività ristretta (in cui vengono considerati solo moti rettilinei uniformi), che risulta”piatto”, e lo spazio–tempo b) della relatività generale, che risulta ”curvo”.

La teoria della relatività generale porta una notevole semplificazione nel trattare ifenomeni su scala cosmica, dove l’ effetto delle forze gravitazionali assume particolareimportanza. Già in passato, lo studio del moto dei corpi celesti aveva portato a suc-cessive rivoluzioni nel modo di pensare e di concepire l’ Universo, ma il cambiamentoapportato dalla teoria della relatività generale ha qualcosa di ancor più radicale.

In passato, infatti, si riteneva che i concetti di spazio e di tempo fossero assoluti eduniversali, nel senso che, una volta fissato un sistema di riferimento ed una scala, questidovessero valere per tutti gli osservatori.

Nella visione relativistica, invece, sia lo spazio che il tempo sono definibili sololocalmente, e la loro scala di riferimento risente in maniera suscettibile della presenzadi materia, in quanto questa genera i campi gravitazionali che hanno la proprietà dicurvare lo spazio–tempo. Il problema di determinare il moto dei corpi celesti si riduce

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s

t

s’

t’

l’

a) b)

l

Figura 18: a): Lo spazio–tempo della relatività ristretta risulta geometricamente ”piat-to”. b): In presenza di accelerazioni e/o campi gravitazionali, lo spazio–tempo assu-me una geometria ”curva”, in quanto l’ orientazione degli assi s’ e t’ può variare inogni punto dello spazio–tempo. Il moto di un qualunque oggetto risulta però ancoradescrivibile da un’ opportuna linea di universo, come quella indicata con l’.

allora a quello di individuare la traiettoria più breve nello spazio–tempo incurvato dallamateria.

Questa proprietà vale non solo per gli oggetti dotati di massa, per i quali anchele precedenti teorie della gravitazione sono in grado di fornire previsioni corrette, maanche per le entità prive di massa, quali ad esempio la luce. Infatti, una delle più spetta-colari dimostrazioni della correttezza della teoria della relatività generale consiste nelfornire una precisa determinazione della deviazione subita dalla luce nel suo passag-gio in vicinanza di corpi estremamente massivi (che producono una sensibile curvaturadello spazio–tempo).

Figura 19: I raggi di luce emessi da una sorgente lontana seguono un percorso determi-nato dalla curvatura dello spazio–tempo. La presenza di un corpo massivo può causarela convergenza dei raggi di luce nel punto in cui si trova l’ osservatore, producendo uneffetto simile a quello di una lente.

La Fig. 19 mostra schematicamente questo effetto. In essa si nota il reticolo dellospazio–tempo che risulta dotato di una certa curvatura, per via della presenza di unoggetto massivo (indicato come Deflector). A causa di tale curvatura, i raggi di luceprovenienti da un oggetto lontano (Source), che seguono sempre il percorso ”più bre-

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ve” nella trama dello spazio–tempo, risultano deviare da quello che potrebbe essereconsiderato il percorso ”rettilineo”, e l’ effetto globale è che essi si trovano a conver-gere nel punto in cui si trova l’ osservatore, in modo del tutto analogo a quello cheprodurrebbe una normale lente ottica. Per tale motivo, all’ osservatore giungono delleimmagine multiple dell’ oggetto lontano.

Figura 20: La ”croce di Einstein”, bellissimo esempio di lente gravitazionale. La luceproveniente dall’ oggetto visibile al centro viene deviata dalla curvatura dello spazio–tempo causata dalla presenza di un oggetto estremamente massivo (non visibile) chesi trova lungo il percorso della luce, e produce 4 immagini fantasma, analogamente aquello che produrrebbe una lente.

Tale effetto, noto come lente gravitazionale, è stato più volte osservato sperimen-talmente, e costituisce una delle prove più dirette e vistose della validità della teoriadella relatività generale. La Fig. 20, ad esempio, mostra un’ immagine dell’ oggetto ce-leste denominato ”croce di Einstein”, in cui si vede chiaramente che, per effetto dellacurvatura gravitazionale, oltre all’ immagine principale giungono a noi ben 4 immagini”fantasma” dell’ oggetto visibile al centro.

La Fig. 21 mostra il percorso seguito dai raggi di luce provenienti da un’ unicooggetto lontano (frecce bianche) che passando in vicinanza di un corpo estremamentemassivo vengono deviati dalla loro traiettoria rettilinea e giungono quindi all’ osser-vatore con una direzione modificata. Dal punto di vista dell’ osservatore, tutto apparecome se questi raggi di luce fossero perfettamente rettilinei e provenienti da differen-ti regioni dello spazio (frecce arancioni), causando quindi l’ effetto delle immaginimultiple.

In definitiva, dunque, la presenza di materia nell’ Universo determina, punto perpunto, la curvatura dello spazio–tempo, e questa a sua volta governa la cinematicadegli oggetti e della luce che si trovano in esso, deternimando le traiettorie, le forzegravitazionali, le accelerazioni.

La materia ”dice” allo spazio–tempo come curvarsi, e la curvatura dello spazio–tempo ”dice” alla materia come muoversi.

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Figura 21: La presenza di un oggetto molto massivo (al centro dell’ immagine) ha co-me effetto quello di curvare il percorso della luce emessa da un oggetto molto lontano(frecce bianche). L’ osservatore (sulla sinistra) che riceve questi raggi di luce li in-terpreta come se fossero rettilinei e provenienti da parti diverse dello spazio (freccearancioni), e vede quindi immagini multiple dello stesso oggetto.

9 Lo spazio–tempo nella fisica quantisticaLa teoria della relatività generale rappresenta un grande successo della fisica, poichériesce a dare spiegazione di tutti i fenomeni finora osservati a livello astronomico, dovela presenza di grandi masse rende la curvatura dello spazio–tempo non trascurabile.

A livello microscopico, invece, è la relatività ristretta che interviene per spiegare ilcomportamento delle particelle elementari, che essendo di dimensioni ridottissime, oaddirittura puntiformi, ed avendo inoltre massa piccolissima, se non addirittura nulla(come il fotone), si muovono usualmente a velocità molto prossime o uguali a allavelocità della luce.

In tali contesti, però, la sola relatività non basta a spiegare il complesso compor-tamento – a volte addirittura curioso – delle particelle elementari e delle loro inte-razioni. Infatti, quando le dimensioni dei sistemi osservati scendono al disotto di circa�Vlo}C~

9(pari ad un decimiliardesimo di metro, e corrispondente all’ unità di misura Ång-

strom, indicata dal simbolo Å), diventa predominante il comportamento quantisticodella materia, apparentemente dettato da formule di probabilità e da regole statistiche.21

Ecco dunque che, in uno scenario quantistico, il teatro dello spazio–tempo assu-

21È noto che nella descrizione quantistica delle particelle occorre rinunciare ai concetti localizzazione edi traiettoria, tipici di un comportamento corpuscolare. Invece, le particelle elementari risultano più corret-tamente descritte da una speciale funzione d’ onda che ne determina, in un certo senso, la ”probabilità” chela particella si trovi in un certo punto o che abbia una certa velocità.

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me delle caratteristiche ancora più peculiari di quelle già apparentemente bizzarre delcontesto relativistico.

A livello macroscopico, l’ interazione tra oggetti viene usualmente descritta me-diante opportuni campi ”classici” (si pensi ad esempio al campo gravitazionale, chedescrive l’ interazione tra oggetti dotati di massa, o al campo elettrico, che descrivel’ interazione tra oggetti dotati di carica elettrica). A livello sub-microscopico, inve-ce, occorre tener conto degli aspetti quantistici, e dunque le interazioni fondamenta-li tra particelle elementari vengono descritte da particolari campi quantistici, i qualipossono essere rappresentati da particolari particelle, dette propagatori, responsabilidell’ influenza che il campo esercita sulla materia.22

e−

e−

spazio

tem

po

p

p

γ

Figura 22: Diagramma di interazione elettromagnetica tra un elettrone ( ��} ) ed unprotone (p). L’ interazione avviene tramite lo scambio di un fotone � che viene emessodall’ elettrone, il quale modifica la propria velocità. Il fotone viene quindi assorbito dalprotone, a cui viene trasferito l’ impluso ”sottratto” all’ elettrone. È rilevante notareche in questo diagramma il fotone si muove con velocità infinita, trattandosi di unfotone virtuale.

È proprio grazie al continuo scambio di propagatori, che due particelle dotate diuna certa carica risentono l’ una dell’ altra, esercitandosi quindi una forza recipro-ca. La Fig. 22, ad esempio, mostra l’ interazione tra un protone (indicato con p) edun’ elettrone ( ��} ) per effetto della loro carica elettrica (positiva per il protone, nega-tiva per l’ elettrone). Secondo la teoria dei campi quantistici, tale interazione avvienetramite lo scambio di un fotone (indicato con � ), che rappresenta il ”portatore” dellaforza elettromagnetica, che si manifesta solo fra particelle dotate di carica elettrica.

Il diagramma mostrato,23 pur nella sua apparente semplicità rappresenta un concen-trato di informazioni. In esso, infatti, sono mostrate le traiettorie nello spazio–tempo(anche qui ridotto al caso bidimensionale per semplicità) delle particelle descritte. Inesso è mostrato, sulla destra, l’ elettrone che a un certo punto ”emette” un fotone,comunicandogli un certo impulso cinetico e modificando quindi la propria velocità (in-clinazione della traiettoria). Tale fotone, dopo un certo percorso nello spazio–tempo,viene assorbito dal protone, trasferendo ad esso il proprio impulso e modificandone diconseguenza la velocità. L’aspetto più curioso di tale diagramma (non si tratta di unerrore di disegno !) è che la traiettoria del fotone (indicata con una linea ondulata) ap-pare praticamente orizzontale. Questo significa che il fotone rappresentato, percorre un

22I propagatori sono effettivamente i ”messaggeri” del campo: particelle che ”trasportano” (a distanza)l’ azione associata al campo quantistico.

23I diagrammi di questo tipo sono detti diagrammi di Feynman, dato che vennero ideati dal fisico RichardFeynman (1918–1988).

24

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certo spazio (spostamento orizzontale) in un tempo nullo (nessuno spostamento lungol’ asse verticale). Quindi esso risulterebbe muoversi con velocità infinita !

La spegazione, puramente quantistica, è che il fotone di scambio non è un fotonefisico, ovvero non è un normale ”quanto di luce”, come lo si potrebbe intendere (e comepotrebbe essere visto dai nostri occhi). Piuttosto, esso è un fotone virtuale, nel sensoche può esistere solo per un tempo brevissimo, in accordo con il famoso principio diindeterminazione di Heisenberg.24

Quindi, se la teoria della relatività ci ha insegnato che quando ci si approssima allavelocità della luce non valgono più le normali leggi del moto, nel mondo quantistico cisi trova addirittura a dover considerare particelle più veloci della luce !

Le sorprese non sono ancora finite. Consideriamo ad esempio il diagramma diFeynman mostrato in Fig. 23.

e− e+

spazio

tem

po

γ

Figura 23: Diagramma di annichilazione di un elettrone ( ��} ) con un positrone ( �5� ).Dato che elettrone e positrone sono uno l’ anti–particella dell’ altro, nel punto dellospazio–tempo in cui essi vengono a interagire si neutralizzano tutte le loro proprietà”materiali”, e può avere origine solo un quanto di energia ”pura”, ovvero un fotone( � ), che in questo caso può risultare fisico.

Esso rappresenta un particolare tipo di interazione, detta annichilazione, in cui unelettrone ( �8} ) si annichila con un positrone ( �5� ) per dar luogo al fotone � . Tale in-terazione, piuttosto frequente, può avvenire perchè elettrone e positrone sono l’ unoanti–particella dell’ altro, e quindi possono combinarsi insieme per formare una parti-cella che non può possedere nessuna qualità materiale (perche’, ad esempio la caricaelettrica dell’ elettrone annulla esattamente quella del positrone), ma solo un quanto dienergia nella sua forma più ”pura”. Tale particella è appunto il fotone. (È da notare chestavolta il fotone non è più virtuale, ma può essere un fotone fisico).

Il diagramma di annichilazione di Fig. 23 può venire interpretato in modo ancorpiù sorprendente. Infatti, nella teoria quantistica dei campi, è lecito considerare le anti–particelle come una sorta di ”mancanza” di una particella, nel qual caso il positrone nonsarebbe altro che la ”mancanza” di un elettrone. Questo concetto, già noto e applicatonella fisica dello stato solido,25 può essere spiegato nel modo seguente.

Secondo lo schema proposto da P.A.M. Dirac (1902–1984), quando si considera

24Il principio di indeterminazione di Heisenberg sostiene che qualunque particella può esistere in uno statodi energia (o velocità) che non gli compete (cioè in disaccordo con il principio di conservazione dell’ energia),purchè tale violazione sia di durata molto breve. Più precisamente, indicando con z�� la violazione inenergia, e con z`3 la sua durata, deve essere: z��UYhz`3$���� , dove �� è la costante di Planck ”ridotta”,che vale circa wPS fP�P��Y�w!f�5��� J s.

25È noto che nei semiconduttori la corrente elettrica può essere causata sia dal movimento di elettroni chedallo spostamento delle cossidette lacune o vacanze, ovvero punti del cristallo in cui vi è la mancanza di unelettrone, rispetto alla disposizione regolare caratteristica del reticolo cristallino.

25

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una regione di spazio vuoto, esso risulta tutt’ altro che ”vuoto”. Piuttosto, esso risultacostituito da una sorta di mare completamente occupato da particelle con energia nega-tiva, le quali non costituiscono un paradosso, ma anzi ”devono” esistere in virtù delleequazioni stesse (di Dirac) che descrivono in modo meravigliosamente preciso il com-portamento degli elettroni in situazioni relativistiche. L’ unica difficoltà è costituita dalfatto che le particelle di energia negativa non sono fisicamente osservabili, ma questoviene spiegato proprio con il modello del mare di Dirac: siccome esse stanno tutte aldisotto della superficie (che corrisponde al valore zero dell’ energia), esse non sonovisibili.

Il disegno mostrato in Fig. 24 può chiarire tale concetto.

"mare"

E = 0

Figura 24: Stato di vuoto. La linea tratteggiata rappresenta il livello di energia zero(E = 0), al disotto del quale si trovano infiniti livelli di energia negativa, tutti occupatida elettroni che risultano del tutto inosservabili fisicamente.

Se a questa situazione di ”vuoto” si aggiunge un elettrone, come mostrato inFig. 25, esso non potrà ”sprofondare” nel mare, in quanto questo risulta già tutto occu-pato da elettroni di energia negativa.26 Dunque l’ elettrone aggiunto non può far altroche rimanere sopra la superficie del mare e mantenere la sua energia positiva, risultan-do quindi visibile al mondo fisico. Questo dunque descrive, secondo la teoria di Dirac,lo stato di un elettrone (tutti quelli del mare risultano fisicamente inosservabili).

e −

"mare"

E = 0

Figura 25: Per un elettrone che viene aggiunto allo stato di vuoto risulta impossi-bile sprofondare nel ”mare”, perchè risulta già tutto completamente occupato. Taleelettrone, pertanto, rappresenta uno stato fisicamente osservabile.

E cosa succede se, invece, si prova a sottrarre un’ eletrrone allo stato di vuoto(quantistico) della Fig. 24 ? Si ottiene la situazione rappresentata in Fig. 26a, in cuisi vede chiaramente che, al disotto della superficie del mare, vi è la mancanza di unelettrone.

Tale situazione viene intepretata, nella visione di Dirac, come la presenza di unpositrone, ovvero di un’ antiparticella dell’ elettrone, sopra la superficie di energia zero;presenza indicata simbolicamente con � � . È facile convincersi della ragionevolezza ditale interpretazione, osservando la Fig. 26b.

Se si immagina, infatti, di aggiungere una particella �'� allo stato di vuoto, si ottienela situazione mostrata, in cui si ha un’ anti-elettrone in contatto con un ”mare” di elet-troni. Ma dato che l’ anti-elettrone è esattamente l’ opposto di un elettrone (e viceversa,

26In questo caso entra in gioco il principio di Pauli, il quale stabilisce che non vi può essere più di unelettrone ad occupare uno stesso sito (in questo caso, per ”sito” si intende non solo la posizione vera epropria, ma anche il valore dell’ energia).

26

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+e+e

"mare"

a) b)E = 0

Figura 26: a): Se si sottrae un elettrone allo stato di vuoto, si forma una lacuna. b):Tale lacuna è del tutto equivalente ad un anti-elettrone ”fisico” ( �'� ) che annullandosicon un elettrone del ”mare” ne causa la scomparsa.

naturalmente), i due possono annullarsi a vicenda (o meglio, annichilarsi), scomparen-do entrambi. Dunque ci si ritroverebbe esattamente nella situazione di Fig. 26a, dovesi ha appunto la ”sparizione” di un elettrone.

La presenza fisica di un positrone (anti-elettrone) equivale esattamente allo stato divuoto cui è stato sottratto un elettrone.

Questo fatto ha un’ importanza notevole quando si considera la cinematica delleparticelle (ed anti-particelle). È abbastanza facile rendersi conto, infatti, che il motodi un anti-elettrone è del tutto equivalente al moto in senso contrario di un elettrone,come mostrato in Fig. 27.

+e +e +eb)a) c)

Figura 27: Una lacuna presente nel ”mare” può venir riempita da un elettrone, il qualelascia un’ altra lacuna dietro di se’. Il successivo spostamento di elettroni verso destracausa quindi uno spostamento verso sinistra della lacuna.

In Fig. 27a si vede un elettrone (sotto la superfice del ”mare”) che si muove versodestra per andare ad occupare la posizione vuota (lacuna) che equivale, come già spie-gato, ad un positrone. In seguito a tale movimento, l’ elettrone crea una lacuna nellaposizione che occupava in precedenza, come mostrato in Fig. 27b. Ma allora tale lacunapuò venire occupata dall’ elettrone che si trova alla sua sinistra, il quale per far questodeve compiere un movimento verso destra, producendo la situazione di Fig. 27c.

Immaginando che il processo possa continuare ulteriormente, è evidente che dalpunto di vista fisico (nell’ interpretazione di Dirac) questo equivale al moto di un po-sitrone ”fisico” verso sinistra, pur essendo causato dal movimento verso destra di varielettroni non osservabili del ”mare”.

Per meglio comprendere questo fatto, si pensi all’ analogia di una bolla d’ aria cherisale all’ interno di un volume d’ acqua: il moto verso l’ alto della bolla è in realtàprodotto dal moto verso il basso dell’ acqua che va ad occupare di volta in volta lospazio lasciato libero dalla bolla.

Alla luce di tali considerazioni, è possibile dare una diversa e più suggestiva in-terpretazione al diagramma di Feynman di Fig. 23, che rappresenta il processo di an-nichilazione di un elettrone con la sua anti-particella (positrone), il cui risultato è laproduzione di un fotone. Se tale diagramma viene ridisegnato sostituendo al positroneun elettrone che si muove di moto opposto, si ottiene il diagramma mostrato in Fig. 28.

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e−

spazio

tem

po

γ

e−

Figura 28: Il diagramma di Fig. 23 può essere reinterpretato sostituendo la linea diuniverso del positrone con la linea di universo di un elettrone che si muove in sensoopposto. Il risultato è quello di avere un elettrone che si muove indietro nel tempo.

L’ interpretazione di tale grafico, alquanto strabiliante, è la seguente. La traccia piùa sinistra rappresenta un elettrone che si sta muovendo verso destra (lo spostamen-to verso l’ alto rappresenta il passare del tempo). Ad un certo punto, esso emette unfotone, ed il processo è così ”traumatico” che il cambiamento di velocità che ne risul-ta è tale da rimandare l’ elettrone all’ indietro nel tempo ! Per quanto bizzarro possasembrare, dal punto di vista fisico (e matematico) tale processo è del tutto possibile ecinematicamente corretto (conservazione dell’ impulso e dell’ energia).

Questo significa che nel mondo sub-microscopico della meccanica quantistica (erelativistica), la direzione del tempo non è univocamente determinata. Le particelleelementari non sanno che cosa voglia dire ”andare avanti nel tempo”. Semplicemente,esse seguono delle linee di universo nello spazio–tempo esattamente allo stesso modoin cui un’ automobile percorre una strada piena di curve, per la quale muoversi versoNord o verso Sud non ha significato diverso dal muoversi verso Est o verso Ovest.

In una concezione ancora più estesa, è possibile interpretare i diagrammi di Feyn-man rinunciando del tutto alle ”frecce” che indicano un verso di percorrenza delle lineedi universo.

e−

spazio

tem

po

γ

e−

Figura 29: Il significato fisico dell’ interazione elettromagnetica tra elettrone e fotoneè del tutto indipendente dal verso del tempo. Quello che conta è la presenza del verticeche rappresenta l’ interazione, con conseguente trasferimento di impulso ed energia.In definitiva, per un’ interazione elementare non esistono il ”prima” e il ”dopo”, masolo la sua propria ”impronta” disegnata sul tessuto dello spazio–tempo.

Ecco dunque che nel diagramma di Fig. 29 viene rappresentata solo l’ essenzadel processo fisico: l’ interazione elettromagnetica di un elettrone con un fotone. Taleprocesso è del tutto indipendente dal senso che si attribuisce al tempo. Esso ci di-

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ce semplicemente che esiste un punto nello spazio–tempo, il vertice dell’ interazione,in cui elettrone e fotone interagiscono scambiandosi una certa quantità di impulso, etale scambio è la causa ultima delle brusche deviazioni delle linee di universo delleparticelle coinvolte.

Nel mondo quantistico e relativistico, non esiste una direzione privilegiata deltempo. Tutti i processi di interazione elementare sono perfettamente reversibili.

È solo a livello macroscopico, quando è coinvolto un numero grandissimo di par-ticelle (qualche miliardo) che la direzione del tempo, o meglio la freccia del tempoassume la sua importanza, ma questo è dovuto sostanzialmente a motivi di statistica.

Mentre infatti per una singola particella è del tutto indifferente che l’ interazioneavvenga in un senso o nell’ altro, quando si considera un sistema formato da molte par-ticelle occorre tener conto delle correlazioni, per cui ogni singola interazione dipendeda altre.

Per cui, facendo un’ analogia, mentre per una piccola scheggia di metallo è deltutto equivalente muoversi in una direzione piuttosto che in direzione opposta, è asso-lutamente poco probabile che l’ insieme delle numerose schegge prodotte dall’ esplo-sione di una granata possano trovarsi a muoversi tutte quante in direzione opposta ericongiungersi a formare la granata di partenza.27

10 ConclusioniLa definizione di spazio è abbastanza radicata nella comune esperienza di tutti i giorni,ed altrettanto sembrerebbe esserlo la definizione di tempo.

Tuttavia, le indagini condotte in modo sempre più completo ed approfondito deifenomeni fisici ci dimostrano che spazio e tempo sono solo due aspetti apparentementediversi delle dimensioni di cui è costituito lo spazio–tempo.

In particolare, la teoria della relatività ci mostra che sono possibili trasformazionidi coordinate per cui spazio e tempo assumo una completa equivalenza.

I fenomeni quantistici, inoltre, ci insegnano che il tempo non possiede una direzioneprivilegiata: a livello microscopico le interazioni elementari sono del tutto reversibili.

È solo nei sistemi complessi (chimici e biologici) che la freccia del tempo assumeil suo significato di irreversibilità.

”Due cose sono infinite: l’ Universo ela stupidità umana. Ma non sono moltosicuro di ciò che affermo riguardoall’ Universo”

Albert Einstein

27La trattazione dei sistemi complessi, composti da molti corpi, rientra nell’ ambito della termodinamicala quale, seguendo un approccio statistico, consente di determinare la probabilità che una catena di processicorrelati possa compiersi in senso inverso. È in tale contesto che risulta naturale definire il verso del tempo.

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Indice1 Introduzione 2

2 Il concetto di spazio in fisica 2

3 Il concetto di tempo in fisica 6

4 Spazio e tempo insieme 9

5 I fenomeni ondulatori 10

6 L’ unificazione dello spazio–tempo 11

7 Spazio e tempo nel quadro della relatività ristretta 14

8 Spazio e tempo nel quadro dellla relatività generale 18

9 Lo spazio–tempo nella fisica quantistica 23

10 Conclusioni 29

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