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    SOLILOQUI SUL DIVINO

    MEDITAZIONI SUL SEGRETO CRISTIANO

    edizioni studio domenicanoTUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    1997 - PDULEdizioni Studio Domenicano Via dell'Osservanza 72 - 40136Bologna - ITALIA - Tei. 051/582034

    Finito di stampare nel mese di novembre 1997 presso le Grafiche Dehoniane - Bologna

    giuseppe barzaghi sacerdote domenicano. Nato a Monza (MI) il 5.3.1958. Dottore in Filosofa (Univ. Cattolica diMilano) e Teologia (Pont. Univ. S. Tommaso in Roma). Docente di epistemologia teologica (Univ. Cattolica di Milanoe Studio Teologico Accademico Bolognese) e filosofia teoretica (Ateneo domenicano di Bologna). Socio dellaPontificia Accademia di S. Tommaso d'Aquino. Direttore della rivistaDivus Thomas.

    Principali pubblicazioni: Metafisica della cultura cristiana (ESD, Bologna 1990); La meditazione (ESD, Bologna1992);

    L'essere, la ragione, la persuasione (ESD, Bologna 1994);La filosofia della predicazione (ESD, Bologna 1995);Dio eragione. La teologia filosofica di S. Tommaso d'Aquino (ESD, Bologna 1996);Dialettica della Rivelazione. Proposta diuna sistematica teologica (ESD, Bologna 1996);Diario di metafisica. Concetti e digressioni sul senso dell'essere (ESD,Bologna 1997).

    INDICE

    II segreto .....p. 9

    La genialit...p. 16

    Lo sguardo di Dio......p. 22

    II mestiere del teologo ......p. 29

    II ragionare divino ...p. 35

    II soliloquio sul divino...........p. 44

    La teologia..........p. 55

    L'esplosione del dogma ............p. 70

    II punto di vista dell'eterno........p. 75

    L'eterno nel Cristianesimo....p.. 82

    La conoscenza di fede..p. 96

    La divinizzazione..p. 103

    L'esperienza di grazia...............p. 117

    I gradi dell'esperienza di grazia.........p. 124

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    La contemplazione..p. 140

    Flevi Adoratione Passus Benedictae Umbrae Paradisi Genua Flectens

    IL SEGRETO

    Non ne posso pi!

    Non ne posso pi! Io tra poco scoppio. Mi sento tutto ribollire. Non so neppure se si tratti di un ribollire fisico ospirituale.

    E inutile che io continui a ripetermi che devo stare calmo: anche questa una forma di tortura, che non fa altro chealimentare la tempesta,

    Non riesco pi a sopportare i discorsi che sento fare sul cristianesimo.

    Dio mio, che tormento! A volte non riesco neppure a sopportare di sentir pronunciare la parola Ges.

    Perch tutto questo alone di falsa dolcezza? Perch ci si crogiola in racconti sospesi a mezz'aria tra una storia che vuoleo deve essere cruda e una fantasia addomesticata e bugiarda?

    Ma chi si accontenta della pura storia? Che cosa vuoi dire che un fatto storico? Forse che ha la garanzia della verit?

    Pi vado avanti e pi mi convinco che alla classica divisione binaria del senso del termine stona occorre aggiungere unterzo senso: alla storia come res gestae - cio gli avvenimenti - e alla storia come rerum gestarum - cio la ricerca o laricostruzione dei fatti storici e delle loro cause - si deve aggiungere la storia come frettala...

    La storia come ricerca e ricostruzione degli accadimenti sempre accompagnata da una buona dose di soggettivit, dipareri personali, di punti di vista opinabili, di interessi di parte.

    Chiss se arriva a cogliere obiettivamente il suo bersaglio, oppure lo coglie per il semplice fatto che il suo bersaglio precostituito e gi colpito prima ancora di essere mirato.

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    Quando ci penso, mi viene in mente la barzelletta del pescatore che racconta a un amico come andata la pesca. Unpesciolino di pochi centimetri diventa un tonno...

    Oppure, quando non ci si fonda sulla testimonianza diretta, ma ci si affida alla documentazione mediata di altri - siriportano cio le voci - la cosa si trasforma in chiacchiera, diceria, con le solite espansioni del caso: la leggera sordit,

    per il movimento di cerume nell'orecchio, dopo una nuotata, alla fine della "comunicazione di notizia" diventa unasordit permanente per embolia...

    La storia quasi sempre un gioco all'espansione: ci si diverte a gonfiare le notizie e a drammatizzarle per renderle picredibili, ciopi realistiche... E poi ci si accorge che questo reale tutto fantasticatofrottolosamente\ (Non un erroredi stampa:

    frettolosamente = neologismo avverbiale da trottola; come frettolosamente viene da fretta. Che poi la trottola storicadipenda dalla fretta della narrazione o del narratore questione che lascio volentieri risolvere ad altri).

    Viva il razionalismo - almeno qui.

    Ho sempre gustato a fondo la celebre pagina delDiscorso sul metodo (parte prima) di Cartesio relativa alla storia. DiceCartesio: Le favole fanno immaginare come possibili molti avvenimenti che non lo sono per nulla e... le storie pi

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    fedeli, ammesso che non cambino ne aumentino il valore delle cose per renderle pi degne di esser lette, omettono quasisempre le circostanze pi basse e meno illustri; e da ci deriva che il resto non appare pi quello che .

    D'altra parte, un fatto un fatto: da solo non dice niente; oppure non dice altro oltre al fatto che c', che succede o che successo qualcosa.

    Il che cosa sia poi il qualcosa che succede, o che successo, non un fatto, ma un'essenza: qualcosa di stabile, che nonha niente a che vedere con l'accadere.

    Ci che accade un qualcosa di determinato: ci che conta il qualcosa che accade, non l'accadere di questo qualcosa.L'accadere come accadere anonimo.

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    Quanto all'accadere, la nascita di un uomo e l'accensione di un fiammifero sono uno stesso fatto. Solo dal punto di vistadel che cosa (cio l'essenza) accade, si pu rilevare la differenza e il diverso grado di importanza dell'accadimento.

    Perci l'accadimento, l'evento in quanto evento, non ha un grande valore.

    Ecco, forse proprio questo concetto che mi infastidisce tanto nel modo narrativo con cui sento farfugliare la"proposta" cristiana.

    Non sopporto pi il sentir parlare di "Evento" cristiano, insistendo sulla nozione di "Evento". La riduzione delCristianesimo ad evento uno svilimento del Cristianesimo stesso.

    Ed ovvio che questa insistita sottolineatura dell'Evento intende essere proposta come una qualificazione essenziale delCristianesimo. Si insiste nel dire: "II Cristianesimo un Evento, anzi l'Evento per eccellenza".

    Bella trovata! Cos si introduce l'insignificante nel significato: si fa diventare insignificante ci che si vuoi invece

    caricare di significato !

    Se in quanto fatto, accadimento, evento, l'accensione di un fiammifero e la nascita di un uomo sono equivalenti,l'introduzione della fattualit nell'ordine dell'essenza del Cristianesimo equivale alla riduzione del valore delCristianesimo all'accensione di un fiammifero...

    Mi inchino a tanta arguzia... e a tanta... elasticit mentale!

    Per, anche se siamo nell'era della plastica e della gomma, mi ostino a pensare che l'intelletto non sia un derivato delpetrolio, ne sia fatto di caucci - pur riconoscendo le ovvie eccezioni che il caso menzionato comporta...

    E che enfasi ridicola accompagna questa strana teologia dell'evento, quando diventa omelia.

    "Dio,... colui che da sempre,... l'eterno,... irrompe nella storia; si fa uno di noi e cammina accanto a noi...".

    Mentre pronunciava queste parole, il predicatore che ho ascoltato teneva gli occhi chiusi, la testa rivolta verso l'alto e

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    soppesava quello che diceva con pause che volevano significare l'importanza e la solennit del suo dire.

    Eh s, quanta ispirazione ci vuole per dire delle corbellerie! O comunque ci vuole del gran coraggio per spacciare comeispirate delle sciocchezze.

    Stando a questa sontuosa descrizione, l'essenza del Cristianesimo si risolverebbe in una passeggiata con unextraterrestre, camuffato da uomo, dopo che precipitato sulla terra.

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    Certo che se le cose stessero proprio in questi termini, il Cristianesimo sarebbe la trama di un film ad effetti speciali. Asaperlo raccontare e interpretare bene dal pulpito, si farebbe il record di incassi nelle questue della messa domenicale...

    Perch sono delle corbellerie? E presto detto.

    Per prima cosa, Dio certamente eterno, anzi la stessa eternit, ma questo non mica sinonimo di essere da sempre e

    per sempre. Eterno non ci che non ha principio ne fine perch ha una durata interminabile. A questa condizioneanche il tempo sarebbe eterno: una durata infinita di istanti successivi.

    Ma l'eternit non il tempo. Non la si misura allo stesso modo. La durata dell'eterno un istante insuccessivo, cioassolutamente permanente. L'eternit tutta insieme in un istante, non da sempre e per sempre come se fosse estesaall'infinito in modo indeterminato. /

    Per favore, non cominciamo a fantasticare un Dio con la barba e i capelli bianchi alla Matusalemme!

    In secondo luogo, Dio non irrompe nella storia, perch non irrompe da nessuna parte. Con buona pace dei sostenitoridella tesi della assoluta onnipotenza divina, Dio non pu far parte dei nuclei speciali antisommossa.

    Dio non irrompe da nessuna parte perch, in forza della presenza di immensit, ovunque. Cos il sempre successivodel tempo permeato da sempre dalla presenza insuccessiva di Dio.

    In terzo luogo, Dio non pu proprio farsi uno di noi, perch Dio non pu farsi proprio un bei niente. Dio non pumutare, divenire: quindi non pu farsi o divenire l'altro da s.

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    Un Dio che cambia non Dio. Se cambiasse, ci dipenderebbe o dall'acquisire qualcosa o dal perdere qualcosa.Nell'uno, come nell'altro caso, Dio sarebbe o prima o dopo mancante di qualcosa: non sarebbe cio l'assolutaperfezione, alla quale - appunto - non manca assolutamente nulla.

    In quarto luogo - ma si tratta di una conseguenza -, Dio non cammina accanto a noi, perch non pu divenire(camminare) e non pu esserci accanto, visto che in noi, come in ogni cosa, per la sua presenza di immensit.

    Come sono stanco di sentire quelle fanfaronate contrabbandate per esigenze di linguaggio pastorale, quando invecesono il velo pietoso che nasconde l'ignoranza o l'insufficienza di un prete.

    Non riesco pi a trattenermi perch sento che si tratta di un tradimento. Anche mio, se sto zitto.

    La cosa tragica che se le cose stessero in quei termini, se il Cristianesimo fosse davvero quella "passeggiata conl'extraterrestre", io mi tirerei fuori dalla comitiva.

    Ho paura di non saper pi credere.

    Sto per lungo tempo davanti al tabernacolo, ma non riesco a partorire nessun affetto o pensiero teologico...

    "Davanti a t sto come una bestia, Signore!".

    Il silenzio claustrale mi soffoca e mi protegge...

    Unica consolazione la compagnia angelica.

    10 sono uno gnostico che sa ancora gridare: "abbi piet di me, Signore!".

    Ten ten ten ten ten ten...

    11 suono, quasi lieve e monotono, della campanella che indica all'esterno l'inizio dell'ufficiatura corale, mi richiama aun senso di piet.

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    E tutto si rappacifica.

    E come una dolce sconfitta. Si soccombe volentieri perch la giusta seriet della vita smorza ogni violenza e attutisceogni clamore sguaiato.

    Per provarla e riprovarla, a volte mi metto a guardare, ascoltando il ricercar a tr deH'Offerta Musicale di]. S. Bach, lo

    spet-

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    tacolo apparentemente desolante delle case diroccate o quelle che negli anni settanta venivano occupate: imbrattate discritte;

    panni stesi dove ci si sarebbe aspettati di vedere delle colorite ed eleganti fioriere. Che strano senso di pace si coglienell'accet-tare ci che perch , cos com'.

    E la bellezza della resa di fronte a ci che giusto perch irreversibilmente cos com'. Il giusto gode di unaparticolare bellezza: non esaltante, ne avvilente.

    E una specie di solitudine eroica, come quella che pu evocare la tonalit di do minore.

    Non la storia che maestra di vita, ma la vita che maestra a se stessa.

    La vita non ha segreti fuori di s. La vita stessa il segreto pi profondo.

    Non si pu disprezzare la vita. Lo stesso disprezzo della vita paradossalmente un'esigenza vitale: dettato dalla vitache vuole una maggior pienezza di s.

    Cos, anche il Cristianesimo, con il suo profondo segreto, il suo mistero, appartiene all'ordine della vita. Non pu esserealtrimenti.

    Il segreto cristiano un segreto vitale.

    Forse proprio questo il motivo per il quale sento come un tradimento la descrizione dell'essenza del Cristianesimo intermini sgradevolmente fiabeschi o di una asettica fenomenologia da enciclopedia delle religioni.

    Nella sua essenza, il Cristianesimo vita. E il segreto di questa vita Dio stesso.

    S, il Cristianesimo il coinvolgimento della vita divina con la vita umana e il coinvolgimento della vita umana con lavita divina.

    La parola che racchiude in s questo segreto la parola Grazia.

    La Grazia infatti la partecipazione della vita divina alla creatura ragionevole. L'uomo, in forza della Grazia, incomunione con la vita divina, perch la vita divina si manifesta come presente nella vita umana.

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    II segreto cristiano dunque il segreto della divinizzazione della vita umana e della umanizzazione della vita divina.

    Perch non si parla pi della Grazia? Oppure, se se ne parla, se ne parla in termini pi fumosi di una intossicante liturgiamanierista?

    Forse aveva ragione mio nonno quando mi diceva: "Un tempo c'erano i calici di legno e le teste d'oro; adesso ci sono icalici d'oro e le teste di legno ! ".

    Io aggiungerei che ci sono anche le teste di gomma...

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    LA GENIALIT

    Secondo me la vita cristiana una vita geniale: la vita tipica di un genio.

    Lo so benissimo che quando lo dico mi attiro le critiche un po' di tutti: sia dei benpensanti, sia dei malpensanti.

    I benpensanti, quelli che si fanno paladini indefessi della tradizione, vedono in questo il capovolgimento di uno schemaintangibile: una specie di violenza modernistica al senso genuino delle formulazioni dogmatiche della dottrina cristiana.

    I malpensanti, cio quelli che sono "contro" ad oltranza, avvertono il medesimo capovolgimento come un'astuziapropagandistica, una forma di camuffamento della vecchia e "stantia" dottrina sotto le sembianze di una superficiale oapparente novit, fatta soltanto di parole.

    Insomma, per i benpensanti come se io dicessi che si pu mangiar carne il venerd di quaresima; per i malpensanti,invece, come se io dicessi che il venerd di quaresima si pu mangiare la carne rancida con abbondanti spezie: perch

    in quanto rancida non pi carne; in quanto speziata non mica rancida...

    Che guaio, eh?

    Eh s, un'impresa davvero difficile accontentare "palati" tanto fini.

    E se si trattasse davvero soltanto di palato, il guaio sarebbe ancora pi grave.

    Come si fa a pensare con il palato?

    Questo s sarebbe un vero "capovolgimento" fuor di metafora, non il mio.

    E poi, visto che si tratta di pensare: prima ancora di essere benpensanti o malpensanti, occorre essere pensanti, punto e

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    basta. I pregiudizi, buoni o cattivi che siano, devono essere sempre esclusi.

    Ebbene, proprio il pensiero che spinge a dire che la vita cristiana una vita che possiede i modi tipici della genialit.

    Il pensiero che dice queste cose la teologia, cio la scienza che vuole comprendere in modo ragionevole la fede. Nonper dimostrarne il contenuto - non sono mica stupido -: una fede dimostrata non pi fede! Ma percapire quello che sicrede, per non credere l'incredibile!

    A volte, proprio per mancanza di questa riflessione critica, si arrivano a credere delle cose che non stanno ne in cielo nein terra: pure fantasie, che non c'entrano niente con il dogma di fede.

    Penso davvero che si possa dare il caso di gente che creda di credere.

    Se si crede ci che non va creduto, perch incredibile, ma non lo si sa tale - cio non si sa che incredibile -, ilpermanre del credere malriposto.

    Per esempio, se si crede che la Trinit costituita da tr individui, si crede di credere nella Trinit, perch di fatto non sierede nella Trinit: le tr persone trinitarie non sono tr individui di natura divina.

    In questo caso, non si crede ci che si pu credere - cio ci che fonda il credere -, e quindi il credere svanisce come

    tale (cio nella sua sostanza) e ci che permane la sua parvenza: il credere di credere.

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    L'incredibile nulla come credibile; dunque il credere l'incredibile credere nulla, cio nulla come credere: non si credenulla, cio non si crede.

    Ci che rimane - se si continua a credere - appunto la parvenza del credere, non la sua sostanza.

    E questo un altro guaio.

    Ma la teologia non si fa certo denunciando i guai. Occorre pensare criticamente. La teologia la comprensionerazionale della fede.

    Se dunque si cerca di capire che cosa vuoi dire che la vita cristiana vita di grazia e che la vita di grazia la stessa vita

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    divina, la conclusione teologica non pu non essere che questa:

    la vita cristiana la vita del genio.

    S, perch ai nostri occhi Dio un genio; dunque chi ha la vita stessa di Dio egli stesso un genio.

    La genialit in che cosa consiste?

    Beh, geniale una persona che rende semplice il complesso, che coglie di botto gli elementi essenziali o semplici -elementari -di un composto; o ancora, che sa comporre, sintetizzare, mettere insieme cose che sembrano incomponibili.

    Insomma qualcuno che sa fare bene la sintesi perch sa far bene l'analisi.

    Non so, per fare un esempio - forse banale, ma certamente efficace -: geniale l'intuizione per la quale si possonosommare pere e mele.

    Mi spiego. Quanto fa cinque pere pi tr mele? Certo non si pu rispondere: otto mele o otto pere. Non si sommanopere e mele! E allora come la si mette?

    Ecco, la somma impossibile, finch non si ha l'intuizione che ti fa cogliere ci che di pi semplice ed elementare sicoglie nelle pere e nelle mele, e che dunque possiede la forza di essere principio unificatore o di sintesi.

    E vero che non si sommano le pere come pere con le mele come mele, ma le pere come frutta con le mele come fruttas.

    Cinque pere pi tr mele fa otto frutti! Questa la sintesi del complesso, dell'apparentemente incomponibile, sulla basedi un'intuizione semplificatrice.

    Il colpo di genio qualcosa del genere.

    E la genialit una vita che ha come propria dinamica questo procedimento. Per questo motivo dico che Dio genialeper eccellenza.

    Dio coglie con un unico atto la totalit delle cose nelle loro infinite differenze come qualcosa di assolutamentesemplice.

    E una legge metafisica: Dio semplicissimo nella sua assoluta perfezione. In quanto semplicissimo, egli la sua stessaattivit, il suo stesso atto di conoscere e di amare; in quanto assoluta perfezione, non ha niente di estraneo a s: tutto.

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    Dunque, Dio l'assoluto conoscere che coglie immediatamente tutto in se stesso. Capisce tutto al volo; a uno schioccardi dita. Pi geniale di cos... E uno che capisce tutto...per istinto\

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    Ecco, s, Dio capisce tutto per istinto. "Per istinto" l'espressione giusta. Evidentemente si tratta di una istintivitspirituale, non di tipo sensibile, perch Dio assolutamente immateriale.

    Ma si tratta davvero di una istintualit.

    L'istinto una sorta di stimolo, un'inclinazione naturale a certe operazioni.

    Istintivi per eccellenza sono gli animali. Gli animali si muovono per istinto, cio per un'inclinazione determinata dallanatura. Il leone caccia per istinto, la pecora fugge il lupo per istinto.

    Anche l'uomo compie alcune azioni per istinto, proprio perch per essenza un animale. Per istinto fuggiamo ilpericolo;

    per istinto cerchiamo il piacere; per istinto aggrediamo il male che ci minaccia.

    D'altra parte la stessa sensibilit che vive d'istinto. La vista coglie istintivamente i colori e le figure, cos anche l'uditocoglie istintivamente i suoni, l'olfatto gli odori, il gusto i sapori e il tatto le forme, la mollezza e porosit dei corpi.

    Ogni senso coglie immediatamente e infallibilmente il sensibile suo proprio.

    E cos stretta l'associazione tra sensibilit e istinto, che anche quando si trasporta questa nozione a livello pi spiritualeo comunque psicologico, il riferimento metaforico al senso d'obbligo.

    Per questo motivo, per indicare il particolare acume di una persona, cio la sua particolare capacit di cogliere ilsemplice dentro il complesso - o di sintetizzare il complesso nel semplice -, si usano le espressioni esclamative: "cheocchio!", "che orecchio!", "che naso!", "che palato!", "che tatto!".

    Questo, appunto, per dire che quella persona vede spiritualmente in profondit, o che capisce anche il tema nascostosotto un discorso piuttosto articolato; oppure che ha un fiuto e un gusto tanto raffinati da individuare gli elementi o i

    principi portanti di una tesi; o ancora che ha una grandissima sensibilit,

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    che le consente di percepire le sfumature che rendono partico-larmente efficace un discorso o una opinione.

    L'istinto indica cos un'indole e anche un talento.

    Il talentuoso sembra uno che non faccia assolutamente fatica a fare ci che fa: sembra che gli venga naturalmente,appunto per natura, cio per istinto.

    E questo proprio del genio. Il genio appunto un talentuoso. Il genio semplifica, senza banalizzare!

    Il genio un istintivo sul piano spirituale, e dunque un intuitivo.

    Ma se si considera bene la cosa, questa istintivit spirituale del genio, nell'ordine umano semplicemente unaabbreviazione dei passaggi o una semplificazione accelerata degli stessi passaggi che sono l'anima della razionalit, ciodella dinamica discorsiva dell'intelletto umano.

    Il nostro intelletto non intuisce nulla: capisce per passaggi e per costruzione di concetti elaborati attraverso uncomplesso di informazioni.

    Quindi, la genialit naturale dell'uomo non assolutamente istintiva o intuitiva: discorsiva.

    Questo vuoi dire che anche l'uomo pi talentuoso, cio pi dotato da madre natura di qualit, di doti intellettive epsicologiche, deve sempre far ricorso a una certa concentrazione e a una attivit di richiamo delle nozioni che haelaborato.

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    Certo pi veloce di uno meno dotato, ma si tratta comunque di una maggiore velocit, la quale implica sempre unmovimento non istantaneo.

    E anche queste doti naturali vengono sempre raffinate con l'esercizio, cio con un allenamento: il genio sempre fruttodi pazienza e disciplina nell'ordine umano.

    Cos non , evidentemente, per Dio.

    Dio raccoglie tutta la sua comprensione nell'intuitivit dell'istante, come l'occhio vede all'istante il colore.

    In Dio, vi effettivamente un istinto spirituale allo stato puro: Dio stesso questo istinto spirituale.

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    A differenza dell'istinto o della spontaneit del senso, che coglie il sensibile proprio come il suo tutto, ma che non iltutto, Dio coglie intuitivamente il tutto, la totalit delle cose, nei loro minimi particolari e nelle loro reciproche euniversali relazioni, in un colpo solo.

    Con un semplice sguardo!

    L'intuizione appunto questo sguardo [intueri - da cui intui-tus - in latino vuoi dire appuntoguardar dentro).

    Se la grazia comunica la vita divina all'uomo (2 Pt 1, 4), essa comunica anche questa intuitivit, istintivit di Dio.Comunica o partecipa appunto la genialit di Dio.

    Sul piano soprannaturale, cio della vita intima di Dio, si pu essere effettivamente degli intuitivi e degli istintivi.

    Anzi, non pu essere altrimenti: lo spirito divino, Dio, non discorsivo, un lampo. Cos, coloro che sono divinizzatidalla grazia sono dei lampi: come scintille nella stoppia correranno qua e l (Sap 3, 7).

    Reso divino dalla grazia, l'uomo mosso da questo principio superiore come per istinto. Quelli che sono mossi dalloSpirito di Dio, sono figli di Dio {Rm 8, 14).

    Esser mossi assolutamente, piuttosto che essere agenti, cio attori delle proprie azioni in modo deliberativo, per sceltaponderata, proprio degli animali: perch sono mossi dalla natura, cio dall'istinto. Allo stesso modo - commenta S.Tommaso d'Aquino -, l'uomo, partecipe della grazia dello Spirito Santo, non agisce principalmente attraverso la propriavolont deliberata, ma per l'istinto dello Spirito Santo, che lo inclina a un agire che divino -senza che sia tolto l'umano{In Rm, commento aRm 8,14).

    Ecco, divinizzato dalla grazia, l'uomo un animale divino.

    Guidato da un istinto divino, dall'intuizione divina, dallo sguardo divino, egli vede ci che Dio vede, guarda ci che Dioguarda e come lo vede e lo guarda Dio, con il medesimo colpo di genio.

    Questo il vero segreto cristiano.

    Chiss se per intenderlo bisogna essere benpensanti o malpensanti.

    Forse basta essere pensanti e basta.

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    LO SGUARDO DI DIO

    E difficile teorizzare, speculare seriamente all'interno della fede.

    Eppure assolutamente necessario, indispensabile. La fede va compresa: occorre capire ci che si crede.

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    E per capire occorre andare all'essenza di una cosa. Bisogna arrivare a cogliere ci che in tutto e per tutto determina unacosa. Cos che, una volta che la si ben determinata, non la si pu confondere con un'altra.

    Come si fa a determinare l'essenza di una cosa? Sembra facile dire che cos' una cosa, ma non cos...

    L'essenza qualcosa di semplice: ne prova il fatto che quando diciamo di limitarci all'essenziale intendiamo proprio

    dire che non vogliamo complicare le cose e la vita.

    Ma quando il discorso si sposta sull'essenza delle cose, il limitarsi all'essenziale vuoi dire andarlo a scovare.

    Allora il semplice diventa figlio del complicato!

    Il semplice, o meglio la conoscenza del semplice, frutto della semplificazione; la semplificazione frutto dellapurificazione e la purificazione non del tutto indolore...

    Per capire, bisogna saper smontare e rimontare.

    Frange, fronzoli, fronzolini e fronzoletti vanno tutti interdetti. Toh, che bella rima baciata! Anche se francamentepreferirei baciare qualcosa d'altro, piuttosto che una rima...

    E anche questa una fatica in pi.

    Gli accessori, i fronzoli eccetera, sono importanti e belli, ma possono essere un ostacolo per chi mira al nocciolo dellaquestione o vuoi guardare la realt nella sua pura nudit-(e dai, oggi

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    deve essere o il giorno delle rime o il giorno dei baci..., speriamo bene).

    Dunque, se andare all'essenziale vuoi dire mettere a nudo crudamente il reale, strappandogli i fronzoli di dosso, la stessacosa deve essere fatta nei confronti della dottrina cristiana, cos che, una volta denudata, appaia in tutto il suoabbagliante ed essenziale splendore.

    Come si arriva a dire che il segreto cristiano, l'essenza del cristianesimo, consiste nel possedere lo stesso sguardo diDio?

    Lo so che adesso devo fare un salto mortale: devo buttarmi a capofitto nella fede, abbracciandola con la ragione epenetrandola con l'intelletto.

    E uno strano amplesso: si assedianti e assediati nello stesso tempo. Questo vuoi dire ragionare nella fede - non primadella fede.

    E come ogni abbraccio, anche questo deve essere insieme potente e delicato. Se non fosse potente, non darebbe fiducia;

    se non fosse delicato, non sarebbe fiducioso.

    Nell'amplesso si da tutto e si prende tutto: il prezzo dolcemente crudo della sincerit.

    Dio mio, sta' a vedere che adesso mi metto a fare il mistico...

    Comunque sia, prima ragioniamo un pochino crudamente.

    E, crudezza per crudezza, prendiamo come dato basilare il male e la sofferenza che ci sono, indiscutibilmente, nel

    mondo.

    Si tratta di un dato di fatto, e contro un fatto non si discute. Discutere con un fatto, che di suo banalmente dato, banalizzare la discussione stessa.

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    Ebbene, c' il male, c' la sofferenza, ma c' anche Dio; che somma bont e somma intelligenza.

    Come risolve la teodicea questo annoso problema? Come compossibile l'esistenza di Dio sommo bene e del male?L'uno non la negazione dell'altro? Dunque, se esiste Dio non pu esistere il male; oppure se esiste il male, non veroche esiste Dio.

    Dato che incontestabilmente vero che esiste il male, allora vien da concludere che Dio non esiste.

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    Se uno dei contrari infinito - e Dio Bene infinito -, l'altro -cio il male - viene distrutto. Ma il male c', dunque nonesiste Dio!

    Ma la teodicea risolve in un altro modo il problema, superando l'obiezione.

    Alla bont infinita di Dio, proprio perch infinita, compete il trarre il bene anche dal male che essa permette.

    Si potrebbe anche dire che Dio permette un male per trame un bene maggiore. Dio lo pu.

    Obiezione vostro onore: chi ha mai visto questo bene maggiore che consegue alla permissione di un male?

    Chi ha mai visto il bene maggiore che stato tratto dalla permissione dell'Olocausto degli Ebrei, durante la secondagurra mondiale?

    Chi ha mai visto il bene maggiore tratto dalla permissione della morte per leucemia di un bambino innocente?

    Chi ha mai visto... va bene, adesso basta, perch le obiezioni di questo tenore le conosciamo tutte: e non possono nonessere accolte.

    E poi, Giuseppe, ricordati che stai ragionando nella fede! Quindi devi mantenere fermo che esiste Dio e che sommobene; anzi devi anche aggiungere - e questo proprio tipico della fede cristiana - che la Bont di Dio misericordiosa,pietosa, redentrice. Dio si incarna, muore e risorge per la salvezza dell'uomo.

    S, va bene; ma insisto: tutto questo ha forse tolto il male e la sofferenza dal mondo? No!

    E se tutto questo in funzione del dono della grazia all'uomo: chi in possesso della grazia di Dio forse non patiscepi? Oppure per lui il male non esiste pi? Non pu pi morire bimbo innocente per leucemia o in un campo disterminio... ?

    Che trottola!

    Questa grazia divina non mica miracolosa!25

    Questo deve essere chiaro: la grazia di cui si sta parlando non la grazia nel senso del miracolo ! Altrimenti chi lapossiede dovrebbe essere sempre miracolato: dovrebbe essere in uno stato permanente di miracolo. Ma uno statopermanente di miracolo non pi miracoloso.

    Il miracolo straordinario; lo stato permanente ordinario: se lo straordinario diventa ordinario, non pi straordinario,no?

    D'altra parte, se questa grazia fosse il miracolo, quelli che non sono beneficiati dal miracolo, quelli che non fosseroesauditi nella loro richiesta di un miracolo, non avrebbero la grazia.

    Perch?

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    Subito nella mente si scatenano gli interrogativi pi angosciami e tormentosi: "chiss che cosa ha fatto per non trovareascolto presso Dio".,. Oppure: "se non colpa sua, sar per colpa di qualcuno dei suoi"...

    Ma lo stesso Vangelo che bacchetta questo tipo di inquisizione straziante: Rabb, chi ha peccato, lui o i suoi genitori,perch egli nascesse cieco? Rispose Ges: Ne lui ha peccato, ne i suoi genitori, ma cos perch si manifestassero in luile opere di Dio (Gv 9, 3).

    Rimane comunque poi il dato di fatto che il miracolo, in questi casi - a differenza dell'episodio evangelico che seguealla sentenza di Ges appena citata -, non avviene.

    Dunque, occorre pensare in un altro modo la "manifestazione dell'opera di Dio".

    Dire che una cosa manifesta, vuoi dire che una cosa visibile. Quindi si ritorna daccapo: chi vede il bene migliore che tratto dalla permissione del male?

    Se non visibile a noi, certo non pu non essere visibile a Dio! Dunque, chi lo vede Dio. Il bene migliore che nascedalla permissione del male cade infallibilmente sotto lo sguardo di Dio.

    La conclusione logica non pu essere che questa: per poterlo vedere, occorre avere lo stesso sguardo di Dio!

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    La grazia divina, donando la partecipazione alla stessa vita di Dio, dona anche lo sguardo di Dio.

    Certo che mettersi dal punto di vista di Dio per vedere le cose, restando comunque uomini, non affare di pocaconsistenza. Ma le cose non possono non essere che cos.

    Tutto il segreto cristiano chiuso in questa formula: vedere le cose dal punto di vista di Dio!

    Noi siamo divinizzati dalla grazia per questo scopo. Se si ragiona all'interno della fede, si vede subito che non esiste unasoluzione alternativa.

    Non si pu togliere Dio; non si pu negare l'esistenza del male; la grazia divina non toglie il male: dunque, l'unicasoluzione ammettere che la grazia divina faccia vedere il male dal punto di vista di Dio, come lo vede Dio.

    Quindi la preghiera cristiana, nella sua essenza, la richiesta a Dio di rendere manifesto a noi il suo modo di vedere ilmale, sempre avvolto nel bene migliore: che vuoi dire avvolto in Dio!

    E ovvio che c' anche la richiesta del toglimento del male: "liberaci dal male", recitiamo nel Padre nostro. Ma se nonfossimo esauditi in questa richiesta? Allora ricomincerebbe la sequenza di quegli interrogativi angosciosi che il Vangelobacchetta.

    Quindi la richiesta essenziale e rimane quella di vedere le cose come le vede Dio.

    Del male e dell'esperienza della sofferenza noi non riusciamo a capire proprio niente.

    Signore, Dio mio, questo male che mi tortura e che non posso togliere da me e che solo tu puoi togliere - ma non dettoche tu lo tolga - almeno fammelo vedere come lo vedi tu, cos che io possa capirci qualcosa.

    Se per t va bene cos, almeno fallo vedere anche a me come lo vedi tu, cos che possa andar bene anche per me.

    I beati del paradiso, coloro per i quali lo sguardo di Dio diventato definitivamente ed evidentemente connaturale, sonoin questa condizione: per questo sono beati, pur vedendo le stesse cose che vediamo noi.

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    Essi vedono il male ricompreso nell'intero che lo sguardo di Dio. Vedere l'intero alla luce stessa dell'intro, senzaricorsi formali all'astrazione, significa vedere il tutto nella sua densit priva di fratture.

    Certo, la condizione dei beati una condizione particolare della vita cristiana: la vita cristiana nella sua pienaperfezione e realizzazione. Essi sono sotto il regime della visione diretta di Dio e di tutto il mondo in Dio.

    Noi non siamo in una condizione sostanzialmente diversa: la grazia la vita stessa di Dio. La nostra grazia la stessadei beati del paradiso,

    Ci che cambia il regime: noi siamo sotto il regime della fede, cio della non visione. Ma i contenuti sono gli stessi.

    Noi conosciamo Dio e tutto in Dio come essi conoscono Dio e tutto in Dio: noi non vedendo, essi vedendo.

    Nel regime della fede, noi sappiamo senza vedere; nel regime della visione beatifica, i beati sanno vedendo.

    Ma c', pur nella diversit di questi due regimi, un elemento comune che occorre evidenziare, oltre a quello dellaidentica sostanza del contenuto saputo - cio Dio e tutto in Dio -: si tratta del modo della conoscenza.

    In forza della grazia e della presenza dei doni dello Spirito Santo, sia nel regime di fede, sia nel regime di visione, ilmodo divino di conoscere per contatto esperienziale diretto della realt fa s che la conoscenza sia accompagnata dalgusto.

    Gustare ci che si sa: come capire una cosa profonda senza essere capaci di spiegarla pienamente; ma si sicurid'averla capita. Ecco, questo modo accompagna sia il regime della fede, sia il regime della visione.

    Questo modo divino si chiama vita mistica.

    La vita mistica, con la sua intuitivit, spontaneit, istintivit, genialit divina, accomuna V esperienza della fede e quelladella visione.

    E nella vita mistica che trova il proprio ambiente lo sguardo divino, perch lo stesso sguardo di Dio.

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    Ecco, lo sapevo e me lo sentivo che a furia di baci, abbracci e dolcezze questo assedio razionale della fede avrebbepartorito un pensiero mistico...

    Eppure me lo ripeto sempre: meglio un logico sporcaccione che un mistico ebete! Eh s, perch il logico sporcaccione sporcaccione lui, ma rende logici gli altri; il mistico ebete mistico lui ma rende ebeti gli altri...

    A meno che non ci sia una logica mistica, o una mistica logica: questo sarebbe il massimo!

    Essere logici nel Logos... Mi sento tanto abelardiano... (pietro abelardo, Epz'ria/d XJJJ).

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    IL MESTIERE DEL TEOLOGO

    Spesso, affrontando il tema della teologia, si tentati di pensare a una disciplina che nulla ha a che vedere con il mondo.

    Fare teologia - si pensa - questione che pu riguardare soltanto i preti; e siccome i preti tengono fino all'inverosimileal loro isolamento da sacrestia rispetto a tutto ci che appartiene al mondo, allora fare teologia roba da sacrestia.

    E un po' come rivestire di paramenti polverosi le pareti della chiesa, per creare a tutti i costi l'illusione della festa perqualcosa che di suo non sembra proprio essere festoso, o mascherare con luci, lumi e lumini ^atmosfera una realt chenella sua nuda e cruda verit non sembra avere un interno diverso dal suo esterno. Bisogna camuffare per richiamare orinviare a qualcosa che deve essere tutt'altro.

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    Ovvio che in questo modo la teologia sembri proprio un artificio onirico, che nasconda dietro le sue metafore dicircostanza il mestiere del prete "colto".

    Se le si guarda anche da un punto di vista per cos dire clericale, le cose non stanno tanto diversamente.

    E logico che la teologia tratti di Dio - lo dice l stesso nome, no? - Ma proprio perch Dio Dio, il Separato o Sacro

    per eccellenza, la teologia non qualcosa di questo mondo, ma dell'Altro:... dell'altro mondo! E i suoi cultori ospecialisti devono possederne lostile inconfondibile.

    In questo modo, perci, da entrambi i punti di vista, risulta che la teologia roba da "Marziani": alieni o alienati chesiano... Logico rifiutarla e deriderla.

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    Da questo giudizio, che ha certo un fondamento nelle costumanze comuni e usuali del nostro tempo, non posso nonsentirmi profondamente infastidito.

    E penso che non possa non far ribollire il sangue a ogni teologo che fatichi con dignit sotto le esigenze scientifiche

    della propria disciplina, le istanze culturali del tempo in cui vive, le domande o i dubbi che anch'egli si pone comeuomo e gli stessi problemi che la fede cristiana non risolve, ma solleva.

    Altrettanta perplessit deve suscitare anche una teologia che per rinnovarsi trascuri o diserti volutamente il senso dellatotalit per ritagliarsi il proprio cantuccio asettico e invulnerabile nei simbolismi fumosi di un liturgismo asfissiante.

    Realisticamente parlando, anche insufficiente raccogliere le istanze della cosiddetta "teologia della secolarizzazione"per ritrovare il contatto con il mondo,

    Questa teologia, infatti, sostiene essa pure un dualismo radicale: il mondo, per essere mondo, deve essere senza Dio,cos come Dio per essere inteso correttamente deve essere totalmente altro dal mondo. Si tratta di una teologiadell'abbandono: in Cristo crocefisso Dio ha rivelato la sua assenza dal mondo, ha abbandonato l'uomo a se stesso.

    Anche in questo caso, siamo sempre posti di fronte a una teologia della "ritirata".

    Possiamo ricondurre tutto questo a un duplice ordine di cause: la confusione tra religione e fede - o meglio, tra gli attiesterni di religione e la fede -, e l'ingenuo o incompetente rifiuto del pensiero metafisico.

    Ora, la religione una virt morale che appartiene, come parte potenziale, alla virt cardinale della giustizia. Attraversola religione, noi tributiamo a Dio il culto che gli dovuto, cos come abbiamo il dovere di restituire a un altro ci che dalui abbiamo ricevuto. E la legge della giustizia: dare a ciascuno il suo.

    Universalmente parlando, dunque, il culto, cio l'insieme delle azioni esterne che si coordinano nella liturgia, il livellosimbolico che sta a significare un atteggiamento inferiore.

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    Da Dio abbiamo ricevuto il nostro essere creaturale: dunque per giustizia dovremmo restituirgli il nostro esserecreaturale. Ma questo evidentemente impossibile; restituire l'essere creaturale significa annichilirsi: soltanto Dio puannichilire qualcosa, perch tale azione implica la stessa potenza metafisica che occorre per creare (per ridurre al nullaoccorre saper trarre dal nulla).

    Tutto questo impossibile metafisicamente, ma possibile simbolicamente.

    La cosa non pone soverchie difficolt: visto che non possibile restituire realmente il proprio essere creaturale a Dio, siricorre a una restituzione simbolica.

    I sacrifici esterni, con l'offerta di beni che vengono assolutamente dedicati a Dio attraverso la stessa distruzione - persignificare che non si pu recuperare pi quel bene che si dedicato a Dio - sono soltanto rimando al sacrificio interno,alla oblazione inferiore che sola li pu sostenere.

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    E l'oblazione interiore copre la stessa esistenza, la stessa estensione della vita con tutto il suo realistico tessuto diinteresse, di energia, di passione, di scommessa, di rischio, di fatica, di coscienza e di sapienza.

    Il sacrifcio esterno, invece si colloca, nella sua valenza puramente simbolica, in una situazione determinata e zonale, inun ambito che specificamente viene qualificato come religioso. Non copre tutto, ma si distingue da tutto il resto comeuna categoria precisissima.

    Dobbiamo dire che la categoria religiosa del sacrificio o dell'oblazione esterna non la vita: anzi, pu arrivare adissociarla o obliarla, creando all'interno della coscienza delle fratture morali come - nel caso dell'eccesso di religione -la superstizione.

    Al contrario, l'oblazione o sacrificio interiore l'"in s" della vita: non pu assolutamente dissociarla o alienarla da sestessa.

    In effetti, a guardar bene, la fede soprannaturale, teologale, ha pi la fisionomia del sacrificio intcriore che quella dellareligione o dei suoi atti esterni.

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    Essa un sacrificio della mente, che immerge la vita intera dell'uomo nel mistero stesso di Dio, nell'attesa della suapiena manifestazione gloriosa.

    Essa copre tutta la vita, perch per essa in gioco la vita. Animata e vivificata dalla carit, la fede teologale coinvolgein s tutto senza concreti residui, giacch la soprannatura non toglie la natura ma la presuppone e la perfeziona nel suostesso ordine, pur elevandola sopra se stessa.

    Tutto questo dunque chiaro: di fronte alla religione - spazio del sacro -, s distingue il pi ampio spazio di ci chechiamiamoprofano.

    Nella fede, invece, la distinzione tra sacro e profano scompare, si eclissa, perch la vita non ammette confini o steccati.

    Il soprannaturale investe tutta l'estensione della vita dell'uomo e la penetra in tutta la sua comprensione, seppur inmaniera accidentale - cio senza manomettere la sostanza naturale.

    A queste condizioni, la confusione tra religione e fede o vita di grazia comporta l'erezione di un confine indebito neiconfronti dell'orizzonte della vita soprannaturale concreta, cos come la sua interpretazione in modo fantasioso espettacolare. E questo l'errore pi grave che sta all'origine dei guasti che sto denunciando !

    I clericalisti separano Dio dal mondo; i secolaristi separano il mondo da Dio. E Dio diventa un altro mondo e questomondo diventa un altro Dio.

    Rimane da considerare la seconda causa che concorre a questa interpretazione delle relazioni, o meglio non relazioni,che intercorrono tra Dio e mondo.

    A mio parere, essa deve essere rintracciata nelle ingenuit metafisiche di un pensiero poco avvezzo alla veraspeculazione.

    Ora, il rifiuto o almeno l'assenza della metafsica certamente un grande difetto della nostra cultura. Il pensiero sempre pensiero del tutto o comunque alla luce del tutto, dell'intero.

    Senza questa prospettiva e senza questo oggetto il pensiero si autoelide e diviene semplicemente parola insensata. Ilpensare sempre speculativo o relativo, nel senso che conosce per relazio-

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    ni e relazioni: certo con una gradualit crescente, corrispondente al maggiore o minor grado di verificazione fattuale diuna nozione o di un asserto.

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    Dobbiamo contestualizzare: ogni cosa in contesto, perch il molteplice che ci si offre nell'esperienza ordinato,appartiene a un ordine. E noi siamo soggetti razionali perch possediamo una facolt conoscitiva che sa riconoscerequeste intelaiature: la ragione.

    Ordine e ragione sono trascendentalmente relati, cos che se si toglie l'uno si toglie l'altra e viceversa.

    Importantissimo: una ragione che non sia dell'ordine nulla come ragione. vero che esistono degli ordini parziali oparticolari, ma proprio perch tali suppongono un ordine universale. Se parliamo di ordine economico, ordine politico,ordine etico ecc., questo presuppone che conosciamo pi o meno esplicitamente che cosa sia l'ordine in quanto tale,l'ordine e basta.

    La cosa dunque indiscutibile: questo lo spazio che com-pete alla speculazione metafisica e alla dialettica.

    L'inspiegabile, per, che spesso i cultori del pensiero metafsico cadono essi stessi in pericolose fantasticherie quandoindulgono eccessivamente alla immaginazione - anche se indispensabile la conversici ad phantasmata - nel darecontenuto al rigore formale del proprio pensare.

    In questo caso si cade nella fabulizzazione del reale e con ragione si sono sollevate e si sollevano le critiche pi dure al

    pensiero metafisico, cos espresso.

    Ma questo svolazzare iperrealistico non ha proprio nulla a che vedere con la metafisica, cos come ogni semplicisticooltre-passamento dell'esperienza.

    In ogni caso, a scanso di equivoci, si pensi che metafisico non ci che al di l del fisico, ma il fondamento strutturaledell'ente che dato nell'esperienza. In questa prospettiva, occorre superare la maldestra opposizione tra immanenza etrascendenza.

    Occorre intendere queste due nozioni in modo relativo o speculativo e non esclusivo - come vedremo. Il pensare Dio

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    come assolutamente trascendente implica l'inevitabile equivoco di localizzarlo: come se fosse qualcosa di diverso dalmondo, che viene caratterizzato dalla nozione di immanenza.

    Proponiamoci almeno che si possa arrivare a calibrare sempre meglio il nostro pensiero e il nostro linguaggiometafisico, per non intraprendere discorsi che, ignorando le rigorose vie della ragione, si prefggano mete illusorie eteorie impensabili.

    Tante sono le cose che si possono dire, ma che non si possono pensare!

    Penso proprio d'aver pensato quello che ho detto... anche perch non erano tante le cose che si potevano dire...

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    IL RAGIONARE DIVINO

    Quali sono le cose che valgono un sacrificio senza che sia richiesto per necessit di mezzo?

    Forse mi esprimo male. Vediamo se riesco a spiegarmi meglio.

    Per che cosa si sente che ci si sacrificherebbe volentieri, quasi fosse una spontaneit naturale il sacrificarsi e non undebito, un dovere morale, o un atto per volont deliberata o addirittura calcolata?

    C' qualcosa che capace, per sua natura, di strapparti a t stesso e di dissolverti in se stessa?

    Insomma, c' qualcosa che abbia come legge intrinseca il sacrificio? Che abbia nel sacrifcio il senso pi profondo dellasua verit e del suo essere! ?

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    Lo so che uno pensa subito al sacrificio che un genitore pu fare per i fglioletti, o che un eroe pu fare per sostituirsi adaltri nel pericolo o nelle semplici difficolt.

    Ma questi gesti sono ancora classificabili sotto la categoria del dovuto, ove vige un imperativo morale.

    E vero che un genitore si sacrificherebbe spontaneamente per il figlio: ma appunto si tratta di un gesto che implica di

    suo una esigenza morale, anche se il genitore sente la cosa nel sangue, prima che nella valutazione della coscienza!

    Ma sai, supposto che un genitore non arrivi a tanto, il giudizio negativo che viene pronunciato nei suoi riguardi diordine morale, pi che psicologico.

    La cosa che cerco, invece, ci che per sua natura, indipendentemente dalla valutazione morale - anzi escludendola-implica il sacrificio.

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    Beh, meglio di cos non sono capace di impostare la domanda. Forse mi conviene passare subito alla risposta e poimotivarla. Cos si pu arrivare subito al fatidico: ah, ecco perch!

    Dunque, dunque, vediamo un po'.

    Mettiamola brutalmente cos: una bella donna non ti strappa forse gli occhi? !

    Non cominciamo subito a spaventarci per niente. Non mica un'eresia, no? In fin dei conti, la donna, secondo lanarrazione biblica, non la creatura che Dio ha fatto per ultima?

    Beh, ogni artista fa sempre alla fine il suo capolavoro...

    O, comunque, il tocco di grazia sempre alla fine dell'esecuzione dell'opera d'arte.

    Se poi si aggiunge che ci che ultimo nell'esecuzione primo nell'intenzione dell'artefice, allora l'importanza delladonna raggiunge proporzioni non solo cosmiche ma addirittura cosmo-gonicbe.

    Ecco, adesso aggiungi il caso che la donna sia anche bella: e la catastrofe degli occhi compiuta!

    La bellezza la si avverte prima negli occhi. Sembra che t li strappi via!

    E la bellezza quella cosa che implica spontaneamente il sacrificio. Almeno, originariamente, il sacrificio della vista.

    Un conto vedere, un conto guardare.

    Si vedono pi cose, ma se ne guarda una sola!

    Il guardare aggiunge al vedere l'attrattiva, il fascino, l'interesse e... la consumazione di energia.

    Uno che vede pi cose non presta attenzione a nessuna di esse; uno che guarda attentamente una cosa non prestaattenzione ad altro: tutto energeticamente assorbito nella sua contemplazione!

    Dunque si pu dire che lo sguardo, o il guardare compiaciuto il sacrifcio della vista, del vedere.

    E questo sguardo compiaciuto tale perch risucchiato dalla bellezza.

    La bellezza si manifesta come in uno stordimento mistico.

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    Non si tratta di un rimbambimento demenziale - anche se qualcuno pu arrivare a scambiarlo per questa patologia -; ma l'ebbrezza della ragione che trova in un oggetto se stessa, la sua pi piena espressione.

    E l'ebbrezza della ragione, perch la ragione si trova misteriosamente nel proprio ambiente vitale, pur soggiornando inun giardino estraneo. E lo spirituale che si scopre condensato nel sensibile.

    E un sacrificio, perch come se la ragione, per trovare il piacere di se stessa, dovesse - per una legge di natura e quindispontanea, non morale - rinunciare a se stessa, alla propria aurea solitudine.

    Ci che razionale reale e ci che reale razionale! Fin nella pi tattile delle esperienze: dove si contempla il bellocon la spiritualit razionale che permea lo stesso senso tattile.

    L'esperienza del bello un'esperienza sacrificale perch un'esperienza razionale.

    Nel bello la ragione si ritrova perch in esso si consuma la legge del sacrificio, che la sua legge, la legge della stessaragione.

    E vero che uno potrebbe obiettarmi che l'esperienza del bello si accompagna sempre al piacere (S. Tommaso afferma

    che si dicono belle le cose che viste piacciono); il che non combina bene con il sacrificio...

    Per mi vien subito da rispondere che esiste anche un piacere legato alla dimensione del sacrificio inteso nella stessalinea estetica.

    Una donna apprezza di pi il sentirsi dire semplicemente che bella o che tanto bella che non si pu stare un minutosenza vederla? Mi sembra scontato che il secondo apprezzamento sia quello pi gradito.

    O ancora: una donna gradisce di pi il dono di una pianticella in vaso o il dono di un fiore reciso? Anche in questo casomi sembra scontata la risposta: il fiore reciso. Anche questo segno di sacrificio!

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    Anche nella conoscenza umana, ha maggior valore e si avverte con maggior gusto la conquista del sapere con ilragionamento che non l'assunzione di verit appiccicate all'intelletto come francobolli.

    C' pi gusto ed pi bello, pur essendo guidati da un maestro, a impostare e risolvere problemi, a dissolvere dubbi ocontrastare obiezioni, che non ad accettare acriticamente il vero.

    Lo so bene che quello che conta sapere la verit; ma un conto essere nel vero senza saperlo e un conto essere nelvero sapendo di essere nel vero: questo il valore del sapere critico. Si nel vero sapendo di essere nel vero quando siconosce la verit sapendo che escluso il suo contrario.

    (Non la stessa cosa sapere cheA A e. sapere cheA non non A o che A non non A: nel secondo caso si passati

    attraverso il cimento con il dubbio della possibile identit di A anche con non A, e lo si sconfitto. Materialmente si sala stessa cosa, ma in due modi diversi; uno ingenuo e l'altro critico).

    Il ragionare implica la bellezza arcana del sacrificio!

    Il ragionare porta in s qualcosa di attraente e bello tanto quanto la bellezza femminile, sempre compagna del divino.

    E il ragionare divinamente sulle cose divine ha un che di inventivo, accogliente e fecondo quanto il genio femminile.

    Ragionare divinamente sul divino vuoi dire speculare.

    A che cosa serve speculare? Che cosa vuoi dire speculare? Parlare di speculazione significa parlare di una conoscenzadi tipo riflesso secondo un duplice titolo.

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    Una conoscenza di riflesso anzitutto la conoscenza di una cosa attraverso un'altra, cos come guardando uno specchiovi vediamo riflessa l'immagine di qualcosa che non lo specchio stesso. Si tratta dunque di una conoscenza relativa o dirinvio.

    Relativa non nel senso della superficialit o inconsistenza -cos come pu opporsi alla conoscenza cosiddetta assolutadella scienza -, ma nel senso della opposizione alla conoscenza assoluta perch isolata, decontestualizzata e primitiva o

    fenomenologica, quale quella rilevativa di un semplice dato immediatamente immotivato (nudo e crudo).

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    Infatti, la conoscenza che esercitano i sensi appunto assoluta in questo modo: l'occhio coglie perfettamente il colore,ma non sa che relazione vi sia tra il colore e la porosit di un corpo.

    E la ragione che conosce le relazioni tra le cose e i loro diversi aspetti.

    La stessa ragione pu arrivare ad elaborare delle nozioni la cui comprensione non immediata, ma abbisogna di unaggancio con altro.

    Si dice infatti speculativo un enunciato che non comprensibile in se stesso, ma per rinvio a un altro enunciato o a unfatto che lo postula come toglimento di apparente contraddizione, o soluzione di una problematica empiricamenteinsolubile.

    E il caso per esempio delle nozioni di potenza passiva, quale condizione intrinseca del moto, oppure di Dio come lostessoEssere per s sussistente, oppure della nozione di creazione. Prese in se stesse sono assolutamente insignificantie inintelligibili;

    in quanto ordinate alla soluzione del problema della apparente contraddizione del divenire, diventano semanticamentecomprensibili e teoreticamente incontrovertibili. Ma si capiscono solo relativamente appunto, specularmente ospeculativamente.

    Giudizi o concetti, invenzioni-scoperte della ragione, che in quanto sedano Vhybris perpetrata solo apparentementecontro la intelligibilit dell'essere da parte della contraddizione, assurgono a rango di assoluta verit. Non possono

    patire negazione, pena l'assurdo. Da idee diventano realt perch la realt immediatamente data le richiamaosmoticamente, attraverso i suoi apparenti vuoti o buchi logico-metafisici. Se le si vuole chiamare "tappabuchi", lo si

    pu fare: ma con tutto il rispetto dovuto a chi in grado di turare con la sua forza sicura una falla, o salvare da ci che sireputa inoppugnabilmente una falla.

    Ancora: conoscenza riflessa o di riflesso vuoi dire anche conoscenza per riflessione.

    Vuoi dire meditazione. Il che implica certamente il ricorso alle energie pi profonde della nostra interiorit, siaintellettuale che affettiva o passionale.

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    Non c' vera speculazione che non coinvolga contemplativamente tutta la persona pensante. Scendere in profondit perriflessione significa elevarsi alle altezze pi rarefatte della sinossi, del colpo d'occhio.

    Nella speculazione, il rigorismo formale non mai a scapito dell'interesse della materia investigata.

    Ora, penetrando un po' pi in profondit, chiediamoci: qual la legge della speculazione? Qual il metodo speculativo?

    La prima risposta potrebbe essere questa: sia dal punto di vista teoretico, sia dal punto di vista psicologico laspeculazione possiede una legge o un metodo appuntosacrificale.

    Psicologicamente senza dubbio uno sforzo.

    Non soltanto l'intelletto che coinvolto in questa attivit, anche se ovviamente l'intelletto l'organo dellaspeculazione: si tratta di un'attivit di pensiero.

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    Tutte le facolt sensitive di ordine interno prendono parte ad essa, nel modo che loro proprio e in funzione dellacomprensione umana che non pu fare a meno della sensibilit. Senso comune, cogitativa, fantasia, memoria, passionidella nostra sensibilit emotiva, ma anche i sensi esterni, tutti concorrono all'o-pus speculativum umano.

    Trattandosi di facolt organiche, cio legate a un organo corporeo, il loro esercizio implica fatica e perci sacrificio.

    E occorre una grande forza di volont nel non desistere di fronte al primo ostacolo che si frapponga verso la metadell'in-terpretazione e della comprensione. Anche questo implica sacrificio.

    Niente di pi affascinante, nella sacrifcalit speculativa, del gioc concettuale che si situa nella sua stessa dimensioneteoretica.

    A mio giudizio, la legge teoretica della speculazione una legge sacrificale perch la nostra ragione ginge allacomprensione e alla interpretazione di un dato attraverso le vie deWafia-lisi e dellasintesi.

    Nella conoscenza speculativa di un dato noi decomponiamo e ricomponiamo, smontiamo e rimontiamo, distruggiamo erico-

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    struiamo, sacrifichiamo conoscitivamente l'oggetto sacrificando le nostre energie nell'atto di comprenderlo.

    Ecco: assimilazione. Si tratta di un meccanismo di assimilazione reciproca: assimiliamo l'oggetto assimilandoci ad esso.

    La radice e al contempo la forma di questa legge teoreticamente sacrificale dell'analisi e della sintesi la dialettica.

    E certo si danno diverse definizioni di dialettica, cos come diversi sono i modi di valutarla. Devo per forza di cosedunque precisare il senso con il quale io uso questa parola.

    Per dialettica intendo il processo logico per il quale arriviamo alla comprensione di un concetto attraverso la suadecostruzione e ricostruzione teoretica, oppure arriviamo alla comprensione della verit incontrovertibile di unenunciato cimentandolo con il suo antagonista contraddittorio: il che vuoi dire appunto seguire le linee del metodoanalitico-sintetico.

    In particolare, la dialettica, qualificata come processo logico, si ambienta in un quadro che volutamente trascende leleggi ontologiche. Perci, non intendo qui riferirmi a modelli idealistici o materialistici della dialessi. Il luogo specificodi questo metodo quello della logica e della conoscenza calibrata speculativamente.

    Questo metodo dialettico si sviluppa secondo due vie. La via di risoluzione e la via di composizione.

    Alla via di risoluzione o di giudizio corrisponde propriamente l'analisi e si caratterizza come propriamente razionale.

    Essa discorre dal complesso al semplice, cio risolve il complesso nel semplice. Si tratta cio del viaggio speculativoche la ragione compie per raggiungere l'intelligenza di un dato. E la fase decostruttiva.

    Muovendosi in senso contrario, la via di composizione o di invenzione, invece, corrisponde alla sintesi.

    L'intelletto, conoscendo il semplice o l'elementare stimola nuovamente il processo razionale verso la scoperta delleconnessioni che gli elementi hanno tra loro o con altri dati. Il semplice viene ricomposto nel complesso. Qui siraggiunge la comprensione del dato, con il reticolato delle sue relazioni.

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    Qui ci vuole un esempio.

    Vediamo un po'. Che cosa facciamo quando cerchiamo di capire come funziona un meccanismo come quello di unorologio?

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    Lo smontiamo, per vedere come fatto; ma non basta, occorre rimontarlo cos come era prima, ricomporne gli elementi,gli ingranaggi, senza trascurarne alcuno, altrimenti non possiamo dire di aver capito come esso funzioni - anche perch,se mi rimane in mano anche una semplicissima e trascurabile... vitina, l'orologio non funziona.

    Ora - raffiniamo teoreticamente l'esempio -, pensiamo ai passaggi che si fanno nello studio logico di una nozione.

    Quando si passa dall'individuo alla specie e dalla specie al genere, fino ai trascendentali nell'ordine della loro sequenza,si segue la via di risoluzione: dal complesso al semplice, dal particolare al pi universale (Tizio - uomo - animale -vivente - essente).

    Quando invece si passa dal pi universale al particolare, dal genere alla specie e dalla specie all'individuo, si segue lavia di composizione, perch si devono connettere tra loro le nozioni semplici: le nozioni pi universali si

    particolarizzano attraverso l'aggiunta di differenze che le contraggono (vivente -+- sensitivo = animale; animale +razionale = uomo; uomo + questo = Tizio).

    Fondamentalmente, quando passiamo dalla conoscenza delle propriet di una cosa all'essenza della stessa cosa - che ne la ragione causale - procediamo in modo risolutivo (per esempio dalla libert o dalla capacit di scienza passiamo allarazionalit:

    perch uno non pu essere libero o fare scienza se non in forza della ragione).

    Anche quando dimostriamo l'esistenza di Dio a partire dal mondo, risalendo dall'effetto alla sua causa, procediamoanaliticamente o per risoluzione.

    Operiamo in modo compositivo, invece, quando passiamo dalla conoscenza dell'essenza alle sue propriet (per esempiodalla razionalit segue la capacit di fare scienza e di scegliere);

    oppure quando dimostriamo che Dio creatore, componendo

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    la nozione di Dio con la nozione di creazione, quasi ridiscendendo da Dio al mondo, dalla causa all'effetto.

    Ragionare un sacrifcio.

    Ragionare sul divino un sacrificio divino.

    E proprio cos anche nel segreto cristiano: dobbiamo risolverei in Dio per scoprire che siamo composti con Dio.

    E il metodo circolare della grazia che attraente e accondiscendente come una bella donna.

    Speriamo almeno che la bella donna non sia cos complicata per...

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    IL SOLILOQUIO SUL DIVINO

    La teologia, prima di essere un discorso su Dio, un soliloquio sul divino.

    Sembra tanto strano?

    A me pare tanto normale invece.

    Non sto parlando della semplice teologia filosofica, quella che partendo dalla realt del mondo arriva a Dio con la guidadella pura ragione naturale.

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    Qui sto riflettendo o speculando sulla teologia soprannaturale, quella scienza che cerca la comprensione della fedeattraverso la ragione.

    Questo discorso teologico dunque gi fondato su Dio, perch ha come suo principio o presupposto la fede rivelata.

    E vero - fin troppo ovvio - che trattandosi di una scienza, anche questa teologia un esercizio della ragione; anzi, io

    direi che l'esercizio per eccellenza della ragione, perch lo stimolo riflessivo, che essa riceve dai misterisoprannaturali, imparagonabile.

    E notevole lo sforzo di raffinamento concettuale nel tentativo di verificare la non evidente contraddittoriet dei misteririvelati, come anche le ragioni di convenienza proposte a favore della loro verit.

    E il solito discorso per cui non si pu credere l'incredibile, e per cui il credibile, in concreto, si accompagna a dei motiviche rafforzano la sua credibilit - non che lo facciano credere!

    Ma pur sempre una scienza che parla di Dio a partire da Dio.

    La fede teologale , in modo inevidente per noi, la stessa conoscenza che Dio ha di se stesso. Quindi un modo di

    conoscere Dio dal punto di vista di Dio.

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    Se la teologia in questione basata strutturalmente sulla fede, deve essere anch'essa fondamentalmente una conoscenzadi Dio dal punto di vista di Dio.

    Non un'immagine devota, ma un'affermazione di grande spessore epistemologico, quella sentenza di S. TommasOd'A-quino, secondo la quale la teologia una scienza subalterna alla scienza di Dio e dei beati [Summa Theologtae,!, 1,2).

    Quindi, il ragionare all'interno di questa scienza non deve dimenticare questa particolarissima prospettiva.

    Si tratta di un ragionare divino almeno sotto due aspetti.

    Prima di tutto perch ha per oggetto principale Dio stesso, in se stesso; in secondo luogo - ma non per secondariaimportanza - perch considera Dio dal punto di vista di Dio.

    Esisterebbe anche un terzo aspetto del ragionare divino, quello per il quale lo stesso modo di procedere divino: sitratta di quella modalit geniale conferita dalla partecipazione della stessa vita divina attraverso la grazia.

    Ma questa modalit mistica ha la movenza dell'intuizione e non del ragionamento; quindi non appartiene alla strutturadella scienza teologica.

    Non facile ragionare dal punto di vista di Dio.

    Bisogna indossare panni che non sono i propri.

    facile cadere in inganno. Per questo occorre il controllo critico della ragione. Si deve ragionare dal punto di vista diDio, non immaginare di essere Dio, come nelle espressioni "se io fossi Dio, che cosa farei? ".

    Sto parlando di teologia, non di fantasia devota o...pietosa\

    E per ragionare dal punto di vista di Dio, occorre scoprire in noi stessi la condizione che il requisito naturale,indispensabile per questo discorrere.

    Come Dio solo e nella sua solitudine tutto, cos, per poter ragionare dal punto di vista di Dio, occorre scoprire ilsenso metafisico della solitudine del pensiero, che chiude in s tutto.

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    S, voglio dire che prima ancora di riflettere su contenuti precisi, bisogna riflettere sulla stessa capacit di riflettere.

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    Occorre sentirsi avvolti in qualcosa di intrascendibile, come Dio intrascendibile, perch non ha nulla che gli cada al difuori: non c' nulla che cada fuori di Dio e quindi lo trascenda!

    Questo tipo di esperienza, che non pu essere classificata altrimenti che come metafisica - s perch strutturale,fondamentale, incondizionata e condizionante -, possibile solo nella nostra introspezione.

    Nel guardare dentro noi stessi scopriamo la dimensione solitria e onninclusiva del pensiero.

    Solitria perch onninclusiva e onninclusiva perch solitria.

    Si tratta di un principio analitico: ci che solo non manca di nulla e ci che non manca di nulla solo!

    In una battuta: l'intero o tutto a s stante!

    L'atto del pensare intrascendibile e, dunque, onninclusivo.

    Formidabile! Se penso che ci sono cose che non penso e non penser mai, io le sto gi pensando. Non si pu scapparfuori dal pensiero, perch non c' un fuori del pensiero. Il pensiero come atto intrascendibile.

    E se non c' un fuori non c' neppure un dentro il pensiero. E chiaro: se ci fosse un dentro, per antitesi relativa cisarebbe pure un fuori, ma se il fuori non c', neppure il dentro c'.

    Dentro e fuori il pensiero sono modi di dire che appartengono all'analisi psicologica o cosmologica del pensiero, nonalla sua dimensione metafisica.

    Se considero il pensiero in termini cosmologici o psicologici (comunque sia, la psicologia una parte della cosmologiao filosofia della natura), il pensiero una facolt umana, ben distinta , dalle altre; non il tutto dell'uomo; ha un'origineed subordinato alla causalit, per cui subisce gli influssi della storia.

    Ma in linea descrittiva o fenomenologica, il pensare come atto si presenta con una imponenza tale da non poter essereassolutamente "catalogato".

    Quando cerco di descrivere il pensiero come atto o il pensare, non posso fare a meno di presentarlo come l'estensioneinfinita dell'essere, che non esclude nulla da s - cio esclude il nulla, perch appunto nulla, non c'.

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    II pensiero e l'essere sono la stessa cosa perch, come nulla fuori dell'essere, cos nulla fuori del pensiero.

    Perci il pensiero la trasparenza del tutto, cio dell'essere, contro il quale sta il nulla, cio niente.

    So benissimo che mi si potrebbe accusare di immanentismo -del resto, se mi hanno dato del panteista, vuoi che non midiano anche dell'immanentista? La caccia alle streghe non mai finita. Ma la strega che suggerisce questi pensieri sichiamaMente: non posso lasciarla, sarei demente\

    L'immanenza dell'essere al pensiero non fisica, intenzionale. Si tratta dell'immanenza del manifesto alla suamanifestazione, del pensato al pensare, del rivelato alla sua rivelazione.

    Pensare che qualcosa cada fuori dal pensare contradditto-rio.

    Tutto manifesto e dunque immanente al pensiero che lo manifesta o che il luogo metafisico della manifestazione,cio

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    10 stesso manifestare.

    Tutto manifesto nel senso che tutto pensato, non nel senso che tutto sia conosciuto. Una cosa pensare e una cosa conoscere.

    Il rapporto che intercorre tra pensare e conoscere lo stesso che si da tra l'indeterminato e il determinato.

    L'indeterminato non altro che il determinato appreso indeterminatamente.

    Il pensiero la manifestazione indeterminata del tutto, come

    11 conoscere la manifestazione determinata di qualcosa.

    Il pensiero la manifestazione indeterminata del tutto o il tutto in quanto indeterminatamente manifesto. Il conoscere,invece, la manifestazione determinata di qualcosa, o la cosa in quanto determinatamente manifesta.

    Pensando il tutto, tutte le cose in modo indeterminato, penso anche questa penna, ma non in quanto ferina ne in quantoquesta penna; il riferimento alla penna e a questa penna appartiene determinatamente alla formalit del conoscere, ciodel sapere che cos' una cosa o questa cosa, la penna - appunto.

    Il pensiero del tutto indeterminatamente il pensiero dell'essere, giacch l'essere il tutto pensato in modoindeterminato.

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    E siccome nella conoscenza si procede sempre dal generico allo specifico, il pensiero precede il conoscere: nel sensoche il pensare la condizione indispensabile al conoscere - intendendo la conoscenza nel senso intellettivo e nonsemplicemente sensitivo o animale.

    Per usare una metafora si potrebbe dire che il pensiero sta ai concetti della conoscenza come la luce sta alle cosevisibili. Senza luce non si possono vedere le cose sensibili; cos, senza il pensare non possibile conoscere

    concettualmente.

    Uscendo dalla metafora, si deve dire che il pensare l'orizzonte a-specifico dei contenuti, secondo la loro condizione dipossibilit, cio l'ambito dell'incontraddittoriet: una cosa per essere tale, deve essere possibile, cio incontraddittoria.

    Questa condizione di possibilit, cio l'incontraddittoriet, condizione sia dell'intelligibilit sia dell'essere. Un cerchioquadrato inconoscibile perch contraddittorio e dunque inintelligibile e impossibile ontologicamente. Questo perch impensabile! Pensiero e essere coincidono.

    Il conoscere, invece, l'ambito dei contenuti specifici, cio concettualizzati. Il conoscere si riferisce ai concetti; ilpensare si riferisce alla condizione di possibilit dei concetti.

    L'essere, come ci che inteso dal pensiero, un contenuto a-specifico, perch l'essere non ne genere, ne specie,contenendo tutto e non escludendo nulla (Generi e specie, invece, si distinguono per esclusioni e quindi per il fatto dinon essere tutto. Il genere vegetale esclude l'animale; cos una specie ha ci che un'altra specie non ha, perch ledifferenze specifiche si escludono vicendevolmente dal medesimo soggetto generico: un animale non pu essereinsieme razionale e non razionale o bruto).

    Non c' nulla che cada fuori dell'essere, se non appunto il non essere, che in quanto tale non c' e quindi non pu esserequalcosa che fuori dell'essere. Se tutto nell'essere, nulla di positivo vi si pu contrapporre, quindi tutte le differenzeche si riscontrano tra le cose sono tutte essere.

    L'essere il contenuto a-tematico, cio non esplicito, del pensare, perch, se il pensare l'ambito della non contradditto-

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    riet, essendo questa fondata ultimamente su quel soggetto che l'essere, l'essere il contenuto implicito ad ogni altrocontenuto esplicito: il contenuto implicito del conoscere che specificamente si orienta a contenuti espliciti,concettualmente definiti o definibili.

    La legge della non contraddizione, la verit originaria questa: l'essere non il non essere, cio il positivo non ilnegativo. Questa la condizione di possibilit dei contenuti, sia nell'ordine intelligibile, sia nell'ordine reale.

    Quindi il contenuto fondamentale e fondativo del pensare come tale l'essere, che il soggetto di questa legge. Ma ilsoggetto non esplicito.

    Non c' bisogno di esplicitare l'essere per pensare e quindi per ambientare, secondo l'incontraddittoriet - intelligibilit epossibilit -, il conoscere nelle sue specifiche determinazioni.

    Non c' bisogno di aver letto Parmenide o Aristotele, o d'aver studiato per benino tutta la logica e la metafsica percapire che una banana non e non pu essere un chiodo. La regia implicita di questa consapevolezza specifica datadal pensare ;o dal pensiero, che intende l'essere e la sua legge: l'incontraddittoriet.

    L'essere il contenuto inteso implicitamente dal pensiero che non ha come riferimento immediato un contenuto

    specifico, come invece l'ha il conoscere.

    Il pensare corrisponde all'attivit dell'intelletto agente, cos Come viene descritta nella filosofia aristotelico-tomista.

    L'intelletto agente ha la funzione di rendere intelligibile l'oggetto della conoscenza, che l'attivit dell'intellettopossibile. La facolt conoscitiva l'intelletto possibile, non l'intelletto agente.

    L'atto di intellezione insieme atto dell'intelletto agente e dell'intelletto possibile. L'intelletto agente e l'intellettopossibile concorrono all'unico atto dell'intellezione con le loro proprie operazioni (cf. S. tommaso D'AQUINO, Deventate, 10, 8c).

    L'intelletto possibile conosce i contenuti che vengono resi intelligibili, cio conoscibili, dall'intelletto agente.

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    Ma l'intelletto agente, anche se non propriamente conoscente, pur sempre un intelletto; in che cosa consiste la suaintellettualit?

    Io direi che consiste neW intendere la condizione di intelligibilit, di sensatezza, di possibilit, di incontraddittoriet deicontenuti conoscitivi. E siccome questa condizione il soggetto della legge di non contraddizione, cio l'essere,l'intelletto agente intende l'essere.

    S. Tommaso dice semplicemente - riportando una sentenza di Averro - che i primi princpi sono come strumentidell'intelletto agente (cf. De Ventate, 10, 13). Ora, siccome i primi princpi sono tutti fondati sulla legge di non

    contraddizione e questa fondata sull'essere, dire che l'intelletto agente ha come strumenti i primi princpi equivale adire che intende la legge di non contraddizione e, dunque, che intende l'essere.

    Si tratta per del modo intellettivo dell'intendere e non del conoscere, perch chi conosce - semplificandogrossolanamente il linguaggio tecnico - l'intelletto possibile e non l'intelletto agente.

    Dunque, l'intendere un sapere non ancora concettuale, cio non specifico. L'intendere l'essere non ancora conoscereesplicitamente l'essere.

    L'immagine che viene usata per indicare l'attivit dell'intelletto agente quella della luce. Come la luce la condizionedi visibilit dei colori e delle figure, cos l'atto dell'intelletto agente la condizione di intelligibilit e di conoscibilit deicontenuti della conoscenza, cio dell'atto dell'intelletto possibile.

    E come ci si rende conto della luce perch si vedono i colori e le figure, cos in ogni intelligibile ci si rende conto dellapresenza dell'atto dell'intelletto agente, non come oggettivamente dato ma come condizione di intelligibilit (cf. S.

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    tommaso d'aquino,In 1 Sententiarum, d. 3, 4, 5 e.). Noi non vediamo propriamente la luce ma ci rendiamo conto dellaluce vedendo i colori e le figure.

    Se non ci fossero cose visibili non per questo la luce non ci sarebbe o smetterebbe la sua funzione: semplicemente nonci

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    renderemmo conto della sua presenza, perch noi scorgiamo la luce come mezzo per il quale conosciamo - o meglio -percepiamo i colori.

    Allo stesso modo l'intelletto agente sempre in azione anche se non ci sono concetti, cio non ci sono oggetti diconoscenza.

    L'intelletto agente sempre in atto secondo la sua sostanza (cf. S. tommaso d'aquino, In 3 De Anima, 1. IO): il suostesso operare, non per essenza - evidentemente; solo Dio tale - ma per concomitanza (cf. S. tommaso D'AQUINO,Summa Theologiae, I, 54, 1, adi). Altrimenti sarebbe nelle stesse condizioni dell'intelletto possibile, che deve essereattivato, e per questo non per s agente, pur essendo principio del proprio atto.

    Il fatto che non sempre conosciamo, non impedisce che sempre intendiamo. Il conoscere dipende dall'attivazioneesterna dell'intelletto possibile, cui viene offerto il materiale intelligibile da parte dell'intelletto agente che lo astrae daidati sensibili.

    Se non viene offerto questo materiale, non si da conoscenza, cio non c' attivit da parte dell'intelletto possibile, maquesto non esclude la continua attivit d'intendere dell'intelletto agente (cf. S. tommaso D'AQUINO, De Ventate, 10, 8,ad 11 in contr.).

    Da questo punto di vista, la luce che caratterizza per metafora l'intelletto agente lo stesso essere: l'intelletto agente lacondizione di intelligibilit dei contenuti conoscibili - la luce che li rende visibili -; la condizione diincontraddittoriet, di sensatezza, di possibilit, di logicit e di realizzabilit dei contenuti. Ma questa condizione

    fondamentalmente l'essere: dunque, questa luce dell'intelletto agente coincide con l'essere.

    Questo vuoi appunto dire che pensiero e essere si identificano.

    D'altra parte, si deve riconoscere che se parliamo dell'essere, che il contenuto inteso dal pensare, questo contenuto anche conosciuto.

    Il contenuto positivamente indeterminato del pensare diventa specifico, quando per riflessione lo si determina con lanozione a-specifica per eccellenza, cio la nozione di essere o ente, o essente. In questo modo, per, la nozione a-specifca viene conosciuta in modo specifico.

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    La nozione di ef o essente diversa dalla nozione dipiatto;

    eppure il piatto un ente, rientra nella nozione di ente come tutte le altre nozioni o cose. Eppure noi parliamo dell'entecome se parlassimo di una delle diverse cose specifiche che conosciamo.

    Quando mettiamo a tema l'essere o l'ente, o essente, corriamo quindi il rischio di fraintenderlo; soprattutto se ciaffidiamo a un pensiero metafsico maldestro.

    Ma proprio della metafsica trattare dell'ente in quanto ente, o dell'essere in quanto essere in modo criticamentecontrollato. E se ci avviene, con queste modalit critiche - appunto -, la metafsica diviene anche l'anima scientificadella riflessione pi profonda sul pensare.

    S. Tommaso d'Aquino dice che l'intelletto agente una certa somiglianz della verit increata che si riverbera in noi (cf.De Ventate, 11, 1). In un certo modo, esso . il divino in noi, prima della manifestazione del divino soprannaturaleattraverso la grazia.

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    Aristotele - trattando l'argomento dal punto di vista psicologico - dice che questo intelletto, pur essendo nella nostraanima, viene dal di fuori e solo divino: separato, impassibile, eterno, immortale (cf.De anima, 5, 430 a 10-23).

    La stessa cosa va dunque affermata del pensiero, del pensare.

    Il pensare ha un'estensione infinita quanto l'essere: solo Dio infinito in atto. Se il nostro pensare non si identifica

    assolutamente con Dio, perch pensare tutto non significa per noi conoscere tutto - Dio invece questa identit assolutadi pensare e conoscere, la pura trasparenza totale e concreta, determinatissi-ma di tutto -, esso per riflesso di Dio.

    Riflesso comunque misterioso come misterioso il divino.

    Esso luce che illumina i contenuti di conoscenza e per questo convisibile insieme ad essi e con la loro concomitanza:

    come la luce convisibile con i colori e le figure, che invece sono l'oggetto diretto della visione.

    Ma come la luce da sola - cio senza nulla che possa essere illuminato - invisibile e dunque tenebra; cos il pensaresenza i

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    contenuti della conoscenza non si comporta come luce, ma come ombra.

    S, il nostro pensiero, visto in se stesso, l'ombra di Dio.

    Il pensiero pensiero delle cose; quando pensiero di se stesso sembra pensiero di nulla: eppure pensare, sempre inatto, immortale, eterno, solo. Sembra pensiero di nulla perch il pensiero non nessuna cosa, ma non che sia nullacome pensare.

    Per fare teologia, discorrendo di Dio dal punto di vista di Dio, occorre prima di tutto compiere questa riflessione suldivino in noi.

    Dobbiamo immergerci in questa solitudine di contatto con l'ombra eterna dell'eterno e incominciare a discorrere con noistessi come fossimo i soli o il tutto.

    Il nostro primo discorso teologico un soliloquio sul divino! Un soliloquio ammirato e disilluso nello stesso tempo.Ammirato per la scoperta; disilluso perch il divino non si meraviglia, non si stupisce e coglie l'eterna uguaglianza ogiustizia del tutto. Tutto cos com', perch cos .

    Questo soliloquio divino sul divino Yepisteme, lo "star sopra" nel vedere o considerare; al punto principale oculminante.

    Vedere tutto dal Principio o meglio dal punto di vista dell'Intero. Qui c' la vera solitudine, perch l'Intero Uno, non siaccompagna mai.

    E questa solitudine una specie di onnipotenza: si soli in quanto solidi: all'intero non manca nulla, penacontraddizione.

    E la solidit non contrasta con lasolidariet.

    Il solido ha tutto, in comunione con tutto e quindi solidale.

    E la solitudine, cos intesa - l'essere per s, non l'allontanamento da tutti - cos anche la con-solawne pi alta, perch ilsolo tale in quanto sa stare con se stesso, presso se stesso, trovando in se stesso il proprio tesoro.

    Ma il tesoro della solitudine del divino pur sempre una grande vertigine, perch un vedere la profondit del tutto dalsuo stesso punto di vista.

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    Punto di vista eterno, come eterno Dio e come eterno il tutto.

    L'ente in quanto ente eterno; Dio eterno; il pensiero eterno.

    Il segreto dell'universo nascosto nel segreto eterno dell'anima, nel suo pensare. La vita cristiana nascosta in questosegreto e insieme la sua rivelazione.

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    LA TEOLOGIA

    La teologia femmina.

    Meno male!

    Eh s, perch almeno posso dire anch'io d'avere un po' di dimestichezza con l'altro sesso.

    Quando sento certi discorsi stupidi sulle donne mi viene il nervoso. E vero che certe volte sono, per'cos dire, meritati -le donne non sono mica tutte uguali. Ma il pi delle volte sono francamente discorsi "con la cresta in testa" - supposto

    per benevolenza che di testa si tratti...

    Sono quasi sempre discorsi di dominio, di superiorit, di supremazia, ma ahim ristretti tanto quanto un... pollaio.

    (Pollaio per pollaio, anche vero per che i giudizi pi cattivi sulle donne li ho sentiti pronunciare proprio da donne...).

    Io per dalla testa non mi tolgo l'idea che la teologia sia femmina!

    Forse, lo dico per istinto: la teologia mi fa sempre "girar la testa"!

    Come la filosofa; anche la filosofia femmina. S, anche la filosofia mi fa girar la testa.

    Mi piace accompagnarmi a tutte e due.

    Per non mi sento bigamo, ne soffro di torcicollo.

    E poi, filosofa e teologia sono di una femminilit particolare:

    non sono femminili semplicemente perch sono scienze; guarda quante scienze ci sono... tutte sono femmine.

    Ma non di quella femminilit che fa girar la testa:, non tutte le donne sono uguali.

    Filosofia e teologia sono la quintessenza della femminilit. Fanno girare la testa perch esigono {'adorazione.

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    S, s, ho detto proprio adorazione!

    L'adorazione un atteggiamento che si addice a chi si rivolge a qualcosa di grande, dignitoso, anzi di assoluto.

    Adorare vuoi dire rivolgere {ad} la bocca (os-oris) a qualcuno, sia per chiedere o implorare, sia per significare

    sottomissione e dipendenza.

    (La bocca un organo importantissimo per la vita: serve a ricevere gli alimenti, serve a respirare; il luogo fisico dellaparola e quindi dell'espressione del pensiero; ma anche il luogo fisico per l'espressione dell'affettivit. Gli amanti

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    vogliono mangiarsi, come se in questo gesto metaforico fosse racchiuso il senso della reciproca adorazione perl'assolutezza del rapprto:

    si autoincludono perch insieme sono assoluti).

    La femminilit evoca di per s qualcosa di assoluto.

    Il senso dell'assolutezza che legata alla femminilit mi sembra evidente nella prerogativa appunto tutta femminiledell'intuito.

    Non un caso che l'intuizione sia prerogativa della femminilit. Non voglio certo cadere nelle grossolanit di unosciocco determinismo biologico, ma mi pare proprio che, in qualche modo, la sessualit femminile predisponga almeglio questa importantissima e profonda qualit psicologica - e di riflesso mistica.

    Sessualmente - cio dal punto di vista fisico - la femminilit strutturata secondo due criteri: V accoglienza e il dono.

    Questo lo straordinario circuito che sta alla base di quella propriet fisica che la maternit.

    La conseguenza sul piano psicologico in generale la gratuit, appunto, del modo proprio della femminilit diatteggiarsi secondo l'accoglienza e il dono.

    In modo pi specifico, per, questa propriet generale assume dei caratteri pi determinati, legati alle tr dimensionipsicologiche dell'anima, cio la conoscenza, l'affetto e l'azione.

    Ebbene, la gratuit sul piano del conoscere si configura come intuizione, cio conoscere senza passare attraverso laconcatenazione necessitante del ragionamento formalmente conchiuso; sul piano dell'affetto, la gratuit prende corponellasensibi-

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    ht, che sa anticipare e sorpassare la figura del dovere; sul piano dell'azione, infine, la gratuit la straordinariacapacit di sacrificio: la generazione sempre un rischio, che la donna - non so perch -, anche dopo diversi rischi, peristinto sente di correre volentieri.

    E verissimo che non tutte le donne sono uguali, ma ut in plu-ribus (nella maggior parte dei casi) le cose stanno propriocos.

    Non so perch, ma di fronte a queste qualit io sento il bisogno di inginocchiarmi e adorare.

    Mi si potrebbe certamente obiettare che tutto questo appartiene a un immaginario culturale che vuole la donna fatta inquesta maniera. Ma io mi chiedo: qual il fondamento di questo immaginario? Anche il mito ha sempre un fondamentoreale!

    E poi, questa realt che ho indicato crudamente reale: si tratta della sessualit.

    So benissimo che il concetto di donna-angelo, tipico della poetica stilnovistica, risponde a una ideologia particolare; macocciuto come sono, devo trovarne una giustificazione che superi i criteri ideologici.

    Ci pu essere una ragione metafsica, strutturale. Se c', questa ragione pu essere una ulteriore motivazione, poi, dellafemminilit della filosofa e della teologia.

    Per me la ragione c', eccome c'! Dunque, dunque, la cosa va presa cos. La sessualit femminile pu essere presa sottodue aspetti: l'aspetto funzionale - che quello che ho appena