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CITTÀ DI MARSALA

Centro InternazionaleStudi Risorgimentali-Garibaldini

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Studi Risorgimentali - Garibaldini

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RegistrazioneN. 123/1-2000 del 16/02/2000

del Tribunale di Marsala

S O M M A R I O

Questo numero è stato chiuso in tipografia il 31 ottobre 2002

Nota del direttore pag. 3

Le ragioni di un cambiamento pag. 5di Franco Della Peruta

Profilo di Abele Damiani pag. 15di Tommaso Spadaro

Abele Damiani “garibaldino” pag. 25di Giovanni Luseroni

L’inchiesta parlamentare JaciniIl Commissario Damianie la Sicilia pag. 33di Giuseppe Astuto

Il controllo del potere politiconel Trapanese: Nasi e Damiani pag. 73di Salvatore Costanza

La situazionepolitico-amministrativaa Marsala tra il 1884 ed il 1908 pag. 83di Vincenzo G. Pacifici

Discorso di A. Damianiin occasione dell’inaugurazionedi una Colonna Commemorativadello Sbarco di Garibaldi pag. 102

Testi dei temi premiati delconcorso riservato agli alunnidelle Scuole di Marsala pag. 120

I quaderniAnno II - n. 2 - Novembre 2002

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Il convegno su Abele Damiani - Un mito marsalese, tenuto a Marsala nei giorni 10 e11 maggio 2000 nella Sala Conferenze del Complesso Monumentale San Pietro, organiz-zato dal Centro Internazionale di Studi Risorgimentali-Garibaldini, con il patrocinio delComune di Marsala, servì a riscoprire e a fare meglio conoscere alla città la straordinariavicenda di un liberale rivoluzionario e fu nello stesso tempo, un omaggio al grande stati-sta marsalese, verso il quale la Città è in debito.

Abele Damiani fu rivoluzionario, esule, garibaldino, ufficiale dello Stato Maggiore diGaribaldi, consigliere comunale, assessore, sindaco, presidente del Consiglio provinciale,deputato per trent’anni, Sottosegretario al Ministero degli Esteri, Vice-Presidente dellaCamera dei Deputati, senatore, ma soprattutto patriota e combattente.

Come spesso accade la città dimentica presto i suoi figli migliori, e richiamano a lui solol’Istituto Tecnico Agrario che nel 1931 gli fu intitolato, e una bella strada del centro storico.

Per fare meglio conoscere ai giovani la figura di Abele Damiani, il Centro nella primavera del2000 organizzò un concorso riservato agli alunni delle Scuole Elementari, Medie e Superiori diMarsala. In calce a questo Quaderno riportiamo i testi premiati delle tre sezioni.

Il Convegno, mercoledì 10 maggio 2000, fu presieduto dalla D.ssa Lucia Romanello,Conservatore alle Raccolte Storiche di Milano, e giovedì 11 maggio, dal Prof. RomanoUgolini, Docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Perugia, e membro delC.d.A. del Centro Studi.

Dopo il saluto del Sindaco, Notaio Salvatore Lombardo, il primo relatore fu il prof.Franco Della Peruta, docente di Storia del Risorgimento all’Università di Milano ePresidente del C.d.A. del Centro Studi. Egli presentò un quadro su I Democratici nella

seconda metà dell’800 analizando le ragioni del cambiamento da un Governo di Destra,moderato e conservatore ad un governo di Sinistra, formato essenzialmente da uominidella democrazia risorgimentali che vavevano accettato la soluzione monarchico-liberale.Il Dott. Tommaso Spadaro, saggista di storia locale e Segretario del C.d.A. del Centro Studitracciò un Profilo di Abele Damiani raccontando la parabola umana e politica, dallanascita, il 2 giugno 1835, fino alla morte, avvenuta a Marsala il 20 marzo 1905.

Una vita avventurosa, ricca di tanti episodi ma sempre con un ideale fermo a “ravvivare e diffon-dere l’odio contro il despotismo, e disciplinare e accendere i giovani con l’esempio e la parola”.

Il Prof. Giovanni Luseroni, Docente di Storia negli Istituti Superiori di Livorno parlò diDamiani Garibaldino. Garibaldi e le sue gesta avevano sempre esaltato Damiani, e così,dopo l’esilio di Malta, egli seguì il generale da Milazzo al Volturno, e ancora nell’impresadell’Aspromonte, dove venne fatto prigioniero e poi rinchiuso nel Forte di Bard, in ValD’Aosta. Fu ancora con Garibaldi nel 1866 nel Tirolo. Una straordinaria avventura, cheancora oggi affascina.

Nota del Direttore

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Il Prof. Giuseppe Astuto, Docente di Istituzioni Politiche all’Università di Catania, nella suarelazione A. Damiani parlamentare e l’Inchiesta Agraria in Sicilia evidenziò la figura di A.Damiani quale Commissario della Giunta nell’Inchiesta parlamentare Jacini. A Damiani erastata assegnata la Sicilia e la sua monografia fu considerata una fonte accurata ed insosti-tuibile per la conoscenza delle strutture economiche e sociali dell’isola nella seconda metàdell’Ottocento. In essa egli denunziava anche lo stato di arretratezza dell’economia rurale e lasua incapacità a portarsi ai livelli degli altri paesi europei, e suggeriva i rimedi.

La relazione di Astuto illustra anche il rapporto di amicizia tra Damiani e FrancescoCrispi, del quale fu fedelissimo collaboratore. Amicizia che rimase costante nei momentifelici ed in quelli tristi: il disastro di Adua, la repressione dei Fasci Siciliani, cause principalidella fine dell’egemonia politica di Crispi e di Damiani il quale dopo la sconfitta elettoraledel 1895, in una lettera all’amico Crispi del 27 marzo 1897, lamentava … anche questavolta Marsala fu infida. Non è più quella dei tempi classici la nostra Marsala.

Il Prof. Salvatore Costanza, Presidente del Comitato di Trapani dell’Istituto per la storiadel Risorgimento Italiano, nella sua relazione Controllo del potere politico nel trapa-

nese: Nasi e Damiani illustrò i momenti più difficili della vita politica di Damiani e il rap-porto che lo stesso ebbe con la sua città e con il suo elettorato e citò, tra l’altro, una lette-ra di Sebastiano Cammareri-Scurti, segretario del Damiani nell’Inchiesta Agraria in Sicilia,su un foglio volante a stampa CHE FARE ? Costanza indicò i caratteri contradditori del-l’esperienza, nonché la stessa psicologia e il comportamento politico del personaggioDamiani, protagonista, ma a volte ombroso e distaccato, della vita marsalese.

La parte centrale della relazione fu dedicata al rapporto, politico e personale, non sem-pre felice, tra Damiani e Nunzio Nasi, politico emergente di Trapani. Illustrò poi l’influen-za dei prefetti, che con il loro forte potere politico rappresentavano la longa manus delGoverno centrale, e miravano al controllo politico dei deputati del collegio, espressionidelle varie clientele.

Infine un attento e minuzioso studio della Situazione politico-amministrativa a

Marsala tra il 1884 e il 1908 fu presentato dal Prof. Vincenzo G. Pacifici, Docente di Storiadei Movimenti e dei Partiti Politici all’Università La Sapienza di Roma. Il Prof. Pacifici connotizie in parte inedite, alla luce dei diversi rapporti dei prefetti che si avvicendarono aTrapani dall’ultimo ventennio dell’800 al primo decennio del ‘900, ci informa sul filo diret-to tra la prefettura di Trapani, il Ministero degli Interni e il Capo del Governo. Una doviziadi notizie sui detentori del potere politico ed amministrativo insieme alle relazioni sui par-lamentari della provincia di Trapani, ed in particolare su quelli marsalesi. Alla relazionesegue un appendice con la riproduzione di ben sei lettere dei vari Prefetti.

Tommaso Spadaro

A conclusione delle relazioni abbiamo creduto opportuno riprodurre in anastatica il discorso

che A. Damiani pronunciò il 19 luglio 1893, in occasione dell’inaugurazione d’una colonna

Commemorativa dello Sbarco di Garibaldi l’11 Maggio 1860.

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Le premesse politichedella cosiddetta rivolu-zione parlamentare del18 marzo 1876, cioè lacaduta dell'ultimo gover-no della Destra storica,erede di Camillo Cavoure del movimento liberal-moderato che aveva gui-dato il processo risorgi-mentale nella sua fasefinale sino alla costitu-zione dello Stato unita-rio, sono da ricercarenelle elezioni generalidel novembre 1874.

Il gabinetto presieduto da MarcoMinghetti (succeduto nel giugno 1873 alministero di Giovanni Lanza) non era infat-ti riuscito a fare approvare, a causa del dis-sidi apertisi nella maggioranza, le misurefiscali da lui presentate per il risanamentodella finanza pubblica alla Camera deideputati, che di conseguenza era stata sciol-ta il 20 settembre 1874. La consultazioneelettorale svoltasi due mesi dopo segnò unnetto rafforzamento della Sinistra.Nonostante la difficoltà di definire l'esattocolore politico di molti deputati, perchéDestra e Sinistra non erano partiti organiz-zati nel senso moderno nel termine ma

schieramenti dai contor-ni non ben nettamentedefiniti che sfumavanol'uno nell'altro, in base aicalcoli più attendibili i318.517 elettori recatisialle urne (pari al 55,7%degli iscritti nelle liste)mandarono alla Camera276 deputati governativie 232 dell'opposizione disinistra, eletti questi pre-valentemente nei collegidelle regioni meridionalie delle isole. Va aggiun-to però che la Sinistra

non si presentava come una formazioneomogenea e che essa anzi accentuò, dopole elezioni del 1874, il suo carattere com-posito. Accanto alla Sinistra storica pie-montese, capeggiata da Agostino Depretis emoderatamente progressista, ed a quelladelle altre regioni del centro-nord, più con-seguentemente progressista della prima eforte soprattutto in Lombardia (raggruppa-menti, questi due, che rappresentavanosoprattutto i gruppi borghesi del Nord),acquistò infatti un peso notevole la Sinistrameridionale, espressione prevalente degliinteressi della borghesia terriera delMezzogiorno e attestata su posizioni più

Le ragioni di un cambiamentodi Franco Della Peruta

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moderate di quelle della Sinistra storicatradizionale.

Al di là di queste differenziazioni laSinistra, dopo il successo elettorale conse-guito nel 1874, presentò tuttavia un fronteabbastanza compatto sul piano parlamen-tare, al contrario della Destra, nel cui inter-no si accentuarono invece i contrasti tra ivari gruppi regionali. Questi dissensi ebbe-ro il loro punto culminante nella questionedel riscatto delle ferrovie, che nel 1865erano state quasi tutte date in concessionea quattro società (l'Alta Italia, le Strade fer-rate romane, le Strade ferrate meridionali ela Vittorio Emanuele). Una parte dellaDestra avrebbe voluto riscattare le linee edassegnare l'esercito allo Stato: una soluzio-ne alla quale era invece risolutamente con-trario il gruppo della Destra toscana; e fuproprio l'allineamento dei moderati tosca-ni alle posizioni della Sinistra, ostilissimaall'esercizio statale delle strade ferrate, aprovocare nella votazione parlamentaredel 18 marzo 1876 la caduta di Minghetti ela successiva fondazione del ministeroDepretis, il primo della Sinistra storica.

L'esercizio statale delle ferrovie, poiattuato da Giovanni Giolitti nel 1905,sarebbe stato realizzabile sul piano finan-ziario anche nel 1876, perché in quell'annoera stato conseguito quel pareggio delbilancio così a lungo sospirato; ed è ancheprobabile che la misura avrebbe potutocostituire un volano per il più rapidodecollo dell'industria italiana, attraversol'intervento dello Stato nella domanda diforniture per la rete ferroviaria. Ma, nono-stante la modernità della posizione assuntadai gruppi statalisti della Destra sconfittinell'aula di Montecitorio, il passaggio del

potere dalla Destra alla Sinistra rappre-sentò ugualmente un momento di ascesanello sviluppo progressivo della vita politi-ca e civile del nostro Paese.

La Destra storica era stata infatti un par-tito moderato e conservatore, con unaristretta base sociale - dalla borghesia agra-ria del Centro-Nord ai gruppi imprendito-riali - nella quale aveva grande peso il cetodei maggiori proprietari terrieri, apparte-nenti in buona parte alle vecchie aristocra-zie e agli antichi patriziati. Ed il suo gover-no oligarchico aveva realizzato un risolutoaccentramento amministrativo, con unapolitica interna spesso repressiva, mentreper raggiungere il pareggio aveva impostoun sistema fiscale, basato su pesanti impo-ste dirette gravanti sui consumi (come latassa sul macinato), che colpivano soprat-tutto i ceti a reddito più basso, quali conta-dini e proletariato urbano.

La Sinistra era invece un partito il cuiquadro dirigente era formato essenzial-mente da uomini della democrazia risorgi-mentale che avevano finito per accettare (ebasti pensare all'evoluzione di FrancescoCrispi), a differenza del mazziniani di stret-ta osservanza alla Aurelio Saffi, la soluzionemonarchicoliberale. La Sinistra, più risolu-tamente laica ed anticlericale della Destra,aveva poi una base sociale relativamentepiù ampia, perché essa si appoggiava sullapiccola e media borghesia urbana dell'Italiacentro-settentrionale e sulla borghesiaagraria di provincia del Mezzogiorno. Laeterogeneità del suo radicamento politicoaveva come conseguenza che nella Sinistraconvivessero due tendenze: una democra-tica, disposta ad allargare i ristretti confinidello Stato in direzione dell'Italia reale

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attraverso un ampliamento del suffragioelettorale e una serie di provvedimenti cheprevedevano tra l'altro l'introduzione del-l'obbligo nell'istruzione elementare, unariforma tributaria perequativa, l'abolizionedel corso forzoso (introdotto nel 1866) el'elettività dei sindaci; e l'altra conservatri-ce, che tendeva a contrastare la spintademocratica e mirava a fare della Sinistraun partito che rappresentasse la borghesiacome unica forza dominante attraverso laformazione di un blocco delle forze agrarieed industriali.

Per dare concretezza e determinazione aquesto discorso appare necessario a questopunto fermare l'attenzione su connotatireali, sulla fisionomia peculiare del variaggregati che componevano la borghesiaitaliana del periodo, così da attribuirelineamenti più precisi e rilevati a una cate-goria concettuale che altrimenti correreb-be il rischio di restare astratta ed evane-scente.

Il ruolo dei centri urbani

Anzitutto va sottolineato il fatto che inItalia lo sviluppo e l'irrobustimento delleclassi medie fu in primo luogo, anche senon esclusivamente, un fatto cittadino,legato alla civiltà urbana, al fitto reticolodi centri grandi e piccoli che caratterizza-va le aree settentrionali e centrali delPaese. In queste regioni la città infattipuò essere considerata - come affermavaCarlo Cattaneo in un celebre scritto del1858 - il principio ideale delle storie ita-liane: una città che, naturalmente, va inte-sa in senso funzionale, e che traeva la suavitalità e la sua forza coesiva non tanto dalnumero degli abitanti (perché anche il

Mezzogiorno appariva costellato da unamiriade di centri abbastanza densamenteabitati da popolazioni contadine che nonpotevano però aspirare al rango di città),quanto dal suo ruolo amministrativo, civi-le, religioso, culturale, produttivo, com-merciale e dal suo porsi come punto diriferimento e centro di attrazione del con-tado e come nucleo di irradiamento dicapitali e di tecniche mercantili verso lecampagne.

Nel primi decenni dello Stato unitarioqueste città stavano vivendo una fase diripresa di vitalità economica e demograficaalla quale contribuivano vari elementi:accanto alla spinta ad un più largo consu-mo di beni essenziali innescato dalla cre-scita della popolazione si può così ricorda-re l'accresciuta domanda di beni e di servi-zi di lusso derivante dalle rendite aggiunti-ve che affluivano alle famiglie dei proprie-tari fondiari nobili e borghesi in seguitoall'espansione di nuovi rami di produzioneagraria (la gelsibachicoltura, che nelleregioni settentrionali coprì le campagne dimilioni di piante di gelso ed alimentò unfiorente commercio interno ed internazio-nale di seta greggia; e l'impianto delle cul-ture arboree specializzate - viti, agrumi,ulivi - nella polpa delle zone costiere meri-dionali).

In questa situazione dinamica si inseri-rono poi gli impulsi provenienti dall'avviodella protoindustrializzazione e poi dallaprima fase della vera e propria industrializ-zazione (con il grande slancio del cotonifi-cio), dalla costruzione delle ferrovie (la cuirete nel suo tracciato di fondo era stata giàcompletata nel momento della rivoluzioneparlamentare del 1876), dal decollo del-

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l'industria metalmeccanica, dalla nascitadelle strutture di supporto dei moderniservizi, dal progredire della unificazionedel mercato, dall'espansione e dalla accele-razione della circolazione delle merci e deimezzi di pagamento, dal rafforzamentodelle attività bancarie ed assicurative.

Il processo di graduale irrobustimentodella borghesia urbana non fu però unifor-me ed omogeneo, ed al momento dell'a-scesa al potere della Sinistra esso risultavagià assai più consistente e diffuso nell'Italiaa nord degli Appennini che non nella partecentro-meridionale del Paese. La diversavelocità di queste dinamiche traeva le sueorigini sia da una distribuzione delle infra-strutture dalle strade alle scuole - che avevavisto le regioni settentrionali sopravanzarenettamente il resto della penisola, sia daun'accumulazione di capitali assai più largae sostenuta nel nord, che aveva consentitoil delinearsi di un insieme di aree indu-striali e manifatturiere forti (nel tessile onella metalmeccanica) concentrate sia purea chiazze, in Piemonte, in Liguria, inLombardia e, in minor misura, nel Veneto ein Emilia Romagna.

La creazione di una embrionale baseindustriale nell'Italia del nord portò con séla crescita di una borghesia medio-alta fattadi detentori di capitali (spesso di originecommerciale ed agricola) disposti a correrel'alea di investimenti meno sicuri ma inprospettiva più remunerativi nelle attivitàindustriali, commerciali, finanziarie e delterziario. Nelle regioni settentrionali siverificò, insomma, un apporto crescente dicapitali in settori diversi da quello tradizio-nale dell'agricoltura e dei titoli del debitopubblico; e questo sviluppo si ripercosse

anche nella strutturazione di nuovi strati diborghesia "intellettuale" di formazione nonpiù letterario-umanistica e giuridica, matecnico-scientifica, e dotata di competenzeindispensabili per le esigenze del mutatoapparato produttivo. Tale processo appareevidente quando si tenga presente, da unlato, il configurarsi della figura dell'inge-gnere moderno, formato dagli studi poli-tecnici ed esperto di meccanica e di chimi-ca; e dall'altro, ad un livello di base, l'allar-gamento di ceti impiegatizi di un tiponuovo, con un profilo professionale diver-so da quello degli addetti alle amministra-zioni pubbliche: vale a dire un complessodi tecnici, ragionieri, computisti, ammini-stratori, economi, commessi, agenti, tuttefigure professionali necessarie per far fron-te alle crescenti esigenze poste dal nuovirami produttivi in settori quali la gestionedel personale, gli acquisti, le vendite, lerappresentanze commerciali, la contabilitàaziendale. Nascevano così altri intellettuali,organici ai nuovi modi e settori produttivi,che si affiancavano agli intellettuali tradizio-nali come i medici, gli avvocati, gli insegnan-ti, i membri del clero.

Le modificazioni del volto della borghesiaitaliana giunte a maturazione nell'età dellaSinistra interessavano anche gli strati inter-medi i quali ritraevano i loro redditi dallaterra. Arrivava infatti al suo culmine in que-gli anni un trend espansivo della proprietàfondiaria di quei borghesi - cittadini o pro-vinciali - i quali erano in grado di approfitta-re della crisi che aveva cominciato ad erode-re la grande proprietà nobiliare e soprattut-to delle numerose vendite di beni ecclesia-stici incamerati dallo Stato, che raggiunserodimensioni massicce nel Mezzogiorno.

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Accanto alla proprietà nobiliare, restatapur sempre prevalente, si venne così arafforzare nelle regioni meridionali unostrato di proprietari terrieri borghesi, iquali vivevano nelle città e nei centri mag-giori, dove spendevano le rendite ricavatedal lavoro dei contadini che, privi di terra ocon poca terra, erano costretti ad accettarepatti agrari (da quelli di miglioria e di godi-mento delle zone costiere a quelli di meta-teria e terratico della Sicilia) che li condan-navano a un'indigenza e a un malesseremessi in chiara luce dalla grande inchiestaparlamentare sulle condizioni dell'agricol-tura e delle popolazioni rurali coordinatada Stefano Jacini i cui atti furono pubblica-ti tra il 1881 e il 1886. La creazione di que-sta proprietà borghese non portò quindil'agricoltura meridionale sulla strada dellamodernizzazione capitalistica, e perpetuòinvece gli arretrati rapporti contrattuali eproduttivi.

Assai diversa fu la fisionomia che neglianni Ottanta dell'Ottocento aveva ormaiassunto la borghesia agraria delle zonesettentrionali, dove prese corpo un cetodi affittuari medi e grandi che conduceva-no in proprio, con mano d'opera salariatae bracciantile, le terre dei grandi proprie-tari nobili e degli enti assistenziali, inve-stendo in quelle capitali e capacitàimprenditoriali.

Dall'intreccio di questi vari fili si eracosì venuto costruendo il composito tes-suto di quegli strati della borghesia, deiceti medi italiani, che andarono gradata-mente acquisendo quella presa di coscien-za della propria distinta identità di sog-getto sociale che li portò a identificare ilproprio referente politico proprio in quel-

la Sinistra storica dalla quale è partito l'e-sordio di queste pagine.

Depretis, interprete del nuovo corso

La vita pubblica italiana nel decenniosuccessivo al 1876 fu dominata da AgostinoDepretis, il leader della Sinistra che fuquasi ininterrottamente presidente delconsiglio dal 25 marzo 1876 alla morte (29luglio 1887), capeggiando otto ministerinei quali si riservò quasi sempre il portafo-glio degli Interni e spesso quello degliEsteri.

Il primo governo Depretis, entrato incarica il 25 marzo 1876, indisse le elezioniper il 5 novembre di quello stesso anno; ela votazione segnò un nettissimo successoper la Sinistra, che raccolse il 60% dei voti(358.000 su 605.000 elettori), ottenendoquasi 400 deputati contro i circa 110 del-l'opposizione.

Depretis - abile parlamentare, ammini-stratore capace, statista realistico e duttile -procedette con cautela nell'attuazione delprogramma della Sinistra, e ciò sia per ilfondo prudente e tendenzialmente conser-vatore dell'uomo, sia per le diversificazioniinterne alla Sinistra, che era articolata invari gruppi (da sinistra a destra: l'Estremadi Agostino Bertani, ancora aperta alle sug-gestioni del repubblicanesimo e del mazzi-nianismo; la sinistra progressista lombardache faceva capo a Giuseppe Zanardelli e aBenedetto Cairoli; il gruppo di FrancescoCrispi, ancora in parte legato alle tradizio-ni democratiche risorgimentali; la frazionedi Giovanni Nicotera, a base prevalente-mente meridionale e clientelare e più con-servatrice).

Il 15 luglio 1877 fu comunque approva-

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ta la legge Coppino, che intendeva allarga-re l'area dell'istruzione primaria introdu-cendo l'obbligo della frequenza del primobiennio della scuola elementare fissandoammende per i genitori inadempienti.Sebbene largamente insufficiente, il prov-vedimento contribuì tuttavia a ridurre lapiaga dell'analfabetismo (gli analfabeti pas-sarono, tra il 1871 e il 1901, dal 67% al 56%della popolazione al disopra dei sei anni,concentrati soprattutto nel Sud).

Maggiore rilevanza ebbe la riforma elet-torale varata nei primi mesi del 1882 condue leggi relative rispettivamente ai requi-siti degli elettori e al sistema elettorale (poifuse nel Testo unico del 24 settembre1882). In virtù della nuova normativaerano elettori i cittadini maschi che avesse-ro compiuto i ventun anni, sapessero leg-gere e scrivere oppure pagassero annual-mente imposte dirette per circa 30 lireannue. La nuova legge abbassava dunqueil limite d'età da venticinque a ventunoanni e poneva come requisito essenziale lacapacità e non il censo, che veniva dimez-zato. Di conseguenza il corpo elettorale,che nelle elezioni del maggio 1880 erastato di 622.000 unità, pari al 2% dellapopolazione totale del Regno, passò a circa2.000.000 di unità, cioè al 6% della popo-lazione totale. Di conseguenza nelle regio-ni settentrionali dove, come si è visto, l'a-nalfabetismo era meno esteso, ottenne ildiritto di voto una parte notevole dellapopolazione, inclusi anche i lavoratorimanuali delle città e dei centri maggiori,mentre restarono ancora esclusi dal dirittoelettorale larghissimi strati delle popolazio-ni del Mezzogiorno e delle campagne.

L'altra novità introdotta dalla legislazio-

ne elettorale del 1882 fu l'adozione delloscrutinio di lista al posto del sistema uni-nominale: una decisione ispirata dal pro-posito di ridurre il peso delle clientele elet-torali che i moderati si erano costruiti inmolti collegi dove gli elettori erano pochecentinaia. I vecchi collegi uninominaliurbani e rurali furono accorpati in nuovi,più ampi collegi (da 508 a 135), in 36 deiquali - i più grandi - fu stabilito il voto limi-tato, così da assicurare una rappresentanzaalle minoranze.

Per quel che riguarda la politica econo-mica e finanziaria, tra il 1881 ed il 1883venne decisa l'abolizione del corso forzoso:misura che da una parte contribuì a ristabi-lire la fiducia nella lira, ma che dall'altraprovocò un forte afflusso di capitali stra-nieri e una sovrabbondanza di valuta, coneffetti infiazionistici e il conseguente sti-molo ad iniziative speculative malsane, chedi lì a qualche anno avrebbero provocatouna grave crisi. Inoltre, il 1° gennaio 1884fu definitivamente soppressa l'impopolareimposta sul macinato, che era stata giàridotta nel 1880.

Ricche di implicazioni furono infine lemisure prese dai governi della Sinistra inmateria di politica commerciale.Abbandonando le tradizioni liberiste cheavevano ispirato la condotta della Destra,che era rimasta fedele alla linea di Cavour,la tariffa doganale fu modificata in sensoprotezionista nei confronti dell'industrianel 1878. Assai più marcata fu la protezio-ne accordata al settore secondario dallatariffa generale del 1882, che esentava dadazio la maggior parte delle materie primeimportate per le necessità della produzio-ne industriale e imponeva invece dazi assai

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elevati su quasi tutti i prodotti industriali.Il sistema favorì in maniera particolare irami del tessile, della siderurgia, della can-tieristica, e molto meno la meccanica e lachimica; e costituì una condizione per isuccessivi sviluppi dell'industria italiana,che assunse ritmi più sostenuti dal 1896 inavanti. Al protezionismo industriale siaccompagnò quello agrario; per parare glieffetti della crisi agraria degli anni Ottanta(provocata dall'afflusso sul mercato deigrani americani, prodotti a costi moltominori e la cui importazione era stata faci-litata dallo sviluppo della navigazione avapore e dall'introduzione dell'elica nellenavi) anche i dazi doganali sui cereali furo-no aumentati in misura rilevante, inciden-do gravemente sul già basso tenore di vitadelle classi popolari.

Sul piano politico il protezionismo del1887 ebbe un grande rilievo, perché essosaldò il blocco tra la grande proprietàassenteista del Mezzogiorno (i cui redditiderivavano dalla cerealicoltura estensivapraticata nelle terre del latifondo) e queigruppi della più avanzata borghesia (com-merciale, industriale e agraria) e di nobiltàimborghesita che avevano avuto la direzio-ne del processo risorgimentale.

L'esaurirsi dei grandi contrasti ideali

e l'affermazione del trasformismo

Caratteristica fondamentale del sistemapolitico-parlamentare del periodo delDepretis fu il cosiddetto trasformismo,fatto segno - allora e poi - ad aspre e forseeccessive accuse che lo chiamavano incausa come fattore di corruzione. Il feno-meno si manifestò apertamente in occasio-ne delle elezioni generali dell'ottobre 1882

(le prime svoltesi a suffragio allargato),quando Depretis e Marco Minghetti (unodei leader della Destra storica) stipularonoun accordo volto a fronteggiare l'EstremaSinistra. Il trasformismo era però operantegià da alcuni anni, soprattutto nelMezzogiorno, e si esprimeva nella tenden-za di candidati di tendenza moderata oconservatrice a passare nelle file della mag-gioranza della Sinistra attraverso compro-messi da una parte con le clientele locali edall'altra con gli esponenti del governocentrale. Esso era in realtà la conseguenzadell'esaurirsi dei grandi contrasti ideali eprogrammatici che avevano contraddistin-to l'età della Destra e della prevalenzaassunta dalle questioni economico-ammi-nistrative, sulle quali apparivano più facilile convergenze realizzate volta per volta insede parlamentare.

La Sinistra non modificò - anche perl'influenza personale del nuovo reUmberto I, succeduto al padre VittorioEmanuele II nel 1878 - gli indirizzi di poli-tica estera che erano stati seguiti dallaDestra tra il 1870 ed il 1876: vale a dire losganciamento dall'alleanza con la Francia,che era stato determinante per il raggiun-gimento dell'Unità, e l'avvicinamento allaGermania di Bismarck ed all'Austria, il tra-dizionale nemico del Risorgimento, ope-rato dal Visconti Venosta. La linea di pru-dente raccoglimento voluta dalla Destra edettata dall'esigenza di sicurezza e di pacenecessarie al consolidamento del giovaneStato aveva avuto però come controparti-ta l'isolamento dell'Italia nel concertointernazionale, che era apparso in tuttaevidenza durante la crisi d'Oriente del1877-78 e nel congresso di Berlino (che

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aveva sanzionato l'occupazione dellaBosnia-Erzegovina da parte dell'Austria emodificato lo status quo nel Mediterraneocon l'occupazione inglese di Cipro), esoprattutto quando si acuì la tensione conla Francia per la questione della Tunisia,occupata dai francesi nel 1881.

L'isolamento ebbe termine nel 1882,quando l'Italia concluse con la Germania econ l'Austria-Ungheria la Triplice Alleanza.Il trattato, che aveva anche una funzioneconservatrice in politica interna, prevedevatra l'altro il casus foederis per le due poten-ze dell'Europa centrale in caso di un attac-co francese all'Italia; la neutralità degli altridue contraenti se il terzo fosse statocostretto a dichiarare guerra ad un'altrapotenza; ed il casus foederis per tutti i con-traenti qualora uno o due di essi fosserostati attaccati da due o più grandi potenze.

La Triplice, che non dava all'Italia grandivantaggi tranne il riconoscimento implicitodel possesso di Roma da parte degli alleati,fu però rinnovata nel 1887 a condizioniassai più favorevoli; infatti le nuove clauso-le, oltre a fornire all'Italia chiare garanzie infunzione anti-francese sul mantenimentodello status quo nel Mediterraneo, le per-mettevano in sostanza di chiedereall'Austria la cessione del Trentino e diTrieste nel caso di ingrandimenti territoria-li degli Asburgo nel settore dei Balcani.

Va anche ricordato che in quegli stessianni si accentuarono le tendenze all'espan-sione coloniale, ispirate dal maturare diinteressi di tipo imperialistico, che si con-cretarono nell'acquisto da parte del gover-no di Assab (1882), già possesso dell'arma-tore genovese Rubattino dal 1869-70, enella successiva occupazione di Massaua

(sempre nell'Africa orientale; 1885), testadi ponte per una successiva penetrazioneitaliana nell'Eritrea, che fu però introdottadalla sconfitta di Dogali (26 gennaio 1888).

Il periodo depretisiano vide inoltre losviluppo di due movimenti, quello sociali-sta e quello cattolico, che avrebbero assun-to un'importanza sempre maggiore nellastoria del nostro Paese, modificando radi-calmente i termini della lotta politica.

L'ancora embrionale movimento sociali-sta aveva trovato la sua prima strutturaorganizzativa di dimensioni nazionali nellaFederazione italiana dell'Associazioneinternazionale dei lavoratori (conferenza diRimini, 4 agosto 1872), la cui costituzione,- facilitata dall'azione personale dell'anar-chico russo Mikail Bakunin, che aveva fattodell'Italia il suo principale terreno di azio-ne era stata resa possibile dal processo diradicalizzazione politica della più giovanegenerazione democratico-repubblicana,che aveva simpatizzato con la Comuneparigina. La prima Internazionale ebbe inItalia un orientamento collettivista, anar-chico ed antiautoritario, ed assunse quindiuna posizione critica verso il socialismoautoritario del Consiglio generale diLondra, dominato da Marx. Gli internazio-nalisti (alcune migliaia in tutto) ebbero iloro centri di diffusione principali inEmilia-Romagna, in Toscana e in alcunezone del Mezzogiorno e della Sicilia, ereclutarono i loro aderenti soprattutto tra ilavoratori urbani (operai ed artigiani) e trai giovani intellettuali. L'Internazionale nonebbe invece alcuna presa tra le masse con-tadine, anche se gli internazionalisti coe-rentemente al loro orientamento populisti-co derivato da Bakunin consideravano le

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campagne e non le città industriali la forzamotrice della rivoluzionaria liquidazionesociale; tanto che nel 1877, un anno dopola salita al potere della Sinistra, cercaronodi dare l'avvio nelle montagne del Matese aun movimento insurrezionale, subito abor-tito, che avrebbe dovuto essere appoggiatonelle intenzioni dei promotori dai contadi-ni del Mezzogiorno.

Lo sviluppo dell'identità operaia e del

movimento cattolico

La sterilità del metodo insurrezionalepredicato dagli anarchici provocò dopo il1877 una crisi dell'Internazionale bakuni-nista, che portò all'abbandono delle sueposizioni da parte di alcuni dei suoi princi-pali esponenti. Così Andrea Costa diedevita nel 1881, dopo una sofferta evoluzio-ne, al Partito socialista rivoluzionario diRomagna (dal 1883 Partito socialista rivolu-zionario italiano), nel cui programma siinsisteva sulla utilizzazione di tutti i metodidi lotta, compresi quelli elettorali respintiinvece dagli anarchici.

Nello stesso tempo andava crescendonegli strati più combattivi della nascenteclasse operaia del Settentrione la coscienzasindacale e di classe, che si concretò nel-l'affiancamento della resistenza alle prati-che del mutualismo. Accanto all'associa-zionismo mutualistico previdenziale e inpolemica con quello, accusato di essereuno degli strumenti con cui i ceti dirigentiborghesi perpetuavano la loro egemoniatra i lavoratori, presero così a sorgere lesocietà e le leghe di resistenza, che eranoorganizzate localmente sulla base dell'artee del mestiere e che si ponevano come finela lotta sindacale a vari livelli, incluso quel-

lo dello sciopero, per ottenere migliora-menti salariali e normativi e per difenderegli associati nello stesso luogo di lavoro. Equesto nuovo tipo di azione - che segnòl'avvio del sindacato moderno nel nostropaese - appare tanto più comprensibilequando si tengano presenti le dure condi-zioni di vita dei lavoratori delle manifattu-re, delle fabbriche, degli opifici, fatte diorari estenuanti (10,11,12 ore giornaliere),di basse mercedi (intorno ai 40 centesimial giorno i fanciulli, intorno a una lira ledonne: un salario, questo, con cui si pote-vano acquistare intorno a tre chili di pane),di regolamenti vessatori, di ambienti dilavoro malsani che predisponevano allemalattie professionali. E si deve ancheosservare che si trattava di una forza-lavoroerogata, specie nell'industria tessile - laprincipale del tempo - essenzialmente dadonne e da fanciulli, assolutamente indife-si questi ultimi fino al 1886, quando unalegge (peraltro scarsamente rispettata)vietò il lavoro ai fanciulli di età inferiore ainove anni compiuti.

L'esperienza della resistenza e la rivendi-cazione dell'autonomia delle avanguardieoperaie trovarono il loro primo momentodi coagulo nel Partito operaio italiano,un'organizzazione che negli anni Ottantaebbe la sua base di massa in Lombardia eattraverso la quale si concretò il distaccodelle frange più avanzate del movimentooperaio dalla democrazia radical-borgheseguidata da Felice Cavallotti. Il Partito ope-raio si configurò infatti come una confede-razione non tanto politica quanto sindaca-le di associazioni di mutuo soccorso, dimiglioramento, di resistenza, di coopera-zione che si impegnavano ad accettare la

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resistenza, la lotta di classe come metododi azione per arrivare all'emancipazionecompleta dei lavoratori dall'oppressionecapitalistica.

Contestualmente si compiva poi il pas-saggio dalla democrazia radicale al sociali-smo di un gruppo di intellettuali, tra cuiFilippo Turati e Leonida Bissolati, che assi-milarono alcune idee centrali del marxi-smo e contribuirono ad avviare la diffusio-ne della coscienza socialista all'interno delmovimento operaio. E questo mentre unaltro intellettuale, Antonio Labriola, si face-va portatore dell'esigenza di fondare inItalia una cultura socialista marxista privadelle contaminazioni positivistiche da cuinon era immune a suo giudizio il gruppoturatiano.

Nel frattempo incisive trasformazioniarrivavano a compimento nell'agricolturadella Padania, che accentuava la sua evolu-zione in direzione capitalistica (bonifica,ampliamento della rete irrigatoria, specia-lizzazione delle culture, avanzata del pratostabile), accelerata dalle ripercussioni dellagrande crisi agraria. Si vennero così raffor-zando le grandi aziende a danno di piccoliproprietari, coloni e mezzadri, colpiti dalladecadenza della manifattura domestica espesso ridotti alla condizione di bracciantie obbligati. Tutti fenomeni che provocaro-no un immiserimento delle condizioni diesistenza delle popolazioni rurali di quelle

plaghe e che spiegano la prolungata seriedi agitazioni che alla fine degli anniSettanta e nel corso degli anni Ottantascossero il Mantovano, il Cremonese, ilPolesine e le zone finitime (movimento de"la boje").

Quanto ai cattolici, tra essi la correntedegli intransigenti (tra cui DavideAlbertario), rigidi difensori dei diritti delPapato nei confronti dello Stato italianousurpatore e sostenitori dell'astensionismopolitico, prevalevano nettamente sui cleri-co-moderati, favorevoli invece ad un acco-modamento con lo Stato e ad accordi -anche elettorali - con i liberali di destra e iconservatori per combattere la sinistra. Eproprio gli intransigenti si diedero un vali-do strumento organizzativo con l’Operadei Congressi (1875), promuovendo - spe-cie a partire dalla metà degli anni Ottanta -una vasta e articolata gamma di attività eco-nomiche e sociali (società di mutuo soc-corso, casse rurali di credito, cooperative,latterie sociali, ecc.) che costellarono lecampagne dell'Italia settentrionale.

Queste, a grandi linee, le trasformazioninella vita politica, civile e sociale verificate-si nell'età di Depretis, e che costituirannotanta parte della materia sulla quale sareb-bero stati chiamati ad operare nei decennisuccessivi Francesco Crispi e GiovanniGiolitti.

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Abele Damiani nacquea Marsala il 2 giugno1835 da GiuseppeDamiani e da GiacomaCuratolo. Aveva un fra-tello, Antonino, piùgrande di due anni e unasorella Angelina, nata nel1843, che andò sposa,nel 1859 a Mario Nuccio,un altro illustre concitta-dino che ebbe una parteimportante nella storiadi Marsala, dopo lo sbar-co dei Mille.

La famiglia Damiani era di origine ligu-re e arrivò a Marsala alla fine del XV secolo.Da allora i Damiani occuparono sempreposti di responsabilità nell'amministrazio-ne della giustizia e della città. Il padre diAbele, Cav. Giuseppe, era un uomo di vastacultura, insigne umanista e filosofo. Lasciòun manoscritto dal titolo Ideologia, untrattato filosofico ispirato ai principiKantiani.

Ricoprì importanti cariche pubbliche, fudeputato della Istruzione Pubblica e dellaBiblioteca, e dal 1815 fu presidente del-l'antichissima Accademia di Scienze,Lettere ed Arti di Marsala, che proprio inquell'anno assunse il nome di Accademia

Lilibetana, carica occupa-ta fino al 1855, annodella sua morte.

La famiglia Damianiapparteneva alla mediaborghesia,era proprieta-ria di alcuni fondi colti-vati a vigneto, e verso lafine del XIX secolo,Abele Damiani quandonon fu rieletto allaCamera, fondò un'azien-da vinicola per la produ-zione del marsala, la cuiragione sociale era

appunto A. Damiani & C.Esiste ancora oggi la Villa Damiani, in

contrada Fontanelle, dove Abele spesso siritirava nel periodo estivo e dove teneval'amministrazione della proprietà. Era pureproprietario di un fondo in contrada Birgi,dove esisteva il Baglio Abele, che dopo lasua morte fu venduto nel 1906 aiSanpantaleani, quella ventina di famiglieche vivevano nell'isola di Motya, allorachiamata San Pantaleo, e che furonocostrette a stabilirsi in terraferma, dopo lavendita dell'isola a Giuseppe Whitaker.

La parabola umana di Abele Damiani ini-ziò nel Seminario di Mazara del Vallo, dove sitrasferì giovanissimo per iniziare i suoi studi.

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Profilo di Abele Damianidi Tommaso Spadaro

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L'educazione pater-na, di timbro pretta-mente ottocentesco,influenzò i primianni di studio conun ' impostaz ionerigorosa che duròfino ai primi annidell'Università. A 17anni si trasferì aPalermo per fre-quentare inquell'Università ilcorso di lettere efilosofia.

A PalermoDamiani nel climaparticolare successi-vo al fallimentodella rivoluzionedel '48 e del '49trovò i rappresen-tanti della cospirazione antiborbonica e simescolò subito in quell'oscuro fermento diliberalismo che faceva capo al Comitatorivoluzionario centrale di SalvatoreCappello.

Un ideale fondamentale ispirava AbeleDamiani: liberare la Sicilia dal dispotismoborbonico e fondare uno Stato unitario.

Prendendo quindi i primi contatti congli ambienti liberali cominciò a collaborarecon alcuni giornali letterari che si pubbli-cavano a Palermo: Il Segesta, La Lira, IlMondo Comico, e per un articolo ritenutooffensivo dalle istituzioni fu tratto in arre-sto dalla polizia, ma dopo alcuni giorni fuscarcerato per infondatezza del reato.Anche il fratello Antonino venne arrestatoper la sua attività cospirativa, e condannato

al domicilio coatto.Nel 1855, dopo la

morte del padre,avvenuta il 30 gen-naio, Damiani fucostretto a rientrarea Marsala per occu-parsi del patrimoniofamiliare.

Ma già la stradaera stata tracciata: aMarsala costituì uncomitato segretotenendo stretti rap-porti con i patriotisiciliani, tra cui ilbarone palermitanoF r a n c e s c oBentivegna, con ilquale si accordò difare pervenire lacorrispondenza agli

esuli rifugiati a Malta, utilizzando delle bar-che che facevano la spola tra Marsala eMalta.

A Malta era rifugiato Nicola Fabrizi, ilpatriota modenese che aveva fondato nel-l'isola la Legione Italica con un programmaassai simile a quello di Mazzini e con un'or-ganizzazione militare rivolta ad una azioneinsurrezionale ad oltranza.

Intanto a Palermo, nei primi di dicembre1856 veniva arrestato FrancescoBentivegna, che assieme a Rosolino Piloaveva organizzato un moto insurrezionale,che purtroppo ebbe un esito infelice: il 28dicembre Bentivegna fu fucilato, e man-cando un punto di riferimento, ma soprat-tutto per l'accresciuta sorveglianza dellapolizia, si verificarono altri arresti sia a

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Foto giovanile di Abele Damiani

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Palermo che in provincia di Trapani.A Marsala, su segnalazione di alcuni

delatori, che nel rapporto della poliziavenivano definiti persone amatori dellapubblica tranquillità, la mattina del10/12/1856 vennero tratti in arresto Abeleed Antonino Damiani ed Andrea D'Anna.Furono rinchiusi nel carcere dellaColombaia di Trapani e scarcerati dopocirca tre mesi.

Abele uscì dal carcere nella condizionedi ammonito e con l'obbligo di presentarsiogni giorno all'ufficio di polizia di Marsala.Antonino, ammalatosi di tubercolosidurante la prigionia, dopo qualche mesedalla scarcerazione morì. Abele continuò lasua azione di cospiratore e moltiplicò ilsuo impegno di patriota, allargando i rap-porti negli altri centri della Sicilia occiden-tale, fino a diventare il capo indiscusso diMarsala, mantenendo attivi i collegamenti

con i cospiratori palermitani.Per quasi due anni continuò la sua atti-

vità tessendo amicizie e continuando a rav-vivare e diffondere l'odio contro il dispoti-smo, a disciplinare ed accendere i giovanicon l'esempio e la parola, a vigilare le insi-die della polizia, a preparare uomini edarmi, a corteggiare segretamente con icapi del movimento rivoluzionario, aprendere accordi per l'insurrezione cheormai si presentava imminente.

Diventato ora più esperto evitava difarsi cogliere sul fatto dalla polizia. Eranecessario, di contro, tenere sempre acce-so nel popolo lo spirito rivoluzionario, masoprattutto era necessario un 'organizza-zione che al momento giusto potesseentrare in azione.

Il 6 aprile 1860 giunse notizia a Marsaladella rivolta scoppiata il 4 a Palermo nelconvento della Gancia. Abele Damiani

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Due foto dellasignora Vittorina,grande amore di

Abele Damiani

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pensò che finalmente il gran giorno eragiunto: radunò i suoi amici cospiratoriper organizzare un'insurrezione per ilgiorno dopo.

Il 7 Aprile 1860, i fatti sono noti, era ilSabato Santo, mentre suonavano le campa-ne che annunciavano la risurrezione diCristo, verso mezzogiorno, ad un segnoconvenuto scoppiò l'insurrezione1.

Abele Damiani, Andrea D'Anna, G.Curatolo Taddei incitarono il popolo chesubito accorse per le strade esultando, e iltricolore fu esposto in molti balconi, ilConsole sardo Sebastiano Lipari percorsetutta la città in carrozza sventolando labandiera tricolore del consolato.

Fu organizzato un comitato di salutepubblica e un governo provvisorio. Il comi-tato era composto dalle più autorevoli per-sonalità non compromesse con il regime eappartenenti alla borghesia liberale:Canonico Vincenzo Rallo, Don GiuseppePipitone, Don Mario Grignani, DonLeonardo Buscemi, Don Giuseppe SarzanaFici, Don Mario Nuccio, Don PietroPassalacqua e il Sac. Antonio Pellegrino.

Furono abbattuti gli stemmi borbonici,sciolta la polizia urbana e bruciati i registriche si trovavano negli uffici della polizia.

Il sogno della libertà fu però soltantoassaporato: la rivolta durò tre giorni, infat-ti il 9 aprile giunse a Marsala la triste noti-zia che l'insurrezione di Palermo era statasoffocata nel sangue e l'ordine ristabilito.

I Borboni ripresero il controllo dellacittà e iniziarono ad operare i primi arresti

e quasi tutti i cospiratori furono denunzia-ti e imputati di fatti sediziosi tendenti adistruggere o a cambiare il Governo odeccitare i sudditi e gli abitanti del Regnoad armarsi contro l'autorità locale.

Abele Damiani, assieme ad alcuni, riuscìa stento ad imbarcarsi su un peschereccio eriparare a Malta, in attesa di tempi miglioriper riprendere la lotta.

Appena giunta a Malta la notizia dellosbarco di Garibaldi a Marsala, AbeleDamiani assieme agli esuli di Malta, guida-ti da Nicola Fabrizi, il 1°giugno sbarcò aPozzallo, ancora in mani borboniche, e sidiresse verso Messina, e man mano cheavanzavano arruolavano volontari e racco-glievano armi e munizioni.

Damiani e Fabrizi raggiunsero Garibaldia Barcellona e dopo aver formato il Corpodei Cacciatori del Faro, parteciparono atti-vamente alla battaglia di Milazzo e alla resadi Messina.

Damiani fu nominato da Fabrizi ufficialedi Stato Maggiore. Durante la prodittaturaMordini, Fabrizi, nominato Ministro dellaGuerra, scelse Damiani come segretario,incarico ricoperto per breve tempo poichèDamiani preferì seguire Garibaldi in tuttala restante campagna fino al Volturno.Divenuto Capitano delle Guide garibaldineper meriti acquisiti sul campo, Garibaldi,che di già aveva apprezzato le sue qualità,gli riservò un posto d'onore nell'entrata inNapoli.

Con l'abolizione della prodittatura e l'an-nessione della Sicilia allo Stato unitario si

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1) Riflettiamo su questa data 7 Aprile 1860 e ricordiamoci che il nostro Palazzo di Città -in Piazza Loggia-nel 1910, in occasione del cinquantesimo anniversario dello Sbarco dei Mille, con delibera del ConsiglioComunale di allora fu chiamato Palazzo VII Aprile 1860, a ricordo di quegli eventi.

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chiuse la fase cospirativa e rivoluzionaria diDamiani. Rientrò a Marsala, dopo un brevesoggiorno a Torino dove aveva tentato inva-no di ottenere un posto nell'esercito.

A Marsala organizzò il Comitato diProvvedimento che contribuirà all'elezionedi Fabrizi a deputato della provincia diTrapani nel 1861. Dopo l'elezione diFabrizi, il prefetto di Trapani, Lanza,nominò Damiani sindaco di Marsala, caricaesercitata per due anni, il 1861 e il 1862.Nello stesso periodo fu direttore ammini-

strativo dell'Ospedale San Biagio. Dopol'approvazione dei bilanci comunali for-mulò uno schema di riforma tributaria, sol-lecitò l'ampliamento del porto, aprì nuovescuole, specialmente nelle campagne,emanò alcuni interventi a favore dell'agri-coltura e viticoltura e tutto ciò assicurò svi-luppo alla città.

Ritornò ancora a Torino, dove riprese icontatti con i rivoluzionari e collaborò aIl Diritto, e ne fu anche redattore.

Il ritorno di Garibaldi in Sicilia, nel 1862,

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Marsala 1919, Villa Damiani.Foto della figlia naturale di Abele Damiani, Giacomina con il marito Pasquale Gallo e i cinque figli

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con il proposito di fare dell'isola la base dipartenza per reclutare volontari e per pre-parare una spedizione per liberare Roma,spinse Damiani a lasciare Torino per rientra-re a Marsala; il 19 e 20 luglio accolseGaribaldi e Fra’ Pantaleo. Furono due giornifamosi per Marsala, in quella occasione ilGenerale da un balcone del palazzo delconte Mario Grignani, fuori Porta Nuova2,giurò O Roma o Morte, giuramento poiripetuto nella chiesa della Madonna dellaCava, allora in via dei Santi3.

A Marsala Garibaldi trovò grande aiuto,il sostegno e l'appoggio finanziario delConsiglio Comunale che per questi motivi,il mese successivo venne sciolto dal Capodel Governo Urbano Rattazzi.

Damiani accompagnò il Generale nelsuo itinerario per i vari paesi dell'isola e funominato Soprintendente alla spedizione egli fu affidata la cassa militare.

Conclusasi malamente l'impresasull'Aspromonte, Damiani fu fatto prigio-niero assieme a Garibaldi e rinchiuso peralcuni mesi nel forte di Bard, in Val d'Aosta.Liberato a seguito dell'amnistia dell'ottobre1862, fece ritorno a Marsala e continuò apartecipare alle agitazioni promosse dalPartito d'Azione e dagli uomini dellaSinistra, diretta allora da Francesco Crispi,al quale Damiani si legò fino a diventarneintimo amico e collaboratore.

Nel 1864, in occasione della Costituentedel Grande Oriente a Firenze, Damiani rap-presentò la Loggia Massonica di Marsala,che dopo la sua morte, nel 1907 fu intesta-ta proprio ad Abele Damiani, Loggia rima-

sta sempre attiva fino ai giorni nostri.Nelle elezioni dell'ottobre 1865

Damiani, appena trentenne, venne elettodeputato per la città di Marsala, era la IXLegislatura: Damiani rimase ininterrotta-mente in Parlamento fino alla XIXLegislatura e cioè fino al 1895, quando aMarsala venne eletto il suo antagonistaVincenzo Pipitone.

Iniziò così la vita politica in Parlamentocome deputato di Sinistra, in particolaredella Sinistra democratica di antico cepporepubblicano.

Quando Damiani entrò alla Camera deiDeputati era Presidente del ConsiglioAlfonso Lamarmora e nei suoi trent'anni diparlamentare conobbe tutti i grandiPresidenti del Consiglio: Rattazzi,Menabrea, Lanza, Minghetti, Depretis,Cairoli, Crispi, Di Rudinì e Giolitti, ediventò molto amico del Crispi, delNicotera, del Cairoli e dello Zanardelli.

Prima ancora di abbandonare definitiva-mente il suo spirito rivoluzionario seguìGaribaldi nel Tirolo nel 1866 con il gradodi Maggiore e si battè eroicamente in quel-la campagna che gli valse il conferimentodell'insegna di Cavaliere dell'OrdineMilitare di Savoia. Identico atteggiamentoassunse nel 1867 quando, all'appello diGaribaldi, i volontari garibaldini si raccol-sero ai confini dello Stato Pontificio pertentare ancora una volta di liberare Roma eproclamarla capitale d'Italia.

Dopo la liberazione di Roma, 20 settem-bre 1870, Damiani, come molti uominidella Sinistra risorgimentale e del vecchio

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2) Esiste ancora una lapide a ricordo3) Oggi via XIX Luglio, a ricordo di quell'avvenimento

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Partito d'Azione, ebbe delusioni per-chè non condivideva gran parte deiprovvedimenti che il governo mode-rato andava prendendo, consideran-doli un tradimento degli ideali delRisorgimento. Forse questo deter-minò in lui la decisione di ritirarsi perqualche tempo a Marsala.

Nella sua città rivolse la sua atten-zione all'amministrazione dei beni,non più curati da qualche tempo.Avendo meditato, successivamente, ilritiro dalla vita politica, il Partitod'Azione gli accordò due anni di con-gedo che passò quasi esclusivamentea Marsala. Fu in questo periodo chedivenne socio del Circolo Lilibeo chepoi rappresentò la base del suo movi-mento, e della cui Deputazione fupresidente per alcuni anni.

Il 1876 fu un anno importante per lastoria d'Italia, si chiuse la stagione glo-riosa della Destra, si aprì la fase digoverno della Sinistra attraverso la rivo-luzione parlamentare.

Con la formazione di un governodi Sinistra, guidato da AgostinoDepretis, Damiani tornò alla Camera,prendendo parte attiva ai lavori parla-mentari. Contemporaneamente orga-nizzò e consolidò il partito crispino inParlamento e soprattutto in Sicilia e perun breve periodo diresse il quotidianocrispino La Riforma.

Relatore in diverse Commissioni parla-mentari, fu più volte Vicepresidente dellaCamera. Inoltre curò con grande attenzio-ne i problemi più importanti: lo sviluppodell'agricoltura siciliana, il problema dellafillossera, le condizioni della sicurezza

pubblica in Sicilia, la sistemazione deiporti, lo sviluppo della ferrovia, e si battèinoltre per l'abolizione della tassa sul maci-nato, imposta molto gravosa allora per iceti più bisognosi. Di particolare interesseil suo intervento nella discussione sul dise-gno di legge per la soppressione delleCorporazioni religiose.

Curò molto gli interessi di Marsala: nelcampo dell'istruzione promosse l'aperturadi alcune scuole e in particolare, nel 1885,fece istituire la Regia Scuola Pratica diAgricoltura, nei locali dell'ex Colonia

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Il sociologo Sebastiano Cammareri-Scurti segretario diAbele Damiani nell’Inchiesta Jacini

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Agricola, che nel 1931 fu ancora trasforma-ta in Regio Istituto Agrario e intestato adAbele Damiani. Promosse l'istituzione dellaDogana a Marsala, un'agenzia della Bancad'Italia4, curò gli interessi del porto, si inte-ressò per il ripristino di alcune linee marit-time con la Tunisia e la Sardegna, rico-prendo contemporaneamente altre carichepubbliche nell'ambito del nostro territorio,fu Consigliere Comunale dal 1864 al 1874,Consigliere Provinciale dal 1864 al 1900, eda 1880 al 1896 Presidente del ConsiglioProvinciale di Trapani .

In seno al Parlamento due incarichi lofecero apprezzare in tutta la nazione: lanomina a Commissario dell'InchiestaAgraria, la cosiddetta Inchiesta Jacini, e nel1888 la nomina a Sottosegretario di Statoper gli Affari Esteri nel Gabinetto Crispi,che l'anno precedente era diventato Capodel Governo.

L'interesse alla questione sociale ebbemodo di esprimersi in modo autorevolenel corso dei lavori dell'inchiesta che duròdal 1878 al 1884. A Damiani fu affidata laSicilia.

Quale segretario Damiani scelseSebastiano Cammareri - Scurti, che peranni fu suo collaboratore operoso ed entu-siasta; un personaggio, di cui, presto ilnostro Centro farà conoscere meglio la vitae le molteplici attività.

I risultati dell'inchiesta presentano unospaccato della vita dei contadini siciliani,delle condizioni dell'economia agricolasiciliana e degli operai; venivano illustrati,in particolare, gli abusi, le ferocie e gli stra-

zi del lavoro nelle miniere e le condizionieconomiche, sociali e morali della classeagricola.

Più che Sottosegretario di Stato,Damiani fu un vero Ministro, in quantoCrispi, titolare del Dicastero, per i suoimolteplici impegni gli aveva affidato ilDicastero e Damiani seppe rappresentaredegnamente l'Italia negli incontri interna-zionali e nei trattati che ne derivavano. Ilsuo maggiore impegno lo rivolse all'espan-sione coloniale con la penetrazione milita-re in Africa Orientale, e la costituzione diun governo civile per l'Eritrea e ilProtettorato dell'Etiopia, perchè era fidu-cioso che la presenza italiana in Africa pote-va favorire uno sbocco alla nostra emigra-zione con effetti positivi sull'economia sici-liana. Collaborò alla stipula del Trattatodell'Uccialli, quell'accordo che nel 1889aveva sancito la perpetua amicizia tra il red'Italia e l'Imperatore d'Etiopia Menelik.

Nel febbraio 1891 cadde il primo gover-no Crispi. Damiani, non piùSottosegretario, restò legato allo statistasiciliano e si adoperò per il suo ritorno alpotere. Nel secondo gabinetto Crispi(1893-1896) Damiani non ebbe alcun inca-rico di governo, però venne nominatoVicepresidente della Camera.

L'Italia, parca e provinciale, cambiavaregistro, sentiva brividi nuovi e talora anti-cipazioni di inquietanti indirizzi. Per fron-teggiare una grave crisi economica e socia-le, sfociata in Sicilia con il movimento delFasci Siciliani, Damiani sollecitò un'azionedi forza del Governo per il ripristino del-

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4) Chiusa verso la fine del 1960

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l'ordine e della legalità. Crispi inviò ilGenerale Morra di Lavriano con un eserci-to di 40.000 uomini e mise la Sicilia in statod'assedio.

Anche se Damiani giudicò severamenteil comportamento del Crispi, nelle elezionidel 1895 non venne rieletto, sicuramentela colpa di Crispi fu fatta ricadere sulla suapersona.

Dopo pochi mesi anche la stella di Crispitramontava e finivano così, quasi contempo-raneamente, due carriere politiche di duegrandi siciliani che erano stati protagonisticon Garibaldi, nel Partito d'Azione, nellaMassoneria e nella Camera dei Deputati.

Damiani fu nominato senatore delRegno il 17 novembre 1898, e fu l'ultimofavore che Crispi fece al suo conterraneo.

La nomina a senatore fu soltanto una"panacea" per i suoi 30 anni di vita parla-mentare. Damiani frequentò poco ilSenato, si ritirò a Marsala, passando moltotempo a riordinare le sue carte nella villadi campagna.

Damiani non si sposò, ebbe due figlinaturali, Cesare che, diventato avvocato,visse sempre a Roma e Angela Maria chevisse sempre in casa della sorella diDamiani e che sposò Pasqualino Gallo.

Tra le opere del Damiani vanno ricorda-te: Andrea D'Anna da Marsala pubblicatoa Torino nel 1864, Agli Elettori di Marsala,Mazara, Pantelleria e Favignana, pubbli-cato a Firenze nel 1863, Discorso di A.Damiani all'Unione Democratica diTrapani 4 Settembre 1890, pubblicato aRoma e il Discorso pronunziato dall’On.Damiani il 19 luglio 1893 in occasionedell’inaugurazione d’una Colonna

Commemorativa dello Sbarco diGaribaldi l’11 Maggio 1860 pubblicato aMarsala.

Morì a Marsala il 20 marzo 1905.Sebbene in ricordo di Damiani oggi esi-

sta una strada e l'Istituto Tecnico Agrario e

la Loggia Massonica portino il suo nome euna lapide sia murata nella casa natale invia XI Maggio, per il resto dopo la com-memorazione fatta dal poeta G. Cesareo il20 marzo 1907, a due anni dalla scompar-sa, Marsala sembra avere dimenticatoDamiani .

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Volumetto scritto da Giuseppe Damiani, padre diAbele Damiani in occassione della morte dellamoglie Giacoma

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Frontespizio di una partitura musicale in onore di Abele Damiani

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Inizio spiegando per-ché in questo lavoro èstato abbinato ad AbeleDamiani il termine gari-baldino; il nostro pro-posito è di soffermarci suquella fase della vita delmarsalese, in cui concepìil raggiungimento dellanazionalità come mezzoper il progressodell’Italia, mezzo da per-seguire con le armi, chesi inverò sia militandonelle file di Garibaldi siasposandone di volta in volta gli obiettivi.Ad esempio nell’agosto del 1864 era anco-ra convinto che ci fossero due vie nel pro-cesso delle nuove idee: o spezzare laspada, per gettarsi a corpo perduto in unalotta impari di ambizioni e d’interessivenali, o riprenderla nel nome santo de’forti caduti, e di quanti senton gravi imomenti che li dividono dalle pruovesupreme1. E quale sia stata la strada sceltadal patriota siciliano fino al ‘67, ce lo dico-no le sue vicende biografiche. Del restosempre nel ’64 sosteneva: Cadere … peiprincipii cui ci votammo è ciò che atten-dono da noi i nostri cari, è ciò di che lanostra vita è una continua preparazione,

ciò in che i nostri amori,le nostre simpatie c’ispi-rano. Perché non caderesempre così?2. È vero chequeste riflessioni sonoall’interno della comme-morazione dell’ intimoamico Andrea D’Anna,ma, avendo tali riflessio-ni un carattere generale,le possiamo assumerecome proprie di AbeleDamiani.

Sulla giovinezza delmarsalese non abbiamo

molte notizie certe; figlio di Giuseppe e diGiacoma Curatolo studiò nel Seminario diMazzara del Vallo e poi si trasferì aPalermo per completare la formazioneumanistica. È probabile che sulla sua for-mazione, che fu in chiave umanistica,abbia inciso anche il padre, che ci halasciato un manoscritto di intonazionefilosofica, in cui dal titolo si evince laconoscenza degli Idéologues e di Kant3. Eil nostro Abele, in alcune considerazionisulla vita e sul suo svolgersi, mostra unimpasto di razionalismo e, soprattutto, divitalismo tipico dell’idealismo e degliIdéologues4. Tredicenne nel ’48, era trop-po giovane per partecipare attivamente

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Abele Damiani “garibaldino”di Giovanni Luseroni

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alle tumultuose vicende dell’anno deimiracoli, ma già in grado di viverne lesperanze prima e le delusioni poi, ricavan-done la convinzione della giustezza enecessità dell’agire contro il governo diNapoli. È così che, nel clima di repressio-ne postquarantotte-sco, attirò più voltele attenzioni dellasospettosa poliziaborbonica per il suolavorio clandestino,che continuò edaccentuò dopo esse-re rientrato a Marsalanel 1855 in seguitoalla morte del padre.È durante questifrangenti che sulribellismo giovanileforgiò nuove idee,in chiave nazionale,grazie all’influenzadella propagandadiramata da Malta,un focolaio formida-bile di lavorio idealee insurrezionale. A ciò si aggiunga che giàin famiglia aveva ricevuto i primi impulsidi patriottismo, da intendersi in sensomorale e quindi più lato ed indefinito deltermine; infatti, sempre nel ’64, scriveva:ma la patria? essa si apprende nella fami-glia, in mezzo a’ propri affetti, e tanto sene abbellisce, quanto gli nobilita, gli rin-salda, e gli rialza nel concetto indivisibi-le dell’onestà pubblica e privata5.

Non è chiaro se prima del 1860 Damianiabbia conosciuto direttamente NicolaFabrizi; è invece probabile che la propa-

ganda indefessa di quest’ultimo, che,com’è ampiamente risaputo, datava dallafine di settembre 1837 e che aveva comecentro propulsore e strategico l’isola diMalta, avesse a poco a poco acquistato pro-seliti tra i siciliani6. Nel decennio successi-

vo al 1848 la propa-ganda unitaria diMazzini, della SocietàNazionale e in parti-colar modo dellostesso Fabrizi riuscìfinalmente ad opera-re una cesura tra lenuove e le vecchiegenerazioni. È lostesso Damiani cheevidenzia questasituazione, raccon-tandoci le vicendemarsalesi all’annun-cio del moto dellaGancia: gli eroi diquesta rivoluzione aPalermo e a Marsala –scrive – erano tuttigiovani e non ce

n’era uno solo che si trovava in grado difigurare nel dramma del 1848; ed aggiun-geva: l’ordine delle rivoluzioni sicilianeera questa volta invertito, era necessarioche l’ultima le sintetizzasse tutte nel con-cetto della libertà, ciò che non avvenneper nuovi calcoli di opportune transazio-ni, e che neutralizzasse altresì lo spiritod’indipendenza, ribattezzando la proprianel voto della grande nazionalità italia-na. Non era più tempo quindi di sceglierefra più o meno larghe guarentigie, di sta-bilire più o meno forte indipendente la

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Andrea D’Anna

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sicilianità…ma di portare sulle nuovebarricate la bandiera della fraternità ita-liana. Rimasero - continuava - fuori gliuomini che sino a quel giorno parea nonsapessero cacciare i nemici dell’Isola piùin là del Faro, e giovani generosi opraro-no la mente e il brac-cio ad un fatto che è ilbattesimo dell’unitàitaliana7.

Col ristabilimentodell’ordine borbonicoa Marsala, che erastato rotto da Damianiil 7 aprile 1860 conpochi suoi amici ardi-mentosi, egli riparò aMalta8, dove avvennel’incontro con NicolaFabrizi, a cui si legòassai strettamente9, econ Giorgio TamaioGrassetti10, tra i piùantichi e famosipatrioti meridionaliesuli di quell’isola.Con costoro dette vitaad una spedizione disupporto a Garibaldi,che aveva iniziato la sua avventura inSicilia; la notte del 1º e 2 giugno due con-vogli di volontari sbarcarono infatti aPozzallo11. Il contingente con AbeleDamiani, guidato da Nicola Fabrizi, eracomposto da ventitre unità12; questo pic-colissimo manipolo sfidò tanto gli ostacolifrapposti dalle autorità di Malta, quanto igravi pericoli costituiti dall’essere i compo-nenti senza patente di sanità13, un reatoassai grave. Non sono state indagate a suf-

ficienza le vicissitudini di questa colonnaguidata dal patriota di Modena, i cui docu-menti e la corrispondenza con le città libe-rate segnalo tra le carte Nicola Fabrizi14.Essa, malgrado l’esiguità del numero, ebbeuna certa parte di rilievo nel sopraffarre i

borbonici durante laliberazione della parteSud-orientale dellaSicilia, prima di ricon-giungersi con i gari-baldini di Medici allavigilia dei fatti diMilazzo. A Messina,dopo la conquistadella città e durantel’assedio alla sua for-tezza, la colonna diFabrizi andò a costitui-re con altri volontari ilcorpo dei Cacciatoridel Faro15. Damiani funominato ufficiale diStato maggiore e ilpatriota modenese lovolle con sé, quandofu chiamato a dirigereil Ministero dellaGuerra sotto la prodit-

tatura di Antonio Mordini. Ma il Nostronon era fatto per la vita di ufficio; chiese edottenne di raggiungere Garibaldi ormai sulcontinente; quindi partecipò alle ultimevicende belliche che portarono alla libera-zione del Mezzogiorno, dalla battaglia delVolturno fin sotto le mura di Capua16.

Ritornato a Marsala, agli scontri militariseguirono quelli politici, ovviamente noncruenti, ma altrettanto passionali ed aspri.Damiani vi si gettò con il consueto ardore.

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Abele Damiani in divisa di Ufficiale delloStato Maggiore di Garibaldi

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Nella sua città esercitò l’ufficio di sindaco,preparò i nuovi bilanci per la transizionedal vecchio al nuovo ordine, approntò unoschema di riforma tributaria, si accinse adampliare il porto17. Questa in breve fu lasua azione a livello locale, mentre per ilParlamento nazionale si impegnò indiretta-mente, nel senso che, per appoggiare lacandidatura dell’amico Fabrizi nel collegiodi Trapani, profuse tutte le sue energie edil suo prestigio. E quanto fossero divenuteeminenti, lo dimostra il fatto che Fabrizirisultò eletto18, malgrado il partito mode-rato avesse fortissime radici nel tessutopolitico e sociale trapanese.

Ma a quante amarezze, a quante delusio-ni dovette andare incontro! Era considera-to dai suoi conterranei al servizio degliagenti settentrionali del governo, che sicomportavano non di rado con un disprez-zo e un’arroganza che nell’immaginariocollettivo apparivano come tipica dei con-quistatori, mentre da questi ultimi era vistocome rappresentante di una popolazioneche sembrava ingrata verso i suoi liberato-ri19, con atti di disobbedienza civile (ad es.la renitenza alla leva) e col brigantaggio.Sono queste circostanze che fanno da sfon-do ai duelli che affrontò in Sicilia, a Torino,dove era andato a collaborare al Dovere,ed a Firenze20. Ci aiuterebbe ancor più acomprendere il suo animo avventuroso edil suo ardore, se potessimo ulteriormenteverificare la notizia di un suo tentativo dirapire l’ex regina Maria Sofia, che, dopo lafuga da Gaeta, aveva trovato ospitalità edappoggio nello Stato pontificio21.

Ci sembrano guerresche le sue vicende,quelle già dette e quelle a cui accennere-mo, per avere un quadro del nostro Abele.

Fu con Garibaldi a Marsala quando venneconiata la parola d’ordine O Roma o

morte!; seguì poi l’eroe Nizzardonell’Aspromonte, partecipando a queifatti, laceranti e dolorosi, che ferirono ilgiovane Regno d’Italia, fatti il cui materia-le salvato (cioè carte interessanti e dena-ro) fu portato al sicuro a Palermo pressouna persona fidata22. Damiani accorsecome volontario anche nel Trentinodurante la guerra del 1866 a fianco diGaribaldi e di Fabrizi col grado di maggio-re dello Stato Maggiore23. Non frenò que-st’ultima scelta il fatto che era ormai mem-bro del Parlamento per il collegio diMarsala fino dal 22 ottobre 1865. Dopo laterza guerra d’indipendenza, Damianiritornò alla vita politica nazionale; fu infat-ti rieletto al Parlamento nel marzo del ’67con un consenso quasi plebiscitario (l’av-versario ottenne infatti solo 30 voti24).

Sulle questioni nazionali la sua posizio-ne è compendiata in un opuscolo25, doveil Nostro avanza una serrata critica al gover-no ed ai moderati, per il loro agire ed illoro essere. Hanno governato infatti, scri-veva, secondo una concezione verticisticaed assolutistica; hanno affrontato la que-stione della nazionalità con una logicarinunciataria e di acquiescenza alle poten-ze straniere. I democratici hanno inveceben altra statura morale: è quella che faresistere gli oppositori in Roma pur scon-fitti, che snida il Borbone dalle due Sicilie,che libera la terra italiana dai tiranni dome-stici e stranieri, grazie al sangue ed alla vitadegli umili volontari. I moderati poi hannoaccantonato la questione di Roma e deldominio della Chiesa sugli uomini, sulleloro coscienze, sulle cose26.

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Nella seconda parte dell’opuscoloDamiani sviluppa le sue riflessioni sui prov-vedimenti per cui battersi nel Parlamento.E’ opportuno intanto rivedere lo Statuto inquella parte che limita le attribuzioni delpotere legislativo e in quella che garantisceil privilegio di un credo religioso (quellocattolico) e limita la libertà di coscienza edi culto27. È poi importante abolire il pri-vilegio che fonda il diritto elettorale sulcenso ed estendere il suffragio a quellaclasse che viene definita operaja (vale atutti coloro che svolgono direttamenteun’attività lavorativa); infatti solo così ci

troviamo di fronte veramente alla volontàdella Nazione rappresentata in tutte leclassi28.

Per quanto attiene poi alle questionifinanziarie il Nostro si scaglia contro leenormità delle tasse e della loro ripartizio-ne; da qui l’accusa di aver considerato l’in-tangibilità dei redditi passivi, cioè di bencinquecento milioni dipendenti da titolisui fondi pubblici, da dotazioni, pensioni,garanzie alle società ferroviarie ecc.29

Ritiene poi necessario investire il ricavatodella vendita dei beni ecclesiastici in opereutili alla coltivazione del suolo e alla ricerca

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Ciro Menotti Benedetto Cairoli

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dei tesori presenti nel seno delle mon-tagne italiane30; c’è poi bisogno diuna pubblica amministrazione effi-ciente che sia in grado di riscuotereopportunamente le tasse, ma che siaanche riformata, razionalizzata e senzasprechi31. Uno dei mezzi per attuaretutto questo è indicato nel decentra-mento (più autarchico che gerarchi-co) rispettoso della configurazionedella penisola, dell’indole e della sto-ria degli italiani32.

Ci troviamo insomma di fronte adun piano organico, che qui evitiamodi approfondire oltre, che collocavaDamiani in quella parte della sinistra,che coniugava la riforma dello Stato edella società con una sincera atten-zione alle classi laboriose della peni-sola contro ogni tipo di parassitismopolitico, sociale ed economico.

Il marsalese partecipò poco piùtardi alle vicende di Mentana, maaveva capito, come scrive nell’opu-scolo programmatico su cui ci siamosoffermati, che ormai era finita un’e-poca, cioè quella dei tentativi temerari edelle guerre33.

Doveva quindi iniziare quella della

riforma dello Stato e della società per ten-dere al raggiungimento della libertà inogni campo.

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Museo Civico Marsala, Sezione Risorgimentale-garibaldinaDivisa di Abele Damiani

1) Cfr.A.DAMIANI, Andrea D’Anna da Marsala, Torino, tip. del Diritto, 1864, pp.26-27, che è poi un

estratto del giornale torinese Il Diritto.

2) Ivi, p.12.

3) G.ASTUTO, Abele Damiani e la Sicilia post-unitaria, Catania, CULC, 1984, ci informa a pagina 13,

nota 2, che nell’archivio Damiani c’è un manoscritto del padre Giuseppe intitolato Ideologia, un tratta-

to filosofico ispirato ai principi kantiani.

Note

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4) Mi riferisco ad alcune pagine di A.DAMIANI, Andrea D’Anna… cit.; più precisamente si vedano le

pp.25-29.

5) Ivi, p.11.

6) A questo proposito si rimanda a F. DELLA PERUTA, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il “partito d’a-

zione”. 1830-1845, Milano, Feltrinelli, 1974, passim.

7) A.DAMIANI, Andrea D’Anna… cit., pp.21-21.

8) Su ciò si rimanda a Giovanni Alfredo Cesareo, nel suo Discorso in Marsala. XX Marzo MDCCCCVI.

Abele Damiani, Palermo, tip. Virzi, 1907, pp.11-12. Ma si veda anche Marsala ad Abele Damiani. XX Marzo

MCMVII, Palermo, F.Andò, 1907, p.4 (ringrazio la signora Maria Provenzano, dell’Archivio Storico

Comunale di Marsala, che mi ha aiutato a reperire questa rara pubblicazione).

9) Si vedano infatti questi accenti iperbolici su Fabrizi datati 22 giugno 1860 e usati da Abele Damiani

in una lettera ad Ignazio Lombardo di Palermo: “Se corsero Notinesi della classe più elevata, ed in nume-

ro esteso ad aruolarsi [sic] nell’esercito Naz.le, ciò avvenne per l’entusiasmo destato dalla presenza di un

nome come Fabrizi… Le ovazioni ricevute dal nostro Comandante per tutti i punti dov’era prevenuto dal

nome, furono tali da muovere alta meraviglia” (Museo Centrale del Risorgimento di Roma, d’ora in avanti

M.C.R.R., busta 521, ins. 56).

10) A.DAMIANI, Andrea D’Anna… cit., p.33.

11) Così si dice in Un episodio della Guerra di liberazione in Sicilia, siglata “Alcuni Spedizionari da

Malta ex-ufficiali della 2ª Brig. 17ª Divisione dell’Es. Mer.”, in M.C.R.R., busta 242, ins. 28. …cit..

12) Il numero di questi ardimentosi, il loro nome e cognome, la loro città di origine, sono riportati in

un prospetto presso il M.C.R.R., busta 528, ins.1. Da questo si ricava che i siciliani erano tredici, di cui quat-

tro provenienti da Marsala: Abele Damiani, Giuseppe Garaffa, Pietro Gaugi e Andrea D’Anna.

13) Un episodio della Guerra…. cit…

14) M.C.R.R. Si veda in particolare la busta 528

15) Su questo corpo si veda E.CASANOVA, Nicola Fabrizi e i “Cacciatori del faro”, in “Bollettino del-

l’ufficio storico dello Stato Maggiore”, 1929, pp.381-398.

16) Per notizie più dettagliate si rimanda a G.ASTUTO, Abele Damiani… cit., pp.13-58; al Dizionario

biografico degli italiani, vol. XXXII, Roma, 1986, ad nomen; a Il Parlamento italiano. 1861-1988, volume

VI, 1888-1901. Crispi e la crisi di fine secolo, Nuova CEI, Milano, 1989, pp.602-603.

17) G.A.CESAREO, Discorso, in Marsala. XX Marzo… cit., p.13.

18) Si veda la lettera di Abele Damiani a N. Fabrizi, 31 dicembre 1861, in cui gli annuncia l’avvenuta ele-

zione. Un brano di questa lettera, che è presso l’Archivio Centrale dello Stato, Carte Fabrizi, busta 3, ins.

373, è in G.ASTUTO, Abele Damiani… cit., p.37.

19) Si vedano le amare riflessioni sullo “stato d’assedio” proclamato in Sicilia e sugli atteggiamenti dei

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suoi conterranei in A.DAMIANI, Andrea D’Anna… cit., pp.47-51. Sono moltissime le testimonianze sui

soprusi e sulle crudeltà dei militari verso i civili meridionali. Voglio qui citarne una “visiva” veramente

cruda; si tratta della foto di un giovane operaio, Antonio Cappello, con il corpo martoriato da 154 scudi-

sciate inflittegli nell’ospedale militare per controllare se fosse realmente sordomuto; e lo era dalla nascita!

(cfr. A.COMANDINI – A.MONTI, L’Italia nei cento anni del secolo XIX giorno per giorno illustrata, vol. IV

(1861-1870), Milano, Vallardi, 1929, p.481).

20) Cesareo parla di “parecchi duelli” (cfr. Discorso… cit., p.13).

21) Non ne parla nessuno ad eccezione di Cesareo in Discorso … cit., p.22.

22) L’artefice di questa impresa fu Andrea D’Anna (cfr. A.DAMIANI Andrea D’Anna… cit., pp.44-45). A

causa della spedizione di Aspromonte, Damiani fu tra gli imprigionati nel forte di Bard, su cui esiste un

nucleo di lettere nell’archivio Damiani.

23) G.A.CESAREO, Discorso… cit., p.18.

24) Si veda il prospetto dei voti ottenuti da Damiani e dai suoi avversari dalla IX alla XIV Legislatura,

riprodotto in G.ASTUTO, Abele Damiani… cit., p.52, nota 89.

25) Mi riferisco ad A.DAMIANI, Agli elettori di Marsala, Mazara, Pantelleria e Favignana, Firenze, tip.

del Giglio, 1ºaprile 1867 (e non 1863 come in G.ASTUTO, Abele Damiani… cit., p.40, nota 64).

26) A.DAMIANI, Agli elettori…, pp.1-6.

27) Ivi., p.8

28) Ibidem

29) Ivi, p.10

30) Ivi, pp.11-12

31) Ivi, p.9 e pp.12-13

32) Ivi, p.13

33) Ivi, p.14

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1. "Io non parlo maidi me; e la mia natura ètroppo semplice pe’tempi che corrono; peròcontro le mie abitudinidevo ricordare l’operamia di relatore per laSicilia dell’inchiestaagraria e i sei volumiche la consacrano. Ohquanti guai si sarebberoevitati se si fosse avutala pazienza di leggerli edi crederli operacoscienziosa! Nulla vi sirinvenne di quanto avviene che non siastato previsto"1.

Così nel gennaio del 1894 AbeleDamiani ricorda al presidente delConsiglio, Francesco Crispi, che si accingea reprimere il movimento dei Fasci sicilia-ni, il suo impegno svolto in qualità di com-missario della Giunta per l’inchiesta agra-ria. Ma lamenta, al tempo stesso, il propriodisappunto per la poca attenzione dedicataalla monografia sulla Sicilia. Tale sorte,però, era toccata a tutti gli altri contributiregionali. Al momento della loro pubblica-zione, la classe dirigente italiana fu attrattadalla relazione finale, che, per la facilità

con cui si poteva consul-tare, per la competenza eper l’autorità del presi-dente della Giunta,Stefano Jacini, era diven-tata la parte più cono-sciuta della voluminosaindagine2.

Gli studi più recenti, alpari dei contemporanei,hanno privilegiato laRelazione finale e i pro-grammi in essa contenu-ti. Giustamente è statosottolineato che l’inchie-

sta va vista come un espediente per rilan-ciare, nell’ambito delle vocazioni agrono-miche delle diverse "Italie agricole", leistanze produttivistiche del settore prima-rio. Sono stati colti i limiti del progetto jaci-niano nel fatto che esso, riproponendo ilruolo tradizionale dell’agricoltura nell’eco-nomia italiana, mostra un’incomprensionedi fondo verso le nuove tendenze in campoeconomico, e soprattutto verso lo sviluppoindustriale3. Tuttavia, lo studio dell’inchie-sta, limitato alla Relazione finale, ha com-portato una sottovalutazione dell’interaopera che, per la sua complessità, non sipresta ad essere racchiusa entro il lavorodel suo presidente. Alberto Caracciolo, a

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L’inchiesta parlamentare JaciniIl commissario Damiani e la Siciliadi Giuseppe Astuto

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cui va il merito di aver compiuto la primapuntuale ricostruzione critica dell’inchie-sta, aveva scritto che, ad un attento esame,essa rivela "qualcosa di composito, di ete-rogeneo, nelle varie parti, quindi di nonconclusivo che lascia perplessi sul significa-to essenziale di tutta la costruzione". Ilconte Jacini, secondo lo studioso, nella suaqualità di presidente e per le competenzein materia, va ritenuto "primario artefice ditutto l’insieme dei risultati" e "l’uomomeglio capace di impersonare l’inchiestaagraria nel suo complesso, così come lavedeva e la voleva la classe dirigente delsuo tempo". Tuttavia, il lavoro conclusivodi Jacini non dava adeguato conto dei ric-chi contributi delle singole monografie,"ma soprattutto non dava conto dei diversiorientamenti presenti fra i commissari"4.Era un invito a una rilettura critica dellemonografie regionali.

Solo di recente gli studiosi di storia dellaSicilia postunitaria hanno attinto allamonografia di Damiani, la quale è conside-rata una fonte accurata ed insostituibile perla conoscenza delle strutture economiche esociali dell’isola nella seconda metàdell’Ottocento. Più citata che conosciutaperò: di essa si è utilizzata l’enorme quan-tità di dati statistici ivi contenuti, ma è man-cata una valutazione critica dei risultati edei metodi di ricerca. La monografia sullaSicilia, come vedremo più avanti, è la sinte-si di un’indagine collettiva, alla quale ave-vano collaborato funzionari del ministerodell’Interno e autorevoli esponenti dellacultura agraria siciliana. Al commissarioDamiani, però, si devono la scelta delletematiche studiate e le conclusioni dell’in-chiesta, che rispecchiano la sua formazione

culturale e politica. Alcuni dati sulla suabiografia sono utili.

Quando Damiani è nominato dal gover-no commissario della Giunta, egli occupaun posto di primo piano all’interno delloschieramento democratico e garibaldinoche, negli anni successivi all’unificazione, èconfluito nelle fila della Sinistra liberale.Fra i deputati siciliani vanta una lungaesperienza parlamentare, essendo statodeputato, ininterrottamente, a partire dal1865, del collegio di Marsala e avendo par-tecipato attivamente al dibattito politiconazionale. Agli interventi sui problemigenerali ha associato quelli d’intonazioneprevalentemente regionale, mettendosotto accusa i metodi repressivi dei mode-rati, l’accentramento burocratico e le len-tezze con cui si era proceduto nella realiz-zazione delle infrastrutture in Sicilia. Dopol’avvento della Sinistra al potere, l’attivitàpolitica di Damiani si è accresciuta. Amicoe stretto collaboratore di Crispi, al qualeDamiani si è legato politicamente, dopo ilfallimento dell’impresa garibaldina, con-clusasi tragicamente ad Aspromonte, èchiamato dallo statista siciliano ad organiz-zare il "partito" crispino in parlamento, esoprattutto in Sicilia, come si evince dallalunga e fitta corrispondenza intercorsa tra idue uomini politici. Nel 1877, per un breveperiodo, il deputato marsalese ha diretto ilquotidiano crispino La Riforma e nel 1878è arrivata la sua nomina a commissariodella Giunta per l’inchiesta agraria5.

È difficile stabilire i motivi che hannoindotto il governo a scegliere Damiani, ilquale, se si esclude la pratica acquisitanella gestione di un vigneto di mediadimensione nella sua Marsala, non vanta

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competenze tecniche nella materia oggettodell’inchiesta. Le argomentazioni diNovacco, secondo cui le nomine di perti-nenza del governo, fatte dopo le designa-zioni della Camera e del Senato, sono det-tate dalla necessità di coprire tutte le areegeografiche del paese, spiegano in parte lascelta di un siciliano6. Nei due rami delparlamento, al momento della formazionedella Giunta, sono presenti personalità del-l’isola che vantano competenza ed espe-rienza sulle tematiche dell’inchiesta. Quibasta citare i più noti. Fanno parte delSenato, ad esempio, l’economista cataneseMario Rizzari Paternò Castello e l’agrono-mo Nicolò Turrisi barone di Bonvicino, ilquale ha compiuto degli eccellenti studisull’agricoltura siciliana e negli anni ottan-ta fonderà e dirigerà la rivista "La Siciliaagricola". Alla Camera sono presenti, oltrea Salvatore Majorana-Calatabiano, che peròal momento dell’elezione dei commissariricopre la carica di ministrodell’Agricoltura, Francesco Ferrara eletto inuno dei collegi di Palermo e FrancescoColonna Romano duca di Reitano, presi-dente della Società di acclimatazione e diagricoltura di Palermo7. Con ogni probabi-lità, Damiani è nominato commissario perla sua appartenenza alla Sinistra liberale e,in modo particolare, per gli stretti rapportidi amicizia con Crispi, che in questo perio-do sostiene il governo diretto da Depretis.Tutto ciò non deve sorprendere, poichémolti settori della classe dirigente hannoattribuito all’inchiesta finalità politiche. Lastessa impostazione dei lavori assegna aicommissari il duplice ruolo, tecnico e poli-tico, di rilevatori dei dati e di compilatoridella relazione, nella quale dovranno

esporre apprezzamenti e valutazioni perso-nali sulla circoscrizione oggetto dell’inda-gine.

La valenza politica delle indagini è evi-denziata dal carattere della statistica italia-na che, al pari degli studi condotti in altripaesi europei, si avvia a diventare unascienza positiva, non più descrittiva ma"investigatrice"8. Fin dalla sua nascita, loStato unitario intensifica l’attività di indagi-ne sociale per conoscere e controllare larealtà del paese. Nel corso degli anni set-tanta, la necessità di ricerche cresce difronte alle nuove tendenze orientate versol’interventismo statale e lo sviluppo indu-striale che scuote i vecchi equilibri incen-trati sull’assetto agricolo del paese. La que-stione agraria preoccupa la classe dirigen-te. Da qui l’esigenza di conoscere unarealtà che pone domande nuove a cui biso-gna rispondere in modo nuovo. In questocontesto matura la necessità di un’inchie-sta agraria. Negli anni settanta, anche altripaesi europei hanno ultimato o stannocompiendo delle indagini sulle condizionidell’agricoltura. In Francia si studia la crisidella piccola e media proprietà; inGermania si analizzano il reddito agrario ele condizioni degli operai agricoli;l’Inghilterra si appresta a compiere un’in-chiesta sulla crisi dei prezzi (avrà inizio nel1879). Sono problemi che investono ilmondo e l’economia agricola, ma tuttiriconducibili ai nuovi processi in corso nel-l’economia del vecchio continente: dallacrescente industrializzazione alle trasfor-mazioni capitalistiche nelle campagne eagli effetti dell’unificazione del mercatomondiale sull’economia europea. Il travasodemografico dalla campagna alla città, il

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sorgere di un proletario agricolo e operaiodi vaste dimensioni e le gravi condizioni incui questo versa, incominciano a preoccu-pare i governanti europei9.

In Italia, subito dopo l’unificazione, laclasse dirigente liberale ha avvertito l’esi-genza di conoscere le diverse realtà econo-miche del paese. Fra i servizi del ministerodi Agricoltura e Industria nel 1860 è istitui-ta la Direzione di Statistica, la quale inco-mincia a funzionare soprattutto quandoalla sua guida è chiamato Pietro Maestri(maggio 1862). Si devono a questo studio-so le prime denuncie sulle deficienze cono-scitive delle diverse regioni d’Italia e leprime iniziative volte a colmare gli enormivuoti e le approssimazioni degli studi esi-stenti10. Nel primo quarto di secolo dopol’unità, in questo campo, si registranonotevoli miglioramenti. Vi concorrono leindagini governative, il contributo di stu-diosi di discipline sociali ed economiche, leapposite istituzioni create dallo Stato(l’Ufficio di Statistica nel 1861, l’UfficioGeologico nel 1870, ecc.), gli studi sullecondizioni di alcune province condotte daprefetti e da alti funzionari di prefettura11.Si tratta di iniziative di notevole rilievo. Lafiducia liberale sull’informazione statistica,gli orientamenti positivisti che trovanoampia diffusione nell’Italia di questi anni e,soprattutto, la costruzione e il consolida-mento del nuovo Stato unitario spieganolo sforzo di conoscere il paese e di orien-tarne lo sviluppo12.

L’interesse per lo studio delle condizioniagricole è testimoniato dalle indagini, pro-mosse dal ministero di Agricoltura e con-dotte dalle Camere di Commercio e daiComizi agrari. Il materiale raccolto in que-

ste occasioni ha consentito di avere i primidati sull’economia agricola italiana13. Dapiù parti, però, si riconosce che si tratta dipoca cosa. L’arretratezza dell’economiarurale, la sua incapacità di portarsi ai livellidegli altri paesi europei, caratteristiche chesono emerse dalle prime indagini, mettonoin evidenza la necessità di ulterioriapprofondimenti. Così agli inizi degli annisettanta prende corpo l’idea di compiereun’inchiesta sulle condizioni della produ-zione agraria. Nello stesso tempo alcunisettori della classe dirigente, preoccupatidall’esplosione della questione sociale, chein Italia si manifesta per la prima volta coni moti del macinato, propongono di cono-scere le condizioni di vita delle classi rura-li. Sin dall’inizio, quindi, emergono posi-zioni contrastanti in ordine all’impostazio-ne dell’inchiesta. Agostino Bertani, e conlui una cinquantina di deputati dell’oppo-sizione democratica - tra cui Crispi, Cairoli,Nicotera, Zanardelli e Damiani -, presentanel 1871 un progetto di legge per istituireun’inchiesta sulle condizioni della classeagricola e principalmente dei lavoratoridella terra. Il governo e la Destra, vicever-sa, temendo che i risultati siano strumenta-lizzati dall’opposizione, vogliono limitarel’indagine allo studio della produzioneagraria. Dopo lungaggini procedurali, lalegge sull’inchiesta, che accoglie ambeduele tematiche (sarà chiamata, infatti,"Inchiesta agraria e sulle condizioni dellaclasse agricola"), è votata dal parlamentonel marzo del 1877. Alla sua approvazionefa seguito la costituzione dell’appositaGiunta, composta da 12 membri, eletti per2/3 dalla Camera e dal Senato e per il rima-nente nominati dal Governo. Costituita

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ufficialmente, la Giunta elegge Jacini, per lacompetenza nella materia, a presidente eBertani a vicepresidente, i quali rappresen-tano le opposte tendenze che hanno carat-terizzato il dibattito prima dell’approvazio-ne della legge14.

I contrasti fra i due personaggi emergo-no sin dalle prime riunioni dedicate all’im-postazione da dare al lavoro. Il progetto diBertani di articolare la Giunta in tre sotto-commissioni con il compito di indagare sutemi specifici (situazione della proprietà,della produzione e condizioni dei lavorato-ri) non è approvato dalla maggioranza, laquale si riconosce nelle idee del suo presi-dente. Jacini, fermo sostenitore dell’impo-stazione prevalentemente tecnica, propo-ne, invece, la divisione dell’Italia in 12 cir-coscrizioni, le quali dovranno essere inda-gate dai singoli commissari sulla base di unprogramma-questionario appositamenteelaborato. L’indirizzo di fondo del senatorelombardo traspare dal questionario, con ilquale è definito il campo d’indagine dellaGiunta. Esso si incentra prevalentementesugli aspetti tecnici della questione agraria(proprietà fondiaria, tecniche di coltivazio-ne, credito agrario, e tutti i problemi con-nessi con la produzione), e solo in parteaccoglie i temi relativi alle condizioni divita dei lavoratori agricoli. Le vicende suc-cessive sono abbastanza note. Bertaniprima si dimette, poi ritira le dimissioni,ottenendo, in aggiunta all’indagine sullacircoscrizione ligure, l’incarico speciale distudiare le condizioni igienico-sanitarie ditutto il territorio nazionale. Con il suo ten-tativo di impiantare una contro-inchiesta,l’esponente democratico, però, finisce perestraniarsi, lasciando allo Jacini la direzio-

ne incontrastata15.Per la lentezza dei lavori dovuta in parte

alla mancanza di mezzi e in parte ai ritardidi alcuni commissari, l’inchiesta sarà ulti-mata nel maggio 1885, a otto anni didistanza dall’inizio16. Con la pubblicazionedei lavori si registra un salto di qualità nellaconoscenza delle condizioni dell’agricoltu-ra e dei lavoratori della terra. Rispetto allericerche precedenti, condotte dal ministe-ro di Agricoltura, l’indagine parlamentare,che è pubblicizzata nella stampa e nelleriviste specializzate, raggiunge vasti settoridell’opinione pubblica. Tuttavia, i lavorimonografici non sempre sono accompa-gnati da relazioni di sintesi che abbianorilevante valore tecnico e politico. Lamonografia sulla Sicilia costituisce un’ecce-zione. Vi contribuiscono l’impegno delcommissario, la competenza dei suoi colla-boratori (funzionari del ministero diAgricoltura) e la presentazione al concorsobandito dalla Giunta di alcune monografiecircondariali, elaborate da studiosi localiche possiedono particolari attitudini allaricerca.

2. "Chi veda le relazioni che, dopo iprimi quattro anni dall’inizio, su invitodel conte Jacini, i diversi commissari pre-sentarono per descrivere l’andamento delrispettivo lavoro, noterà subito le diver-sità di intendimenti e di metodi con cui siprocedeva. Lo stesso possiamo osservarenelle introduzioni, dove ci sono, ai singo-li volumi regionali. Lo stesso del modo incui il materiale è esposto da taluno preva-lentemente nella forma grezza (rileva-menti statistici, monografie staccate,tabelle, testo di contratti, ecc.), da altri

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più armonizzato nel testo. Di primariovalore risultano, fra tutte, le monografiedel Morpurgo sul Veneto, dello Jacini sullaLombardia, del Damiani sulla Sicilia. Trale più frettolose e scadenti invece le altremeridionali"17.

È questo il giudizio di Caracciolo ilquale, nel volume, ormai diventato un clas-sico, sull’inchiesta Jacini, esprimeva un giu-dizio positivo sulla monografia siciliana.Per l’impostazione della sua ricerca, incen-trata sulla circoscrizione umbra e sul ruolosvolto da Jacini, l’autore si limitava a rite-nere "di primario valore" il lavoro diDamiani, ma auspicava ulteriori indaginisulle monografie regionali e sui compo-nenti della Giunta. Era questa la via che lostudioso indicava per pervenire a valuta-zioni più complete sull’intera inchiestaagraria. Solo in parte, le sollecitazioni diCaracciolo sono state raccolte18. Proverò achiarire i metodi, i risultati dell’indagine ele proposte di riforma avanzate dal com-missario della prima circoscrizione allaGiunta.

Secondo le indicazioni approvate dallaGiunta, il lavoro dei commissari dovevaarticolarsi in tre fasi: la raccolta di tutti imateriali disponibili (atti e documenti del-l’amministrazione, studi di carattere scien-tifico, monografie); la verifica delle ricer-che, tramite viaggi di informazione e il con-tatto diretto con la realtà agraria; infine, lastesura della relazione sulla circoscrizioneassegnata con i rimedi da adottare permigliorare le condizioni dell’agricoltura19.Come organizza il suo lavoro Damiani?Quali le difficoltà incontrate? La diffidenzae il timore che l’inchiesta sia destinata a

scopi fiscali, le divisioni politiche, assiemealla mancanza di coordinamento nei lavorie alla scarsa collaborazione ricevuta dalleautorità locali, sono i principali ostacoliche il commissario incontra nello svolgi-mento del suo lavoro. Inoltre la Sicilia,come zona agraria, non solo presenta un’e-stensione superiore alle altre e una confi-gurazione che rende le distanze ancora piùgrandi, ma manca di un sistema ferroviarioe viario adeguati. "Queste difficoltà - scriveDamiani al presidente Jacini nel maggio1881 - furono tali da far seriamente pensa-re se l’opera di uno solo, per quanto natoin quei luoghi e abituato a farne suo spe-ciale argomento di studio, non riuscisseassolutamente impari al mandato"20.

La fase preliminare dell’inchiesta si svol-ge fra difficoltà oggettive (l’ampiezza dellacircoscrizione) e in un clima di diffidenza.Subito dopo la distribuzione degli incarichifra i commissari, Damiani compie un primogiro per i vari centri dell’isola, costituendo,nelle principali città, delle commissioniprovinciali composte da possidenti agricol-tori, tecnici e professionisti, i quali, secon-do le loro competenze, dovrebbero forni-re, a partire dalla primavera del 1878, studie ricerche attinenti alle condizioni dell’a-gricoltura delle varie zone dell’isola21.Fallito questo metodo, Damiani si affida alconcorso bandito dalla Giunta, sperandodi ottenere dalle monografie le notizie chele commissioni provinciali non gli hannofornito. Nella prima tornata concorsuale,però, gli studi tardano ad arrivare. A sco-raggiare la ricerca concorrono sia la richie-sta di monografie regionali, sia l’ampioprogramma-questionario da svolgere.Sicché nella primavera del 1878 sono pre-

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sentate alla Giunta soltanto tre monografie.Una riguarda la Sicilia. Si tratta di ungrosso lavoro intitolato"Panormus" e compilatodal professore NicolaChicoli di Palermo.Per le precise noti-zie che esso forni-sce sulle provincei n d a g a t e( P a l e r m o ,A g r i g e n t o ,Caltanissetta eTrapani) è giu-dicato interes-sante dalDamiani, ilquale nella rela-zione generale(il fascicolo III deltomo I) non soloadotterà i criteridello studioso paler-mitano, dividendo l’isolain due parti comprendentiuna le summenzionate provin-ce e l’altra le rimanenti, ma uti-lizzerà ampiamente questamonografia (e quella di AngeloNicolosi Gallo sui circondari di Catania eSiracusa) tanto che alcune parti sarannoriportate quasi integralmente22.

Dopo aver ricevuto altri fondi dal mini-stero, la Giunta rilancia il concorso, preci-sando che gli studiosi possono limitare l’in-dagine o a una sola provincia o a un singo-lo circondario. La nuova impostazionefavorisce gli studi e le ricerche. Nel 1880,infatti, arrivano alla Giunta ben 250 mono-grafie, di cui sette riguardano la Sicilia.

Complessivamente si tratta di un risultatolusinghiero. Ma le monografie sulla

Sicilia sono poche e di scarsovalore. È questo il giudizio

formulato dalla commis-sione esaminatrice per

le assegnazioni deipremi, compostada funzionari delministero diAgricoltura e daautorevoli stu-diosi locali. Sualcune le valu-tazioni sonodel tutto nega-tive. Le mono-grafie di Gian

Battista Salernoe Gaetano

Pasqualino, adesempio, "mancano -

si legge nel verbale -di notizie esatte, sono

incomplete e contengonoproposte che fanno dubitareanche dell’esattezza e dellaserietà di quel poco che con-tengono di buono"23. Altre

(quella di Antonio Aloi e di Nicola Miraglia)presentano "qua e là qualche cosa chepotrebbe tornare utile alla Giunta", ma "ilbuono è poca cosa". Maggior rispetto lacommissione ha per i lavori di SebastianoTringali e Vincenzo Coppa Sortino, ritenutimeritevoli di distinzione (al primo è asse-gnata una medaglia di bronzo e al secondoun premio in denaro)24.

Delle sette monografie solo quella diAngelo Nicolosi Gallo è giudicata utile per

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Abele Damiani all’epocadell’Inchiesta Agraria

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i lavori dell’inchiesta e degna di lode:"L’autore - si legge nella relazione - mostracol di lui lavoro d’avere studiato bene lecondizioni fisiche ed economiche in riguar-do all’industria agricola, come delle classiche vi si consacrano. Seguendolo attenta-mente si riscontra un facile dicitore e spes-so elegante. Si scorge subito l’uomo moltoesperto in cose agronomiche e dotatoeziandio di buoni studi nelle scienze che vihanno rapporto. I di lui giudizi sono seri, edegni di molto apprezzamento quasi sem-pre per l’agronomo razionale e pratico,come per l’economista"25. Identico ricono-scimento sarà fatto da Damiani, il qualenell’introduzione alla relazione generalescriverà che "soltanto due monografie,quella del Chicoli per le province diPalermo, Trapani, Caltanissetta e Girgenti,e quella del Nicolosi Gallo per i circondaridi Catania e Siracusa, furono tenute inqualche considerazione dalla commissioneesaminatrice di dette memorie". Benché lemonografie pervenute siano state sotto alleattese, Damiani riconosce che "a quest’ulti-mo metodo deve una serie di lavori deiquali il raffronto mi è stato largo di utilissi-me scoperte"26. Dall’esame comparativofra la relazione generale e le monografie diNicolosi Gallo e Chicoli emerge, in modoevidente, che queste ultime rappresentanoil punto di partenza dell’inchiesta, fornen-do al commissario uno schema e un modu-lo di relazione su cui avrebbe aggiunto idati acquisiti per altre vie (sindaci, pretori,uffici pubblici).

Rispetto agli altri commissari, che limita-no l’indagine prevalentemente alle mono-grafie inviate dagli studiosi, il Damiani, inuna seconda fase, coinvolge nelle ricerche

l’apparato amministrativo dello Stato.Elabora e spedisce ai sindaci dell’isola unquestionario che riproduce, in modo brevee conciso, il programma-questionario dellaGiunta. Invia, inoltre, speciali questionari emoduli ai pretori, agli intendenti di finan-za, ai presidenti di Camere di commercio,ai provveditori scolastici, ai Comizi agrari,ai prefetti e sottoprefetti, ai procuratori delRe, su temi di particolare rilevanza per laSicilia e non compresi nel programma-que-stionario27. Ai pretori sono richieste lenotizie riguardanti le condizioni morali e"le relazioni sociali nella classe agricola inciascun mandamento"28; agli intendenti difinanza tutti i dati disponibili sui beni pos-seduti dagli enti morali, sulle vendite deiterreni ecclesiastici e demaniali, sull’acqui-sto dei fondi già ecclesiastici concessi inenfiteusi perpetua e redimibile in base allalegge 10 agosto 1862, sulle espropriazionidi fondi rustici nei singoli circondari permancato pagamento dell’imposta fondia-ria. A tutti i sindaci della Sicilia sono invia-ti questionari sui bilanci comunali. Altridati, forniti dal ministero dei LavoriPubblici, da quello delle Finanze edell’Agricoltura, dalla Camere di commer-cio, dai conservatori delle ipoteche, servo-no ad arricchire le notizie ottenute tramitei questionari29.

Quello svolto da Damiani è un lavorometicoloso e puntuale, che spiega il ritardonella pubblicazione degli atti relativi allaprima circoscrizione. Il manoscritto, pre-sentato nell’aprile del 1884, sarà pubblica-to soltanto nel 1885 dalla tipografiaForzani di Roma, diventando il XIII volumedell’inchiesta agraria. Esso comprende duetomi, divisi in cinque fascicoli, per un tota-

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le di oltre mille pagine di testo e quasi 200tavole statistiche e riassuntive. Il primotomo contiene tre fascicoli: nel primo sitrova la sintesi del lavoro, le idee e le con-clusioni del commissario Damiani sullecondizioni economiche e sociali dell’isola;nel secondo i prospetti statistici sui benirurali di proprietà degli enti morali e deicomuni; nel terzo la relazione generaledove, secondo il programma-questionariodella Giunta, sono riepilogati tutti i datiraccolti sull’argomento, oltre alle notiziericavate dalle monografie. Il secondo tomocontiene il quarto e il quinto fascicolo. Nelquarto si trova la descrizione per circonda-rio dello stato dell’agricoltura e delle con-dizioni economiche e sociali dei contadini.La trattazione di questi temi è preceduta dasette riassunti (uno per provincia) e unaprefazione, nella quale, a grandi linee,sono descritti i caratteri comuni a tutta laclasse agricola dell’isola. In questa partesono utilizzate le risposte al questionariodiretto ai sindaci, ai pretori e agli ufficipubblici. Il quinto fascicolo è costituito dagrandi tabelle che riassumono per circon-dario e per provincia i dati forniti dai sum-menzionati esponenti dell’apparato ammi-nistrativo dello Stato30.

Sorretta da questa documentazione, lamonografia sulla Sicilia si presenta ricchis-sima di dati e di testimonianze. Certo, nonmancano i limiti, in parte riconducibili aimetodi poco rigorosi che in questi annisono praticati nelle scienze statistiche.Domina in questo campo una concezionepuramente descrittiva e compilativa31. Perqueste ragioni il carattere eccessivamenteanalitico della monografia siciliana la rendedi difficile e faticosa lettura. "L’insieme del

lavoro - riconosce lo stesso Damiani - nonè, né può essere completamente in perfet-ta armonia in tutte le sue parti; ma le diffi-coltà incontrate, di cui abbiamo dato un’in-completa idea, debbono essere tenutenella debita considerazione dall’attento edimparziale lettore"32.

In ogni modo lo studioso si trova davan-ti una mole considerevole di materiale chedocumenta l’impegno e la fatica del com-missario siciliano. L’indagine finalizzata sualcune questioni speciali, che riguardonoin modo particolare la Sicilia (distribuzionedei beni ecclesiastici e demaniali; condizio-ni della classe agricola; il lavoro dei fan-ciulli e delle donne nelle miniere; le con-dizioni dell’industria zolfifera), e la conse-guente raccolta di dati omogenei dannoalla relazione un’impronta particolare chela rende diversa dalle altre. Al raggiungi-mento di questi obiettivi hanno contribuitodue giovani funzionari del ministero diAgricoltura (Vittorio Stringher e GiovanniPatanè), che il deputato marsalese harichiesto in qualità di collaboratori per ilcompimento dell’inchiesta.

3. "Io ebbi un forte coadiutore nella per-sona di un distinto giovane siciliano cheti raccomandai quando eri ministro l’ulti-ma volta, il professore Giovanni Patanècapo di sezione al ministerodell’Agricoltura. Egli potrebbe darti vali-dissimo aiuto qualora tu credessi di sotto-porre a diligente esame la condizione deinostri contadini per trovare il modo piùindicato di soddisfarli"33.

"Il Patanè aggiunge alle sue eminentiqualità di intelletto e di cultura, quelle diessere siciliano. A lui devo attribuire una

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gran parte del merito che fu riconosciutoalla mia relazione sulla inchiesta agrariain Sicilia"34.

Damiani ammette esplicitamente ilruolo svolto da Patanè durante lo svolgi-mento dei lavori dell’inchiesta. D’altraparte tutti i commissari, ad eccezione diStefano Jacini, Emilio Morpurgo e LuigiTanari, non possiedono competenze tecni-che e devono rivolgersi a collaboratoriesterni per l’elaborazione dei dati e per lastesura delle relazioni35. Il commissarioDamiani si avvale della collaborazione diVittorio Stringher e di Giovanni Patanè,due giovani studiosi e funzionari del mini-stero di Agricoltura36. Mentre l’opera delprimo è molto limitata (Stringher si occupasoltanto della parte dell’inchiesta relativaalla cerealicoltura e ai metodi di coltivazio-ne praticati in questo settore37), l’impegnodi Giovanni Patanè ci sembra decisivo per ilcompimento e per il completamento, eforse anche per i buoni risultati del lavorosulla prima circoscrizione.

D’altra parte c’è da chiedersi se Damianida solo avrebbe potuto svolgere tanta moledi lavoro. L’impegno politico, infatti, assor-be, in questi anni, gran parte dell’attivitàdel deputato marsalese, il quale, peraltro,non essendo stato rieletto deputato nelcollegio di Trapani alle elezioni del 1882,deve affrontare una difficile e appassionatacampagna elettorale nel 1883 per la con-quista del seggio che si era liberato nel col-legio di Messina38. La collaborazione delPatanè, quindi, si deve ritenere determi-nante. Esplicito è il riconoscimento verso ilfunzionario ministeriale in una pagina del-l’inchiesta: "Prima di chiudere queste pagi-

ne - scrive Damiani - sento di dovere mani-festare i sensi del mio grato animo al signorPatanè Giovanni, professore di Scienzeagrarie, vice segretario al ministero diAgricoltura, che raccolse e coordinò i tantielementi che costituiscono la mole delleindagini prodotte in questi volumi. Devoallo spirito sottile di ricerca e alla intelli-genza di questo egregio professore se l’in-chiesta sulla Sicilia poté compiersi contanta copia di dati e documenti; sicché miè parso di dover segnalare al ministero dacui egli dipende cotali titoli di considera-zione"39.

Si deve supporre che il lavoro sostenutoda Patanè vada oltre la raccolta e la siste-mazione dei dati. Purtroppo le notizie chepossediamo non ci consentono di stabilirequali parti dell’inchiesta siano stati curate escritte dal Damiani e quali dal Patanè.Senza dubbio si deve attribuire al deputatomarsalese la stesura della relazione (ilprimo fascicolo), nella quale sono riassun-ti i risultati dell’intero lavoro e formulate leproposte politiche. Il secondo e il quintofascicolo, che contengono in grandi tabellestatistiche l’elaborazione e la sistemazionedel ricco materiale raccolto, devono appar-tenere al Patanè. Con molta probabilità, ilfunzionario ministeriale ha contribuitoanche alla compilazione degli altri duefascicoli (la relazione generale secondo ilprogramma-questionario della Giunta e ladescrizione per circondario delle condizio-ni economiche e sociali dell’isola). A raffor-zare questa convinzione concorrono alcunitratti dell’impostazione metodologica (adesempio lo stretto intreccio fra metododescrittivo e metodo statistico, l’impiegodel metodo monografico, la descrizione

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per circondario delle condizioni economi-che e sociali dell’isola) che riflette gli orien-tamenti portati avanti da Luigi Bodio, diret-tore della divisione di statistica. Proprio, inquesti anni, si forma la grande tradizionedei funzionari del ministerodell’Agricoltura dove lavorano VittorioEllena, Nicola Miraglia, Carlo Ferraris,Bonaldo e Vittorio Stringher, impegnatinell’amministrazione della statistica sottola guida di Bodio. Si devono all’operositàscientifica di questo gruppo le rilevazionistatistiche degli anni ottanta, l’impiego dinuovi sistemi di raccolta e di elaborazionedei dati provenienti dalle amministrazioni,il collegamento della cultura statistica ita-liana con quella internazionale40.

Al ministero di Agricoltura lavora Patanènel momento in cui è chiamato come col-laboratore del commissario Damiani. Èprobabile che egli abbia avuto rapportidiretti con Bodio negli uffici di statistica. Inogni caso, il Patanè deve conoscere le ricer-che e le opere in cui il direttore dellaStatistica va esponendo i propri orienta-menti metodologici41. È innegabile, quin-di, il ruolo decisivo del funzionario mini-steriale nell’organizzazione e nella sistema-zione del lavoro sulla prima circoscrizione,e forse anche nella stesura dei risultati.Tuttavia, l’impronta di Damiani è marcata ela sua visione dei problemi dell’isola, chetrae alimento dalla esistenza nella regionedi una tradizione e di una particolare sen-sibilità per i temi scelti dall’inchiesta agra-ria, emerge in modo chiaro nella relazioneintroduttiva, definita dallo stesso commis-sario "l’inchiesta in miniatura".

Nel campo delle scienze agrarie e dellastatistica, la Sicilia non vanta la ricca tradi-

zione della Lombardia e della Toscana.Tuttavia, non erano mancati gli studi e lericerche nel periodo preunitario.Dall’inizio del secolo un ruolo propulsivoaveva avuto in campo agrario PaoloBalsamo, il quale si rifaceva agli insegna-menti agronomici dello Zucchini diFirenze, del francese Broussonet e dell’in-glese Young, con i quali mantenne dellerelazioni sulle pratiche dell’agricoltura. Ilpunto principale del suo programma siincentrava sulla nascita di grandi aziendegestite con criteri capitalistici42. Era statoNicolò Palmeri, a indicare, riprendendol’insegnamento di Balsamo, la precettisticaagronomica e a condurre degli studi sullecondizioni dell’agricoltura e della pastori-zia in Sicilia. Negli anni venti, infatti, veni-va pubblicato un Calendariodell’Agricoltore Siciliano, finanziato daCarlo Cottone, principe di Castelnuovo, epoi il Saggio sulle cause e i rimedi delleangustie attuali della economia agrariain Sicilia43. Sulle posizioni dell’asseBalsamo-Paterno si sarebbero formati, neidecenni successivi, valenti studiosi dell’a-gricoltura come Vincenzo Tineo, AgostinoTodaro, Giuseppe Inzenga, Nicolò TurrisiColonna, Filippo Parlatore44.

Anche la cultura economica e statisticaaveva conosciuto nei decenni precedentil’unificazione un notevole avanzamento euna discreta diffusione. Negli anni trentafurono creati l’Istituto di Incoraggiamentoe la Direzione generale di Statistica.L’Istituto di Incoraggiamento pubblicavaun suo periodico, "Le Effemeridi scientifi-che e letterarie per la Sicilia", fondato daFerdinando Malvica e VincenzoMortillaro45. Alla Direzione generale di

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Statistica, voluta dal governo borbonicoper conoscere le condizioni dell’isola e,quindi, per approntare le strutture di con-trollo attraverso una modernizzazionedegli apparati amministrativi, faceva capo il"Giornale di Statistica". Vi collaboravano gliimpiegati della Direzione, ma un ruolo pre-minente ebbero un gruppo di giovani eco-nomisti, tra i quali spiccavano i nomi diEmerico Amari, Francesco Perez e RaffaeleBusacca. Più che nella raccolta e nell’ela-borazione di dati statistici, gli studi apparsinella rivista si caratterizzarono per il loroimpegno sul versante del dibattito teorico,animato dal giovane Francesco Ferrara, cheinsisteva, in polemica con Gioia eRomagnosi, sull’autonomia scientifica dellaricerca statistica rispetto ai condizionamen-ti esterni46. Non meno rilevante era stato ilcontributo della scuola di economia politi-ca della Sicilia orientale che nei decenni

preunitari aveva acquisito notevole presti-gio con Placido De Luca, Giovanni Bruno,Mario Rizzari e Salvatore Majorana-Calatabiano47.

Studi recenti hanno confermato che laconnotazione civile delle scienze agrono-miche e statistiche alimentò non soltantol’interesse per le ricerche, ma anche l’op-posizione al regime borbonico48. Per que-sti motivi, la polizia borbonica nel 1844aveva denunciato Vito D’Ondes Reggio,Emerico Amari, Francesco Ferrara eRaffaele Busacca "che nel Regio Istitutod’Incoraggiamento di Sicilia sotto specie dipropugnare la libertà economica, intende-vano propugnare la politica"49. In questoquadro si spiegano gli ostacoli frapposti dalgoverno borbonico per autorizzare la costi-tuzione di società agricole. Esemplare fu ilcaso della Società di acclimatazione diPalermo istituita nel 1861. L’idea di pro-

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Nelle tre foto: la desolazione dei paesaggi siciliani denunziata da Abele Damiani nell’Inchiesta

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muovere in Sicilia un’associazione privataper condurre studi di agricoltura era stataavanzata fin dal 1857, ma non poté effet-tuarsi allora, perché neanche si permettevaqualsiasi associazione che potesse giovareagli interessi del paese, anche quando que-sta neppure da lontano avesse relazionecon la politica50.

Dopo l’unificazione il lavoro di indagi-ne sulle condizioni dell’isola procederàcon maggiore entusiasmo. Per molti stu-diosi che si erano formati nel periodo pre-cedente, la nuova realtà unitaria diventeràil terreno su cui si misureranno per realiz-zare le riforme e i progetti di ammoderna-mento produttivo della Sicilia. Non è uncaso che li troviamo impegnati e particolar-mente attivi nelle società agrarie, nelle rivi-ste e nelle istituzioni create dallo Stato uni-tario (Comizi agrari, Scuole specializzate diagricoltura, ecc.)51. Quali sono i problemie gli argomenti che attraggono l’attenzionedei principali esponenti della cultura eco-nomica e agronomica? Scorrendo le pub-blicazioni di questi anni, alle quali ilDamiani attingerà per la compilazionedella sua relazione, si notano finalità diver-se. In molti lavori dominano gli aspetti tec-nico-agronomici. Si indaga, ad esempio,sulle particolari colture della vigna, dell’u-livo, degli agrumi, del sommacco, deicereali. Sono studiati i problemi di agricol-tura pratica, la natura dei terreni, le tecni-che agrarie, le malattie delle piante, l’alle-vamento del bestiame52. Notizie utili per laconoscenza delle condizioni dell’economiaisolana si trovano nelle monografie su sin-gole zone agrarie, nonostante siano impie-gati metodi di rilevazione eterogenei e nonfondati sulla raccolta sistematica di dati53.

Non mancano poi gli studi nei quali l’at-tenzione s’incentra in generale sui fenome-ni sociali ed economici54. Di queste operequi ci interessa esaminare non già gli aspet-ti tecnici quanto i principali contenuti cul-turali.

Gli esponenti più autorevoli della cultu-ra agronomica, a ragione, sono convintiche la Sicilia, rispetto ai processi di ammo-dernamento avvenuti nelle altre regioni ita-liane e in Europa, sia rimasta indietro equindi sia necessaria un’azione vasta edecisa per colmare il dislivello. Per aumen-tare le risorse essi attribuiscono grandevalore alla libertà economica e alla iniziati-va privata. A queste, però, occorre accom-pagnare l’istruzione, la conoscenza, la dif-fusione di nuovi metodi produttivi, il cuicompito spetta alle società agricole.Francesco Paolo Perez, inaugurando nel1861 la Società di Acclimatazione, affer-merà che l’iniziativa ispirata al "doppioprincipio della libera individuale attività, edelle private associazioni intese al conse-guimento di pubbliche utilità" segna unnuovo indirizzo. "Io non credo - continua -che più civile impulso possa darsi neitempi moderni quanto quello di istituireprivate associazioni, aventi un determinatoscopo di pratica utilità sociale: sistema chetanti miracoli ha operato nell’Inghilterra enell’America, e, per dir di un esempionostro, nella gentile Toscana; sistema che èdestinato a rinnovare la faccia del mondocivile; l’unico che possa dare soluzione agliardui problemi che le false dottrine delsecolo scorso hanno lasciato al nostrocome inevitabile e dolorosa eredità"55.

Dai maggiori ed autorevoli rappresen-tanti della scienza agronomica italiana

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(Raffaello Lambruschini, Cosimo Ridolfi,Gaetano Cantoni), con i quali economistied agronomi siciliani mantengono strettirapporti, provengono stimoli e sollecitazio-ni per lo studio di nuove tecniche di colti-vazione e il conseguente ammodernamen-to dell’agricoltura; da esse è mutuata anchela convinzione che, date le condizioni cli-matiche e geografiche dell’isola, l’avvenireeconomico dipende dallo sviluppo dell’a-gricoltura e in particolare di alcuni prodot-ti (vino e agrumi) che si adattano al territo-rio; che la stessa crescita commerciale edindustriale è legata alla trasformazione deiprodotti agricoli56. "La Sicilia - si leggenelle conclusioni del Congresso agrario del1879 - doveva sopra ogni altra cosa rivol-gersi all’agricoltura: la Sicilia non fu né saràmai manifatturiera nel senso comunemen-te inteso; essa è eminentemente agricolacome lo fu sempre; perché natura tale lafece. Se potrà essere manifatturiera lopotrà solamente per le industrie che deri-vino direttamente dai prodotti del suolo: inciò ebbe ed ha voce modesta nell’arengoindustriale"57. In una realtà prevalente-mente agricola, e largamente arretrata,com’è quella siciliana all’indomani dell’u-nificazione, liberismo agrario, iniziativa pri-vata e ammodernamento dell’agricolturadiventano i punti principali e qualificanti diun ben preciso progetto di sviluppo eco-nomico, che metterà salde radici anche frala classe dirigente.

L’agricoltura ha un ruolo importante estrategico per lo sviluppo della regione. Inquesto contesto si comprende perché allemotivazioni produttivistiche si accompa-gnano i continui richiami ai doveri dei pro-prietari. Secondo gli economisti e gli agro-

nomi, le tecniche e i nuovi metodi produt-tivi possono trovare diffusione solo se siaccresce l’impegno dei proprietari. Secostoro, abbandonando la tradizionaleapatia ed indifferenza, si dedicano diretta-mente alla coltivazione delle proprie terre,lo sviluppo agricolo ne trarrebbe giova-mento. "Grave cagione di non prosperevo-le agricoltura - si legge nello stesso docu-mento - è il disgiungimento del proprieta-rio dal coltivatore, di entrambi dallo scien-ziato, e di questo da quelli. Il proprietariosi tiene pago della data rendita, che glioffre il coltivatore; questi sfrutta la terra nelperiodo del suo breve fitto; lo scienziatorimane purtroppo lieto delle discettazioniaccademiche, che spesso non passano lasoglia di una sala, e vanno soltanto adingrossare le pagine di un giornale ed a for-nire la materia di una monografia, le qualicose non cadono che sotto l’intelligenza dipochi teoretici"58. La polemica nei con-fronti dei proprietari assenteisti si incontrafrequentemente negli scritti dei contempo-ranei e nelle riviste agrarie; e tuttavia è dif-ficile trovare voci favorevoli a cambiamentiche possano compromettere le gerarchieesistenti nei rapporti sociali.

Una conferma si avrà, alla metà deglianni settanta, nell’opposizione ferma degliesponenti della cultura siciliana alle propo-ste di Sidney Sonnino, contenute nellafamosa Inchiesta I contadini in Sicilia59.Lo studioso toscano, nel tentativo di risol-vere la questione sociale nelle campagnesiciliane, ha proposto, in alternativa alsistema contrattuale parziario dominantesoprattutto nelle zone a cultura cerealicola,l’applicazione della mezzadria classicatoscana. Non si tratta di una proposta rivo-

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luzionaria, come opportunamente è statosottolineato60; la proposta di Sonnino anzisi inquadra in un disegno volto a rafforzareil dominio del ceto proprietario, metten-dolo al riparo da lacerazioni e conflittisociali. Inoltre fra lo studioso toscano e gliesponenti siciliani vi sono molti punti incomune: dalle premesse liberistiche, chedevono regolare i processi economici delpaese fondati principalmente sullo svilup-po dell’agricoltura, alla difesa di questadalle pressioni fiscali governative61. Comespiegare allora la netta e decisa opposizio-ne da parte della cultura siciliana? A qualiargomenti si ricorre per controbattere leproposte sonniniane?

Gli argomenti sono fin troppo noti,anche perché questi saranno ripropostiogni qualvolta il tema dei contratti agrarisarà all’ordine del giorno nelle discussionipolitiche e parlamentari (e al centro delloscontro sociale): estendere la mezzadriaclassica alla Sicilia - secondo i critici delSonnino - comporterebbe non solo unamortificazione dell’iniziativa privata, maanche un livellamento contrattuale che,date le varietà culturali e la diversità dellecapacità produttive dei terreni, arrechereb-be danno sia al proprietario sia al colono.Le forme coloniche adottate in Sicilia sonole più rispondenti alle peculiarità culturalie territoriali; non è poi competenza delloStato intervenire in materia contrattuale enell’organizzazione del lavoro: "Se adun-que la scienza economica - si legge in undeliberato della Società siciliana di econo-mia politica - proclama la libertà del lavoronon lo fa nell’interesse dei proprietari ocoltivatori, ma più presto nello interessedegli stessi lavoratori e della industria in

generale: poiché una legge, se potrà rime-diare ad un male che si vede, ammessapure l’esistenza del male, non potrà ovvia-re ai mille mali che non si vedono e chesarebbero la conseguenza di una improvvi-da legge. È d’uopo, o Signori, che la nostraSocietà proclami altamente che la scienzaeconomica ha per fondamento il diritto, eper condottiera la morale [...]. Il dirittodella libertà del lavoro è di fatto congenitoal diritto della proprietà personale e guida-to dal convincimento che niun tutore pub-blico, nella generalità dei casi, potrà veglia-re con maggiore moralità, maggiore accor-gimento dell’interesse individuale"62.

È la solita polemica condotta secondo lalinea classica del liberalismo agrario, che èparte fondamentale della cultura agrono-mica ed economica siciliana. Non a casol’opposizione alle riforme in materia con-trattuale si ripresenterà puntualmentenella storia italiana (esemplare è la vicendadelle leggi agrarie crispine del 1894-95)63.A ben vedere la libertà contrattuale, conl’esaltazione dei rapporti parziari e di com-partecipazione, è indispensabile per i pro-prietari assenteisti e per quei proprietariche hanno legato la loro sorte alle culturepregiate. È noto che molte delle trasforma-zioni produttive in Sicilia, e nelMezzogiorno, sono dovute all’impiego dellavoro contadino tramite il massiccio ricor-so alla colonia migliorataria64. Molto diffu-sa è anche la colonia parziaria nella coltiva-zione delle terre alberate. A sottolinearel’accurato interesse e la diffusione di que-sto contratto in Sicilia è Nicolò TurrisiColonna, valente agronomo e al tempostesso grande proprietario terriero.Recensendo alla metà degli anni settata lo

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studio di Bertagnolli sulla colonia parzia-ria, ritenuta dannosa al progresso dell’agri-coltura, lo studioso di agronomia ne mettein evidenza l’utilità per l’economia sicilia-na. "Da pochi anni - scrive lo studioso - èstato applicato alla coltura dei più ricchi epregiati alberi che noi abbiamo: l’aranciocioè e il limone. [...] È noto abbastanzaquale grande sviluppo abbia acquistato inSicilia in questi ultimi anni la cultura delricco arbusto del sommacco; or noi possia-mo assicurare l’autore della citata opera,che la maggior parte dei sommaccheti del-l’isola non sono coltivati per conto dei pro-prietari, ma per mezzo di due contratti spe-ciali, una di colonia parziaria, l’altro diappalto o cottimo [...]. Potremmo anchedimostrare, che a nostro giudizio, mai faràscomparire dalle civili contrattazioni alcu-no di quei contratti che consorziano in ununico interesse i possessori degli strumen-ti della produzione"65.

Non sorprende che, nell’ambito di unacultura in cui libertà contrattuale e dirittodi proprietà sono ritenuti un binomioinscindibile, venga negata l’esistenza diuna questione sociale nelle campagne, chea partire dagli anni settanta è sollevata dasettori della classe dirigente italiana (oltreSonnino, il più noto è Pasquale Villari)66.Secondo gli economisti siciliani, il benesse-re del contadino non va ricercato nellamodifica dei contratti e dell’assetto pro-prietario, ma sul terreno del progresso tec-nico e produttivo. Solo con l’aumentodelle ricchezze della regione anche i colti-vatori trarrebbero giovamento. Occorre,quindi, attendere che le libertà da pocoottenute abbiano degli effetti sull’econo-mia. La discussione su questi temi promos-

sa dalla Società siciliana di economia poli-tica - in un momento in cui, sia per l’in-chiesta governativa sulle condizioni socialied economiche sia per l’inchiesta condottada Franchetti e Sonnino, la Sicilia si trova alcentro dell’attenzione nazionale - è emble-matica67. Il relatore è sempre TurrisiColonna. In contrapposizione a quantisostengono che il latifondo rende misere lepopolazioni rurali e provoca la poca sicu-rezza nelle campagne, ne ribadisce lanecessità, negando l’esistenza di una que-stione sociale (alle stesse conclusioni erapervenuta la Commissioneparlamentare68). "In riguardo ai latifondisiciliani - scrive Turrisi Colonna - la que-stione è solamente agraria, non sociale; illatifondo è utile alla pastorizia nomade, efinché non vi saranno foraggi, e finché lapastorizia non è ridotta alle stalle, il latifon-do è necessario; il progresso agronomico,la grande trasformazione dell’industriaestensiva in intensiva faranno mano manosparire il latifondo, non è quindi una que-stione economica e sociale, ma semplicequestione di agricoltura e pastorizia, e leleggi nulla potranno su questo fatto che èreso necessario dalle attuali condizioni del-l’isola. Mutate le condizioni, il latifondodiminuirà per dar luogo ad uno sminuzza-mento conforme ai nuovi bisogni"69. Levalutazioni di Turrisi Colonna sono condi-vise da quanti intervengono nel dibattito.In particolare il Maggiore Perni, sulla basedi studi statistici, se da una parte confermal’esistenza dei latifondi, anche in propor-zioni maggiori rispetto alle altre regioni ita-liane, esclude, però, la possibilità di inter-venire con leggi per favorire lo spezzetta-mento della terra: "Il latifondo - scrive -

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non è un male, è un bisogno agrario. Nonvi è sotto una questione sociale, né ancoeconomica. La questione della divisionedella terra in rapporto alla proprietà è bendiversa di quella in rapporto alla cultura ealla economia, nessun provvedimento legi-slativo può adoperarsi, l’azione del tempoe della libertà porterà lo sminuzzamento eil concentramento necessario alle condi-zioni di ogni località"70. Non rientrano nel-l’orizzonte della cultura economica edagronomica siciliana ipotesi e proposte chemettano in discussione il diritto di pro-prietà. Per il momento, solo ristretti gruppidi essa (Girolamo Caruso, Giuseppe RiccaSalerno, Vito Cusimano) e alcuni esponen-ti della Sinistra liberale attribuiscono qual-che rilievo alla questione sociale71.Damiani è fra questi. Giustamente ilCaracciolo considera le sue concezionimolto vicine a quelle di Bertani72. E ilNovacco ritiene entrambi gli unici membridella Giunta interessati "a dirottare i lavoriverso un’indagine sociale"73.

Seguendo questa impostazione, il depu-tato marsalese organizza una ricerca ampia,i cui pregi consistono nella varietà e nelladiversificazione delle fonti. Tuttavia, nonsovverte, come ha fatto il Morpurgo per ilVeneto74, l’ordine di priorità codificato nelprogramma-questionario, uniformandosiai criteri elaborati dalla Giunta, che preve-dono la descrizione geologica, geografica eclimatica, e poi la trattazione dei temiriguardanti la produzione e le colture, laproprietà, i rapporti contrattuali, le condi-zioni dei lavoratori della terra. Nell’analisidei risultati dell’inchiesta seguirò lo stessoordine.

4. "È vero che intiere superfici a semine-ri si sono trasformate felicemente in uber-tosi vigneti, in uliveti, in agrumeti, manon è da credere per questo che la superfi-cie destinata in Sicilia alla produzione deicereali sia oggi diminuita di molto daquella che era una volta, perché non pochiboschi e pascoli si sono trasformati insemineri, anzi la superficie di questi puòritenersi accresciuta"75.

Così Damiani descrive la ripartizionedella superficie agraria e i cambiamentiavvenuti nei primi decenni postunitari. Aquesti risultati il commissario arriva met-tendo a confronto i dati del catasto borbo-nico (compilato fra il 1841 e il 1846) equelli raccolti durante l’inchiesta. Il prima-to spetta ai seminativi (1.185.009 ettari suuna superficie agrario-forestale stimataattorno a 2.686.925). Al loro interno poi icereali sono la cultura prevalente (663.308ettari). Si è dilatata l’area delle culture spe-cializzate, soprattutto il vigneto e l’agrume-to. La viticoltura, che si può definire la tra-sformazione "facile", perché non ha biso-gno d’irrigazione e di alcuna qualità parti-colare del suolo, nell’ultimo ventennio, ècresciuta ad un ritmo accelerato (da145.000 a 321.000 ettari). L’agrumeto, latrasformazione "difficile" perché nonrichiede soltanto lavoro, ma irrigazione eterreni adatti, è passato da 7.000 a 27.000ettari.

Si tratta di dati approssimativi. Tuttavia,pur tenendo conto dell’imprecisione dellefonti, le variazioni sono così marcate, che èdifficile negare i cambiamenti intervenutinella destinazione culturale della superfi-

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cie agraria e forestale. D’altra parte, l’anda-mento del commercio, al quale il commis-sario dedica un intero capitolo della rela-zione, conferma l’importanza che alcuneproduzioni agricole hanno assunto nell’e-conomia siciliana. L’esportazione del vino èpassata dai 113.000 ettolitri del 1870 ai516.000 del 1882. Sul totale delle esporta-zioni del regno, nel 1871 la Sicilia vi hacontribuito per metà, nel 1872 per unquarto e il suo concorso è aumentato neglianni successivi: il 35% nel 1880, il 36% nel1881 e il 39% nel 1882. Dopo il vino, glialtri prodotti agricoli esportati sono gliagrumi e l’olio. In base alle poche notizie,che è riuscito a raccogliere, il commissariopuò sostenere che la Sicilia, fra tutte leregioni d’Italia, "è quasi sola ad alimentarel’uscita di questo gradito prodotto per l’e-stero". Su 1.280.235 quintali esportati nel1881, l’isola vi ha contribuito con1.065.831, cioè il 90% dell’ammontarecomplessivo. L’esportazione di olio, che èpure uno dei principali prodotti agricolidell’isola, non ha quella importanza ade-guata alla coltura dell’olivo, anzi "trovasiora in decadenza, segno evidente che l’in-dustria olearia non ha fatto progressi disorta"76.

La rapida espansione delle culture spe-cializzate è legata alla congiuntura favore-vole, caratterizzata dalla domanda di derra-te alimentari e dalla costante ascesa deiprezzi. Non si può parlare, quindi, di corri-spondente progresso nella trasformazionedei prodotti agricoli. Di ciò è consapevoleil commissario, il quale pone l’accentosulle arretratezze nella vinificazione: se siesclude il vino Marsala, dove operano atti-vi imprenditori stranieri e locali, "ingenti

quantità di vino sono preparate pessima-mente e vendute a vili prezzi". Il giudizio diDamiani nei confronti delle culture specia-lizzate non è quello di accettazione acriticadi un modello: per lui l’espansione di que-sto settore produttivo non prefigura di persé un rinnovamento agricolo, se non èaccompagnato da un contemporaneo svi-luppo dei sistemi di trasformazione deiprodotti, e quindi dell’industria agricola edel commercio. Certo, le esportazioni delvino siciliano si sono notevolmente accre-sciute, in special modo da quando i vignetifrancesi sono stati colpiti dalla fillossera.Questa situazione - si chiede Damiani -potrà durare a lungo? Che cosa accadràquando la vite in America sarà cresciuta e laFrancia avrà distrutto o domato la fillosse-ra? "Allora la Sicilia, e purtroppo possiamodire l’Italia, non potrà consumare il vinoottenuto dai suoi vigneti; la produzioneaumenterà ogni anno ed accrescerà quindila calamità, se i produttori non riescono avendere il vino direttamente ai consumato-ri; ciò che non conseguiranno giammai senon pensano seriamente a confezionarebuoni vini da pasto, non secondo il gustodel produttore, ma secondo quello delconsumatore"77.

Non giova, quindi, estendere la viticoltu-ra, se non è accompagnata da cambiamen-ti nei sistemi di trasformazione del prodot-to e dalla preparazione di buoni vini dapasto capaci di trovare una collocazionenel mercato. L’esperienza toccata ai pro-duttori di agrumi dovrebbe, secondoDamiani, insegnare qualcosa. L’agrumeto,che in alcune contrade dell’isola dà pro-dotti meravigliosi e che da un decennio haconosciuto una rapida espansione a segui-

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to dell’aumento dei prezzi, si trova in gravedifficoltà. "Mentre fino a pochi anni addie-tro - scrive il commissario - i limoni si ven-devano da lire 25 a 30 il migliaio, ora nonsi vendono che a lire 7; prezzo questo cheo non basta o basta appena a risarcire lenon poche spese di coltura delle piante[...]. E a tutto ciò bisogna infine aggiunge-re che le industrie tecnologiche vivono unavita non rigogliosa. Si trae, è vero, un certoprofitto dalle essenze di limone, si preparapiuttosto bene l’acro crudo e cotto emediocremente il citrato di calcio; ma nonsi è riusciti a fabbricare, per esempio, unprodotto che fa il giro del mondo, l’acidocitrico che gli stranieri fabbricano con lanostra materia prima, per vendercelo (pro-prio come succede per i vini) di rimando aprezzi elevatissimi. [...] Non basta permigliorare le sorti della nostra agricolturala trasformazione delle colture, che deveseguire a norma dell’esperienza e dellascienza, ma è necessario, e ciò per varieragioni, studiare e perfezionare quelleindustrie che derivano dalle piante"78.

Arretrate sono le tecniche di lavorazionee di trasformazione dei prodotti pregiati.Ma, con maggiore preoccupazione,Damiani guarda all’area dei seminativi per-ché "l’edificio dell’economia rurale inSicilia si fonda sui cereali". Su una superfi-cie coltivabile di ettari 1.270.174, sonodestinati a cereali ettari 742.309, dei quali610.067 a frumento ed il resto a granturco,riso, orzo, avena. Troppo sproporzionato èil rapporto esistente tra la superficie occu-pata dai cereali in genere (frumento, gran-turco, riso, orzo, segale) e le piante legu-minose che entrano nelle rotazioni agrarie(foraggio, fave, patate, canape e lino). La

riduzione dei pascoli, la cui estensionepassa da 597.381 ettari (catasto borbonico)a 258.892 nel 1883, al pari della meno mar-cata riduzione dei boschi, provoca unadiminuzione del bestiame e, quindi, delconcime necessario a ricostituire la fertilitàdei terreni. Ne consegue che la resa perettaro segna appena gli ettolitri 10,26, unamedia inferiore a quella del regno.Nonostante la produzione del grano siaggiri su 6 milioni di ettolitri, essa non rie-sce a soddisfare la domanda crescente dibeni alimentari, che è dovuta all’espansio-ne demografica del primo ventennio dopol’unità. "Ora la terra di Cerere, - scrive ilcommissario - il granaio d’Italia, non pro-duce più la quantità dei frumenti necessarial consumo della popolazione, ma la chie-de ai mercati esteri e principalmente aquelli dell’Oriente"79.

L’insufficiente produzione di grano èlegata alla distribuzione della proprietà,che, assieme ai contratti agrari, provoca unbasso livello di produttività nel settorecerealicolo. A differenza di altri commissa-ri, che si servono nella trattazione di questamateria di rilevamenti statistici, peraltropoco attendibili, Damiani utilizza principal-mente le notizie fornitegli dagli studiosi edai sindaci. I risultati, certo, non soddisfa-no lo stesso commissario, il quale ammetteche "era nostro desiderio compilare unastatistica sulla proprietà come si fece perl’estensione delle colture e per i beni pos-seduti dagli Enti morali, ma la brevità deltempo ed i mezzi veramente limitati, cicostrinsero, nostro malgrado, a rinunciaread una conoscenza tanto importante"80.Tuttavia, le considerazioni sommarie delcommissario lasciano intravedere una linea

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di tendenza nella struttura proprietaria del-l’isola, che sarà confermata da indagini suc-cessive condotte con metodi più perfezio-nati81 (Inchiesta parlamentare 1910).Riassumendo le informazioni ricevute ilcommissario scrive: "Predomina quasiovunque la piccola proprietà, specialmentenella provincia di Messina, Catania,Siracusa e Caltanissetta [...]. Nei piccolicentri abitati la divisione della proprietàarriva a proporzioni minime; spesso pocheare di terreno veggonsi coltivate a fichid’India, ad ulivi, a leguminose, a cereali, aviti, ad agrumeti ridotti a poche dozzine dialberi come avviene [...] in tutte le nume-rose borgate sparse sulle falde e sui fianchidell’Etna, nonché nel palermitano e nelsiracusano. Ma non mancano esempi divaste possessioni appartenenti ad un soloproprietario e che debbono considerarsireliquie dei tempi feudali [...]. Le grandiproprietà trovansi alla periferia, prenden-do per punto medio un centro popoloso,mentre la media e la piccola si riscontravicino ed intorno a questo centro. E piùuno si allontana da esso, più diminuisce laben intensa e prospera cultura"82.

Nelle province di Palermo, Trapani,Girgenti e Caltanissetta, secondo Damiani,domina incontrastata la grande proprietà,mentre la media e la piccola si trova inzone limitate del suburbio in ciascuncomune. In provincia di Messina, invece, laproprietà è frazionata e molti sono i pode-ri che hanno un’estensione da uno a quat-tro o da quattro ad otto ettari di terreno. Lapiccola proprietà prevale anche nei circon-dari di Patti e Castroreale, e in tutta la costaorientale della Sicilia (soprattutto nei cir-condari di Acireale e Catania). Nella zona

alberata della provincia di Catania eSiracusa il frazionamento della proprietàera stato favorito dalle censuazioni avvenu-te in tempi lontani, quando i fondi furonodivisi e dati in enfiteusi (le piccole pro-prietà si chiamano, infatti, censito o chiu-sa). Accanto alla piccola proprietà, nellaparte orientale dell’isola, si incontra anchela grande, che domina nella parte alta delcircondario di Modica e nei circondari diCaltagirone e Nicosia. Vasti latifondi, spes-so lasciati incolti, possiedono il Comune diCatania, quello di Adernò, di Paternò ealtri. Nel territorio di Noto il latifondo, inorigine rappresentato da 23 ex-feudi, èchiamato dal nome della contrada "la mon-tagna" e occupa un’estensione di 36.312ettari su 54.460 della superficie agraria eforestale. "Non è a credere - concludeDamiani - che siano sparite le grandi pro-prietà, né che la coltivazione dei cerealisiasi di molto diminuita. In tutte le provin-ce l’ex-feudo, con la fisionomia propria delvasto dominio, è più o meno rappresenta-to: diverse famiglie patrizie, che non giovarammentare posseggono fino a 10.000 epiù ettari di terreno. Questi latifondi sonoil prototipo della cultura estensiva deicereali"83.

La concessione delle grandi proprietà aigrandi affittuari (i gabelloti), che a suavolta suddividono la terra presa in affitto inpiccoli lotti e l’assegnano ai contadini perun breve periodo, provoca un basso livellodella produttività dei terreni. Riprendendostudi e temi, che hanno trovato ampio spa-zio nella letteratura contemporanea (le piùimportanti sono le ricerche di GirolamoCaruso e l’indagine di Sidney Sonnino) enelle monografie inviate alla Giunta dagli

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agronomi siciliani, il commissario ci offreun quadro dettagliato sui sistemi di colti-vazione praticati nella coltura dei cereali.Là dove prevale il latifondo e la proprietà èdata in affitto a speculatori per la bevedurata di sei anni, generalmente si praticail sistema triennale, chiamato "triennalecon maggese a terzeria": 1° anno frumento,2° anno pascolo; 3° anno maggese. Losfruttamento del terreno, in assenza diadeguate concimazioni, provoca un dimi-nuzione dei rendimenti unitari: "Questarotazione quanto sia difettosa non ci vuolemolto a dimostrarlo. La terra anche nelleannate più ubertose, non oltrepassa il 18per uno, nella produzione di frumento,per scendere al 4 per uno. In altri paesi,ove si tiene una più avveduta rotazioneagraria, la produzione del 18 per uno, cheè la massima in queste province, è consi-derata povera e minima"84. Via via che ci sidiscosta dal latifondo e si passa alle terrepiù fertili e suburbane, si trovano molte-plici varietà di utilizzazione del suolo evariegate forme di avvicendamento. Alpascolo e al maggese, che sottraggono allaproduzione una parte troppo ampia dellasuperficie coltivabile, si sostituiscono leleguminose da granella (la fava), che ser-vono all’alimentazione del contadino, oalcune piante industriali (la canape, il lino,ecc.). Ma questi avvicendamenti sono rari eapplicati in aree limitate dell’isola. A que-ste forme di rotazione il commissario guar-da con interesse, poiché l’introduzionedelle leguminose da foraggio (la sulla) o dagranella (la fava) elimina il maggese, e altempo stesso favorisce l’aumento dellerese del seminativo. Il passaggio dal siste-ma estensivo a quello intensivo è un tema

caro agli agronomi e ai tecnici, che vi insi-stono in questi anni. Tuttavia, esso è diffi-cile da realizzare nelle campagne sicilianenon solo per ragioni tecniche, ma anche"per la poca fiducia nelle teoriche esposi-zioni, ritenute inutili, e l’indifferentismodelle popolazioni agricole verso tutto ciòche assume l’aspetto di novità". Ma laragione principale, secondo Damiani, varicercata negli affitti brevi, incentrati sulterratico e sulla colonia parziaria, che osta-colano questi nuovi metodi, scoraggiandol’impiego di capitale da parte di chi non hadimora stabile in un fondo. Là dove predo-mina la piccola proprietà, in prossimità deicentri abitati, migliora l’aspetto ed insiemela produttività del terreno, "non rifuggen-do talvolta al sistema della colonia o mez-zadria, utile al colono non meno che alproprietario stesso"85.

Il grande e il piccolo possesso costitui-scono le opposte tendenze che coesistononelle campagne siciliane. Naturalmente è ilsecondo quello che il commissario privile-gia. Le minuziose ricerche sulla vendita deibeni demaniali ed ecclesiastici, sull’am-montare dei terreni posseduti dagli Entimorali, testimoniano l’interesse con cuiDamiani segue i problemi relativi alla for-mazione della piccola e media proprietà (ilfascicolo secondo dell’inchiesta è dedicatoa questo tema). Secondo i dati forniti dalleintendenze di Finanza, i beni ecclesiasticivenduti o concessi in enfiteusi fino al 1882raggiungono l’estensione di 163.707 ettari,suddivisi in 15.551 lotti, mentre i benidemaniali venduti sono 9.785 lotti perun’estensione complessiva di 37.574 ettari.Con l’eversione dell’asse ecclesiastico e laliquidazione dei demani, è stata immessa

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sul mercato un’enorme quantità di terreni,che in qualche modo rompe un tradiziona-le equilibrio nella struttura fondiaria. Atrarne vantaggio non sono state le massecontadine. Secondo le stime elaborate daDamiani, i beni rurali acquistati o presi inenfiteusi si distribuiscono tra grandi, medie piccoli proprietari nel modo seguente: lametà (48.088 ettari) è andata ad ingrossarela grande possidenza, circa 2/5 (37.550ettari) è toccata ai medi proprietari e il 7%(6.822 ettari) ai piccoli proprietari. Si trattadi dati largamente approssimativi, che peròconsentono al commissario di avanzareun’interpretazione in controtendenzarispetto alle polemiche sollevate dai con-temporanei e poi dai meridionalisti neidecenni successivi. Non è soltanto la gran-de proprietà ad accaparrarsi il patrimoniofondiario immesso sul mercato. Questa,specialmente nelle zone cerealicole, hasicuramente tratto vantaggio dalla divisio-ne delle terre demaniali ed ecclesiastiche.Tuttavia, le forze intermedie (borghesi,professionisti, commercianti) sono riuscitea soddisfare il desiderio di acquistare edestendere i loro possedimenti, impiegandocapitali, "i quali dalle industrie e dal com-mercio passarono alla proprietà fondia-ria"86. Il commissario così commenta lenovità intervenute nell’assetto proprietariodell’isola a partire dagli inizidell’Ottocento: "L’antico ex-feudo prototi-po della grande proprietà terriera dellabassa Italia e della Sicilia in specie, ove per-venne integro attraverso il medio evo finoai principi del presente secolo, nella regio-ne orientale dell’isola si è a poco a pocospezzato, a tuttodì si trasforma, sotto l’im-pero delle moderne condizioni sociali.

L’abolizione del fidecommesso e dei dirittibaronali, di retaggio medievale, avvenuta,forse necessariamente, per opera deglistessi baroni e signori della terra, nel 1812nel parlamento siciliano, diede il segnale diuna radicale trasformazione della proprietàfra noi, evoluzione lenta, progressiva, avve-nuta senza scosse e non accompagnata daquegli sconvolgimenti sociali, che nellealtre regioni d’Europa segnarono un perio-do di convulsioni violente e di scene disangue". Anche le recenti leggi dello Statounitario hanno avuto degli effetti positivisull’economia agricola: "La legge sulla ven-dita e sulla enfiteusi dei beni della mano-morta, la quale accentrava sotto il suodominio estesissimi terreni, ha accelerato,sebbene non abbia raggiunto precisamentelo scopo del legislatore, la divisione e losminuzzamento della grande proprietà,cedendo il posto ai medi e piccoli poderi, iquali possono redimere le classi sociali piùpovere e sostituire alla schiavitù morale deinon abbienti la libertà del lavoro. E già siavvertono i vantaggi del frazionamento. Lazona vulcanica si è adagio adagio fraziona-ta, i vigneti, gli agrumeti, gli oliveti di cuisono rivestiti i neri dorsi del monte, fannoora mirabile contrasto con lo squalloredelle zone superiori"87.

L’eccessivo carico fiscale che grava sullaproprietà può bloccare questi processi. Letabelle statistiche, compilate accuratamen-te dal commissario, documentano che nel1880 la Sicilia con 2.934.072 abitanti e unasuperficie di 2.579.800 ettari paga un’im-posta erariale di lire 5.232.502 sui fabbrica-ti e di lire 8.752.254 sui terreni. La terra poiè pesantemente colpita dalla sovrimposta(5.108.946 lire per le province e 2.215.085

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per i comuni), aumentata continuamentenel decennio 1871-1881. In rapporto alreddito netto dei terreni, l’imposta fondia-ria e la sovrimposta rappresentano il 33%nel circondario di Piazza Armerina, il 45%nella provincia di Girgenti. Oscillano dal34,70% al 40% nel circondario di Sciacca.Damiani è preoccupato soprattutto deiriflessi negativi che il peso fiscale ha sullapiccola e media proprietà. Le statisticherivelano che in Sicilia ben 13.713 fondisono stati espropriati dal 1873 al 1882 permancato pagamento dell’imposta fondia-ria. Ma i dati ufficiali documentano soltan-to una parte delle espropriazioni. La picco-la proprietà subisce anche duri colpi attra-verso una forma particolare di alienazione,difficilmente quantificabile, ma ricorrente:la vendita sub condicione. Con questo con-tratto il mutuatario vende al mutuante unostabile, a condizione che, se la somma nonè restituita nel termine stabilito, il mutuan-te resta proprietario di esso in base al prez-zo convenuto fra le parti o al denaromutuato. Generalmente vi si ricorre per imutui di poca entità che contraggono "iproprietari di fondi limitati, e spesso allatrascrizione in favore del compratore even-tuale, si aggiunge anche, per maggioresicurezza, la iscrizione ipotecaria in favoredel mutuante che è lo stesso compratore"."Al danno della tassa sproporzionata - scri-ve Damiani - se ne è aggiunto un secondo,molto più grave, la espropriazione, cheattacca alla radice il diritto di proprietà, chepur si proclama sacro. Distruzione sacrile-ga ed illogica, più che senza utile, danno-sissima allo Stato, e fomite maggiore diquella tale questione sociale cui si vuolmettere argine, e che inconsultamente si

suscita ove anche non esista, trascinandovii più pacifici e i migliori elementi"88.

È un segnale per il governo che si appre-sta a varare il progetto di legge sulla pere-quazione fondiaria. L’opposizione a taleprovvedimento verrà non solo da Damiani,ma da tutta la classe dirigente siciliana89.Le argomentazioni sono anticipate già nel-l’inchiesta: "L’idea di una perequazione, ilcui carattere sia essenzialmente fiscale,turba i proprietari siciliani, i quali - comeovunque - vedono aumentare i pesi suiloro fondi senza che questi aumentino nelreddito [...]. Noi non sappiamo quanto dalpunto di vista fiscale possa essere giusta l’i-dea di una perequazione fondiaria che miriad accrescere l’entrata derivante dell’impo-sta. Meno riusciremmo a comprenderla dalpunto di vista economico, attese le condi-zioni attuali della proprietà fondiaria e con-siderando le crisi che la minacciano daogni parte. Quando poi dal punto di vistadella giustizia distributiva e per considera-zioni d’ordine politico si credesse di dovermettere la nazione sulla via di una pere-quazione fondiaria, dovrebbe essere asso-lutamente escluso che tale riforma avessescopi fiscali, e si dovrebbe scegliere neces-sariamente quel momento in cui le finanzedel paese permettessero a beneficio dellaproprietà una diminuzione delle imposte,intorno alla quale diviene superfluo il direda oggi se debba essere o no basata sulminimum di ciò che attualmente si paganella regione ritenuta più favorita"90.

Il quadro che emerge dai lavori diDamiani non è confortante. L’economiaagricola siciliana è segnata da profondearretratezze, anche se esistono delle diffe-renze fra le zone dove prevalgono le cultu-

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re arbustive e quelle cerealicole. Gli arcaicisistemi impiegati nella cerealicoltura enella trasformazione dei prodotti agricoli,le drammatiche condizioni del contadinoper quel che riguarda l’alimentazione e illavoro, l’assenteismo dei grandi proprieta-ri, la mancanza del credito agrario e fon-diario, l’inadeguata presenza delle istitu-zioni (comizi agrari e consorzi) preposteall’ammodernamento dell’agricoltura, l’ec-cessivo carico fiscale che strozza sul nasce-re la formazione delle proprietà trasforma-te sono i principali temi che percorrono lavoluminosa indagine del commissario dellaprima circoscrizione. Quali i rimedi?

5. "I desiderata, le necessità della classeagricola, i modi di migliorarne le condi-zioni più urgenti sarebbero: l’attuazionedel patto di mezzadria vera e propriasenza alcun intermediario fra contadinoe proprietario; la costruzione di case colo-niche nel luogo ove si opera il lavoro. Ilreddito del colono crescerebbe senzatogliere al proprietario. Inoltre si otterreb-be un maggior lavoro, quindi maggioreproduzione; ed altro miglioramento per laclasse agricola per effetto del quale sareb-be assicurata la sicurezza delle campa-gne. [...] Vi è infine chi - con proposta piùradicale - farebbe conoscere la necessitàdi rinnovare oggi il censimento dei benifatto nel 1792, mediante il quale si resepossibile la esistenza degli attuali piccoliproprietari. E non vi ha dubbio che hafatto buona prova. Del resto lo stato eco-nomico della parte interna dell’isoladovrebbe convincere i grandi proprietariche nulla perderebbero delle loro rendite,mentre gli agricoltori potrebbero chiamar

loro il suolo che lavorano e aumentarnedi gran lunga la produzione"91.

Sono queste le proposte di Damiani perrisolvere la questione sociale: un numeroelevato di proprietari contadini e di mezza-dri favorirebbe non solo l’aumento dellaproduzione e il dissodamento di terreincolte, ma anche la loro affezione alle isti-tuzioni, con la conseguenza di eliminare lepotenzialità ribellistiche. È questo l’obietti-vo per creare su solide basi la "democraziarurale", vagheggiata dai riformatori illumi-nisti e riproposta alla fine degli anni set-tanta da ristretti settori della cultura politi-ca ed economica siciliana. Damiani è moltovicino a queste posizioni. Da qui il suointeresse per la questione sociale, con par-ticolare riferimento alle condizioni delleclassi agricole, al lavoro dei fanciulli e delledonne nelle miniere.

Questionari particolareggiati sulla diffu-sione della piccola proprietà, sui salari esulle abitazioni dei lavoratori sono inviati aisindaci, ai pretori, ai prefetti e alle deputa-zioni provinciali. Dalle loro risposte emer-ge che in tutti i circondari una grandissimaparte degli agricoltori possiede beni immo-bili provenienti dalle antiche enfiteusi.Tuttavia, molti sono piccoli proprietari acui non basta il proprio per vivere e sonocostretti a prendere terreni in affitto o amezzadria. Altri, i più, non possiedono chela casa, e sono da considerarsi piuttosto frai proletari, che fra i possidenti, "giacchécon quelli hanno in comune il faticosolavoro, il magro vitto, la malsania e insuffi-cienza della casa di abitazione". E ciò trovaconferma, secondo i dati raccolti, nel fattoche gli affittuari o i mezzadri sono quasi

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tutti indebitati verso il proprietario o il suorappresentante. "Il risparmio - scriveDamiani - è indicato come poco possibile in14 circondari; come impossibile nei 10rimanenti, quantunque i salari siano ovun-que aumentati, nel decorso ventennio, diun terzo ed anche della metà"92.

Altre preziose notizie sullo stato econo-mico della classe agricola il commissariorileva dalle risposte sulle questioni relativeall’alimentazione e all’abitazione. In unaregione, che si caratterizza per la prevalen-za della produzione granaria e per la viabi-lità poco diffusa, il pane di grano è la basedell’alimentazione del contadino siciliano,la quale in generale è composta da mine-stra di legumi, pane e vino, con aggiuntanei giorni festivi di minestra di pasta e dicarne. Tuttavia, in molti circondari il vino ela carne sarebbero di raro consumo e l’ali-mentazione in genere peggiore di quelladescritta. "Ma se troviamo il vitto del conta-dino siciliano abbastanza buono in parago-ne di quello del contadino di altre parti delregno, l’esame delle condizioni dell’abita-zione è davvero sconfortante"93. Nellageneralità risulta che le abitazioni dei con-tadini sono umide, malsane e in pessimecondizioni. Si compongono di un soloambiente della superficie media di 25 mq.;non vi è pavimento, i muri sono a secco,senza intonaco, il tetto è fatto di tavolatocoperto di tegole. Le conclusioni diDamiani sono preoccupanti: "È in questoambiente che si svolge la più gran partedella esistenza delle donne e dei bambini.In un angolo vi è il focolare, nell’altro illetto della famiglia umana fatto di paglia, dicui una parte va sotto all’asino, al porco,alle galline, che con essa convivono; e tutto

questo insieme di animali, compreso l’uo-mo, si corica là dentro, in mezzo all’umi-dità del suolo, alle esalazioni putride degliescrementi, al fumo. È in questo covo ches’insegna ai bambini ciò che sempre nongiova di conoscere a uomini fatti. È là chegli adulti compiono accanto ai figli, ai nipo-ti fanciulli, le funzioni animali della gene-razione. L’incesto e la pederastia ne sononon infrequenti e non sole conseguenzepiù gravi"94.

Non meno preoccupanti sono le condi-zioni dei lavoratori delle miniere.L’industria zolfifera in Sicilia riveste unaparticolare importanza. Secondo i dati rac-colti dal commissario, su un totale di305.142 tonnellate di zolfi prodotti inItalia, 255.025 provengono dalla Sicilia perun valore di lire 25.298.000. La media del-l’ultimo triennio per i dazi di esportazionesullo zolfo siciliano si aggira a circa tremilioni di lire su 3.120.000 riscosse in tuttoil regno. Su 23.147 operai addetti all’estra-zione degli zolfi in tutto il regno, 18.862 sitrovano in Sicilia. Considerando la questio-ne dal lato economico essa ha molta atti-nenza con l’inchiesta. Ma il commissario èinteressato a conoscere le condizioni dilavoro delle donne e dei fanciulli. Dallerisposte delle autorità e dei corpi costituiti,ai quali era stato inviato il questionario,risulta "il lavoro opprimente, superiore alleforze a cui sono sottoposti i fanciulli nelleminiere; uno stato grave di immoralità e diabbrutimento, di sevizie commesse su queipoveri esseri, i quali, se tali si trovasseroquali dalle notizie suddette ci vengonodescritti, non mancherebbe che una san-zione legale perché fossero in diritto, comein molti luoghi lo sarebbero in fatto, veri

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schiavi nella moderna civiltà"95.La questione della sicurezza e delle

condizioni di lavoro nelle miniere erastata affrontata fin dai primi anni dopo l’u-nificazione. Il governo, impressionato deifrequenti infortuni che si verificavanonelle zolfare, aveva stabilito nel 1866 alcu-ne norme di polizia per la sicurezza dellepersone, degli edifici, delle strade e deicorsi d’acqua. Negli anni settanta eranostati presentati dei progetti di legge diordine generale sull’industria mineraria:nel 1876 (Nicotera) col progetto diCodice sanitario; nel 1870-75 (Castagnolae Finali) con disegni di legge relativi allatutela dei lavoranti nelle miniere; nellastessa direzione si erano mossi i progettidi Cairoli (1879) e di Berti (1884) con ilprogetto di legge sul lavoro dei fanciullinelle miniere. Ma nessuno era giunto abuon porto. Alla loro approvazione sierano opposti economisti e rappresentan-ti della classe dirigente isolana, che vede-vano nei provvedimenti governativi l’ap-plicazione della scuola "autoritaria" e ilprimo passo "verso il socialismo" auspica-to dai "socialisti della cattedra"96.

La polemica "antiautoritaria", essenzial-mente rivolta contro i tentativi di legisla-zione sociale, non incrina le convinzioni diDamiani, il quale, deplorando il grave lavo-ro a cui sono sottoposti i fanciulli nelleminiere, auspica che "i provvedimenti delgoverno ed il progresso della industriamineraria pongano un termine a similemiserando stato di cose". E nelle conclu-sioni così riassume i risultati delle indaginisulle condizioni dei lavoratori: "Da partenostra nulla abbiamo trascurato per mette-re in evidenza le piaghe che corrodono la

vita dei lavoratori della terra; che non trat-tasi, no, soltanto di crisi cui si va incontronel ramo delle produzioni agricole, mal-grado i Comizi agrari, le esposizioni regio-nali, le stazioni sperimentali, le scuole,ecc.; ma di giustizia, di moralità, di uma-nità: invano si cerca un ceto agricolo; nonsi hanno che servi sfruttati sempre, ricono-sciuti mai. Nessuno, a patto però che abbiapreso notizia con animo sereno, imparzia-le, della nostra relazione, potrà affermareche facciamo della retorica [...]. Le autoritàpolitiche scrivono che le febbri malarichespesso fanno strazio nelle campagne e ipoveri contadini, una volta ammalati, nonlavorano, non guadagnano, non hannodenaro per compare i rimedi e la carne, efiniscono per soccombere dopo una lungalotta fisica e morale. Negli Annali del mini-stero di Agricoltura si legge che le privazio-ni e le sofferenze dei poveri agricoltorisono tali da rendere loro l’immoralità quasinecessaria; poiché non potendo bastarel’onesto guadagno per mantenere la fami-glia, bisogna rubare [...]. I figli di questaclasse abbandonata e infelice sono non dirado considerati come fonte di lucro enulla più; a cinque anni li fanno lavorare incampagna in lavori non infrequentementesuperiori alle loro forze, e talora le famigliedei villici, quando versano in ristrettezze,vendono i figli più teneri di età ai solfatari,sotto forma di locarne l’opera. Il picunierio pirriaturi nell’impegnare un ragazzoanticipa una cinquantina di lire, la famigliadel ragazzo non è mai in grado di restituir-le, e questo rimane nelle mani del picco-niere in vero stato di servitù"97.

La denuncia delle gravi condizioni deicontadini e dei lavoratori delle miniere

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non può essere più esplicita e spietata. Enei toni e negli argomenti impiegati evi-dente è l’influsso di Sonnino e Villari, chequalche anno prima hanno sollevato nelleloro indagini queste tematiche. Dal primoil Damiani mutua la convinzione che que-stione sociale e sviluppo agricolo sonostrettamente legati: "Non è possibile - scri-ve il commissario - apportare miglioramen-ti agricoli senza rialzare il contadino eco-nomicamente e moralmente, e non è pos-sibile sperare la moralità ove manchi ladignità di uomo che egli non ha". Dalsecondo il deputato marsalese riprende gliammonimenti alla classe dirigente sul peri-colo che l’ordine sociale e le istituzioni cor-rono di fronte al permanere delle condi-zioni di disagio nelle campagne: "Questifatti dovrebbero ormai impensierire le clas-si colte ed il governo; ché non si sciolgonole questioni con l’indifferenza, rifiutandosidal preoccuparsene, e tanto meno poisoffocandole con la forza [...]. Invero qualisentimenti può provare questo contadinoper le classi abbienti, quale interesse per ilmantenimento dell’ordine sociale? Comeesigere rassegnazione, virtù e sacrifici daquesta plebe che sotto la sferza d’un torri-do sole e talvolta colle membra percorsedal brivido della malaria, lavora la terranon sua per un compenso insufficiente?"98.

Pur dimostrando una sensibilità sociale,pur riconoscendo che non esiste progressosenza il miglioramento delle condizioni deicontadini, Damiani esclude, però, qualsiasiintervento da parte dello Stato. "Prima diogni altro occorre che un nuovo spirito cianimi, che un nuovo ideale baleni; e que-sto ideale è la giustizia sociale, che dobbia-mo compiere prima che ci sia domandata.

È necessario ridestare in noi quella vitamorale senza di cui una nazione non hascopo, non esiste. Senza liberare glioppressi, non aumenterà fra noi il lavoro,non crescerà la produzione, non avremo laricchezza necessaria ad una grande nazio-ne [...]. Questa giustizia sociale non si puòe non si deve sperare né dal cielo né dalgoverno; ma devono compierla i proprieta-ri". E ancora più avanti: "I proprietari siistruiscano nelle discipline agrarie eimprendano essi medesimi la direzione deiloro latifondi; in tal guisa eviteranno cheintermediari, parassiti di loro medesimi edei braccianti, si arricchiscano, togliendo,senza restituire parte alcuna, la ricchezzadalle terre e sfruttando a loro vantaggio leforze del proletario, non compensandoleadeguatamente al lavoro. Non disdegninola nobilissima arte dei campi, e siano orgo-gliosi, come lo sono li grandi possidentiinglesi e tedeschi, di essere consideratiabili ed intelligenti coltivatori. Così facen-do se ne avvantaggerà la possidenza, chétutte le ricchezze provengono dal suolo;aiuteranno il lavoro e la produzione nazio-nale per accrescere la potenza e la ricchez-za della patria"99.

Sarebbero stati sufficienti il paternali-smo illuminato dei proprietari e la loroazione spontanea per mutare i rapportisociali e ammodernare l’agricoltura dell’i-sola? È consapevole Damiani del nesso traquestione sociale e intervento dello Statoper regolare i rapporti di produzione fraproprietario e contadino? Nelle tesi pre-sentate alla Giunta per l’inchiesta, a con-clusione dei lavori, egli sembra riconoscereall’azione dello Stato una certa importanza.Ma le sue proposte si limitano ad un gene-

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rico invito al governo per studiare il pro-getto di un "Codice agrario" che dovrebberegolare i rapporti fra proprietari e conta-dini. Viceversa, egli sembra attribuire uncarattere di priorità all’intervento delloStato, principalmente per realizzare leinfrastrutture e per diminuire il peso fisca-le, e all’azione dei proprietari100. Le vicen-de successive dimostreranno che le propo-ste del commissario non saranno raccolte.Da parte dello Stato e del ceto proprietariovi sarà un concorde rifiuto: il primo, impe-gnato a favorire il processo di sviluppoindustriale, non disporrà dei mezzi finan-ziari necessari a svolgere un ruolo attivonei confronti dell’economia agricola; ilsecondo sarà ostile a modificare i tradizio-nali rapporti di lavoro nei suoi possedi-menti finché le condizioni sociali, lasovrappopolazione agricola e l’assenza diun movimento organizzato dei lavoratorigli consentiranno, come era avvenuto nelventennio successivo all’unificazione, direalizzare rendite e profitti elevati101.

La crisi agraria, che si manifesta proprionel momento in cui il commissario sta perconcludere i suoi lavori, metterà in eviden-za i limiti e le contraddizioni dell’economiaagricola siciliana. Agli inizi del 1885 i duerami del parlamento sono impegnati nelladiscussione sui provvedimenti più adatti"per alleviare le sofferenze della produzio-ne e delle classi agricole e prevenire i mag-giori danni che possono derivarne alla pro-duzione economica nazionale"102. Mentreil Senato esamina i risultati dell’inchiestaagraria, che Jacini ha voluto dopo la con-clusione dei lavori della Giunta, la Cameraè investita della questione con la presenta-zione dell’interpellanza presentata da 128

deputati. Il dibattito parlamentare ha iniziol’8 febbraio 1885 e continua senza interru-zioni fino al 21 marzo. Con questa iniziati-va, il "partito agrario", così è chiamato ilgruppo dei deputati e senatori che più davicino rappresenta gli interessi della pro-prietà fondiaria, pone al centro dell’atten-zione nazionale i gravi problemi dell’agri-coltura, ma esso non è ancora in grado diformulare un chiaro e definito programma.La contrapposizione di interessi all’internodei proprietari terrieri, la diversificazionedell’agricoltura tra regione e regione e trale varie zone delle singole regioni concor-rono a spiegare gli atteggiamenti contrad-dittori dei firmatari dell’interpellanza, iquali nel corso del dibattito si trovano a farparte dei due schieramenti in cui si dividela Camera: da un lato la maggioranza deideputati che, pur essendo favorevole asgravi fiscali e a provvedimenti a favore del-l’agricoltura, resta fedele allo sviluppoagro-liberista; dall’altro i sostenitori, innetta minoranza, della svolta protezionistacome unico rimedio alla crisi103.

Quali sono gli orientamenti dei gruppidirigenti siciliani nel corso della ricca earticolata discussione che per la primavolta si incentra sulle prospettive di svilup-po dell’economia nazionale? Dagli inter-venti dei suoi più autorevoli esponenti(Sciacca della Scala, Damiani, Camporeale,San Giuliano, Rudinì, Crispi, Filì Astolfone)emergono posizioni non omogenee, con-fermando che anche all’interno dell’isolaesistono spinte ed interessi diversi104. Lacaduta del prezzo del grano, nella primafase della crisi agraria colpisce, certamente,l’intera economia che si basa fondamental-mente sulla cerealicoltura, ma in misura

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minore quelle zone dove si sono diffuse leculture specializzate. È naturale, quindi,che sorga un contrasto di interessi tra i pro-duttori di grano delle zone cerealicole e iproduttori di vino e agrumi delle zone tra-sformate; mentre i primi sono favorevoli aldazio sul grano in quanto consentirebbe ilmantenimento di un sistema agrario chefino alla crisi ha assicurato loro un incre-mento delle rendite, i secondi, viceversa,che hanno costruito le loro fortune sulleesportazioni verso l’estero, sono convintiche soltanto il liberismo economico avvan-taggerebbe l’agricoltura siciliana, mentre ilprotezionismo produrrebbe danni per leritorsioni economiche degli altri paesi. Asostenere queste proposte, che peraltrocoincidono con quelle avanzate dal cetoproprietario "dinamico" e costituisconol’asse centrale del programma dei tecnici edegli agronomi, sono i deputati provenien-ti dalle zone vitate e alberate o proprietariessi stessi di vigneti o agrumeti.

Nell’ambito della cultura liberista, vacollocato l’intervento di Damiani, il quale,facendo esplicito riferimento ai temi giàtrattati nell’inchiesta agraria, insiste sullanecessità di incrementare il credito e dicontinuare nelle trasformazioni produttive.Solo il libero commercio consentirebbe dimisurare la convenienza di una cultura:"Quando ci si trova – sostiene – dinanzi auna cultura non più rimuneratrice, ènecessario se ne sostituisca un’altra desti-nata a fare le sue prove […]. O noi possia-mo produrre più abbondantemente ecedere i nostri prodotti a un prezzo checorrisponda a quello degli altri mercati, onoi dobbiamo sostituire una cultura nuovaa quella divenuta sofferente". Con argo-

mentazioni che egli riprende dalla polemi-ca democratica, respinge le richieste di daziprotettivi sul grano che avvantaggerebberoi soli proprietari terrieri. E preoccupandosidei riflessi sulle condizioni sanitarie ammo-nisce: "Non è costato poco, e forse sidurerà ancora molta fatica di persuadere iproprietari che non è possibile di accon-tentarli nell’aumento del dazio dei cereali.Ebbene, se non vi fosse altra ragione,dovrebbe bastare quella che da due anni inqua noi sentiamo allargarci l’animo pelfatto che i nostri operai, e i contadini, lungidal nutrirsi di granturco, o di segala, nutri-mento che porta dei mali già tanto deplo-rati, poterono nutrirsi di pane ond’è che cisi impone di agire in guisa che essi possa-no continuare in questo trattamento piùumano che allontana guai e dolori allenostre popolazioni e a noi"105.

Una matrice comune lega Damiani aquei settori della Camera favorevoli allericonversioni produttive. Le sue posizioni,però, si differenziano sulla questione socia-le nelle campagne e sulla diminuzione del-l’imposta fondiaria. Capovolgendo le tesiproduttivistiche, secondo cui le condizionidei contadini dipendono dalla prosperitàdella proprietà, il deputato marsaleseincentra il suo discorso sulla responsabilitàdei proprietari: "Io credo che il migliormodo di recar sollievo alle sofferenze ditaluni nostri prodotti sia quello di operareuna grande trasformazione intellettuale emorale dei nostri proprietari, intellettualenel senso che essi non si lascino più sopraf-fare dalla urbanomania e si dedichino all’a-dozione di quei metodi che sono indispen-sabili al miglioramento della produzione; etrasformazione morale nel senso che essi

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trovino in se stessi di non essere come ipadroni di schiavi verso i contadini, ma checostituiscono una famiglia nella quale cia-scuno di coloro che lavorano il campo, siaconsiderato come figlio e che si stabiliscaaltresì un mutuo soccorso di fratellanza perraggiungere la felicità, il benessere ditutti"106. Vi è un filo conduttore rispetto aitemi avanzati nell’inchiesta. Anche le moti-vazioni politiche con cui Damiani si oppo-ne alla diminuzione dell’imposta fondiarianon sono una novità. Favorevole all’espan-sione coloniale, che ha sostenuto con vigo-re agli inizi degli anni ottanta in occasionedella crisi tunisina, egli è contrario allariduzione delle imposte perché "nelleattuali condizioni in cui ci troviamo, conorizzonti nuovi dischiusi all’attività nazio-nale, i quali, certo, in qualche caso nonpotranno risolversi a vantaggio della finan-za dello Stato, per quanto il nostro gover-no non abbia ancora creduto di manifesta-re i suoi intendimenti sulla politica colo-niale, ognuno riconoscerà, che in nessunmomento sarebbe potuta giungere piùinopportuna, di oggi, una proposta ten-dente ad introdurre riduzioni alle entratedel paese"107.

Damiani è convinto che la Sicilia, per ilsuo clima e le sue ricchezze naturali, sareb-be in grado di offrire sul mercato naziona-le e internazionale una fascia differenziatadi prodotti, ma per raggiungere questiobiettivi lo Stato dovrebbe ravvivare le tra-dizioni marittime e finalizzare il sostegnopubblico "verso gli orizzonti nuovi dischiu-si all’attività nazionale". Di fronte alla gravecrisi finanziaria degli anni ottanta, pro-gramma "agrario" ed espansione colonialesi dimostreranno inconciliabili. Se lo Stato

dà assoluta priorità alle colonie, esso nonpuò disporre di quelle risorse necessarieper sostenere l’economia agricola. Così,quando prevarrà, dopo il 1887, la linea del-l’espansione coloniale, Damiani, al pari dialtri illustri dirigenti sensibili alla questionesociale (Sonnino e Franchetti, ad esempio),vedrà nella colonizzazione la valvola disfogo per alleviare le gravi condizioni deicontadini108.

Durante il dibattito sulla crisi agraria èprevalsa la linea liberista con la richiesta dipiù incisivi interventi statali per alleggerireil peso fiscale sulla proprietà e per agevola-re il credito, l’istruzione e la commercializ-zazione dei prodotti agricoli.L’approvazione della perequazione fondia-ria e la continua caduta dei prezzi agricolirafforzeranno, negli anni successivi, leposizioni di quei settori del ceto proprieta-rio siciliano (e meridionale), che hannochiesto l’introduzione del dazio sul grano.A favore di questo provvedimento le pres-sioni più forti, in un primo momento, sonovenute dalle regioni settentrionali, dai pro-duttori piemontesi di riso e di bozzoli daseta. Solo in un secondo momento, si sonoaggiunte al movimento protezionista leregioni meridionali, dove il precipitaredella crisi agraria, con le gravi ripercussio-ni sugli equilibri sociali ed economici, haaccresciuto le fila dei protezionisti, preoc-cupati di salvaguardare la principale pro-duzione, l’agricoltura.

A partire dal 1886, la crisi dispiega tuttala sua forza dirompente, tutti i ceti agricoline sono colpiti: dal dissesto di singoleimprese al fallimento di piccoli proprietari,alla diminuzione dei salari, alla disoccupa-zione crescente. Di fronte all’aggravarsi

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della crisi agraria, il malcontento aumentae si traduce nella richiesta di provvedimen-ti eccezionali a favore dell’agricoltura. Neinumerosi ordini del giorno votati da circo-li di agricoltori, Consigli comunali e pro-vinciali si continua a chiedere lo sgraviodelle imposte, una legge speciale per il cre-dito. Ma la principale richiesta è il dazio sulgrano. La soluzione protezionistica, chetende ad aggregare in un unico "bloccorurale" piccoli e grandi proprietari, coloni,mezzadri e gabelloti, si configura come l’u-nica opzione capace di bloccare rapida-mente la crisi109. La svolta protezionista,sancita dal governo Depretis-Crispi nel1887, viene incontro alle richieste di unvasto arco di interessi, ma lascia scopertiquei settori produttivi legati alla trasforma-zione e alla commercializzazione dei pro-dotti agricoli (vino e agrumi), ora danneg-giati dall’inevitabile restringimento deglisbocchi commerciali. Proprio da questi set-tori, negli anni successivi, si leverà la pro-testa, che sarà accolta dai radicali e dalmovimento socialista, provocando un inde-bolimento della Sinistra crispina, tenden-zialmente legata ai democratici, alla bor-ghesia cittadina, al ceto operaio e artigia-nale. Il voto contrario di Damiani al prote-zionismo granario, anche quando il prov-vedimento è accettato da Crispi, documen-ta quanto siano radicate le riserve verso diesso e quanto vive siano le preoccupazionidi quei ceti che hanno dedicato le loroforze nell’impianto delle culture arbustive(lo stesso Damiani, oltre al possesso di unvigneto, gestisce una società per il com-mercio del vino)110.

Nonostante l’opposizione al dazio sulgrano, il deputato marsalese continua a

mantenere buoni rapporti con Crispi,accettando come un fatto compiuto quelprovvedimento. Nel 1888, infatti, sarànominato sottosegretario al ministero degliEsteri, il cui titolare è lo stesso presidentedel Consiglio. I particolari rapporti di ami-cizia, la conoscenza dei problemi di politi-ca estera, di cui Damiani ha fornito provapiù di una volta nelle discussioni parla-mentari, spingono, con ogni probabilità,Crispi ad affidargli il delicato incarico mini-steriale. È noto che lo statista siciliano attri-buisce una notevole importanza alla politi-ca estera e che il suo ministero segna l’ini-zio di una nuova fase nella storia italiana, icui caratteri principali saranno una politicadi prestigio e di espansione coloniale checulminerà nella penetrazione militare inAfrica orientale, nella costituzione di ungoverno civile per la colonia Eritrea e nelprotettorato dell’Etiopia.

Dell’espansione coloniale Damiani èstato convinto sostenitore fin dalla crisitunisina. I porti di Trapani e di Marsala,infatti, intrattengono, per una parte nontrascurabile, rapporti commerciali con lecoste africane e in special modo con laTunisia, dove da molto tempo esiste unacolonia italiana, per la verità più trapaneseche italiana. Sfumata la colonizzazionedella Tunisia, dopo l’occupazione francese,il deputato marsalese vede nell’espansionecoloniale in altri territori africani la possi-bilità di trovare uno sbocco di lavoro perquei contadini che, di fronte all’aggravarsidella crisi, in numero via via crescente emi-grano nei paesi transoceanici."L’emigrazione - scrive Damiani, alla vigiliadelle elezioni politiche del 1890 - è il prin-cipale generatore della colonizzazione. Ora

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i territori sottoposti recentemente allanostra influenza racchiudono ricche con-trade, miniere inesplorate, e sono bagnatida fiumi che ne aumentano la fertilità edagevolano le comunicazioni con l’interno;si può quindi con ragione sperare nellafutura floridezza e prosperità di questenostre colonie. Se mancasse così vastocampo alla nostra espansione, dovrebberoimporsi le più sconfortanti previsioni"111.

Per conseguire tutte le opportunità eco-nomiche nei territori africani, Damianiindica la via della colonizzazione agricola,cioè attuare in colonia la distribuzione diterra ai contadini nullatenenti, un progettoal quale lavora, su incarico del governo chelo ha nominato governatore della coloniaEritrea, Leopoldo Franchetti, noto studiosoassieme al Sonnino delle condizioni deicontadini in Sicilia. E non è un caso.Proprio dai settori del meridionalismo libe-rale, sensibili alla questione sociale e inparticolare alla questione contadina, inquesti anni, si va sostenendo che l’espan-sione coloniale potrebbe rappresentarel’occasione per creare in colonia quella"democrazia rurale", invano vagheggiataall’interno del territorio nazionale. Su que-sti temi si realizza, quindi, un’ampia con-vergenza che va dai meridionalisti liberalial raggruppamento crispino, come dimo-strano i rapporti epistolari che Damianimantiene con Franchetti durante il primoministero Crispi, e financo a certi settoridella democrazia meridionale e del mondocattolico112.

Si tratta di un progetto, che presentauna forte dose di velleitarismo. Le vicendesuccessive dimostreranno che i vecchi e inuovi problemi del Mezzogiorno non

avrebbero trovato soluzione nell’espansio-ne coloniale, mentre gli obiettivi (coloniz-zazione interna, emigrazione di contadiniin Africa) sarebbero stati, in larga parte,disattesi. La colonizzazione, che Damiani ei meridionalisti hanno visto come un scopocivile, si sarebbe tradotta nell’accaparra-mento delle terre migliori da parte di grup-pi affaristici e nell’utilizzo delle popolazio-ni indigene espropriate dei loro beni. Dellasuperiorità dei "costi" dell’espansione colo-niale rispetto ai "ricavi" avranno, negli annisuccessivi, piena consapevolezza quellestesse classi dirigenti che hanno sostenutoCrispi nel 1887. L’accresciuto peso fiscalederivante dalla "politica di prestigio" lespingerà a chiedere una "politica di racco-glimento". A formulare questo programmasarà il marchese Antonio di Rudinì, il quale,forte dell’appoggio di molti settori dellaclasse dirigente isolana, riuscirà a tessereuna fitta rete di alleanze a livello nazionaletanto da sostituire Crispi alla guida delpaese.

Caduto il primo ministero Crispi,Damiani resta sempre legato allo statistasiciliano e lavora per il suo ritorno al pote-re. Nel secondo ministero Crispi (1893-1896), non sarà confermato nella carica disottosegretario, ma avrà un ruolo impor-tante in ambito parlamentare: vicepresi-dente della Camera. Il governo deve farfronte alla grave crisi economica e sociale,che ha favorito la crescita e il rafforzamen-to del movimento dei Fasci dei lavoratorisiciliani. Damiani sollecita ed approva lostato d’assedio in Sicilia, ma al tempo stes-so invita Crispi a prendere provvedimentiper ammodernare l’agricoltura isolana eper risolvere la questione sociale. "Però,

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bada mio caro Ciccio, - così scrive all’indo-mani della dichiarazione dello stato d’asse-dio - che la tua soddisfazione sarà moltoeffimera e fugace se non ti adopererai con-temporaneamente a dare nuova prova deltuo patriottismo e della tua sapienza civilecol mezzo di provvedimenti amministrativie legislativi che ormai non sono soltantonella coscienza dei filantropi e dei pensa-tori, ma di tutte le masse. Tali propositi etali atti ti armeranno sempre meglio controi mestatori che vogliamo essere eliminati. Ilpopolo non saprà più cosa fare dei suoiprofeti, quando sarà soddisfatto e li lasceràtacitamente sgozzare"113.

Lo statista raccoglierà l’invito e nel corsodel 1894 emanerà importanti provvedi-menti amministrativi e legislativi (privatiz-zazione dei demani comunali, spezzetta-mento dei latifondi, revisione delle normesui contratti agrari per eliminare gli usiangarici imposti dai proprietari ai contadi-ni, legislazione speciale per la Sicilia)114.Di fronte alle agitazioni e alle proteste deiproprietari, Crispi, però, abbandonerà gliaspetti riformistici del suo programma, pri-vilegiando la politica di potenza e di espan-

sione coloniale. Il ministero cadrà dopo ildisastro di Adua. È la fine della carrierapolitica di Crispi, ma anche del suo amicofidato. In Sicilia si apre l’era di una nuovaclasse dirigente, come la precedente, capa-ce di esprimere personaggi di prestigio alivello nazionale (Nasi, Orlando,Majorana), e di nuove forze politiche lega-te alle organizzazioni popolari (De Felice aCatania, Pipitone a Marsala). Durante leelezioni politiche del 1897, senza il soste-gno governativo, Damiani è sconfitto pro-prio da Pipitone nel suo collegio diMarsala. È la fine di un mondo ideale natodal Risorgimento che si era identificato perun quarantennio nella egemonia politica diDamiani. A cogliere i nuovi umori politici èlo stesso Crispi che così commenta il risul-tato elettorale: "Da qualche tempo hoavuto in mente di scriverti. Ho indugiato,perché ignoravo dove tu fossi. Oggi SanGiuseppe avendomi detto aver ricevuto let-tera tua da Marsala, dirigo la presentecostà. Non ti parlo di elezioni, anche que-sta volta Marsala fu infida. Non è più quel-la dei tempi classici la nostra Marsala"115.

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Note

*Abbreviazioni: ACS (Archivio centrale dello Stato, Roma); CDA (Carte Damiani); Atti Giunta (Atti dellaGiunta parlamentare per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma 1883-86);Archivio I.A. (Archivio della Giunta per la inchiesta agraria, presso l’Archivio centrale dello Stato, Roma);Maic (Ministero Agricoltura Industria e Commercio); AP (Atti parlamentari); CD (Camera dei deputati).

1) ACS, CDA, b. 2, f. 20, Damiani a Crispi, Marsala, 6 gennaio 1894.2) S. Jacini, I risultati dell’inchiesta agraria. Relazione pubblicata negli Atti della Giunta per la

inchiesta agraria, ristampa a cura e con introduzione di G. Nenci, Torino 1976.3) A. Prampolini, Stefano Jacini e l’illusione agricolturista, in "Studi storici", 18 (1977), pp. 231-242;

D. Novacco, L’inchiesta agraria Jacini, in Storia del parlamento italiano, diretta da N. Rodolico, vol. 17,Palermo 1963; I. Barbadoro, L’inchiesta Jacini: intervento pubblico, liberismo e protezionismo, in Storiadella società italiana, vol. 19, Milano 1980, pp. 53-88; R. Colapietra, Le inchieste agrarie nell’Italia prefa-

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I Quaderni

scista, in "Itinerari", aprile 1958, pp. 11-34.4) A. Caracciolo, L’inchiesta agraria Jacini, Torino 1958, p. 90. Su Jacini cfr. i recenti contributi di S.

Jacini, La proprietà fondiaria e le popolazioni agricole in Lombardia. Studi economici, a cura di F. DellaPeruta, Milano 1996; M.L. Betri, La giovinezza di Stefano Jacini. La formazione, i viaggi, la "proprietà fon-diaria" (1826-1857), Milano 1998.

5) G. Astuto, Abele Damiani e la Sicilia postunitaria, Catania 1984, pp. 48 ss.6) D. Novacco, L’inchiesta agraria Jacini, cit., p. 44.7) AP, CD, Storia dei collegi elettorali, in Indice generale degli Atti Parlamentari, a cura della Camera

dei deputati, Roma 1898.8) C. Pazzagli, Statistica "investigatrice" e scienze "positive" nell’Italia dei primi decenni unitari, in

"Quaderni storici", 15 (1980), n. 45, pp. 779-821.9) A. Caracciolo, L’inchiesta agraria Jacini, cit., pp. 86 ss.10) D. Marucco, L’amministrazione della statistica nell’Italia unita, Bari 1996, pp. 17 ss.; G. Melis,

Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Bologna 1996, pp. 107 ss.11) L. Gambi, Le "statistiche" di un prefetto del Regno, in "Quaderni storici", 15 (1980), n. 45, pp. 824-

855. Sulle inchieste parlamentari cfr. la sintesi di M.A. Fabiano, Le inchieste sociali del parlamento italia-no tra il 1860 e il 1811, in "Quaderni di sociologia", 29 (1980-1981), n. 2, pp. 236-266.

12) R. Romanelli, La nuova Italia e la misurazione dei fatti sociali. Una premessa, in "Quaderni stori-ci", 15 (1980), pp. 765-777.

13) Maic, Relazione intorno alle condizioni dell’agricoltura nel quinquennio 1870-74, 3 voll., Roma1876.

14) A. Caracciolo, L’inchiesta agraria Jacini, cit., pp. 66 ss.15) S. Jacini, I risultati dell’inchiesta agraria, cit., pp. XIII ss.16) I risultati sono raccolti in quindici volumi: il primo e l’ultimo contengono il Proemio e la Relazione

finale, oltre ai verbali delle riunioni della Giunta, gli altri le indagini regionali.17) A. Caracciolo, L’inchiesta agraria Jacini, cit., p. 97.18) L’archivio della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola in Italia

(Inchiesta Jacini) - 1877 - 1885. Inventario, a cura di G. Paoloni e S. Ricci, Roma 1998; A. Lazzarini,Contadini e agricoltura. L’inchiesta Jacini nel Veneto, Milano 1983; G. Paoloni, Nota storico-archivistca,in La Puglia nell’inchiesta agraria Jacini (1877-1885), Roma 1994, pp. 15-26 e in L’Abruzzo e il Molise nel-l’inchiesta agraria Jacini (1877-1885), Roma 1995, pp. 19-27; Inchiesta Romilli. L’agricoltura e le classiagricole nel mantovano (1879), a cura di R. Salvatori, Torino 1979.

19) Atti Giunta, vol. I, pp. 142-145.20) Ivi, vol. XIII, f. I, p. 3.21) Archivio I.A., b. 1 (decima adunanza dell’8 dicembre 1878).22) Ivi, bb. 4, 5 e 6. In queste buste sono conservate le monografie che partecipavano al concorso, assie-

me ai giudizi e ai verbali della Commissione giudicatrice.23) G.B. Salerno, Monografia sul circondario di Piazza Armerina e G. Pasqualino, Monografia sul cir-

condario di Terranova (Archivio I.A., b. 5).24) V. Coppa Sortino, Monografia sul circondario di Noto; "La commissione - si legge nel verbale - nella

seduta dell’11 luglio 1880 considerando che la memoria quantunque non segua né sviluppi interamente ilprogramma della Giunta, pure ha nozioni esatte e dà per alcuni rispetti informazioni che possono essereutili alla Giunta stessa, si raccomanda perché all’autore sia accordato, a titolo di compenso una parte delpremio al quale concorre, da non eccedere la metà della relativa somma". S. Tringali, Monografia sulla pro-vincia di Siracusa. Secondo la commissione "la memoria contiene molte generalità insieme a molti erroridi fatto", tuttavia "non manca qualche parte ben trattata" (Archivio I.A., b. 5).

25) A. Nicolosi-Gallo, Monografia sui circondari di Siracusa e Catania (Ivi, b. 4).26) Atti Giunta, vol. XIII, p. 5.27) I lavori riguardano gli argomenti seguenti: 1) Coltivazione del tabacco. Conseguenze dell’applica-

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zione del monopolio in Sicilia (Atti Giunta, vol. XIII, f. I, pp. 23 ss.); 2) Condizioni dei lavoranti nelle minie-re di zolfo, e più specialmente delle donne e dei fanciulli, considerati in rapporto alla produzione agrico-la (Ivi, f. I, pp. 63 ss.); 3) Coltivazione del tabacco (Ivi, f. III, pp. 134 ss.); 4) Fillossera (Ivi, f. III, pp. 165ss.); 5) Malattie cagionate da crittogame e da difetti dell’ambiente (Ivi, f. III, pp. 184 ss.); 6) Beni dell’anti-co demanio, dell’asse ecclesiastico, ex-gesuiti e liguorini (Ivi, f. III, pp. 583 ss.); 7) Fondi già ecclesiasticidati in enfiteusi (Ivi, f. III, pp. 573 ss.); 8) Prezzi medi dei principali prodotti agrari e del pane (Ivi, f. III,pp. 620 ss.); 9) Il lavoro dei fanciulli e delle donne nelle miniere di zolfo in Sicilia (Ivi, f. III, pp. 646 ss.);10) Condizione materiale dei minatori in genere (Ivi, f. II, pp. 650 ss.); 11) L’avvenire dell’industria zolfi-fera in Sicilia in rapporto all’agricoltura (Ivi, f. III, pp. 662 ss.).

28) Atti Giunta, vol. XIII, f. I, p. 6.29) Le risposte dei sindaci e dei pretori si trovano conservate in Archivio I.A., bb. 22, 23 e 24. Cfr. anche

Bilanci preventivi comunali e provinciali, in Atti Giunta, vol. XIII, t. II, f. IV, pp. 521-563.30) L’opera si articola in 2 tomi e 5 fascicoli. Tomo I: f. I, Parte generale; f. II, Statistica dei beni rustici

posseduti dagli Enti morali per ciascun Ente e per ogni comune; f. III, Relazione generale. Tomo II: f. IV,Descrizione per circondario delle condizioni dell’agricoltura e delle condizioni economiche, sociali emorali della classe agricola; f. V, Statistiche agrarie.

31) C. Pazzagli, Statistica "investigatrice" e scienze "positive", cit., pp. 789-792.32) Atti Giunta, vol. XIII, f. I, p. 9.33) ACS, CDA, b. 2, f. 20, Damiani a Crispi, Marsala, 6 gennaio 1894.34) Ivi, Damiani a Crispi, Marsala, 4 settembre 1894.35) Questi collaboratori, che si potrebbero definire dei veri e propri ghost-writers, sono in buona parte

giovani di valore, cresciuti alla scuola di Luigi Bodio, tra i quali compaiono nomi come Oreste Bordiga,Francesco Coletti, Ghino Valenti, personaggi di spicco nei decenni successivi nel campo delle scienze sta-tistiche, demografiche e agronomiche. Sul tema cfr. A. Caracciolo, Ghino Valenti e l’agricoltura delleMarche, in "Quaderni storici delle Marche", 3 (1968), pp. 91 ss.; F. Bonelli, Luigi Bodio, in Dizionario bio-grafico degli italiani, vol. XI, Roma 1969, ad vocem; D. Marucco, L’amministrazione della statistica ita-liana, cit., pp. 79 ss.

36) Poche sono le notizie che possediamo sulla vita di Giovanni Patanè. Nato il 2 giugno 1849, era entra-to al ministero di Agricoltura nel maggio 1879. Nel 1894 fu nominato caposezione (la terza) nella Direzionegenerale dell’Agricoltura. I compiti di questa sezione erano: industria agraria; le imposte e la viabilità inrelazione all’agricoltura; le classi agricole; studi intorno alle condizioni morali ed economiche delle mede-sime; iniziative e provvedimenti intesi a migliorarle; relazioni intorno alle condizioni dell’agricoltura e delleclassi agricole. Su ciò Maic, Ruoli di anzianità, Roma 1895 e Maic, Annuario, Roma 1902. Per il giovaneStringher, che diventerà in seguito una personalità di primo piano al ministero di Agricoltura, la collabo-razione all’inchiesta fu la prima esperienza di studioso. Fra i numerosi studi i più importanti si devono con-siderare: L’istruzione agraria in Italia, Roma 1900; Notizie sull’Italia agricola, in L’iniziativa del Red’Italia e l’Istituto internazionale di Agricoltura. Studi e documenti, Roma 1905; V. Stringher - C. Dragoni,Organizzazione agraria in Italia, ivi, Roma 1905. Per molti anni fu direttore della biblioteca del ministe-ro di Agricoltura. Sotto la sua direzione la biblioteca fu riorganizzata e il patrimonio librario si ampliò note-volmente. Su ciò cfr. L. La Penna, La Biblioteca del ministero di Agricoltura, in "Quaderni storici", 12(1977), pp. 876-883.

37) V. Stringher, Note sulla coltivazione dei cereali in Sicilia, Atti Giunta, vol. XIII, f. III, pp. 96-113.38) G. Astuto, Abele Damiani e la Sicilia postunitaria, cit., pp. 85 ss.39) Atti Giunta, vol. XIII, f. I, p. 191. Nelle lettere inviate a Crispi, Damiani richiama più volte il ruolo e

l’impegno di Patanè nello svolgimento dell’inchiesta agraria: "Ho un sacro dovere che si protrae da 13 anniverso un distinto funzionario. Ho già troppo o per tiepidezza o per delicatezza lasciato continuare unasituazione ingiusta pel benemerito funzionario, e grave, insopportabilmente grave, per la mia coscienza[...]. Io ti chiedo di ordinare [a Boselli], perché diversamente non ne farebbe niente, di scegliere fra gliispettori (per la vigilanza sulla circolazione e sugli istituti di emissione) il professore Giovanni Patanè capo-

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sezione del suo ministero. Vorrai farlo? Soddisferai un voto ardente che io faccio da 13 anni" (ACS, CDA,b.2, f. 20, Damiani a Crispi, Roma, 9 marzo 1894).

40) Melis, Storia dell’amministrazione italiana, cit., pp. 160 ss. Cfr. anche S. Lanaro, Nazione e lavo-ro. Saggio sulla cultura borghese in Italia (1870-1925), Venezia 1979, pp. 184 ss. e C. Mozzarelli - S.Nespor, Giuristi e scienze sociali nell’Italia liberale, Venezia 1981.

41) L. Bodio, Saggio di bibliografa statistica, Roma 1885; Id., Una statistica delle condizioni di vitadelle classi operaie, in "Archivio di Statistica", 7 (1882), n. 1, pp. 143 ss.; Monografie agricole pubblicatedal professor Luigi Bodio, in appendice a E. Raseri, Materiali per l’etnologia italiana, in "Annali diStatistica", serie II, vol. VIII (1879), pp. 125-206.

42) G. Giarrizzo, Paolo Balsamo economista, in "Annali del Mezzogiorno", 6 (1966), pp. 11 ss.; si vedaanche l’introduzione di F. Renda alla ristampa di P. Balsamo, Memorie segrete sulla istoria moderna delRegno di Sicilia, Palermo 1969, pp. 7-43.

43) C. Somma, Opere edite e inedite di Nicolò Palmeri, Palermo 1883, pp. 106-170. Su Palmeri R.Nicotra, Il progetto politico di Nicolò Palmeri, in "Archivio storico per la Sicilia orientale", 70 (1974), nn.2-3, pp. 399-411 e l’introduzione di E. Sciacca alla ristampa a N. Palmeri, Saggio storico e politico dellaCostituzione del Regno di Sicilia, Palermo 1972. Su Castelnuovo cfr. G. Lo Giudice, Le conoscenze agrariee la loro diffusione in Sicilia tra l’800 e il ’900. L’Istituto Agrario Castelnuovo, Napoli 1998.

44) R. Salvo, Dibattito politico-economico e apparati istituzionali nella Sicilia della transizione,Palermo 1990.

45) A. Signorelli, Tra ceto e censo. Studi sulle élites urbane nella Sicilia dell’Ottocento, Milano 1999,pp. 191 ss.

46) Su Ferrara si vedano i recenti saggi di R. Faucci, L’economista scomodo, Palermo 1995; P.L. Tedeschi,La politica della statistica del giovane Francesco Ferrara nel dibattito metodologico sulla scienza eco-nomica del primo Ottocento, Università di Firenze, Istituto di Scienze Economiche, "Studi e Discussioni"n. 10, Firenze 1981. Su Gioia e Romagnosi si vedano almeno M. Macchioro, Studi di storia del pensieroeconomico, Milano 1970, pp. 244-275; M. Pasini, La filosofia della statistica di M. Gioia, in Materiali peruna storia della cultura giuridica, raccolti da G. Tarello, vol. V, Bologna 1975, pp. 471-532; E.A. Albertoni,La vita degli stati e l’incivilimento dei popoli nel pensiero politico di G.D. Romagnosi, Milano 1979; L.Mannori, L’amministrazione nel pensiero di Gian Domenico Romagnosi, in Isap, L’amministrazione nellastoria moderna, Archivio ns 3, Milano 1985, pp. 667-803

47) M. Grillo, L’isola al bivio. Cultura e politica nella Sicilia borbonica (1820-1840), Catania 2000, pp.147 ss.

48) A. Signorelli, La statistica preunitaria tra "assunto civile" e "funzione burocratica", in "Quadernidel Dipartimento di Scienze storiche antropologiche geografiche Università di Catania", n. 5, Catania 1983;F. Sofia, Una scienza per l’amministrazione. Statistica e pubblici apparati tra età rivoluzionaria e restau-razione, I, Roma 1988. Romeo aveva rilevato che gli studi economici "contribuirono a generare la nuovafede liberale" (R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1950, p. 267).

49) F. De Stefano, Storia della Sicilia, Bari 1948, p. 370.50) Atti della Società di acclimatazione di Palermo, Palermo 1861, tomo I, p. 4; cfr. anche F. Coletti,

Le associazioni agrarie in Italia dalla metà del secolo XVIII al XIX e la Società degli agricoltori italiani,in L’Italia agricola alla fine del secolo XIX, Roma 1901, vol. I, pp. 50 ss.

51) G. Vanneschi, Le istituzioni agrarie in Palermo, in "Giornale e atti del Comizio agrario di Palermo",2 (1878), pp. 226 ss. Utili indicazioni per quanto riguarda le scuole economiche di Catania e Palermo in G.Raffiotta, Economisti siciliani alla fine del sec. XVIII ed al principio del XIX, Palermo 1950; G. Maiorana,Gli economisti dello studio di Catania, in "Archivio storico per la Sicilia orientale", 30 (1935), pp. 345 ss.;F. Maggiore-Perni, L’economia politica in Sicilia nel sec. XIX, Palermo 1875; G. Libertini, Lineamenti dellacultura, in Catania nell’Ottocento, Catania 1934; A. Li Donni, Teorie e politiche agrarie nel pensiero deglieconomisti siciliani, in "Nuovi quaderni del Meridione", 17 (1979), nn. 65-68, pp. 125-143.

52) F. Alfonso, Trattato sulla coltivazione degli agrumi, Palermo 1872; F. Alfonso, Trattato di idrauli-

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ca agraria riferibile alla Sicilia, Palermo 1872; F. Alfonso, Memoria sui tabacchi in Sicilia, Palermo 1880;F. Alfonso, Sui mali che affliggono le coltivazioni siciliane, Palermo 1872; N. Turrisi Colonna, Appuntisulla cultura e commercio degli agrumi nella provincia di Palermo, in "Giornale di Scienze naturali eco-nomiche di Palermo", 1 (1866), pp. 70-76; N. Chicoli, Deperimento della pastorizia siciliana e cura tera-peutica del ricorrente tifo bovino in Sicilia, Palermo 1863; N. Chicoli, Relazione sullo stato della pasto-rizia siciliana nel 1870, Palermo 1870; N. Chicoli, Riproduzione, allevamento e miglioramento degli ani-mali domestici in Sicilia, Palermo 1870; G. Inzenga, Questione attuale della fillossera, Palermo 1880; G.Inzenga, Manuale pratico della coltivazione del sommacco in Sicilia, Palermo 1874; A. Nicolosi-Gallo,Monografia delle culture ortensi della Sicilia, Palermo 1880; A. Nicolosi-Gallo, Trenta varietà di vitigni.Studi enologici ed ampelografici, in "Industriale italiano", 4 (1870), n. 3, pp. 1-18; G. Salomone, Manualeteorico pratico d’agricoltura e pastorizia, Mistretta 1879; G. Caruso, Trattato sulla coltivazione degli ulivie la manifattura dell’olio, Palermo 1879; G. Caruso, Questioni urgenti di viticoltura, Messina 1871; G.Caruso, Trattato di viticoltura e vinificazione, ovvero il presente e l’avvenire enologico dell’Italia meri-dionale, Palermo 1869.

53) S. De Luca-Carnazza, Dello stato dell’agricoltura nella provincia di Catania, Catania 1879; R.Solarino, L’inchiesta agricola nelle due Raguse, Ragusa 1878; L. Della Fonte, Dell’economia agricola nelcircondario di Modica, Milano 1876; G. Bianca, Monografia agraria del circondario di Avola, Firenze1878; G. Fovel, Brevi notizie statistico-agrarie sul circondario di Caltagirone, Caltagirone 1876; V.Savorini, Condizioni economiche e morali dei lavoratori nelle miniere di zolfo e degli agricoltori dellaprovincia di Girgenti, Girgenti 1881; N. Turrisi Colonna, L’industria pastorale nel territorio di Palermo,in "Giornale e atti della Società di acclimatazione di Palermo", 22 (1882), pp. 73-83 e 97-115; M. Basile,Statistica della pastorizia nel circondario di Messina composta per incarico del comizio agrario, Messina1875; S. Zirilli, L’agricoltura nel territorio di Milazzo, Messina 1877; A. Mendola, Risposta al questionarioministeriale sulle condizioni dell’agricoltura siciliana, Roma 1876; A. Mendola, Sulle condizioni mate-riali ed economiche delle classi lavoratrici nella provincia di Girgenti, in Notizie intorno alle condizio-ni dell’agricoltura negli anni 1878-79, vol. III, Roma 1882.

54) V. Mortillaro, Notizie economico-statistiche ricavate sui catasti di Sicilia, Palermo 1854; F.Maggiore-Perni, Sulle condizioni economiche agrarie della Sicilia in rapporto alle altre regioni italiane,in "Giornale della Regia Commissione di agricoltura e pastorizia per la Sicilia", serie VIII, Palermo 1877, f.I; M. Basile, I caseggiati delle aziende rurali, Messina 1873; M. Basile, I catasti d’Italia e l’economia agri-cola in Sicilia, Messina 1875; N. Turrisi Colonna, Studi di amministrazione rurale per la Sicilia, Palermo1852; G. Inzenga, Sul progetto di legge per la proibizione della coltura del tabacco in Sicilia, inMemorandum per la Commissione di Inchiesta, Palermo 1867; A. Nicolosi-Gallo, Sulle condizioni econo-mico-agrarie della Sicilia, Firenze 1879; G. Caruso, Studi sull’industria dei cereali in Sicilia e le popola-zioni che la esercitano, Palermo 1870.

55) F.P. Perez, Della riforma sociale fondata sulla privata operosità, in "Annali di agricoltura siciliana",7 (1861), p. 25.

56) Sull’influsso esercitato dalla scuola economica toscana cfr. Z. Ciuffoletti, L’Accademia dei Georgofili,in "Quaderni storici", 12 (1976), n. 36, pp. 865 ss.; G. Valenti, L’Italia dal 1861 al 1900, in Aa. Vv.,Cinquantanni di storia italiana, Roma 1911, pp. 35 ss.; R.P. Coppini, I moderati toscani e G. Devincenzidi fronte alla interpellanza Jacini del l885, in "Rivista di sociologia", 11 (1973), pp. 219-232.

57) Atti del Congresso dei rappresentanti del Consorzio agrario interprovinciale di Sicilia pei concor-si e congressi e del giury pel concorso agrario tenuto in Caltanissetta nel 1879, Palermo 1880, p. 79. Suldibattito a livello nazionale si vedano L. Cafagna, Industrialismo e politica economica dopo l’unità, in"Annali dell’Istituto Gian Giacomo Feltrinelli", vol. V, Milano 1962; G. Are, Il problema dello sviluppo indu-striale nell’età della Destra, Pisa 1965; G. Mori, Osservazioni sul libero scambismo dei moderati nelRisorgimento, in Atti del 2° Convegno di studi gramsciani. Problemi dell’unità d’Italia, Roma 1962, pp.703-717.

58) Atti del Congresso dei rappresentanti il Consorzio agrario, cit., p. 81.

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59) L. Franchetti-S. Sonnino, Inchiesta in Sicilia, Firenze 1877. L’opera è stata ristampata nel 1974 dal-l’editore Vallecchi, con una nota storica di Z. Ciuffoletti.

60) Si vedano le osservazioni di Ciuffoletti, ivi, pp. 283-343.61) Ferma e decisa è l’opposizione di Sonnino alla legge di perequazione fondiaria e alle altre leggi di

carattere fiscale proposte dal Minghetti nel 1874. Nei confronti di questi provvedimenti il Sonnino rimaseostile anche negli anni ottanta. Il richiamo costante all’apporto culturale e politico del liberalismo inglesee al paternalismo dei toscani sono altri punti che provano la comune matrice. Su ciò cfr. R. Villari, Il Sudnella storia d’Italia, Bari 1961, pp. 120 ss.; M.L. Salvatori, Il mito del buongoverno. La questione meri-dionale da Cavour a Gramsci, Torino 1960, pp. 90-114.

62) Lo Stato e l’organizzazione del lavoro, in "Giornale ed atti della Società di economia politica",Palermo, 2 (1877), p. 20.

63) G. Manacorda, Crispi e la legge agraria per la Sicilia, in "Archivio storico per la Sicilia orientale", 68(1972), f. I, pp. 9-95. Identica sorte toccò al progetto di legge per il Mezzogiorno di Sonnino del 1905, chefu ripresentato e fatto approvare da Giolitti, dopo che furono stralciati dalla legge gli articoli relativi ai pattiagrari. Su ciò cfr. G. Carocci, Giolitti e l’età giolittiana, Torino 1971, pp. 58-59.

64) G. Astuto, Agricoltura e classi rurali in Sicilia (1860-1880), in "Annali del Dipartimento di Scienzestoriche", Facoltà di Scienze politiche di Catania, 1 (1980), pp. 205 ss.

65) N. Turrisi-Colonna, La colonia parziaria, studio di C Bertagnolli, in "Giornale e atti della Societàsiciliana di economia politica", 3 (1878), pp. 188-189.

66) Su questi temi oltre, alla nota storica di Ciuffoletti, nel volume Franchetti-Sonnino, Inchiesta, cit.,pp. 307-330, si vedano l’introduzione di F. Barbagallo alla ristampa di P. Villari, Le lettere meridionali e altriscritti sulla questione sociale in Italia. La camorra, la mafia, il brigantaggio, Napoli 1979; Salvatori, Ilmito del buongoverno, cit., pp. 34-90 e R. Villari, Mezzogiorno e democrazia, Bari 1979, pp. 63-106.

67) La Società fu costituita nel 1875 con lo scopo di difendere gli interessi agricoli della regione e percombattere l’intervento dello Stato nell’economia. Fondatore era Giovanni Bruno, amico di FrancescoFerrara e ordinario di Economia politica presso l’Università di Palermo. L’iniziativa di costituire questaSocietà faceva seguito ad altre dello stesso genere, in specie alla Società Adamo Smith di Firenze. Sul puntocfr. F. Brancato, Giovanni Bruno, in Dizionario biografico degli italiani, ad vocem e A. Li Donni, Il pen-siero di Giovanni Bruno nel dibattito tra liberisti ed autoritari nel sec. XIX, in "Nuovi quaderni delMeridione", 15 (1977) pp. 270-291; R. Faucci, Organizzazione e diffusione della cultura economica inItalia dopo l’unità, in "Economia e storia", 1978, n. 1, pp. 93-100.

68) ACS, Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-76), a cura di S. Carbonee R. Grispo, con introduzione di L. Sandri, voll. I-II, Bologna 1969; si veda soprattutto la relazione di R.Bonfadini, vol. II, pp. 1037-1183. Cfr. anche E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali. L’inchiestaparlamentare del 1875 sulla Sicilia, Napoli 1987.

69) L’intervento di Turrisi-Colonna in "Giornale e atti della Società siciliana di economia politica", 2(1877), p. 93.

70) Ivi, p. 120.71) L. Spoto, Economisti e questione agraria in Sicilia (1860-95). Giuseppe Ricca Salerno e la trasfor-

mazione del latifondo, Palermo 1980, pp. 99-144; C. Pazzagli, Girolamo Caruso, in Dizionario biograficodegli italiani, ad vocem; R. Salvo, Vito Cusimano: dal liberismo al socialismo della cattedra, in "Quadernidell’Istituto di storia della Facoltà di Magistero", Palermo 1979, pp. 1-240; R. Giuffrida, introduzione allaristampa di V. Cusimano, Storia dei banchi di Sicilia, Palermo 1974, pp. IX-XLIV.

72) A. Caracciolo, L’inchiesta agraria Jacini, cit., p. 46.73) D. Novacco, L’inchiesta Jacini, cit., p. 53.74) A. Lazzarini, Contadini e agricoltura. L’inchiesta Jacini nel Veneto, cit., pp. 11 ss.75) Atti Giunta, vol. XIII, f. I, p. 13.76) Ivi, vol. XIII, f. III, p. 341. 77) Ivi, vol. XIII, f. I, p. 174.

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78) Ivi, p. 175.79) Ivi, p. 13.80) Ivi, p. 176. Sulle riserve con cui vanno considerate le statistiche del tempo si vedano le critiche di

G. Valenti, L’Italia agricola dal 1861 al 1911, in Cinquantanni di storia italiana, Milano 1911; G. Valenti,La statistica agraria quale rappresentazione dell’economia rurale italiana, in Aa. Vv., L’Italia agricola eil suo avvenire, Roma 1919; L. Bodio, Di alcuni indici misuratori del movimento economico in Italia,Roma 1891.

81) Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia,vol. IV, Sicilia, t. I, Relazione del delegato tecnico G. Lorenzoni, Roma, 1910.

82) Atti Giunta, vol. XIII, f. I, p. 78.83) Ivi, p. 120.84) Ivi, vol. XIII, f. III, p. 317.85) Ivi, p. 569.86) Ivi, vol. XIII, f. I, p. 80.87) Ivi, vol. XIII, f. III, p. 317.88) Ivi, vol. XIII, f. I, p. 177.89) G. Astuto, Abele Damiani e la Sicilia postunitaria, cit., pp. 218 ss.90) Atti Giunta, vol. XIII, f. I, p. 82.91) Ivi, p. 63.92) Ivi, p. 61.93) Ivi.94) Ivi, p. 62.95) Ivi, p. 65.96) E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali, cit., pp. 77 ss.97) Atti Giunta, vol. XIII, f. I, p. 182.98) Ivi, p. 183.99) Ivi, p. 184.100) Ivi, vol. XIII, f. III, pp. 680 ss.101) G. Astuto Agricoltura e classi rurali in Sicilia (1860-1880), cit., pp. 177-253; O. Cancila,

Variazioni e tendenze dell’agricoltura siciliana a cavallo della crisi agraria, in Aa. Vv., I Fasci siciliani,vol. II, Bari 1976, pp. 273 ss.

102) A. Caracciolo, L’inchiesta agraria Jacini, cit., p. 111.103) A. De Bernardi, Questione agraria e protezionismo nella crisi economica di fine secolo, Milano

1977; S. Lupo, Il giardino degli aranci. Il mondo degli agrumi nella storia del Mezzogiorno, Venezia1990, pp. 135 ss.

104) G. Astuto, Abele Damiani e la Sicilia postunitari, cit., pp. 207 ss.105) AP, CD, Discussioni, 24 febbraio 1885, p. 12180.106) Ivi, pp. 12181-12182.107) Ivi, p. 12183.108) G. Astuto, Abele Damiani e la Sicilia postunitaria, cit., pp. 243 ss.109) G. Giarrizzo, La Sicilia e la crisi agraria, in Aa. Vv., I Fasci siciliani, vol. I, Bari 1975, pp. 7-80.110) G. Astuto, Abele Damiani e la Sicilia postunitaria, cit., pp. 237 ss.111) A. Damiani, All’Unione democratica di Trapani, discorso pronunciato la sera del 4 settembre

1890, Roma 1890.112) G. Astuto, Abele Damiani e la Sicilia postunitaria, cit., pp. 244 ss.113) ACS, CDA, b. 2, f. 20, Damiani a Crispi, Marsala, 6 gennaio 1894.114) G. Astuto, Crispi e lo stato d’assedio in Sicilia, Milano 1999, pp. 137 ss.115) ACS, CDA, Crispi a Damiani, Roma, 27 marzo 1897.

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I Quaderni

A conclusione di unpercorso di lunga matu-razione politica che loaveva portato dal campoliberal-democratico alsocialismo, SebastianoCammareri Scurti vollerivelare alla vigilia delleelezioni del 1897 le sueriflessioni “dopo un tri-ste ventennio di vita pub-blica marsalese” attraver-so un foglio volante astampa che è, insieme,un onesto atto di confes-sione e un “idealistico” programma sul Chefare? del Partito socialista. Nel rarissimo (eforse unico) esemplare della lettera diCammareri Scurti, che si conserva tra leCarte Montalto, sono indicati i carattericontraddittori della esperienza damianista,nonché la stessa psicologia e il comporta-mento politico del personaggio/Damiani,protagonista leale, ma a volte ombroso edistaccato, della vita marsalese.

Pensava il Cammareri che, dopo il 1880,il damianismo avesse “degenerato” pervarie ragioni: “Cessava gradatamente l’inte-ressamento per il suo passato, perchénuovi bisogni e nuove generazioni connuove idee sorgevano. Il carattere persona-

le del Damiani non siprestava facilmente amutare la posa cavallere-sca del patriotta in quelladi servitore delle plebi.Anzi egli commettea ilgravissimo errore di sfug-gire alla vita minuta delpaese. Un isolamentosempre crescente si faceaattorno alla sua personae al partito che lo soste-nea, ed era prevedibile lacatastrofe. Io che viparlo, supposi possibile

una trasformazione del damianismo versole nuove esigenze sociali. Era lecito sperar-lo, sapendo noi il Damiani essereCommissario di quell’Inchiesta agraria cherappresenta ciò che di massimo può spe-rarsi dalla borghesia ... Ho ad onore quellamia illusione, come ho ad onore l’esserme-ne liberato per correre miglior acqua”1.

A rendere tuttavia utopistico perMarsala il programma socialista era lanatura stessa del cambiamento che erafrattanto avvenuto, che Cammareri Scurtiaveva ben individuato - oltre che nella cita-ta lettera a stampa, anche nei coevi scrittiapparsi sulla turatiana Critica Sociale - male cui espressioni di classi e di interessi il

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Il controllo del potere politiconel Trapanese: Nasi e Damianidi Salvatore Costanza

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dottrinarismo marxista, la “religione deiproletari”, rifiutava di coinvolgere nell’a-zione riformatrice: “L’artigianato e la pic-cola possidenza”, che conferivano preva-lente connotazione alla società marsalese,erano, infatti, dal Cammareri consideraticome le “due classi che ci dànno un’evolu-zione sociale arretrata, che conservanotutta la incultura del povero, tutti i perico-li del fallimento, e tutte le vecchie pretesedelle classi prepotenti e ricche. In unaparola la democrazia che sorge in Marsalacon tutte le sue fallacie”2.

E invece chi aveva saputo rappresentareil frammentato e precario mondo dell’arti-gianato, dei carrettieri e bottai, dei borge-si ventennalisti, della “piccola possidenza”e della sparsa, minuta e fragile imprendito-ria enologica, era stato il radicale VincenzoPipitone, che nel collegio elettorale era riu-scito, dopo una decennale contrapposizio-ne politica al Damiani, a succedergli nel’95. Si concludeva cosí la fase damianista,che poggiava sul controllo notabilare eser-citato sul territorio, pure tramite i prefetti,e s’inaugurava la fase delle piú articolatestrutture del consenso basate sugli organi-smi economici, sull’associazionismo solida-ristico e sulla manipolazione ideologica,mediante i giornali (La Nuova Età) e isodalizi politico-amministrativi (la SocietàDemocratica Garibaldi).

La coalizione antitrasformista dell’86

Quando nel 1882 s’introduce nel siste-ma elettorale lo scrutinio di lista in collegiplurinominali, Abele Damiani, deputato diMarsala fin dalla IX legislatura del 1865,conosce per la prima volta l’amarezza dellaesclusione e della sconfitta. Se ne addossa-

no le cause ai maneggi del deputato diTrapani, marchese Ruggero Maurigi, osse-quiente governativo, e quindi strumentodel trasformismo del Depretis contro gliavversari crispini. Damiani, anzi, è tra ifedeli sostenitori del Crispi colui che neinterpreta l’anima, come direbbe il suoagiografo Pipitone-Federico, ma anche leambizioni di potere.

Molto più realisticamente Crispi com-prende che le cause della sconfitta diDamiani, come degli altri progressisti inSicilia e nel Meridione d’Italia, sia piuttostoda ricondurre alle carenze politiche dellaSinistra, alle sue divisioni e alla sua incapa-cità a impostare un serio e organico pro-gramma di riforme. Il Comizio dei demo-cratici della Sinistra contro il trasformismodepretisino, convocato a Palermo nelnovembre dell’83, e che si fa presiedere adAbele Damiani, vuole corrispondere a taliesigenze di unità e di visibilità politica, eprelude alla costituzione, a Napoli, il 25dello stesso mese di novembre, della cosid-detta “Pentarchia”3.

Nel momento in cui si sono modificati irequisiti del diritto di voto con la legge 22gennaio 1882, allargando in misura note-vole la base elettorale, comincia a venirmeno la tradizionale saldatura sociale deipossidenti censitari attorno ai retaggipatriottici - come ha osservato CammareriScurti - e tutto ora si giuoca sui numeridelle liste elettorali e sulle pressioni prefet-tizie in funzione del sostegno governativo.

Per le elezioni del 23 maggio 1886,Damiani convoca a Roma i suoi colleghidella circoscrizione provinciale di Trapani(Vincenzo Saporito di Castelvetrano e l’al-camese barone Di San Giuseppe), esclu-

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dendo Maurigi e invitando Nunzio Nasiper proporgli di entrare, come rappresen-tante della città/capoluogo, nella coalizio-ne elettorale che vuole formare con pro-gramma antitrasformista. Nella corrispon-denza tra Nasi e Damiani, che si conservanella Biblioteca Fardelliana di Trapani, sihanno le conferme “confidenziali” dell’ac-cordo intercorso tra i due fin dal marzodell’86; ma si accenna anche a precedenticontatti “circa gli intendimenti politici delpartito” che, a Trapani, “si raccoglie attor-no all’amministrazione comunale”. Nellostesso carteggio si ritrovano tutti i sospet-ti di trame insi-diose (da parte diMauro e Nocito,di Saporito e DiSan Giuseppe), dicui Nasi avverte ilnotevole rischioper gli equilibrielettorali che sistanno formandonel collegio.

Una lettera aDamiani del 25marzo 1886 espo-ne il criterio gene-rale che, secondoNasi, deve presie-dere all’accordo:“Noi siamo liberida qualsiasi impe-gno che c’impedi-sca di prendere gliopportuni accordiper le prossimeelezioni generali.Criterio esclusivo

in tale bisogna è per noi l’assicurare aTrapani quella rappresentanza, che le spet-ta, nel giusto concerto di tutti i Comuni edinteressi del Collegio. Unica nostra curasarà quella di eliminare tutto ciò che dividee più fare votando al trionfo dell’intieralista da concordarsi. Tutto procede secon-do questi intendimenti; e chi afferma ilcontrario, o non sa, o non dice il vero: inogni caso non potrebbe parlare a nome dialcun volere o interesse collettivo. Ciòsono autorizzato a dire tanto nel nomeproprio che in nome di tutte le persone, lequali hanno esercitato e mantengono una

reale e legittimainfluenza nell’o-dierna situazioneamministrativa diTrapani”4.

Nasi avrà poi ilsostegno diDamiani, ma avràpure quello deigruppi radicalidella provincia, edello stesso soda-lizio politico chefa capo a VincenzoP i p i t o n e .Quest’ultimo nonvoterà Damiani,ma accanto alnome di MarioRapisardi, candi-dato dei radicali(secondo dei noneletti con 6.369voti, di cui 5.427 aMarsala), invita isuoi a scrivere

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Deputato trapanese Nunzio Nasi

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quello di Nasi. Il sostegno dei radicali riu-scirà a neutralizzare l’opposizione delbarone Saporito, che continuerà a sostene-re Maurigi (primo dei non eletti con 8.123voti), mentre Nasi riuscirà ultimo dellascheda concordata con 10.218 voti5.

I risultati della ele-zione rispecchiano lanuova topografia poli-tica del collegio, conuna netta divaricazio-ne tra una partedemocratico-radicale(Nasi) ed una liberale(Saporito), mediatadal lealismo crispinodi Abele Damiani, maormai avviata a convi-vere sulla base di unsaldo consenso clien-telare. Confrontate inquesto momento leposizioni di Nasi e diDamiani, esse manife-stano una dialetticaimpropria, marcata insenso progressista eradicale quella di Nasi, indirizzata versouna generica Sinistra democratica nell’al-veo crispino quella di Damiani.

Nel programma indirizzato nell’86 aglielettori del Collegio di Trapani, Nasi giudi-cava il momento politico che l’Italia attra-versava risolutivo per la delineazione deipartiti, i quali, dopo le combinazioni par-lamentari del trasformismo, tendevano aricreare vecchie situazioni personali o arincorrere il “progetto di un grande parti-to nazionale, che portava l’equivocoanche nel suo titolo”. L’idea di Nasi era

che, “senz’attendere nelle posizioni equi-voche del Centro” “al riordinamento deipartiti”, ci si dovesse schierare chiaramen-te “a Destra o a Sinistra” per non ripro-porre un Ministero “a base trasformista eduna opposizione a base pentarchica”.

Neanche il liberali-smo - al quale tutti ipartiti “a gara” sirichiamavano - costi-tuiva, secondo lui,una comune identitàpolitica, “poiché variopuò essere il modod’intendere lalibertà”. “Il massimodi liberalismo, eglisosteneva, non puòfarsi consistere nellaprotezione dellalibertà individuale,bensì nell’ordinare loStato in modo che siriesca a temperare lalegge darwiniana del-l’esistenza, organiz-zando la difesa dei

deboli”. Nasi vagheggiava uno Stato che,“lungi dall’attenuare i suoi compiti colprogresso della civiltà, accrescesse la suaazione dirigente e integrante per la difesadelle classi disagiate6.

Era una posizione ispirata a quel “princi-pio autoritario di natura essenzialmentedemocratica”, tendente a risolvere il pro-blema sociale, che era a fondamento delpensiero economico dei “socialisti dellacattedra”, da Nasi accolto fin dai tempi delsuo studio giovanile su I fattori del pro-gresso legislativo (1873)7, non ostante

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Vincenzo Saporito deputato di Castelvetrano

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avesse avuto nell’Ateneo palermitano comeprofessore di economia il liberistaGiovanni Bruno. Si era esaurita da undecennio la funzione propulsiva, in termi-ni di elaborazione politica, del partito con-servatore, che si era arroccato nella difesadi interessi elitari e di princìpi sottomessial rigido centralismo dello Stato. (“A meche non vagheggio sindaci elettivi, munici-pi assolutamente sbrigliati”, dichiarava ilmarchese di Torrearsa in una lettera adAlberto Buscaino Campo, l’idea del discen-tramento “fa una certa apprensione”8).Muovendo invece da una trincea ideale dirinnovamento e di progresso, Nasi potevapresentarsi agli elettori come garante dellatransizione dal potere delle oligarchiemoderate al sistema delle riforme finalizza-te a realizzare la solidarietà sociale e, quin-di, ad ampliare le basi del consenso.

Ad un prevalente interesse per la riformadelle istituzioni e per il ruolo dell’Italia nelMediterraneo e in Africa sono invece dedi-cati i discorsi che Damiani pronunzia, nelnovembre dell’83, a Palermo per ilComizio della Sinistra democratica9 e aMessina per la sua candidatura in quel col-legio10. È una sua costante preoccupazio-ne denunciare il trasformismo, considera-to come “l’abbandono e la ingratitudineverso il passato”, “la rinunzia dell’avvenire,una mostruosa combinazione, una sfinge”.E invece “la sinistra seppe sempre di basta-re a sé stessa e procedette sempre corag-giosa verso il suo avvenire, sicura di poterdare non di ricevere valore da altri elemen-ti che non eran suoi”11. Convinto della“utilità dell’azione separata dei partiti” eglicontinuerà a sostenere l’azione parlamen-tare e di governo di Crispi, mentre Nasi

aderirà nel ’92 al gruppo dei radicali legali-tari di Alessandro Fortis.

Strutture e tecniche del potere politico

Intanto si va delineando meglio la retedei poteri che, dall’autorità prefettizia, sidiparte e si articola lungo l’asse degli entilocali e degli organismi economici. Se nepuò ricostruire un diagramma esemplareattraverso gli atti della pubblica ammini-strazione, ma soprattutto mediante i ric-chissimi carteggi che si conservano nelFondo Nasi, oltre che nel fondo delMinistero dell’Interno presso l’ArchivioCentrale di Stato. L’autorità del Prefetto,accresciutasi nei propri ruoli politico-amministrativi con la legge del 10 febbraio1889, viene esercitata quasi sempre inaccordo con gl’interessi di clientela e dicontrollo politico dei deputati del collegio,e soprattutto di Nasi, che riesce man manoa limitare l’influenza di Damiani, special-mente quando, dal ’92 in poi, il deputatodi Trapani riuscirà a inserirsi in un circuitopiù autorevole di relazioni parlamentari egovernative.

Il Prefetto presiedeva, fino alla leggedell’89, la Deputazione provinciale; ed eraperciò al contempo funzionario politicodel Governo ed organo esecutivo dell’Amministrazione provinciale. Ma in seguitoalla riforma di quell’anno avrebbe presie-duto la Giunta provinciale amministrativa,nuovo organo di controllo sugli atti ammi-nistrativi dei Comuni e della stessaDeputazione provinciale, nonché organodi competenza in materia di elezioni e diliste elettorali.

Il disegno di legge, ispirato da Crispi,sulla riorganizzazione delle prefetture per

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aumentare il controllo delpotere centrale era statopresentato (relatore AbeleDamiani) il 4 luglio 1887alla Camera dei Deputati,che lo aveva approvato lostesso giorno12. La preoc-cupazione che “venissecreata nel nostro paese laclasse dei prefetti pura-mente politici”, manifesta-ta soprattutto dai liberaliconservatori, non erainfondata, perché da quelmomento i prefetti diven-nero strumento non solodel Governo, ma anchedelle maggioranze o delleminoranze che, neiComuni, si riferivano aldeputato del collegio. Dal1886 in poi, il lavoro deiprefetti Civilotti, Pacini,Segre, Fanelli, fu indirizza-to nel senso di favorire leliste di Sinistra, con tecni-che di pressione a lungo sperimentate suiMunicipi, là dove si mostravano poco favo-revoli ai candidati ministeriali, e sugli elet-tori più influenti; cancellando dalle listeelettorali centinaia di nomi e includendonealtri; assicurando alla parte governativa ilcontrollo delle fonti del potere pubblico.

Civilotti, ad es., comunica a Nasi di voler“rivedere a suo modo la lista degli elettori”nei Comuni rurali dell’interno, dove varia-bili sono gl’interessi delle opposte fazioni,sollecitando i gruppi favorevoli ai deputatidella maggioranza governativa “a fare iscri-vere i loro amici”. “Quando sarò sicuro che

è prevalente il numero degli elettori amici,domanderò che tutto il Consiglio si dimet-ta”13. Lasciando Trapani per altra destina-zione vuole che gli si riconosca il merito“di aver lottato con tutte le forze” per man-tenere “alto il nome e il prestigio del parti-to democratico”14.

Uno dei funzionari di Prefettura, il tra-panese Costantino Taranto, mostrava diessere il più ligio al servizio del ministeria-lismo: “La lista fu nominata da me e fatta inmodo che la vittoria sarà sicura. Peròoccorre sempre che il Consiglio sia sciolto,giacché i villani non si vogliono compro-

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Una lettera del Ministro dell’Interno Giovanni Giolitti a Nunzio NasiMinistro della Pubblica Istruzione

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mettere di votare contro l’attuale ammini-strazione vedendola al potere”. E perMonte S. Giuliano egli vagheggiava il “grancolpo” di scioglierne il Consiglio comunale(“ed io faccio di tutto per attivare questaidea, la quale va prendendo buona consi-stenza”)15. Lo stesso Taranto avrebbe annidopo teorizzato questa ossequiente con-dotta in termini di vera e propria deonto-logia prefettizia: “Se i prefetti prepararonole elezioni politiche e amministrative,molto bene fecero, perché queste non sidovevano affrontare all’atto in cui avveni-vano, ma dovevano essere preparate atempo, con quell’astuzia e sagacia che deveavere il prefetto, tenendo sempre l’indiriz-zo del Governo, per dare al medesimo iseguaci di esso, in quella qualsiasi rappre-sentanza del paese, allontanandone gliavversari. Così il prefetto può dimostrarequella indiscussa fedeltà al Governo, laquale in sostanza deve consistere nel sapermantenere il partito del Governo, delquale il Prefetto è la lunga mano”16.

Questa funzione politica non è, infondo, che un aspetto della subalternitàdell’Istituto prefettizio non tanto al poterecentrale, quanto alle coalizioni d’interessiche si andavano formando nei municipi enei centri del potere periferico.Preoccupati della loro carriera, i prefettinon riuscivano a staccarsi dal giuoco insi-dioso, e spesso indecifrabile, che si pratica-va nel sottobosco politico governato daDeputati e Sindaci; sicché, spesso, essi ciappaiono vittime sacrificali piuttosto cheartefici di potestà.

Il racconto che un ascoltato notabiledell’Unione Democratica di Nunzio Nasifarà delle ambasce di un povero prefetto

messo di fronte a contrastanti impegni elet-torali rimane a testimoniarci di quellepreoccupazioni: “L’altro giorno il Prefettomi manifestò di aver saputo che in casaMartorana si deliberò d’interrogare l’onor.Damiani a far opera presso Crispi affinchédia disposizioni al Prefetto di non immi-schiarsi nelle prossime elezioni. Son per-suaso che una raccomandazione di talgenere dopo quanto conosce Damiani nonpotrebbe trovare il suo appoggio; però èutile che “tu” lavorassi affinché questo fattonon avvenga. Il Prefetto è dispostissimo adaiutarci su tutta la linea, ma teme delle cir-colari del Ministro, e molto più della pros-sima legge. Gli han dato a comprendereche il Damiani pare che non resta contentodi lui, e che potrebbe influire a suo danno.Questo timore lo neutralizza, e quindi desi-dererebbe una specie di assicurazione inlinea riserbata colla quale s’incarichi diappoggiare il nostro movimento elettoralecon moderazione e oculatezza. Il restoverrà poi da sé”17.

Le “spine sulla mano”

Accanto ai poteri locali di Comuni eProvince, si svilupparono in questo perio-do nuove forme di organizzazione e gestio-ne dell’economia attraverso la Camera diCommercio ed Arti (il cui presidente eraeletto dagli iscritti nelle liste commerciali)e le Banche cooperative, sorte a Trapani trail 1883 e il 1887. L’impianto solidaristicodelle società operaie era già costituito nellacittà/capoluogo fin dal 1863, ma nel restan-te territorio provinciale esso ebbe notevoleespansione a partire dall’82, quando lanuova legge elettorale consentì a quantiavevano superato l’esame della seconda

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elementare di poter accedere alle listeamministrative. Molte delle società operaiesorsero per approntare questo minimo dialfabetizzazione ai propri iscritti, e ciò chia-ramente in funzione elettoralistica.Dall’esame della Statistica delle Società dimutuo soccorso pubblicata nel 1888 dalMinistero di Agricoltura, Industria eCommercio si evince come dei 27 sodaliziesistenti in provincia, soltanto nove eranostate costituite prima dell’8218. A Marsalaoperava fin dal 1865 la società di mutuosoccorso fra gli operai enologici della“Florio”. Tale società, come quella costitui-ta nel 1882 a Favignana tra i lavoratori con-servieri delle tonnare Florio, era sostenutadagli stessi imprenditori, che vi esercitava-no con concreti aiuti di solidarietà unindubbio potere. Infatti, a contribuire allespese per il mutuo soccorso non erano gli

operai, ma Casa Florio, la quale, come silegge in una relazione/esposto di qualcheanno dopo, si era preoccupata di assicura-re gratuitamente ai propri dipendenti l’as-sistenza medica e la cassa pensioni19.

È perciò evidente il ruolo che nell’ulti-mo ventennio del secolo XIX vanno assu-mendo gli organismi economici, rappre-sentativi degli interessi della borghesia, maanche mediatori, in chiave paternalistica odi attivo solidarismo, dei bisogni crescentidei ceti popolari. Ma è qui che l’iniziativa diAbele Damiani mostra sempre più la suainadeguatezza propositiva, specie di fronteall’attivismo sociale del radicalismo diVincenzo Pipitone, che intuisce tutte lepotenzialità insite nel trascinamento della“piccola politica” sul terreno della solida-rietà operaia e del riformismo piccolo-bor-ghese. Per anni la centralità del potere poli-

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Ritratto di Nunzio Nasi - Tela di Giacomo Balla (1902)

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tico resta, per Damiani, oltre che nelComune di Marsala, nella Deputazioneprovinciale, dove il fidato TommasoPipitone riesce a mantenere gli instabiliequilibri tra i nasiani, guidati dal dr.Antonino Turretta, e i saporitiani, presentiin prima persona attraverso il fratello deldeputato di Castelvetrano, CesarinoSaporito.

Ma non riuscirà a impedire che si raffor-zi col tempo l’asse Nasi/Saporito, fondatosu reciproche diffidenze, e tuttavia eserci-tato su altalenanti e, spesso, umilianti com-promessi di potere. Ne uscirà mortificato ilruolo che i gruppi radicali della provincia -specie quelli dei Comuni della valle delBelìce, dove Saporito praticava il suo con-trollo politico - pensavano di potere averesostenendo Nasi nelle elezioni dell’86, del’90 e del ’92. Avviato alle più alte carichegovernative già alla fine dell’Ottocento,Nasi costruirà quel massiccio reticolo clien-telare che avrebbe saldato, in chiave perso-nalistica e di prestigio paesano, la baseelettorale al proprio potere politico. Egli,addirittura, con una curiosa metafora del-l’esercizio clientelare praticato, chiamerà“spine sulla mano” le raccomandazioni diamici ed elettori, che furono tante se nelfondo Nasi si conservano ancora 896 bustedi raccomandati, tra cui quelle di Giovanni

Gentile e di Nicolò Rodolico, disposte conuna esatta nomenclatura di patroni, iter edesiti burocratici che può risarcire abbon-dantemente gli studi di un moderno socio-logo della politica20.

E tuttavia, tramontata negli anni ’90 l’e-poca “cavalleresca” di Damiani, urgevanocol movimento dei Fasci Siciliani i tempidella iniziativa politica e sociale fondata sulconsenso delle masse. Cammareri Scurti,lungo l’itinerario della sua evoluzioneideologica verso il socialismo, si rivolgerànel ’93 a Nasi sperando che sotto la sualeadership sia ancora possibile organizzare“un vero partito radicale”, “che riesca dav-vero a portare la scure abbattitrice controquesto vecchio edificio sociale, sul quale,anziché delle predicate riforme ab imisfundamentis, si vedono ad ogni giornosovrapporre nuove incrostazioni”.“Occorre, cred’io, - egli concludeva - che siscuotano in questo senso le masse con unmovimento organizzato e con ogni mezzodi propaganda”21.

Appello inascoltato da Nasi, nel momen-to in cui le strutture del consenso della suabase sociale, dove acquistava sempre piùpeso la borghesia agraria, minacciata dal“guizzare di fiamme” dei Fasci, lo avrebbeportato al compromesso politico del ’95con la destra sonniniana.

Note

1) S. CAMMARERI SCURTI, Che fare? Ai lavoratori marsalesi a proposito della prossima elezione poli-

tica del 21 marzo 1897, Marsala, Tip. di G. Martoglio, 1897.

2) Ivi. Cfr. pure dello stesso Cammareri Individualismo economico e individualismo politico e la pic-

cola prioprietà nel Marsalese, Marsala, Tip. G. Martoglio, 1895.

3) G. ASTUTO, Abele Damiani e la Sicilia post-unitaria, Catania 1984, pp. 88-91.

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4) Lettera di N. Nasi ad A. Damiani, 26 marzo 1886, in Biblioteca Fardelliana (BF), Fondo Nasi, Elezioni

politiche (1886-1900). Si vedano, nello stesso fascicolo, lettere Damiani/Nasi del 28 marzo e 2 aprile 1886.

5) “La Sveglia”, Alcamo, 30 maggio 1886 (a. III, n. 4).

6) Agli elettori del Collegio di Trapani, in BF, Fondo Nasi, Elezioni politiche (1886-1900).

7) N. NASI, Teoria del progresso legislativo, Trapani, P. A. Rizzi, 1875 (2a ed.).

8) Lettera di Vincenzo Fardella di Torrearsa ad Alberto Buscaino Campo, 15 settembre 1876, in BF,

Carteggi di A. B. C., b. 2.

9) Discorso del Dep. A. Damiani al Comizio Popolare di Palermo il 4 Novembre 1883, Palermo, Tip.

Vena, 1883.

10) Discorso del Dep. A. Damiani al banchetto offertogli dalla Società Progressista di Messina il 12

Novembre 1883, Palermo, Tip. Vena, 1883.

11) Discorso al Comizio Popolare di Palermo, p. 7.

12) AP, Discussioni della Camera, tornata del 4 luglio 1887. Cfr. pure G. CAROCCI, Agostino Depretis e

la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, p. 644.

13) BF, Fondo Nasi, Elezioni politiche (1886-1900); lettere del pref. Civilotti a Nasi, 27 marzo, 25 giu-

gno 1887.

14) Ivi, lettera di Civilotti a Nasi, 28 gennaio 1888.

15) BF, Fondo Nasi, Carteggi, ad nomen; lettera di C. Taranto a Nasi, 23 giugno 1887.

16) C. TARANTO, L’ordinamento comunale e provinciale in Italia, Roma 1930, p. 87.

17) BF, Fondo Nasi, Carteggi, ad nomen; lettera di Nunzio Aula a Nasi, 4 luglio 1887.

18) MAIC, Statistica delle Società di Mutuo Soccorso e delle istituzioni cooperative annesse alle mede-

sime. Anno 1885, Roma 1888.

19) Osservazioni e proposte delle ditte Woodhouse e C., Ingham-Whitaker e C., e Florio di Marsala alla

legge 31 marzo 1898 sull’assistenza obbligatoria degli operai contro gli infortuni del lavoro, Palermo 1898.

20) N. NASI, Pensieri e ricordi, ms. in BF, Fondo Nasi, p. 92r.

21) BF, Fondo Nasi, Carteggi, ad nomen; lettera di S. Cammareri Scurti a Nasi, 6 aprile 1893.

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Secondo una circolaredel ministero dell’Internodel 31 ottobre 1864 (n.15417) i prefetti eranotenuti ad inviare alle auto-rita’ centrali una relazionemensile sullo spirito pub-blico. Con successivedisposizioni i rapportidivennero dapprima tri-mestrali (circolare del 18aprile 1865, n. 5499), poidi nuovo mensili dal 1866al 1870 (circolare del 25luglio 1866, n. 9177),quindi ancora trimestrali fino al 1874 (circo-lare del 16 gennaio 1870, n. 99). Accanto allenote periodiche, secondo l’articolo 1 delregolamento allegato alla legge comunale eprovinciale, ai prefetti era prescritta la tra-smissione di un rapporto generale annuale.Dal marzo 1874 il Ministero, preso atto dellastabilizzazione della vita politica e ammini-strativa e vista caduta in disuso la relazioneannuale, stabilì una cadenza semestrale (cir-colare del 16 marzo 1874, n. 1615).

Nel fondo “Gabinetto” del Ministeropresso l’Archivio Centrale dello Stato sonocustodite le buste con le relazioni, limitate,però, purtroppo al periodo 1882 - 1894.

Da esse traiamo notizie, indicazioni e

dati sulla situazione delleprovincie italiane daCuneo a Lecce, daBelluno a Trapani,impossibili da ignorare.Anche in anni successivi iprefetti, dopo l’invio dicircolari specifiche o nel-l’adempimento dei lorocompiti istituzionali, nonhanno mancato di inol-trare informazioni sulquadro politico - ammini-strativo dell’area di lorocompetenza.

Per nostra fortuna la documentazionesulla provincia di Trapani, a differenza dialtre più importanti, quali, ad esempio,Roma e Palermo, è completa per l’interoperiodo ed offre spunti di larghissimo inte-resse.

Nel rapporto sul primo semestre del1884, inviato il 15 luglio, il prefetto CesareParoletti1 informa che:

“il partito clericale è innocuo sotto l’in-fluenza di questo M.r Vescovo che è gene-ralmente rispettato per i suoi principiimoderati, e per la deferenza che usa versotutte le autorità governative. I partitiamministrativi all’opposto si mantengonovivi ed alimentati dalle gare personali che

La situazione politico-amministrativaa Marsala tra il 1884 ed il 1908di Vincenzo G. Pacifici

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si contendono il primato delpotere municipale, degene-rano sovente in odii e ven-dette che turbano l’ordinepubblico, e reclamano lacontinua vigilanza delleAutorità politiche a tuteladella sicurezza pubblica”2.

Lo stesso funzionario, seimesi più tardi (15 febbraio1885), conferma che i partitipolitici continuano ad

“avere una maggioranzaassoluta che obbedisce aisuoi Capi, i quali non ispie-gano la loro azione che inoccasione delle lotte ammi-nistrative e politiche. IlClero si mantiene sempreestraneo a questi partiti, equelli socialisti sovversivinon hanno qui alcunainfluenza [...]. Non vi èComune senza partiti che sidilaniano per odii persona-li, sotto la veste di garemunicipali”3.

Paroletti, alla vigilia deltrasferimento (1 febbraio1886), ormai pratico del-l’ambiente, si addentra inuna analisi sociologica,osservando che

“le popolazioni tutte diquesta provincia, come pelpassato si sono esclusiva-mente occupate delle industrie agricola ecommerciale, d’onde le classi proletarieed operaie ritraggono la sussistenza, e leclassi agiate la vita oziosa, occupate sol-

tanto ad ammassare ricchezze e riservan-do a spiegare nei partiti amministrativitutta la loro attivita’ per dilaniarsi avicenda”4.

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Abele Damiani con Tommaso Pipitone a Villa Damiani

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Successore di Paroletti è GirolamoCivilotti, che, nonostante sia a Trapani dal 1aprile 1886, con il grado di consigliere dele-gato, solo dopo la nomina a prefetto decisadal gabinetto Depretis il 6 febbraio 18875,invia il 27 marzo unarelazione, caso spe-ciale, riguardante l’in-tero anno preceden-te. Osseva che

“in generale regnauna grande atomia[sic!] politica in tuttii centri di questaprovincia. Quellelotte, che di quandoin quando paredestino un fremitodi vita nelle fibre diqueste popolazioni,non sono veramentelotte politiche, magare municipali, tal-volta violentissime epassionate, nascentinon gia’ da un prin-cipio politico socia-le, ma da ambizionipersonali e da cozzanti interessi di parte”

Segnala che “nessun notevole cambiamento si è

avvertito nei partiti politici della provin-cia; restano sempre di fronte l’uno all’al-tro il partito democratico e il partitomoderato, i quali spiegano la loro azionee la loro influenza in occasione delle lotteper le elezioni politiche ed amministrati-ve. Lotte più di persone che di principii,avvegnachè i due partiti hanno comune ilprogramma liberta’, ordine, progresso”.

Riconosce che “ i partiti sia amministrativi che politi-

ci si combattono a viso aperto e senza darluogo a disordini: raramente di fattiavviene che si abbia bisogno dell’appara-

to della forza”6.Nel rapporto rela-

tivo al primo seme-stre del 1887, tra-smesso il 12 agosto,Civilotti prevede sta-bilita’ nelle conteseamministrative7.

Dal 16 gennaio1888 regge la prefet-tura il toscanoLeopoldo Pacini, chediviene titolare il suc-cessivo 7 giugno8. Il4 agosto, nella suaprima relazione, rife-risce che

“ad eccezione diMarsala e di MonteS. Giuliano, in tuttigli altri comunidella provincia, nonesistono partiti poli-

tici propriamente detti. In Marsala vi sonogruppi di repubblicani, di anarchici e diclericali. In Monte S. Giuliano la maggio-ranza della classe che un tempo dicevasidirigente, è composta di gente devota allasagrestia”.

I clericali “più che in Marsala [...] abbondano in

Monte S. Giuliano dove fino ad ora hannodominato tranquillamente nell’ammini-strazione comunale coll’appoggio, e forseanche a favore dei preti, il che irrita gran-

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L’onorevole Vincenzo Pipitone

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demente tutto il partito liberale di quelcomune e dei comuni vicini”.

Fatta eccezione per Marsala, dove esisto-no due associazioni politiche “d’indolerepubblicana” (la “Societa’ democratica” el’ “Associazione del lavoro”) e per Trapani,dove è stata fondata, “a scopo elettorale”,la “Societa’ costituzionale progressista”,

“in tutto il resto della provincia le garemunicipali prevalgono alle preoccupazio-ni politiche, e in coteste gare i migliori cit-tadini consumano il meglio del loro inge-gno e della loro attività”9.

Dopo la legge del 10 febbraio 1889, cheaccresce notevolmente il numero deglielettori amministrativi, passati dal 7,00%del 1887 all’11,82 %, tra il 25 ottobre ed il15 novembre si svolgono sull’intero terri-torio nazionale le consultazioni per il rin-novo integrale dei consessi municipali eprovinciali10.

Secondo il rapporto, compilato dagliuffici ministeriali su comunicazione degliorgani periferici ed intitolato da CrispiMembri dei consigli provinciali e comuna-li delle varie provincie distribuiti secondole loro opinioni politiche11, l’assembleaprovinciale di Trapani è composta da 35consiglieri progressisti e moderati e da 5radicali mentre tra i Comuni 16 sono com-posti da progressisti e moderati, 3 sonomisti con radicali e a Marsala due terzi deiconsiglieri “atteggiansi a radicali”12.

A Marsala rispetto alla popolazione(40.131 abitanti) gli elettori politici sono8.544 (pari al 21,29%) e gli amministrativi7.118 (17,74%). Rispetto alla popolazionedell’intera provincia (284.727 abitanti),rappresentano in termini percentuali il3,00 % e il 2,50%13.

Con le leggi dell’11 luglio 1894, nn. 286- 287, viene deliberata una revisione straor-dinaria delle liste elettorali e vengonointrodotte alcune modifiche alle norme del10 febbraio 1889.

A Marsala risulta ribaltato il rapporto traelettori politici, che rappresentano il 6,57%della popolazione, ed elettori amministrati-vi, che, pur ridotti di oltre il 30%, sono piùnumerosi (6,98%). Nella provincia ledisposizioni provocano una analoga inver-sione: gli aventi diritto politici diminuisco-no di 14.483 unita’ e gli amministrativi di9.39014. Gli elettori per titolo di capacita’sono 2.663 ed i votanti 1.386, quelli percenso rispettivamente 53 e 28. La percen-tuale di affluenza alle urne è del 52,06%.

E’ interessante prestare attenzione,notandone il contenuto, alla composizionesociale dell’elettorato: Trapani è secondatra le 69 provincie italiane nella classificadegli aventi diritto per capacita’ (quasi 76su 100) e penultima per quelli in base alcenso (24 su 100)15.

Il risultato è favorevole al “Circolo delPopolo”, filiazione del Fascio, costituito aMarsala nel 1892, che, forte di circa 10.000iscritti, conquista l’amministrazione comu-nale della città’, divenuta “il centro d’azio-ne della Sicilia occidentale”16.

Il 5 aprile 1896 il sovrano, su propostadel presidente del Consiglio e ministrodell’Interno di Rudinì e dei ministri delleFinanze, Ascanio Branca, dei LavoriPubblici, Costantino Perazzi, della PubblicaIstruzione, Emanuele Gianturco, edell’Agricoltura, Industria e Commercio,Francesco Guicciardini, istituisce con undecreto valido per un anno ilCommissariato civile per la Sicilia. Il gover-

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Giornali dell’epoca

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no nomina, in chiara funzione anticrispina,il senatore Giovanni Codronchi17.

Nella relazione presentata al re si giusti-fica l’adozione del provvedimento con lanecessita’ di avvicinare, dopo “i dolorosifatti che, or sono due anni, turbarono leprovince siciliane”, “l’azione del Governoagli amministratori”, così da renderla “piùsicura per esattezza d’informazioni, piùpronta per sollecitudine di provvedimentie quindi più efficace”18.

Il 7 marzo 1897 Pietro Ferri, che erastato come consigliere delegato responsa-bile della prefettura di Palermo dal 27 mag-gio al 16 settembre 189619, in veste diispettore governativo, invia a Codronchiuna nota “riservata” riguardante la situazio-ne passata e presente dell’Amministrazionecomunale di Marsala.

Dopo aver descritto un quadro, fatto diinadempienze gravissime e di deplorevoliabbandoni, e aver denunziato le responsa-bilita’ delle diverse maggioranze negli annialla guida della citta’ “paghe di contentarela politica e di sacrificare a questa gli inte-ressi del Comune e degli amministrati”, ilfunzionario napoletano avverte che “occor-re lasciar da parte la vecchia politica, pro-seguire sulla via diritta, che non abbiacurve o sinuosita’, tagliare dove esiste ilmale senza riguardi personali”.

Ripetuto che “c’è tutto dare fare e dasistemare”, ritiene che gli amministratori incarica, onesti e saggi, interessati al benedella citta’, sotto la guida dell’”esperto”Sindaco Milazzo, sapranno superare le dif-ficolta’ finanziarie, burocratiche e persona-li del momento20.

Due settimane dopo l’invio del rapportodi Ferri, il 21 marzo, ha luogo la consulta-

zione politica. Vincenzo Pipitone è eletto alI turno con una percentuale di consensi dipoco superiore al 53% e distacca netta-mente Abele Damiani, che riporta il43,96%21.

“Anche questa volta Marsala - scrive acommento del risultato con profonda ama-rezza Damiani a Crispi - fu infida. Non è piùquella dei tempi classici la nostraMarsala”22.

Circa due anni più tardi, il 17 novembre1898, Damiani è compreso per la categoriadegli ex - deputati nell’”infornata” dei 30nuovi senatori fatta da Pelloux23.

Il 25 gennaio 1902 Carlo Panizzardi,consigliere delegato incaricato di dirigerela prefettura trapanese dal 5 maggio 1899,titolare della sede dal 26 ottobre dello stes-so anno24, invia un primo rapporto sullasituazione politico - amministrativa dellacitta’ agli inizi del nuovo secolo25.

Nella “riservatissima”, indirizzata alministro dell’Interno Giolitti, il funzionariotorinese segnala che l’inchiesta sull’ammi-nistrazione comunale di Marsala, anche sesollecitata “per rappresaglia politica” dalcircolo socialista dei giovani lavoratori edal giornale La Bussola, organo del parti-to “damianista” contro i radicali, dominan-ti “da qualche anno”, è fondata su fatti con-creti.

Dando prova di obiettivita’ e di misura,Panizzardi osserva che l’amministrazione,guidata da Salvatore Angileri ed ispirata daVincenzo Pipitone,

“s’ispira quasi sempre nei suoi atti allaragione di partito, ma occorre ricordaredel pari che non diversamente operaronole amministrazioni passate appartenential partito Damianista”.

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Prima di ricostruire la storia locale sinquasi dai primordi unitari, Panizzardi nonnasconde il proprio pessimismo, osservan-do che

“sarà sempre così in quella disgraziatacittà finchè non sarà possibile tra i duepartiti una vera e propria conciliazioneche per ora e per molto tempo credo siainattuabile. Una conciliazione è qualchevolta possibile in un paese, quando duepartiti sono divisi da diversità di vedute,di programmi; è invece sempre difficile,per non dire impossibile, quando si trattadi odii personali”.

“Il partito dell’onorevole Damiani - ricor-da Panizzardi nella sua rivisitazione - fupadrone assoluto del Municipio di Marsalae di tutte le amministrazioni locali per oltretrentatre anni, e in quel lungo periodo ditempo esso si esaurì completamente, comeaccade quando non esiste un partito d’op-posizione che eserciti un rigoroso controllo.Sebbene disponesse di molti uomini di valo-re, non sempre questi furono prepostiall’Amministrazione del Comune e deglialtri Enti locali, ed abusi ed irregolarità silamentarono sempre finchè, in seguitoall’allargamento del suffragio elettorale,sorse il partito popolare, reclutato nellemasse incolte del paese, che potè man manoaumentare tanto di forza da sovrapporsiall’antico partito Damianista, cacciandoloda tutte le Amministrazioni locali”.

Nel settembre 1895 il partito “damiani-sta” è sconfitto nelle amministrative, chesegnano “il trionfo completo, strepitoso”del nuovo partito, privo, però, “a differen-za di quello caduto”, destinato ad irreversi-bile tramonto, di “uomini di polso”.

Il solo Filippo Milazzo, sindaco fino al

novembre 1900, avversato dal suo stessogruppo, perchè ostile alle pratiche cliente-lari, mostra qualita’ amministrative positi-ve, ispirate “al bene pubblico e special-mente ad una finanza rigida e parsimonio-sa”. Dopo le dimissioni forzate di Milazzo,è eletto Andrea Figlioli.

“ottima persona, ma d’animo debole eperciò inclinato essenzialmente a favorireil suo partito, e l’Amministrazione comu-nale andò da allora sempre peggiorando,specialmente la situazione finanziaria cheè ora diventata veramente cattiva”.

Di fronte ad un quadro così oscuro,Panizzardi riconosce siano naturali le pres-sioni per un capovolgimento amministrati-vo, esercitate dai “Damianisti” e dai sociali-sti del circolo dei giovani lavoratori, “gia’aderenti al partito Pipitone”.

A proposito della condotta tenuta dalgruppo di estrema sinistra, il prefetto ricor-da la calda istigazione, data nell’autunnodel 1901, ai contadini, spinti allo scioperogenerale in contrapposizione al partitolegato al deputato, “che nulla avea maifatto pel loro miglioramento economico”.

Panizzardi esprime così la propria con-danna contro le iniziative assunte dai socia-listi, ben conosciute da Giolitti, il quale,pur suggerendo una linea di mediazionesui patti agrari, tema della contesa, avevaimpartito disposizioni per una “efficacetutela liberta’ lavoro”26.

Per tornare al rapporto, Panizzardi,dopo aver segnalato il ridimensionamentodel partito di Pipitone, che conserva tutta-via la maggioranza, assume, in mancanza diuna denunzia precisa, una posizione diattesa. L’inchiesta, a suo avviso, potrebbeiniziare solo dopo la presentazione di un

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ricorso esplicito e circostanziato e dovreb-be essere condotta da

“un ispettore generale del Ministero, siaper non aggravare le esauste finanze delComune colla spesa di un Commissarioprefettizio, come per l’importanza delmandato”27.

Sempre il 25 gennaio 1902 il prefettotrasmette un’ altra nota “riservatissima”,connessa alla prima, tanto da recare lo stes-so numero di protocollo. In essa riferisceche le critiche più accese sono indirizzatealla gestione della Congregazione di cari-ta’, di cui “il vero padrone è il dottorSalvatore Angileri, chirurgo del resto valen-te, e capo riconosciuto del partito domi-nante, da cui dipende lo stesso deputatodel collegio”.

Panizzardi conferma che, come per ilcaso dell’amministrazione civica, le voci diabusi, irregolarita’ e favotismi, rimangono“sempre vaghe ed incerte” e non può cheripetere un analogo orientamento, favore-vole all’avvio dell’indagine, solo dopo l’i-noltro di “un regolare e formale ricorso”28.

Trascorsi oltre sei mesi, il 9 giugno, difronte all’insistenza dei reclami verbali edelle accuse formulate in sede giornalisti-ca, Panizzardi rompe gli indugi e con unanuova lettera, ancora di carattere “riserva-tissimo”, si rivolge direttamente a Giolitti,caldeggiando “un provvedimento energicoe radicale che valga per lo meno a metterele cose nella loro vera luce”. Riferisce diuna situazione debitoria estremamentepesante di Pipitone, deputato solo grazie

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Marsala - Comizio in Piazza Loggia

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alle sovvenzioni degli amici, alcuni deiquali “gia’ disgustati”.

Dopo avere espresso l’avviso che “il Governo non possa più oltre rimane-

re indifferente alle accuse continuate diabusi di ogni genere che giornalmentesono oggetto di discorsi pubblici e privatie di articoli dei giornali”,

Panizzardi non nasconde i rischi diun’inchiesta condotta a carico di un depu-tato radicale, “amico del Ministero”, inchie-sta che si tradurrebbe in “una vittoria gran-dissima del partito Damianista e dei socia-listi dissidenti”, divenuti paladini della“moralita’ pubblica”.

Il prefetto sottolinea la natura estrema-mente delicata della comunicazione, allaquale ha inteso togliere il carattere di uffi-cialita’ e rimette la decisione finale, la paro-la conclusiva all’ “alta saviezza e giustizia”,in parole meno diplomatiche, alla respon-sabilita’ del ministro dell’Interno29.

Il 13 agosto Panizzardi riferisce ancorache un mese prima, il 16 luglio, la maggio-ranza radicale del consiglio comunale diMarsala aveva deliberato il varo di unaindagine amministrativa imparziale, così da“mettere a nudo da un lato l’onesta’ delproprio operato e dall’altro le irregolarita’compiute dal partito Damianista in tantianni di potere, cioè fino al 1895”.

Panizzardi, pur accogliendo la proposta,avanzata sulla scia della commissione diindagine, richiesta dal consesso civico diPalermo, ne ridimensiona i termini crono-logici, facendoli partire dal 1890, “salvoapprofondire quei fatti riferentesi agli anniprecedenti che nello svolgersi dell’indagi-ne uscissero alla luce”30.

Giolitti non accetta la richiesta ormai

ufficializzata dal prefetto e congela la situa-zione con una nota a margine del rapportodi Panizzardi : “Occorrerebbe attendere ilreclamo preannunziato tanto pel Comuneche per le Opere pie per mandare l’ispe-zione”. Il reclamo non vede la luce e lasituazione resta immutata.

La crescita di Pipitone non subisce inter-ruzioni, tanto che nell’ottobre 1903 il vice-presidente della Camera Giuseppe Marcoralo può tranquillamente indicare all’”uomodi Dronero” tra i papabili radicali ad unincarico ministeriale nel governo in via dicostituzione dopo il ritiro di Zanardelli31.

In ambito locale, poi, il prestigio non èscalfito dalla pluriennale, dura polemicadegli avversari: nelle elezioni politiche delnovembre 1904 è confermato tranquilla-mente al primo turno con il 70,69% deiconsensi32.

Il quadro rimane privo di novita’ anchenegli anni successivi: il partito radicale con-serva sul piano amministrativo l’egemoniaassoluta, nonostante la situazione finanzia-ria rimanga oltremodo pesante e nono-stante sia intatta la cronica, violenta con-trapposizione con i liberali costituzionali econ i socialisti.

Nel settembre 1908 il prefetto EdoardoAnceschi, che svolge a Trapani il suo primoed unico incarico dal maggio 1907 all’ago-sto 190933, comunica alla Direzione gene-rale della Pubblica Sicurezza che nelle ele-zioni parziali, svoltesi nel luglio, i monar-chici costituzionali avevano consentito,con un’alleanza innaturale, il successodella lista socialista di minoranza.Anceschi, comunque, osserva che la citta’ha una ulteriore caratteristica atipica, rap-presentata dall’appoggio recato da ”una

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parte di clericali e degli elettori del conta-do” al partito radicale.

Nei propositi operativi espressi dal pre-fetto emerge ancora una volta, una volta dipiù, la insuperata piaga, vecchia di decen-ni, della contrapposizione tra i blocchi.Anceschi è intenzionato a

“a trattare colle persone più autorevolidei diversi partiti, per indurle ad adope-rarsi perchè le differenze amministrativesi mantengano nel campo delle lotte civilie non degenerino in tumulti di piazza, che

conducono, non di rado, a conseguenzefuneste”34.

Nulla di nuovo avverra’ negli anniseguenti: Pipitone sara’ confermato depu-tato del collegio nel 1909 e nel 1913 , sep-pure con percentuali di consenso scemateal 56,19% e al 59,33%35 e, come premiodel lunghissimo legame politico, pur boc-ciato nelle elezioni generali del novembre1919, in cui figura candidato nel bloccoradico - riformista36, otterrà da Giolitti il 3ottobre 1920 il laticlavio37.

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Note

1) Paroletti, nato a Torino nel 1829, è nominato per la prima volta il 25 novembre 1883 e rimane nellacittà siciliana fino al 1 aprile 1886, data in cui viene trasferito a Arezzo. Successivamente nel 1889 passeràa Belluno fino al 1891 e a Vicenza fino al 1893 (MARIO MISSORI, Governi, alte cariche dello Stato, altimagistrati e prefetti del Regno d’Italia, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1989, p. 607, p.403, p. 491 e p. 627).

2) ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO (d’ora in avanti,A.C.S.), MINISTERO DELL’INTERNO,Gabinetto, Rapporti dei prefetti (d’ora in avanti, Rapporti dei prefetti), b. 22, fasc. 64, s.fasc. 3.

3) Ibidem.4) Ivi, s. fasc. 4. 5) Nato a Fano nel 1825, lasciata Trapani, Civilotti sarà a Chieti fino al 1 febbraio 1890, collocato “in

aspettativa per ragioni di servizio” dal governo Crispi. Richiamato dallo stesso esecutivo, dal 15 agosto1890 è inviato a Sassari, dove rimane fino al 1 novembre 1891, posto “in aspettiva per ragioni di servizio”dal ministro Nicotera. Ritorna in servizio a L’Aquila il 3 dicembre 1891 ma si trattiene pochi mesi, perchèlo stesso titolare dell’Interno il 1 aprile 1892 adotta nei suoi confronti di nuovo il provvedimento dell’aspettativa “per ragioni di servizio”. Il governo Giolitti il 16 giugno 1892 lo destina prima ad Avellino equindi, senza che assuma la responsabilità del capoluogo irpino, lo invia a Grosseto, città in cui rimane dal1 luglio 1892 al 1 febbraio 1893. Collocato “a riposo per motivi di salute”, muore il 17 marzo dello stessoanno (M. MISSORI, Governi cit., p. 608, p. 453, p. 584, p. 494, p. 411 e p. 488 .

6) A.C.S., Rapporti dei prefetti, b. 22, fasc. 64, s. fasc. 5. 7) Ivi, s. fasc. 6. 8) Sarà a Trapani fino al 1 luglio 1891. Trasferito dal governo Rudinì - Nicotera ad Ascoli, rimane nelle

Marche appena 4 mesi e dal 1 novembre è assegnato a Bergamo. Giolitti lo destina il 16 marzo 1893 aMessina, città in cui scompare poco più di un mese più tardi (28 aprile) (M. MISSORI, Governi cit., p. 608,p. 408, p. 423 e p. 519).

9) A.C.S., Rapporti dei prefetti, b. 22, fasc. 64, s. fasc. 7. 10) MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO - DIREZIONE GENERALE DELLA STA-

TISTICA, Statistica elettorale politica e amministrativa. Prospetto degli elettori politici ed amministra-tivi iscritti nelle liste del 1889 in ciascun Comune e risultati delle elezionigenerali politiche del 23 e 30novembre 1890 e delle elezioni generali amministrative del 1889 (d’ora in avanti, Statistica 1889), Roma,Tipografia Nazionale di Giovanni Bertero, 1891, p. XXIX.

11) A.C.S., Carte Crispi, Deputazione di storia patria di Palermo, sc. 53, fasc. 332, da me pubblicatoin Crispi e le elezioni amministrative del 1889, in “Rassegna storica del Risorgimento”, LXXXIV (1997),pp. 461 - 486.

12) V.G. PACIFICI, Crispi cit., p. 481.

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13) Statistica 1889, p. 46 e p. LXXXVIII. 14) MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO - DIREZIONE GENERALE DELLA STA-

TISTICA, Statistica elettorale. Composizione del corpo elettorale politico ed amministrativo e statisticadelle elezioni generali amministrative nell’anno 1895, Roma, Stabilimento tipografico dell’Opinione,1897, p. 46.

15) Ivi, p. 91 e p. XXV. 16) GIUSEPPE ASTUTO, Abele Damiani e la Sicilia post-unitaria, Catania, C.U.L.C.,1984, p. 259.17) Uomo politico romagnolo, parlamentare e prefetto, già molto vicino a Crispi, fu dall’aprile 1896

all’agosto 1897 in Sicilia, riportando “un buon risultato sia contro i socialisti sia contro l’opposizione cri-spina, nettamente ridimensionata” (RITA CAMBRIA, voce Codronchi Argeli, Giovanni, in “Dizionario bio-grafico degli italiani”, vol. XXVI, Roma Istituto della Enciclopedia Italiana, 1982, p. 612).

18) “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia”, n. 24, 21 aprile 1896.19) M. MISSORI, Governi cit., p. 538. 20) A.C.S., Regio Commissariato civile per la Sicilia, serie III, b. 145, fasc. 1. La relazione è pubblicata

come Appendice I. 21) MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO - DIREZIONE GENERALE DELLA STA-

TISTICA, Statistica delle elezioni generali politiche. 3 e10 giugno 1900 (d’ora in avanti, Statistica elezioni1900), Roma, Tipografia nazionale di G. Bertero, 1900, p. 84.

22) G. ASTUTO, Abele Damiani cit., p. 260. 23) SENATO DEL REGNO, Elenchi storici e statistici dei senatori del Regno dal 1848 al 1 gennaio 1937,

Roma, Segretariato generale, 1937, p. 23. 24) Il 1 febbraio 1904 Panizzardi è trasferito da Giolitti a Livorno e dopo 4 anni a Milano, sede in cui

rimane fino al 1 giugno 1915, data del collocamento “in aspettativa per ragioni di servizio”, stabilito dalgoverno Salandra. E’ funzionario legatissimo a Giolitti, per i cui uffici il 4 aprile 1909 è nominato senatore(M. MISSORI, Governi cit., p. 608, p. 503 e p. 521.

25) Secondo il censimento del 1901 Marsala conta 53.173 abitanti con un incremento di ben 16. 270unita’ rispetto al 1881 (ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA Popolazione residente e presente dei Comuni.Censimenti dal 1861 al 1981. Circoscrizioni territoriali al 25 ottobre 1981, Roma, 1985, p. 304).

26) Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant’anni di politica italiana, II, Dieci anni al potere 1901 -1909, a cura di Giampiero Carocci, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 120, pp. 121 - 122 e pp. 123 - 124.

27) A.C.S., MINISTERO DELL’INTERNO, Direzione generale dell’Amministrazione civile, Divisione perle amministrazioni comunali e provinciali, b. 193, fasc. 15863.2. E’ pubblicata integralmente comeAppendice II.

28) Ibidem. E’ pubblicata integralmente come Appendice III. 29) Ibidem. E’ pubblicata integralmente come Appendice IV. 30) Ibidem. E’ pubblicata integralmente come Appendice V. 31) Dalle carte di Giovanni Giolitti cit., p. 331. 32) MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO - DIREZIONE GENERALE DELLA STA-

TISTICA, Statistica delle elezioni generali politiche. 6 e 13 novembre 1904 , Roma, Tipografia nazionaledi G. Bertero, 1904, p. 80.

33) M. MISSORI, Governi cit., p. 608. Il 1 agosto 1909 “collocato in aspettativa per ragioni di servizio”,non riassumerà più ufficio.

34) A.C.S., MINISTERO DELL’ INTERNO, Direzione generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affarigenerali e riservati, 1908, b. 5, fasc. 3/2 - Elezioni amministrative, s. fasc. Trapani. Il rapporto è riporta-to integralmente come Appendice VI.

35) MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO - DIREZIONE GENERALE DELLA STA-TISTICA E DEL LAVORO (UFFICIO CENTRALE DI STATISTICA), Statistica delle elezioni generali politichealla XXIV legislatura. (26 ottobre e 2 novembre 1913), Roma, Tipografia nazionale di G. Bertero e C., 1914,p. 61.

36) MINISTERO PER L’ INDUSTRIA, IL COMMERCIO ED IL LAVORO - UFFICIO CENTRALE DI STATI-STICA, Statistica delle elezioni generali politiche per la XXV legislatura. (16 novembre 1919), Roma,Stabilimento tipografico per l’amministrazione della guerra, 1920, p. 132.

37) SENATO DEL REGNO, Elenchi storici e statistici dei senatori del Regno cit., p. 28.

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APPENDICE I

LETTERA “RISERVATA” DELL’ISPETTORE GOVERNATIVO PIETRO FERRIAL MINISTRO REGIO COMMISSARIO CIVILE PER LA SICILIA

(A.C.S., Regio Commissariato civile per la Sicilia, serie III, b. 145, fasc. 1).

Marsala, 7 marzo 1897L’attuale amministrazione, sorta dalle elezioni generali del 1896, iniziò l’opera sua sotto poco lieti

auspici, avvegnachè di fronte ad una situazione finanziaria assai compromessa. ebbe subito a lottarecon bisogni urgenti, con necessita’ che non ammettevano discussioni, ed anche con una turba di cre-ditori che, non persuasi del misero stato della cassa, insistevano con ogni mezzo, per essere pagati.

Trovò inoltre gli uffici amministrativi ed i pubblici servizi nel più deplorevole abbandono. In quelli,impiegati in generale di nessun merito, senza volonta’ al lavoro, senza amor proprio; a volte inquisiti;spesso indisciplinati, portati negli uffici dai partiti politici che non furono troppo scrupolosi ed equani-mi nelle scelte. Trovarono una Segreteria disordinatissima, una Ragioneria in confusione, non archivio,non anagrafi; e parecchie cosuccie da cui la delicatezza e forse l’onesta’ se ne erano andate.

Con una proprieta’ immobiliare urbana cadente, gli amministratori trovaronsi di fronte alla neces-sita’ di provvedere al completamento dell’acquedotto, ed al bisogno di costruire le fognature di cuidifetta la città’; di riparare le strade interne ed esterne, tutte in deplorevole stato; di costruire unnuovo macello, essendo quello esistente oltre ogni dire antigienico, di edificare nuovi edifici scola-stici; di provvedere a tante ed a tante altre necessita’, mai curate dalle passate amministrazioni, paghedi contentare la politica e di sacrificare a questa gli interessi del Comune e degli amministrati.

Per porre riparo, ad un simile stato di cose deplorevole e dannoso, gli amministratori ora al pote-re compresero che non era sperabile qualsiasi miglioramento, ove non si fosse ricorso all’opera intel-ligente, onesta e laboriosa di un capo ufficio e quindi nominarono, su proposta di V. E., a Segretariocapo il sig. Igino Mazzoni, il quale fin dal primo giorno della sua venuta si diede anima e corpo alriordinamento della azienda.

Coll’intesa e leale cooperazione degli amministratori egli molto ha fatto, ha, per quanto è stato pos-sibile, rafforzata la disciplina nel corpo degl’impiegati e salariati; ha riordinato parecchie ed importantipratiche; ha, d’intesa sempre cogli amministratori, pronti a togliere gli abusi, ottenuto lo scioglimentoe l’annullamento del contratto di appalto del dazio di consumo (ciò che rechera’ un beneficio annuodi circa 30 mila lire): ora sta, per incarico degli amministratori, eseguendo un’inchiesta nella gestionedaziaria precedente al sud. [detto] appalto: sta insomma accertando certi fatti, che, mentre proverannola poca moralità delle passate amministrazioni, solleveranno forse responsabilità civili ed anche penaliper indebito maneggio ed indebita appropriazione di denaro del Comune.

Aggiungasi l’ottimo provvedimento, adottato, di sopprimere le innumerevoli casse per effettodelle quali ad ognuno era lecito di ordinare ed effettuare spese e magari di far comparire esiti insostanza non avvenuti. Ora non paga e riscuote che il Tesoriere Comunale, le cui attribuzioni sonostate saggiamente affidate allo Esattore delle imposte dirette, che ha prestato cauzione mediante cer-tificati di debito pubblico di L. 6000 di rendita e che per l’addossatogli nuovo incarico deve prestarealtre 18.000 di capitale per supplemento di cauzione.

Se gli amministratori, di accordo col Segretario e con altri pochi buoni impiegati, molto hanno gia’fatto, moltissimo resta ancora da fare.

Per giungere alla meta, toccata la quale gli amministratori potranno dirsi veramente benemeritidella loro Città’, occorre lasciar da parte la vecchia politica, proseguire sulla via diritta, che non abbiacurve o sinuosita’, tagliare dove esiste il male senza riguardi personali, aver sempre presente che din-nanzi al bene, allo interesse pubblico, la cedeva quello privato. Così soltanto potra’ risollevarsi lo spi-rito degli onesti; rigenerarsi la coscienza e moralita’ di coloro che, pel raggiungimento di ogni attolecito od illecito, fanno fidanza nella loro forza od in quella di persone altolocate; persuadere lemasse che tutto ciò che oltrepassa il limite segnato dal diritto rientra in quello del dovere, del qualepur troppo esse hanno così meschina cognizione.

Col personale che attualmente è al servizio del Comune questo raggiungimento del bene sara’pressochè impossibile ad ottenersi quindi fa d’uopo che il personale stesso sia epurato da quegli ele-menti che per moralita’, per onesta’ e capacita’ lasciano a desiderare e guastano gli altri colla loroindisciplinatezza e faziosita’.

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[...]Nell’opera riparatrice e di epurazione occorre all’amministrazione la guida, l’aiuto e l’appoggio

morale delle autorita’, occorrono mezzi finanziari che in parte potra’ ottenere dalla benefica unifica-zione dei mutui e debiti, concessa con la Legge 24 dicembre1896; e che pel resto potra’ annualmenteattingere dalle entrate ordinarie degli esercizi futuri, purchè tenga per massima di non impegnarleintempestivamente sia pure in opere utili e necessarie.

Ripeto che nel Comune di Marsala c’è tutto da fare e da sistemare e che grave è il compito degliamministratori.

La loro onesta’ e saggezza, il loro interessamento pel bene di Marsala, la guida dello espertoSindaco Dr. Milazzo, sapranno trarli fuor dal pelago alla riva e sormontare le difficolta’ finanziarie,burocratiche e personali del momento.

APPENDICE II

LETTERA “RISERVATISSIMA” DEL PREFETTO DI TRAPANI CARLO PANIZZARDI ALMINISTRO DELL’ INTERNO - DIREZIONE GENERALE DELL’AMMINISTRAZIONE CIVILE

(A.C.S., MINISTERO DELL’ INTERNO, Direzione generale dell’Amministrazione civile,Divisione per le amministrazioni comunali e provinciali, b. 193, fasc. 15863. 2)

Marsala, 25 gennaio 1902Un’inchiesta sull’Amministrazione Comunale di Marsala è invocata in quella citta’ non soltanto dal

Circolo socialista dei giovani lavoratori al quale accenna V.E. nella nota controdistinta [lettera del 5gennaio 1902], ma anche dal giornale “La Bussola”, organo del partito del Senatore Damiani, entram-bi nemici accaniti dell’attuale Amministrazione che rappresenta il partito radicale, attualmente e daqualche anno dominante in Marsala, di cui è capo visibile il rappresentante politico on. VincenzoPipitone, poichè il vero capo è il dottor Salvatore Angileri.

E’ dunque per rappresaglia politica che si reclama l’inchiesta, ma è pur d’uopo ammettere chemolti dei mali lamentati sussistono come sarebbe inesatto affermare che l’AmministrazioneComunale proceda nel modo più regolare.

E’ purtroppo vero infatti, e mancherei alla verita’ se lo nascondessi, che essa s’ispira quasi semprenei suoi atti alla ragione di partito, ma occorre ricordare del pari che non diversamente operaronole amministrazioni passate appartenenti al partito Damianista, e sara’ sempre così in quella disgra-ziata citta’ finchè non sara’ possibile tra i due partiti una vera e propria conciliazione che per ora eper molto tempo credo sia inattuabile. Una conciliazione è qualche volta possibile in un paese, quan-do due partiti sono divisi da diversita’ di vedute, di programmi; è invece sempre difficile, per nondire impossibile, quando si tratta di odii personali.

Il partito dell’onorevole Damiani fu padrone assoluto del Municipio di Marsala e di tutte le ammi-nistrazioni locali per oltre trentatre anni, e in quel periodo di tempo esso si esaurì completamente,come accade quando non esiste un partito d’opposizione che eserciti un rigoroso controllo. Sebbenedisponesse di molti uomini di valore, non sempre questi furono preposti all’Amministrazone delComune e degli altri Enti locali, ed abusi ed irregolarita’ si lamentarono sempre finchè, in seguitoall’allargamento del suffragio elettorale, sorse il partito popolare, reclutato nelle masse incolte delpaese, che potè man mano aumentare tanto di forza da sovrapporsi all’antico partito Damianista, cac-ciandolo da tutte le Amministrazioni locali.

Nè valsero gli scioglimenti del Consiglio Comunale a far mutare l’opinione pubblica; l’ultimo,quello del settembre 1895, ebbe per risultato il trionfo completo, strepitoso, del nuovo partito capi-tanato dall’onorevole Pipitone e dal dott. Salvatore Angileri, e il partito Damianista andò sempre piùsfasciandosi e riducendosi di numero.

Il nuovo partito, però, a differenza di quello caduto, non dispose mai di molti uomini di polso.Uno solo, il cav. dott. Filippo Milazzo, che fu Sindaco fino al novembre 1900, mostrò di avere tuttele qualita’ necessarie a reggere un’amministrazione pubblica importante. Ricco di censo, rigido,energico, nel tempo che fu Sindaco, potè imporsi a tutti colla volonta’ ferrea sempre dimostratadi volere più che alle esigenze del proprio partito, ispirare l’opera sua al bene pubblico e spe-cialmente ad una finanza rigida e parsimoniosa. Il partito non tardò però ad esserne disgustatopel rifiuto che egli ostinatamente opponeva a concedere impieghi e a favorire esclusivamente ipropri correligionari politici finchè, stanco della guerra che gli si muoveva dagli stessi amici, e

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sempre più risoluto a non mutare sistema, nel novembre 1900 si dimise, nonostante le più caldepremure perchè conservasse l’ufficio.

Fu eletto in sua vece il professore Andrea Figlioli, ottima persona, ma d’animo debole e perciòinclinato essenzialmente a favorire il suo partito, e l’Amministrazione comunale andò da allora sem-pre peggiorando, specialmente la situazione finanziaria che è ora diventata veramente cattiva.

E’ naturale quindi che i Damianisti vogliano profittare di questo stato di cose, per evitare guai peg-giori al Comune o, meglio, per tentare, se possibile, di riacquistare la posizione perduta.

Essi domandano quindi da varii mesi l’inchiesta per mezzo del loro giornale “La Bussola”, comela domandano i socialisti del Circolo dei giovani lavoratori, gia’ aderenti del partito Pipitone, ed orada esso discordi unicamente pel desiderio, essi pure, di ascendere al Municipio.

Fu, appunto, accarezzando questo proposito, come gia’ altra volta riferii a V. E., che nello scorsoautunno furono i primi e più caldi istigatori dei contadini del territorio estesissimo di Marsala, ecci-tandoli allo sciopero generale, mostrando loro con conferenze e propaganda assidua nelle campagneche non dovevano più fare assegnamento sul partito Pipitone che nulla avea mai fatto pel loro miglio-ramento economico.

Il vero partito dell’on. Pipitone non è dunque più numeroso come un tempo, sebbene io credache rappresenti ancora la maggioranza: le prossime elezioni parziali di luglio venturo daranno unaindicazione precisa dello stato dei partiti in Marsala. E certo il risultato delle elezioni dipendera’anche moltissimo dall’esito dell’inchiesta. Fatti specifici però non vennero mai a me denunziati con-tro l’Amministrazione Comunale dalla “Bussola” nè dai giovani lavoratori, e tanto meno da ricorsi for-mali: ed io non credetti quindi di mandare un commissario a fare un’inchiesta propriamente detta inbase ad accuse vaghe e generiche.

Mi si afferma però che attualmente sta coprendosi di firme un regolare ricorso nel quale si denun-cierebbero fatti specifici e si chiederebbe una inchiesta. Se così è veramente, e un ricorso mi giun-gesse, parmi che allora l’inchiesta non si potrebbe negare dal Governo, visto che, o per forza di cose,o per ostentare piena sicurezza del proprio operato, ora la richiedono anche gli Amministratori delComune, come lo stesso onor.e Pipitone mi dichiarò esplicitamente. Proporrei che in tal caso venis-se inviato a Marsala un ispettore generale del Ministero, sia per non aggravare le esauste finanze delComune colla spesa di un Commissario prefettizio, come per l’importanza del mandato.

Mi riservo quindi di riferire, se ne sara’il caso, ulteriormente all’Eccellenza Vostra.

APPENDICE III

2 ¶LETTERA “RISERVATISSIMA” DEL PREFETTO DI TRAPANI CARLO PANIZZARDIAL MINISTRO DELL’ INTERNO - DIREZIONE GENERALE DELL’AMMINISTRAZIONE CIVILE

(stessa data e stesso protocollo)

(A.C.S., MINISTERO DELL’ INTERNO, Direzione generale dell’Amministrazione civile,Divisione per le amministrazioni comunali e provinciali, ibidem)

Con altro rapporto di pari data e numero ho gia’ risposto alla nota controdistinta di V.E. per ciòche riguarda l’Amministrazione Comunale di Marsala. Uguali considerazioni dovrei ora fare per ciòche concerne le opere pie di quella città’.

Esse pure, come il Municipio, furono per moltissimi anni, in potere del partito dell’Onor. leDamiani: questo caduto, passarono completamente nelle mani del partito radicale, e specialmente laCongregazione di carita’, che amministra pure l’Ospedale. E’ contro di essa che sono in modo spe-ciale molte le accuse dei Damianisti e socialisti dissidenti, perchè chi domina nell’Ospedale, e ne è ilvero padrone è il dottor Salvatore Angileri, chirurgo del resto valente, e capo riconosciuto del parti-to dominante, da cui dipende lo stesso deputato del collegio, onorevole Pipitone.

Nello stesso modo che, per mezzo dei suoi luogotenenti, vuolsi che il Dottor Angileri rivolga abeneficio del suo partito l’azione del Municipio, così si sostiene che si valga dell’opera dellaCongregazione di carita’, provvista di buon patrimonio, e delle altre istituzioni pie minori, per favo-rire esclusivamente i proprii aderenti.

A questo riguardo molte voci, però sempre vaghe ed incerte, mi sono ripetutamente giunte diabusi, di irregolarita’ e favoritismi che si commetterebbero in quelle opere pie, ma anche intornoad esse, come pel Comune non mi pervenne mai un regolare e formale ricorso. Ma se anche per

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esse, come pel Comune, mi giungesse quel reclamo che affermasi stiasi preparando, io mi farò pre-mura di riferirne subito a V.E. perchè veda se sia il caso, come mi parrebbe, di ordinare la recla-mata inchiesta.

APPENDICE IV

“RISERVATISSIMA ALLA PERSONA” DEL PREFETTO DI TRAPANI CARLO PANIZZARDIAL MINISTRO DELL’ INTERNO

(A.C.S., MINISTERO DELL’ INTERNO, Direzione generale dell’Amministrazione civile,Divisione per le amministrazioni comunali e provinciali, ibidem)

Trapani, 9 giugno 1902Eccellenza, Con nota riservatissima del 25 gennaio di quest’anno, n. 129 di Gabinetto, io dichiarava al

Ministero che un’inchiesta sull’andamento delle opere pie di Marsala, da lungo tempo invocata, pare-vami solo possibile quando le accuse che si muovevano agli amministratori fossero state concretatein regolare ricorso scritto. Da quell’epoca i reclami verbali a me e le accuse sui giornali si sono fattetanto insistenti che io ritengo non sia più possibile ritardare l’inchiesta, anche senza attendere ricor-si specifici che niuno in Marsala ha il coraggio di presentare per il timore di vendette degli interes-sati. Le irregolarita’ che continuamente si denunciano, gli abusi, e qualche cosa di peggio che esistenella Congregazione di carita’, nelle opere pie da essa amministrate, e in quelle autonome, sarebbe-ro straordinarie, ed è quindi urgente prendere un provvedimento energico e radicale che valga perlo meno a mettere le cose nella loro vera luce.

Tanto la Congregazione di carita’, provvista di largo patrimonio, come le opere pie, sono in manoai maggiorenti del partito colà dominante, che è quello dell’on. Pipitone. Questi, che è oberato didebiti, e può esercitare il mandato politico soltanto mercè le sovvenzioni degli amici del suo partito,dei quali però alcuni ne sono gia’ disgustati, sarebbe indicato come uno dei principali debitori delConservatorio dello Spirito Santo insieme al fratello, avv.Gioachino, membro effettivo della GiuntaProvinciale Amministrativa !

Avevo dapprima pensato di invitare costoro presso di me per indurli a mettersi in regola, tanto piùche io mi trovo in buoni rapporti coll’on. Pipitone; ma ne smisi poi il pensiero perchè le mie pre-mure non avrebbero avuto alcun risultato, mancando quei signori dei mezzi per pagare. Solo dopol’accertamento dei fatti per opera di un Ispettore, potrebbesi, come solo rimedio, richiedere la devo-luzione della casa comprata tredici anni fa dall’on. Pipitone, senza che egli ne abbia mai pagato ilprezzo e tanto meno gli interessi.

Io credo quindi che il Governo non possa più oltre rimanere indifferente alle accuse continuatedi abusi di ogni genere che giornalmente sono oggetto di discorsi pubblici e privati e di articoli deigiornali, i quali lamentano anche continuamente che il Governo non provveda. E anche ammesso chepossa esservi esagerazone nelle accuse, parmi sia ad ogni modo necessario mostrare che il Governoha fatto il suo dovere, poichè troppo ormai se ne parla in Marsala e in provincia.

Io avrei quindi fatta senz’altro la proposta ufficiale di un’inchiesta se non avessi creduto mio dove-re di informarne prima riservatamente V.E. , poichè se è vero che in materia tanto grave e delicata ilGoverno, per l’alta sua funzione di vigilanza e giustizia, non deve avere riguardo per alcuno, non èmen vero che se l’inchiesta mettera’ in luce fatti gravi, come pare assai probabile, essa sara’ un colponon lieve pel partito dominante che è, come gia’ dissi, quello dell’on. Pipitone, deputato radicale eamico del Ministero attuale, e sara’ una vittoria grandissima del partito Damianista e dei socialisti dis-sidenti, che hanno sempre domandato l’inchiesta e che si sono uniti in questa lotta per la difesa dellamoralita’ pubblica.

Se, malgrado ciò, l’E.V. crede sia giunto il momento di provvedere, io la prego di mandare aMarsala uno degli Ispettori generali del Ministero più pratici con largo mandato di inquerire su tuttequelle Opere pie.

E credo preferibile un funzionario superiore dell’Amm. ne Centrale non solo per l’importanza del-l’incarico, come per non arrecare una spesa agli Enti che saranno oggetto dell’inchiesta.

Senza quest’ultima considerazione, che è abbastanza importante, avrei provveduto io stesso amezzo d’un mio Commissario dopo che ne avessi avuta l’autorizzazione di V.E.. Crederei però neces-sario che la scelta non cadesse sul cav. De Nava [Pietro ]. Funzionario integro ed abilissimo, egli fu

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gia’ Regio Commissario pel Comune di Marsala ai tempi del secondo Ministero Crispi, ed ebbeappunto il mandato di favorire la riscossa del partito Damianista. Per questo motivo non mi parreb-be opportuna la sua scelta per Marsala in questo momento.

Ho creduto mio dovere rivolgermi personalmente a V.E. poichè trattasi di questione gravissima chedisgraziatamente ha assunto un carattere politico come del resto ogni questione locale in questipaesi, e, come tale, non poteva essere oggetto di un rapporto ufficiale.

Attenderò ora le disposizioni che V.E. credera’ di prendere nell’alta sua saviezza e giustizia, e frat-tanto consenta che mi ripeta col più profondo ossequio e devozione.

APPENDICE V

LETTERA “RISERVATA” DEL PREFETTO DI TRAPANI CARLO PANIZZARDIAL MINISTRO DELL’ INTERNO - DIREZIONE GENERALE DELL’AMMINISTRAZIONE CIVILE

(A.C.S., MINISTERO DELL’ INTERNO, Direzione generale dell’Amministrazione civile,Divisione per le amministrazioni comunali e provinciali, ibidem)

Trapani, 13 agosto 1902Colle note 25 gennaio di quest’anno, n. 129 di Gabinetto, rispondendo richiesta di V.E., io dichia-

rava che una inchiesta sull’Amministrazione comunale di Marsala e sulle Opere Pie di quella citta’ erada qualche tempo invocata dai socialisi dissidenti e dal partito municipale d’opposizione, questi permezzo del loro giornale “La Bussola”, quelli per mezzo del Circolo detto dei giovani lavoratori. Iosoggiungeva allora che molte erano le accuse che si muovevano al Municipio e alle opere pie, matutte vaghe ed incerte senza che mai fossero state concretate in fatti certi e determinati o spiegate permezzi di ricorsi formali; concludevo col dichiarare che se fatti e accuse concrete si fossero più tardipresentate, il Ministero non avrebbe potuto far a meno di ordinare un’inchiesta.

Nessun ricorso mi giunse mai da quell’epoca, ma i giornali locali di opposizione andarono sem-pre più accentuando le loro accuse, da scuotere al fin il partito democratico, che è la grande mag-gioranza di Marsala, come è quello dominante al Municipio e nei locali istituti di beneficienza.

Presentata infatti una proposta d’inchiesta al Consiglio comunale dal consigliere socialista sig.Ignazio Mineo, essa venne dal proponente svolta nella seduta consiliare del 16 luglio scorso, edaccettata dal Sindaco e poi approvata dal Consiglio con 26 voti contro quattro che sono quelli deiquattro socialisti presenti alla seduta, compreso il proponente. Unisco il verbale di detta seduta, giun-tomi soltanto l’8 corrente, dal quale rilevera’ l’E.V. per quali motivi venne la proposta d’inchiestaaccettata e caldamente difesa dal Sindaco e da qualche consigliere della maggioranza.

Offesi da tante e ripetute accuse e dichiarando altamente di essere pienamente sicuri della retti-tudine del loro operato, il Sindaco ed alcuni dei capi minori del suo partito invocarono calorosa-mente l’inchiesta perchè soltanto dai risultati di essa potra’ finalmente derivare al paese quella tran-quillita’ che è da tanto tempo turbata da accuse d’ogni genere.

La sicurezza con cui parlò il Sindaco (uno dei più fedeli amici del deputato del collegioon.Pipitone) e l’emendamento di piena fiducia nell’Amministrazione posto in testa all’ordine delgiorno che venne approvato dal Consiglio, sconcertarono i socialisti presenti alla seduta, i qualisperavano che l’inchiesta fosse respinta dal Consiglio. Essi diedero perciò il loro voto contrario,compreso, come gia’ dissi, il proponente Ignazio Mineo, esponendosi così ad una figura moltomeschina.

Dopo ciò, parmi evidente che il Governo non possa evitare l’inchiesta che gli viene domandataormai da tutti i partiti di Marsala, sebbene ognuno con fini diversi. La richiede da un pezzo il partitoDamianista che ritiene abbia il partito democratico, al potere dal 1895, sgovernato in tutti i modi pos-sibili il paese; la richiedono pure da molto tempo i socialisi dissidenti, e la richiede infine il partitodominante che tiene per sicuro possa soltanto l’azione indagatrice ed imparziale del Governo met-tere a nudo da un lato l’onesta’ del proprio operato, e dall’altro le irregolarita’ commesse dal parti-to Damianista in tanti anni di potere, cioè fino al 1895.

E’perciò che il Consiglio ha domandata una inchiesta sul periodo amministrativo degli ultimi 25anni nel Comune e nelle Opere Pie locali, sebbene a me sembri che, per raggiungere lo scopo, basticominciare dal 1890, salvo approfondire quei fatti riferentesi agli anni precedenti che nello svolger-si dell’inchiesta uscissero alla luce.

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Nella certezza che V.E. sara’ per fare buon viso alla domanda del Consiglio comunale di Marsala,ordinando al più presto l’invocata inchiesta, ripeto la preghiera gia’ inoltrata con la mia nota 25 gen-naio 1902, che cioè di essa venga dato incarico ad un Ispettore Generale del Ministero.

Analoga preghiera mi fecero recentemente il Sindaco ed il deputato del collegio, sia per evitare alComune ed alle Opere Pie una spesa grave, ineluttabile se quell’incarico venisse affidato ad un fun-zionario di questa Prefettura, come anche per l’importanza del mandato.

APPENDICE VI

RAPPORTO DEL PREFETTO DI TRAPANI EDOARDO ANCESCHI COMUNICATODAL DIRETTORE CAPO DELLA IV DIVISIONE DELLA DIREZIONE GENERALE DELLA PUBBLICASICUREZZA ENOCH PALADINI ALL’UFFICIO RISERVATO DELLA STESSA DIREZIONE GENERALE

(A.C.S., MINISTERO DELL’ INTERNO, Direzione generale della pubblica Sicurezza,b. 5 (1908), fasc. 3/2, s. fasc. Trapani)

Roma, 17 settembre 1908Il Prefetto di Trapani con nota 1ß settembre n. 1466 scrive quanto appresso: “Da diversi anni le cose del comune di Marsala sono tenute dal partito che, facendo capo

all’Onorevole Pipitone Deputato al Parlamento, si appella radicale. Questo partito ha conservato finoa poco tempo fa l’egemonia assoluta.

Nel luglio scorso, dovendosi parzialmente rinnovare il Consiglio comunale, una opposizione siorganizzò che proposesi di misurare le sue forze con quelle del partito al potere, opposizione for-mata da due nuclei, quello più forte del partito monarchico costituzionale, capitanato dal dottorFilippo Milazzo; l’altro, del partito socialista composto da alcuni capitani con pochissimi soldati.Sembrarono strane queste alleanze, ma intanto corrispondono a verita’, come del resto sembrera’strano che il partito radicale siasi retto coll’appoggio di una parte dei clericali e degli elettori del con-tado, tenuto presente che Marsala, composta di circa 60 mila abitanti, ha una notevole parte, nienteaffatto evoluta, della sua popolazione, sparsa nelle campagne.

L’appoggio di cui ora ho fatto cenno, ha avuto forma corretta in diverse contingenze, a propo-sito di tentate trasformazioni di ricche confraternite, agli effetti della legge sulle istituzioni di pub-blica beneficienza, trasformazioni che hanno trovata fino ad ora, non ostante le iniziative dellaPrefettura, costante resistenza nella Congregazione di Carita’ (emanazione del Municipio) e nelMunicipio stesso.

Durante le elezioni recenti adunque, il partito monarchico costituzionale, non sentendosi suffi-cientemente in forza per portare una lista propria contro quella del partito radicale, credette, non socon quanta coerenza, di dare il suo contributo di voti al partito socialista, sparuto di numero invero,che si presentava con tre nomi soltanto per la minoranza. Il risultato fu superiore all’aspettiva, poi-chè i tre della minoranza, sostenuti, come ho detto, dal partito costituzionale, riuscirono bensì nellaminoranza, ma con una differenza di appena 50 voti dall’ultimo della maggioranza.

Durante la preparazione elettorale, nel giorno delle elezioni e dopo la proclamazione, furonvicomizi di ogni colore e relative dimostrazioni, con qualche minaccia di violenza fra le parti, ma nulladi grave avvenne, per il pronto intervento dei funzionari e degli agenti, che erano stati, per misura diprecauzione convenientemente aumentati. Nei comizi organizzati dai due partiti alleati (il costitu-zionale e il socialista) vivaci furono gli attacchi contro il partito municipale al potere, cui si attribui-sce la colpa del disordine e dell’abbandono dei pubblici servizi e di avere creata una situazione finan-ziaria oltremodo difficile. Vivacissimi poi furono, nei discorsi, gli attacchi contro il Pipitone per la suacondotta, sia come Deputato sia come amministratore del comune.

A lotta elettorale finita, eravi ragione a ritenere, non gia’ risolta la questione dei partiti, i qualinaturalmente erano rimasti l’uno contro l’altro più inaspriti; (quello radicale che dalla prova delleurne si era accorto di avere un avversario temibile in altre prossime contingenze, quello di oppo-sizione che si sentiva inorgoglito della quasi vittoria); ma almeno potevasi sperare una lunga tre-gua o almeno finite le dimostrazioni piazzaiuole. La speranza fu vana però, perchè dovendosi con-vocare il Consiglio comunale per la elezione del sindaco cav. Dell’Orto (che era scaduto da con-sigliere e rieletto) gravi tumulti furono promossi durante la seduta, così che, coll’intervento, invo-cato, della forza pubblica, fu necessario allontanare dall’aula il pubblico, che continuò a gridareed a tumultuare nelle vie.

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Nè le dimostrazioni e manifestazioni piazzaiuole cessarono; chè nelle sere successive si rinnova-rono assumendo una forma pericolosa.

Ora la calma materiale sembra ristabilita e se nell’occasione della riconvocazione del Consigliocomunale vi saranno nuovi tentativi di disordini, saranno presi i provvedimenti opportuni per repri-merli, nè dimenticherò di ricordare ai promotori che il turbare il libero svolgimento delle discussio-ni e decisioni di un corpo deliberante costituisce reato contemplato dal codice penale.

Non sarà altrettanto facile e possibile riconsolidare la pace fra i partiti divisi, oltre che da sistemi,soprattutto da bizze personali e da discussioni bizantine che si maturano nei soliti circoli di compa-gnia, composte in gran parte di sfaccendati. Ad ogni modo, mi propongo di trattare colle persone piùautorevoli dei diversi partiti, per indurle ad adoperarsi perchè le differenze amministrative si man-tengano nel campo delle lotte civili e non degenerino in tumulti di piazza, che conducono, non dirado, a conseguenze funeste.

Ho creduto opportuno esporre brevemente le origini e le fasi dell’agitazione Marsalese, non senzaassicurare V.E. che la Prefettura ha sempre mantenuto circa l’andamento dell’amministrazione comu-nale di Marsala la maggiore equanimità ed imparzialità, procurando anzi di superare nelle diversecontingenze i maggiori ostacoli, specialmente in quanto essi si riferivano alle difficoltà finanziarie, lequali, però, non cessano di essere ancora la maggiore preoccupazione”.

Tanto partecipo a codesto On. Ufficio riservato, per opportuna conoscenza della parte che loriguarda, e di seguito alla comunicazione fatta con nota 2 corrente pari numero.

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Marsala 20 marzo 1905Camera ardente di Abele Damiani

* * *

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Frontespizi di alcunidei discorsi

di Abele Damiani

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Testi dei temi premiati delle tre sezioni,Scuole Elementari, Medie e Superiori

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Tema di Alessandro Anastasi

Classe V C Plesso Verdi 2° Circolo Didattico

Tema di Nicoletta Parrinello

Classe II Scuola Media Statale “A. De Gasperi” Strasatti Marsala

Tempo fa, trovandomi per caso a passare per la via Trapani, fui attratto da alcuni ragazzi che sene stavano a parlare sulle loro moto davanti ad un grande cancello, dietro il quale c' era un lungoviale con palme altissime ed un enorme edificio. Chiesi, allora, alla mamma cosa ci fosse in quellacasa tanto grande ed ella mi rispose che lì c'era una scuola: l'Istituto Tecnico Agrario "AbeleDamiani". Fu così che, per la prima volta, sentii quel nome e, molto incuriosito, feci mille doman-de ai miei genitori. Mamma e papà mi raccontarono molte cose ma la mia curiosità aumentò sem-pre più. Speravo che, andando a scuola, qualcuno mi potesse parlare di quel famoso Abele Damianiche per la nostra Marsala, per la nostra Sicilia e per tutta l' Italia lottò e fu incarcerato. E invece no,niente di tutto questo! Fra non molto farò gli esami di 5°, mi chiederanno di Napoleone, di Mazzini,di Garibaldi ma non certamente di Abele Damiani. Ciò mi fa tanta tristezza e tanta rabbia perchénon possiamo dimenticare gli ideali di questo nostro illustre concittadino anzi, dobbiamo ricorda-re il suo "Amor Patrio". Le sue campagne garibaldine, le sue cariche politiche sono per la storia eper tutti noi marsalesi imprese molto importanti. In questi giorni ho letto con interesse le notiziesulla vita di Abele Damiani e mi sono reso conto che l' amore di figlio che lo legava alla sua Marsalanon può non essere preso in considerazione, perciò, dobbiamo essere riconoscenti nei confrontidi chi è "sceso in campo" e con coraggio è riuscito a realizzare quel grande sogno di libertà e unità.Noi, distratti dal computer, mentre giochiamo con la nostra play-station dovremmo ogni tanto ricor-dare chi, pur non essendoci più, è sempre vivo tra noi, perché di lui ci resta la fama conquistatacon onestà, forza e volontà. Io sono felice che la mia Marsala sia stata la “mamma” di Damiani.Quella lapide nella casa paterna, la strada a lui intitolata, quella scuola tanto famosa sono fra letante cose che fanno di Abele Damiani un autentico "mito marsalese" e padre di tutte le generazio-ni che verranno. E per noi, bambini di oggi e uomini di domani, Abele Damiani è come un faro cheillumina il nostro cammino.

In occasione del 140° anniversario della Spedizione dei Mille ci piace rievocare quelle gesta permetterne in luce gli aspetti più importanti e i personaggi che ne furono gli interpreti più significati-vi; tra costoro si distinse il marsalese Abele Damiani.

Per meglio poter comprendere la figura di questo nostro concittadino dobbiamo, a mio avviso,fare una breve sintesi del periodo storico in cui è vissuto e degli ideali che lo hanno spinto ad agire.L’Italia, dopo essere stata per qualche anno riunita, a seguito delle conquista di Napoleone, ritornò,dopo la caduta di questi, all’antica suddivisione in piccoli Stati, retti dai sovrani assoluti che eranostati riportati sul trono dalla restaurazione imposta dai paesi vincitori. Ma le conquiste dellaRivoluzione francese non potevano non lasciare nel nostro paese tracce profonde negli spiriti piùillustri ed anche nelle masse popolari. Si era creato in tutta la penisola uno stato d’animo di insof-ferenza al dispotismo, di aspirazione alla libertà, all’indipendenza e all’uguaglianza sociale. Il segna-le della riscossa viene dal mezzogiorno; successivamente l’Italia è tutta un fremito di ribellione, diret-ta ad un unico scopo: la liberazione dell’Italia dalla tirannide, la conquista dell’indipendenza. Fu inquesto periodo, precisamente il 2 giugno del 1835, che nacque a Marsala Abele Damiani, da unafamiglia borghese di origine ligure ma che si era trasferita a Marsala alla fine del XV secolo.L’educazione del padre, che ricoprì importanti cariche nella amministrazione della città, influenzò

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Nel 1849, dopo la repressione dei moti liberali e democratici, l'Italia torna sotto regimi autoritari,con solo due eccezioni: la Toscana, in cui Leopoldo II si mantiene lontano dalle punte più rigide dellarepressione; il Piemonte, che ha mantenuto lo Statuto Albertino ed è diventato il punto di raccoltadella parte più viva del movimento liberale nazionale. Nel Piemonte sabaudo comincia a delinearsi lapersonalità di Camillo Benso di Cavour, capo della maggioranza moderata del centro destra, primacome deputato, poi come ministro dell'Agricoltura, del Commercio e della Marina; egli vuole attua-re un liberalismo moderno basato sullo sviluppo capitalistico, l'indipendenza nazionale da raggiun-gere attraverso varie fasi, per iniziativa del Piemonte sabaudo. Cavour diventa primo ministro nelNovembre 1852. Mentre si accresce il suo prestigio, nell'area politica influenzata dal Mazzini si mol-tiplicano i tentativi insurrezionali. Proprio in questo periodo Abele Damiani matura le sue convin-zioni politiche, entrando nel cerchio della cospirazione antiborbonica; in Sicilia, infatti, le iniziativecospirative, nella prima metà degli anni '50, avevano avuto quasi tutte l'impronta mazziniana.Damiani entra in contatto con Francesco Bentivegna, esponente del comitato rivoluzionario clande-stino di Palermo.

A Marsala il Damiani realizza un comitato segreto e allaccia contatti anche con Nicola Fabrizi, cherisiede a Malta con altri esuli siciliani. Intanto i democratici maturano delle prospettive politiche non

moltissimo il suo pensiero e giovanissimo simpatizzò con i più accesi rappresentanti della cospira-zione antiborbonica con l’intento di liberare la Sicilia dal dispotismo dei Borboni.

Dopo la morte del padre, nel 1855, Abele fu costretto ad occuparsi del patrimonio familiare. Lafamiglia Damiani era, infatti, proprietaria di terreni coltivati a vigneto e di una piccola azienda agri-cola. Continuò tuttavia ad avere rapporti con i patrioti siciliani allargando i suoi contatti anche conaltri centri della Sicilia e divenendo il capo indiscusso dei cospiratori di Marsala. La sua azione eracontinua, l’odio per il dispotismo ed il suo spirito rivoluzionario accesero gli animi di molti giovanipronti ad entrare in azione al momento opportuno.

L’indomani dell’insurrezione scoppiata a Palermo precisamente il 7 Aprile del 1860, scoppiò larivolta. Abele Damiani e molti cittadini accorsero per le strade sventolando la bandiera tricolore; furo-no abbattuti gli stemmi borbonici, sciolta la polizia urbana, bruciati i registri. Ma il sogno della vitto-ria si dimostrò utopistico, a Palermo infatti la rivolta era stata soffocata e l’ordine ristabilito con laforza. Abele riuscì con altri rivoltosi a rifugiarsi a Malta in attesa di tempi migliori. Quando giunse lanotizia dello sbarco di Garibaldi a Marsala egli preferì seguirlo in tutta la sua restante campagna finoal Volturno. Con l’annessione della Sicilia allo Stato unitario si concluse l’azione cospirativa e rivolu-zionaria di Damiani, il quale dopo un breve soggiorno a Torino rientrò a Marsala. Qui nel 1861 rico-prì per due anni la carica di sindaco. Attiva fu la sua opera a favore della città, sollecitò l’ampliamen-to del porto, aprì nuove scuole, sollecitò leggi a favore dell’agricoltura. Ritornato a Torino riprese icontatti con i rivoluzionari, ma quando Garibaldi nel 1862 cercò di reclutare volontari con l’intentodi preparare una spedizione per liberare Roma, Damiani rientrò nuovamente a Marsala. Fu, allora,nominato Soprintendente alla spedizione ma l’impresa si concluse malamente e Damiani venne fattoprigioniero assieme a Garibaldi e tenuto in carcere in Val D’Aosta. Liberato, fece ritorno a Marsala,continuò a partecipare alle agitazioni e nel 1865 venne eletto deputato rimanendo in parlamento finoal 1895. Iniziò così la sua vita politica come deputato di Sinistra. Nella sua città rivolse la sua atten-zione all’amministrazione dei beni che da qualche tempo aveva un pò trascurato ma contempora-neamente curò gli interessi di Marsala: curò l’apertura di alcune scuole tra cui la Regia Scuola Praticadi Agricoltura promosse l’istituzione della Dogana, una agenzia della Banca d’Italia, curò il ripristinodi alcune linee marittime con la Tunisia e la Sardegna ricoprendo contemporaneamente importanticariche pubbliche nel nostro territorio, ultima quella di senatore del Regno nel 1898. Morì a Marsalail 20 marzo del 1905. Di lui ci rimangono alcuni scritti, una strada a lui dedicata, l’Istituto tecnicoAgrario e una lapide nella casa natale in via XI Maggio. Ma pochi, senza dubbio, ne conoscono la sto-ria ed il suo impegno politico nella lotta per gli ideali nei quali credette fermamente.

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Tema di Laura Perricone

Classe III Liceo Classico “Giovanni XXIII” - Marsala

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strettamente mazziniane, sintetizzate nella formula "bandiera neutra" e uomini come Rosolino Pilo eFabrizi lavorano per realizzare in Sicilia un movimento cospirativo che sblocchi la situazione di stal-lo e rafforzi l'iniziativa democratica. Qui si inserisce il piano insurrezionale di Bentivegna a Palermoche, per via dei mancati aiuti, ha avuto un esito infelice. Questo insuccesso ha causato la dispersio-ne del comitato cospirativo siciliano. Così la repressione borbonica si fa sempre più dura e lo stes-so Damiani, con Andrea D'Anna ed altri, viene arrestato, con l'accusa di cospirazione contro ilGoverno, rinchiuso nel carcere della Colombaia a Trapani, da dove sarebbe uscito nel 1857, tenutonelle condizioni di ammonito e con l'obbligo di presentarsi quotidianamente all'ispettore di Polizia,visto che era considerato capo della cospirazione marsalese.

I vari fallimenti dei moti rivoluzionari hanno incrinato l'egemonia mazziniana, cosicché i modera-ti siciliani ed anche i democratici guardano al Piemonte come forza indispensabile per abbattere ilregime borbonico. Comunque non scema lo sforzo organizzativo dei democratici in Sicilia, ove lospirito di rivolta è ovunque presente. Così la cospirazione si riorganizza ed intensa è l'attività nelTrapanese, dove si va preparando quel terreno organizzativo che poi sarà utile per l'impresa garibal-dina. Il 4 Aprile 186o scoppiava la rivoluzione a Palermo; allora la mattina del 7 Aprile Marsala insor-ge: la folla abbatte gli stemmi borbonici, Damiani riunisce un comitato di insigni cittadini per prov-vedere alle esigenze sociali. Giunta a Marsala, la sera del 9 Aprile, la notizia della repressione delmoto palermitano, Damiani con i più indiziati fra i cospiratori si imbarca per riparare a Malta, doveavrebbe atteso tempi migliori per riprendere la lotta. Intanto Garibaldi e i suoi Mille sbarcano aMarsala l'11 Maggio, liberando la Sicilia dal regime borbonico. Il l' Giugno Damiani, con Fabrizi e gliesuli di Malta, sbarca a Pozzallo e si unisce con Garibaldi per combattere a Milazzo. Damiani poisarebbe rimasto accanto al Garibaldi nell'ultima fase della campagna siciliana, poi nel napoletano,dove combatterà al Volturno. Liberato il resto dell'Italia, ad eccezione dello Stato Pontificio e delVeneto, il 17 Marzo 1861 il primo Parlamento Nazionale proclama Vittorio Emanuele II re d'Italia: èil trionfo di Cavour e del liberalismo moderato.

Con l'annessione della Sicilia allo stato unitario si chiude la fase rivoluzionaria di Damiani. Questi,amareggiato dallo scontro parlamentare fra democratici e moderati sui problemi di attualità, rientraa Marsala; anche in Sicilia l'aspro conflitto intorno all'annessione ha prodotto una rottura del fronteunitario liberale: i democratici siciliani, dissenzienti all'accettazione incondizionata dell'unità ammi-nistrativa, subito dopo l'annessione vengono posti ai margini della vita politica ed amministrativa. Lapregiudiziale politica verso la leva garibaldina, che è una realtà sociale di sicuri sentimenti liberali,assieme alla sottrazione di poteri alle autorità locali, ai metodi autoritari, aumenteranno le tensionifra lo Stato e la classe dirigente siciliana. Così a Marsala Damiani assume l'impegno politico, restan-do vicino a quei settori democratici, capeggiati da Garibaldi e Fabrizi; verrà nominato Sindaco dellacittà, cercando di utilizzare quell'incarico nella lotta contro i borbonici che hanno ripreso le attivitàcospirative. Per lui la difesa dell'unità italiana è un valore irrinunciabile. Poi si reca a Torino, matorna a Marsala quando la venuta di Garibaldi in Sicilia ha come proposito quello di fare dell'isola labase di partenza per reclutare volontari e preparare la spedizione contro Roma. Damiani dà aiutifinanziari a Garibaldi, accompagnandolo nell'isola, ove vengono realizzati vari comitati unitari.All'entusiasmo succede la tragedia di Aspromonte.

Abele Damiani è stato un marsalese assurto all'attività parlamentare in un'epoca di transizione, acavallo tra la conclusione patriottica della vicenda garibaldina e dell'Unità e i primi tentativi di nazio-nalizzazione dei problemi del Governo, prima con la Destra, poi con la Sinistra.

Damiani ha portato nella sua attività la carica sentimentale dell'uomo nuovo. Conoscere alcuni aspet-ti della sua opera, quale quello inserito nel fervore dell'Inchiesta Agraria, significa precisare le conoscen-ze di alcuni aspetti della Sicilia dell'ultimo Ottocento, oltre che comprendere il vivo patriottismo, l'altointelletto, la cultura economica e la facoltà di leggere nel futuro economico, del nostro Damiani.

Grazie ai volumi dell'Inchiesta Agraria è possibile individuare situazioni lontane che non sonostate ancora del tutto estinte e sopravvivono in una radicalizzazione del sistema che mantiene lanostra Sicilia fra le regioni meno progredite d'Italia. La discussione sulla necessità di un’InchiestaAgraria ha inizio intorno agli anni '70, quando in altri paesi europei sono state ultimate le indaginisulle condizioni dell'agricoltura: i vari problemi che investono l'economia agricola sono dovuti allacrescente industrializzazione, alle trasformazioni capitalistiche nelle campagne, al travaso demografi-co dalla campagna alla città, ecc. Per quanto riguarda l'Italia, subito dopo l'unificazione si è sentita la

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necessità di conoscere le varie realtà economiche del paese. Dagli studi fatti emerge l'arretratezza del-l'economia rurale. Così negli anni '7o prende corpo l'idea di realizzare un'Inchiesta Agraria. Dopoalcune lungaggini procedurali, la legge sull'Inchiesta viene votata nel marzo 1877; poi si costituiscel'apposita Giunta composta da 12 membri, presieduta da Jacini, della quale fanno parte, tra gli altri,Emilio Morpurgo, incaricato di relazionare sulle province di Verona Vicenza, Padova, Venezia,Belluno; Carlo Mazzini, il deputato Agostino Bertani, Abele Damiani, incaricato per le province diCaltanissetta, Catania, Agrigento, Messina, Palermo, Siracusa e Trapani. La Commissione si è servitadi vari esperti, di monografie su regioni e province, delle Prefetture, dei Comizi Agrari, dei Comuni,dei Pretori. I lavori della Commissione si protrarranno per oltre sei anni fino al 1885. L'InchiestaAgraria, pur tra errori di metodo, discontinuità, aspetti talora ingenui, va giudicata per quel tempocome un'iniziativa di grande impegno politico e sociale.

Il territorio nazionale viene diviso dalla giunta in 12 circoscrizioni, la prima delle quali è la Siciliaaffidata al Damiani. Difficile è stabilire i motivi che indussero il Ministero ad indicare il deputato mar-salese, che aveva avuto alle spalle un passato di cospiratore e patriota e non vantava cognizioni spe-cifiche in materia agraria; è probabile che la designazione di Damiani sia da collegare alla sua appar-tenenza alla Sinistra ed alla sua amicizia con Crispi, che sostiene il Governo Depretis.

La diffidenza ed il timore che l'Inchiesta sia destinata a scopi fiscali, le divisioni politiche, sono gliostacoli che Damiani incontra.

L'indagine finalizzata su alcuni temi (beni ecclesiastici, condizioni della classe agricola, lavoro deifanciulli e delle donne) e la raccolta di un materiale omogeneo dànno alla relazione sulla Siciliaun'impronta particolare, a cui concorre la personalità del Damiani. Un ruolo significativo va attri-buito ai due giovani studiosi e funzionari del Ministero dell'Agricoltura, Vittorio Stringher e GiovanniPatanè, chiamati da Damiani in qualità di collaboratori. Damiani vuole che la politica resti fuori dailavori dell'Inchiesta.

La Sicilia vede nell'Inchiesta uno strumento della sua possibile elevazione. Il 24 Febbraio, discu-tendosi, alla Camera dei Deputati, dei risultati dell'Inchiesta Agraria, Damiani pronuncia un discorsoche pare una condanna per il fatto che Parlamento e Governo avevano dormito nella incomprensio-ne della necessità impellente di una politica agraria. Doloroso è stato, per lui, dover constatare l'in-differenza della Camera, visto che egli conosce le tristi condizioni della sua Sicilia, dove regnanosovrani il pascolo e la malaria, dove le viti soffrono per l'incuria dei contadini. Egli dice che "in Italiaci si è addormentati, forse paghi di credersi padroni di una terra privilegiata, favorita dal sole; i pro-prietari si sono fatti trascinare dai diletti delle città, affidando le tenute ai conduttori che hanno con-siderato i contadini come materia...".

Pertanto bisogna operare e stare nelle campagne: cosa che i proprietari non vogliono assoluta-mente fare in un clima di rinascente urbanesimo e di gattopardismo del paese. Due condizionidunque: l'urbanesimo dei possessori di terre e la mancata accettazione delle nuove discipline agra-rie sono, per Damiani, causa primaria della crisi agricola italiana. Per lui solo chi coltiva la terra osi occupa direttamente di essa ha diritto di possederla. I proprietari che abbandonano le campa-gne non solo arrecano un danno al loro patrimonio, ma danneggiano enormemente la collettivitàed i contadini, lasciandoli in mano dei campieri e permettendo il costituirsi e l'affermarsi di unamafia delle campagne. Poi Damiani ritiene necessarie radicali innovazioni nei sistemi di coltura deicampi: bisogna rinnovarsi per non perire, questo è il suo pensiero insistente. Bisogna modificarestrutturalmente le colture dei campi, operando una trasformazione agricola. L'abbattimento del-l'usura, sostenuto dal Damiani, si inserisce nel quadro dell'attività economica italiana, dopo l'av-vento della Sinistra.

La tesi che veramente onora Damiani è quella relativa alla necessità di una trasformazione intel-lettuale e morale dei proprietari: questi devono farsi interpreti coscienti delle esigenze dei loro ter-reni per comunicarle ai contadini, ignoranti e legati a sistemi arcaici di conduzione non più ammis-sibili alle soglie del Novecento; non debbono considerare schiavi i loro contadini. L'età dei servi dellagleba è finita; dovere morale di ogni proprietario è quello di riserbare ai propri dipendenti un trat-tamento umano, per evitare disordini e rivendicazioni violente. Damiani pare che dia un consiglio diconcretezza ai proprietari, pare fornir loro un invito a guardare in faccia la situazione, senza farsiincantare da una tradizione di subita soggezione dei contadini.

Fra i problemi di giustizia sociale si inserisce la necessità di abbattere l'usura attraverso una chia-

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ra politica di crediti fondiari che, consentendo il riscatto della proprietà dai debiti favorisse anchel'auspicata trasformazione delle colture che avrebbe dovuto realizzarsi avendo come scopo quello diriuscire a secondare gli indirizzi del mercato per un rilancio dell'agricoltura.

Le osservazioni del Damiani su cause ed effetti della crisi del settore vinicolo, le previsioni sullefuture crisi vinicole, sembrano profetiche. E le vie da seguire per scansare queste crisi sono quel-le che sta cercando di mettere in atto la Regione siciliana dal 1956: creare vini di qualità specificheper un consumo diretto e non per servire come vini da taglio; strappare dalle mani del produtto-re l'enologia. Anche in questo si può intuire la modernità del pensiero di Damiani, il suo spirito diosservazione. Egli poi ha proposto l'istituzione di industrie per lo sfruttamento degli agrumi, perricavarne prodotti chimici.

Alla base del suo pensiero c'è sempre la questione sociale: la proposta di realizzare la perequa-zione fondiaria si inserisce in questa visione del problema, giacché secondo lui non è concepibile cheuno stato moderno inizi la sua marcia verso il progresso economico e sociale, se prima non abbia eli-minato ogni realtà di sperequazione tra le sue zone territoriali.

Con l'inchiesta Agraria Damiani vuole individuare le cause della differenziazione della Sicilia dallealtre regioni italiane per quanto riguarda le condizioni agricole e sociali. Egli dice che storicamentela Sicilia non ha sempre seguito le vicende europee, secondata in ciò dal suo fisico isolamento e favo-rita da altre circostanze. Qui il brigantaggio, le associazioni di malfattori, i furti campestri, anzichéscomparire col sorgere del sole della nuova civiltà, sono diventati più appariscenti.

Constatata tale recrudescenza del male, prima si è creduto che ciò fosse conseguenza esclusivadella cattiva indole di quella parte degli isolani che fornivano alle associazioni di malfattori unimmenso contingente; da ciò le misure di rigore volte a sradicare quel male. Ma quando questi rime-di si sono manifestati come palliativi, si è capito che la sede del male era altrove. Una delle causefondamentali delle tristi condizioni delle classi agricole siciliane è la mafia, col suo potere nascostoche frena o distrugge contadini e proprietari, una mafia che mantiene l'ignoranza specie delle classipiù umili, insieme con un clero oscurantista contro il quale Damiani lancia i suoi strali; eppure è pro-prio quel clero a tentare un affrancamento dei contadini dal prepotere della borghesia terriera. Lamafia è un fenomeno borghese, dovuto alla borghesia che cerca di inserirsi tra il proprietario pre-potente e la classe dei contadini; la mafia nasce dalla lotta tra contadini e proprietari: contadini chenon credono all'imparzialità della legge e proprietari che si sforzano di piegare la legge dalla loroparte. Il contadino si mantiene silenzioso, facendo dell'omertà la sua forza e del silenzio la sua con-danna. Damiani sa che la mafia nasce anche dal bisogno di protezione dei contadini verso i pro-prietari sopraffattori, laddove non bastava la legge o non era ritenuta sufficiente. Quando qualchecontadino decide di reagire alla sua tragica realtà, allora accetta il compromesso e si fa strumento delcampiere mafioso, si pone a servizio della mafia. Il Damiani ricava la conclusione che per recidere lamafia non ci si può illudere di operare solo sul terreno dell'educazione e del costume, ma bisognacogliere il male alla radice trasformando i rapporti sociali con l'abolizione dell'intermediario.

Il contadino, dice Damiani, ha con la società solo due punti di contatto: il prete e l'esattore.Quello gli fa talvolta da capitalista, spesso da educatore e consigliere; l'altro conta e tassa i suoi gua-dagni. La religione non è profondamente sentita, al contrario delle pratiche religiose esterne, moltoosservate. Per eliminare dai contadini l'influenza pericolosa del clero Damiani pensa a casse agrarie,scuole ben distribuite. In questo sistema di cose lo Stato appare come un esoso esattore. I contadi-ni fanno ed applicano la loro legge, che è quella cruenta voluta dalla mafia. Non raramente, perubbidire ad essa, si dissimula o si depone il falso in giudizio: ciò porta spesso all'impunità di gravireati che è forza per l'omertà e l' illegalità. L'autorità non è la legge, ma la persona che merita e dimo-stra di non rinunziarvi. Da ciò la persuasione che la legge sia come una tela di ragno: le mosche gros-se la sfondano, le piccole vi restano impigliate. Oltre a questa legge fuori dalla legge, vive nelle cam-pagne la legge più pressante del bisogno. Il contadino, incapace di sfamare la famiglia, ruba dovepuò, perché crede di aver diritto di farsi giustizia da sé, essendo mal pagato.

Inoltre, il Damiani ci parla delle miniere di zolfo, che assorbono una parte considerevole di mano-dopera. Egli prende spunto dall'esame della vasta portata economica di tali miniere per denunciareun altro male sociale: lo sfruttamento del lavoro minorile.

Una parte dell'Inchiesta è riservata all'esame di una causa determinante che mantiene le cose allostato in cui sono ed è la deficienza di istruzione della classe agricola. In Sicilia la legge sull'istruzio-

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ne obbligatoria non è stata adempiuta e il proletariato delle campagne resta in un grave stato diabbrutimento culturale. Il contadino, misero come Lazzaro, è ignorante, diffidente, scettico incuore, refrattario verso qualunque cosa che non sia materiale o immediata; addirittura considera ifigli come un capitale. Talora questi figli frequentano le scuole serali con gli adulti. Questa è storiadi ieri ma anche di oggi; una mediterranea indifferenza impedisce anche ai disoccupati di frequen-tare scuole o tentare di bonificarsi spiritualmente. Importante è che Damiani si pone questo pro-blema: che cosa sarebbe avvenuto quando i contadini, con l'istruzione, avessero acquisito coscienzadella miseria del loro stato? Dunque bisogna che il Governo promuova radicali riforme sociali.

Altra causa della crisi siciliana è la mancanza di una vera sicurezza pubblica, senza la quale si arre-sta la ruota del progresso.

Tra le tante cause della decadenza morale del contadino ci sono la ristrettezza delle abitazioni, lamiseria, la lontananza del luogo di lavoro dall'abitazione, la scarsezza di mezzi di comunicazione.Dunque questi contadini vivono in condizioni di estrema miseria morale e materiale. Per Damiani èindispensabile che baleni un nuovo ideale, cioè la giustizia sociale che deve essere compiuta dai pro-prietari. Egli, dopo il 1893, definisce il suo pensiero sul latifondo e dice che il contadino resta sem-pre nelle condizioni di servo e oppresso; denuncia il fatto che di tutto il reddito che si ricava dalleproprietà neanche una frazione minima viene riversata a vantaggio dell'agricoltura. Damiani ricono-sce che il latifondo non occupa la maggior parte del territorio siciliano; i latifondi sono una speciedi muraglia cinese per l'agricoltura siciliana.

In conclusione, Damiani trova nei suoi atti l'epopea del suo popolo sofferente. Il suo merito piùnotevole sta nella vastità del materiale che la sua relazione contiene; ci troviamo documenti chehanno grande carica di storicità, di legame tra presente e passato.

Damiani è stato un uomo più inclinato all'opera collettiva che a quella individuale, alla pratica chealla dottrina. Fiero e modesto, pertinace e sinuoso, egli se non ha avuto la virtù del comando haavuto quella, forse più rara, della partecipazione animosa e prudente. Spesso la sua collaborazioneè stata una rinnovazione; il suo spirito riflessivo e sagace temperava gli impeti troppo violenti deisuoi compagni.

Premiazione degli studenti. Da sinistra: Elio Piazza, Tommaso Spadaro, Luigi Giustolisi, SalvatoreLombardo, Nino Rosolia

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Alcuni monenti della pre-miazione degli studenti

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