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www.neldiritto.it Ufficio Relazioni Esterne Tel. 393/9724784 [email protected] www.neldirittoeditore.it SOMMARIO SEZIONE I Parti tratte da R. GAROFOLI-G.FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Neldirittoeditore, 2008, di imminente uscita. A) LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A.: I PROFILI PROCESSUALI. IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE 1. Le quattro fasi dell’evoluzione. 2. Il riparto prima di Cass. Sez. un., n. 500/1999. 3. I due Giudici del risarcimento nella ricostruzione delle Sezioni unite (sent. 500/99): i dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi. 4. La terza fase: il quadro normativo delineato dalla legge n. 205/2000. La giurisdizione sui danni da provvedimento non impugnato o già annullato. 5. La quarta fase: interviene Corte Cost. n. 204/2004. La tormentata nozione di “comportamento”. 6. Ipotesi applicative. 6.1. Danno da silenzio. 6.2. Danno da responsabilità precontrattuale. 6.3. Danni da omessa vigilanza Consob. 6.4. Danno da occupazioni. 6.5. Il settore del pubblico impiego: domande risarcitorie e riparto di giurisdizione. Rinvio. 6.7 Danno da attività materiale dell’amministrazione. 6.8. Danno da violazione del giudicato. B) PARTE … - LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA 1. La giurisdizione esclusiva: caratteri generali. 2. L’interpretazione dell’art. 103 Cost. fornita dalla Corte costituzionale. 3. La giurisdizione in tema di servizi pubblici: la precedente formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998 e l’impianto complessivo dell’intervento legislativo del 1998. 3.1. La persistente rilevanza della nozione di servizio pubblico: il dibattito. 3.1.1. Una fattispecie problematica: l’edilizia residenziale pubblica. 3.1.2. I c.d. servizi sociali. 3.2. Le controversie relative a concessione di pubblici servizi. Compensi dovuti al gestore. Tetti di spesa. Diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero. 3.3. Le controversie relative a provvedimenti. Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, educazione sessuale nelle scuole e revoca di amministratori di società in mano pubblica. 3.4. Controversie relative all’affidamento del servizio. 3.5. Controversie relative alla vigilanza e al controllo. Responsabilità Consob e contenzioso in tema di sanzioni (rinvio). 3.6. Servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla l. n. 481 del 1995. 4. La giurisdizione in tema di concessione di beni. 5. La giurisdizione esclusiva in materia di contratti pubblici:. 6. La giurisdizione in tema di edilizia, urbanistica ed espropriazione. 6.1. Nozione di edilizia. 6.2 Nozione di urbanistica. La requisizione in uso. 6.3. La giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto il danno da occupazioni: rinvio. 6.4. Art. 34, d. lgs. n. 80/1998, e azioni possessorie, nunciatorie e cautelari. 6.5. Attività privatistiche pure e spurie. 6.6. Retrocessione. 7. Le altre materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Il pubblico impiego, gli accordi tra privati e p.a. ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990. rinvio. 8. La giurisdizione esclusiva sulla d.i.a.: rinvio. 9. La giurisdizione in materia di diritto sportivo. 10. La tutela giurisdizionale sulle delibere delle Autorità Amministrative Indipendenti: rinvio. 11. La nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di energia elettrica. 12. La giurisdizione di merito. 13. Questioni rilevanti in materia di giurisdizione: sulla applicabilità al giudizio amministrativo della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali ex art. 28, l. n. 794 del 1942. C) CAP… LA TRANSLATIO JUDICII SOMMARIO. 1. La posizione della giurisprudenza prima di Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, e Corte cost.,12 marzo 2007, n. 77. 2. Interviene Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109. 3. Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77. 4. Gli scenari dopo le due decisioni e le prime applicazioni pretorie. 5. L’intervento del legislatore: le indicazioni emerse. SEZIONE II PARTE TRATTA DA R. GAROFOLI, TRACCE DI AMMINISTRATIVO, NELDIRITTO EDITORE, 2008, DA POCHISSIMI GIORNI IN LIBRERIA. D) Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto: profili sostanziali e processuali, anche in conseguenza di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e Cons. Stato, sez. v, 28 marzo 2008, n. 1328.

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SOMMARIO SEZIONE I

Parti tratte da R. GAROFOLI-G.FERRARI, Manuale di diritto amministrativo,

Neldirittoeditore, 2008, di imminente uscita. A) LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A.: I PROFILI PROCESSUALI. IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE 1. Le quattro fasi dell’evoluzione. 2. Il riparto prima di Cass. Sez. un., n. 500/1999. 3. I due Giudici del risarcimento nella ricostruzione delle Sezioni unite (sent. 500/99): i dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi. 4. La terza fase: il quadro normativo delineato dalla legge n. 205/2000. La giurisdizione sui danni da provvedimento non impugnato o già annullato. 5. La quarta fase: interviene Corte Cost. n. 204/2004. La tormentata nozione di “comportamento”. 6. Ipotesi applicative. 6.1. Danno da silenzio. 6.2. Danno da responsabilità precontrattuale. 6.3. Danni da omessa vigilanza Consob. 6.4. Danno da occupazioni. 6.5. Il settore del pubblico impiego: domande risarcitorie e riparto di giurisdizione. Rinvio. 6.7 Danno da attività materiale dell’amministrazione. 6.8. Danno da violazione del giudicato. B) PARTE … - LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA 1. La giurisdizione esclusiva: caratteri generali. 2. L’interpretazione dell’art. 103 Cost. fornita dalla Corte costituzionale. 3. La giurisdizione in tema di servizi pubblici: la precedente formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998 e l’impianto complessivo dell’intervento legislativo del 1998. 3.1. La persistente rilevanza della nozione di servizio pubblico: il dibattito. 3.1.1. Una fattispecie problematica: l’edilizia residenziale pubblica. 3.1.2. I c.d. servizi sociali. 3.2. Le controversie relative a concessione di pubblici servizi. Compensi dovuti al gestore. Tetti di spesa. Diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero. 3.3. Le controversie relative a provvedimenti. Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, educazione sessuale nelle scuole e revoca di amministratori di società in mano pubblica. 3.4. Controversie relative all’affidamento del servizio. 3.5. Controversie relative alla vigilanza e al controllo. Responsabilità Consob e contenzioso in tema di sanzioni (rinvio). 3.6. Servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla l. n. 481 del 1995. 4. La giurisdizione in tema di concessione di beni. 5. La giurisdizione esclusiva in materia di contratti pubblici:. 6. La giurisdizione in tema di edilizia, urbanistica ed espropriazione. 6.1. Nozione di edilizia. 6.2 Nozione di urbanistica. La requisizione in uso. 6.3. La giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto il danno da occupazioni: rinvio. 6.4. Art. 34, d. lgs. n. 80/1998, e azioni possessorie, nunciatorie e cautelari. 6.5. Attività privatistiche pure e spurie. 6.6. Retrocessione. 7. Le altre materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Il pubblico impiego, gli accordi tra privati e p.a. ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990. rinvio. 8. La giurisdizione esclusiva sulla d.i.a.: rinvio. 9. La giurisdizione in materia di diritto sportivo. 10. La tutela giurisdizionale sulle delibere delle Autorità Amministrative Indipendenti: rinvio. 11. La nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di energia elettrica. 12. La giurisdizione di merito. 13. Questioni rilevanti in materia di giurisdizione: sulla applicabilità al giudizio amministrativo della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali ex art. 28, l. n. 794 del 1942. C) CAP… LA TRANSLATIO JUDICII SOMMARIO. 1. La posizione della giurisprudenza prima di Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, e Corte cost.,12 marzo 2007, n. 77. 2. Interviene Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109. 3. Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77. 4. Gli scenari dopo le due decisioni e le prime applicazioni pretorie. 5. L’intervento del legislatore: le indicazioni emerse.

SEZIONE II PARTE TRATTA DA R. GAROFOLI, TRACCE DI AMMINISTRATIVO, NELDIRITTO EDITORE, 2008, DA POCHISSIMI GIORNI IN LIBRERIA. D) Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto: profili sostanziali e processuali, anche in conseguenza di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e Cons. Stato, sez. v, 28 marzo 2008, n. 1328.

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A) LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A.: I PROFILI PROCESSUALI. SEZIONE .. IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE 1. Le quattro fasi dell’evoluzione. 2. Il riparto prima di Cass. Sez. un., n. 500/1999. 3. I due Giudici del risarcimento nella ricostruzione delle Sezioni unite (sent. 500/99): i dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi. 4. La terza fase: il quadro normativo delineato dalla legge n. 205/2000. La giurisdizione sui danni da provvedimento non impugnato o già annullato. 5. La quarta fase: interviene Corte Cost. n. 204/2004. La tormentata nozione di “comportamento”. 6. Ipotesi applicative. 6.1. Danno da silenzio. 6.2. Danno da responsabilità precontrattuale. 6.3. Danni da omessa vigilanza Consob. 6.4. Danno da occupazioni. 6.5. Il settore del pubblico impiego: domande risarcitorie e riparto di giurisdizione. Rinvio. 6.7 Danno da attività materiale dell’amministrazione. 6.8. Danno da violazione del giudicato. 1. Le quattro fasi dell’evoluzione. Tra i profili di giurisdizione ancora più dibattuti vi è quello riguardante le azioni risarcitorie proposte contro la pubblica amministrazione. La l. n. 205 del 2000, infatti, meritoria laddove sperimenta il tentativo di superare le perplessità di tipo teorico e pratico innescate dal complessivo impianto argomentativo al riguardo sviluppato dalle Sezioni Unite di Cassazione nella sentenza n. 500 del 1999, ha tuttavia suscitato forti contrasti interpretativi almeno in parte addebitabili alla non cristallina chiarezza della formulazione normativa. Il principale dato di diritto positivo sul quale è necessario soffermare l’attenzione è ora costituito dall’art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, come sostituito dall’art. 7, co. 4, l. n. 205/2000, a tenore del quale “il Tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”. Il primo dubbio ermeneutico suscitato dalla citata disposizione deriva dal riferimento in essa contenuto agli “altri diritti patrimoniali consequenziali”: l’apparente considerazione della questione relativa al risarcimento del danno quale profilo involgente un diritto sussumibile, al pari di “altri”, nella incerta categoria dei “diritti patrimoniali consequenziali” assegna all’interprete il non agevole compito di individuare i confini entro cui va riconosciuto al giudice amministrativo il potere di conoscere delle domande di risarcimento del danno asseritamente sofferto in conseguenza dell’azione od omissione dell’Amministrazione. Con maggiore impegno esplicativo, occorre chiedersi se lo stesso spetti al giudice amministrativo sempre e comunque o solo quando il diritto al risarcimento sia (come gli “altri diritti” affidati alla sua cognizione) “consequenziale”: quesito alla cui soluzione non può pervenirsi senza chiarire il senso da ascrivere, nel rinnovato assetto delle giurisdizioni delineato dalla l. n. 205 del 2000, al concetto stesso di consequenzialità. La questione, di per se´ già non agevole, si complica se si considerano i profili di reciproca interferenza in ipotesi prospettabili tra l’esposta problematica e quella, delicatissima, afferente i rapporti — di indifferenza e concorrenza ovvero di pregiudizialità — tra la classica azione demolitoria e quella intesa a conseguire il ristoro del pregiudizio sofferto per effetto dell’illegittima condotta dell’Amministrazione. Non è mancato, infatti, chi, prendendo le mosse dall’assunto interpretativo secondo cui solo il diritto al risarcimento del danno “consequenziale” all’annullamento dell’atto può dirsi ricondotto nell’alveo della giurisdizione amministrativa sulla scorta del citato art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, ha sostenuto che resterebbero di pertinenza della giurisdizione ordinaria le questioni risarcitorie non consequenziali o autonome. Invertendo la prospettiva, si è anche ritenuto che l’opzione per la soluzione della pregiudizialità nell’ambito del giudizio amministrativo di legittimità rischierebbe di aprire la strada al riconoscimento di una permanente giurisdizione del giudice ordinario sul danno “non consequenziale”. L’innegabile possibilità che le due problematiche abbiano ad interferire non vale ad escludere, tuttavia, la necessità di un’analisi distinta, che prenda le mosse dalla verifica dell’effettiva consistenza dal legislatore riconosciuta all’ambito cognitorio del giudice

L’art. 7, co. 3, l. n. 1034/1971

“Consequenzialità” e interferenze con la pregiudizialità

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amministrativo sui profili risarcitori, per poi scrutinare la natura dei rapporti intercorrenti tra le due azioni di annullamento e di risarcimento.L’esigenza di condurre un’analisi non congiunta delle due problematiche si pone sol che si consideri l’ontologica diversità delle stesse, l’una attinente alla delimitazione dell’ambito di cognizione e di potestà decisoria da riconoscere al giudice ordinario e a quello amministrativo, l’altra alla concreta conformazione delle due differenti tecniche rimediali e del loro reciproco atteggiarsi. A rendere ancor più complesso l’esame delle questione relativa al riparto di giurisdizione soccorre la necessità di tener conto delle implicazioni applicative, talvolta dirompenti, innescate dalla importante sentenza 6 luglio 2004, n. 204, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 33 e 34 del d. lgs. n. 80/1998, al contempo enunciando taluni principi destinati a condizionare l’interprete impegnato nell’individuazione del giudice innanzi al quale portare la pretesa risarcitoria che si intende formulare contro la P.A.: tra questi, soprattutto, quello secondo cui la giurisdizione del G.A. presuppone inevitabilmente l’inerenza della controversia all’esercizio del potere, sicché devono ritenersi estranei all’ambito di cognizione di quel giudice le liti riguardanti i “comportamenti” dell’amministrazione e le relative conseguenze pregiudizievoli. Evidenziata la complessità della tematica è opportuno procedere all’esame anteponendo all’analisi delle principali tipologie di controversie risarcitorie per le quali si è posto il problema dell’individuazione del giudice la ricostruzione delle regole generali che governano il sistema di riparto nel settore in esame. E’ al riguardo opportuno procedere in modo diacronico distinguendo quattro distinte fasi evolutive del quadro ordinamentale: a) la prima è quella che si protrae fino alla sentenza 22 luglio 1999, n. 500 con cui le Sezioni unite di Cassazione hanno riconosciuto in astratto la risarcibilità dei danni da lesione dell’interesse legittimo ricostruendo al contempo il sistema di riparto; b) la seconda è quella che, inaugurata dalla suddetta pronuncia delle Sezioni unite, si protrae fino all’entrata in vigore della legge n. 205/2000; c) la terza è compresa tra il 2000 e il 6 luglio 2004, data di pubblicazione della sentenza n. 204 della Corte costituzionale; d) la quarta è quella che prende avvio con il suddetto pronunciamento del Giudice delle leggi. 2. Il riparto prima di Cass. s.u., n. 500 del 1999. La questione del riparto fra le giurisdizioni in materia di risarcimento del danno provocato da atti e comportamenti della p.a. ha conosciuto un periodo di particolare fermento fra il 1998, allorché con l’emanazione del d.lg. 80/98 si pose per la prima volta in modo pressante l’esigenza di fare chiarezza sistematica nella materia del risarcimento dei danni provocati dalla p.a., ed il 2000, quando, con la promulgazione della legge n. 205, la questione del riparto in tema di risarcimento del danno ha ricevuto una sistemazione stabile ma non per questo priva a sua volta di aree di incertezza. Tra l’uno e l’altro intervento legislativo si era peraltro registrata la presa di posizione delle Sezioni unite di Cassazione che con sentenza n. 500 del 1999 avevano riconosciuto la giurisdizione del g.o. nelle controversie risarcitorie vertenti su materie di giurisdizione generale di legittimità e quella del g.a. in quelle riguardanti materie di giurisdizione esclusiva. Sulle argomentazioni sottese a tale definizione giurisprudenziale della problematica e sulle difficoltà interpretative innescate dalle disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 80/1998 e dalla l. n. 205/2000, si tornerà nel prosieguo. Giova ora illustrare in via di estrema sintesi il dibattito sviluppatosi, già prima del 1998-99, attorno al tema della risarcibilità degli interessi legittimi e dell’individuazione del Giudice innanzi al quale proporre le domande di ristoro di cui si fosse riconosciuta l’ammissibilità. Come rilevato, già prima del 1999, la stessa giurisprudenza della Corte suprema, pur affermando in astratto la irrisarcibilità degli interessi legittimi, aveva tuttavia manifestato una tendenza ad ampliare progressivamente l'area della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione di alcune figure di interesse legittimo, di fatto « mascherando » da diritto soggettivo situazioni prive di tale consistenza (cfr. capitolo precedente, paragrafo 2). Tanto per i c.d. diritti suscettibili di affievolimento quanto per i diritti fievoli ab origine (entrambi in realtà riconducibili al paradigma dell’interesse oppositivo), la vicenda risarcitoria era ricondotta entro un tipico schema bifasico (annullamento dell’atto lesivo / riespansione del diritto / risarcimento del diritto illegittimamente compresso) che vedeva il necessario coinvolgimento tanto del g.a. -nella fase dell’annullamento- quanto del g.o. nella successiva vicenda risarcitoria.

Corte cost. n. 204/2004 e il riferimento ai “comportamenti”

Le quattro fasi

Il doppio binario imposto dalla fictio del diritto che rinasce

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Si riteneva necessario, quindi, ricorrere ad una vera e propria fictio: quella del “diritto che rinasce” a seguito dell’annullamento dell’atto illegittimo, finzione sotto la quale si nascondeva l’esigenza di dare ingresso alla tutela di veri e propri interessi legittimi “mascherati” da diritti soggettivi1. Le Sezioni unite erano ferme pertanto nel sostenere l’impossibilità per il g.a. di pronunciarsi circa il risarcimento del danno dall’altro nonché quella per il g.o. di svolgere attività annullatoria sull’atto amministrativo2. Sotto tale aspetto, del resto, pochi passi in avanti furono compiuti anche quando, sulla spinta della necessità di ottemperare a precisi obblighi di fonte comunitaria, il legislatore nazionale apportò la prima deroga espressa di grande rilievo al dogma dell’irrisarcibilità. Come è noto, infatti, con l’art. 13 della l. n. 142/92 fu sancita la risarcibilità della violazione di posizioni (dai più ritenute di interesse legittimo) patita da soggetti che avessero subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o delle relative norme interne di recepimento. Ebbene, anche in tale caso, il legislatore, che pure aveva compiuto un deciso passo in avanti rispetto all’approccio tradizionale, riconoscendo la risarcibilità di posizioni di interesse legittimo, non ritenne invece di discostarsi dal tralatizio approccio in materia di riparto fra le giurisdizioni, riproponendo uno schema bifasico di doppia tutela in base al quale la domanda di risarcimento era proponibile dinanzi al giudice ordinario solo a seguito dell'annullamento dell'atto lesivo pronunciato con sentenza del giudice amministrativo. Prima di passare all’esame delle innovazioni innescate dalla pronuncia n. 500/1999, è utile ancora, anche al fine di meglio chiarire il contesto anche normativo nel quale le Sezioni unite intervengono, tener conto del contributo apportato dal d.lg. 80/98 all’evoluzione del dibattito circa il risarcimento dei danni provocati dall’attività delle pubbliche amministrazioni. Come è noto, l’art. 35 del suddetto decreto ha espressamente riconosciuto, nella sua originaria formulazione, il potere del g.a. di conoscere delle questioni risarcitorie, allorché si pronunci su controversie rientranti nell’ambito delle materie delineate dai precedenti artt. 33 e 34 dello stesso decreto. 3. I due Giudici del risarcimento nella ricostruzione delle Sezioni unite (sent. n. 500 del 1999): i dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi. Al di fuori delle materie attratte alla giurisdizione esclusiva, in assenza di previsione normativa espressamente intesa a riconoscere al giudice amministrativo la cognizione delle pretese risarcitorie fondate sulla lesione di ritenuti interessi legittimi, è spettato alle Sezioni unite di Cassazione risolvere in via interpretativa il problema dell’individuazione del giudice. Si legge nella sentenza n. 500/1999 che “l’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene è proposta davanti al giudice ordinario, quale giudice al quale spetta, in linea di principio (secondo il previgente ordinamento), la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo, poiche´ tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto (che può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo, nelle sue varie configurazioni correlate alle diverse forme della protezione, o di interesse comunque rilevante per l’ordinamento)”. Emergono, quindi, due giudici del risarcimento del danno: il giudice amministrativo per le materie attratte nella giurisdizione esclusiva ed il giudice ordinario per il danno cagionato con attività sussumibile nella giurisdizione di legittimità dello stesso giudice amministrativo.

1 Cfr. CONTESSA, Ancora sul piano formale o sostanziale della tutela giurisdizionale in materia di appalti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2002, n. 4, p. 459, ss.; CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1994, p. 684, ss. (che parla di un “contorto meccanismo procedurale imposto dalla giurisprudenza”); CANNADA BARTOLI (a cura di), La responsabilità della pubblica amministrazione, Torino, 1976; SATTA, Responsabilità della pubblica amministrazione, in Enc. Dir., XXXIX (ad vocem), Milano, 1988; CLARICH, La responsabilità civile della pubblica amministrazione nel diritto italiano, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1989; CAPACCIOLI, Interessi legittimi e risarcimento del danno, in Diritto e processo, 1978; MAZZAROLLI, Giustizia amministrativa, in: MAZZAROLLI et al., Diritto amministrativo, vol. II, Bologna, 1993, p. 1512, ss. 2 Il combinato operare dei due approcci da ultimo citati è stato bene messo in evidenza da GIACCHETTI, La risarcibilità degli interessi legittimi è “in coltivazione”, in: Cons. Stato, n. 1999, p. 1599, ss.

L’art. 13, l. n. 142/1992

L’art. 35, d. lgs. n80/1998

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Nel primo caso il giudizio è concentrato in capo ad un unico giudice per i profili sia risarcitori che impugnatori; nel secondo si assiste alla dislocazione presso due giudici del giudizio sull’annullamento dell’atto e di quello sul risarcimento del danno cagionato dall’atto medesimo3. L’esposta impostazione ricostruttiva si è prestata a consistenti rilievi critici che ne hanno evidenziato la fragilità sul piano dei presupposti teorici che ne fanno da sfondo, ma anche gli inaccettabili inconvenienti di tipo applicativo. Sul primo versante, l’assunto teorico sul quale la Suprema Corte fa leva per dedurre la “competenza giurisdizionale” del giudice ordinario sul contenzioso risarcitorio non concernente le materie attratte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è dunque quello afferente la natura di diritto soggettivo ascrivibile alla posizione di chi, ingiustamente danneggiato dall’Amministrazione, pretende il ristoro. Le Sezioni unite ritengono, quindi, che quello al risarcimento del danno sia diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva lesa dal fatto illecito causativo del danno ingiusto; nel dettaglio, procedono ad una scissione concettuale tra situazione vulnerata e meccanismo rimediale dall’ordinamento approntato per quella violazione, assurto ad oggetto di nuova e distinta posizione giuridica sostanziale, qualificata di diritto soggettivo ed in quanto tale assoggettata alla cognizione del giudice ordinario in applicazione del consueto canone di demarcazione dei terreni giurisdizionali propri del giudice ordinario e di quello amministrativo4. L’impostazione si è prestata a non poche obiezioni. Già sul piano ricostruttivo, infatti, si è rimarcata l’inattitudine di una pretesa dal carattere spiccatamente strumentale e rimediale, quale quella avente ad oggetto il risarcimento del danno per lesione di altra posizione soggettiva, ad orientare la ricerca del giudice5. La questione assume una particolare importanza anche in una prospettiva di più ampio respiro, attenta alla verifica della compatibilità costituzionale delle ricostruzioni giurisprudenziali o delle opzioni legislative in punto di giurisdizione. Non si trascuri, a tale proposito, che, per dettato costituzionale, “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi”, oltre che, in particolari materie, “dei diritti soggettivi” (art. 103, co. 1o). Non vi è dubbio, quindi, che la Carta fondamentale abbia inteso ascrivere rilievo, in sede di individuazione dell’ambito di giurisdizione proprio dei giudici amministrativi, alla posizione sostanziale che, in quanto incisa dall’azione dell’amministrazione, abbisogna di tutela, sia essa di interesse legittimo ovvero, in taluni casi espressamente indicati dalla legge, di diritto soggettivo; alla normale demarcazione della giurisdizione amministrativa deve procedersi, quindi, avendo riguardo alla consistenza della posizione soggettiva che, contrapponendosi alla condotta amministrativa, abbisogna di tutela, non già facendo riferimento alla natura del rimedio che, a lesione ormai intervenuta, si intende sperimentare. Sempre sul piano teorico, peraltro, la ricostruzione seguita dalla Sezioni unite non ha convinto anche per la sua sostanziale idoneità a riproporre, quale criterio di risoluzione delle questioni di giurisdizione, la teoria del petitum, in distonia, quindi, rispetto al tradizionale indirizzo volto ad utilizzare quello della causa petendi. A fronte di un medesimo atto e di un medesimo vizio il giudice finirebbe invero per essere quello ordinario o quello amministrativo a seconda che si chieda il risarcimento del danno ovvero l’annullamento del provvedimento”6. Non meno penetranti sono risultate le obiezioni mosse all’impianto ricostruttivo fornito dalla Cassazione con l’intento di rimarcarne le non convincenti implicazioni di tipo applicativo. Si tratta di inconvenienti innescati dall’operare congiunto della ritenuta giurisdizione del giudice ordinario e della sostenuta abolizione della pregiudiziale amministrativa. Giova tenere conto di quanto al riguardo sostenuto dalle Sezioni unite ad avviso delle quali “rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, può svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata infatti in passato costantemente affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all’emersione del diritto soggettivo, e quindi all’accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo”. La ritenuta autonomia delle azioni, in uno alla riconosciuta possibilità di una dislocazione delle stesse innanzi a giudici diversi e nel contesto di percorsi processuali tra loro paralleli ed in alcun modo comunicanti, è apparsa idonea ad innescare inconvenienti pratici di ardua accettabilità, prontamente rimarcati nel dibattito dottrinale. Si è così prospettato il rischio che il giudice ordinario ed il giudice amministrativo opinino diversamente relativamente all’illegittimità dell’atto e che, ad esempio, il giudice ordinario riconosca il risarcimento del danno da atto amministrativo reputato legittimo dal giudice amministrativo e quindi permanentemente operante come criterio destinato ad orientare la condotta dell’Amministrazione. Il sistema delineato dalle Sezioni unite di Cassazione, quindi, non risultava particolarmente convincente, oltre che per la non unanime condivisione delle coordinate teoriche sulle quali dichiaratamente poggiava, anche in considerazione delle difficoltà di tipo applicativo destinato a suscitare, almeno in parte innescate dal permanere, al di fuori delle materie attratte nella sfera della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di una doppia giurisdizione.

3 CARINGELLA-R. GAROFOLI, Riparto di giurisdizione e prova del danno dopo la sentenza 500/99, in www.giust.it 4 CARANTA, Attività amministrativa ed illecito aquiliano. La responsabilità della P.A. dopo la l 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2001, 37. 5 GIACCHETTI, La risarcibilità degli interessi legittimi è «in coltivazione», in Cons. Stato, 1999, II, 1599; P. CIRILLO, La tutela in via arbitrale delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo, in Giustizia-amministrativa.it 6 R. CARANTA, op. cit., 40.

Le critiche

Non convince la scissione tra interesse leso e diritto al ristoro

L’art. 103 Cost. rimette al G.A. la “tutela” degli interessi

Sembra riproporsi il criterio del petitum

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Di questo contesto storico, dei dubbi di tipo teorico e delle incongruenze sul versante applicativo innescate dal sistema di riparto previgente, nonchè delle aspirazioni concentrazioniste manifestate in ampi ambienti dottrinali, non può non tenersi conto in sede di lettura delle innovazioni introdotte in punto di giurisdizione dalla l. n. 205 del 2000, in specie con la riscrittura dell’art. 7, comma 3, l. n. 1034/71. 4. La terza fase: il quadro normativo delineato dalla l. n. 205 del 2000. La giurisdizione sui danni da provvedimento non impugnato o già annullato. Il legislatore del 2000, riformulando il richiamato art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, ha previsto che “il Tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”. È su questa disposizione, quindi, che occorre soffermarsi, non senza considerare che con essa continua a concorrere, in sede di delimitazione della sfera di giurisdizione spettante al giudice amministrativo sui profili risarcitori, quella dell’art. 35, co. 1, d.lgs. n. 80/98, a tenore del quale, alla stregua della nuova formulazione assunta per effetto dell’art. 7, l. n. 205/2000, “il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”. Un primo ed incontestabile passo in avanti rispetto all’assetto previgente è derivato dall’investitura del giudice amministrativo quale istanza giurisdizionale deputata a conoscere delle questioni risarcitorie anche al di fuori delle materie in relazione alle quali gli è attribuita giurisdizione esclusiva; l’enucleazione di una previsione autonoma rispetto al preesistente art. 35, co. 1, d.lgs. n. 80/98, parimenti intesa ad assegnare al giudice amministrativo il potere di conoscere tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ogni qualvolta si trovi ad operare “nell’ambito della sua giurisdizione”, rappresenta un dato normativo inequivocabilmente indicativo della chiara volontà del legislatore di estendere la capacità del giudice amministrativo di assicurare una pienezza di tutela. È questo il significato proprio dell’espresso riconoscimento in capo al giudice amministrativo, anche al di fuori del contenzioso riguardante le materie di giurisdizione esclusiva, della capacità di occuparsi, oltre che del classico rimedio demolitorio, delle azioni di tipo risarcitorio eventualmente spiccate a fronte di una medesima iniziativa dell’Amministrazione. La giurisdizione amministrativa, quindi, tende a connotarsi in termini di pienezza anche quando si tratti di giurisdizione di legittimità così superandosi almeno in parte gli evidenziati inconvenienti applicativi connessi alla attribuzione in capo a due giudici diversi di una valutazione quanto meno parzialmente coincidente, quale quella relativa alla legittimità dell’iniziativa dell’Amministrazione considerata in se´ o, nella prospettiva risarcitoria, quale fattore concorrente con altri nella ricostruzione dell’illecito contestato. Può considerarsi dunque un risultato acquisito e non superabile in via interpretativa che la disposizione in esame abbia fatta propria l’avvertita esigenza di accorpamento presso il giudice amministrativo delle forme di tutela (caducatoria e risarcitoria) attivabili a fronte dell’agere amministrativo. A questa chiarezza di obiettivi perseguiti non corrisponde, tuttavia, una linearità della formulazione testuale: è quanto ha suscitato non poche perplessità interpretative. Il principale è quello innescato dalla qualificazione del risarcimento del danno come oggetto di un diritto patrimoniale consequenziale, desumibile dall’espressione “altri diritti patrimoniali consequenziali”. Ne deriva un quadro di incertezza interpretativa atteso il dubbio che possa sopravvivere la possibilità per il giudice ordinario di pronunciare sentenze di condanna nei confronti dell’amministrazione in presenza di un provvedimento amministrativo non impugnato o non annullato o a fronte di una condotta non provvedimentale, ma la cui legittimità sia parimenti valutabile e rimediabile dal giudice amministrativo nel suo normale “ambito” di giurisdizione, quale, in particolare, un ritardo nel provvedere su una determinata istanza. Il problema interpretativo, per vero non di agevole soluzione, va affrontato utilizzando in modo congiunto i criteri propri del metodo ermeneutico, non limitandosi, quindi, ad una lettura atomizzata della più complessa formulazione normativa, tutta volta ad esaltare la valenza consequenziale almeno apparentemente ascritta alla questione risarcitoria.

Interviene la legge n. 205/2000

La dibattuta nozione di consequenzialità

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Come è stato osservato, giova considerare che la disposizione in questione risponde all’esigenza di delineare i caratteri propri dell’intera giurisdizione amministrativa (di legittimità oltre che esclusiva), improntando al connotato della pienezza la sua fisionomia; si è al cospetto, quindi, di previsione intesa ad arricchire, in un’ottica di concentrazione delle tecniche rimediali, l’ambito cognitorio e l’armamentario decisorio del giudice amministrativo, piuttosto che a risolvere la questione (per la giurisdizione di legittimità nuova, oltre che rispetto alla prima logicamente successiva e “conseguente”) dei rapporti reciproci tra le diverse azioni ora esperibili innanzi a quello stesso giudice. Ciò posto, in dottrina, sono emerse diverse letture del citato art. 7, l. TAR. Tra queste, le seguenti: a) l'aggettivo « consequenziali » non si riferisce in senso stretto alle questioni risarcitorie, sicché ogni questione risarcitoria relativa alla lesione di interessi legittimi spetterebbe al g.a. e non solo quella che segue l'annullamento di un provvedimento amministrativo; b) con la riformulazione dell’art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, si è inteso assegnare al giudice amministrativo il limitato potere di conoscere questioni di tipo risarcitorio “consequenziali” all’annullamento dell’atto restando di pertinenza della giurisdizione ordinaria le questioni risarcitorie non consequenziali o autonome ovvero quelle connesse ad iniziativa non provvedimentale, ancorché scrutinabile “nell’ambito” della giurisdizione del giudice amministrativo7; c) in una posizione intermedia quanti, pur riconoscendo che l'aggettivo « consequenziali » si riferisce alle questioni risarcitorie, riconosce alla norma un valore precettivo che non è meramente processuale ma di diritto sostanziale: « consequenziali » equivarrebbe così a « collegate » ad un provvedimento illegittimo8. Per ulteriore impostazione, il riscritto art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, reca il riconoscimento in capo al giudice amministrativo di un’ampia disponibilità del rimedio risarcitorio, esteso a tutte le ipotesi in cui il danno di cui si chiede il ristoro derivi dal sacrificio non iure di posizioni soggettive che, in quanto correlate all’esercizio del potere, valgono a giustificare la sussunzione del contenzioso azionato “nell’ambito” della giurisdizione storicamente propria del giudice amministrativo. La pretesa risarcitoria va quindi azionata innanzi al giudice amministrativo ogni qualvolta il sacrificio da ristorare si ricolleghi ad una iniziativa dell’Amministrazione il vaglio della cui legittimità è di pertinenza della giurisdizione del giudice amministrativo. Unico e dirimente requisito di cui si impone la verifica, quindi, è quello riguardante l’afferenza del contenzioso mosso avverso l’agere amministrativo “all’ambito” della giurisdizione del giudice amministrativo9. Detto altrimenti, sono necessarie due condizioni perché la domanda risarcitoria possa e debba essere conosciuta dal g.a.: da un lato, il danno di cui si chiede il ristoro deve essere “conseguenza” di un illegittimo esercizio della funzione amministrativa; dall’altro, l’iniziativa amministrativa nella quale si identifica la causa del danno deve rientrare tra quelle cui si estede la giurisdizione, di legittimità o esclusiva, del g.a. A tale impostazione hanno sostanzialmente aderito Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191, e Cass. sez. un., 13 giugno 2006, n. 13659. Con la prima pronuncia, la Corte costituzionale, intervenuta a valutare la legittimità dell’art. 53 del d.P.R. n. 327 del 2001 (si rinvia al successivo par. …. per la disamina), sostiene che “al precedente sistema che, in considerazione della natura intrinseca di diritto soggettivo della situazione giuridica conseguente all'annullamento del provvedimento amministrativo, attribuiva al giudice ordinario «le controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi» (così l'art. 35, comma 5, del d. lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall'art. 7, lettera c della legge n. 205 del 2000), il legislatore ha sostituito (appunto con l'art. 35 cit.) un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il

7 CONSOLO, Il processo amministrativo tra snellezza e “civilizzazione”, in Corr. giur., 2000, 1265 e ss.; LUISO, Pretese risarcitorie verso la pubblica amministrazione fra giudice ordinario e amministrativo, in Riv. dir. proc. 2002, 44 ss.; TRIMARCHI BANFI, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino, 2000, 43 e ss. 8 ROMANO TASSONE, Giudice amministrativo e risarcimento del danno, in ww.giust.it 9 GAROFOLI, Responsabilità dell’amministrazione e del singolo dipendente: il riparto, in CARINGELLA, GAROFOLI, Trattato di giustizia amministrativa, I, Milano, 2007.

Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191

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potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l'illegittimo esercizio della funzione”. Pur intervenendo in relazione a disciplina volta a riconoscere al giudice amministrativo cognizione sulle questioni risarcitorie nelle materie di giurisdizione esclusiva, la Corte enuncia quindi il principio, destinato ad assumere rilievo più esteso e generale, secondo cui nel sistema inaugurato dall’art. 35, d. lgs. n. 80/1998 (e poi esteso e completato dall’art. 7, co. 4, l. n. 205/2000), al giudice amministrativo è riconosciuta ormai una giurisdizione piena, sicché allo stessa spetta assicurare anche la tutela risarcitoria in tutti i casi (e i segmenti di contenzioso) rientranti nella sua giurisdizione. Ancor più significativo il passaggio con cui la Corte, premesso che «il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione», esclude che, “per ciò solo che la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, la giurisdizione competa al giudice ordinario”. Si ammette pertanto (con riferimento a casi, quali quelli c.d. di occupazione appropriativi, in cui il danno non è eziologicamente riconducibile ad un provvedimento amministrativo impugnabile) che la cognizione delle pretese risarcitorie ormai riconosciuta al giudice amministrativo si estende anche a domande non “consequenziali” all’annullamento dell’atto, essendo sufficiente (e dirimente) che le stesse abbiano ad oggetto un danno “conseguente” all’illegittimo esercizio della funzione. In termini ancor più espliciti, sul punto, si è espressa, Cass., sez. un., 13 giugno 2006, n. 13659. Giova, al riguardo, chiarire che con la citata sentenza le Sezioni unite intervengono su due questioni che, per quanto senz’altro connesse, sono tuttavia ben distinte: da un lato, quella di giurisdizione, in specie quella relativa all’individuazione del giudice innanzi al quale proporre una domanda risarcitoria non preceduta dalla previa impugnazione dell’atto lesivo; dall’altro quella, che presuppone ormai l’intervenuta soluzione della prima in favore del g.a., afferente l’ammissibilità innanzi al g.a. della pretesa risarcitoria proposta in forma autonoma (è questo il tema della c.d. pregiudizialità, per il cui esame si rinvia al successivo paragrafo….). Sul profilo di giurisdizione, le Sezioni unite ripudiano in modo esplicito gli argomenti addotti dai sostenitori la tesi c.d. civilistica i quali, muovendo dalla qualificazione in termini di diritto soggettivo della pretesa risarcitoria avente ad oggetto i danni provocati dall’amministrazione anche nell’esercizio delle funzioni, concludono sostenendo che, con gli artt. 35, d. lgs. n. 80/1998, e 7. co. 4, l. n. 205/2000, si è inteso eccezionalmente inteso assegnare al giudice amministrativo la stessa –da proporre dinanzi al giudice ordinario alla stregua dei consueti parametri di riparto- ogni qualvolta sussistano ragioni di connessione. Detto altrimenti, in omaggio ad esigenze di concentrazione processuale, si sarebbe inteso derogatoriamente assegnare al giudice amministrativo la cognizione della domanda risarcitoria solo allorché la stessa, affiancando quella di annullamento dell’atto, sia volta a chiedere la rimozione dei pregiudizi che l'annullamento stesso non ha potuto eliminare. Ne consegue che, attesa la dipendenza della tutela ulteriore di tipo risarcitorio da quella di annullamento, il giudice amministrativo potrebbe prendere in esame questioni relative al risarcimento (ed agli altri diritti patrimoniali consequenziali) solo se gli è richiesto e ritiene di concedere l'annullamento dell'atto lesivo. La concentrazione sarebbe quindi funzionale, in termini di pienezza ed effettività della tutela, alle esigenze del cittadino che chiede giustizia nei confronti della p.a., e pertanto non la si potrebbe ritenere doverosa e tale da dover essere praticata come unica via esclusiva. Il giudice amministrativo potrebbe conoscere di questioni relative al risarcimento del danno nel caso in cui il cittadino si avvalga della facoltà di richiedere a tale giudice la tutela risarcitoria congiuntamente a quella di annullamento. Se viceversa il danneggiato dall'esercizio illegittimo del potere amministrativo non si vuole avvalere, non avendone interesse, della tutela costitutiva di annullamento del provvedimento lesivo della sua posizione giuridica sostanziale, ritenendo conforme al suo concreto interesse avvalersi della sola tutela risarcitoria, si radicherebbe, sulla domanda risarcitoria proposta in forma autonoma, la giurisdizione del giudice ordinario. Seguendo la esposta tesi civilistica, pertanto, la nozione di consequenzialità di cui all’art. 7, co. 3, l. n. 1034/1971 (come riscritto dalla l. n. 205/2000), sarebbe da intendere in senso rigoroso, con assegnazione

Interviene Cass.,sez. un., 13 giugno2006, n. 13659

Il ripudio della tesic.d. civilistica

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al giudice ordinario delle pretese risarcitorie aventi ad oggetto danni da provvedimento amministrativo non impugnato o non annullato o da condotta non provvedimentale, la cui legittimità sia pure valutabile e rimediabile dal giudice amministrativo nel suo normale “ambito” di giurisdizione. La tesi civilitica non è tuttavia condivisa dalle Sezioni unite attente ad elaborare una soluzione coerente con i principi costituzionali che legano la tutela giurisdizionale offerta dai due ordini di giudici alle sole situazioni soggettive, alla luce del criterio enunciato dall'art. 103 Cost., oltre che con i valori di effettività e concentrazione delle tutele sottesi all'art. 111 Cost. In quest'ottica, il Giudice della giurisdizione osserva che alla tutela risarcitoria dell'interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione si è pervenuti non già estendendo detta tutela dai diritti soggettivi agli interessi legittimi, bensì affermando che, sul piano della tutela risarcitoria, non si può fare differenza tra interessi che trovano protezione diretta nell'ordinamento e interessi che trovano protezione attraverso l'intermediazione del potere amministrativo. Ad avviso delle Sezioni unite, la tesi "tutta civilistica" non può essere condivisa allorché disattende la svolta voluta dal legislatore di assicurare all'interesse legittimo una tutela piena, concentrata dinanzi a un unico giudice per il principio di effettività che reca in sé la ragionevolezza dei tempi di tutela. La soluzione è peraltro coerente con la riaffermazione del criterio tradizionale del riparto fondato non sulla distinzione tra le tecniche di tutela, bensì sulla natura sostanziale delle situazioni soggettive; lo è anche con il processo di evoluzione che caratterizza l'interesse legittimo, destinato ormai a perdere funzione meramente famulativa o ancillare rispetto all'interesse pubblico, per assumere un più marcato connotato sostanziale. Concludono, quindi, le Sezioni unite osservando che “la giurisdizione sulla tutela dell'interesse legittimo non può che spettare al giudice amministrativo, sia nella tecnica della tutela di annullamento, sia nelle tecniche della tutela risarcitoria, in forma specifica o per equivalente: tecniche che non possono essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione”. Per effetto della sentenza richiamata, da ultimo confermata da Cass., sez. un., 7 gennaio 2008, n. 35, anche il risarcimento del danno cagionato da provvedimento non impugnato o non annullato va quindi chiesto innanzi al Giudice amministrativo. Le Sezioni unite superano così la posizione assunta qualche mese prima in merito alla individuazione del Giudice innanzi al quale proporre l’azione risarcitoria avente ad oggetto danni da atto, sì impugnato, ma già annullato dal giudice amministrativo. Sul punto si era manifestato un netto contrasto tra Sezioni unite di Cassazione e Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Nel dettaglio, secondo Cass., sez. un., 23 gennaio 2006 n. 1207, nel caso in cui sia stata proposta una azione di risarcimento dei danni nei confronti della P.A. e non venga in contestazione il legittimo esercizio dell’attività amministrativa - come avviene nel caso in cui l’atto amministrativo sia stato annullato o revocato dall’Amministrazione nell’esercizio del suo potere di autotutela, ovvero sia stato rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo, ovvero ancora abbia esaurito i suoi effetti per il decorso del termine di efficacia ad esso assegnato dalla legge - l’azione risarcitoria rientra nella giurisdizione generale del giudice ordinario, non operando nella specie la connessione legale fra tutela demolitoria e tutela risarcitoria. La giurisdizione spetta inoltre al g.o. “nel caso in cui l’atto amministrativo … sia stato rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo … non operando nella specie la connessione legale fra tutela demolitoria e tutela risarcitoria”; le stesse Sezioni unite osservano anche che “la connessione legale tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria è peraltro subordinata all’iniziativa del ricorrente, il quale resta libero di esercitare in un unico contesto entrambe le azioni passando attraverso il giudizio di ottemperanza per ottenere il risarcimento del danno, ovvero di riservarsi l’esercizio separato dell’azione risarcitoria dopo aver ottenuto l’annullamento dell’atto o del provvedimento illegittimo, proponendo la sua domanda al giudice ordinario, cui compete in via generale la cognizione sulle posizioni di diritto soggettivo”. La posizione ha subito suscitato non poche perlessità. Si è in primo luogo osservato, sul piano delle implicazioni applicative, che l’orientamento esposto finisce per rimettere alle scelte processuali della parte privata l’individuazione del giudice del risarcimento, in definitiva dipendente dall’opzione seguita in merito alla proposizione contestuale o separata dell’iniziativa caducatoria e di quella risarcitoria. E’ quanto le stesse Sezioni unite, in un non lontano precedente, avevano ritenuto in assoluto contrasto con i principi cardine del sistema di riparto. Ed invero, nell’esaminare la pur diversa questione relativa alla proponibilità in forma autonoma e innanzi al Giudice ordinario dell’azione risarcitoria, a fronte di un atto amministrativo non impugnato nei termini decadenziali, le Sezioni unite, con ordinanza 31 marzo 2005 n. 6745, hanno espressamente osservato che l'ordinamento preclude “che la scelta del giudice possa dipendere dalla strategia processuale della parte che agisce in giudizio; ancor più perchè si rimetterebbe alla volontà delle parti il realizzare o meno quella concentrazione di tutela giudiziaria, la cui ratio è alla base della soluzione legislativa, avallata dal giudice delle leggi, che ha attribuito alla giurisdizione amministrativa anche le controversie risarcitone". L’incoerenza complessiva dell’impianto argomentativo e concettuale seguito dai Giudici della giurisdizione si complica se si considera che le stesse Sezioni unite, pur ritenendo che l’azione risarcitoria successiva al giudicato di annullamento dell’atto assuntamene lesivo debba essere proposta innanzi al G.O., ammettono anche la proposizione della stessa azione innanzi al giudice

Il superamento di Cass., sez. un., 23 gennaio 2006 n. 1207

Cons. Stato, Ad. plen., 9 febbraio 2006 n. 2

Cass., sez. un., 7 gennaio 2008, n. 35

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amministrativo, ancorché mediante ricorso per ottemperanza: si tratta di contraddizione di non poco momento, facendosi dipendere la individuazione del giudice dalla scelta che il privato intende fare tra ricorso per ottemperanza e azione risarcitoria proposta in forma ordinaria oltre che, e prima ancora, tra proposizione contestuale o disgiunta delle azioni di annullamento e di risarcimento (sul tema della proponibilità della domanda risarcitoria per la prima volta in sede di ottemperanza cfr. il successivo paragrafo…..). Si consideri, del resto, che l’avviso espresso dalle Sezioni unite nella sentenza n. 1207/2006 era già stato disatteso da Cons. Stato, Ad. plen., 9 febbraio 2006 n. 2. La scelta di un momento successivo per prospettare la domanda di risarcimento del danno non giustifica – osservano i giudici amministrativi- una diversa competenza giurisdizionale. Né sul piano logico-sistematico, perché si mostra inaccettabile, in via di principio, una tesi che lasci al ricorrente la scelta del giudice competente, proponendo insieme o distintamente le due domande, senza che mutino i presupposti di fatto e di diritto sui quali si fondano. 5. La quarta fase: interviene Corte Cost. n. 204/2004. La tormentata nozione di “comportamento” L’ultima fase dell’evoluzione ordinamentale ha inizio con la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, intervenuta sulla questione relativa alla compatibilità degli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998, con l’art. 103 della Carta fondamentale a tenore della quale le ipotesi di giurisdizione esclusiva possono essere dal legislatore fissate solo limitatamente a “particolari materie” (per un esame approfondito si rinvia al capitolo…..). Ad avviso della Corte, il legislatore ordinario non ha il potere di prevedere una giurisdizione esclusiva del g.a. "ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse". L'art. 103, comma 1, Cost. dunque, lungi dal consentire una qualsivoglia evoluzione degli assetti giurisdizionali, frappone un preciso limite alla discrezionalità legislativa, imponendo che sia considerata la natura delle situazioni soggettive coinvolte e non il mero dato, puramente oggettivo, delle materie. Tale necessario collegamento delle materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive sarebbe espresso dall’art. 103 Cost. laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: devono quindi partecipare della loro medesima natura. Il legislatore ordinario ben può ampliare quindi l’area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità: con il che è escluso, da un lato, che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo, dall’altro lato, che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo. Muovendo da queste premesse, la Corte, sull’assunto della necessaria inerenza all’esercizio del potere della controversia vagliabile dal g.a., ha tra l’altro dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, d. lgs. n. 80/1998, nella parte in cui devolveva alla giurisdizione esclusiva del G.A. tutte le controversie in materia di urbanistica e edilizia, comprese quelle riguardanti “comportamenti”. Con la stessa sentenza, peraltro, la Corte ha viceversa ritenuto compatibile con il quadro costituzionale l’art. 35, d. lgs. n. 80/1998: premesso, infatti, che siffatta disposizione, nel riconoscere al g.a. il potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, non costituisce sotto alcun profilo una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, la Corte osserva che l’attribuzione di tale potere, oltre ad essere in linea con il riconoscimento costituzionale di piena dignità di giudice al Consiglio di Stato, affonda le sue radici nella previsione dell'art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri. Il superamento della regola, che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l'eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l'art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di derivazione comunitaria), costituisce dunque –ad avviso della Corte- “null'altro che attuazione del precetto di cui all'art. 24 Cost.”.

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La sentenza n. 204/2004, nel pretendere l’inerenza all’esercizio del potere della controversia di cui può conoscere, anche in sede di giurisdizione esclusiva, il G.A., e nell’escludere quindi che quest’ultimo possa occuparsi del contenzioso involgenti i “comportamenti” e le relative implicazioni risarcitorie, ha dato adito a non poche dispute, in larga parte svoltesi attorno alla perimetrazione della nozione di “comportamento”, come tale sottratto all’ambito cognitorio del giudice amministrativo. Ci si è così chiesti, per esempio, se derivino o meno da un “comportamento” i danni eziologicamenmte riconducili al silenzio dell’amministrazione, alla condotta scorretta tenuta dalla stazione appaltante nella gestione della procedura di evidenza pubblica, alle c.d. occupazioni, all’omesso esercizio del potere-dovere di vigilanza spettante alla Consob. Si è per lo più ritenuto, al riguardo, che nel pensiero dei giudici costituzionali il comportamento, quello cioè di cui il giudice amministrativo non deve occuparsi, non è il “non atto”, ma l’intervento non autoritativo dell’Amministrazione. Detto altrimenti, premesso che non vi è comportamento laddove non vi sia esercizio del potere, occorre prendere atto del fatto che non sempre l’esercizio del potere si materializza nell’adozione di una determinazione provvedimentale. L’eliminazione dal testo dell’art. 34 del riferimento ai comportamenti ha costituito infatti la logica conseguenza del principio secondo cui la giurisdizione esclusiva può radicarsi solo a condizione che nella vicenda l’amministrazione agisca come autorità. Il comportamento, allora, è il contrario di autorità, non già di atto o provvedimento. Del resto, l’assunto è ancor più persuasivo se si considera che la cancellazione del riferimento ai comportamenti ha avuto luogo con riferimento ad un settore, quello dell’edilizia e dell’espropriazione (ricompresa nella nozione lata di urbanistica), nel quale non è certo infrequente che l’Amministrazione ponga in essere meri comportamenti materiali, quali un’occupazione protratta al di là dei termini consentiti o uno sconfinamento nel fondo confinante in sede di esecuzione dei lavori. Con maggiore impegno esplicativo, non può escludersi che l’Amministrazione agisca con modalità autoritative, senza tuttavia adottare alcuna determinazione attizia: non si sarà al cospetto, in tali ipotesi, di un “comportamento” dell’amministrazione, ma di un intervento autoritativo, ancorché non materializzatosi nell’adozione di una determinazione provvedimentale . All’interno della nozione di comportamento, occorre allora distinguere tra comportamenti in senso stretto (questi, certo, sottratti, alla cognizione del g.a.) e comportamenti “amministrativi”, per tali dovendosi intendere quelle condotte dell’amministrazione, non destinate a sfociare nell’adozione di un atto, e ciò nonostante legate doppio all’esercizio del potere. Si è chiarito quindi che, nell’ambito della nozione di “comportamento”, è necessario distinguere tra comportamenti in senso tecnico, per tali intendendosi le condotte dell’Amministrazione del tutto svincolate dall’esercizio del potere, dai comportamenti c.d. “amministrativi”che, collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, continuano a rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo. La distinzione tra comportamenti meri e amministrativi è fatta propria da Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191, chiamata come è noto a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 53 del d.P.R. n. 327 del 2001, nella parte in cui riproducendo in parte il contenuto dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, assegna alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie nella materia dell’espropriazione involgenti, non solo atti, provvedimenti e accordi, ma anche “comportamenti” della pubblica amministrazione. La previsione – osservano i giudici costituzionali- è costituzionalmente illegittima là dove, prescindendo da ogni qualificazione di tali “comportamenti”, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo controversie nelle quali sia parte − e per ciò solo che essa è parte − la pubblica amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell'amministrazione piuttosto che l'organo di garanzia della giustizia nell'amministrazione (art. 100 Cost.). Viceversa, nelle ipotesi in cui i “comportamenti” causativi di danno ingiusto –nella specie, la realizzazione dell'opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali “comportamenti” esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione.

L’inerenza al potere del contenzioso del G.A. e la discussa nozione di “comportamento”

Comportamenti meri e amministrativi

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Per la Corte, quindi, deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” (di impossessamento del bene altrui) collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di “comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto. A tale ormai acquisita distinzione tra comportamento mero e comportamento amministrativo la giurisprudenza ricorre, ormai da tempo, per dare soluzione a numerosi problemi di riparto sorti con riferimento a talune controversie risarcitorie che si connotano per avere ad oggetto danni non eziologicamente riconducibili ad un provvedimento dell’amministrazione: vengono in considerazione il danno da silenzio, da responsabilità precontrattuale, da omessa vigilanza Consob, da occupazioni, acqusitive, usurpative e usurpative c.d. spurie. 6. Ipotesi applicative. Ricostruito il quadro normativo e preso atto delle sue tappe evolutive, è opportuno soffermarsi sulle tipologie di pretese risarcitorie che, più di altre, hanno dato adito a contrasti interpretaivi. 6.1. Danno da silenzio All’indomani della richiamata sentenza n. 204/2004 della Corte costituzionale, ci si è chiesti se ancora innanzi al giudice amministrativo debbano essere portate le pretese risarcitorie aventi ad oggetto danni derivanti non già da determinazioni attizie della P.A., bensì dal silenzio dalla stessa serbato sull’istanza del privato o dal ritardo con cui è stato definito il procedimento. La questione è stata sottoposta al vaglio dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato da Cons. Stato, sez. IV, n. 875 del 7 marzo 2005 su cui l’Adunanza è intervenuta con sentenza 15 settembre 2005, n. 7: si trattava, nel caso di specie, di ritardo nella definizione di istanze volte ad ottenere il rilascio di concessioni edilizie (per l’esame del profilo sostanziale relativo alla ristorabilità del danno da silenzio o ritardo , si rinvia al Capitolo precedente, par. …). I Giudici della quarta Sezione, con la citata ordinanza n. 875 del 7 marzo 2005, muovendo dal presupposto per cui, a seguito di Corte Cost. 204/04, “è l’inerenza dell’attività contestata all’esercizio di un potere pubblico a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”, osservano che l'omesso esercizio del potere - sia che venga sindacato al fine di ottenere il provvedimento sia che se ne lamenti l'illegittimità a fini risarcitori - costituisce la fattispecie speculare del suo esercizio (che a sua volta può dar luogo a un provvedimento positivo o negativo), la quale non sembra poter essere trattata alla stregua di un mero comportamento, svincolato dall'esercizio di un potere autoritativo (sia in concreto sia in astratto), cui consegue la devoluzione della controversia al giudice ordinario. In altri termini, non sembra esatto né ragionevole devolvere a giudici diversi controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento espresso, positivo o negativo, e la contestazione dell’omissione o del ritardo nel provvedere. Più in particolare, non sembra corretto né ragionevole devolvere a giudici diversi il giudizio sul danno conseguente all’illegittimità del provvedimento negativo e il giudizio sul danno da omesso o ritardato provvedimento. Invero, nella seconda ipotesi, l’interesse legittimo pretensivo attiene alla medesima posizione sostanziale lesa dal provvedimento negativo, riguardata in un diverso momento dell’esercizio del potere; sicché l’azione per il risarcimento del danno subito non può che essere portata dinanzi al medesimo giudice della situazione sostanziale lesa, per la cui riparazione il rimedio risarcitorio ha carattere strumentale. D’altra parte, rimarca la quarta Sezione, nessuno dubiterebbe della sussistenza della giurisdizione amministrativa in caso di provvedimento di diniego; né – ritiene la Sezione - della conseguente giurisdizione del giudice amministrativo per i danni derivanti dall’illegittimo diniego. Non sembra allora coerente con il disposto della legge n. 205, come interpretato e corretto dalla sentenza n. 204, ritenere che l’omesso esercizio del potere, e il danno che in tesi ne deriva, debba seguire sorte diversa in punto di giurisdizione. Alle esposte argomentazioni la Sezione remittente affianca quella volta a rimarcare una scontata esigenza di concentrazione processuale. Non può escludersi, infatti, che la parte agisca sia per il rilascio del titolo che per il risarcimento del danno, sicché appare irragionevolmente violare il principio di concentrazione della tutela ipotizzare che il cittadino debba chiedere il rilascio del titolo al giudice amministrativo e il risarcimento del danno al giudice ordinario: si è in presenza di un concorso di azioni attinenti alla medesima posizione sostanziale, che

Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 2005, n. 875

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inerisce a un potere amministrativo di natura autoritativa; potrà discutersi su presupposti di esperibilità delle azioni (in termini di pregiudizialità, di alternatività o di cumulabilità, su cui infra cap……), ma dinanzi allo stesso giudice competente a sindacare quel potere autoritativo. Allo stesso esito perviene l’Adunanza plenaria sia pure sulla scorta di un più contenuto apparato motivazionale. Ad avviso del massimo Consesso della Giustizia amministrativa, infatti, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso con il quale si lamenta il ritardo nella definizione da parte della P.A. di alcune richiesta di rilascio di titoli autorizzativi edilizi e si chiede il risarcimento del danno da ritardo; ciò sul rilievo per cui il ritardo nell’esercizio del potere non integra concettualmente un “comportamento” della P.A. invasivo di diritti soggettivi del privato in violazione del “neminem laedere”, essendosi piuttosto in presenza della diversa ipotesi del mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo della autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative. Si è, perciò, al cospetto di interessi legittimi pretesivi del privato, che ricadono, per loro intrinseca natura, nella giurisdizione del giudice amministrativo ( e, trattandosi della materia urbanistico-edilizia, nella sua giurisdizione esclusiva). Solo cinque mesi prima della decisione dell’Adunanza Plenaria, del resto, anche la Corte di Cassazione, con sentenza n. 6745 del 31 marzo 2005, aveva riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo sul danno da ritardo, affermando che in materia edilizia ed urbanistica, l’art. 35 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, nel testo novellato dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, esclude la concorrenza delle due giurisdizioni, ordinaria e amministrativa, nell’area di risarcimento del danno da esercizio di poteri amministrativi; spetta pertanto al giudice amministrativo, anche dopo la sentenza della corte costituzionale del 6 luglio 2004 n. 204 e del 28 luglio 2004 n. 281, conoscere della domanda con cui il privato chieda, previo accertamento del colpevole ritardo del comune nel rilascio di una concessione edilizia in sanatoria, la condanna dell’ente locale al risarcimento dei danni”. L’orientamento ha ricevuto l’avallo della Cassazione che, con le ordinanze nn. 13659 e 13660 del giugno 2006, nell’affermare la giurisdizione del giudice amministrativo sui danni da provvedimento, ha sottolineato, in conformità con la Plenaria, che appaiono riconducibili alla giurisdizione del giudice amministrativo i casi in cui la lesione di una situazione soggettiva dell’interessato è postulata come conseguenza d’un comportamento inerte, si tratti di ritardo nell’emissione di un provvedimento risultato favorevole o di silenzio. 6.2. Danno da responsabilità precontrattuale Dibattuta la questione dell’individuazione del giudice innanzi al quale prospettare azioni volte a far valere la responsabilità precontrattuale della P.A. (sull’ammissibilità di una responsabilità precontrattuale della P.A. si rinvia al Capitolo precedente, par. …). La questione è stata sottoposta al vaglio della Plenaria dalla quarta Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza n. 920 del 2005, intervenuta in relazione alla responsabilità precontrattuale in cui incorre la stazione appaltante che, indetta la gara e avvedutasi della sopravvenuta carenza dei fondi necessari per pagare il futuro aggiudicatario, prosegue nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare la disposta aggiudicazione: il danno, causalmente non riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, trova invece la sua causa nella condotta omissiva dall’amministrazione tenuta nella gestione della gara. Nell’esame dell’esposto problema di giurisdizione è consentito distinguere tre distinte fasi evolutive. Prima dell’entrata in vigore dell’art. 6, l. n. 205/2000 (che, come è noto assegna alla giurisdizione esclusiva del g.a. tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale), la giurisprudenza della Suprema Corte riteneva spettante al giudice ordinario il contenzioso in tema di responsabilità precontrattuale della P.A. qualora la stessa amministrazione, col suo comportamento, abbia ingenerato nei terzi, anche se per mera colpa, un ragionevole affidamento poi andato deluso in ordine alla conclusione del contratto. A tale sito la giurisprudenza perveniva seguendo due distinti, e tra loro talvolta alternativi, percorsi logici.

Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre2005, n. 7

Cass., sez. un., 31 marzo 2005, n. 6745

Cass., sez. un., nn. 13659 e 13660 del 2006

Le tre fasi

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Su un primo versante, si collocava quell’indirizzo inteso a valorizzare la natura di diritto soggettivo da riconoscere alla pretesa al risarcimento del danno precontrattuale10. Su altro fronte, l’orientamento11 che, ritenendo irrilevante la previa qualificazione della posizione soggettiva del privato, rimarcava l’inerenza di siffatta tipologia di contenzioso non già ad atti o provvedimenti della procedura, o relativi all'individuazione del contraente a seguito dell' aggiudicazione, o all' aggiudicazione stessa, ma unicamente al comportamento di ingiustificato recesso delle trattative. La seconda fase è quella che prende avvio con l’ entrata in vigore del citato art. 6, l. n. 205/2000: si è quindi ritenuto che rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche il contenzioso in tema di responsabilità precontrattuale. La fondatezza di tale impostazione va oggi verificata alla luce della sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204. Due le tesi emerse nel dibattito giurisprudenziale. Per un primo indirizzo, la fattispecie precontrattuale, quale ipotesi in cui la lesione è sostanzialmente ricollegabile ad un mero comportamento della P.A. non conforme al precetto di buona fede, appartiene alla cognizione del g.o. All’Amministrazione si addebita, invero, non tanto la violazione di norme di azione o lo scostamento da specifiche scansioni procedimentali quanto piuttosto il venir meno all’obbligo relazionale di buona fede, che avrebbe imposto di manifestare tempestivamente l’eventualità del recesso, almeno avvertendo la controparte e ponendola quindi in condizione di non limitare a quell’unica trattativa le sue iniziative imprenditoriali. Vista in questa ottica, la fattispecie della responsabilità precontrattuale viene allora a riguardare – quando coinvolge la P.A. - aspetti non soltanto diversi da quelli relativi alla violazione delle norme sull’evidenza pubblica ma soprattutto ulteriori (o esterni) rispetto a quelli specificamente desumibili dalla disciplina del procedimento e quindi si sviluppa in un’area non coperta da altre disposizioni normative che non siano quelle generali dell’art. 1337 c. c.. Ai fini della giurisdizione, non rileverebbe la natura peculiare del rapporto tra amministrazione e impresa instauratosi con le trattative ma il diritto di questa a pretendere dalla autorità pubblica (come da ogni controparte) un comportamento in contrahendo ispirato al rispetto di quel canone di buona fede già prefissato dall’art. 1337 c. c. Per una seconda, e oggi senza dubbio prevalente, posizione, il giudice amministrativo conserva giurisdizione sulle controversie risarcitorie in esame: ciò sulla scorta di diverse ragioni. Si osserva, in primo luogo, che di norma la procedura di affidamento viene a concludersi ( e cioè a produrre effetti giuridici vincolanti anche per la P.A.) solo con la stipula del contratto ed anzi secondo le regole di contabilità solo con l’approvazione dello stesso, salvi i casi (oggi in sintesi da ritenersi residuali) di aggiudicazione immediatamente vincolante per entrambe le parti, nei quali il contratto formale avrebbe valenza meramente riproduttiva. Ne consegue che il diniego di stipula del contratto (o di approvazione dello stesso e a maggior ragione l’annullamento della gara) sono atti interni alla procedura di affidamento, rispetto alla quale sussiste appunto la giurisdizione esclusiva. Si rimarca, inoltre, che la fase del procedimento seguente all’aggiudicazione non può essere ricostruita in termini solo negoziali (di offerta e accettazione fra soggetti pariordinati) ma resta gestita dalla p.a. su parametri tendenzialmente autoritativi. In termini sostanziali, nei rapporti tra privati la buona fede in contrahendo coniuga, per il tramite di obblighi tipici di lealtà e salvaguardia, due esigenze di pari livello, la libertà negoziale e la solidarietà contrattuale; invece nelle “trattative” tra l’operatore economico e la Pubblica Amministrazione si tratta di verificare – sia pure applicando la clausola di correttezza – il contemperamento tra esigenze non equiordinate, quelle di tutela dell’affidamento e quelle che impongono alla stessa P.A. il perseguimento senza soluzione di continuità del pubblico interesse. Infine, sul versante più squisitamente processuale, le controversie risarcitorie in esame sono normalmente azionate in via subordinata alla contestuale impugnazione dell’atto autoritativo: di talché non sembrerebbe congruo individuare il giudice fornito di giurisdizione secundum eventum, e quindi mantenerle al g.a. nel caso

10 Cass., sez. un., 26 giugno .2003, n. 10160. 11 Sostenuto da Cass., sez. un., 16 luglio 2001, n 9645, e 19 novembre 2002, n. 16319.

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di annullamento dell’atto o rinviarle al g.o. nel caso (che innesca appunto la vera controversia precontrattuale) di infruttoso esperimento dell’impugnazione. Alla seconda impostazione aderisce l’Adunanza plenaria. Richiamato l’art. 6 della legge 21 luglio 2000 n. 205, e osservato che per effetto di tale previsione il giudice amministrativo non è oggi più chiamato a conoscere delle sole controversie rivolte a garantire la tutela degli interessi legittimi (di regola pretensivi) del privato attraverso l'annullamento di atti, ma anche degli affidamenti suscitati nel privato, i Giudici della Plenaria sostengono che nessuna influenza esercita in relazione alla giurisdizione esclusiva in tema di scelta del contraente di cui all'art. 6 della legge n. 205 del 2000 citata la decisione n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale. In primo luogo, infatti, la detta pronuncia investe tutt'altra normativa: non l'art. 6 della legge n. 205 del 2000 (non inciso), ma l'art. 7 della stessa legge che ha modificato l'originaria versione negli artt. 33 e 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998 relativi alla giurisdizione esclusiva in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici. Né –osserva il massimo Consesso- i principi, di rango costituzionale, in tema di giurisdizione esclusiva enunciati dalla citata decisione della Corte possono indurre a sospettare di illegittimità costituzionale il cit. art. 6 della legge n. 205 del 2000. Ed invero, la giurisdizione esclusiva, configurata da quest'ultima disposizione (le procedure di evidenza pubblica tese alla ricerca dell'aggiudicatario negli appalti di lavori servizi e forniture), conduce alla identificazione di un'area nella quale sono in campo interessi legittimi e diritti soggettivi in correlazione tra di loro. Il legislatore del 2000, dando vita, con l'art. 6, ad una disciplina non dissimile da quella prevista per gli atti degradatori in area di urbanistica e di edilizia (l'art. 34 del D.L.vo n. 80 del 1998 nella versione di cui all'art. 7 della legge n. 205 del 2000), prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle controversie relative a interessi legittimi della fase pubblicistica sia delle controversie di carattere risarcitorio relative a diritti soggettivi traenti origine dalla caducazione di provvedimenti della fase pubblicistica (le pretese per responsabilità precontrattuale). Sussiste, quindi, con riferimento alla giurisdizione ora in esame quella situazione di interferenza tra diritti soggettivi e interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere che si pongono come conditio sine qua non - secondo la Corte - per la legittimità costituzionale delle aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo.” In termini, di recente, Tar Lazio, 10 settembre 2007, n. 8761, secondo cui, in tema di responsabilità precontrattuale, la natura della posizione giuridica soggettiva vantata (diritto soggettivo scaturente dalla violazione della libertà negoziale) non consente una traslazione della giurisdizione dinanzi al giudice ordinario in presenza del disposto dell’art. 6, l. n. 205/2000 che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “tutte le controversie tra privato e pubblica amministrazione riguardanti la fase anteriore alla stipula dei contratti di lavori, forniture e servizi”. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo deve ritenersi estesa, infatti, a tutta la fase dell’affidamento rispetto alla quale devono ritenersi rientrare anche i momenti che precedono – pur successivamente alla aggiudicazione – la stipulazione del contratto in senso proprio. 6.3. Danni da omessa vigilanza Consob Difficoltà nella soluzione del profilo di giurisdizione si sono registrate in relazione ad un’ulteriore fattispecie risarcitoria, quella avente ad oggetto i danni subiti dai risparmiatori a causa della mancata vigilanza spettante alla Consob nel settore del mercato mobiliare. Quanto alla astratta ammissibilità di siffatta responsabilità, la stessa va senz’altro riconosciuta, tanto più dopo la svolta segnata dalla sentenza delle Sezioni unite n. 500/99, per quel che riguarda le lesioni arrecate direttamente ai soggetti sottoposti all’esercizio delle attività di vigilanza e controllo: anche a voler qualificare come di interesse la posizione di chi è assoggettato all’espletamento di tali compiti istituzionalmente ascritti alle autorità, la responsabilità di tipo risarcitorio non può essere più pregiudizialmente esclusa. Ad un esito positivo la giurisprudenza è ormai giunta, peraltro, anche per quel che attiene alla differente questione della responsabilità per i danni derivanti dall’illegittima omissione o carenza del dovuto

Interviene Cons.Stato, Ad. plen., 5settembre 2005, n.6, ad affermare lagiurisdizione delG.A.

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controllo in capo ai soggetti dall’ordinamento tutelati mediante l’istituzione degli organismi di vigilanza, quali consumatori, risparmiatori, utenti. Senza esaminare la difficile questione relativa alla definizione della natura giuridica ascrivibile alla posizione soggettiva dagli stessi vantata, probabilmente sussumibile nella categoria dell’interesse all’integrità patrimoniale, anziché in quella dell’interesse legittimo (non essendo agevole qualificarla come situazione di interesse differenziato alla legittimità dell’azione amministrativa), la Suprema corte ha infatti ammessa la ipotizzabilità di una responsabilità della Consob per i danni subiti dai risparmiatori coinvolti in operazioni di sottoscrizione di titoli azionari in relazione alle quali l’organo di vigilanza non abbia esercitato i riconosciuti poteri di vigilanza12. Quanto ai profili di giurisdizione, giova premettere che la sentenza della Consulta n. 204/2004, pur incidendo in senso fortemente manipolativo sul primo comma dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, ha lasciato intatta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie relative alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché per quelle afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare. Il persistente riferimento alla vigilanza ha suscitato qualche perplessità in merito all’attitudine della sentenza della Consulta a rompere gli equilibri giurisdizionali che sembravano raggiunti sulla problematica afferente la responsabilità risarcitoria delle Autorità di vigilanza: si pensi alla responsabilità della Consob per i danni arrecati ai risparmiatori a causa dell’omesso controllo sulla veridicità e completezza dei prospetti informativi. La questione era stata esaminata, prima che la Corte costituzionale intervenisse nel 2004, da Cass., Sez. un. 2 maggio 2003, n. 6719, che ha affermato al riguardo la giurisdizione del giudice ordinario facendo però leva sul limite frapposto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’ormai cancellato art. 33, comma 2, lett. e, d. lgs. n. 80/1998, e dal riferimento nello stesso contenuto alle “controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose”. Ad avviso del giudice della giurisdizione, invero, “la ragione per cui un tale tipo di controversie resta … alla giurisdizione ordinaria e non è devoluta ala giurisdizione esclusiva, pur se si genera nell’area delle attività riconducibili alla nozione di pubblico servizio, è da vedere … nel fatto che il risarcimento non si presenta come mezzo di completamento della tutela, .., ma è l’unico mezzo di tutela che l’ordinamento offre a soggetti rimasti danneggiati per colpa del titolare del servizio, in occasione dell’esercizio di poteri e dello svolgimento dell’attività in cui il pubblico servizio si svolge”. All’indomani della sentenza n. 204/2004, ci si è chiesti se la conclusione cui le Sezioni unite sono pervenute nel 2003 possa ancora reggere ad onta della intervenuta decapitazione dell’intero comma secondo dell’art. 33 e del riferimento quindi, contenuto nella lett. e, alle “controversie meramente risarcitorie” quale limite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: per un apparente paradosso, è stata rimessa in discussione la illustrata questione di giurisdizione. Anche dopo Corte cost. n. 204/2004, del resto, resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie involgenti l’attività di vigilanza (art. 33, comma 1, nuova ed ultima formulazione): previsione, questa, da applicare in uno al successivo art. 35, d. lgs. n. 80/1998, inteso ad ascrivere al giudice amministrativo cognizione sulle questioni risarcitorie sorte nelle materie attratte alla sua giurisdizione esclusiva. A differente conclusione sono al riguardo pervenute nel 2005 le Sezioni unite di Cassazione (29 luglio 2005 n. 15916) che, nel ribadire la giurisdizione ordinaria, sostengono la non configurabilità, nei rapporti tra il risparmiatore e l’Autorità di vigilanza, di situazioni di interesse legittimo, sicché manca il presupposto perché le controversie ad essi relative possano essere devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 33 del d. lgs. 80/98, come modificato con la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004. Il principale argomento su cui ruota il percorso motivazionale seguito dai Giudici della giurisdizione è quello volto ad evidenziare che la posizione dei risparmiatori è ben distinta da quella di cui sono titolari i “soggetti abilitati” in relazione ai quali la Consob è titolare di una serie di "poteri" attraverso il cui esercizio

12 Cass., 3 marzo 2001, n. 3132, in Resp. civ. prev., 2001, con nota di R. CARANTA, Responsabilità della CONSOB per mancata vigilanza e futuri problemi di giurisdizione.

1. La soluzione prima di Corte cost. n. 204/2004: Cass., sez. un., 2 maggio 2003, n. 6719

2. Interviene Cortecost. n. 204/2004

3. Cass., sez. un.,29 luglio 2005, n.15916, ribadisce lagiurisdizione delG.O.

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assicura che i loro comportamenti siano "trasparenti e corretti" e che la loro gestione sia "sana e prudente" (artt. 5 e 91, d.lgs., 24 febbraio 1998, n. 58). La posizione di tali soggetti, rispetto all'Autorità di vigilanza, si puntualizza in situazioni soggettive correlate all'esercizio dei poteri di vigilanza che si configurano, in linea di massima, come "interessi legittimi". Viceversa, sui risparmiatori l'Autorità di vigilanza non esercita alcun "potere", trattandosi di soggetti che tale Autorità è invece tenuta a tutelare (artt. 5 e 91, d.lgs. 58/98). La posizione dei risparmiatori nei confronti dell'Autorità di vigilanza assume conseguentemente la consistenza di un diritto soggettivo; diritto che, non essendo collegato ad alcuna relazione di potere con la pubblica amministrazione, in caso di violazione, deve essere tutelato innanzi al giudice ordinario. Tanto più quando, come nel caso di specie, l'azione proposta trovi il suo fondamento all'esercizio di un "comportamento" illecito della pubblica amministrazione e sia diretta a conseguire il risarcimento dei danni subiti. Né, del resto, ad avviso delle Sezioni unite, l’abolizione del riferimento della lettera e) dell’art. 33 alle “controversie meramente risarcitorie” può comportare alcun cambiamento. La caducazione di tale limite, infatti, non comporta certo che ora suddette controversie rientrino nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma rappresenta l’abolizione di un confine inutile ora che non vi è più un’attribuzione generalizzata a quest’ultimo giudice di una indeterminata serie di controversie in materia di pubblici servizi. Avendo, infatti, la Corte Costituzionale ristretto le maglie della giurisdizione esclusiva del G.A. a quelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione agisca in veste autoritativa è evidente che l’indicazione del limite delle controversie meramente risarcitorie è totalmente superflua. In esse, infatti, non può mai essere coinvolta l’amministrazione come autorità e, conseguentemente, la giurisdizione non può che essere affidata al giudice ordinario. Ciò avviene a maggior ragione nelle controversie ove “il risarcimento del danno rappresenta non uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello demolitorio e/o conformativo del giudice amministrativo ma costituisce l’unico mezzo di tutela che l’ordinamento offre a soggetti rimasti danneggiati per colpa del titolare del servizio in occasione dell’esercizio dei poteri e dello svolgimento dell’attività in cui il pubblico servizio si risolve”. 6.4. Danno da occupazioni. Un delicato problema di riparto si è posto ancora per le domande risarcitorie aventi ad oggetto i danni da c.d. occupazione. Il problema ha assunto caratteri di particolare difficoltà in considerazione della necessità di distinguere tra le differenti forme di occupazione (appropriativa, usurpativa, usurpativa c.d. spuria; per l’esame degli istituti si rinvia al Capitolo …, par. …). Anche al riguardo, è opportuno articolare l’analisi ricostruendo il dibattito svoltosi prima e dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004. Nella fase precedente, il problema di riparto si è posto con l’entrata in vigore dell’art. 34, d. lgs. n. 80/1998, che nella originaria formulazione devolveva alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia”. Dopo non poche oscillazioni interpretative, le Sezioni unite di Cassazione, con ord. 25 maggio 2000, n. 43, sul presupposto della riconducibilità delle controversie in tema di occupazione appropriativa nell’alveo di efficacia dell’art. 34, d.l.gs. n. 80/98, hanno tacciato la stessa disposizione di contrasto con l’art. 76 Cost. per eccesso di delega nella parte in cui devolve al giudice amministrativo le controversie relative a diritti soggettivi connessi a comportamenti materiali dell’amministrazione in procedure espropriative: ad avviso della Suprema corte nella legge delegata mancherebbe ogni accenno ai diritti scaturenti da comportamenti dell’amministrazione13.

13 In Foro it., 2000, I, 2143, con osservazioni di G. DE MARZO, Le procedure espropriative e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia urbanistica ed edilizia.

1. Il dibattito anteCorte cost. n.204/2004

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A tale esito interpretativo era per vero consentito giungere sulla scorta di una pluralità di argomenti. Oltre all’espresso riferimento ai “comportamenti” contenuto nel primo comma della citata disposizione, infatti, militano in favore della tesi estensiva almeno due considerazioni, entrambe desunte dalla formulazione testuale della previsione in esame. Da un lato, la materia urbanistica, ai sensi dello stesso art. 34, co. 2, d.lgs. n. 80/98, comprende “tutti gli aspetti dell’uso del territorio”: si tratta, quindi, di nozione volutamente ampia della materia, intesa a ricomprendere non solo il momento propriamente programmatorio, ma anche quello per così dire gestionale. La descritta nozione di urbanistica è ampia al punto da assorbire tutti gli aspetti dell’uso del territorio. Essa si estende ai procedimenti di esproprio, comprensivi sia della dichiarazione di pubblica utilità, sia degli atti di occupazione d’urgenza e relativi comportamenti esecutivi, come confermato da due argomenti entrambi decisivi, l’uno di carattere letterale e l’altro teleologico. Il primo è quello desunto dal successivo comma 3 dell’art. 34, che espressamente sottrae alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di indennità derivanti da atti di natura espropriativa od ablativa. La circostanza che il legislatore abbia avvertito l’esigenza di introdurre questa precisazione conferma la precisa intenzione di assegnare alla materia urbanistica la latitudine necessaria a coprire anche il procedimento di espropriazione. D’altra parte, il riferimento alle sole controversie in materia di indennità non è idoneo a ricomprendere il contenzioso in tema di occupazione invertita, fonte di un obbligo di risarcimento e non di mero indennizzo. Sul versante teleologico non può non sottolinearsi lo stretto legame che intercorre tra la materia urbanistica e quella dell’espropriazione. Una diversa scelta sarebbe stata difficilmente compatibile con l’esigenza di concentrazione e coordinamento di controversie tra loro collegate, oltre che con le ragioni stesse sottese alla creazione di forme di giurisdizione esclusiva, volte a neutralizzare la difficoltà e la confusione innescate da criteri insicuri di riparto della giurisdizione in settori cruciali (C. St, IV sez., 15 giugno 2001, n. 3169). Concludendo, l’espressa indicazione dei comportamenti, oltre che degli atti e dei provvedimenti, quale oggetto del settore contenzioso devoluto alla nuova giurisdizione esclusiva ex art. 34, d.lgs. n. 80/98 e la possibilità di ricomprendere anche la materia espropriativa nella lata nozione di urbanistica fornita dalla medesima previsione inducevano a ritenere appartenente al giudice amministrativo ai sensi degli artt. 34 e 35, d.lgs. n. 80/98, le controversie innescate dai fenomeni di occupazione acquisitiva, ivi compresi i profili risarcitori. Sullo sfondo, tuttavia, l’assunto della stretta interferenza tra la materia urbanistica, di cui l’art. 34, co. 2, fornisce una nozione molto ampia, comprensiva di “tutti gli aspetti dell’uso del territorio”, e quella espropriativa, così ricompresa nella prima quale momento di attuazione delle più ampie scelte programmatorie. Proprio la difficoltà di ravvisare tale stretta connessione con la fase di vera e propria programmazione ha indotto a dubitare circa la riconducibilità entro l’ambito di efficacia dell’art. 34, d.lgs. n. 80/98, del contenzioso riguardante l’occupazione non acquisitiva, bensì quella usurpativa, caratterizzata dalla mancanza di dichiarazione di pubblica utilità In caso di occupazione usurpativa non è agevole infatti configurare il comportamento dell’amministrazione come momento di attuazione della gestione territoriale. In tale direzione si era orientato il Consiglio di Stato secondo cui, in difetto di una valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità dell’opera in ragione della quale è stata disposta l’espropriazione di un fondo, non si realizza il fenomeno della c.d. accessione invertita, ma soltanto un fatto illecito, generatore di danno, in relazione al quale, quindi, si radica la giurisdizione del giudice ordinario14. Dirompenti le conseguenze derivanti dalla sentenza della Corte cost. n. 204/2004 sul dibattito illustrato. Subito dopo Corte cost. n. 204/2004, le Sezioni unite di Cassazione hanno a più riprese sostenuto l’attrazione alla giurisdizione ordinaria non solo del contenzioso riguardante le occupazioni c.d. usurpative (per vero ascritte al giudice ordinario già prima della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 34, d. lgs. n. 80/1998), ma anche quello concernenti i danni da c.d. occupazione appropriativi15. In senso nettamente contrario si è orientata la prevalente giurisprudenza amministrativa. Con riferimento ai danni da occupazione appropriativa, CGA, Sez. giurisdizionale, 11 aprile 2005, n. 201, ha rimesso alla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato un ricorso diretto ad ottenere il risarcimento del danno subito per effetto dell’irreversibile trasformazione del fondo occupato dalla P.A. con ordinanza di occupazione di urgenza alla quale non ha fatto seguito il decreto di espropriazione. Due i punti ai quali nella sostanza fa riferimento l’ordinanza di rimessione: a) in primo luogo, andrebbe verificato se, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 204 del 2004 (che ha precluso al giudice amministrativo di conoscere di «comportamenti» retti da norme del diritto comune), si possano ancora considerare ricadenti nella giurisdizione amministrativa (come fatti eziologicamente riconducibili all’amministrazione-autorità) le lesioni del diritto di proprietà nel 14 Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819; Cass., sez. un., 6 giugno 2003, n. 9139. 15 Cass., sez. un., 16 novembre 2004, n. 21635; Cass., Sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2198.

2. Interviene Cortecost. n. 204/2004

Occupazione appropriativa. CGA, 11 aprile2005, n. 201rimette laquestione allaAdunanza plenaria

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caso in cui, con la dichiarazione di inefficacia ex lege dell’atto di occupazione di urgenza e degli effetti giuridici da quest’ultimo spiegati, le lesioni arrecate al diritto di proprietà del soggetto privato potrebbero essere considerate come condotte sine titulo, perciò in toto assimilate ai «comportamenti» materiali dell’amministrazione di cui al citato art. 34; b) anche se si pervenisse alla conclusione di ritenere che il vulnus del diritto soggettivo sia nella specie da ricondurre al pubblico potere, andrebbe stabilito se la denunciata lesione di diritti soggettivi possa essere conosciuta dal giudice amministrativo al quale – come sembrerebbe doversi desumere dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte – è attribuita la giurisdizione esclusiva solo nell’ambito di controversie nelle quali restano coinvolti insieme interessi legittimi e diritti soggettivi. Ed invero, ad avviso della Sezione remittente, a differenza di quanto avviene, di norma, negli altri casi di giurisdizione esclusiva, la controversia in questione si contrassegna per il fatto di avere come oggetto soltanto diritti soggettivi, risultando venuto meno ex lege (per la mancata conclusione del procedimento e non a seguito di impugnativa involgente interessi legittimi) il provvedimento degradatorio in precedenza emanato (l’occupazione di urgenza) Su entrambe le questioni interviene l’Adunanza plenaria con sentenza 30 agosto 2005, n. 4, concludendo nel senso che, anche dopo Corte cost. n. 204/2004, ricade nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto, al di fuori di ogni impugnativa di atti autoritativi, la sola pretesa di conseguire il risarcimento del danno sopportato dal diritto di proprietà del privato, investito da un provvedimento di occupazione d’urgenza venuto meno retroattivamente ex lege. Secondo i Giudici del Consiglio di Stato, infatti, la controversia in materia di occupazione acquisitiva è pur sempre riconducibile all’esplicazione del pubblico potere atteso che la vicenda dell’irreversibile trasformazione del bene è ricollegabile all’esercizio originario del pubblico potere (dichiarazione di pubblica utilità e provvedimento di occupazione): inerisce all’esercizio del potere, pertanto, qualunque lite suscitata da lesioni del diritto di proprietà provocate, in area urbanistica, dalla esecuzione di provvedimenti autoritativi degradatori, venuti meno o per annullamento o (come nella specie) per sopraggiunta inefficacia ex lege. Con la stessa pronuncia la Plenaria, anticipando quanto a chiare lettere successivamente affermato da Corte cost., 13 maggio 2006, n. 191, disattende l’impostazione (di chiara ispirazione processuale) che subordina la giurisdizione esclusiva alla congiunta deduzione, nello stesso processo, sia di diritti che di interessi legittimi (situazione, quest’ultima, che si realizzerebbe, ad es., nella ipotesi di pretesa risarcitoria dedotta, in via consequenziale, dopo l’annullamento del provvedimento degradatorio e non anche quando l’atto e i suoi effetti siano venuti meno ex lege). Ad avviso della Plenaria, infatti, è assolutamente estranea alla sentenza n. 204/2004 l’affermazione secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo comporti, immancabilmente, l’instaurazione di una concreta controversia implicante la congiunta deduzione in causa di interessi legittimi e diritti soggettivi (situazione che si avvera nella sola ipotesi di impugnazione degli atti di esercizio del potere e dopo l’annullamento dell’atto, con pretese consequenziali rivolte a denunciare vulnera incidenti sulle legittimanti e risorte posizioni di diritti soggettivi). E’ da ritenere, pertanto, fuori discussione l’ingerenza del giudice amministrativo su liti che, come nel caso in esame, abbiano ad oggetto diritti soggettivi quando la lesione di questi ultimi tragga origine, sul piano eziologico, da fattori causali riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel quale quest’ultimo risulta ormai mutilato della sua forza autoritativa per la sopraggiunta inefficacia disposta dalla legge per la mancata conclusione del procedimento. La stessa giurisprudenza amministrativa si è occupata, dopo Corte cost. n. 204/2004, del riparto di giurisdizione sulle controversie risarcitorie da c.d. occupazione usurpativa. Giova considerare, al riguardo, che l’istituto ricorre in tre specifiche circostanze: a) assenza ab initio di una dichiarazione di pubblica utilità; b) annullamento giurisdizionale della dichiarazione di pubblica utilità preesistente all’occupazione; c) omissione, nella dichiarazione di pubblica utilità, dei termini iniziali e finali della procedura di esproprio, nonché di quelli di inizio e compimento dell’opera pubblica. Con riferimento all’ipotesi sub b), la stessa sentenza n. 4/2005 aveva incidentalmente chiarito che “per l’assoluta somiglianza di fattispecie, restano accomunati sia le controversie caratterizzate dall’inefficacia retroattiva ex lege che investe l’atto degradatorio applicativo del vincolo preordinato all’esproprio, sia le ipotesi di annullamento dell’atto stesso (con proposizione in entrambi i casi – sul presupposto della

… che intervienecon sentenza del30 agosto 2005, n.4: la giurisdizionespetta ancora alG.A. ….

Occupazione usurpativa. Cons.Stato, Ad. plen., 16novembre 2005, n.9: appartiene alG.A. l’usurpativac.d. spuria

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caducazione degli effetti dell’atto autoritativo - della pretesa di carattere patrimoniale).” Pertanto, secondo la Plenaria, anche le controversie legate a quelle fattispecie di occupazione usurpativa connotate dall’annullamento giurisdizionale della dichiarazione preesistente sono devolute al g.a., in quanto caratterizzate, almeno in origine, dall’esercizio di un potere di natura autoritativa. Sulla questione è intervenuto Cons. Stato, Ad. Plen., 16 novembre 2005, n. 9, chiamato a pronunciarsi con riferimento ad un’ipotesi in cui, dopo l'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera e degli altri provvedimenti preordinati all'esproprio (in primo luogo il provvedimento di occupazione), sono venuti meno i titoli autoritativi che erano alla base delle condotte materiali con le quali si è data "esecuzione" alla dichiarazione di pubblica utilità e alle ulteriori determinazioni avanti menzionate lasciando in campo, nella realtà esterna, "comportamenti materiali" dell'amministrazione che, proprio perché non più sorretti da atti autoritativi, vanno ricondotti sotto il regime dell'illecito aquiliano (c.d. occupazione usurpativa spuria). Ad avviso della Plenaria, la disposizione dell'art. 34 - nel punto aveva riguardo ai "comportamenti" (l'espressione espunta dalla Corte Costituzionale per arginare l'ambito della giurisdizione amministrativa) non si riferiva a quelle condotte che si connotano - come nella specie - quale attuazione di potestà amministrative manifestatesi attraverso provvedimenti autoritativi che hanno spiegato secundum legem i loro effetti pur se successivamente rimossi, in via retroattiva, da pronunce di annullamento. I "comportamenti" ai quali faceva riferimento l'antico art. 34 - prima dell'intervento amputatorio della Corte Costituzionale - hanno ad oggetto, invero, non già attività materiali sorrette dall'esplicazione del potere (sia pure di un potere manifestatosi con atti illegittimi poi caducati), ma condotte poste in essere dalla pubblica amministrazione muovendo (magari anche in vista del perseguimento di interessi pubblici) fuori dell'esplicazione del potere (con attività materiale, voi de fait, manifestazioni abnormi del pubblico potere etc.). L'antica formula dell'art. 34 cit, quando poneva in contrapposizione tra di loro "atti e provvedimenti" e "comportamenti", mirava proprio alla identificazione, da un lato, delle controversie relative alla lesione di diritti soggettivi eziologicamente riconducibili alla funzione pubblica (divenute sine titulo dopo l'annullamento) e dall'altro delle azioni di diritto comune posti in essere dalla pubblica amministrazione al di fuori di qualunque esplicazione del potere. Né la sentenza n. 4 né quella n. 9 prendono in considerazione invece le controversie in materia di occupazione usurpativa che trovano origine in una procedura ablatoria non preceduta dalla dichiarazione di pubblica utilità; applicando tuttavia le coordinate teoriche tracciate nelle sentenze citate deve concludersi nel senso dell’appartenenza delle stesse alla giurisdizione ordinaria essendo in questa diversa ipotesi il danno ricollegabile ad un’attività della P.A. non sorretta dall’esercizio di alcun potere pubblicistico, inidonea pertanto a produrre l’ordinario effetto degradatorio del diritto del privato. Si configura pertanto soltanto un intervento invasivo sine titulo valutabile alla stregua di un mero fatto illecito, fonte di responsabilità aquiliana. Il tema è stato successivamente esaminato da Corte cost. 13 maggio 2006, n. 191, e da Cass., sez un., 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660. Giova premettere che, anche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004, applicabile ai giudizi pendenti ed ancora non conclusi, si è ritenuto che rientri nella giurisdizione del G.A. l’azione relativa ad occupazione usurpativa: tanto in applicazione dell’art. 53, d.lgs. n. 325/2001, secondo cui "sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo unico". Si tratta, all’evidenza, di disposizione che, nel prevedere la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie aventi ad oggetto (anche) «i comportamenti» delle pubbliche amministrazioni, finisce per contemplare la medesima ipotesi che la Corte costituzionale con sentenza n. 204/ 2004 ha espunto, ritenendola costituzionalmente illegittima, dall'art. 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80. Ad avviso della prevalente giurisprudenza amministrativa, il citato art 53 non è stato travolto dalla stessa sentenza della Corte Cost. n. 204/2004, atteso che, secondo l’art. 27 della legge n. 87/1953, "la Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata". Ne consegue che, non avendo la

Occupazione usurpativa pura

Corte cost. 13maggio 2006, n.191

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sentenza della Corte Cost. n. 204/2004 esteso la pronuncia di incostituzionalità anche all’art. 53 del D.P.R. n. 327/2001, quest'ultima norma deve ritenersi pienamente vigente16. Con sentenza della Corte costituzionale 13 maggio 2006, n. 191 è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B), trasfuso nell'art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere. Anche per Corte cost. n. 191/2006, quindi, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le controversie risarcitorie aventi ad oggetto i danni da occupazione appropriativa, ma anche quelle concernenti i pregiudizi da c.d. occupazione usurpativa spuria. Sul tema è intervenuta quindi Cass., sez un., 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660, provando a fare chiarezza su alcuni tra i più tormentati profili di giurisdizione: le sentenze n. 13659 e 13660, infatti, mettono mano ad un vero e proprio “decalogo della giurisdizione” attraverso una rassegna incentrata dapprima sui criteri di riparto dello jus dicere tra g.a. e g.o e, successivamente, su alcuni esempi chiarificatori che forniscono all’interprete un validissimo strumento-guida nella ricerca del giudice perduto tra leggi, sentenze e note di dottrina. Nel settore delle occupazioni illegittime, la Cassazione riconduce senza dubbio alla giurisdizione ordinaria le forme di occupazione "usurpativa", caratterizzate dal fatto che la trasformazione irreversibile del fondo si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto. Chiarisce, inoltre, la Suprema Corte che nel caso di inutile decorso dei termini finali fissati nella dichiarazione di p.u. per il compimento dell'espropriazione e dei lavori senza che sia intervenuto il decreto traslativo non rileva più che il potere espropriativo fosse in origine attribuito all'Amministrazione, in quanto è decisivo che tale attribuzione, circoscritta nel tempo direttamente dal legislatore, fosse già venuta meno all'epoca dell'utilizzazione della proprietà privata17. In tale variegato panorama giurisprudenziale, interviene l’Adunanza plenaria con la pronuncia del 30 luglio 2007, n. 9, assumendo una posizione dichiaratamente contrastante con l’indirizzo delle Sezioni unite di Cassazione laddove ritengono la giurisdizione del g.o. in relazione a controversie espropriative caratterizzate dalla omessa pronuncia del decreto di esproprio o ( secondo l’ipotesi più frequente) dalla sua adozione dopo la scadenza dei termini comminati dalla dichiarazione di P.U. Ad avviso del supremo Consesso della Giustizia amministrativa, almeno nei procedimenti non governati ratione temporis dalle norme sostanziali del T.U., la dichiarazione di pubblica utilità è l’atto autoritativo che fa emergere il potere pubblicistico in rapporto al bene privato e costituisce al tempo stesso origine funzionale della successiva attività, giuridica e materiale, di utilizzazione dello stesso per scopi pubblici previamente individuati. In questo quadro, la mancata adozione del provvedimento traslativo entro il prescritto termine non sembra poter dequotare la valenza giuridica di un’attività appunto espletata nel corso e in virtù di un procedimento che la dichiarazione ha ab origine funzionalizzato a scopi specifici e concreti di pubblica natura o utilità. “La omessa conclusione del procedimento mediante tempestiva pronuncia del decreto di esproprio, impedendo la formalizzazione dell’acquisizione al patrimonio pubblico del bene realizzato, connota la precedente attività dispiegata dall’Amministrazione in termini materiali o comportamentali: ma, pur privato del suo naturale sbocco costitutivo e quindi illegittimo, questo comportamento di impossessamento e irreversibile modifica del bene altrui resta pur sempre, nel senso ora detto, riconducibile all’esercizio del pubblico potere. La fattispecie ora all’esame presenta dunque evidenti punti di contatto con quella che si determina a seguito dell’annullamento in s.g. della dichiarazione di pubblica utilità, in quanto in entrambi i casi gli effetti retroattivi naturalmente conseguenti alla pronuncia demolitoria o quelli derivanti dalla mancata conclusione del procedimento non sembrano poter travolgere

16 In termini, T.a.r. Calabria, Reggio Calabria, 1 agosto 2005 n. 1302. 17 In termini, Cass., sez. un., n. 2688 del 2007.

Interviene Cass.,sez un., 13 giugno2006, nn. 13659 e13660

Cons. Stato, Ad.Plen. 30 luglio2007, n. 9

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a posteriori il nesso funzionale che ha comunque legato l’attività dell’Amministrazione alla realizzazione del fine di interesse collettivo individuato all’origine”. Ben distinto invece – ad avviso della Plenaria – è il caso in cui la dichiarazione manchi del tutto, venendo allora in rilievo un mero comportamento per vie di fatto, in nessun modo e nemmeno mediatamente funzionalizzato all’esercizio di un effettivo potere degradatorio e traslativo. La posizione è confermata ancora da Cons. Stato, Ad. Plen, 22 ottobre 2007, n. 12. Chiarito che i “comportamenti” che esulano dalla giurisdizione amministrativa esclusiva non sono tutti i comportamenti, ma solo quelli che, tenuto conto dei riferimenti formali e fattuali di ogni concreta fattispecie, non risultano riconducibili all’esercizio di un pubblico potere, i giudici della Plenaria sostengono, infatti, che la domanda risarcitoria avente ad oggetto i danni da occupazione appropriativa appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo attesa la permanente efficacia degli atti presupposti al decreto di espropriazione illegittimo e la riconducibilità dell’attività amministrativa all’esercizio di un pubblico potere autoritativo. 6.5. Il settore del pubblico impiego: domande risarcitorie e riparto di giurisdizione (rinvio) Si rinvia al Capitolo…. per l’esame del riparto di giurisdizione sulle controversie risarcitorie in tema di pubblico impiego privatizzato. 6.6. Danno da attività materiale dell’amministrazione Come rilevato, il parametro discretivo della giurisdizione lo enuncia il legislatore allorché, nell’assegnare la cognizione di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, delimita la sfera oggettuale entro cui i nuovi poteri cognitori e decisori del giudice amministrativo devono reputarsi ascritti ponendo la condizione che si sia “nell’ambito della sua giurisdizione”, indifferentemente, quindi, di legittimità od esclusiva. È necessario, quindi, perché il profilo risarcitorio possa essere conosciuto dal giudice amministrativo, che il danno lamentato sia stato cagionato da una attività o più in generale da una condotta assoggettata, quanto a sindacato, alla giurisdizione del giudice amministrativo. Sono pertanto destinate a restare sottratte alla sfera cognitoria del giudice amministrativo le pretese risarcitorie aventi ad oggetto il danno dall’amministrazione arrecato mediante comportamenti meramente materiali: si pensi al caso classico del pregiudizio da insidia stradale sofferto per effetto della cattiva manutenzione delle strade o da fauna selvatica ovvero ancora da omesso controllo dell’amministrazione scolastica sulla condotta dei discenti. Si tratta di questioni risarcitorie che, in quanto afferenti lesioni derivanti da attività del tutto estranee al tradizionale “ambito” della giurisdizione amministrativa, di legittimità ed esclusiva, non possono che continuare ad essere conosciute dal giudice ordinario. Non sempre, tuttavia, il danno da comportamento materiale può dirsi sottratto al giudice amministrativo. Sul punto è intervenuta Cass. civ., sez. un., 18 ottobre 2005 n. 20117, secondo cui l’inosservanza da parte della P.A. nella sistemazione e manutenzione di una strada pubblica, delle regole tecniche, ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario, sia quando è volta a conseguire la condanna ad un "facere", sia quando ha ad oggetto la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale, giacché in tale ipotesi la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del menimem ledere: alla stregua del principio le Sezioni unite hanno ritenuto che rientra nella giurisdizione del g.o. l’azione di risarcimento proposta da un privato nei confronti di un Comune per i danni da quest’ultimo arrecati a seguito di opere di manutenzione della pavimentazione di una pubblica strada, che avevano innalzato il livello della strada oltre il piano di calpestio dell’abitazione, con conseguente deflusso delle acque piovane. Invero, la discrezionalità della P.A. circa i criteri e le modalità di esecuzione di un’opera pubblica in relazione all’apprezzamento ad essa demandato degli interessi e delle esigenze della collettività dei cittadini e degli strumenti atti a soddisfarli, non esime la P.A. stessa dell’osservare le specifiche disposizioni di legge e di regolamento e le generali norme di prudenza e diligenza, imposte dal generale precetto del neminem leadere a tutela dell’incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio, con la conseguenza che, se dall’osservanza di tali norme derivi un danno al terzo, deve a questi riconoscersi azione risarcitoria, anche in forma specifica, davanti al giudice ordinario, vertendosi in tema di fatto illecito lesivo di posizioni di diritto soggettivo. Le stesse Sezioni unite precisano, peraltro, che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, la giurisdizione esclusiva del G.A. non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun potere pubblico. Deve pertanto riconoscersi la giustiziabilità avanti al giudice ordinario in tutte quelle controversie in cui si denunzino comportamenti configurati come illeciti ex art. 2043 c.c., ed a fronte dei quali per non avere, appunto, la pubblica amministrazione osservato condotte doverose, la posizione soggettiva del privato non può che definirsi di diritto soggettivo. In argomento, si segnala anche Cass. civ., sez. un., 18 ottobre 2005 n. 20123, intervenuta a precisare che a seguito della sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, deve ritenersi che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario ogni volta che il comportamento della pubblica amministrazione risulti spogliato da ogni interferenza con un atto autoritativo. Sulla base delle esposte premesse, le Sezioni unite concludono quindi affermando la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario per una domanda di risarcimento del danno proposta da alcuni esercenti di un'attività commerciale a causa dell'abnorme dilatazione ascrivibile alla P.A. dei tempi di costruzione di un parcheggio pubblico nella zona in cui svolgono la loro attività (nella specie l’azione era stata proposta da alcuni commercianti nei confronti del Comune e della società esecutrice dei lavori per il

Cons. Stato, Ad.Plen. 22 ottobre2007, n. 12

Cass., sez. un., 18ottobre 2005, n.20117: al G.O. idanni da cattivamanutenzione delle strade

Cass., sez. un., 18ottobre 2005 n.20123: al G.O. idanni da operapubblica tardiva

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risarcimento dei danni subiti a causa dei lavori per la costruzione di un parcheggio pubblico in una piazza, che aveva comportato l'interdizione al traffico della suddetta piazza). Sempre al G.O. vanno sottoposte le domande risarcitorie aventi ad oggetto danni subiti da un privato in conseguenza dell'improvviso attraversamento della sede stradale da parte di fauna selvatica. In termini, Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2005 n. 6332, secondo cui giurisdizione del giudice amministrativo di cui al testo novellato dell'art. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è prevista al fine di evitare la necessità di un doppio processo (il primo, dinanzi al giudice amministrativo, per l'annullamento dell'atto; il secondo, dinanzi al giudice ordinario, per il risarcimento del danno) e non opera allorché, difettando un provvedimento amministrativo, manchi una domanda di annullamento ed il privato proponga esclusivamente una domanda di risarcimento del danno nei confronti della P.A., nella quale ciò che rileva è la liceità e non la legittimità dell'azione amministrativa. Ad avviso delle Sezioni unite, la disposizione citata va interpretata nel senso che il giudice amministrativo decide delle controversie risarcitorie, se esso ha già giurisdizione in base a regole diverse da quelle indicate dallo stesso articolo 7. In nessun caso la norma può essere interpretata come attributiva di una giurisdizione prima inesistente, perché la norma non ha modificato i criteri generali di riparto della giurisdizione esistenti al momento della sua entrata in vigore. Le pretese risarcitorie, infatti, possono essere decise dal giudice amministrativo nei soli casi in cui questo aveva giurisdizione sulle stesse già prima della legge n. 205/2000. 6.7. Danno da violazione del giudicato Dibattuta, infine, l’individuazione del giudice innanzi al quale chiedere il risarcimento dei danni derivanti, non dall’atto amministrativo già annullato con la sentenza che ha definito il giudizio amministrativo, quanto piuttosto dalla violazione dello stesso giudicato in cui sia incorsa l’amministrazione. Sulla questione è intervenuto Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 2006 n. 4297, affermando la giurisdizione amministrativa sulla domanda di risarcimento del danno basata sulla mancata o ritardata esecuzione del giudicato amministrativo. Sussiste in particolare detta giurisdizione nel caso in cui, dopo il passaggio in giudicato di una sentenza che ha annullato l’aggiudicazione di una gara, l’Amministrazione abbia mantenuto un atteggiamento ostruzionistico e defatigante, che costringe la ricorrente vittoriosa ad agire con autonomo ricorso ordinario per il risarcimento del danno subito. In particolare, la sopra citata pronuncia del supremo consesso di giustizia amministrativa si innesta su quel filone esegetico di elaborazione pretoria che, pure negando in astratto la proponibilità per la prima volta in sede di ottemperanza della domanda risarcitoria, ritiene che la regola possa soffrire talune eccezioni, peraltro coerenti con le ragioni teoriche sottese alla posizione contraria secondo cui opererebbe nel nostro ordinamento l’assioma dell’inammissibilità di una contestuale domanda di esecuzione del giudicato e di risarcimento dei danni; inammissibilità – occorre puntualizzare – predicata in particolare dal Consiglio di Stato nel giusto rilievo che la proposizione di una domanda risarcitoria proposta per la prima volta in sede di appello violerebbe il principio del doppio grado di giudizio, garantito nella giurisdizione amministrativa dall’art. 125 della Costituzione (cfr., da ultimo, C.G.A. 19 ottobre 2006, n. 587). Si ritiene così ammissibile in questa fase la domanda avente ad oggetto i danni da violazione di giudicato, ossia quelli maturatisi dopo l'annullamento del provvedimento, a cagione dell’inerzia della P.A. nell’adeguarsi agli effetti della pronuncia. L’azione sarà, allora, esperibile a condizione però che l’ottemperanza si svolga davanti al Tar (quindi che non vi siano deroghe al principio del doppio grado), e i danni di cui si chiede il risarcimento siano stati subiti dopo il giudicato o per effetto dell’inadempimento del giudicato (vale a dire danni che egli non aveva ancora subito quando è stato annullato il provvedimento illegittimo). Ciò in quanto, in tali fattispecie, l’azione di danno viene esperita quale effetto del comportamento elusivo di un giudicato e non già quale conseguenza dell’illegittimità dell’azione amministrativa accertata nella sentenza. L’ipotesi applicativa più di frequente descritta in dottrina è quella di un privato che chieda l’annullamento di un provvedimento, nella speranza di poter ancora ottenere una tutela specifica dei suoi interessi (ad esempio, egli spera che il bene gli venga restituito). Ebbene, può accadere, nello specifico, che nelle more del giudizio o addirittura dopo il giudicato, a causa dell’inosservanza del giudicato questa possibilità di tutela in forma specifica del suo interesse venga definitivamente meno (ad es. perché l’amm.ne ha completamente modificato il bene, quindi non può più ottenerne la restituzione). Si attiva, quindi, il rimedio risarcitorio. La sopra enunciata opzione ermeneutica costituisce, ormai, ius receptum da parte della giurisprudenza amministrativa, come precisati, in termini estremamente cristallini, dalla sentenza del Consiglio di Stato 8 marzo 2004, n. 1080, secondo cui “un risarcimento proponibile in ottemperanza è solo quello per i danni da violazione di giudicato ossia per i danni maturatisi dopo l'annullamento, danni, prima della formazione del giudicato di annullamento, futuri e meramente eventuali, mentre, quanto ai danni già subiti (per perdita di chance) per effetto dell'attività amministrativa oggetto del giudizio di annullamento, non può dubitarsi circa la necessità di un apposita domanda da spiegarsi nel processo di primo grado.” (in senso conforme, cfr. Tar Campania 4 ottobre 2001, n. 4485 che va interpretata nei limiti correttamente individuati da Cons. St., sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5820, e, ancora, Cons. St., sez. V, 28 febbraio 2006, n. 861, Cons. St., sez. V, 21 giugno 2006, n. 3690 e, da ultimo, Tar Lazio – Roma - sez. III-bis - 5 dicembre 2006, n. 13805.

Cass., sez. un., 24marzo 2005 n.6332: al G.O. idanni daattraversamento della strada

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B) PARTE … - LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA 1. La giurisdizione esclusiva: caratteri generali. 2. L’interpretazione dell’art. 103 Cost. fornita dalla Corte costituzionale. 3. La giurisdizione in tema di servizi pubblici: la precedente formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998 e l’impianto complessivo dell’intervento legislativo del 1998. 3.1. La persistente rilevanza della nozione di servizio pubblico: il dibattito. 3.1.1. Una fattispecie problematica: l’edilizia residenziale pubblica. 3.1.2. I c.d. servizi sociali. 3.2. Le controversie relative a concessione di pubblici servizi. Compensi dovuti al gestore. Tetti di spesa. Diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero. 3.3. Le controversie relative a provvedimenti. Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, educazione sessuale nelle scuole e revoca di amministratori di società in mano pubblica. 3.4. Controversie relative all’affidamento del servizio. 3.5. Controversie relative alla vigilanza e al controllo. Responsabilità Consob e contenzioso in tema di sanzioni (rinvio). 3.6. Servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla l. n. 481 del 1995. 4. La giurisdizione in tema di concessione di beni. 5. La giurisdizione esclusiva in materia di contratti pubblici:. 6. La giurisdizione in tema di edilizia, urbanistica ed espropriazione. 6.1. Nozione di edilizia. 6.2 Nozione di urbanistica. La requisizione in uso. 6.3. La giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto il danno da occupazioni: rinvio. 6.4. Art. 34, d. lgs. n. 80/1998, e azioni possessorie, nunciatorie e cautelari. 6.5. Attività privatistiche pure e spurie. 6.6. Retrocessione. 7. Le altre materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Il pubblico impiego, gli

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accordi tra privati e p.a. ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990. rinvio. 8. La giurisdizione esclusiva sulla d.i.a.: rinvio. 9. La giurisdizione in materia di diritto sportivo. 10. La tutela giurisdizionale sulle delibere delle Autorità Amministrative Indipendenti: rinvio. 11. La nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di energia elettrica. 12. La giurisdizione di merito. 13. Questioni rilevanti in materia di giurisdizione: sulla applicabilità al giudizio amministrativo della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali ex art. 28, l. n. 794 del 1942. 1. La giurisdizione esclusiva: caratteri generali. Superando il criterio di riparto affidato alla consistenza della contrapposizione diritti soggettivi/interessi legittimi, il legislatore assegna talvolta l’intero contenzioso riguardante determinate materie alla giurisdizione del giudice amministrativo. Si tratta delle controversie rientranti nella c.d. giurisdizione esclusiva nelle quali pertanto al G.A. è devoluta la cognizione a prescindere dalla circostanza che si deduca la lesione di interessi legittimi o di diritti soggettivi. La contrapposizione tra giurisdizione di legittimità, generale ma estesa alle sole controversie nelle quali si deduce la lesione di interessi legittimi, e giurisdizione esclusiva, eccezionale e connotata dall’estensione ai diritti dell’ambito cognitorio riconosciuto al G.A., ha nella Carta costituzionale la sua base giuridica, oltre che la sua disciplina. Ai sensi infatti dell’art. 103 Cost. “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”. Individuato nella natura della posizione da tutelare con il rimedio giurisdizionale il generale criterio di delimitazione della sfera di giurisdizione da assegnare al G.A. (sulla compatibilità con l’art. 103 Cost. di eventuali ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.O. si rinvia al Cap…), la Carta costituzionale rimette al legislatore ordinario il compito di indicare le “particolari materie” nelle quali la tutela contro la P.A. va invocata innanzi al G.A. anche se ad essere lese siano posizioni di diritto soggettivo. Prima di passare all’esame del citato disposto costituzionale, giova peraltro considerare che nelle materie assegnate alla giurisdizione esclusiva del G.A., la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, pur non rilevando ai fini del riparto di giurisdizione, conserva importanza nell’individuare le tecniche di tutela sperimentabili e il regime processuale da osservare (si pensi all’identificazione del termine, decadenziale o prescrizionale, cui assoggettare l’esercizio dell’azione). Quanto alle tecniche di tutela, in particolare, è non poco sostenuta la tesi secondo cui l’attribuzione al giudice amministrativo del compito di attendere alla protezione di posizioni soggettive di cui naturaliter conosce il giudice ordinario non può determinare una deminutio del livello di tutela che quelle a quelle posizioni sarebbe stata assicurata innanzi al giudice naturale. Detto diversamente, si è spesso sostenuto che non deve essere la posizione soggettiva e il tasso di intensità e completezza della sua protezione e doversi adattare al processo amministrativo; viceversa, quest’ultimo, con le sue regole e le sue tradizionali tecniche di protezione, deve essere sagomato tenendo conto dell’innesto di posizioni di diritto soggettivo. E’ quanto, come si vedrà nella seconda Sezione, è stato non di rado sostenuto nell’esaminare problemi di vario tipo emersi con riferimento a casi in cui, essendo il sistema di tutela tipico del giudizio amministrativo apparso inadeguato ad assicurare una tutela piena ed effettiva dei diritti soggettivi affidati dal legislatore alla protezione del giudice amministrativo in sede esclusiva, si è proposto l’innesto di strumenti tipici del processo civile. Si pensi alla questione, a lungo dibattuta, prima dell’entrata in vigore dell’art. 8, l. n. 205/2000, relativa all’invocabilità degli strumenti di tutela sommaria non cautelare (decreti ingiuntivi, ordinanze ex art. 183-bis, c.p.c.) da parte dei titolari di diritti soggettivi affidati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 33, d. lgs. n. 80/1998: questione, quest’ultima, per vero non poco ridimensionata, nella sua importanza applicativa, per effetto della drastica contrazione che la giurisdizione esclusiva in tema di servizi pubblici ha subito a seguito della storica sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004. 2. L’interpretazione dell’art. 103 Cost. fornita dalla Corte costituzionale Prima ancora di procedere all’esame delle più significative e problematiche ipotesi di giurisdizione esclusiva, è utile soffermarsi ancora sui limiti costituzionali della stessa.

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Si tratta di verificare se l’art. 103 Cost. riconosca al legislatore ordinario un illimitato potere di devolvere alla giurisdizione esclusiva del G.A. nuove materie o se, invece, lo stesso, soprattutto prescrivendo che le materie devono essere “particolari”, indichi dei criteri destinati ad orientare le scelte legislative in punto di giurisdizione. La questione è stata, come è noto, esaminata da Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, chiamata a valutare la compatibilità degli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998, con la previsione di cui all’art. 103 della Carta fondamentale. E’ utile anteporre una sintetica illustrazione delle principali novità introdotte dalle due disposizioni citate. Nella versione antecedente all’intervento manipolativo compiuto dalla Corte costituzionale con sentenza 6 luglio 2004, n. 204, gli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998, riscritti dall’art. 7 della legge n. 205/2000 a seguito della dichiarazione di incostituzionalità intervenuta con sentenza n. 292/200, avevano esteso la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a tutte le controversie in materia di servizi pubblici, urbanistica ed edilizia. Più in generale, l’intero d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ha introdotto, a costituzione invariata, fondamentali novità destinate inevitabilmente a rivoluzionare il tradizionale assetto della giustizia amministrativa: ne sono risultati profondamente rivisitati e radicalmente innovati non solo i criteri volti a perimetrare i territori giurisdizionali da assegnare al Giudice amministrativo in sede esclusiva, ma ancor prima il ruolo stesso che a quel Giudice si è inteso riconoscere in un sistema sempre più ispirato al principio del pluralismo o, quanto meno del dualismo giurisdizionale, anziché a quello della tendenziale unicità della giurisdizione. Ed invero, il d.lgs. n. 80/1998, con gli artt. da 33 a 35, ha dilatato non poco i confini della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, includendovi le materie dei servizi pubblici, dell’edilizia e dell’urbanistica; al contempo ha mutato le regole del riparto nella stessa giurisdizione esclusiva, ascrivendo al Giudice amministrativo la cognizione dei diritti consequenziali e dei profili risarcitori, con l’ammissione della reintegra in forma specifica (di qui la riscrittura obbligata dell’art. 7 della legge T.A.R. e l’abrogazione in una prima fase solo parziale dell’art. 13 della legge n. 142/1992 e delle altre disposizioni che, in tema di appalti pubblici, obbligano l’interessato a promuovere l’annullamento dell’atto innanzi al giudice amministrativo quale condizione per la successiva proposizione innanzi al giudice ordinario della domanda risarcitoria); infine, ha munito il giudice amministrativo dell’armamentario processuale necessario per far fronte ai nuovi compiti, dotandolo dei mezzi istruttori codificati nel processo civile, ivi compreso l’indispensabile strumento della consulenza tecnica. Come acutamente sostenuto, “una giurisdizione del genere, non limitata all’esercizio di alcune tecniche di tutela, appare, altresì, in qualche modo come una sorta di giurisdizione tipo del giudice amministrativo, che, in quanto volta ad assicurare una tutela potenzialmente esaustiva, si configura, nel suo rapporto con quella ordinaria, come una giurisdizione paritaria e ad essa alternativa”18. Questo quadro delle novità introdotte dall’intervento di riforma consente già di coglierne la portata rivoluzionaria per quel che attiene non solo alla individuazione dei parametri afferenti il riparto di giurisdizione, ma anche, e prima ancora, al ruolo stesso riconosciuto al giudice amministrativo, destinato a trasformarsi, in modo sempre più marcato, da giudice dell’interesse legittimo in giudice tendenzialmente naturale della pubblica amministrazione, con conseguente ridimensionamento del rapporto regola-eccezione che ha storicamente connotato la relazione tra giurisdizione generale di legittimità sull’atto e giurisdizione esclusiva impingente sul rapporto sottostante. Si è trattato di un tentativo ritenuto tuttavia dalla Corte costituzionale non compatibile con l’art. 103 Cost. Le principali indicazione fornite da Corte cost. n. 204/2004 (A latere) Volendo schematizzare le più importanti coordinate concettuali della sentenza, può dirsi che, ad avviso della Corte. - il legislatore ordinario non ha il potere di prevedere una giurisdizione esclusiva del G.A. "ancorata alla

pura e semplice presenza, in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse"; - il legislatore deve pur sempre considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi

esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie; - il collegamento delle materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con 18 PAJNO, Il riparto di giurisdizione, in CASSESE, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, 4193 ss.

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la natura delle situazioni soggettive è espresso dall’art. 103 Cost. laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità;

- tali materie cioè devono partecipare di quella medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità, nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo;

- le controversie devolute al G.A., anche in sede esclusiva, devono quindi inerire all’esercizio del potere, nelle stesse dovendosi fare questione delle modalità con cui l’amministrazione ha agito in veste di autorità, non già certo di lesioni derivanti da comportamenti meri dalla stessa posti in essere.

Il legislatore ordinario ben può ampliare quindi l’area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità19. Giova approfondire il tema. Affrontando nel dettaglio il tema dei limiti costituzionali della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o, detto altrimenti, dei limiti costituzionali frapposti alla discrezionalità del legislatore nel delineare gli ambiti delle differenti giurisdizioni la Corte si è soffermata sull’art. 103 Cost. rinvenendo, nel riferimento alle “particolari materie” di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, un limite quanto mai severo e stringente. Ad avviso della Corte, infatti, il legislatore ordinario non ha il potere di prevedere una giurisdizione esclusiva del G.A. "ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse". L'art. 103, comma 1, Cost. dunque, lungi dal consentire una qualsivoglia evoluzione degli assetti giurisdizionali, frappone un preciso limite alla discrezionalità legislativa, dalla Corte puntualmente rilevato laddove rimarca la necessità che sia considerata la natura delle situazioni soggettive coinvolte e non il mero dato, puramente oggettivo, delle materie. E’ questo il passaggio probabilmente più importante della pronuncia. Osserva il Giudice delle leggi che “il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare particolari materie nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe anche diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie”. Tale necessario collegamento delle materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità. “Il legislatore ordinario – aggiunge ancora la Corte - ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice della pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo”. Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva quindi “devono partecipare della medesima natura” di quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità”, “contrassegnata dalla circostanza che la pubblica Amministrazione agisce quale autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo”. Certo è che la sentenza n. 204/2004 ha costituito una brusca e definitiva battuta di arresto a quel trend ordinamentale, da tempo in atto, connotato dal consistente ampliamento delle materie di giurisdizione esclusiva. Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191 (a latere) L’iter argomentativo della pronuncia in parola è stato successivamente ripreso dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 11 maggio 2006, n. 191, ha dichiara costituzionalmente illegittimo l'art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325, trasfuso nell'art. 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, nella sola parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere. Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, interviene sugli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998 (a latere) Muovendo dalla sintetizzata ricostruzione del quadro costituzionale, la Corte costituzionale, con sentenza n. 204/2004, ha modificato l’impianto complessivo degli artt. 33 e 34, manipolandone il testo, ritenuto espressione di un disegno di politica legislativa volto ad estendere l’area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attraverso la sostituzione al criterio di riparto della giurisdizione fissato in Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, del diverso criterio dei "blocchi di materie".

19 Per approfondimenti sia consentito rinviare a R. GAROFOLI, Il riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici, II ed., in Trattato di giustizia amministrativa, a cura di CARINGELLA - GAROFOLI), Tomo I, MILANO, 2008.

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E’ opportuno procedere, quindi, all’esame dell’intervento della Corte costituzionale sugli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998. Parimenti, si darà atto del vaglio dalla stessa Corte successivamente effettuato circa la coerenza con il quadro costituzionale della giurisdizione esclusiva del G.A. prevista dall’art. 1, co. 552, della legge finanziaria per il 2005 relativamente alle controversie involgenti le procedure e i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica. 3. La giurisdizione in tema di servizi pubblici: la precedente formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998 e l’impianto complessivo dell’intervento legislativo del 1998. Nella versione antecedente all’intervento manipolativo compiuto dalla Corte costituzionale con sentenza 6 luglio 2004, n. 204, l’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, ha esteso la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a tutte le controversie in materia di servizi pubblici, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni, sul mercato mobiliare, nonché al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni ed ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481; ha indicato, quindi, con finalità meramente esemplificative, le singole controversie da ricondurre nella nuova giurisdizione amministrativa. L’ambito di tale giurisdizione è stato pertanto delimitato alla stregua di un triplice criterio20: il primo, costituito dal riferimento alla nozione di servizio pubblico, a carattere generale e principale. Il secondo, di tipo orizzontale, consistente nell’indicazione esemplificativa dei singoli settori in seno ai quali è normale riscontrare attività sussimibili in quella nozione; con il terzo, infine, di tipo verticale, sono state espressamente ricondotte nell’alveo di operatività della nuova giurisdizione esclusiva talune tipologie di controversie che, più di altre, avrebbero dato adito a maggiori perplessità di inquadramento. Ebbene, ad avviso di Corte cost. n. 204/2004, il riferimento generico a "tutte le controversie" in materia di pubblici servizi prescinde del tutto dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte, finendo per affidare il riparto della giurisdizione al criterio ruotante attorno alla presenza, pur statisticamente apprezzabile ma di per sé solo insufficiente, del pubblico interesse in questo tipo di cause: presenza da sola inadeguata a fondare un giudizio di compatibilità costituzionale attesa l’attitudine di quel generico riferimento ad attrarre nell’ambito della nuova giurisdizione esclusiva controversie nelle quali "può essere del tutto assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità". Senonché, la stessa Corte non si limita a demolire il testo dell’art. 33, ma fa luogo ad una vera e propria riscrittura dello stesso. L’attuale formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998 ( a latere) Nella nuova formulazione risultante dall’intervento manipolativo della Corte l’art. 33 dispone, quindi, che "sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481": è questa la parte della pronuncia che occorrerà tenere in considerazione nel verificare gli attuali equilibri giurisdizionali nella materia dei servizi pubblici. Si esclude quindi, nell’ambito dei servizi pubblici, che tutte le controversie in tale materia possano essere devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: ne rimangono attratte solamente quelle che, in detta materia, vedono l’amministrazione agire come autorità, attraverso l’esercizio di pubblici poteri. Ai sensi del riscritto art. 33, D. lgs. n. 80/1998, sono quindi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie: in materia di pubblici servizi relative a concessioni, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed

altri corrispettivi,

20 LIPARI, I, La nuova giurisdizione amministrativa in materia edilizia, urbanistica e dei pubblici servizi, in Urbanistica e appalti, 1998, 593.

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relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore del pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241;

relative all’affidamento di un pubblico servizio; concernenti la vigilanza e il controllo nei confronti del gestore; afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico,

ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla l. n. 481/1995. In tal senso, la giurisdizione esclusiva risulta fortemente ridimensionata: se prima dell’intervento della Corte l’ambito di cognizione del G.A. in sede esclusiva abbracciava indistintamente tutte le controversie in materia di servizi pubblici, con l’unica eccezione dei rapporti individuali d’utenza e delle controversie meramente risarcitorie, sono ora rimesse al giudice amministrativo solo alcune tipologie di controversie. 3.1. La persistente rilevanza della nozione di servizio pubblico: il dibattito. Preme subito osservare, al riguardo, che l’intervento della Consulta -se certo ha drasticamente ridotto l’ambito della nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici circoscrivendolo alle sole controversie involgenti la concessione di servizi, l’affidamento degli stessi, i procedimenti attivati e condotti nel rispetto della legge n. 241/1990, la vigilanza e il controllo- non ha tuttavia disancorato la giurisdizione stessa dalla nozione di servizio pubblico che continua ad integrare, quindi, il primo criterio di delimitazione degli spazi di cognizione assegnati dall’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, ultima formulazione. Si ripropongono, pertanto, e meritano un’attenta disamina, gli interrogativi riguardanti la nozione citata, la sua effettiva estensione, i criteri da seguire per la sua perimetrazione. Superfluo osservare, peraltro, che nella nuova formulazione la ricostruzione della nozione di servizio pubblico assume un’utilità applicativa diversa; individuate, infatti, le attività qualificabili in termini di servizio pubblico sarà necessario ancora verificare se la controversia che le involge afferisce uno dei segmenti di contenzioso riconosciuti al giudice amministrativo dalla parte additiva della sentenza n. 204/2004 (concessione, affidamento, procedimento ex lege n. 241/1990). È ancora vivace al riguardo, nel panorama dottrinale e giurisprudenziale, la contrapposizione tra concezione c.d. soggettiva e concezione c.d. oggettiva del servizio pubblico: contrasto per vero piuttosto stemperato per effetto del ripudio, peraltro imposto dall’evoluzione del quadro ordinamentale, delle posizioni estreme in passato assunte in seno al primo dei due orientamenti ermeneutici. 1. Concezione soggettiva di servizio pubblico (titoletto) I fautori della concezione soggettiva di servizio pubblico, nella sua versione temperata21, pur escludendo la necessità che il servizio sia gestito in modo diretto ed esclusivo dalla pubblica amministrazione, identificano la pubblicità nell’imputabilità del servizio all’organizzazione pubblica complessiva, nella titolarità dello stesso in capo all’apparato pubblico, ancorchè disgiunta dall’effettivo esercizio: elemento imprescindibile perchè il servizio possa considerarsi a connotazione pubblica è pertanto, alla stregua di siffatto approccio dottrinale, la determinazione della pubblica amministrazione di assumerne la titolarità. Del tutto marginale sarebbe, invece, la circostanza della partecipazione alla gestione del servizio — assunto come proprio dall’ente pubblico — di soggetti privati: gli stessi, infatti, si limiterebbero a prendere parte ad un’attività dell’Amministrazione, sicché sarebbe sempre necessario un provvedimento di natura concessoria. La pubblicità del servizio, pertanto, postulerebbe un intervento dell’Amministrazione, che si traduca per lo meno in un rapporto specifico, di ordine organizzatorio, fra l’Amministrazione e il gestore del servizio. Rilievi critici (titoletto) La esposta concezione soggettiva, pur nella sua versione temperata, non è andata del tutto esente da rilievi critici, attenti non solo al dato normativo, ma anche all’evoluzione complessiva del quadro ordinamentale e, in particolare, al progressivo passaggio che, a seguito e per effetto dei processi di privatizzazione in atto nel nostro paese, si sta verificando da una forma diretta di intervento pubblico in economia ad un modello di intervento che si contraddistingue, invece, per l’utilizzazione da parte della pubblica amministrazione e soprattutto di quei nuovi organismi pubblici costituiti dalle autorità amministrative indipendenti di strumenti di regolamentazione, indirizzo e controllo di attività non semplicemente gestite, ma sempre più spesso assegnate — anche sotto il

21 VILLATA, Pubblici servizi. Discussioni e problemi, Milano, 1999, 4 ss.

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profilo della titolarità — a soggetti privati: attività che, purtuttavia, non per cio` solo perdono quelle connotazioni pubblicistiche che spesso in passato avevano giustificato il loro espletamento ad opera di enti pubblici. 2. Concezione oggettiva di servizio pubblico (titoletto). In dottrina e giurisprudenza è prevalsa la concezione c.d. oggettiva. Alla stregua della teoria c.d. oggettiva assume rilievo decisivo — in sede di individuazione delle attività sussumibili sotto la nozione di servizio pubblico — non già la possibilità di considerarle di pertinenza dell’amministrazione pubblica, bensì il loro assoggettamento ad una disciplina settoriale che assicuri costantemente il perseguimento dei fini sociali: questi ultimi, pertanto, lungi dal limitarsi a connotare sul versante meramente teleologico tale genere di attività, costituiscono la ragione della sottoposizione della stessa ad un regime giuridico tutto peculiare. Art. 43 Cost. a latere Quanto ai dati normativi, particolare impulso all’affermazione di una concezione oggettiva del servizio pubblico è stato dato dall’art. 43 Cost., a tenore del quale, come è noto, «a fini di utilità generale, la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». Ed invero, come osservato22, da tale disposizione è consentito ricavare una serie di elementi militanti in favore della concezione oggettiva di pubblico servizio. In primo luogo, infatti, la riserva o il trasferimento allo Stato o altro ente pubblico delle imprese che si riferiscono a pubblici servizi essenziali è prevista dalla disposizione costituzionale come mera possibilità, con la conseguenza che è costituzionalmente ammessa la eventualità di una gestione di tali servizi ad opera di privati; inoltre, tra i potenziali destinatari della riserva o del trasferimento l’art. 43 contempla anche le comunità di lavoratori o utenti, ossia soggetti che ben possono assumere natura giuridica privata. Proprio la prevista possibilità di un trasferimento in capo a soggetti privati della titolarità, non già certo della sola gestione, di servizi pubblici costituisce un argomento normativo difficilmente armonizzabile con la pur rivisitata concezione soggettiva. Disciplina normativa dei servizi pubblici a latere Argomenti a sostegno della tesi oggettiva possono trarsi anche dalle discipline dal legislatore dettate con riguardo alla complessa materia dei servizi pubblici locali e delle relative modalità di gestione. Giova esaminare in estrema sintesi le tre principali tappe della recente evoluzione normativa, la prima costituita dall’entrata in vigore della legge n. 142 del 1990, la seconda dall’approvazione delle legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002, che con l’art. 35 ha profondamente innovato il precedente quadro normativo), la terza, infine, inaugurata con la il decreto legge n. 269 del 2003, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326. Rinviando al capitolo… per la ricostruzione del tema, è sufficiente ora osservare che l’art. 113, co. 5, d. lgs. n. 267/2000, come da ultimo riscritto dall’art. 14 del decreto-legge n. 269/2003, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326, prevede che ‘‘l'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica”. La disposizione, pertanto, espressamente prevede il conferimento della “titolarità” (non della sola gestione) del servizio pubblico locale a soggetti senz’altro privati, quali le società di capitali scelte con gara. Alla stregua della teoria c.d. oggettiva, quindi, assume rilievo decisivo — in sede di individuazione delle attività sussumibili sotto la nozione di servizio pubblico — non già certo la possibilità di considerarle di pertinenza dell’amministrazione pubblica, bensì il loro assoggettamento ad una disciplina settoriale che assicuri costantemente il perseguimento dei fini sociali: questi ultimi, pertanto, lungi dal limitarsi a connotare sul versante meramente teleologico tale genere di attività, costituiscono la ragione della sottoposizione della stessa ad un regime giuridico tutto peculiare. Anche nell’ambito di tale seconda opzione ricostruttiva si registrano, in realtà, differenze per nulla trascurabili. Concezione oggettiva più estesa. A latere Un primo indirizzo ricomprende nella nozione di servizio pubblico tutte le attività in qualche modo assoggettate a forme più o meno intense di regolamentazione pubblica. L’impostazione ha prestato il fianco ad una sin troppo agevole obiezione: risulterebbe difficile differenziare, infatti, la semplice attività economica, anch’essa sovente assoggettata a forme più o meno penetranti di interferenza ad opera della mano pubblica, dal vero e proprio servizio pubblico. Concezione oggettiva prevalente. A latere

22 POTOSCHINIG, I Pubblici servizi, Padova, 1964.

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Su altra linea si collocano, allora, quegli indirizzi che, nell’intento di perimetrare in termini più puntuali la nozione in esame pur muovendo da un approccio di tipo oggettivo, indicano i tratti che il regime giuridico cui l’attività è assoggettata deve in concreto presentare perchè la stessa possa assumere le sembianze del servizio pubblico. Non sarebbe sufficiente, infatti, che l’attività sia sottoposta a misure di controllo, vigilanza o di mera autorizzazione da parte di un’amministrazione pubblica. Ciò che, invece, contraddistingue l’attività qualificabile come servizio pubblico è la necessità che la stessa sia espletata in ossequio al principio di imparzialità implicante la doverosa osservanza di una serie di obblighi, tra cui, non solo quello di svolgere l’attività con carattere di continuità e regolarità, ma anche e soprattutto quello di non operare alcuna forma di favoritismo o discriminazione, ammettendo al servizio, o meglio alle prestazioni cui lo stesso è preordinato, tutti coloro che vi hanno titolo, nel rispetto, peraltro, del principio di uguaglianza dei diritti dell’utente. E’ necessaria pertanto la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali, in specie, quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata, invece, una comune attività economica. Concezione rilevante ex art. 33, d. lgs. n. 80/1998. Senonché, la nozione di servizio pubblico rilevante ai sensi dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, quale parametro di delimitazione della nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo presuppone un ulteriore requisito, dalla giurisprudenza desunto sulla scorta di una lettura finalistica e costituzionalmente orientata dell’art. 33. Si è così ritenuto che in sede di ricostruzione della decisiva nozione di servizio pubblico, l’interprete debba utilizzare, quali ausili di tipo ermeneutico, tutti i riferimenti contenuti nell’art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, non ultimi quelli volti ad indicare, sia pure con finalità meramente esemplificative, talune tipologie di attività sussumibili nel concetto in questione. La destinazione dell’attività ad una platea indifferenziata (a latere) Se è vero, infatti, che il legislatore del 1998 si è sottratto al compito di indicare espressamente gli elementi costitutivi e tracciare gli essenziali confini della nozione in esame, non è men vero, d’altra parte, che sono desumibili dalla stessa formulazione del citato art. 33, in specie dall’elencazione esemplificativa di cui al primo comma, talune essenziali indicazioni sintomatiche della scelta di far riferimento a quelle attività non solo assoggettate ad un regime giuridico implicante la necessaria osservanza di un dovere di imparzialità e di obblighi di continuità, regolarità ed obiettività in sede gestionale, ma anche connotate, sul piano finalistico, dall’idoneità a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti. L’illustrata accezione restrittiva di servizio pubblico, basata sulla destinazione finalistica dell’attività in favore di una platea indifferenziata di utenti, pare in linea anche con la nuova formulazione dell’art. 33, d.lgs. n. 80/1998, come risultante a seguito di Corte cost. n. 204/2004: anche nella nuova versione, infatti, permane il riferimento a taluni settori (trasporto, telecomunicazioni, servizi pubblici ex lege n. 481/1995) nei quali l’attività del gestore presenta le indicate connotazioni funzionali. Tale impostazione interpretativa è stata in passato accolta dal Giudice della giurisdizione, chiamato a verificare l’operatività dell’art. 33 con riguardo alle controversie promosse dalle case farmaceutiche per conseguire il pagamento dei compensi spettanti a fronte di forniture di prodotti effettuate in favore dell’unità sanitaria sì da consentire alla stessa il conseguimento dei beni necessari per la gestione del servizio sanitario23. Le Sezioni Unite sottolineano che « le prestazioni rese all’amministrazione sanitaria per consentire ad essa di ottenere i beni utilizzati per gestire il servizio sanitario si collocano a monte di tale servizio e non possono confondersi con le prestazioni del servizio pubblico, il quale si caratterizza per il fatto che è erogato al pubblico degli utenti ». Si consideri, peraltro, che al riparto di giurisdizione occorre ora attendere applicando le innovazioni apportate da Corte cost. n. 204/2004: va quindi senz’altro esclusa la giurisdizione esclusiva per le controversie squisitamente patrimoniali intercorse tra farmacista e amministrazione. Ciò non esclude che possa residuare uno spazio di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel settore farmaceutico: si pensi alle controversie riguardanti l’affidamento dell’attività. La questione era già stata esaminata da Cons. Stato, Ad. Plen., 31 maggio 2002, n. 5, che ha sostenuto la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del g.a. della controversia relativa alla legittimità del silenzio rifiuto serbato dalla regione in ordine all’istanza di assegnazione di una sede farmaceutica atteso che il servizio farmaceutico è considerato ad ogni effetto servizio pubblico ai sensi del d.lgs. 31 marzo 1998 n.80.

23 Cass., sez. un civ., 30 marzo 2000, n. 71, in UA, 2000, 602, con nota di GAROFOLI, L’art. 33 d.lgs. n. 80/98 al vaglio della Cassazione e del Consiglio di Stato.

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3.1.1. Una fattispecie problematica: l’edilizia residenziale pubblica. Di non agevole collocazione sotto il profilo della giurisdizione è la materia dell’edilizia residenziale pubblica. Da un lato, infatti, l’edilizia residenziale pubblica rientra nella materia edilizia almeno dal punto di vista dell’attività esecutiva dell’abitazione che poi dovrà essere assegnata; dall’altro, essa è riportabile alla nozione di pubblico servizio, trattandosi di un’attività che ha il fine di agevolare, rispetto alla disponibilità di alloggi, le persone meno abbienti, con uno scopo che è inevitabilmente di “preminente interesse generale” e pubblico, data la socialità del fine stesso e data la necessità di attuare i disposti costituzionali dell’art. 3, comma 2, e 42, comma 2, Cost. Il problema del riparto si è posto in giurisprudenza per le controversie aventi ad oggetto l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica o l’impugnazione dei provvedimenti di decadenza dall’assegnazione medesima. Giova suddividere la trattazione distinguendo tre fasi evolutive: la prima precedente all’entrata in vigore dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, la seconda successiva al varo della suddetta normativa, la terza, infine, destinata a prendere avvio all’indomani della pronuncia della Corte costituzionale n. 204/2004. A. Prima fase. Il riparto prima del d.lgs. n. 80 del 1998. a latere Prima dell’entrata in vigore degli artt. 33 e 34 d.lgs. n. 80 del 1998, si riteneva per lo più che occorresse distinguere tra una prima fase di carattere pubblicistico destinata a concludersi con l’emanazione del provvedimento di assegnazione dell’alloggio, nella quale venivano in rilievo interessi legittimi e che, pertanto, era devoluta al giudice amministrativo; e una seconda fase, di natura privatistica, in cui l’amministrazione non agisce più iure imperii, ma pone in essere una rapporto negoziale regolato dal diritto privato con un soggetto privato, preciso ed individuato: rapporto la cui cognizione si riteneva devoluta al giudice ordinario. Il provvedimento di assegnazione dell’alloggio fungeva, quindi, da spartiacque ai fini del riparto della giurisdizione: prima di esso la giurisdizione era del G.A.; successivamente, istaurandosi tra la p.a. e il privato assegnatario un rapporto interamente regolato dal diritto privato, la giurisdizione era del G.O. Più specificamente, fino alla riforma del 1998, si riteneva che rientrassero nella giurisdizione amministrativa le questioni riguardanti i provvedimenti di assegnazione od altri interventi (ad esempio, annullamento d’ufficio) assunti nell’esercizio dei poteri discrezionali dell’ente pubblico assegnante. Si riteneva, al contrario che non vi rientrassero le vicende aventi per oggetto l’esercizio di poteri speciali di risoluzione e recesso, incidente sul rapporto di locazione che insorge in esito all’assegnazione; poteri il cui esercizio è collegato alla valutazione di elementi obiettivi (disponibilità di altro alloggio; allontanamento dall’immobile. B. Seconda fase. Entra in vigore il d.lgs. n. 80 del 1998. a latere Dopo l’entrata in vigore degli artt. 33 e 34 d.lgs.n. 80 del 1998 ci si è chiesti se questo criterio di riparto, basato sulla distinzione tra una prima fase anteriore al provvedimento di assegnazione, pubblicistica, ed una seconda fase, successiva all’assegnazione, privatistica, potesse ancora essere utilizzato o, al contrario, se vi fossero ormai i presupposti per ampliare l’ambito della giurisdizione amministrativa, riconducendo anche le controversie prima conosciute dal G.O. nell’alveo della nuova giurisdizione esclusiva. Soluzione, quest’ultima, accolta dalla prevalente giurisprudenza propensa ad optare, quindi, per la giurisdizione amministrativa anche per le controversie che riguardano momenti successivi all’assegnazione. 3. Interviene Corte cost. n. 204/2004: al G.O. il contenzioso riguardante la fase esecutiva. A latere Intervenuta la Corte cost. n. 204/2004, che ha circoscritto la giurisdizione esclusiva del G. A. al solo contenzioso nel quale è in contestazione l’esercizio del potere, la Corte di Cassazione è dovuta ritornare sul tema. Con ordinanza 23 dicembre 2004, n. 23830, infatti, le Sezioni unite, hanno sostenuto che “in base alla disciplina di cui all'art. 33 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, come risulta a seguito della sentenza di illegittimità costituzionale parziale n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, nella materia dell'edilizia residenziale pubblica - senz'altro ricompresa, per la finalità sociale che la connota, in quella dei servizi pubblici - la giurisdizione del giudice amministrativo non è configurabile nella fase successiva al provvedimento di assegnazione, giacchè detta fase è segnata dall'operare della P.A., non quale autorità che esercita pubblici poteri, ma nell'ambito di un rapporto privatistico di locazione, tenuto conto che i provvedimenti adottati, variamente definiti di revoca, decadenza, risoluzione, non costituiscono espressione di una ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato, ma si configurano come atti di valutazione del rispetto da parte dell'assegnatario di obblighi assunti al momento della stipula del contratto, ovvero si sostanziano in atti di accertamento del diritto vantato dal terzo al subentro sulla base dei requisiti richiesti dalla legge. Rientra pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia avente ad oggetto la legittimità o meno della pretesa del figlio dell'assegnatario, che prospetti di avere i requisiti di legge - tra cui quello della convivenza - per il subingresso nel rapporto, di subentrare al genitore deceduto nell'assegnazione dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica”. Al G.O. l’impugnativa della delibera di esclusione dalla cooperativa edilizia. A latere Ancor più di recente sono intervenute sul tema le Sezioni unite di Cassazione che, con sentenza 24 maggio 2006 n. 12215, hanno chiarito che nel campo della edilizia residenziale pubblica e segnatamente, in quello dell’assegnazione degli alloggi economici e popolari, va distinta nettamente la fase di natura pubblicistica - caratterizzata dall'esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici, e, corrispondentemente, da posizioni di interesse legittimo del privato - da quella di natura privatistica - nella quale la posizione dell'assegnatario assume natura di diritto soggettivo, in forza della diretta rilevanza della regolamentazione del rapporto tra ente ed assegnatario; sono pertanto da attribuire alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie attinenti a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase; mentre sono riconducibili alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o di risoluzione del rapporto. Rientra, pertanto, nella giurisdizione dell’A.G.O. una controversia proposta da un socio di una cooperativa edilizia avverso la delibera del consiglio di amministrazione con la quale è stato escluso dalla cooperativa stessa; in tal caso, infatti, la controversia non inerisce alla fase pubblicistica, ma attiene alle vicende del rapporto sorto per effetto del provvedimento di assegnazione, e tende a far valere, attraverso la contestazione della delibera di esclusione, la titolarità del diritto soggettivo del socio alla conservazione del godimento dell'immobile.

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3.1.2. I c.d. servizi sociali. Ancora con riferimento alla nozione di pubblico servizio, giova considerare un ulteriore profilo di recente preso in considerazione in giurisprudenza. Ci si é chiesti se nella nozione di servizio pubblico rilevante ai sensi dell’art. 33, d.lg. n. 80/1998, vadano ricondotti anche i c.d. servizi sociali, attività cioè di tipo non imprenditoriale, ma rivolte al soddisfacimento dei bisogni o delle esigenze di taluni soggetti. La questione è stata non poco dibattuta con riferimento all’attività di c.d. assistenza sociale, in specie quella con cui l’ente pubblico provvede all’erogazione di provvidenze economiche in favore di determinate categorie di soggetti. Prima di Corte cost. n. 204/2004, la giurisprudenza che si è occupata della questione illustrata ha escluso la riconducibilità della controversie in questione nell’ambito di operatività della previdente formulazione dell’art. 33, d.lg. n. 80/ 1998, non già certo escludendo a priori però che il servizio sociale possa considerarsi servizio pubblico, bensì sostenendo che difetterebbe nell’attività suddetta il connotato finalistico che, come prima osservato, integra la nozione stessa di pubblico servizio agli effetti del medesimo art. 33. Nel dettaglio, non si tratterebbe di attività rivolta ad una platea indifferenziata di utenti, in quanto destinata al riconoscimento di taluni benefici economici in favore dei soli soggetti che presentino i requisiti richiesti dalla disciplina normativa che regolamenta il settore. Sulla questione, è di recente tornata, successivamente a Corte cost. n. 204/2004, Cass., sez. un., 13 gennaio 2005 n. 466, secondo cui la controversia promossa dal privato per il riconoscimento e la quantificazione dei contributi riconosciuti dal d.l. 19 marzo 1981 n. 75, convertito dalla l. 14 maggio 1981 n. 219, e successive modificazioni, per la ricostruzione o riparazione di immobili colpiti dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, spetta alla cognizione del giudice ordinario, vertendosi in tema di erogazioni in cui l’attività dell’amministrazione è rigorosamente vincolata dai criteri predisposti dalla legge, a tutela dei diritti soggettivi dei soggetti danneggiati, senza che rilevi in senso contrario la censura mossa alla regolarità del procedimento amministrativo nel quale si valutano le priorità in ordine all’erogazione dei finanziamenti. Né la devoluzione di siffatta controversia al giudice amministrativo può essere fondata sull’art. 33 del d.lg. 31 marzo 1998 n. 80 (nel testo novellato dall’art. 7 della l. 21 luglio 2000 n. 205), giacchè— a prescindere dalla non riconducibilità dell’erogazione dei contributi per il terremoto, la quale fuoriesce dalle attività di protezione civile, alla materia dei pubblici servizi — la Corte costituzionale, con la sentenza n. 204 del 2004, dichiarando l’illegittimità costituzionale, « in parte qua », di detta norma, ha fatto cadere la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per tutta la materia dei servizi pubblici. 3.2. Le controversie relative a concessione di pubblici servizi. Compensi dovuti al gestore. Tetti di spesa. Diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero. E opportuno passare in rassegna le singole ipotesi di giurisdizione esclusiva sopravissute, in materia di servizi pubblici, all’intervento manipolativo di Corte cost. n. 204/2004. Le pretese creditorie connesse all’esecuzione del servizio (a latere) La prima è quella involgente le controversie relative a concessioni di pubblici servizi. Si ritorna, in tal modo, all’ipotesi originariamente contemplata dall’art. 5 l. TAR, di cui si ribadisce il contenuto precettivo anche per quel che attiene al limite frapposto all’ampiezza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: ne restano, infatti, sottratte le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi. E’ destinato, quindi, a restare tendenzialmente sottratto al giudice amministrativo, o quanto meno alla sua cognizione esclusiva, il contenzioso avente ad oggetto le pretese creditorie degli operatori del servizio sanitario (farmacisti, case di cura) nei confronti delle Asl, nonché, più in generale, quelle vantate dai gestori di pubblici servizi per l’intervenuto espletamento del servizio stesso. Si è così ritenuto24 che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario una controversia riguardante esclusivamente il pagamento di canoni relativi all’affidamento di un pubblico servizio. I tetti di spesa ( latere) Particolarmente dibattuta la questione del riparto di giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione degli atti con cui l’Azienda Sanitaria, sulla base delle previsioni del Piano Sanitario e dei criteri dettati in materia dalla competente Amministrazione regionale, stabiliscono il tetto di spesa (budget) per le prestazioni erogate nel corso dell’anno dalle singole strutture accreditate, con correlativa fissazione di meccanismi di decremento tariffario per le prestazioni erogate in eccedenza. 1. La tesi che devolve il contenzioso al G.A. ( latere) A favore del mantenimento della controversia alla giurisdizione amministrativa si è sostenuto che nella specie la situazione giuridica azionata sia di interesse legittimo e che si versi pertanto in ambito di giuri-sdizione generale di legittimità, non inciso dalla pronunzia della Corte Costituzionale: a tale risultato si é ritenuto di pervenire attribuendo agli atti impugnati natura di provvedimenti di organizzazione (del 24 Cons. St., sez. V, 10 giugno 2005, n. 3066.

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servizio pubblico), connotati da margini di discrezionalità correlati alla disponibilità di risorse finanziarie pubbliche sufficienti alla copertura del costo del servizio medesimo, a fronte dei quali si materializzano, dunque, posizioni di interesse legittimo. . 2. La tesi che devolve il contenzioso al G.O. ( latere) A favore della devoluzione della controversia alla giurisdizione dell’A.G.O., militano i seguenti due argomenti: a) alla stregua della riformulazione del disposto dell’art. 33 operata dalla Corte Costituzionale, una volta superata la fase di affidamento della concessione (accreditamento), ogni controversia avente quale oggetto sostanziale la spettanza di diritti di credito nascenti dall’erogazione del servizio pubblico sembra appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario, ancorché al riconoscimento del diritto si pervenga attraverso la rimozione della statuizione amministrativa (avente, in tale prospettiva, natura e consistenza di mero atto paritetico) che ha denegato l’erogazione patrimoniale; b) la domanda di annullamento degli atti determinativi del tetto di spesa é per lo più finalizzata al conseguimento in via giurisdizionale della declaratoria di spettanza del sottostante diritto patrimoniale. Interviene Cons. Stato, Adun. plen., 2 maggio 2006 n. 8 (a latere) Sul punto é intervenuta con sentenza 2 maggio 2006 n. 8 l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sostenendo il radicarsi della giurisdizione del giudice amministrativo. Da un lato, infatti, la determinazione del tetto di spesa e la suddivisione della stessa tra le attività assistenziali costituisce esercizio del potere di programmazione sanitaria, a fronte del quale la situazione del privato è di interesse legittimo: non potrebbe escludersi, quindi, la giurisdizione generale di legittimità del G.A. D’altra parte, soggiungono i Giudici della Plenaria, « la stessa determinazione risulta anche riconducibile ratione materiae alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di servizi pubblici, così come definita dalla Corte Costituzionale con la sentenza 204 del 2004. Diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero (a latere) Oggetto di non poche dispute la questione relativa al riparto sulle controversie relative al diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero nonché al diniego di rimborso delle spese sanitarie sostenute. Giova considerare che, prima di Corte cost. n. 204/2004, l’art. 33, comma 2, lett. e), da un lato, riconosceva al giudice amministrativo in via esclusiva le controversie « riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi com-prese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione »; dall’altro, sottraeva alla giurisdizione esclusiva i «rapporti individuali di utenza con gestori privati», le « controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona », nonché, infine, quelle « in materia di invalidità civile »; la l. n. 205/2000, all’art. 7 ha poi escluso dalla giurisdizione esclusiva anche le controversie risarcitorie riguardanti il danno alle cose. Dichiarato illegittimo l’intero comma secondo del citato art. 33, ci si é interrogati sui criteri di riparto da osservare per le controversie relative alla pretesa dell’assistito del servizio sanitario nazionale al rimborso delle spese sostenute per ricoveri di urgenza in luoghi di cura non convenzionati, resi necessari in situa-zioni di urgenza: controversie in passato talvolta ricondotte alla giurisdizione esclusiva del G.A. In giurisprudenza ci si é orientati per la sussistenza della giurisdizione del G.O. Al giudice ordinario — si é sostenuto — rimangono le controversie attinenti a rapporti individuali di utenza25; invero, anche se la Corte costituzionale ha soppresso l’eccezione alla giurisdizione esclusiva a suo tempo apposta dal legislatore, pure per queste e per le controversie meramente risarcitorie la giurisdizione esclusiva in materia di concessioni non è estensibile ad attività e prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi26.

25 Cass. civ. nn. 5191 e 13447 del 2005. 26 Cass. civ. del 2005 ord. n. 598.

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Attiene, invero, al fondamentale diritto soggettivo alla salute, non suscettibile di affievolimento, la pretesa di rimborso per la prestazione di cure antitumorali (Di Bella) non differibili27, o comunque per cure urgenti ottenute all’estero28: le controversie in materia appartengono quindi alla giurisdizione ordinaria. In termini T.a.r. Lombardia, Sez. Brescia, 3 marzo 2006, n. 272.. Si legge in sentenza che nel caso di ricovero all’estero, reso necessario in considerazione delle migliori opportunità ivi presenti di attenuare o rimuovere le conseguenze dello stato morboso attraverso fruizioni di tecniche terapeutiche asseritamente non praticate in Italia, viene in considerazione il diritto alla salute dell’individuo. In particolare, la posizione dell’assistito assume natura di diritto soggettivo perfetto riconducibile all’art. 32 Cost., ed in tali casi difetta un potere della pubblica amministrazione che, in quanto espressione di discrezionalità amministrativa, sia in grado di determinare l’affievolimento di quella posizione (sui rapporti tra potere, diritti c.d. in affievolibili e giurisdizione si rinvia al Cap…, par….). In termini, si è pronunciata Cass., Sez. un., n. 5402/2007, che ha, anzitutto, ribadita la regola di riparto della giurisdizione secondo cui la domanda dell'assistito dal Servizio sanitario nazionale di rimborso di spese effettuata presso una struttura privata o all'estero, senza preventiva autorizzazione, per cure o interventi ritenuti urgenti e non ottenibili dal servizio pubblico, fa valere una posizione creditoria correlata al diritto alla salute, per sua natura non suscettibile di essere affievolito dal potere di autorizzazione, involgendo, quanto al requisito dell'urgenza, meri apprezzamenti tecnici della P.A., non valutazioni discrezionali in senso stretto. Cosicché, assumendo che la relativa controversia spetta alla giurisdizione del giudice ordinario29, la Suprema Corte ha concluso osservando che, a seguito Corte cost. n. 204 del 2004 e della decapitazione della previsione relativa alle controversi afferenti le "attività e prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del servizio sanitario nazionale", le controversie relative a tutte le prestazioni erogate nell'ambito del servizio sanitario nazionale, nella sussistenza di un rapporto obbligatorio tra cittadini e amministrazione , sono devolute alla competenza del giudice ordinario, ai sensi del criterio generale 3.3. Le controversie relative a provvedimenti. Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, educazione sessuale nelle scuole e revoca di amministratori di società in mano pubblica. Il riscritto art. 33, ha riguardo, inoltre, alle controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla l. 7 agosto 1990 n. 241. Quanto al riferimento alle controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, può pensarsi al caso in cui l'amministrazione, applicando anche la legge n. 241 del 1990, provveda alla scelta di un socio privato per la costituzione di una società mista affidataria della gestione di un servizio pubblico, ovvero ancora al contenzioso relativo alla revoca del consenso alla trasformazione di azienda speciale in società per azioni, già in passato ricondotta nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in applicazione dell’ormai cancellata lett. a) dell’art. 33, comma 2, d.lg. n. 80/199830. Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche (a latere) Discussa la riconducibilità nella ipotesi di giurisdizione esclusiva in esame delle controversie nelle quali è in contestazione l’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche. Giova considerare che l’affissione del crocifisso nelle scuole avviene sulla base di provvedimenti dell'autorità scolastica conseguenti a scelte dell'Amministrazione, contenute in regolamenti e circolari ministeriali, riguardanti le modalità di erogazione del pubblico servizio, e quindi riconducibili, pur nella complessità delle implicazioni e nella rilevanza e delicatezza degli interessi coinvolti, alla potestà organizzatoria della stessa. Con ordinanza n. 389 del 2004 la Corte Costituzionale, dichiarando manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 159 e 190 (Approvazione del 27 Cass. civ. del 2005 ord. n. 13548. 28 Cass. civ. del 2005 ordd. nn. 11333 e 11334. 29 In termini, Cass., sez. un., nn. 15897/2006, 23735/2006 e 17461/2006. 30 Cass., sez. un., 10 ottobre 2002, n. 14474.

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testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), ha osservato al riguardo che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è contemplata unicamente da norme di rango regolamentare volte a disciplinare le modalità di prestazione di un servizio pubblico essenziale, quale è quello scolastico. Si è conseguente ritenuto che: in tale quadro di riferimento, segnato dalla mancanza di una espressa previsione di legge impositiva

dell'obbligo di affissione del crocifisso nelle scuole, trova applicazione ai fini della giurisdizione l’art. 33 del D.lgs. 80/1998, che nella materia dei pubblici servizi attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo;

venendo quindi in discussione provvedimenti dell'autorità scolastica che hanno dato attuazione a disposizioni di carattere generale adottate nell'esercizio del potere amministrativo, e quindi riconducibili alla pubblica amministrazione – autorità, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo31.

Educazione sessuale nelle scuole (a latere) Interrogativi in punto di giurisdizione sono emersi anche con riferimento al contenzioso nel quale è in discussione la legittimità delle scelte operate dagli istituti scolastici in ordine all’articolazione dei programmi e dei metodi didattici. In particolare, ci si chiede a chi spetti la giurisdizione in ordine ad una controversia azionata per ottenere che, in assenza del consenso dei genitori, si vieti agli istituti scolastici di impartire ai minori lezioni di educazione sessuale in classe. E’ noto che l’importanza di una corretta educazione sessuale, nell’ambito del programma formativo dei giovani studenti, ha indotto talune scuole a modificare l’organizzazione e l’articolazione dei programmi e dei metodi didattici con l’introduzione, per l’appunto, della disciplina dell’”educazione sessuale”. 1. Giurisdizione a.g.o. a latere Per una prima tesi, le controversie in questione vanno sottoposte al vaglio del giudice ordinario. Si ritiene, infatti, che i provvedimenti adottati dagli istituti scolastici in materia di organizzazione ed articolazione dei programmi didattici, incidendo sui diritti fondamentali del privato, ed in particolare sul diritto - dovere dei genitori, sancito dagli artt. 29 e 30 Cost, di provvedere all' educazione dei figli, non siano idonei a degradare ad interessi legittimi le posizioni giuridiche dei destinatari. 2. Giurisdizione amministrativa a latere Secondo la tesi prevalente, invece, occorre tener conto, nel dare soluzione al profilo problematico indicato, del fatto che l’esigenza di una corretta ed equilibrata educazione in materia sessuale non corrisponde solo all’interesse del singolo o del suo nucleo familiare ma anche all’interesse pubblico alla salute ed alla sanità pubblica. Ne deriva che un’eventuale controversia sulla legittimità della scelta operata dagli istituti scolastici in ordine all’introduzione, nei programmi scolastici, della disciplina dell’educazione sessuale investe in via diretta ed immediata il potere dell' Amministrazione in ordine all'organizzazione ed alle modalità di prestazione del servizio scolastico, così involgendo una scelta riconducibile, pur nella complessità delle implicazioni e nella rilevanza e delicatezza degli interessi coinvolti, alla potestà organizzatoria della istituzione scolastica, esercitata con disposizioni riconducibili alla pubblica amministrazione autorità. Sicché trova applicazione, ai fini della giurisdizione, l'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, sostituito dall' art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, nel testo risultante dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale che nella materia dei pubblici servizi attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva “se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo, ovvero si avvale della facoltà riconosciutale dalla legge di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo”32. In altri termini il diritto fondamentale dei genitori di provvedere all’educazione ed alla formazione dei figli trova il necessario componimento con il principio di libertà dell'insegnamento dettato dall'art. 33 Cost. e con quello di obbligatorietà dell'istruzione inferiore affermato dall'art. 34 Cost. Da ciò discende il potere

31 Cass, 10 luglio 2006, n. 15614 32 Così Cass. civ., s.u., ord. 5 febbraio 2008, n. 2656.

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dell’amministrazione scolastica di svolgere la propria funzione istituzionale “con scelte di programmi e di metodi didattici potenzialmente idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni politiche esistenti nel suo ambito non solo nell’approccio alla materia sessuale, ma anche nell’insegnamento di specifiche discipline, come la storia, la filosofia, l’educazione civica, le scienze, e quindi ben può verificarsi che sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non pienamente corrispondente alla mentalità ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli genitori”33. Revoca di amministratori di società pubbliche (a latere) Parimenti problematica la sussumibilità entro l’ambito di operatività dell’ipotesi di giurisdizione esclusiva in esame del contenzioso relativo alla revoca ad opera dell’ente locale degli amministratori di società mista preposta alla gestione del servizio pubblico. La soluzione può essere condizionata dall’opzione che si ritiene di seguire in merito alla questione relativa alla natura, di diritto pubblico o privato, dell’atto di revoca. Questione scandagliata dal Consiglio di Stato (già prima di Corte cost. n. 204/2004), che ha sostenuto il carattere privatistico dell’atto di nomina dell’amministratore (e quindi anche della sua revoca), rimarcando la genesi patrizia e convenzionale della relativa facoltà: non si tratterebbe pertanto di estrinsecazione di potestà pubblica, da assoggettare alle regole di cui alla l. n. 241/1990, ma di mera facoltà negoziale34. Al G.O. le liti per l’annullamento, per violazione dell’art. 2332 n. 4 c.c., dell’atto costitutivo e dello statuto di una società per azioni (titoletto) Ancora al G.O. si è ritenuto appartengano le controversie aventi ad oggetto l’annullamento, per violazione dell’art. 2332 n. 4 c.c., dell’atto costitutivo e dello statuto di una società per azioni, costituita per lo svolgimento di tutti i servizi di un ente locale. In termini, T.a.r. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 4 febbraio 2005 n. 58, secondo cui , da un lato, in virtù della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 è stata dichiarata, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lettera a) della legge 21 luglio 2000, n. 205, e, dall’altro - in disparte la pronuncia del Giudice delle leggi sopra citata - la disposizione di cui all’art. 33, comma 2, lett. a) del decreto legislativo n. 80 del 1998 che, allorquando ha previsto la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie concernenti l’istituzione, la modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le società di capitali, si riferiva alle sole procedure pubblicistiche, dovendosi escludere ogni interferenza del giudice amministrativo in questioni di stretta attinenza al diritto societario. 3.4. Controversie relative all’affidamento del servizio. Resta ancora ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie relative all'affidamento di un pubblico servizio: tra queste, quelle che coinvolgono la procedura selettiva e le modalità con cui la stessa è gestita, quelle nelle quali si discute della omessa osservanza dell’obbligo di gara e dell’affidamento diretto del servizio, nonché, ancora, quelle, che, pur non inerendo direttamente all’affidamento del servizio, attengono ad attività che, successive all’avvio del rapporto tra amministrazione e gestore del servizio, sono tuttavia destinate ad incidere in senso modificativo sulle originarie condizioni che regolano quel rapporto stesso (si pensi alla controversia relativa alla rinegoziazione delle condizioni di aggiudicazione della gara35). 3.5. Controversie relative alla vigilanza e al controllo. Responsabilità Consob e contenzioso in tema di sanzioni (rinvio). La sentenza della Consulta lascia inoltre intatta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie relative alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché per quelle afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare.

33 Così sempre Cass. civ., s.u., ord. 5 febbraio 2008, n. 2656. 34 Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2003, n. 3346. In termini, dopo Corte cost. n. 204/2004, Cass., Sez. un., 15 aprile 2005, n. 7799; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 18 dicembre 2006 n. 1984. 35 Cfr., al riguardo, prima di Corte cost. n. 204/2004, Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 2003, n. 4167.

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La vigilanza Consob e i danni da omessa vigilanza (titoletto) Il persistente riferimento alla vigilanza innesca qualche perplessità in merito all’attitudine della sentenza della Consulta a rompere gli equilibri giurisdizionali che sembravano raggiunti sulla differente problematica afferente la responsabilità risarcitoria delle Autorità di vigilanza: si pensi alla responsabilità della Consob per i danni arrecati ai risparmiatori a causa dell’omesso controllo sulla veridicità e completezza dei prospetti informativi (si rinvia, per l’esame, al Cap… è quello sulla responsabilità della P.A.). Il riparto di giurisdizione in tema di sanzioni (titoletto) Quanto al riparto di giurisdizione in materia di sanzioni, restano ferme, come accennato, le difficoltà interpretative già sorte sotto la precedente formulazione. Le difficoltà ermeneutiche sono dettate dalla necessità di coordinare le suindicate previsioni introdotte dal d.lgs. n. 80/98 con le discipline di settore che prevedono in talune ipotesi la giurisdizione del giudice ordinario: è quanto si verifica in relazione alle impugnazioni delle ordinanze-ingiunzioni adottate nell’esercizio dei poteri di vigilanza (si rinvia per l’esame al Cap….. E’ quello sulle autorità indipendenti). 3.6. Servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla l. n. 481 del 1995. Problematico è ancora il persistente riferimento, contenuto nel nuovo art. 33, come riscritto dalla Consulta, a talune tipologie di servizi pubblici: servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481. In primo luogo, viene meno, a seguito dell’intervento manipolativo della Corte, l’importante espressione “ivi compresi” che precedendo, nell’originaria versione, l’elencazione di alcune tipologie di servizi, denotava senza alcun dubbio l’intento solo esemplificativo, e non certo esaustivo, di quell’enumerazione. E’ necessario ritenere che nulla sia al riguardo cambiato anche a seguito della sentenza n. 204/2004, non potendosi certo pensare che la Consulta abbia inteso limitare ai soli servizi elencati l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, già su altro fronte ridimensionata con il riferimento alle sole controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio. E’ quanto, del resto, agevolmente desumibile dal persistente ed ampio riferimento, contenuto nella prima parte del riscritto art. 33, alle “controversie in materia di pubblici servizi”. Al contempo, appare quanto mai ragionevole, se non del tutto scontato, ritenere che anche nell’ambito dei servizi pubblici nominativamente indicati la nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia ormai destinata a radicarsi limitatamente alle sole controversie che la Consulta ha provveduto a tipizzare. 4. La giurisdizione in tema di concessione di beni. Ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è quella in tema di concessione di beni delineata dall’art. 5, l. TAR, a tenore del quale “Sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici”. Ai sensi del comma 2 della stessa disposizione, peraltro, “Resta salva la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”. Controversie patrimoniali: natura della giurisdizione del G.O. (a latere) Quanto alla giurisdizione delineata dal citato art. 5, comma 2, l. TAR. Non ne è scontata la natura. Secondo un indirizzo più radicale la ripartizione della giurisdizione operata dal legislatore deve intendersi effettuata per materie, con la conseguenza che il giudice ordinario dovrebbe conoscere tutte le controversie relative a canoni e corrispettivi, indipendentemente dalle situazioni giuridiche coinvolte. Alla stregua di tale orientamento, quindi, l’art. 5 radicherebbe due distinte ipotesi di giurisdizione esclusiva: al comma 1 quella del G.A. in materia di concessioni di beni; al secondo quella dell’A.G.O. in materia di canoni ed altri corrispettivi. Per l’orientamento contrapposto, invece, l’art. 5, l. TAR, lungi dal creare una giurisdizione esclusiva dell’A.G.O., avrebbe semplicemente ripristinato, in materia di canoni ed altri corrispettivi, le regole generali sul riparto di giurisdizione, con la conseguenza che, di volta in volta, sarà necessario verificare la natura della situazione giuridica in contestazione.

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Si pone, quindi, aderendo a tale contrapposto fronte ricostruttivo, l’esigenza di individuare un criterio sufficientemente certo e funzionale di attribuzione della giurisdizione. Una prima soluzione, talvolta seguita dalla giurisprudenza amministrativa, é stata quella di riservare al giudice amministrativo tutte le controversie in cui la soluzione della questione relativa alla misura del canone sia meramente consequenziale rispetto a quella da dare al principale punto della qualificazione giuridica o della natura intrinseca dell’atto concessorio, e, addirittura, ogni controversia in materia di canoni in cui venga in discussione anche l’atto concessorio. Si é però obiettato che l’atto concessorio viene sempre in qualche modo in rilievo, anche quando si controverte esclusivamente sui diritti patrimoniali che su di esso si fondano. Da qui la necessità di trovare un più preciso criterio di riparto onde evitare di attrarre l’intera materia dei canoni e dei corrispettivi nell’orbita della giurisdizione amministrativa, privando di significato il comma 2 dell’art. 5 cit. e « tradendo » la volontà del legislatore. Si è allora sostenuto il radicarsi della giurisdizione amministrativa di legittimità per le ipotesi in cui la soluzione della controversia concernente la misura del canone postuli un sindacato sul potere discrezionale esercitato dalla P.A. nell’ambito del rapporto concessorio. Laddove non venga in discussione tale potere, e la fissazione dell’importo debba avvenire sulla base di rigidi criteri di legge, la giurisdizione sarà dell’A.G.O.; così, ad esempio, nel caso in cui si controverta solo sull’individuazione della disciplina per la determinazione della somma prevista dal legislatore o sulla sua in-terpretazione. Scadenza della concessione (a latere) Articolata appare la soluzione del problema di giurisdizione nel caso di scadenza della concessione: la Cassazione attribuisce infatti alla giurisdizione esclusiva del G.A. non solo le controversie in tema di rinnovo della concessione, ma anche quelle in materia di determinazione del canone per il caso di rinnovo, prima facie rientranti nell’ambito cognitorio dell’A.G.O. ai sensi del comma 2 dell’art. 5 l. TAR. Ed invero, come chiarito dalle Sezioni unite di Cassazione36, tale norma non risulta applicabile per la mancanza, in capo all’ex concessionario che aspira al rinnovo, di una situazione qualificabile in termini di diritto soggettivo. Nel dettaglio, ad avviso delle Sezioni unite, « le controversie concernenti la consistenza di canoni dovuti in corrispettivo di una concessione in fieri, essendone stata presentata domanda di rinnovo, il cui accoglimento la p.a. condizioni al pagamento di tali canoni, sulla quantificazione dei quali insorga contestazione, appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 5 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, atteso che, affinchè possa sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, deve ricorrere il presupposto della concessione, sicché, fino a quando essa non sia rinnovata — se é configurabile un interesse al rinnovo, tutelabile davanti al giudice amministrativo — non v’é un diritto, già sorto, a pagare come canone della concessione una anziché altra somma, e dunque non ne può essere chiesta tutela al giudice ordinario ». Giova inoltre considerare che presupposto indefettibile per l’applicabilità dell’art. 5 comma 2 l. TAR é che il corrispettivo si collochi all’interno di un singolo rapporto concessorio, nella relazione tra amministrazione concedente e privato concessionario. Dal raggio di azione della norma esulano dunque i provvedimenti generali con cui si determina la misura delle tariffe: trattasi infatti di atti validi per un’intera categoria di fruitori del bene, rispetto ai quali sono configurabili posizioni di interesse legittimo degli imprenditori del settore, degli utenti o degli organismi collettivi rappresentativi dei consumatori. Controversie tra concessionario e terzi. (a latere) Ulteriore problema di giurisdizione in materia di concessioni di beni si é posto con riguardo alle controversie tra concessionario e terzi. Come la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha chiarito, si ha giurisdizione esclusiva del G.A. quando « la pretesa del concessionario nei confronti del terzo, derivante dal rapporto tra costoro costituito, sia basata sul contenuto dell’atto di concessione e sia, quindi, riferibile direttamente all’amministrazione pubblica

36 Cass., Sez. un., 17 luglio 2001, n. 9652.

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concedente »37; é quanto si verifica allorché l’amministrazione abbia espressamente previsto e autorizzato nella concessione il rapporto tra il concessionario ed un determinato terzo. La giurisdizione apparterrà invece all’A.G.O. qualora la pretesa trovi la sua origine in un rapporto tra concessionario e terzo rispetto al quale la concessione sia semplice presupposto, essendo ad esso l’amministrazione rimasta estranea. In tale ipotesi, non sussistendo alcun collegamento tra il rapporto derivato e quello di concessione, la controversia tra il concessionario e il terzo assumerà infatti connotazione squisitamente privatistica.. Giurisdizione in materia di concessioni di denaro a latere Problemi interpretativi sono emersi in sede di individuazione della giurisdizione in materia di concessioni di denaro. Per vero, una parte della giurisprudenza ha messo in dubbio la stessa ammissibilità concettuale di provvedimenti concessori aventi ad oggetto somme di denaro. Significativa, in tal senso, la sentenza n. 13798 del 2001, con cui le Sezioni Unite di Cassazione hanno sostenuto che la controversia relativa all’attribuzione di somme di denaro in proprietà dell’assegnatario è estranea alla materia delle concessioni, non rientrando quindi tra quelle devolute al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva38. Sullo sfondo l’assunta incompatibilità tra l’attribuzione di somme di denaro in proprietà ed il concetto stesso di concessione, che invece presuppone la persistente appartenenza del bene che ne costituisce oggetto al demanio o al patrimonio indisponibile39. Assunto sostenuto anche evidenziando che, normalmente, quando la P.A. concede in uso un bene, è prevista, al cessare degli effetti del provvedimento, la restituzione del bene medesimo da parte del privato; restituzione, invece, non ammissibile in caso di concessione di denaro, essendo al più possibile la restituzione del tantundem. Seguendo tale indirizzo ostile alla riconducibilità ontologica dell’assegnazione di denaro all’istituto della concessione di beni, la giurisprudenza, esclusa l’applicabilità dell’art. 5, l. n. 1043/1971, attende al riparto di giurisdizione applicando i consueti criteri e distinguendo quindi tra diverse tipologie di controversie:

a) quella nella quale il privato contesta le modalità con cui l’amministrazione ha esercitato il discrezionale potere di far luogo all’erogazione di denaro appartiene alla giurisdizione di legittimità del G.A., facendosi nella stessa questione della ritenuta lesione di interessi legittimi;

b) parimenti, appartiene alla giurisdizione di legittimità del G.A. quella azionata avverso i provvedimenti con cui l’amministrazione, agendo in autotutela, annulla il provvedimento di attribuzione del beneficio;

c) quella, viceversa, azionata da chi, avendo già ottenuto il rilascio del provvedimento di attribuzione del beneficio, si duole della mancata attuazione dello stesso e della mancata e concreta erogazione, va invece portata al vaglio del G.O., essendo nella stessa in contestazione la lesione del diritto soggettivo sorto per effetto dell’adozione della determinazione provvedimentale.

Per altro e prevalente orientamento, la concessione di denaro ben può essere ricondotta alla figura della concessione di beni, tra questi rientrando anche le somme di denaro che l’amministrazione trasferisce dal proprio patrimonio a quello dei privati40. Da qui l’applicabilità dell’art. 5, legge Tar, inteso quale norma generale concernente la concessione di pubbliche funzioni, di pubblici servizi e di pubblici beni; in particolare, parte della giurisprudenza ritiene di applicare il comma 1 dell’art. 5, che individua in tale materia un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo41. Fermo il rinvio all’art. 5, altra parte della giurisprudenza ritiene che sia, invero, da applicare il co. 2 della disposizione de qua, relativo alle questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario, così concludendo per la giurisdizione del giudice ordinario42. Più precisamente, si rileva43 che il destinatario di finanziamenti o sovvenzioni pubbliche vanta, nei confronti dell'autorità concedente, una posizione tanto di interesse legittimo (rispetto al potere dell'amministrazione di annullare i provvedimenti di attribuzione dei benefici per vizi di legittimità ovvero di revocarli per contrasto originario con l'interesse pubblico), quanto di diritto soggettivo (relativamente alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento ed alla conservazione degli importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere). Se ne deduce la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie instaurate per ottenere gli importi dovuti (ma in concreto non erogati), ovvero per contrastare l'amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo44.

37 Cass., sez. un., 25.6.2002 n. 9233. 38 Cass., Sez. Un., 7 novembre 2001, n. 13798. 39 Per un approfondimento del tema, CARINGELLA- GAROFOLI, Trattato di giustizia amministrativa- Il riparto di giurisdizione, Milano 2007, 972 ss. 40 Cons. St., sez. IV, 19 luglio 1993, n. 727. 41 Cons. St., n. 727/1993, cit. Si segnala anche Cons. St., sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1604, pervenuto alla giurisdizione non esclusiva ma di legittimità del giudice amministrativo, in relazione ad una domanda di annullamento del diniego di corresponsione della speciale elargizione prevista dall’art. 6 della legge n. 308/1981 (recante “Norme in favore dei militari di leva e di carriera appartenenti alle Forze armate, ai Corpi armati ed ai Corpi militarmente ordinati, infortunati o caduti in servizio e dei loro superstiti”). 42 Cons. St., sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1989. 43 Cons. St., n. 1989/2002, cit.; conforme Cass. civile, Sez. Un., 10 maggio 2001, n. 183; Tar Lazio Roma, sez. II, 18 aprile 2007, n. 3399; Tar Toscana Firenze, sez. I, 12 febbraio 2007, n. 216. 44 Cfr Tar Campania Napoli, sez. III, 10 luglio 2006, n. 7382, che, dopo aver delineato il quadro giurisprudenziale in materia di concessione di contributi pubblici, accoglie l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dalla P.A.

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Si rimarca, infatti, che la posizione del privato nella fase procedimentale successiva al provvedimento di concessione del contributo ha ad oggetto il pagamento integrale delle somme originariamente accordate: se ne deduce l’operatività ai relativi contenziosi dell'art. 5, co. 2, che fa salva la giurisdizione del giudice ordinario per tutte le questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario, qualunque sia il nomen in concreto utilizzato (canoni, indennità, corrispettivi). 5. La giurisdizione esclusiva in materia di contratti pubblici: rinvio. Volendo schematizzare, le tappe dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale registratasi sul tema del riparto di giurisdizione in materia di contratti della pubblica amministrazione possono essere ricondotte alle seguenti quattro fasi: 1) fase anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80/1998 e della legge n. 205/2000; 2) fase compresa tra il varo del D.Lgs. n. 80/1998 e della legge 205/2000 e l’intervento della sentenza della Consulta n. 204/2004; 3) fase successiva agli arresti della Consulta del 2004, nn. 204 e 281, integrati dalla sentenza del medesimo Collegio n. 191/2006; 4) quella, infine, che prende avvio con l’entrata in vigore del Codice Unico dei contratti della pubblica amministrazione (D.Lgs. n. 163 del 12 aprile 2006). Quest’ultimo, in particolare, all’art. 244, apparentemente ricognitiva dell’art. 6, comma 1, legge 205/2000, dispone che “1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale. 2. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai provvedimenti sanzionatori emessi dall’Autorità. 3. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’art. 133 commi 3 e 4.” Resta pertanto ferma la validità dell’impostazione (già operata dall’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, e confermata dall’at. 6, l. n. 20572000) secondo cui, in linea di massima, rientrano nella giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie relativa alla fase pubblicistica di selezione del contraente, non anche, tendenzialmente, quelle coinvolgenti gli atti che la stazione appaltante abbia a porre in essere nella fase successiva di esecuzione del rapporto contrattuale. Si rinvia per l’esame delle problematiche interpretative al capitolo ….. paragrafi…., nonché al capitolo….. per la giurisdizione sulle controversie risarcitorie aventi ad oggetto il danno da responsabilità precontrattuale) 6. La giurisdizione in tema di edilizia, urbanistica ed espropriazione. L’art. 34 del d.lgs. 31.03.1998, n. 80, nella formulazione successiva all’intervento di Corte cost. n. 204/2004, devolve alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie aventi per oggetto gli atti e i provvedimenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia”; la citata sentenza della Corte ha, infatti, dichiarato l’illegittimità della disposizione in esame nella parte in cui aveva riguardo, nel perimetrare l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche alle controversie coinvolgenti i “comportamenti” posti in essere nelle materie dell’edilizia e dell’urbanistica. Lo stesso art. 34, peraltro, dispone, al comma 2, che “agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”. Soggiunge, al comma 3, che “nulla è innovato in ordine: a) alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque; b) alla giurisdizione del G.O. per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”. 6.1. Nozione di edilizia.

in merito ad una richiesta di restituzione del contributo per inadempimento delle obbligazioni assunte al momento della concessione.

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La prima questione che si è posta, all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 34, ha riguardato la stessa identificazione della materia urbanistica ed edilizia. Si è ritenuto che la materia edilizia dovesse essere identificata nella disciplina relativa all’attività costruttiva contenuta nel d.lgs. 6.06.2001, n. 380 (testo unico edilizia), con precipuo riferimento agli istituti del permesso di costruire, del contributo di costruzione, della denuncia d’inizio attività, del certificato di agibilità e della vigilanza sull’attività45. In ogni caso, l’edilizia, a differenza dell’urbanistica, riguarda l’uso particolare del territorio, in quanto ancorato ad un determinato terreno e a determinati soggetti46. Sotto altro profilo, il perimetro dell’attività edilizia può essere rintracciato, anziché attraverso il riferimento agli atti che ne segnano l’aspetto dinamico (c.d. aspetto funzionale), in relazione alla tipologia degli interventi edilizi, che ne demarcano l’ampiezza (c.d. aspetto strutturale). E ciò alla luce dell’elencazione che ne fornisce l’art. 3 del t.u. edilizia: a) interventi di manutenzione ordinaria, b) interventi di manutenzione straordinaria, c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, d) interventi di ristrutturazione edilizia, e) interventi di nuova costruzione, a loro volta oggetto di ulteriore tipizzazione, f) interventi di ristrutturazione urbanistica. 6.2 Nozione di urbanistica. La requisizione in uso. Più complessa si presentava l’identificazione della materia urbanistica. In primo luogo, in considerazione dell’ampia nozione di urbanistica offerta dall’art. 34, esplicitamente collegata a “tutti gli aspetti dell’uso del territorio”, ci si è chiesti se si tratti di definizione autonoma (la norma adopera la locuzione “agli effetti del presente decreto”) ovvero se il suo contenuto debba essere ricondotto alla nozione tradizionale di urbanistica. L’espressione usata dal legislatore lascia chiaramente intendere il riferimento ad una nozione più lata ed autonoma47. L’interpretazione lata, comprensiva di ogni intervento avente ad oggetto un riassetto del territorio, è stata del resto condivisa dalla Corte di legittimità laddove ha ritenuto che la materia dell’urbanistica non riguarda soltanto la disciplina pianificatoria, vale a dire l’esercizio della potestà amministrativa discrezionale di regolazione dell’uso del territorio che si risolve nell’adozione delle scelte urbanistiche, abbracciando la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, nessuno escluso, ivi compreso quello gestionale concernente l’attuazione concreta della pianificazione mediante la realizzazione delle scelte urbanistiche. La nozione di urbanistica si estende pertanto ai procedimenti di esproprio, comprensivi sia della dichiarazione di pubblica utilità, sia degli atti di occupazione d’urgenza e relativi comportamenti esecutivi, come confermato da due argomenti entrambi decisivi, l’uno di carattere letterale e l’altro teleologico48. Il primo è quello desunto dal successivo comma terzo dell’art. 34, che espressamente sottrae alla giurisdizione del giudice amministrativo le sole controversie in materia di indennità derivanti da atti di natura espropriativa o ablativa. La circostanza che il legislatore abbia avvertito l’esigenza di introdurre questa precisazione conferma la precisa intenzione di assegnare alla materia urbanistica la latitudine necessaria a coprire anche il procedimento di espropriazione. D’altra parte, il riferimento alle sole controversie in materia di indennità non è idoneo a ricomprendere il contenzioso in tema di occupazione invertita, fonte di un obbligo di risarcimento e non di mero indennizzo. Sul versante teleologico, è stato sottolineato lo stretto legame che intercorre tra la materia urbanistica e quella dell’espropriazione. Una diversa scelta sarebbe stata difficilmente compatibile con l’esigenza di concentrazione e coordinamento di controversie tra loro collegate, oltre che con le ragioni stesse sottese alla creazione di forme di giurisdizione esclusiva, volte a neutralizzare la difficoltà e la confusione innescate da criteri insicuri di riparto della giurisdizione in settori cruciali. Il problema della attitudine della nozione di urbanistica a ricomprendere la materia espropriativa si è del resto ridimensionato per effetto dell’entra in vigore dell’art. 53, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante 45 BREGANZE, Urbanistica ed edilizia nel d.leg. 80/98, in Riv. giur. urbanistica, 1999, pag. 81. 46 Cass., Sez. Un., 11 febbraio 2003, n. 2063. 47 TRAVI, Commento all’art. 34, in Nuove leggi civ., 1999, pag. 1527; ORSONI, La giurisprudenza esclusiva del Tar in materia urbanistica, in www.giust.it; STEVANATO, D.leg. 80/98 e giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in particolare nella materia edilizia, in Riv. giur. edilizia, 1998, III, pag. 604. 48 GAROFOLI, L’Amministrazione responsabile: gli incerti equilibri nell’assetto delle giurisdizioni, tratto da GAROFOLI - RACCA - DE PALMA, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003.

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Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, a tenore del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo unico”, come noto dichiarato illegittimo da Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191, nella sola parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere. Requisizione in uso: Cons. Stato, Adun. plen. 31 luglio 2007, n. 10 (a latere) Per concludere giova dare atto di quanto sostenuto da Cons. Stato, Adun. plen. 31 luglio 2007, n. 10, secondo cui la controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento di requisizione in uso di immobile da destinare al temporaneo soddisfacimento di una situazione di emergenza abitativa, con destinazione degli alloggi a temporanea abitazione di nuclei familiari destinatari di provvedimenti di sfratto esecutivo, emesso ai sensi dell’art. 7 della l. n. 2248/1865, all. E, non rientra nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia; e, quindi, non può essere devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista dall’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b), della l. n. 205/2000. E’ vero che, ai sensi del comma 2 del citato art. 34 e ai limitati effetti di giurisdizione, alla materia urbanistica viene attribuita una definizione lata, prevedendosi che essa concerne “tutti gli aspetti dell’uso del territorio” e che nella stessa rientrano i provvedimenti di esproprio e di occupazione d’urgenza per la realizzazione di opere pubbliche; atti che sono una “species” del più ampio “genus” dei provvedimenti ablatori nei quali viene fatta rientrare la requisizione in uso. Tuttavia, la requisizione, a differenza dell’occupazione d’urgenza preordinata all’esproprio, tende a soddisfare bisogni transitori non connessi all’uso del territorio e non si risolve nella successiva ablazione del bene. Inoltre, la requisizione è stata disciplinata in maniera autonoma rispetto alla materia espropriativa. Ciò posto, giova esaminare alcune questioni problematiche emerse in sede di interpretazione ed applicazione del citato art. 34, d. lgs. n. 80/1998. 6.3. La giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto il danno da occupazioni: rinvio. Si rinvia al capitolo …. per l’esame della complessa questione relativa al riparto di giurisdizione sulle controversie risarcitorie aventi ad oggetto il danno da occupazioni. 6.4. Art. 34, d. lgs. n. 80/1998, e azioni possessorie, nunciatorie e cautelari. La giurisprudenza anteriore a Corte cost. n. 204/2004 (a latere) Prima che intervenisse Corte cost. n. 204/2004 ad eliminare il riferimento alle controversie involgenti i “comportamenti” contenuto nell’art. 34, d. lgs. n. 80/1998, è stata ritenuta sussistente la giurisdizione esclusiva del G.A. finanche sulle domande possessorie proposte da privati in caso di sconfinamento a cura di pubbliche amministrazioni esproprianti su (e occupazioni di) suolo privato, non oggetto di atti ablativi durante l’esecuzione di lavori per la realizzazione di opere pubbliche49. Erano ricondotte nell’alveo della giurisdizione amministrativa in materia urbanistico-edilizia anche le azioni cautelari e possessorie proposte dal privato a fronte di illegittime ingerenze delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti equiparati, come, ad esempio, nel caso di installazione di un cantiere in area non compresa nel decreto di occupazione50. Si è ritenuto, nel dettaglio, che la particolarità del rito possessorio non incidesse sulla questione della giurisdizione. Invero –si è sostenuto- la legge n. 205 del 2000, innovando profondamente sul processo giurisdizionale amministrativo, ha dotato il giudice amministrativo, oltre che di mezzi istruttori, di poteri idonei ad assorbire il contenzioso cautelare, parallelamente al trapasso della giurisdizione sui diritti.

49 Cass., Sez. un., 11 marzo 2004, n. 5055 e 22 ottobre 2003, n. 15843. 50 Prima dell’intervento della Consulta cfr., in materia possessoria, Trib. Catania, sez. distaccata di Mascalucia, 2 dicembre 2000, in Urbanistica e Appalti, 2001, 417, con nota di CARINGELLA; Trib. Como, sez. distaccata di Erba, 19 dicembre 2000, n. 258, in www.GiuStatoit; Trib. Trani, sez. distaccata di Molfetta, 11 gennaio 2000, in www.lexitalia.it; Tar Puglia, Lecce, 2 marzo 2001, n. 513, in Urbanistica e Appalti, 2001, pag. 415; in materia nunciatoria, Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 3 gennaio 2001, in www.GiuStatoit; Trib. Larino, 9 maggio 2001, n. 910, in Guida al Dir., dicembre 2001, 88.

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Requisito indispensabile era che l’atto di lesione del possesso si collocasse “nell’esplicazione di poteri direttamente attinenti al governo del territorio”. In queste fattispecie, il giudice amministrativo, nell’ambito del potere di emettere misure cautelari “che appaiano … più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”, avrebbe potuto anche ordinare la reintegrazione nel possesso. La giurisdizione ordinaria sarebbe residuata solo con riguardo ai meri atti materiali della p.a., in alcun modo ricollegabili, neppure implicitamente, all’esercizio di un potere amministrativo. In tale ipotesi, non avrebbe trovato, infatti, applicazione il principio dell’improponibilità delle azioni possessorie nei confronti della p.a., basato sul disposto dell’art. 4 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. E, che fa divieto al G.O. di imporre un facere o un non facere in contrasto con la volontà espressa in atti amministrativi; l’eventuale ordine di reintegra adottato dal giudice non avrebbe infatti inciso su alcuna azione amministrativa. Per vero, già prima della sentenza n. 204/2004, una parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva ritenuto che le azioni possessorie intentate in materia rientrante nella giurisdizione esclusiva del G.A. dovessero essere proposte dinanzi al G.O.., in difetto di un’espressa previsione normativa di segno contrario51. La giurisprudenza anteriore a Corte cost. n. 204/2004 (a latere) Intervenuta Corte cost. n. 204/2004, è ormai pacificamente riconosciuto che le azioni possessorie (spoglio e manutenzione) ex artt. 1168 e 1170 c.c. e nunciatorie (denuncia di opera nuova e di danno temuto) ex artt. 1171 e 1172 c.c. proposte contro la pubblica amministrazione appartengono alla giurisdizione ordinaria, nelle stesse facendosi questione di meri comportamenti non ricollegabili, neanche in via mediata, all’esercizio del potere. Si è osservato, infatti, che, sulla base delle coordinate tracciate da Corte cost. n. 204/2004, la giurisdizione esclusiva non è estensibile alle controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita - nemmeno mediatamente - alcun potere pubblico. Ne deriva la giustiziabilità avanti al giudice ordinario in tutte quelle controversie in cui si denunzino comportamenti configurati come illeciti ex art. 2043 c.c., ed a fronte dei quali per non avere, appunto, la pubblica amministrazione osservato condotte doverose, la posizione soggettiva del privato non può che definirsi di diritto soggettivo. In questa ottica è stato infatti statuito che, a seguito e per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell'art. 34 del d. lgs. n. 80 del 1998, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla domanda possessoria promossa dal privato nei riguardi della P.A. in conseguenza dell'attività materiale, disancorata e non sorretta da alcun provvedimento formale, da questa posta in essere in ambito urbanistico52. 6.5. Attività privatistiche pure e spurie. D’altronde, la sfera operativa dell’art. 34, anche alla luce dell’intervento manipolativo della Consulta, si arresta a fronte di attività poste in essere dalla P.A. jure privatorum, benché non cagionino lesione del possesso (si pensi, a titolo esemplificativo, alla cura e manutenzione di beni pubblici) o, ancora, a fronte di controversie con valenza prettamente civilistica (quali i rapporti di vicinato)53. Sono, pertanto, destinate a restare sottratte alla sfera cognitoria del giudice amministrativo le pretese risarcitorie aventi ad oggetto il danno arrecato dall’amministrazione mediante comportamenti meramente materiali (illecito aquiliano). Si pensi al caso classico del pregiudizio da insidia stradale sofferto per effetto della cattiva manutenzione delle strade o da fauna selvatica ovvero, ancora, da omesso controllo dell’amministrazione scolastica sulla condotta dei discenti. Si tratta di questioni risarcitorie che, in quanto afferenti a lesioni derivanti da attività del tutto estranee al tradizionale “ambito” della giurisdizione

51 Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 431; Cons. Stato, sez. IV, 28 agosto 2001, n. 4826; contra, Cons. Stato, sez. V, 6 marzo .2001, n. 1456. 52 Cass., Sez. Un., 17 gennaio 2005 n. 730. 53 BENINI, La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia, nella relazione tenuta all’incontro di studio su “Unità e riparto di giurisdizione”, organizzato dal C.S.M. in Roma, 21-23 gennaio 2002; CARINGELLA - DE MARZO – DELLA VALLE - GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205, pagg. 294-295; AVANZINI, La giurisdizione in materia di azioni di nunciazione dopo il d.lgs. n. 80/1998, in Urbanistica e Appalti, 1999, pag. 435; così anche Tar Friuli Venezia Giulia, 21.08.1998, n. 154; Cass. SS. UU. 22.11.2001, n. 14848; Cons. Stato, sez. V, 22.09.2001, n. 4980.

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amministrativa, di legittimità ed esclusiva, non possono che continuare ad essere conosciute dal giudice ordinario54. E a medesima conclusione deve giungersi per le ipotesi in cui la condotta della P.A., seppure in astratto collegata ad una vicenda espropriativa, di fatto, sia fuori dal suo contenuto qualitativo e quantitativo ed abbia una mera valenza materiale. Così nel caso di richiesta di risarcimento danni cagionati ad una parte del fondo non soggetta ad espropriazione, ad opera di meri comportamenti materiali (nella specie, apposizione di una sbarra di ferro, impeditiva dell’accesso, e riversamento di materiale di risulta), tenuti da soggetto incaricato dei lavori per i quali era stata disposta l’occupazione d’urgenza55. In ultimo, la giurisdizione si radica in capo al g.o. nel caso in cui sia richiesta la restituzione del terreno requisito per effetto della scadenza del termine stabilito dall’ordinanza di requisizione56. In questa ipotesi, la P.A. detiene il bene senza alcun titolo, attesa la sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza di requisizione per intervenuta scadenza del termine. 6.6. Retrocessione. Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 6.07.2004, la giurisdizione del giudice ordinario si è riappropriata delle controversie concernenti la retrocessione totale57. Invero, il mancato utilizzo del bene espropriato per le finalità previste, che è quanto avviene allorché l’opera pubblica non venga realizzata, costituisce un mero comportamento che consente all’espropriato di riottenere la proprietà del bene stesso. Precisa Tar Campania Napoli, sez. V, 29 ottobre 2007, n. 10206, che, a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 e 28 luglio 2004 n. 281, che hanno dichiarato l'illegittimità dell'art. 34, d.lg. 31 marzo 1998, n. 80, le controversie in materia di diritto di retrocessione totale ex art. 63, l. 25 giugno 1865, n. 2359, già pacificamente devolute all'autorità giudiziaria ordinaria, devono nuovamente ritenersi estranee alla giurisdizione amministrativa. Tanto perché, nell'ipotesi di retrocessione totale - che si rinviene qualora l'area destinata all'esecuzione dell'opera pubblica prevista nella dichiarazione di pubblica utilità e nel successivo decreto di esproprio sia rimasta completamente inutilizzata per mancata totale realizzazione dell'opera quale complessivamente programmata, o qualora quest'ultima sia stata eventualmente sostituita con un'opera del tutto diversa, tale da stravolgere radicalmente l'assetto del territorio originariamente previsto - sussiste un vero e proprio diritto soggettivo del proprietario alla restituzione del bene, azionabile dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria58. Con l’entrata in vigore del t.u. espropriazioni (art. 53), si è peraltro ritenuto non più sostenibile l’assunto che discrimina la giurisdizione in guisa della natura totale o parziale della retrocessione, ogni controversia vertente sulla stessa essendo espressamente devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A.59. Sarebbe stato quindi superato il criterio di riparto che attribuiva alla giurisdizione del G.O. le controversie relative al diritto alla retrocessione totale di cui all’art. 63 della legge 25.06.1865, n. 2359 e al G.A. le controversie relative alla posizione del privato in un momento antecedente alla dichiarazione di inutilizzabilità dei beni, di cui alla retrocessione parziale ex art. 60 della legge 25.06.1865, n. 235960. Ciò sulla scorta dell’assunto che, in entrambi i casi, attualmente disciplinati dagli artt. 46, 47 e 48 del t.u. espropriazioni, l’effetto della retrocessione scaturisce da attività provvedimentale della p.a., quale esplicazione del potere – autorità.

54 GAROFOLI - RACCA - DE PALMA, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003. 55 Cass., Sez. un., 11 aprile 2006, n. 8371. 56 Cass., Sez. un., 3 luglio 2006, n. 15203. 57 Cass., Sez. un., 16 novembre 2004, n. 21635. 58 Sulla stessa linea, Tar Lazio Latina, sez. I, 12 marzo 2007, n. 172; Tar Toscana Firenze, sez. I, 6 novembre 2006, n. 5079; Tar Lazio Roma, sez. II, 13 marzo 2006, n. 1916. 59 O. FORLENZA, Profili della tutela giurisdizionale in materia di espropriazione per pubblica utilità, in Il Merito, 2004, n. 10, pag. 96. 60 Tale sistema di riparto è stato tuttavia confermato da Cass., Sez. un., 6 giugno 2003, n. 9072 e da Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 2003, n. 4057. Più di recente, v. Cass. civile, Sez. Un., 8 marzo 2006, n. 4894, in cui si afferma che l'incompleta realizzazione dell'opera, da attuarsi su una serie di aree già appartenenti a proprietari diversi, non dà luogo alla retrocessione totale di quelle aree non ancora utilizzate alla scadenza della data fissata per l'ultimazione dell'opera, ma solo alla retrocessione parziale dei relitti e ciò anche nel caso in cui uno di essi venga a coincidere con l'intera superficie espropriata in danno di un singolo proprietario, il quale non è, pertanto, titolare di una posizione di diritto soggettivo tutelabile innanzi all'A.g.o. finché non sia intervenuta la dichiarazione di inservibilità di cui all'art. 61 della legge n. 2359 del 1865.

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7. Le altre materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Il pubblico impiego, gli accordi tra privati e p.a. ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990. Rinvio. Si rinvia al capitolo per la trattazione delle regole del riparto di giurisdizione in materia di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, nonché al capitolo , par. 8 per quanto concerne il riparto in materia di accordi tra privati e p.a. ai sensi dell’art.11 della l. 241 del 1990. 8. La giurisdizione esclusiva sulla d.i.a.: rinvio. Per la disamina delle regole concernenti la giurisdizione esclusiva in materia di d.i.a. si rinvia al capitolo 9. La giurisdizione in materia di diritto sportivo. L’autonomia dell’ordinamento sportivo (a latere) L’ordinamento sportivo - inteso quale insieme organico di regole, tecniche e disciplinari, applicabili alle federazioni sportive – integra uno di quegli ordinamenti giuridici autonomi operanti all’interno dell’ordinamento; vede al vertice il C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), al quale fanno capo le diverse federazioni sportive. L’art. 1, comma 1, del d.l. 230/2003 (a latere) La sua autonomia è oggi sancita dall’art. 1, comma 1, del d.l. 230/2003, convertito dalla l. 280/2003, a tenore del quale “la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”. Lo stesso articolo soggiunge, al comma 2, che “i rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”. L’ordinamento sportivo si caratterizza per aver istituito un proprio sistema di giustizia, con organi muniti di competenza specifica nel dirimere le possibili controversie tra federazioni, associazioni sportive ed atleti entro tempi rapidi, tali cioè da garantire al sistema anche quella indispensabile continuità di azione ritenuta altrimenti compromessa dalla giustizia ordinaria. Il riparto prima del varo del d.l. 230/2003: il vincolo di giustizia (a latere) Prima della entrata in vigore della legge di riforma 17 ottobre 2003, n. 280, che ha innovato il sistema di giustizia sportiva, assumeva rilievo il c.d. "vincolo di giustizia", consistente nell'inserimento, all’interno degli statuti e dei regolamenti delle singole federazioni sportive, di clausole compromissorie che imponevano alle società ed ai singoli tesserati di adire, per le controversie connesse all'attività sportiva, i soli organi di giustizia sportiva. Tale sistema, disciplinato, tra l’altro, anche dall’art. 27 dello Statuto della Federazione Italiana Gioco Calcio – F.I.G.C., implicava sostanzialmente l’obbligo di accettazione e il rispetto delle decisioni assunte dagli organi federali, privando i soggetti coinvolti della facoltà di rivolgersi alle autorità giurisdizionali dello Stato per la risoluzione delle controversie. I regolamenti delle diverse federazioni, nel disciplinare le regole del ricorso alla giustizia sportiva, ne limitavano l’ambito di operatività alle controversie, di carattere tecnico, disciplinare, economico o amministrativo, tali da incidere esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo stesso. Detto altrimenti, il vincolo di giustizia era comunque destinato a venir meno in presenza di eventuali decisioni implicanti la lesione di posizioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi o interessi legittimi) che, rilevanti anche nell’ordinamento statale, non avrebbero mai tollerato limiti all’intensità della tutela. Perché potesse ritenersi esclusiva la giurisdizione interna sportiva, il contenzioso avrebbe dovuto involgere situazioni non qualificabili né come diritti soggettivi né come interessi legittimi. Sullo sfondo di tale ricostruzione, l’assunto secondo cui l’ordinamento sportivo nazionale, pur essendo dotato di ampi poteri di autonomia, comunque deriva da quello generale dello Stato, sicché il vincolo di giustizia sportiva non può non operare “con esclusivo riferimento alla sfera strettamente tecnico-sportiva ed in quella dei diritti disponibili ma non nell’ambito degli interessi legittimi i quali sono insuscettibili di formare oggetto di una rinuncia preventiva, generale ed illimitata nel tempo, alla tutela giurisdizionale”61.

61 Tar Catania n. 1282/2002; Tar Lazio n. 2394/1998

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Anche in epoca precedente alla entrata in vigore della l. 280/2003, la questione di maggiore complessità consisteva quindi nel verificare a quali fattispecie fosse riconoscibile rilevanza meramente interna all’ordinamento sportivo, come tali sottratte alla giurisdizione statuale. Decisioni disciplinari a latere Il problema si è posto in particolare con riferimento alle decisioni disciplinari. E’ evidente, infatti, che le sanzioni disciplinari sportive non di rado finiscono per incidere sullo status del soggetto. In vicende concernenti l’irrogazione di sanzioni disciplinari, il contributo maggiormente significativo offerto dalla giurisprudenza è consistito prevalentemente nel tentativo di individuare i possibili parametri oggettivi di valutazione, di volta in volta riconosciuti nella rilevanza del fine, nonché nella durata e/o nella consistenza della sanzione disciplinare, in relazione agli effetti dalla stessa prodotti sulla posizione giuridica soggettiva del destinatario. Si è così sostenuto che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto le sanzioni della sospensione da ogni attività ippica per un periodo di sei mesi, giacché, impedendo l'esercizio di un'attività economica imprenditoriale, non esaurisce la sua incidenza nell'ambito strettamente sportivo, ma rifluisce nell'ordinamento generale dello Stato62. Come è noto, proprio la persistenza di tali condizioni ha condotto a situazioni di conflitto tra gli organi di giustizia sportiva e quelli di giustizia ordinaria: si ricorda, in particolare, il caso della ordinanza del Tar Sicilia, Catania, n. 958/2003, con la quale il giudice amministrativo dichiarava sussistere la giurisdizione amministrativa in relazione ad una fattispecie avente ad oggetto la squalifica per una sola giornata ad un calciatore. Al di là della considerazione della specifica vicenda, la decisione del Tar Sicilia ha posto ben in evidenza la difficoltà di individuare un discrimine astratto tra atti a rilevanza meramente interna sportiva e atti incidenti su posizioni giuridiche rilevanti nell’ordinamento generale: anche un provvedimento sanzionatorio di (solo apparente) scarsa incidenza (quale la squalifica per una sola giornata di un calciatore), in contesti come il calcio professionistico, può rilevarsi atto a rilevanza metasportiva, se solo si considerino le implicazioni concernenti diritti televisivi, sponsorizzazioni e altro. I problemi interpretativi sorti dopo il d.l. 230/2003 (a latere) Nell’intento di evitare il verificarsi di ulteriori incertezze e oscillazioni, il Governo ha quindi emanato il d.l. 9 agosto 2003, n. 220, recante "Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva", convertito, poi, in legge con la l. 17 ottobre 2003, n. 280 e tuttora in vigore. Come rilevato, l’art. 1 dispone, al comma 2, che “i rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo". La formulazione appena riportata recepisce il già consolidato orientamento giurisprudenziale che affida il riparto al criterio della valenza meramente sportiva, o meno, della questione controversa. Il successivo art. 2, d.l. 230/2003, individua invece fattispecie che, in senso generale e astratto, sono tout court sottratte alla giurisdizione del giudice statale, per essere riservate alla giustizia sportiva. Si tratta delle fattispecie concernenti: a) osservanza e applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione e l'applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive (art. 2, comma 1). Il successivo art. 3 dispone poi che qualsiasi controversia relativa a provvedimenti emanati dall'ordinamento sportivo, che non sia riservata, ai sensi dell’art. 2, agli organi della giustizia sportiva, è di competenza del giudice amministrativo (in particolare è introdotta una competenza esclusiva di primo grado in capo al Tar del Lazio), fermo restando l’obbligo di esperimento preventivo dei gradi di giustizia innanzi agli organi di giustizia sportiva63. La disposizione prevede inoltre che “in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive”.

62 Tar Emilia-Romagna, n. 178/1998. 63 Ci si chiede se questo onere sia previsto a pena di improcedibilità, o di improponibilità dell’azione.

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Il terzo comma dell’art. 3 sancisce che la definizione del giudizio abbia luogo con sentenza succintamente motivata con la procedura rapida prevista dall’art. 26, l. n. 1034/1971. Si distinguono quindi le controversie sottratte in toto alla cognizione dei giudici statali da quelle che investono situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo ma aventi rilevanza per l'ordinamento statale. 1. Ancora dal g.a per alcune decisioni disciplinari (a latere) Secondo l’interpretazione finora prevalente offerta dal Tar Lazio (competente in via funzionale ed inderogabile ex art. 3, comma 2, d.l. n. 220 del 2003), ancorché l’art. 2, lett. b), dello stesso decreto, in applicazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo da quello statale, riservi al primo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, la giurisdizione è del giudice amministrativo ogni qual volta la sanzione comminata non esaurisca i suoi effetti all’interno dell’ordinamento sportivo64. In applicazione di tale premessa, si è ritenuto che rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia avente per oggetto la sanzione disciplinare della squalifica del campo di calcio, inflitta dal giudice sportivo a una società sportiva (nella specie quella Catania calcio s.p.a.), con l’obbligo di giocare in campo neutro e a porte chiuse (dunque senza la presenza del pubblico) le gare casalinghe, tenendo conto che tale provvedimento rileva anche al di fuori dell’ordinamento sportivo 65; parimenti per la sanzione disciplinare sportiva della penalizzazione in classifica 66. Sussiste invece un’ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione qualora sia impugnata, da parte di un arbitro, la mancata iscrizione alla Commissione Arbitri Nazionale della serie A e B, qualora nel giudizio sia in discussione il solo possesso delle qualità tecniche espresse dall’arbitro. Manca infatti il connotato della rilevanza esterna all’ordinamento sportivo degli effetti di detto provvedimento, destinati ad esaurirsi all’interno dell’ordinamento sportivo, non avendo alcun riflesso, né diretto né indiretto, nell’ordinamento generale il giudizio di scarsa capacità tecnica resa nei confronti dell’arbitro. Occorre infatti considerare che gli arbitri non sono dipendenti del C.O.N.I. e della F.I.G.C. e non percepiscono, quindi, una retribuzione ma una mera indennità, a nulla rilevando che questa, in una stagione, possa raggiungere i 120.000 euro e che, proprio in considerazione del suo rilevante ammontare, l’interessato possa aver deciso di fare dell’attività arbitrale l’unica fonte di guadagno 67. 2. Il G.a. non ha più giurisdizione (a latere) In senso opposto, C.g.a., 8 novembre 2007, n. 1048, ha ritenuto che sulle sanzioni disciplinari sportive (nella specie squalifica del campo di calcio, irrogata nei confronti della società calcistica del Catania), vi è difetto assoluto di giurisdizione (dunque non hanno giurisdizione né il g.a. né il g.o.), in quanto la legge riserva tale contenzioso in via esclusiva alla giustizia sportiva. Il corollario è che nessuna violazione di tali norme sportive potrà considerarsi di alcun rilievo per l’ordinamento giuridico dello Stato, e che nessun rilievo va attribuito, al fine della giurisdizione, alle conseguenze ulteriori – anche se patrimonialmente rilevanti o rilevantissime – che possano indirettamente derivare da atti che la legge considera propri dell’ordinamento sportivo e a quest’ultimo puramente riservati. Secondo tale pronuncia, il legislatore ha operato una scelta netta, nell’ovvia consapevolezza che l’applicazione di una norma regolamentare sportiva ovvero l’irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva hanno normalmente grandissimo rilievo patrimoniale indiretto; e tale scelta l’interprete è tenuto ad applicare, senza poter sovrapporre la propria “discrezionalità interpretativa” a quella legislativa esercitata dal Parlamento. È palese che l’erronea applicazione del regolamento può comportare l’ammissione o l’esclusione di una società sportiva (né ha rilievo, contrariamente a ciò che è stato talora affermato per radicare contra legem la giurisdizione statuale, il fatto, meramente estrinseco, che essa sia, o meno, quotata in borsa) rispetto a una determinata competizione nazionale o internazionale, con le ovvie ricadute economiche; parimenti è evidente che identiche conseguenze sempre più spesso derivino dall’applicazione di sanzioni disciplinari (quali una lunga squalifica del campo e l’obbligo di giocare a porte chiuse; ovvero, l’esclusione dal campionato quale sanzione disciplinare per l’illecito sportivo commesso, con iscrizione a uno di rango inferiore).

64 Così Tar Lazio – Roma, sez. III ter, 12 aprile 2007 n. 1664, ord.; Tar Lazio – Roma, sez. III ter, 15 gennaio 2008 n. 222. 65 Tar Sicilia, Catania, sez. IV, 19 aprile 2007 n. 679. 66 Tar Lazio, Roma, sez. III ter, 21 giugno 2007 n. 5645 67 Tar Lazio, Roma, sez. III ter, 5 novembre 2007, n. 10911.

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Tuttavia – sostengono i giudici siciliani- tali conseguenze, quand’anche in ipotesi possano essere la remota causa di una dichiarazione di fallimento, normativamente non dispiegano alcun rilievo ai fini della verifica di sussistenza della giurisdizione statuale, dal legislatore prevista solo nei casi diversi da quelli, espressamente eccettuati, di cui all’art. 2, comma 1, d.l. citato, e di cui si è già detto. Se una tale opzione normativa si fosse svolta a livello secondario, sarebbe stata passibile di censure per indiretto contrasto col principio della generale tutela statuale sui diritti soggettivi patrimoniali. Viceversa, essendo stata operata a livello primario, non è soggetta ad altro vaglio che a quello costituzionale. Senonché – si è detto- non appare costituzionalmente incompatibile la scelta del legislatore ordinario di stabilire che, quando un imprenditore decida di operare nel settore dello sport, resti interamente ed esclusivamente assoggettato alla disciplina interna dell’ordinamento sportivo (cui la legge ha voluto riconoscere la più ampia autonomia). Il Caso Moggi: Tar Lazio, 19 marzo 2008, n. 2472 (a latere) Di recente la questione è stata riesaminata da Tar Lazio, 19 marzo 2008, n. 2472, intervenuto sul ricorso proposto dal sig. Moggi avverso decisione della Corte Federale della F.I.G.C. nella parte in cui ha confermato la sanzione, inflitta nei suoi confronti dalla Commissione d’Appello Federale, dell’inibizione per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., e l’ammenda di 50.000,00 euro per illecito sportivo commesso nel periodo in cui era direttore generale della F.C. Juventus s.p.a. Il Tribunale capitolino ha dovuto prendere posizione sull’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata sull’assunto che oggetto del gravame è una sanzione disciplinare sportiva, destinata ad esaurire i propri effetti nell’ambito dell’ordinamento settoriale, con conseguente irrilevanza per l’ordinamento statale alla stregua anche di quanto disposto dall’art. 2, primo comma, lett. b), D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito con modificazioni dall’art. 1 L. 17 ottobre 2003 n. 280. Andando dichiaratamente in contrario avviso rispetto a C.g.a., 8 novembre 2007, n. 1048, il Collegio romano sostiene che “autonomia sta a significare inibizione per un ordinamento giuridico di interferire con le proprie regole e i propri strumenti attuativi in un ambito normativamente riservato ad altro ordinamento coesistente (nella specie, quello sportivo), ma a condizione che gli atti e le pronunce in detto ambito intervenuti in esso esauriscano i propri effetti. Il che è situazione che, alla luce del comune buon senso, non ricorre affatto allorché la materia del contendere è costituita innanzi tutto da valutazioni e apprezzamenti personali, che a prescindere dalla qualifica professionale rivestita dal soggetto destinatario degli stessi e del settore nel quale egli ha svolto la sua attività, investono con immediatezza diritti fondamentali dello stesso in quanto uomo e cittadino, con conseguenze lesive della sua onorabilità e negativi, intuitivi riflessi nei rapporti sociali. Verificandosi questa ipotesi, che è poi quella che ricorre nel caso in esame - atteso che il danno asseritamente ingiusto, sofferto dal ricorrente è, più che nella misure interdittive e patrimoniali comminate, nel durissimo giudizio negativo sulle sue qualità morali, che esse inequivocabilmente sottintendono – è davvero difficile negare all’odierno ricorrente l’accesso a colui che di dette vicende è incontestabilmente il giudice naturale. Una diversa conclusione assumerebbe carattere di particolare criticità ove si consideri che in una determinata fase dell’impugnato procedimento è stata negata al ricorrente la stessa appartenenza al cd. mondo sportivo”. A tale esito, peraltro, il Tar Lazio dichiara di pervenire anche con l’intento di assicurare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2, D.L. n. 220 del 2003. Invero, ad avviso del Collegio laziale, il legislatore del 2003 ha voluto solo garantire il previo esperimento, nella materia della disciplina sportiva, di tutti i rimedi interni, senza peraltro elidere la possibilità, per le parti del rapporto, di adire il giudice dello Stato se la sanzione comminata non esaurisce la sua rilevanza all’interno del solo ordinamento sportivo. 10. La tutela giurisdizionale sulle delibere delle Autorità Amministrative Indipendenti: rinvio. Si rinvia al capitolo par. 10 per le regole di riparto da applicare in relazione alle controversie involgenti gli atti delle Autorità Amministrative Indipendenti. 11. La nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di energia elettrica.

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L’art. 1, comma 552, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005)68 ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al d.l. 7/2/2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9/4/2002, n. 55, in uno alle le relative questioni risarcitorie69. E’ opportuno subito porre in evidenza come la portata innovativa di tale disposizione non riguardi le controversie instaurate dal soggetto interessato al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto di energia elettrica avverso il diniego o il silenzio serbato in merito dalla P.A. 70 In tali ipotesi, infatti, la giurisdizione del G.A. sussiste per effetto del tradizionale criterio di riparto basato sulla causa petendi, non potendosi dubitare della qualificazione in termini di interesse legittimo della posizione giuridica soggettiva del privato che propone l’istanza. A radicare la giurisdizione amministrativa sulle controversie sopra indicate si sarebbe peraltro potuto già invocare l’art. 33, d.lgs. n. 80/98, che, prima di Corte cost. n. 204/2004, devolveva alla giurisdizione esclusiva del G.A. tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi inclusi i servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481, fra i quali è compreso il servizio di energia elettrica. D’altra parte, l’invocabilità del citato art. 33, d.lgs. n. 80/98, non è stata preclusa per effetto dell’importante intervento della citata sentenza n. 204/2004, attesa l’inerenza all’esercizio del potere delle controversie nelle quali si contesta la legittimità del provvedimento con cui l’amministrazione rigetta l’istanza di autorizzazione alla realizzazione dell’impianto di energia elettrica ovvero il silenzio serbato in merito dalla P.A.. La nuova norma presenta, invece, un effetto particolarmente innovativo nella parte in cui estende la giurisdizione esclusiva del G.A. alle controversie promosse dal terzo che si opponga alla realizzazione o all’esercizio dell’impianto di generazione di energia elettrica, lamentando la lesione, attuale o potenziale, del diritto alla salute, assunto inciso per effetto delle immissioni elettromagnetiche. Invero, le controversie nelle quali si deduce la lesione del diritto alla salute erano tradizionalmente ricondotte alla giurisdizione del G.O., anche allorché le stesse afferissero alla materia dei servizi pubblici di cui al citato art. 33, d.lgs. n. 80/98; lo stesso articolo, nella versione precedente a Corte cost. n. 204/2004, prevedeva, al comma 2, lett. e), la giurisdizione del G.O. per le controversie meramente risarcitorie aventi ad oggetto il danno alla persona o alle cose. Più problematica l’ipotesi in cui il privato, anziché domandare il risarcimento del danno, avesse agito al fine di ottenere una misura di carattere inibitorio diretta a far cessare l’immissione nociva. Secondo un primo indirizzo71, l’azione inibitoria era idonea ad interferire con le modalità di erogazione del pubblico servizio di fornitura di energia elettrica e ad invadere autoritativamente la sfera di competenza del gestore, attraverso l’imposizione di prescrizioni strumentali ad evitare la reiterazione di condotte pregiudizievoli per la salute del ricorrente; si reputava pertanto non applicabile la richiamata eccezione prevista dalla lett. e) dell’art. 33. Per altro orientamento, invece, l’azione inibitoria era da ricondurre nell’ambito del risarcimento in forma specifica, onde l’inapplicabilità del citato art. 33, che per l’appunto escludeva dalla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie meramente risarcitorie riguardanti il danno alla persona o alle cose72. Devolvendo alla giurisdizione esclusiva anche le “questioni risarcitorie” in materia di impianti di generazione di energia elettrica, l’art. 1, co. 552, l. n . 311/2004, rivela la volontà del legislatore di concentrare in capo al G.A. tutte le controversie connesse alla localizzazione e realizzazione delle centrali elettriche, nelle quali si faccia questione, anche in via incidentale, della legittimità del provvedimento autorizzatorio rilasciato dalla P.A. e dell’attività realizzatrice del soggetto gestore, rispetto alla quale il

68 Tale legge introduce e disciplina il procedimento di autorizzazione unica per la realizzazione delle centrali elettriche. In particolare, è prevista, in capo al Ministero delle attività produttive, ogni competenza autorizzatoria in materia di costruzione e gestione delle centrali idroelettriche (e turbogas) con potenza superiore a 300 MW termici, che utilizzano fonti convenzionali di energia. Il provvedimento ministeriale assorbe e sostituisce il permesso di costruire, nonché ogni altra autorizzazione ambientale di competenza statale, regionale e locale, ed è rilasciato in seguito ad un procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate. 69 Per tali controversie, inoltre, la citata norma rende applicabile il rito accelerato di cui all’art. 23bis, legge n. 1034/1971. 70 GIOVAGNOLI, La giurisdizione esclusiva del G.A. sulle controversie in materia di centrali elettriche, in Urb. e appalti, n. 5/2005, 524 ss. 71 Trib. Aosta, 29 giugno 2001, n. 8076. Negli stessi termini, sebbene in relazione ad una lesione del diritto alla salute non prodotta da un campo elettromagnetico, Trib. Torino, sez. IV, 23 aprile 2004. 72 Cons. St., sez. VI, 4 giugno 2002, n. 2329.

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terzo, a tutela del proprio diritto alla salute, esperisca azione risarcitoria, sia per equivalente che in forma specifica. La disposizione ha suscitato dubbi di legittimità costituzionale; si è dubitato, in particolare, della sua compatibilità con l’art. 103, co. 1, Cost., nella parte in cui pare assegnare alla giurisdizione esclusiva del G.A., in modo del tutto indipendente dalla natura degli interessi lesi, qualsiasi controversia interferente con la progettazione, la realizzazione, l'esistenza e il funzionamento di un impianto di energia elettrica. Il Giudice delle leggi, con sentenza 27 aprile 2007, n. 140, ha dichiarato non fondata la questione, ritenendo che nella fattispecie disciplinata dal censurato comma 552 dell'art. 1, legge n. 311/2004, ricorrano tutti i presupposti sufficienti a legittimare il riconoscimento di una giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo. In primo luogo, l'oggetto delle controversie è rigorosamente circoscritto alle particolari «procedure e provvedimenti», tipizzati dalla legge (decreto-legge n. 7 del 2002), e concernenti una materia specifica (gli impianti di generazione di energia elettrica). Né, poi, rileva la natura «fondamentale» dei diritti soggettivi coinvolti nelle controversie de quibus, non essendovi alcun principio o norma –osserva la Corte- che riservi esclusivamente al giudice ordinario la tutela dei diritti costituzionalmente protetti. Peraltro, l'orientamento giurisprudenziale73 che ritiene sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in presenza di alcuni diritti assolutamente prioritari (tra cui quello alla salute) risulta enunciato in ipotesi in cui vengono in considerazione meri comportamenti della P.A., mentre, nel caso in esame, si tratta di specifici provvedimenti o procedimenti «tipizzati» normativamente. Per il riparto di giurisdizione sulle controversie involgenti diritti c.d. inaffievolibili si rinvia al Cap…. 12. La giurisdizione di merito. In casi eccezionali il giudice amministrativo dispone anche di una giurisdizione di merito.. Si tratta dei casi in cui al giudice amministrativo è consentito sindacare non solo la legittimità, ma anche il merito (e dunque l’opportunità) dell’atto amministrativo. In queste ipotesi, tassativamente indicate dalla legge, il giudice conosce oltre al merito, anche la legittimità dell’atto amministrativo. Quanto all’ambito della giurisdizione in questione, l’art. 7, l. Tar, rinvia, al riguardo, ai casi previsti dall’art. 27 del T.U. Cons. Stato e dall’art. 1 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1058. Tra le ipotesi di giurisdizione di merito rientra il giudizio di ottemperanza, atteso che l’art. 27, n. 4 del T.U. Cons. Stato assegna alla giurisdizione di merito del g.a. i “ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico”. Rientrano anche i ricorsi per contestazione sui confini di comuni e province, i ricorsi in materia di consorzi per strade che tocchino il territorio di più province, i consorzi per le opere idrauliche e per le opere di bonifica, i ricorsi in tema di strade provinciali e comunali. Tra i casi richiamati dall’art. 1 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1058 vi è quello dei ricorsi contro i provvedimenti contingibili ed urgenti di sicurezza pubblica, emanati dal sindaco sulle materie di edilità e di polizia locale ed in materia d'igiene pubblica. Ci si chiede inoltre se le nuova formulazione dell’art. 2, comma 5, l. n. 241 del 1990, che consente al giudice amministrativo, in materia di silenzio-inadempimento della P.A., di valutare la fondatezza sostanziale della pretesa, preveda una nuova ipotesi di giurisdizione estesa al merito, consentendo al giudice del silenzio di non fermarsi alla mera verifica circa l’intervenuta inerzia anche allorché l’istanza del privato, inevasa dall’amministrazione, sia volta a sollecitare l’esercizio di poteri discrezionali (si rinvia, per la disamina, al Cap…..). Quanto ai poteri di cui dispone il G.A. nelle ipotesi di giurisdizione estesa al merito, vi rientra quello di annullare l’atto, anche per riscontrati vizi di merito, di riformare l’atto o sostituirlo (art. 26 l.Tar) e di adottare i consequenziali provvedimenti.

73 Cass. civile, Sez. Un., 8 marzo 2006, n. 4908.

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Ai sensi dell’art. 7, comma 3, l. Tar, come modificato dall’art. 7 della l. 205 del 2000, il G.A., anche in sede di giurisdizione di merito, può poi conoscere di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno. Il G.A. dispone inoltre di ampi poteri istruttori, atteso che l’art. 44, T.U. Cons. Stato, stabilisce, al comma 2, che “nei giudizi di merito il Consiglio di Stato può inoltre ordinare qualunque altro mezzo istruttorio, nei modi determinati dal regolamento di procedura”. 17. Questioni rilevanti in materia di giurisdizione: sulla applicabilità al giudizio amministrativo della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali ex art. 28, l. n. 794 del 1942. L’art. 28, l. 13 giugno 1942, n. 794, prevede una speciale procedura giudiziale per la liquidazione delle parcelle degli avvocati nei confronti dei clienti, stabilendo che “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l'avvocato o il procuratore, dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all'art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, proporre ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo”. E’ controverso se tale procedura possa trovare ingresso dinanzi al giudice amministrativo. 1. Applicabilità al giudizio amministrativo della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali. Secondo un primo orientamento è applicabile al giudizio amministrativo la procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari degli avvocati74. Gli articoli 28 e 29, l. 794/1942 consentono, infatti, all'avvocato, dopo la decisione della causa, di seguire la procedura di cui all'art. 633 ss. c.p.c., ovvero di proporre il ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo, così attuando un sistema alternativo, in cui l'avvocato può scegliere quale tra i due rimedi processuali attivare per la liquidazione del dovuto. A Il concetto di “materia civile” ha carattere polisenso A sostegno di questa tesi si sostiene, da un lato, che il concetto di “materia civile” ha carattere polisenso, come emerge dal decreto ministeriale n. 585 del 1994, che - nello stabilire i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati in "materia civile" - nell'articolato e nelle tabelle allegate ha richiamato le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa. Dall’altro, che l'interpretazione restrittiva dell'art. 28 precluderebbe all'avvocato amministrativista di avvalersi di uno specifico rimedio di tutela, attribuito al collega che svolga l'attività presso il giudice civile. B. Gli artt. 28 e 29 non sono incompatibili con le peculiarità del processo amministrativo Si osserva ancora che gli artt. 28 e 29 non risultano incompatibili con le peculiarità del processo amministrativo, avendo riguardo a pretese creditorie attinenti al rapporto tra l'avvocato ed il proprio cliente, rispetto alle quali il giudice competente a decidere la lite è l'autorità più adeguata a valutare la natura e il valore della controversia e le circostanze del caso. Il loro ambito di applicazione non è dunque inciso dai criteri e dalle leggi che ripartiscono la giurisdizione ordinaria da quella amministrativa. 2. Inapplicabilità della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali. In senso ostile alla applicazione al processo amministrativo si sostiene, invece, che la legge 13 giugno 1942, n. 794, letteralmente appresta un rimedio processuale tipico per le sole ipotesi concernenti la mancata liquidazione dei corrispettivi dovuti agli avvocati per il patrocinio prestato davanti ai giudici civili, tanto che negli artt. 28, 29 e 30, legge 794/1942, il riferimento è sempre e solo ad istituti del processo civile ed ai capi degli uffici giudiziari civili (giudice di pace, tribunale, corte d'appello). L'obiettivo perseguito dalla legge, volta a semplificare la liquidazione e la riscossione degli onorari degli avvocati, è stato, quindi, realizzato mediante un meccanismo procedurale che, nel presupposto pacifico della giurisdizione del giudice civile su controversie inerenti la determinazione degli onorari professionali, modifica i criteri consueti di competenza, attribuendo la stessa all'ufficio giudiziario civile che ha risolto la causa principale, cui sono riferibili gli onorari dell'avvocato. Attesa la indicata ratio della legge, si ritiene quindi che la speciale procedura camerale prevista dalla legge n. 794 del 1942 si riferisce esclusivamente ai compensi in materia giudiziale civile non potendo trovare applicazione ai processi penali, amministrativi, ovvero in materia stragiudiziale75. Si ritiene anche che la tesi contraria, favorevole all’applicazione, innanzi al giudice amministrativo, della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali, conduce ad una grave compressione dei diritti di difesa delle parti, atteso che l'art. 29, comma 6, l. 794/1942, qualifica come non impugnabile l'ordinanza che chiude lo speciale procedimento in esame. La Cassazione ha sempre ritenuto non appellabile il provvedimento in questione ma ricorribile innanzi a sé per violazione di legge a mente dell'art. 111, comma 7, Cost.: tale possibilità verrebbe meno se il rito speciale venisse importato nel processo amministrativo giacché l'art. 111, comma 8, limita al solo motivo di giurisdizione il ricorso in cassazione avverso decisioni dei giudici amministrativi. La tesi della improponibilità di tale rimedio davanti al giudice amministrativo è seguita anche dalla Cassazione, secondo cui la speciale procedura camerale prevista dalla l. 13 giugno 1942, n. 794, per la liquidazione delle competenze di avvocato e procuratore si riferisce esclusivamente ai compensi in materia giudiziale civile, e non può, pertanto, trovare applicazione nel caso di prestazioni rese dal legale dinanzi al giudice amministrativo, caso nel quale la liquidazione deve seguire le forme ordinarie previste dal codice di procedura civile76.

74 Cfr., per tutti, Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2005 n. 820. 75 In tal senso Cons. St., sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2133. 76 Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2004 n. 14394.

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La questione è stata rimessa all’esame dell’Adunanza plenaria da Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2007, nn. 385 e 386, secondo cui il contrasto interpretativo s'innesta su di una questione preliminare riguardante la configurazione da dare alla domanda giudiziale promossa mediante l'art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794: è necessario, invero, verificare se la stessa integri un’azione autonoma, la cui causa petendi va esclusivamente rinvenuta nel contratto di patrocinio intercorrente tra la parte ed il suo difensore, ovvero rappresenti una domanda accessoria nell'ambito di un giudizio principale. Nel primo caso, infatti, sarebbe esatto affermare che il meccanismo introdotto dall'art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, è destinato ad operare esclusivamente all'interno della giurisdizione civile, risolvendosi il tutto in una mera misura di semplificazione procedimentale. Nel secondo caso, invece, il problema della giurisdizione verrebbe superato la stessa dovendo essere identificata avendo riguardo alla causa principale e non alla domanda accessoria; il problema si ridurrebbe nel decidere se l'istituto sia applicabile al giudizio amministrativo attraverso l'interpretazione, alla luce del diritto vigente, delle norme e dei principi che regolano la materia, ovvero se, in mancanza di una norma specifica di rinvio, la domanda accessoria esuli comunque dai poteri del giudice amministrativo. Con l'ulteriore corollario, in questo secondo caso, della necessaria verifica se sia o meno manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità della mancata previsione legislativa, prospettata sotto il profilo della disparità di trattamento tra avvocati civilisti ed avvocati amministrativisti. La VI sezione del Consiglio di Stato77 ha, invece, ritenuto di rimettere la questione alla Corte costituzionale: ritenuta l’inapplicabilità dello speciale rito per la liquidazione degli onorari di avvocato nel processo amministrativo, si è dedotto invero il possibile contrasto con gli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost.. Ed invero, “la discrezionalità di cui gode il legislatore nella regolamentazione degli istituti processuali e nella previsione di forme di tutela differenziate con riguardo alla particolarità del rapporto dedotto in giudizio, non riesce a spiegare la ragionevolezza di una limitazione legislativa che, nonostante l’identità dell’oggetto del giudizio e la sussistenza dell’identica esigenza di dotare anche nel processo amministrativo il legale che lamenti il mancato pagamento di quanto dovutogli dal cliente a titolo di spese, onorari e diritti, al fine di un efficiente strumento procedurale, aggiuntivo alla procedura finalizzata all’emissione di decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., dato dalla via del ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo. La previsione di un incidente di esecuzione innanzi al Giudice della cognizione è infatti giustificata dalla ricorrenza di una connessione ontologica di detto contenzioso con la controversia di base, che differenzia tali questioni patrimoniali dai crediti pecuniari sottoposti alla sola procedura ingiuntiva plasmata dal codice di procedura civile. Detta connessione viene identicamente in rilievo anche nel processo amministrativo in guisa da ritenere non manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità che la scelta omissiva del legislatore ingenera in relazione ai parametri della ragionevolezza ex art. 3 Cost, del diritto di difesa ex art. 24 e della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo ex artt. 24, 103 e 113 Cost.”.

77 Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2006 n. 6613.

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C) LA TRANSLATIO JUDICII SOMMARIO. 1. La posizione della giurisprudenza prima di Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, e Corte cost.,12 marzo 2007, n. 77. 2. Interviene Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109. 3. Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77. 4. Gli scenari dopo le due decisioni e le prime applicazioni pretorie. 5. L’intervento del legislatore: le indicazioni emerse. 1. La posizione della giurisprudenza prima di Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, e Corte cost.,12 marzo 2007, n. 77. Con due importantissime e innovative pronunce della Sezioni unite di Cassazione (22 febbraio 2007, n. 4109) e della Corte costituzionale (12 marzo 2007, n. 77), la giurisprudenza, in rottura rispetto ad un orientamento ampiamente seguito in passato, ha preso posizione sul tema della translatio iudicii. Pur seguendo percorsi argomentativi e ricostruttivi del sistema processuale vigente in parte divergenti, hanno sostenuto l’immanenza nell’ordinamento del principio secondo cui, allorquando un giudice declina la giurisdizione affermando la sussistenza di quella di altro giudice, il processo può proseguire innanzi al giudice fornito di giurisdizione, rimanendo salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione. L’art. 50 c.p.c. (a latere) Per un inquadramento del tema, si consideri che l’ art. 50 c.p.c. prevede che, in caso di sentenza che abbia pronunciato sulla competenza, il processo possa essere riassunto, entro il termine previsto dalla decisione o, in mancanza, entro sei mesi dalla comunicazione decisione. Si tratta della cd. translatio iudicii, che il legislatore del 1940 ha previsto espressamente con riferimento ai soli giudizi sulla competenza. Ciò posto, il problema, da tempo al centro di un importante dibattito dottrinale, è quello riguardante l’applicabilità della regola sulla trasmigrabilità del processo anche al caso di pronunce sulla giurisdizione78. La questione assume particolare delicatezza se solo si considera il rischi che, a seguito del defatigante “palleggio di giudizi”, il ricorrente si trovi azzerate le risultanze istruttorie nel frattempo faticosamente acquisite; o addirittura irrimediabilmente decaduto dalla possibilità di attivare gli strumenti di tutela, per intervenuta decorrenza dei termini (si pensi all’azione possessoria innanzi al g.o. o alla generale azione impugnatoria di legittimità innanzi al g.a.). Il rischio è quindi che il privato, per effetto di una non corretta individuazione del giudice (peraltro non sempre a lui addebitabile, attese le consistenti incertezze che connotano il sistema di riparto), vada incontro, dinanzi al giudice ridivenuto titolare del potere giurisdizionale, ad una pronuncia di irricevibilità per tardività dell’azione. In proposito il codice di rito prevede che le questioni di giurisdizione possano essere decise dalla Cassazione, in via preventiva, mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione, proponibile, ai sensi dell’art. 41 c.p.c., solo nel caso in cui la controversia non sia stata decisa nel merito, oppure in sede di ricorso ordinario ex art. 360, n. 1) c.p.c. La tesi ostile alla translatio in caso di pronunce sulla giurisdizione (a latere) A sostegno della tesi ostile all’estensione della translatio alle ipotesi di pronunce sulla giurisdizione si è quindi addotto un argomento testuale, osservandosi che la trasmigrabilità della causa da una giurisdizione ad un’altra sarebbe esclusa dallo stesso legislatore, laddove non ha introdotto, con riferimento al caso in questione, una disposizione simile a quella di cui all’art. 50 c.p.c.79

78 ORIANI, Sulla translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale (e viceversa), in Foro It., 2004, V, 9 e ss. 79 Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7039.

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La mancata previsione del funzionamento della translatio con riguardo al caso in cui ad essere declinata sia la giurisdizione, anziché l’incompetenza non sarebbe peraltro casuale, ma il frutto di una precisa scelta del legislatore. Invero - si è osservato- la previsione di cui all’art. 50 c.p.c. si giustifica in considerazione della minore gravità del vizio di incompetenza, che quindi consente la riassunzione della causa dinanzi ad altro giudice, con conservazione degli effetti processuali; il difetto di giurisdizione, viceversa, incide sulla stessa ammissibilità della domanda. Infine, l’impossibilità della trasmigrazione del giudizio da un giudice ordinario a uno speciale troverebbe fondamento nella eterogeneità delle situazioni giuridiche tutelate davanti ai due giudici. La riassunzione è consentita solo nel caso previsto dall’art. 367 c.p.c. (a latere) Ancor più nel dettaglio, per diffuso orientamento80, in caso di domanda proposta innanzi ad un giudice privo di giurisdizione, non è possibile la riassunzione dinanzi al giudice - amministrativo o speciale - fornito di tale giurisdizione; è viceversa possibile la riassunzione se il giudice fornito di giurisdizione è il giudice ordinario. A tale esito in giurisprudenza si è pervenuti osservando che, ferma l’inapplicabilità, nel caso di difetto di giurisdizione, dell' art. 50 c.p.c., riferibile solo alla materia della competenza, l'art. 367 dello stesso codice consente la riassunzione del processo, a seguito del regolamento di giurisdizione, solo quando la Corte di cassazione dichiari la giurisdizione del giudice ordinario. Per vero, già prima che intervenissero le Sezioni unite con sentenza n. 4109/2007 e la Corte costituzionale con pronuncia n. 77/2007, non erano mancate decisioni di segno contrario, volte ad ammettere la translatio e la conseguente conservazione degli effetti degli atti compiuti innanzi al giudice sfornito di giurisdizione81. Si era trattato, tuttavia, di decisioni isolate, intervenute senza affrontato il problema in consapevole contrasto con l'esistente consolidata giurisprudenza e comunque prive di successiva conferma. Le posizioni dottrinali (a latere) Anche in dottrina ha a lungo prevalso un atteggiamento contrario all’estensione, all’ipotesi di difetto di giurisdizione, dell’art. 50 c.p.c., ritenuta applicabile al solo caso della declinatoria di competenza; si è sostenuto, peraltro, che l'effetto impeditivo della decadenza non può derivare dalla proposizione della domanda giudiziale innanzi a qualsiasi giudice, presupponendo viceversa la valida instaurazione del processo davanti al giudice fornito di giurisdizione. Non era per vero mancata un’opzione di segno contrario che, muovendo dal principio chiovendiano per il quale il processo deve tendere ad una sentenza di merito (non ad una pronuncia purchessia), aveva posto in risalto come - anche con riguardo ai rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale - dovesse essere assicurata, unitamente alla conservazione degli effetti della domanda proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione, la trasmigrabilità della causa al giudice che ne sia fornito. A favore della introduzione della translatio iudicii si è addotta l’esigenza di evitare che la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice ordinario possa dare luogo, essendo intanto maturato il termine decadenziale per la proposizione del ricorso davanti al giudice speciale, alla definitiva stabilità dell'atto impugnato. Sono state anche poste in evidenza le non poche incertezza giurisprudenziali sugli esatti limiti del riparto in determinate materie; sicché, non essendo possibile prevedere il futuro definitivo approdo su ogni singolo tema, risulta assai frequente incorrere in individuazioni del giudice che si rivelano infine errate. In tali casi –si è osservato- lascia davvero insoddisfatti la circostanza che non solo è necessaria la proposizione di una nuova azione davanti al giudice fornito di giurisdizione, ma soprattutto che dinanzi a questo vadano disperse le acquisizioni processuali nel frattempo ottenute e addirittura la tempestività dell’azione82.

80 Cass., sez. un., n. 7 03 9/2 00 6; Cass. , sez. un. , n. 19218/2003; Cass., sez. un., n. 17934/2003; Cass., sez. un., n. 8089/2002; Cass., sez. un., n. 7099/2002; Cass., sez. un., n. 6041/2002; Cass., sez. un., n. 2091/2002; Cass., sez. un., n. 14266/2001; Cass.,, sez. un., n. 1146/2000; Cass., sez. un., n. 1166/94; Cass., sez. un., n. 10998/93. 81 Cass., n. 88/2001; Cass., n. 1496/2002; Cass., n. 5357/1987. 82 PELLEGRINO, Translatio e pregiudiziale: la ricerca dell’effettività, in www.giutizia-amministrativa.it

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Più in generale, a sostegno di un’auspicata svolta giurisprudenziale, si è rimarcata la unitarietà del complessivo sistema giurisdizionale, nel quale unica è la funzione, ancorché affidata a giudici distinti e con distinte competenze. 2. Interviene Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109. Al dibattito dottrinale in corso non è rimasta insensibile Cass. Sez. un., n. 4109/2007, secondo cui è consentito concludere per l’immanenza nell'ordinamento processuale del principio della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione: tanto sulla scorta di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina vigente. Nel dettaglio, nel caso esaminato dalle sezioni unite una società concessionaria della gestione di un impianto sportivo, di proprietà comunale, aveva convenuto in giudizio innanzi al TAR il Comune per sentirlo condannare al rimborso delle spese sostenute per la manutenzione straordinaria dell'impianto medesimo, oltre al risarcimento del danno e alla rimozione di un'insegna. Il TAR accoglie il ricorso limitatamente alla domanda di rimborso delle spese. Il Consiglio di Stato, adito dal Comune soccombente, rileva il difetto di giurisdizione, ritenendo che la controversia, in quanto afferente all'adempimento di un'obbligazione pecuniaria, rientri nella giurisdizione del giudice ordinario. La società concessionaria propone ricorso per cassazione. Ad avviso delle Sezioni unite sia nel caso di ricorso ordinario ex art. 360, n. 1, c.p.c. sia nel caso di regolamento preventivo di giurisdizione proponibile innanzi al giudice ordinario, ma anche innanzi al giudice amministrativo, contabile o tributario, opera la translatio iudicii. Il processo, iniziato erroneamente davanti ad un giudice che non ha la giurisdizione indicata, continua davanti al giudice effettivamente dotato di giurisdizione, onde dar luogo ad una pronuncia di merito che concluda la controversia processuale. La trasmigrabilità della causa dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, non richiede necessariamente la pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione di giurisdizione, ma è resa possibile anche nel caso di sentenza del giudice di merito, che abbia declinato la giurisdizione. Con una pronuncia innovativa, che si pone in aperto contrasto con lo ius receptum della giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite della Suprema Corte ammettono quindi l'operatività del principio della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in presenza di una pronuncia sulla giurisdizione. L'operatività della translatio iudicii è quindi affermata dal Collegio sia nel caso del ricorso ordinario per cassazione per motivi di giurisdizione (art. 360, n. 1, c.p.c.), esteso dalla previsione di cui all'art. 111 Cost. anche alle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, sia nel caso del regolamento preventivo di giurisdizione proponibile non solo innanzi al giudice ordinario, ma anche innanzi a quello amministrativo, contabile e tributario. L'affermazione di tale regola consente, pertanto, al processo, iniziato innanzi ad un giudice sfornito della relativa giurisdizione, di continuare davanti al giudice dotato della giurisdizione, e di giungere, così, ad una pronuncia di merito, conclusiva della vicenda processuale, in sintonia con i principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. Gli argomenti valorizzati dalle Sez. un. A. L’art. 382 c.p.c. (a latere) L'iter logico-giuridico seguito dal Collegio per dare cittadinanza al principio della translatio iudicii anche in materia di giurisdizione si snoda attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni processuali, fra le quali, in particolare, il combinato disposto di cui al comma primo e terzo dell'art. 382 c.p.c.83, da cui il Collegio desume che solo l'improponibilità assoluta della domanda innanzi al giudice ordinario e al giudice speciale porta ad una pronuncia di cassazione senza rinvio; nelle altre ipotesi, la corte di cassazione è viceversa tenuta ad indicare il giudice innanzi al quale la causa debba essere riassunta. Nel dettaglio, la norma dispone, al primo comma, che le Sezioni unite statuiscono sulla giurisdizione determinando “quando occorre” il giudice competente; dispone, al terzo comma, che si ha cassazione

83 “1. La Corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente. 2. Quando cassa per violazione delle norme sulla competenza, statuisce su questa. 3. Se riconosce che il giudice del quale si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione, cassa senza rinvio. Egualmente provvede in ogni altro caso in cui ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito”.

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senza rinvio ove le Sezioni unite ritengano che ogni giudice sia sfornito di giurisdizione, e in ogni altro caso in cui ritengano che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito (per esempio, per essersi verificata una causa di estinzione). Le Sezioni unite interpretano in senso letterale la prima disposizione del terzo comma, limitando la statuizione di cassazione senza rinvio alla sola ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (detta anche di improponibilità assoluta della domanda): in ogni altro caso, per il combinato disposto del primo e del terzo comma, prima parte, non c’è spazio per la cassazione senza rinvio, dovendosi far luogo alla cassazione con rinvio. A tale conclusione – sostengono le Sezioni unite- deve anche pervenirsi quando il giudice speciale in sede di appello abbia dichiarato il difetto di giurisdizione (affermata dal giudice speciale in primo grado), e la Cassazione, invece, stabilisca che la giurisdizione sia del giudice speciale: alla cassazione della sentenza impugnata non può che seguire la pronuncia di rinvio davanti al giudice speciale, perché altrimenti si verificherebbe l'inaccettabile conseguenza di un processo, che si debba concludere con una sentenza che confermi soltanto la giurisdizione del giudice adito senza decidere sull'esistenza o meno della pretesa. B. L’art. 386 c.p.c. (a latere) Il Collegio valorizza, altresì, la previsione di cui all'art. 386 c.p.c.84, interpretando l'espressione "quando prosegue il giudizio" in termini di "quando il giudizio debba proseguire", valevole in tutte le ipotesi diverse da quella di improponibilità assoluta della domanda. C. L’art. 367 c.p.c. (a latere) Argomenti a favore dell'operatività della translatio iudicii sono individuati dal Collegio anche nella previsione di cui all'art. 367, co. 2, c.p.c.85, che, a seguito dell'estensione della proponibilità del regolamento di giurisdizione anche nel processo innanzi al giudice amministrativo e al giudice tributario di primo grado, risulta esprimere un generale onere delle parti di riassunzione del processo. Per il caso in cui il regolamento sia richiesto nel corso del giudizio amministrativo e si concluda con la statuizione di sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, si pone il problema di stabilire il mezzo per il radicamento del giudizio innanzi a questo giudice. Il problema è risolto dalla Cassazione ritenendo applicabile lo strumento della riassunzione innanzi al giudice ordinario: soluzione che si basa sulla lettera dell’art. 367 c.p.c., non applicabile quindi nel solo caso in cui il regolamento sia stato proposto in un processo radicato innanzi al giudice ordinario e si concluda con la statuizione della sussistenza della giurisdizione di quel giudice. Sulla base di questi argomenti, pertanto, Le Sezioni unite concludono osservando che, sia nel caso dì ricorso ordinario ex art.. 360, n. 1, c.p.c. - previsto per il solo giudizio ordinario e poi esteso a tutte le decisioni, assumendo la veste di ricorso per contestare innanzi alle Sezioni Unite la giurisdizione del giudice che ha emesso la sentenza impugnata - sia nel caso di regolamento preventivo di giurisdizione proponibile innanzi al giudice ordinario, ma anche innanzi al giudice amministrativo, contabile o tributario, deve poter operare la translatio iudicii. Chiari i corollari derivanti dall’impostazione interpretativa seguita dalle Sezioni unite. Se è consentita la trasmigrazione, e così la prosecuzione, del processo da giudice ordinario a giudice amministrativo (e viceversa), il rapporto processuale instaurato – a seguito della translatio – dinanzi al giudice amministrativo non è nuovo, ma è lo stesso già radicato innanzi al giudice ordinario. Ne deriva che la cognizione della relativa domanda non può ritenersi preclusa per il fatto che il processo sia radicato innanzi al giudice amministrativo quando il termine decadenziale è decorso; il diritto risulta infatti già utilmente esercitato, quand’anche innanzi a giudice privo di giurisdizione. La translatio opera anche in caso di sentenza di merito che declini la giurisdizione (a latere) In chiusura, il Collegio precisa come la trasmissibilità della causa dal giudice ordinario a quello speciale e viceversa non postuli necessariamente una pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione di giurisdizione, ben potendo la stessa discendere anche da una pronuncia del giudice di merito, declinatoria della giurisdizione.

84 “La decisione sulla giurisdizione e' determinata dall'oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilita' della domanda”. 85 “Se la Corte di cassazione dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, le parti debbono riassumere il processo entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza”.

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Ad avviso delle Sezioni unite, invero, la trasmigrabilità della causa dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, non richiede necessariamente la pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione di giurisdizione, ma è resa possibile anche nel caso di sentenza del giudice di merito, che abbia declinato la giurisdizione. Seppure la sentenza del giudice di merito - sia esso ordinario che amministrativo, tributario o contabile declinatoria della giurisdizione, a differenza di quella delle Sezioni Unite della Cassazione, non imponga, al giudice del quale è stata affermata la giurisdizione, di adeguarsi a tale pronuncia, onde il giudice ad quem, innanzi al quale la causa fosse riassunta, potrebbe a sua volta dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, occorre considerare che, in tal caso, alle parti, per la soluzione del conflitto negativo di giurisdizione, è dato il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 362, co. 2, c.p.c., sicché il previsto meccanismo correttivo della denunciata situazione di stallo, nel rispetto del principio che ogni giudice è giudice della propria giurisdizione, consente, nella soluzione del conflitto, di pervenire alla decisione della questione di giurisdizione con effetti vincolanti nei confronti del giudice dichiarato fornito di giurisdizione, innanzi al quale è resa praticabile la translatio iudicii. L'apparente antinomia della suddetta conclusione con la disposizione dell'articolo 34, co. 1, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, laddove si prevede l'annullamento senza rinvio della decisione del tribunale amministrativo regionale da parte del Consiglio di Stato quando l'organo di secondo grado riconosca il difetto di giurisdizione del giudice di primo grado, si compone – ad avviso delle sezioni unite- nel rilievo che il difetto di giurisdizione considerato dalla norma concerne anch'esso le sole ipotesi in cui non è configurabile una prosecuzione del processo né innanzi al giudice speciale, né innanzi al giudice ordinario, in parallelo alla disposizione dell'art. 382, co. 3, c.p.c. Le Sezioni unite forniscono così una nuova lettura dell’art. 34, co., della legge Tar La norma, per la quale il Consiglio di Stato annulla senza rinvio la sentenza del giudice di primo grado ove ritenga insussistente la giurisdizione amministrativa, è sempre stata intesa nel senso che l’annullamento senza rinvio vada disposto sia quando il Consiglio di Stato ritiene sussistente la giurisdizione del giudice ordinario o di un giudice speciale, sia quando ritiene che si versi in difetto assoluto di giurisdizione. Secondo le Sezioni unite, invece, l’annullamento senza rinvio si può avere solo se il Consiglio di Stato ravvisa difetto assoluto di giurisdizione (o improponibilità assoluta della domanda),; ove, viceversa, ritenga che la giurisdizione è del giudice ordinario o di altro giudice speciale, deve annullare con rinvio a detto giudice, innanzi al quale si realizza quindi la translatio iudicii. Vero è che il giudice indicato dal Consiglio di Stato come fornito di giurisdizione non è vincolato dalla decisione, e potrebbe quindi anch’esso declinare la propria giurisdizione (dando luogo al conflitto negativo di giurisdizione); vero è anche che in tal caso è esperibile in ogni tempo il ricorso per cassazione ex art. 362 c.p.c. 3. Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77. Dopo le Sezioni unite anche la Consulta interviene sul tema con sentenza 12 marzo 2007, n. 77, con la quale dichiara costituzionalmente illegittimo l'art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione. Le critiche all’impostazione seguita da Cass., Sez. un., 4109/2007 (a latere) La Corte, pur manifestando considerazione per la soluzione adottata dalle Sezioni Unite, ritiene di dissentire sulla sua praticabilità a diritto vigente. Ad avviso dei Giudici costituzionali, l'espressa previsione della translatio con esplicito ed esclusivo riferimento alla «competenza» non altro può significare se non divieto di applicare alla giurisdizione quanto previsto, esplicitamente ed esclusivamente, per la competenza. La riassunzione non assicura la conservazione degli effetti della domanda (a latere) Ciò posto, la Consulta ancora osserva che va distinto il problema della trasmigrabilità del processo ad altro giudice fornito di giurisdizione con quello della conservazione, a seguito della declinatoria della giurisdizione, degli effetti prodotti dalla domanda proposta davanti ad un giudice privo di giurisdizione. Invero –osserva la Consulta- l'esistenza nel codice di procedura civile di una norma che disciplina in generale l'istituto della riassunzione della causa (art. 125 disp. att.) non implica di per sé che la domanda proposta in riassunzione conservi gli effetti prodotti da quella originaria.

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La trasmigrabilità del processo è strumento necessario, ma non sufficiente perché il giudice ad quem possa giudicare della domanda dinanzi a lui riassunta come se essa fosse stata proposta davanti a lui nel momento in cui lo fu al giudice privo di giurisdizione. L’incomunicabilità tra giudici appartenenti ad ordini diversi è incostituzionale (a latere) Escluso, quindi, che il problema della translatio e della conservazione degli effetti possa essere risolto sulla base di un’interpretazione del sistema, la Corte costituzionale passa ad esaminare la coerenza costituzionale dell’art. 30 della legge T.a.r., assuntamente ispirato al “principio per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l’esigenza di instaurare ex novo il giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si conservino nel nuovo giudizio”: principio che esprime quello della “incomunicabilità dei giudici appartenenti a ordini diversi”. Orbene, proprio questo principio di incomunicabilità tra giudici appartenenti ad ordini diversi è dalla Corte ritenuto in contrasto con fondamentali valori costituzionali. L’unicità della funzione giurisdizionale in un sistema plurale (a latere) Se è vero infatti –osserva la Corte con un passaggio di importanza storica- “che la Carta costituzionale ha recepito, quanto alla pluralità dei giudici, la situazione all'epoca esistente, è anche vero che la medesima Carta ha, fin dalle origini, assegnato con l'art. 24 (ribadendolo con l'art. 111) all'intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Questa essendo la essenziale ragion d'essere dei giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale: ciò che indubbiamente avviene quando la disciplina dei loro rapporti - per giunta innervantesi su un riparto delle loro competenze complesso ed articolato - è tale per cui l'erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione (o l'errore del giudice in tema di giurisdizione) può risolversi in un pregiudizio irreparabile della possibilità stessa di un esame nel merito della domanda di tutela giurisdizionale”. Sulla base di queste coordinate, la Corte dichiara, quindi, l'illegittimità costituzionale della norma censurata nella parte in cui non prevede la conservazione degli effetti della domanda nel processo proseguito, a seguito di declinatoria di giurisdizione, davanti al giudice munito di giurisdizione, ispirandosi essa, viceversa, al principio per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l'esigenza di instaurare ex novo il giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si conservino nel nuovo giudizio. L’involto al legislatore ( a latere) La stessa Corte rimette al legislatore il compito di disciplinare l’effettivo funzionamento del meccanismo di trasmigrazione, al contempo vincolandolo al rispetto del principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta innanzi a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato - a seguito di declinatoria di giurisdizione - davanti al giudice che ne è munito. 4. Gli scenari dopo le due decisioni e le prime applicazioni pretorie. Intervenuta la Corte costituzionale, ci si è subito chiesti se la translatio e la conseguente conservazione degli effetti della domanda proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione possano operare da subito, in attesa quindi dell’intervento legislativo auspicato dalla Consulta; ci si è anche interrogati in merito ai concreti meccanismi processuali utilizzabili per consentire che translatio e conservazione possano trovare attuazione.. La salvezza degli effetti può essere assicurata a disciplina vigente? (a latere) Che uno spazio applicativo per la translatio vi sia anche prima dell’auspicato intervento legislativo la stessa Consulta lo conferma precisando che, “là dove possibile utilizzando gli strumenti ermeneutici… i giudici ben potranno dare attuazione al principio della conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto”. Pur non mancando prese di posizione di segno contrario, la giurisprudenza è orientata nel ritenere che il principio della conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto operi da subito”86. 86 Contra, Tar Lazio, sez. III quater, 3 marzo 2008, n. 1946, secondo cui “in tema di translatio judicii, nel caso in cui la controversia è stata incardinata dinanzi al giudice amministrativo, incompetente fin dall’origine, non essendoci particolari criteri ermeneutici cui agganciarsi per quanto riguarda la modalità di salvezza degli effetti, l’unica possibilità attribuita al primo giudice che deve spogliarsi della causa è quella di declinare la propria giurisdizione indicando nel giudice ordinario il giudice competente, tenendo presente che la sentenza Corte cost. 12 marzo 2007 n. 77 appare aver lasciato un vuoto sul punto della salvezza degli effetti, riconoscendo al legislatore la necessità di intervenire tempestivamente”. Prevale, però, la tesi secondo cui “all’ annullamento giurisdizionale per difetto di giurisdizione della sentenza del Tribunale amministrativo regionale, disposto dal giudice di appello, segue il rinvio della causa al giudice ordinario con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta innanzi al

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Si tratta di verificare, a disciplina vigente, come e con quali meccanismi processuali il dispiegarsi del suddetto principio di conservazione può essere assicurato. In particolare ci si domanda se i giudici di merito possano disporre la translatio. Anche alla stregua della sola sentenza della Consulta, dovrebbe comunque ritenersi consentito in sede di declinatoria di giurisdizione fare salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda. Si tratta di verificare se tale salvezza possa essere disposta dallo stesso giudice che declina la giurisdizione o se, invece, trattandosi di profili valutativi ormai rientranti nella cognizione del giudice ad quem, spetti a quest’ultimo fare applicazione del principio di salvezza degli effetti. Al giudice che declina la giurisdizione spetta comunque il compito di fissare un termine entro cui le parti devono attendere alla riassunzione perché possano fruire della conservazione degli effetti. A chi spetta disporre la salvezza degli effetti? (titoletto) La giurisprudenza ha avuto a più riprese di occuparsi dei segnalati problemi interpretativi. In tema è di intervenuto Cons. St., sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059, secondo cui il giudice amministrativo che declina la giurisdizione deve in primo luogo rimettere le parti davanti al Giudice ordinario affinché dia luogo al processo di merito: tale rimessione, invero, da un lato, evita “l'inaccettabile conseguenza di un processo, che si debba concludere con una sentenza che confermi soltanto la giurisdizione del giudice adito senza decidere sull'esistenza o meno della pretesa” (Cass. sez. un. n. 4109/2007), e, dall’altro, è funzionale alla riconosciuta esigenza di far salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda). Il giudice che declina la giurisdizione deve anche precisare che sono salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda: a tale precisazione da parte del giudice che pure declina la giurisdizione non osta, infatti, la circostanza che sarà poi il Giudice ad quem a dover fare applicazione del principio della salvezza degli effetti. Del resto –sostiene la sesta sezione- è la stessa sentenza della Corte costituzionale n. 77/2007 a confermare implicitamente che la dichiarazione della salvezza degli effetti non è prerogativa esclusiva del Giudice ad quem, perché, altrimenti, la questione di costituzionalità dell’art. 30 L. n. 1034/1971 (e cioè di una norma che trova applicazione nel processo amministrativo) avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza. La Corte costituzionale, invece, ha dichiarato illegittima tale norma nella parte in cui non prevede che “gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione”. In tal modo la Corte sembra riconoscere che quella relativa alla conservazione degli effetti della domanda è una questione che rileva, in primo luogo, davanti al Giudice che declina la giurisdizione. Quale è il termine entro cui la salvezza degli effetti opera? Infine, onde, evitare l’inconveniente, evidenziato in dottrina, di una azione sospesa sine die, e come tale sine die nella disponibilità assoluta di una delle parti, insieme alla precisazione della salvezza degli effetti, il giudice che declina la giurisdizione deve fissare un termine entro cui tale salvezza opera. Al riguardo, la sesta Sezione ritiene applicabile analogicamente, l’art. 50 c.p.c., anche perché, con l’affermazione del principio della translatio anche tra diverse giurisdizioni (e non sono tra diversi giudici appartenenti allo stresso plesso giurisdizionale), il difetto di giurisdizione diventa per molti aspetti analogo al difetto di competenza del giudice adito. L’art. 50 c.p.c. prevede che sia lo stesso giudice che si dichiara incompetente a fissare il termine per la riassunzione davanti al giudice ritenuto competente; in mancanza di tale indicazione, il termine per la riassunzione è di sei mesi dalla comunicazione della sentenza87.

giudice privo di giurisdizione, atteso che il principio della translatio judicii è operante anche nei rapporti fra giudice amministrativo e giudice ordinario”. In termini, Cons. St., sez. VI, 17 gennaio 2008, n. 111; Tar Sicilia Palermo, sez. I, 03 ottobre 2007, n. 2053. Da ultimo, Cons. St., sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059. 87 In termini, Tar Lazio Latina, sez. I, 12 dicembre 2007, n. 1571, secondo cui “ai fini della translatio iudicii successiva alla declaratoria di difetto di giurisdizione, in difetto di una norma di rito diversamente regolatrice in via speciale del rapporto controverso, il ricorrente deve riassumere la causa presso la competente autorità giudiziaria, indicata dal giudice sfornito di giurisdizione, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione della sentenza, o notifica se anteriore, ovvero, in difetto dell'una e dell'altra, entro sei mesi dal deposito della decisione nella segreteria della sezione

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5. L’intervento del legislatore: le indicazioni emerse. Se quelle esposte sono le soluzioni praticabili a diritto vigente, giova in conclusione volgere lo sguardo alle indicazioni in dottrina emerse nel tentativo di prefigurare gli spazi di manovra dell’intervento legislativo auspicato dalla Consulta. Giova prendere in considerazione le diverse ipotesi che possono venire in rilievo. Se il giudice ordinario ritiene di essere investito di una causa appartenente alla giurisdizione amministrativa, dispone il rinvio così come avviene per la competenza tra giudici ordinari fissando i relativi oneri di riassunzione. Il Tar potrà dissentire dalla decisione del g.o.; soccorre il rimedio per cd. conflitto negativo di cui all’art. 362, co. 2, c.p.c.: alle Sezioni Unite quindi è rimesso il definitivo pronunciamento sulla giurisdizione. Può peraltro avvenire che una delle parti ritenga di impugnare la decisione del giudice che ha declinato la giurisdizione; è quanto consentito appellando la pronuncia. E’ stato sostenuto, al riguardo, che con l’intervento legislativo auspicato dalla Consulta potrebbe introdurre un sistema funzionale alla formazione di una rapido e definitivo giudicato sulla giurisdizione, per esempio prevedendo che la decisione declinatoria di giurisdizione sia impugnabile solo con regolamento innanzi alle Sezioni Unite, così destinato ad assumere le sembianze di un regolamento necessario88. Ferma dunque la possibilità, anche a diritto vigente, che il giudizio prosegua innanzi al giudice amministrativo a seguito della declinatoria di giurisdizione da parte dell’adito giudice ordinario, occorre verificare se è così sempre garantita la salvezza dell’azione e la sua ammissibilità. Si consideri che ben può verificarsi che il privato sia incorso in errore sulla stessa consistenza della posizione giuridica tutelata e, ritenendola di diritto soggettivo anziché di interesse legittimo, abbia quindi adito erroneamente il giudice ordinario facendo affidamento sul termine prescrizionale, anziché decadenziale. Si è al riguardo sostenuto89 che va comunque salvaguardata l’ammissibilità della domanda. Posizione, questa, non condivisa da chi prospetta il rischio che abbiano a verificarsi situazione di autentico abuso del diritto, potendo il soggetto, consapevole di essere incorso in decadenza rispetto all’impugnare dell’atto innanzi al g.a., tardivamente investire il g.o. pur di beneficiare degli effetti di una translatio così congegnata90. Si conclude, quindi, nel senso che l’esigenza da soddisfare è solo quella di assicurare la salvezza degli effetti della domanda avendo esclusivo riguardo al momento della sua proposizione, ipotizzando che sia stata proposta innanzi al giudice titolare della giurisdizione.

SEZIONE II PARTE TRATTA DA R. GAROFOLI, TRACCE DI AMMINISTRATIVO, NELDIRITTO EDITORE, 2008, DA POCHISSIMI GIORNI IN LIBRERIA. D) Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto: profili sostanziali e processuali, anche in conseguenza di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e Cons. Stato, sez. v, 28 marzo 2008, n. 1328.

-1. Premessa. -1.1. Articolazione della procedura di evidenza pubblica -1.2. Finalità della procedura di evidenza pubblica. -2. Natura giuridica dell’atto di aggiudicazione. -3. Conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione sulla sorte del contratto: qualificazioni sostanziali e implicazioni processuali. -4. Il recente intervento di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e

88 In tal senso, PELLEGRINO, Translatio e pregiudiziale: la ricerca dell’effettività, in www.giustizia-amministrativa.it 89 Dà atto di questa impostazione PELLEGRINO, op. ult. cit. 90 In tal senso CACCIAVILLANI, Translatio iudicii tra Corte di cassazione e Corte costituzionale, in www.giustamm.it.

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Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 2008, n. 1328.

1. Premessa. L’esame del problema relativo all’incidenza dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione sul contratto stipulato tra p.a. appaltante ed aggiudicatario presuppone una previa analisi dell’articolazione della procedura di evidenza pubblica e delle finalità ad essa sottese, nonché una ricostruzione del dibattito, da sempre vivace e mai sopito, relativo alla natura giuridica dell’aggiudicazione, atto destinato normalmente a segnare la conclusione dell’iter pubblicistico di selezione del contraente.

1.1. Articolazione della procedura ad evidenza pubblica. Occorre, anzitutto, rilevare che la procedura ad evidenza pubblica assume rilievo nell’ambito dell’attività negoziale della PA, come contemplata dall’art. 1, co. 1bis, L. 241/1990, novellato dalla L. 15/2005. La presenza di siffatta procedura, nell’ambito dell’attività negoziale della PA, si pone come limite alla libertà della PA stessa nello svolgimento delle trattative per la conclusione dei contratti, in contrapposizione alle trattative fra privati, caratterizzate dalla libertà delle forme e delle procedure, con il solo limite del rispetto degli obblighi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. La procedura ad evidenza pubblica si articola in diverse fasi, poste in successione: adozione della delibera a contrarre (atto a rilevanza meramente interna, con cui la PA enuncia le ragioni della scelta dello strumento negoziale in vista del perseguimento di un interesse pubblico), pubblicazione del bando (quale lex specialis della procedura, contenente, fra l’altro, l’indicazione dei requisiti di partecipazione alla gara, l’indicazione dello strumento di scelta del contraente, dei criteri di aggiudicazione, dei criteri di esclusione delle offerte anomale, del contenuto minimo del contratto), scelta del contraente (attraverso le procedure di asta pubblica o pubblico incanto, licitazione privata, trattativa privata e appalto-concorso). Tale fase si conclude con l’adozione del provvedimento di aggiudicazione, prodromica alla stipula del contratto, seguita a sua volta dalla relativa approvazione (condicio iuris di efficacia del contratto) dall’eventuale controllo ad opera della Corte dei Conti (controllo di legittimità del decreto di approvazione ai fini dell’apposizione del visto e della registrazione). In questo contesto, l’aggiudicazione si pone come fase della procedura ad evidenza pubblica, con la quale la PA individua il soggetto con cui stipulare il contratto.

1.2. Finalità della procedura ad evidenza pubblica. Due gli orientamenti formatisi: a) Secondo l’impostazione tradizionale, la procedura ad evidenza pubblica tutela, in via esclusiva, l’interesse della PA ad individuare il migliore contraente ed a concludere il contratto alle migliori condizioni per il perseguimento dell’interesse pubblico. Corollari: • rilevanza esclusiva dell’interesse della PA e irrilevanza dell’interesse dei soggetti partecipanti alla procedura (titolarità, in

capo ad essi, di una posizione di interesse legittimo, suscettibile di tutela risarcitoria solo a seguito della pronuncia di Cass. Civ., sez. un., n. 500/1999);

• procedura ad evidenza pubblica come fase di formazione della volontà della PA o di integrazione della sua capacità. b) Secondo un’impostazione più recente e ormai prevelente, la procedura ad evidenza pubblica, disciplinata a livello comunitario ed oggi recepita dal Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. n. 163/2006), è strumento di tutela della concorrenza, la cui osservanza è imposta alla PA al fine di rendere effettive le libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi di cui al Trattato CE. Corollari: • rilevanza, accanto all’interesse della PA, dell’interesse delle imprese al rispetto, da parte di questa, della par condicio nella scelta del contraente. 2. Natura giuridica dell’atto di aggiudicazione. Sono tre gli orientamenti affermatisi: A) Natura pubblicistica. Si tratta dell’impostazione tradizionale che riconosce all’aggiudicazione natura eminentemente provvedimentale, in quanto atto proteso unicamente all’individuazione dell’aggiudicatario. In siffatto contesto interpretativo si pone quella giurisprudenza che distingue fra procedure meccaniche (asta pubblica e licitazione privata), nelle quali, ai sensi dell’art. 16, co. 4, R.D. 2440/1923, l’aggiudicazione è equiparata, sotto il profilo degli effetti, alla stipula del contratto, con conseguente configurazione, in capo all’aggiudicatario, di una posizione di diritto soggettivo (aggiudicazione come atto con valenza contrattuale) e procedure negoziate (appalto-concorso e trattativa privata), nelle quali, in assenza di una previsione espressa (al pari dell’art. 16, co. 4, R.D. 2440/1923) che assimili, sotto il profilo degli effetti, l’aggiudicazione al contratto, l’aggiudicazione medesima è considerata alla stregua di atto amministrativo ampliativo della sfera giuridica soggettiva dell’aggiudicatario, con conseguente nascita in capo a quest’ultimo di una posizione di interesse legittimo pretensivo alla stipula del contratto.

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Con l’aggiudicazione, dunque, l’amministrazione si limita a selezionare l’impresa con la quale stipulerà, in seguito, il contratto d’appalto, senza manifestare ancora alcuna volontà negoziale. B) Natura mista Si tratta dell’orientamento più recente, che ascrive all’aggiudicazione una duplice natura, sia provvedimentale che negoziale, quale espressione della altrettanto doppia natura attribuita alla procedura ad evidenza pubblica: - natura pubblicistica: la PA agisce nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica in qualità di autorità ed è tenuta a

rispettare le regole dell’evidenza pubblica al fine di assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico; - natura negoziale: la PA agisce, nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica, in qualità di contraente e soggiace alle

regole di diritto comune, di cui agli artt. 1337 e ss. c.c. Qualificazione del bando in termini di invito ad offrire, della proposta dei partecipanti in termini di offerta negoziale e della aggiudicazione in termini di accettazione dell’offerta.

Ne deriva che l’aggiudicazione è da qualificare tanto in termini di atto amministrativo, con il quale la PA definisce in via autoritativa la procedura selettiva e individua la persona dell’altro contraente (natura pubblicistica), quanto sub specie di atto negoziale, espressivo della volontà della PA di addivenire alla stipula del contratto. In particolare, si ritiene che con l’aggiudicazione la PA non si limita ad individuare il migliore contraente, bensì manifesta già il suo consenso negoziale; il contratto, successivamente stipulato, assume così natura soltanto ricognitoria del consenso già prestato a conclusione della procedura di evidenza pubblica. Tuttavia, il predetto orientamento, volto a riconoscere natura provvedimentale - negoziale all’aggiudicazione, pare sconfessato dall’art. 11, co. 7, Codice dei Contratti Pubblici, che esclude l’equivalenza dell’aggiudicazione all’accettazione dell’offerta, nel senso di inidoneità dell’aggiudicazione ad instaurare un rapporto negoziale con l’aggiudicatario e di inconfigurabilità, in capo a quest’ultimo, di una posizione di diritto soggettivo. L’aggiudicazione è qualificata alla stregua di atto amministrativo ampliativo della sfera giuridica dell’aggiudicatario, il quale diviene titolare di un interesse legittimo pretensivo alla stipula del contratto. A tale esito è di recente pervenuto il Cons. Stato, sez. II, parere 27 marzo 2007, che, nell’escludere la immediata rilevanza, ai fini della definizione della procedura di evidenza, della normativa entrata in vigore dopo l’aggiudicazione, ma prima della stipula del contratto, ha richiamato la delicata, e da sempre dibattuta, questione relativa alla natura dell’atto di aggiudicazione: “questione sulla quale, come è noto, da sempre si contrappongono tesi divergenti, dirette a sostenere rispettivamente la natura provvedimentale (come ritenuto da Cons. Giust. Amm., 20 luglio 1999, n. 365; Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 1998, n. 677; Tar Sicilia, Catania, 10 settembre 1996, n. 1603) ovvero anche negoziale dell’aggiudicazione (come ritenuto da Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2000, n. 4722; VI, 14 gennaio 2000, n. 244; sez. V, 19 maggio 1998, n. 633; Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2004, n. 3355; Cons. Giust. Amm, 8 marzo 2005, n. 104). Ed invero, anche aderendo alla prima delle due indicate impostazioni (cui per vero pare dare supporto l’art. 11, comma 7, D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, laddove prevede che “l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta”), l’aggiudicazione resta pur sempre l’atto con cui si definisce la procedura pubblicistica di selezione del contraente, ancorché non ancora idoneo ad instaurare il rapporto contrattuale”. 3. Conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione sulla sorte del contratto: qualificazioni sostanziali e implicazioni processuali. Si tratta di un aspetto ampiamente dibattuto, atteso il coinvolgimento di differenti interessi, non sempre agevolmente conciliabili. Da un lato, quello alla stabilità e certezza dei rapporti contrattuali di cui è parte la P.A.; dall’altro, quello del privato, che abbia vittoriosamente proposto ricorso avverso gli atti di gara, ad ottenere una tutela non formale, ma effettiva e sostanziale, comprensiva della possibilità di ottenere l’autentico bene della vita anelato, costituito dal subingresso nel rapporto contrattuale instaurato con l’aggiudicatario illegittimo; infine, quello, di cui è portatore lo stesso aggiudicatario illegittimo, spesso vittima di illegittimità verificatesi nel corso della procedura di evidenza pubblica, a lui non imputabili, addebitabili, per contro, alla sola stazione appaltante. Ciò posto, occorre rilevare che l’individuazione delle conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione sulla sorte del contratto è strettamente correlata alla definizione delle finalità della procedura ad evidenza pubblica (supra punto 1.2.), di cui l’aggiudicazione è elemento costitutivo, ed alla definizione della natura giuridica dell’aggiudicazione (supra punto 2). A ciò si aggiunga che dalle differenti opzioni interpretative, prospettate sul piano sostanziale, possono discendere diverse implicazioni sul piano processuale, tra cui quelle relative alla giurisdizione (sul punto, tuttavia, Cass. Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169, conclude comunque per la giurisdizione del giudice ordinario) ed alla legittimazione ad agire in giudizio. Diverse le posizioni a confronto: A) Impostazione tradizionale. Muove dall’impostazione più risalente (punto 1.2.1.) che ritiene la disciplina delle procedure ad evidenza volta alla tutela esclusiva dell’interesse della PA. Il procedimento si pine, in questa prospettiva, quale fase di formazione della volontà della PA o di integrazione della capacità della PA; le violazioni della normativa dell’evidenza pubblica rilevano quindi in termini di vizi della volontà (art. 1427 c.c.) o di difetto di capacità della PA (art. 1425 c.c.). Di conseguenza, lo stesso annullamento dell’aggiudicazione si presenta quale vizio inficiante la volontà o la capacità della PA ovvero come motivo di annullabilità del contratto (Cass. civ., n. 14901/2000). Tale tesi è stata sostenuta, per lungo tempo, dalla giurisprudenza della

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Corte di Cassazione e dalla dottrina maggioritarie. Più nel dettaglio, alla stregua di un primo orientamento, l'annullamento dell'aggiudicazione comporterebbe l'annullabilità relativa ex art. 1441 c.c. del contratto di appalto; si tratta di un indirizzo massicciamente seguito dalla giurisprudenza del Giudice ordinario, ma anche talvolta dalla giurisprudenza amministrativa (Cass. 17 novembre 2000, n. 14901; Cass. 8 maggio 1996, n. 4269, Cass. 28 marzo 1996, n. 2842; Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2002, n. 570; T.A.R. Puglia, Lecce, 28 febbraio 2001, n. 746). La tesi muove dal rilievo secondo cui gli atti amministrativi adottati nella procedura di evidenza pubblica, che precedono la stipulazione dei contratti jure privatorum, "non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell'ente pubblico, sicché i loro vizi, traducendosi in vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, non possono che comportare l'annullabilità del contratto, deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente" (Cass. 8 maggio 1996, n. 4269). Detto diversamente, il procedimento ad evidenza pubblica ha la funzione di salvaguardare la corretta formazione del consenso da parte della pubblica amministrazione, garantendo che essa scelga il contraente migliore tra tutti i partecipanti alla procedura concorsuale; le relative norme sono, pertanto, dettate esclusivamente a tutela dell'interesse dell'amministrazione. I sostenitori della tesi dell'annullabilità, conforme all'interesse dell'Amministrazione, ritengono che tale soluzione sia quella più idonea ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici, atteso che, diversamente, aderendo all'orientamento della nullità assoluta, qualunque terzo escluso dall'aggiudicazione potrebbe far valere, anche a distanza di tempo, l'invalidità radicale del contratto, travolgendone gli effetti. Ferma restando la tesi dell'annullabilità, dottrina e giurisprudenza ne hanno individuato un diverso fondamento: si è parlato ora di vizio del consenso per errore essenziale e riconoscibile sulla qualità di legittimo aggiudicatario dell'altro contraente (artt. 1428 e 1429, n. 3 c.c.), ora di annullabilità ex articolo 1425, primo comma, c.c., per una sorta di incapacità a contrattare dell'amministrazione ove sia caducata la delibera di contrattare , ora ancora di annullabilità per difetto di legittimazione negoziale della pubblica amministrazione intesa come ipotesi concreta di incapacità rispetto allo specifico negozio, a fronte di una generale capacità giuridica e di agire del soggetto. E' stato, tuttavia, sottolineato da attenta dottrina che non tutte le fattispecie decise dalla Cassazione riguardano casi di precedente annullamento dell'aggiudicazione, sicché si è per certi versi dubitato che l'effettivo decisum abbia negato l'effetto di travolgimento del contratto scaturente dall'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione. In senso critico, si è osservato: a) le norme sull'evidenza pubblica non sono poste solo nell'interesse della parte pubblica, ma anche, se non soprattutto, in quello delle imprese ad un accesso libero, competitivo e concorrenziale alla contrattazione con le amministrazioni; b) la riserva alla sola pubblica amministrazione della legittimazione a domandare l'annullamento del contratto impedisce una tutela satisfattiva e piena dell'impresa ricorrente che ha ottenuto l'annullamento dell'aggiudicazione; c) l'ascrizione dell'annullamento dell'aggiudicazione alle categorie dell'incapacità di contrattare (art. 1425) o dei vizi del consenso (art. 1427 c.c.) risulta sprovvista di sufficienti riscontri positivi e di sicure indicazioni argomentative non chiarendosi i caratteri costituivi della presunta incapacità legale dell'amministrazione e non precisandosi il tipo di vizio della volontà nella specie riscontrato. Conseguenze sul piano processuale: - legittimazione attiva della sola PA all’impugnazione del contratto, posto che, ai sensi dell’ (art. 1441 c.c., l’annullamento

può essere domandato solo da chi vi abbia interesse; - termine prescrizionale di cinque anni; - natura costitutiva della pronuncia di annullamento del contratto; - giurisdizione del GO sulla domanda di annullamento del contratto, venendo in rilievo fattispecie privatistiche generatrici

di posizioni di diritto soggettivo perfetto. Critiche: - riconoscimento alla PA di una posizione di privilegio, essendo l’unica legittimata ad agire per l’annullamento del contratto;

soluzione, peraltro, incoerente, posto che si legittima ad agire il soggetto al quale, in genere, si imputa la commissione delle illegittimità procedimentali e non anche chi le subisce, ovvero il contraente;

- necessità di una diversa valutazione delle finalità sottese alla disciplina pubblicistica di selezione del contraente (tanto più quella di derivazione comunitaria), in quanto volta a presidiare non già l’interesse della P.A. alla stipula del contratto più conveniente, ma quello a che sia assicurato il dispiegarsi dei meccanismi concorrenziali nell’importante settore delle commesse pubbliche;

- conseguente riconoscimento anche dell’interesse dei soggetti partecipanti alla procedura, da garantire attraverso il riconoscimento della loro legittimazione all’impugnativa del contratto, pena la violazione dei principi di effettività e satisfattività della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della PA (artt. 24 e 113 Cost.);

- frantumazione della giurisdizione, essendo il GA abilitato a conoscere del ricorso caducatorio, il GO della domanda di annullamento del contratto. Esito, questo, reputato peraltro non agevolmente armonizzabile con l’effetto di concentrazione processuale voluto dal legislatore della legge n. 205/2000 (e ora del D. Lgs. n. 163/2006) ed attuato con la previsione di un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del GA nel settore degli appalti pubblici.

- inapplicabilità, di fatto, della previsione di cui all’art. 7, legge Tar (come modificato dall’art. 7 legge 205/00), posto che il fatto storico della stipulazione è considerato ostativo alla tutela risarcitoria in forma specifica, che la norma in discorso concentra presso il GA, in uno con la tutela caducatoria.

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B) Impostazioni più recenti. B1) Muovendo dalle critiche sopra riportate e valorizzando sempre il profilo delle finalità, taluni osservano che la procedura ad evidenza pubblica, disciplinata a livello comunitario e oggi recepita nel Codice dei Contratti Pubblici, costituisce strumento di tutela della concorrenza, finalizzata a garantire effettività alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi di cui al Trattato CE. Le norme della procedura ad evidenza pubblica rivestono, pertanto, carattere imperativo, in quanto dirette alla tutela di interessi di ordine pubblico generale, la cui violazione comporta la nullità virtuale del contratto (art. 1418 c.c.) (Cons. Stato, n. 1218/2003). Ad analoga conclusione perviene l’orientamento, più di recente affermatosi, che, muovendo dalla natura giuridica mista del provvedimento di aggiudicazione e valorizzandone la componente negoziale (supra paragrafo 2B), considera l’annullamento dello stesso quale circostanza determinante il venir meno del consenso della p.a., con conseguente nullità del contratto ex art. 1418, co. 2, c.c., per mancanza del requisito essenziale dell’accordo (art. 1325, n. 1, c.c.) (in termini, Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 2008, n. 1328; sez. IV, n. 3355/04; C.G.A., sez. giurisdiz., n. 104/2005). Più nel dettaglio, su questo secondo fronte si staglia chi sostiene che all'annullamento dell'aggiudicazione consegua la nullità del contratto, traendo argomento dal primo comma dell'art. 1418 c.c., che sanziona con la nullità il contratto contrario a norme imperative (c.d. nullità virtuale o extratestuale). Il percorso argomentativo seguito dalla corrente giurisprudenziale in esame muove dalla constatazione che l'invalidità che inficia il contratto stipulato con il privato contraente deriva dalla violazione di norme di azione disciplinanti il procedimento di gara ad evidenza pubblica. Le norme che prescrivono le modalità da osservare nella scelta del contraente esprimono un implicito divieto di stipulare con soggetti che non siano risultati legittimi vincitori dalla pubblica selezione. Come è stato stabilito "tale qualificazione della patologia si fonda sulla constatazione secondo cui la procedimentalizzazione della scelta del contraente ed il suo coordinamento a profili di interesse pubblico in ordine all'acquisizione della migliore offerta contrattuale, configurano una fattispecie complessa, nella quale convergono meri atti, operazioni materiali, provvedimenti, dichiarazioni di volontà del privato, e del quale la stipulazione del contratto rappresenta l'effetto finale. Ne consegue che l'invalidità di atti della serie procedimentale che incidano sulla legittimità dell'aggiudicazione non consentono alla suddetta fattispecie di conseguire il proprio perfezionamento giuridico, ed in primo luogo di determinare l'idem consensus (ovvero l'accordo) che costituisce elemento essenziale di ogni contratto. E' noto che il vizio radicale del consenso, nel senso del suo difetto genetico originario, produce la nullità del contratto e non la semplice annullabilità, ai sensi dell'art. 1418 comma 2 c.c."( T.A.R. Puglia, Bari, 23 ottobre 2002, n. 394). Viene, poi, riconosciuta la nullità del contratto nel caso di incompetenza assoluta dell'organo stipulante. Sulla base di tali premesse, la nullità del contratto stipulato a seguito di procedura concorsuale illegittima viene giustificata secondo tre diverse prospettive. Un primo orientamento ritiene che l'annullamento (giurisdizionale o amministrativo) degli atti di gara per motivi di legittimità, facendo venire meno ex tunc il provvedimento di aggiudicazione, dà luogo ad una mancanza originaria del consenso dell'amministrazione all'assunzione del vincolo negoziale: la nullità del contratto si giustificherebbe alla stregua del combinato disposto delle previsioni di cui agli artt. 1418, comma 2, e 1325, n. 1, c.c.. Conseguenze sul piano processuale: - legittimazione ad agire riconosciuta a chiunque vi abbia interesse e rilevabilità d’ufficio della nullità ad opera del giudice

(art. 1421 c.c.); - imprescrittibilità dell’azione di nullità (art. 1422 c.c.); - natura dichiarativa della pronuncia di nullità; - giurisdizione affidata al GO, quale giudice della patologia contrattuale. Critiche: - annullabilità dell’aggiudicazione come vizio di nullità sopravvenuto, in distonia con il carattere genetico dei vizi di nullità; - imprescrittibilità dell’azione di nullità, legittimazione attiva di qualsiasi interessato, rilevabilità d’ufficio della nullità ad

opera del giudice: conseguenze tutte che attentano ai principi di certezza e stabilità dei rapporti giuridici fra la PA e il privato.

Repliche ai rilievi critici: - la sopravvenienza non investe il vizio di nullità, bensì unicamente il suo accertamento processuale; - adattamento del regime civilistico della nullità al processo amministrativo: legittimazione limitata al soggetto che ha già

agito per l’annullamento dell’aggiudicazione, entro il relativo termine decadenziale. Giova più nel dettaglio, ricostruire le controdeduzioni formulate in risposta alle critiche tradizionalmente mosse alla tesi della

nullità. La critica che si fonda sulla natura sopravvenuta e non genetica del vizio si basa, infatti, sull'erroneo presupposto che

l'annullamento dell'aggiudicazione incida sul rapporto e non sul suo atto giuridico costitutivo. Sennonché ogni vizio relativo alla corretta formazione della volontà negoziale o addirittura alla sua esistenza (ivi compresi quelli, di minore gravità, che determinano l'annullabilità del contratto) va riferito al momento genetico del rapporto e non alla sua fase esecutiva e funzionale. Possono qualificarsi sopravvenute, in particolare, solo quelle vicende che non riguardano

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direttamente la validità del negozio giuridico ma la sua attuazione (inadempimento, eccessiva onerosità, impossibilità, verificazione della condizione risolutiva), ma non anche quelle che, ancorché accertate successivamente, attengono proprio al rispetto delle regole che presiedono alla valida conclusone del contratto (come quelle relative all'esistenza dell'accordo). Non solo, ma l'efficacia retroattiva dell'annullamento giurisdizionale dell'atto impugnato impone di riferire l'efficacia della statuizione demolitoria al momento genetico del rapporto, e cioè alla conclusione del negozio, e non alla sua fase esecutiva, e cioè alla corretta attuazione delle obbligazioni od al funzionamento della causa (del tutto estranee agli effetti della caducazione dell'aggiudicazione).

Quanto alla critica che individua nelle caratteristiche tipiche dell'azione di nullità (legittimazione estesa a tutti i soggetti che hanno interesse, imprescrittibilità, rilevabilità d'ufficio del vizio, natura dichiarativa della relativa pronuncia) la ragione principalmente ostativa all'accoglimento della relativa tesi, si osserva che, anche prescindendo dal rilievo che le conseguenze di fatto di una teoria (quand'anche gravi) non valgono ad inficiarne la correttezza, i riferiti caratteri dell'azione in questione vanno coordinati con le regole che presidiano il giudizio amministrativo. Quando, infatti, una delle parti contrattuali manifesta e cristallizza il proprio consenso in un atto che riveste anche natura provvedimentale (come nella fattispecie in esame), l'accertamento della sua illegalità ed il suo conseguente annullamento soggiacciono alle regole tipiche del processo impugnatorio. Ne consegue che l'aggiudicazione deve essere impugnata nel prescritto termine di decadenza e che, in difetto di tale tempestiva iniziativa giurisdizionale, resta preclusa la proponibilità dell'azione di nullità. La natura provvedimentale dell'aggiudicazione impedisce, peraltro, al giudice di accertare d'ufficio la nullità del contratto costituita dall'illegittimità del provvedimento finale della procedura di selezione del contraente (risolvendosi l'esercizio di quel potere nell'inammissibile sindacato ufficioso della legittimità di un atto amministrativo). La legittimazione a far valere la nullità va, inoltre, riconosciuta alle sole parti che hanno impugnato l'aggiudicazione, quali unici soggetti che hanno manifestato, in concreto, interesse, invocando la rimozione dell'atto invalidante, alla declaratoria della relativa invalidità.

Né varrebbe obiettare che le limitazioni appena segnalate finiscono per snaturare l'azione di nullità e configgono con gli interessi ad essa sottesi, atteso che le pertinenti esigenze di tutela di interessi indisponibili vanno coordinate con quelle, altrettanto rilevanti, di stabilità degli atti amministrativi e di certezza dei relativi rapporti giuridici. Ne consegue che la riferita, necessaria pregiudizialità dell'annullamento dell'aggiudicazione, ai fini della dichiarazione della nullità del contratto su domanda della sola parte che ha proposto il ricorso, risulta imposta dalle esigenze di rispetto delle regole del giudizio amministrativo impugnatorio e che, di contro, l'applicazione alla fattispecie in esame dell'intera disciplina civilistica dell'azione di nullità si risolverebbe nella inammissibile disapplicazione delle regole che presiedono, a tutela dei pertinenti interessi pubblici, alla tutela giurisdizionale degli interessi lesi da provvedimenti amministrativi (tale essendo, oltre che un atto negoziale, l'aggiudicazione).

B2) Posizione intermedia: inefficacia relativa del contratto. Il contratto è valido inter partes ed è caducabile solo su iniziativa del contraente pretermesso (ricorrente) una volta ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione. La caducazione dell’aggiudicazione non è opponibile al privato contraente di buona fede, per effetto dell’applicazione analogica degli artt. 23 e 25 c.c., dettati in tema di associazioni e fondazioni, in forza dei quali sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi di buona fede in conseguenza di atti esecutivi della deliberazione a contrarre dell’ente, poi annullata (Cons. Stato, n. 6666/2003). Si tratta di un orientamento ispirato, essenzialmente, dalla tutela del terzo di buona fede e della certezza dei rapporti giuridici. In termini, di recente, TRGA, sez. Bolzano, 8 gennaio 2007, n. 5, secondo cui l’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione della gara comporta l’inefficacia successiva del contratto di appalto medio tempore stipulato. L’inefficacia successiva, al pari della nullità successiva, agisce retroattivamente ma, differentemente dalla seconda, incontra il duplice limite delle situazioni soggettive che si siano già consolidate in capo ai terzi fino alla domanda volta a far dichiarare l’inefficacia (arg. ex. artt. 1452, 1458, co. 2, 1467 e 2901 c.c.) e delle prestazioni già eseguite nei negozi di durata. Essa deve formare oggetto di mera declaratoria da parte dello stesso giudice che pronuncia la sentenza costitutiva di demolizione dell’atto gravato (coerentemente alla pienezza di giurisdizione che il legislatore del 1998 e del 2000 ha voluto riconoscere al plesso giurisdizionale amministrativo), e non estende i suoi effetti sulle prestazioni medio tempore eseguite. Conseguenze sul piano processuale: - giurisdizione del GA che, tuttavia, ha solo il potere di accertare incidenter tantum la sopravvenuta inefficacia del vincolo

contrattuale, mentre la pronuncia dichiarativa, con forza di giudicato, di inefficacia del contratto spetta al GO. Critiche: - dubbia l’applicazione analogica degli artt. 23 e 23 cod. civ. agli atti della PA, autorità di diritto pubblico, e, più in generale,

dubbia l’ammissibilità di una causa di inefficacia relativa non prevista dall’ordinamento; - altrettanto incerta la qualificabilità del contraente, vincitore illegittimo, come “terzo” di buona fede. Tale rilievo critico si

fonda su tre ordini di considerazioni: • il vizio che inficia l’aggiudicazione concerne un procedimento aperto al quale lo stesso contraente ha partecipato; • la stipulazione di un contratto, quando ancora non sia decorso il termine per l’impugnazione degli atti di gara, comporta

assunzione del rischio circa gli effetti del giudizio, eventualmente instaurato, sulla stipulazione; • possibilità che l’illegittimità dell’aggiudicazione sia connessa ad un vizio provocato dallo stesso contraente, il quale abbia

partecipato vittoriosamente alla procedura senza averne i requisiti.

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B3) Orientamento che valorizza il rapporto di conseguenzialità fra aggiudicazione e contratto: si tratta di un rapporto assimilabile al collegamento negoziale fra contratti di diritto privato, assoggettato alla regola simul stabunt simul cadent, trattandosi di atti inscindibilmente connessi tra una pluralità di atti collocati nello spazio di una vicenda sostanzialmente unitaria. Cosicché, dall’annullamento dell’aggiudicazione discende la caducazione automatica del contratto (Cons. Stato, nn. 2332/2003; 2992/2003; 4295/2006): l’annullamento dell’aggiudicazione segna, in via retroattiva, il venir meno di uno dei presupposti di efficacia del contratto, che resta, pertanto, definitivamente privato dei suoi effetti giuridici, ovvero inficiato da inefficacia assoluta. Conseguenze sul piano processuale: - non necessità di una pronuncia costitutiva, bensì natura dichiarativa della pronuncia caducatoria; - inefficacia assoluta rilevabile da chiunque vi abbia interesse, quale effetto meccanico conseguente all’annullamento

dell’aggiudicazione; - giurisdizione dello stesso GA che, in sede di annullamento dell’aggiudicazione, dà atto della caducazione del contratto, in

forza dell’automatismo di cui si è detto, anche in assenza di sollecitazioni di parte in ordine alla declaratoria di caducazione del contratto.

Tale tesi pare, ad oggi, suffragata dal disposto di cui all’art. 246, Codice dei Contratti Pubblici, secondo cui “la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente”. Promuovendo una lettura a contrario di tale norma, i sostenitori della posizione da ultimo riportata hanno qualificato tale previsione come eccezione alla regola generale, integrata proprio dalla caducazione automatica, concepita dal legislatore unicamente a fronte di procedure relative a infrastrutture e insediamenti produttivi. 4. Il recente intervento di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e di Cons. Stato, 28 marz0 2008, n. 1328. Le Sezioni Unite di Cassazione sono di recente intervenute sulle vicende del contratto stipulato tra PA appaltante e aggiudicatario in conseguenza dell’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione, prendendo posizione, in particolare, sul profilo della giurisdizione. Si tratta di una pronuncia che innova rispetto agli orientamenti sin qui espressi, posto che, nell’individuare nel GO il giudice competente a conoscere delle sorti del contratto, le Sezioni Unite si disinteressano del profilo dell’invalidità inficiante il contratto stesso, “recidendo” quel rapporto di logica consequenzialità che, per anni, tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno ritenuto legasse i profili processuali ai profili sostanziali della questione in discorso. In particolare, il Supremo Collegio ha osservato che - anche per effetto delle importanti statuizioni contenute nella nota sentenza n. 204/2004, con cui la Corte costituzionale ha richiesto l’inerenza della controversia all’esercizio del potere perché la stessa possa essere attratta alla giurisdizione anche esclusiva del G.A. - occorre ritenere che solo il contenzioso concernente la fase pubblicistica dell’attività negoziale della P.A. possa essere portato al vaglio del giudice amministrativo. Osserva, invero, il giudice della giurisdizione che la fase della formazione della volontà negoziale della P.A., nonché di scelta del contraente privato, non è libera, ma si snoda attraverso una serie di atti procedimentali caratterizzati dall’esercizio di poteri discrezionali e vincolati. La sequenza prende normalmente avvio con la determinazione di contrarre e si conclude (nell’appalto di opere o servizi, che qui interessa) con il provvedimento di aggiudicazione, che individua il contraente privato, perciò costituendo l’ultimo atto e, nel contempo, il confine estremo della fase pubblicistica, del resto evidenziato dalla stessa formulazione letterale dei ricordati artt. 6 e 7 lett. a) della legge 205 del 2000, laddove limita l’ambito della giurisdizione esclusiva alle sole “procedure di affidamento di appalti, ..”. In questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, che ha inizio con l’incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto, e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione, i contraenti - p.a. e privato - si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi e di obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto. Sicché è proprio la costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune a divenire l’altro spartiacque fra le due giurisdizioni, quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra con la disciplina posta dagli artt. 1321 e ss. c.c. Ne deriva, perciò, che alla giurisdizione del GO sia attratta non soltanto la positiva disciplina sui requisiti (artt. 1325 e ss.) e sugli effetti (artt. 1372 e ss.), ma anche l’intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute. La giurisdizione esclusiva del GA non è nel caso invocabile neppure per il fatto che tale inefficacia è stata considerata una conseguenza necessaria dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione. Anzitutto, perché vige nell’ordinamento processuale il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione, salve deroghe normative espresse non rinvenibili nella normativa in esame. E, quindi, perchè valutare l’incidenza dell’annullamento dell’atto amministrativo di aggiudicazione rispetto al rapporto privatistico, che ad esso consegue, costituisce una questione di merito relativa alla verifica della validità e della perdurante efficacia del contratto di appalto; e significa pronunziare intorno alla ricorrenza o meno delle condiciones juris, incidenti sulla sua giuridica esistenza e validità iniziale, nonché, sul perdurare degli

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effetti legati al sinallagma funzionale, non già decidere circa il corretto esercizio del potere di annullamento di ufficio che deve necessariamente arrestarsi all’adozione del relativo provvedimento (nonché alla eventuale pronuncia sul risarcimento del danno conseguente ex art. 35 d.lgs. 80/1998). Sostengono, più nel dettaglio le Sezioni unite, che tutte le variegate posizioni della giurisprudenza amministrativa e di quella ordinaria sulla sorte del contratto, nonché dei diritti ed obblighi dallo stesso derivanti, in seguito all’annullamento del provvedimento che ne costituisce il presupposto, hanno quale presupposto comune una vicenda propria dell’atto negoziale, rientrante nel sistema delle inefficacie-invalidità (significativamente) disciplinate dal codice civile, in forza delle quali non se ne producono gli effetti perseguiti, o questi vengono a cessare. Anche la condizione di inefficacia e l’effetto costitutivo della caducazione del contratto (perciò stesso non assimilabile ad un mero atto di ritiro) non discendono dalla statuizione di annullamento adottata dal giudice amministrativo (che pur ne costituisce il presupposto necessario), ma derivano direttamente dalla legge (cosi come avviene per le patologie del contratto dovute a peculiari vizi genetici, come riconosce lo stesso Consiglio di Stato invocando i principi civilistici sui negozi collegati). La quale, d’altra parte, ben può escluderla, come ha fatto l’art. 14 d.lgs. 190 del 2002 per le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale: disponendo che l’annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti aggiudicatori e che in tal caso il risarcimento degli interessi o diritti lesi avviene per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica. Sulla scorta di siffatte considerazioni, quindi, le Sezioni Unite sostengono che i riflessi sul contratto di appalto, del sistema delle irregolarità-illegittimità che affliggono la procedura amministrativa a monte, devono essere scrutinati in ogni caso dal giudice ordinario: tanto, non solo nelle fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti), ma anche in quella della sua successiva mancanza legale provocata dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, il criterio di riparto delle giurisdizioni non essendo fondato sul grado ed i profili di connessione tra dette disfunzioni ed il sistema delle invalidità-inefficacia del contratto, e neppure sulla tipologia delle sanzioni civilistiche che dottrina e giurisprudenza di volta in volta gli riservano, ma unicamente sulla separazione imposta dall’art. 103, co. 1, Cost. tra il piano del diritto pubblico (e del procedimento amministrativo) ed il piano negoziale, interamente retto dal diritto privato: separazione nuovamente ribadita dall’ art. 244 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (d.lgs. 163 del 2006), che ha confermato l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di “tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale”. E, per quanto riguarda la successiva fase contrattuale, soltanto di quelle “relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’art. 133 commi 3 e 4”: nelle quali (almeno fino alle leggi 359 del 1992, art. 3 e 109 del 1994, art. 26), la posizione del contraente privato è stata da decenni qualificata dalla giurisprudenza di interesse legittimo e perciò devoluta già nel quadro normativo antecedente all’art. 33 d.lgs. 80/1998, alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo ex artt. 2 e 3 legge 1034 del 1971. Conclusivamente, spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda volta ad ottenere tanto la dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia o l’annullamento del contratto dì appalto, a seguito dell’annullamento della delibera di scelta dell’altro contraente, adottata all’esito di una procedura ad evidenza pubblica: posto che, in ciascuno di questi casi, la controversia non ha ad oggetto i provvedimenti riguardanti la scelta suddetta, ma il successivo rapporto di esecuzione che si concreta nella stipulazione del contratto di appalto, del quale i soggetti interessati chiedono di accertare un aspetto patologico, al fine di impedirne l’adempimento; che le situazioni giuridiche soggettive delle quali si chiede l’accertamento negativo hanno consistenza di diritti soggettivi pieni; e che il giudice è comunque chiamato a verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui l’atto negoziale è sorto, ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici. Prime critiche: - inopportuno il richiamo della sentenza della Corte Costituzionale n. 204/04, inerente alla materia dei pubblici servizi e

non già a quella dei contratti che la PA stipula per espletare le proprie attività; - incoerenza della pronuncia nella parte in cui premette la netta separazione tra la fase pubblicistica e quella privatistica, tra

le quali il provvedimento di aggiudicazione funge da spartiacque, per poi affermare la necessaria consequenzialità tra aggiudicazione e contratto, salvo concludere, immotivatamente, per la prevalenza delle istanze privatistiche, posto che i vizi del provvedimento, secondo la Corte, non possono che tradursi in patologie o inefficacie negoziali, su cui interviene il GO, quale giudice del contratto.

Tale assunto appare peraltro fondato su argomenti altrettanto contestabili:

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• sull’inderogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione, senza considerare che tale principio vale unicamente per la giurisdizione di legittimità e non anche per quella esclusiva;

• sul richiamo alle diverse fattispecie di patologie ed inefficacie negoziali, senza, tuttavia, recare precisi riferimenti alle norme codicistiche, né tantomeno ai soggetti legittimati a dedurle, in via principale o di eccezione, chiedendo la declaratoria dell’invalidità del contratto o l’accertamento della sua inefficacia;

• sulla derivazione ex lege dell’inefficacia del contratto in presenza di vizi inficianti l’aggiudicazione e non già conseguente alla pronuncia caducatoria del provvedimento emessa dal GA. Di recente, il Consiglio di Stato è tornato sulla questione. Con ordinanza 28 marzo 2008, n. 1328, la quinta Sezione ha infatti rimesso al vaglio dell’Adunanza plenaria l’esame della complesa vicenda, prendendo peraltro posizione in senso del tutto diverso rispetto alle conclusioni rassegnate solo qualche mese prima dalle Sezioni unite di Cassazione. Osservano i Giudici della quinta Sezione che sulla indicata questione doi riparto non sembra influire la sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale che, nel ridefinire il quadro della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non ha tuttavia inciso sulle specifiche previsioni normative di cui agli artt. 6 e 7 della legge n. 205/2000, che regolano il riparto di giurisdizione in materia di contratti della pubblica amministrazione. Soprattutto, la quinta Sezione ritiene che la prospettata questione di giurisdizione sia logicamente successiva a quella, sostanziale, relativa alla sorte del contratto concluso sulla base di aggiudicazione annullata: più nel dettaglio, alla soluzione del problema di riparto occorre procedere tenendo conto della soluzione che si ritiene di seguire sulla questione sostanziale. La questione va posta, quindi, distinguendo a aseconda che si acceda all’una o all’altra delle soluzioni prospettate sul quesito sostanziale e avendo riguardo al tipo di domande proponibili e proposte. Così: a) se la soluzione preferita postula la pronuncia di decisioni costitutive (annullamento, risoluzione del contratto e, forse, inefficacia sopravvenuta), si rivela necessaria la proposizione di domande intese a conseguire una statuizione che elimini gli effetti del contratto e risulta, al contempo, precluso ogni apprezzamento incidentale della sua inefficacia; b) se si ritiene, viceversa, che l’inefficacia del contratto si produca automaticamente (come nei casi della nullità o della caducazione automatica), deve concludersi che tale conseguenza va accertata con pronunce dichiarative e che può anche essere accertata in via incidentale. Ne consegue che, nell’ipotesi sub a), occorre verificare se l’ambito di giurisdizione esclusiva disegnato dall’art. 6 L. n. 205/2000, letteralmente circoscritto alle controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici, possa estendersi, in via interpretativa, fino a comprendere anche il sindacato diretto dell’invalidità e dell’inefficacia del contratto e, soprattutto, la potestà di adottare pronunce costitutive (quali l’annullamento o la risoluzione). La giurisprudenza si è finora occupata, a ben vedere, della questione generale della spettanza al giudice amministrativo della potestà cognitiva dell’incidenza dell’annullamento degli atti della procedura ad evidenza pubblica sulla validità e sull’efficacia del contratto affermandola sulla base dell’apprezzamento delle esigenze di concentrazione in capo ad un’unica autorità giurisdizionale dei poteri attinenti alla delibazione della medesima vicenda sostanziale e della valorizzazione del carattere esclusivo della giurisdizione in materia (cfr. Cons. St. sez. VI, n. 2332/03; sez. VI, n. 2992/03; sez. IV, n. 6666/03 cit; Cons. Giust. Amm., 31 maggio 2002, n. 276; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 29 maggio 2002, n. 3177; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 28 febbraio 2001, n. 746) - ma ha omesso un esame diretto e puntuale della sussistenza della competenza giurisdizionale nell’esercizio di un sindacato diretto (e non incidentale) della validità e dell’efficacia del contratto e nella conseguente adozione di pronunce costitutive. La quinta Sezione ritiene che l’attribuzione delle controversie relative alle procedure di affidamento degli appalti pubblici alla giurisdizione esclusiva amministrativa risulterebbe del tutto inutile se non si intendesse tale ambito di competenza come comprensivo anche delle questioni relative alla validità ed all’efficacia del contratto (che, sole, paiono concernere diritti soggettivi), che l’esclusione di queste ultime dal novero di quelle conoscibili dal giudice amministrativo sulla base dell’art. 6 legge n. 205 del 2000 determinerebbe l’inaccettabile conseguenza di costringere il ricorrente ad un faticoso, farraginoso e dispendioso itinerario giurisdizionale, dal giudice amministrativo (per l’annullamento dell’aggiudicazione), a quello ordinario (per l’annullamento o la risoluzione del contratto) e, forse, di nuovo a quello amministrativo (per il risarcimento dei danni), per ottenere giustizia di un’unica vicenda sostanziale, con evidente vulnus delle esigenze di economicità, effettività e semplificazione e della tutela giurisdizionale, e, da ultimo, che l’inscindibilità del vincolo che collega gli aspetti pubblicistici e quelli privatistici della contrattazione avente ad oggetti gli appalti pubblici impedisce di giudicare il sindacato diretto della validità e dell’efficacia del contratto estraneo ai confini della giurisdizione esclusiva attinente alla presupposta procedura di affidamento. Lo stesso Collegio mostra peraltro di non ignorare che la formulazione letterale dell’art. 6 l. n. 205/2000, là dove limita l’ambito di giurisdizione esclusiva ai soli provvedimenti della procedura di affidamento degli appalti (con conseguente, implicita, esclusione della cognizione di tutti gli atti successivi alla sua conclusione - ivi compreso il contratto), costituisce un rilevante ostacolo alle conclusioni sopra esposte, ma reputa che il riferito dato testuale non impedisce la lettura della disposizione che, in esito ad un’esegesi logico-sistematica del suo ambito applicativo (condotta in ossequio ai canoni ermeneutici sopra indicati), assegna al giudice amministrativo la potestà di conoscere in via diretta le questioni relative alla

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validità ed all’efficacia del contatto d’appalto, siccome direttamente riferibili all’illegittimità della presupposta aggiudicazione, e di pronunciare le relative statuizioni costitutive (come l’annullamento). Resta, in ogni caso, esclusa, anche accedendo all’interpretazione estensiva appena esposta, la possibilità di pronunciare la risoluzione del contratto (od altre statuizioni costitutive prive di una connessione diretta con la validità dell’aggiudicazione) che, postulando l’accertamento di vicende relative all’attuazione del rapporto e non immediatamente ascrivibili alla legittimità della procedura di affidamento, risultano senz’altro riservate alla giurisdizione ordinaria. In merito alla fattispecie indicata sub b), la quinta Sezione distingue invece due diverse situazioni processuali: 1) è stata presentata una domanda diretta ad ottenere una pronuncia dichiarativa; 2) non è stata presentata, ma è stata formulata una domanda di reintegrazione in forma specifica che postula l’accertamento incidentale dell’inefficacia del vincolo contrattuale (che costituisce il presupposto indefettibile dell’invocata sostituzione del contraente). Nel caso sub 1) valgono le stesse considerazioni svolte a proposito delle pronunce costitutive - non ravvisandosi, al riguardo, differenze significative, quanto alla giurisdizione, tra le ipotesi di pronunce dichiarative e quelle di pronunce costitutive. Nella situazione descritta sub 2) non pare, invece, dubbio, ad avviso del Collegio, che il giudice amministrativo sia dotato della relativa competenza giurisdizionale, anche se, occorre precisare, non ai sensi dell’art. 6, ma dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000. A ben vedere, infatti, a fronte di una domanda di reintegrazione in forma specifica ed in assenza di una domanda intesa ad ottenere la declaratoria della nullità o, comunque, dell’inefficacia del contratto, è proprio (e solo) la norma che attribuisce al giudice amministrativo una potestà cognitiva piena in materia di risarcimento del danno, comprensiva, come tale, di ogni questione incidentale che rileva ai fini dello scrutinio della fondatezza della pretesa risarcitoria, a giustificare l’affermazione della giurisdizione amministrativa in ordine all’accertamento di tutte le situazioni di diritto (ivi compresa l’inefficacia del contratto d’appalto) implicate dalla domanda di risarcimento del danno.