SOLENNITA’ DEL NATALE DEL SIGNOREparrocchia.sgm.dyndns.info/Effata/20161224.pdf · Le tre messe...

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SOLENNITA’ DEL NATALE DEL SIGNORE La celebrazione del tempo del Natale del Signore Il Tempo di Natale, che inizia con la Messa vespertina della vigilia e/o con i primi Vespri di quel giorno e termina con la domenica che cade dopo il 6 gennaio, continua la tematica dell’Avvento ed è diviso in due parti: la prima comprende il periodo di tempo che si estende tra il Natale del Signore e la solennità dell’Epifania, mentre la seconda parte inizia con l’Epifania e termina con la festa del Battesimo del Signore. All’interno della prima parte del Tempo di Natale sono poste l’ottava, che culmina nella solennità di Maria Santissima Madre di Dio, la celebrazione del corteo del Signore, la festa della Santa Famiglia e la solennità dell’Epifania. Il tempo natalizio è il prologo della grande festa di Pasqua, ma allo stesso tempo diventa una preparazione verso la celebrazione più completa del Mistero Pasquale. Uno degli argomenti che caratterizzano il Natale è il tema dell’ammirevole scambio divino tra l’uomo e Cristo. Da un lato vi è il richiamo all’Eucaristia, dove il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Per altro verso, invece, il riferimento è allo scambio, tradotto come mistero, che si riferisce a Gesù Cristo, il quale nell’incarnazione prende la nostra carne mortale e quindi diventa vero uomo portandoci la sua divinità, perché per mezzo di essa noi troviamo l’espressione della nostra. Cristo, prendendo la nostra natura umana, ci innalza verso la sua divinità. L’eucologia di questo tempo mette particolarmente in risalto questo doppio aspetto di divina grandezza e di umile umanità che costituisce l’essenza stessa del mistero del Natale. La divinità e l’umanità del Figlio di Dio sono la tematica centrale del tempo di Natale. Le tre Messe del giorno del Natale Le tre messe del giorno di Natale, quella della notte (in nocte), quella dell’alba (in aurora) e quella del giorno (in die), sono di origine romana. Dal secolo IV al secolo VIII la Messa della notte veniva celebrata dal Papa nella Basilica di Santa Maria. Nel pomeriggio della vigilia il Pontefice lasciava la sua residenza in Laterano per dirigersi alla Basilica di Santa Maria con tutto il corteo papale e i fedeli e veniva celebrata la Messa in nocte. Terminata la Messa della notte il corteo papale partiva nuovamente dalla Basilica di Santa Maria per dirigersi verso il Vaticano ove, all’interno della Basilica di San Pietro, il Papa celebrava la Messa in die. Lungo il tragitto il Pontefice sostava presso il Palatino dove, presso la chiesa stazionale di Santa Anastasia, celebrava la Messa in aurora. Terminata la Messa in aurora il Papa si dirigeva presso San Pietro ove celebrava la Messa in die. La tradizione di queste tre messe è stata successivamente acquisita nei sacramentari e, attraverso la Liturgia di Rito Romano, si è diffusa in tutto l’Occidente. Da questa tradizione deriva la possibilità per tutti i sacerdoti di poter celebrare o concelebrare nel giorno di Natale tre Messe, purché distanziate secondo l’orario corrispondente ai tre formulari: nella notte, di primo mattino, durante il giorno.

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SOLENNITA’

DEL NATALE DEL SIGNORE

La celebrazione del tempo del Natale del Signore

Il Tempo di Natale, che inizia con la Messa vespertina

della vigilia e/o con i primi Vespri di quel giorno e

termina con la domenica che cade dopo il 6 gennaio,

continua la tematica dell’Avvento ed è diviso in due

parti: la prima comprende il periodo di tempo che si

estende tra il Natale del Signore e la solennità

dell’Epifania, mentre la seconda parte inizia con

l’Epifania e termina con la festa del Battesimo del

Signore. All’interno della prima parte del Tempo di

Natale sono poste l’ottava, che culmina nella solennità

di Maria Santissima Madre di Dio, la celebrazione del

corteo del Signore, la festa della Santa Famiglia e la

solennità dell’Epifania.

Il tempo natalizio è il prologo della grande festa di Pasqua, ma allo stesso tempo diventa una

preparazione verso la celebrazione più completa del Mistero Pasquale.

Uno degli argomenti che caratterizzano il Natale è il tema dell’ammirevole scambio divino tra l’uomo

e Cristo. Da un lato vi è il richiamo all’Eucaristia, dove il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue

di Cristo. Per altro verso, invece, il riferimento è allo scambio, tradotto come mistero, che si riferisce

a Gesù Cristo, il quale nell’incarnazione prende la nostra carne mortale e quindi diventa vero uomo

portandoci la sua divinità, perché per mezzo di essa noi troviamo l’espressione della nostra. Cristo,

prendendo la nostra natura umana, ci innalza verso la sua divinità. L’eucologia di questo tempo mette

particolarmente in risalto questo doppio aspetto di divina grandezza e di umile umanità che

costituisce l’essenza stessa del mistero del Natale. La divinità e l’umanità del Figlio di Dio sono la

tematica centrale del tempo di Natale.

Le tre Messe del giorno del Natale

Le tre messe del giorno di Natale, quella della notte (in nocte), quella dell’alba (in aurora) e quella

del giorno (in die), sono di origine romana.

Dal secolo IV al secolo VIII la Messa della notte veniva celebrata dal Papa nella Basilica di Santa Maria.

Nel pomeriggio della vigilia il Pontefice lasciava la sua residenza in Laterano per dirigersi alla Basilica

di Santa Maria con tutto il corteo papale e i fedeli e veniva celebrata la Messa in nocte. Terminata la

Messa della notte il corteo papale partiva nuovamente dalla Basilica di Santa Maria per dirigersi verso

il Vaticano ove, all’interno della Basilica di San Pietro, il Papa celebrava la Messa in die. Lungo il

tragitto il Pontefice sostava presso il Palatino dove, presso la chiesa stazionale di Santa Anastasia,

celebrava la Messa in aurora. Terminata la Messa in aurora il Papa si dirigeva presso San Pietro ove

celebrava la Messa in die. La tradizione di queste tre messe è stata successivamente acquisita nei

sacramentari e, attraverso la Liturgia di Rito Romano, si è diffusa in tutto l’Occidente. Da questa

tradizione deriva la possibilità per tutti i sacerdoti di poter celebrare o concelebrare nel giorno di

Natale tre Messe, purché distanziate secondo l’orario corrispondente ai tre formulari: nella notte, di

primo mattino, durante il giorno.

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MESSA DELLA NOTTE (in nocte) Lc 2, 1-14; Is 9, 1-6; Sal 95; Tt 2, 11-14

Colletta

Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra lo contempliamo

nei suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

La Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Divina Rivelazione Dei Verbum (n. 2) afferma: «Con

la sua rivelazione, infatti, Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si

intrattiene con essi per invitarli alla comunione con sé».

Come è bello pensare questo a Natale, nella Notte della Natività del Signore Gesù: Dio è vicino a

noi e noi siamo vicini a Dio, come in una famiglia. Lo stesso presepio, con i suoi sentieri e i suoi

percorsi, ci ricorda che siamo incamminati sulle sue orme, sulle sue tracce: insieme sulla stessa strada

verso Gesù.

Il profeta Isaia (I lettura) ci parla appunto di un popolo in cammino: «il popolo che camminava nelle

tenebre ha visto una grande luce». L’umanità ha visto una luce, un segno, un’impronta ben visibile:

quella di Dio! Una presenza rassicurante, quasi familiare, che ci illumina e ci dà conforto; che dà un

significato nuovo ai nostri quotidiani e unici itinerari di vita; che dà senso pieno e definitivo alla

nostra storia personale e sociale, a quella del mondo e dell’intera umanità. Le tracce di Dio, le sue

impronte, le sue orme danno ormai un senso pieno, una meta e un perché anche alle nostre, spesso

vaganti e incerte.

San Paolo (II lettura) ci invita a saper dire dei “no” decisi e a cercare di vivere le virtù teologali e umane,

perché altri scoprano le tracce di Dio e le seguano per non disperdersi sulle vie che portano al nulla,

lontano da Dio.

Gli eventi storici hanno chiesto a Maria e a Giuseppe di fare un cammino da Nazaret fino a

Betlemme (Vangelo); di lasciare le loro sicurezze per fidarsi di Dio; di riconoscere in quel piccolo

e fragile Bambino il Figlio di Dio fatto uomo.

Anche a noi, oggi, in questo tempo e in questo mondo, è chiesto di incamminarci in una direzione

e di lasciare una traccia del nostro cammino per le nostre famiglie, le comunità, per il mondo. Come

i pastori, anche se è buio, anche se è notte, con coraggio possiamo iniziare o riprendere il cammino

per accogliere l’annuncio di gioia del Natale per noi e per l’intera famiglia umana: il nostro

Salvatore è quel Bambino nato per noi.

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PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaìa (9,1-6)

Ci è stato dato un figlio

Il popolo che camminava nelle tenebre

ha visto una grande luce;

su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse,

Hai moltiplicato la gioia,

hai aumentato la letizia.

Gioiscono davanti a te

come si gioisce quando si miete

e come si esulta quando si divide la preda.

Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,

la sbarra sulle sue spalle,

e il bastone del suo aguzzino,

come nel giorno di Madian.

Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando

e ogni mantello intriso di sangue

saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.

Perché un bambino è nato per noi,

ci è stato dato un figlio.

Sulle sue spalle è il potere

e il suo nome sarà:

Consigliere mirabile, Dio potente,

Padre per sempre, Principe della pace.

Grande sarà il suo potere

e la pace non avrà fine

sul trono di Davide e sul suo regno,

che egli viene a consolidare e rafforzare

con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.

Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

Parola di Dio.

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Is 9, 1-6

Un’era di pace

Il libro di Isaia si apre con una sezione di oracoli contro Giuda e Israele (Is 1-5). Dopo di essa è stata

collocata una seconda raccolta chiamata «Libretto dell’Emmanuele» (Is 6-12), in quanto al centro di

essa si trova una figura regale che è designata con questo titolo.

Il tema dell'Emmanuele è presente in un importante oracolo, nel quale si descrive la missione salvifica

affidata al fanciullo promesso (9,1-6).

L’oracolo inizia con una constatazione piena di stupore: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha

visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (v. 1). La luce di

cui si parla qui è simbolo di una gioia straordinaria, provocata da un evento di origine soprannaturale.

Coloro che erano depressi per una grande rovina adesso si rendono conto che essa è passata e un

nuovo periodo ha avuto inizio.

Prima di dire in che cosa consisteva questa svolta, l’autore si sofferma sull’esperienza positiva della

luce, che viene illustrata con due paragoni: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.

Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda»

(v. 2). La luce è dunque una metafora per indicare una grandissima gioia, che nelle circostanze

dell’epoca è comparabile a quella dei mietitori che raccolgono una messe abbondante o a quella di

coloro che, dopo aver vinto una battaglia, si spartiscono il bottino.

Infine viene indicato il motivo di tanta gioia: «Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la

sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian» (v. 3). La gioia di

cui parla il profeta è determinata dalla liberazione dalla dominazione straniera, immaginata come lo

spezzarsi del giogo o della sbarra che pesa sulle spalle oppure del bastone dell'aguzzino. Tutto il

popolo è di nuovo libero e può provvedere senza difficoltà alla sua esistenza. Questa liberazione

viene paragonata a quella che ha avuto luogo «nel giorno di Madian», cioè alla vittoria del tutto

inaspettata riportata da Gedeone con soli trecento uomini sull’esercito imponente dei madianiti.

L’oracolo procede poi indicando un altro motivo di gioia, che consiste nel fatto che alla liberazione

fa seguito la pace, significata mediante l'eliminazione dei segni di guerra (calzatura di soldato,

mantello intriso di sangue) (v. 4).

Come artefice della liberazione e della pace viene indicato un bambino di stirpe regale, il quale riceve,

al momento dell'ascesa al trono, quattro nomi simbolici (v. 5), nei quali sono compendiate in sommo

grado le qualità tipiche del re: «Consigliere mirabile», dotato cioè di una grande sapienza (cfr. la

figura di Salomone in 1Re 3), «Dio potente», in quanto possiede in sommo grado le doti militari (cfr.

l'esempio di Davide), «Padre per sempre», a motivo della sollecitudine per il popolo (cfr. 1Sam 24,12,

dove Saul è chiamato «padre») e infine «Principe della pace» per la sua capacità di attuare una pace

duratura (cfr. 1Re 5,18).

Sull'ultimo titolo in modo particolare viene posto l'accento: per merito del re fanciullo inizierà

un'epoca di pace per la dinastia davidica e per il regno di Giuda, che egli, con l'aiuto di JHWH, fonderà

saldamente sul diritto e sulla giustizia (v. 6).

In questo testo Isaia, ispirandosi all'idea biblica che vede nel re lo strumento di cui Dio si serve per

conferire al popolo la salvezza e la pace, annuncia la venuta di un nuovo re che attuerà pienamente

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il progetto di Dio. È probabile che il profeta, deluso dal comportamento di Acaz, abbia riposto tutte

le sue speranze in Ezechia, la cui nascita era già stata da lui presentata come segno della permanente

assistenza divina. Se è vero, come ritengono numerosi studiosi, che già nel 727 Ezechia ancora

fanciullo sia stato assunto al trono, sarebbe stata questa l'occasione in cui l'oracolo è stato composto.

Questo oracolo mette in luce l’importanza di una liberazione dal potere straniero, visto come un

peso che condiziona tutta la vita di un popolo, creando sfruttamento e miseria. Dall’indipendenza

politica e sociale dipende una pace vera e duratura, da cui deriva il progresso in campo materiale.

Al centro di questo oracolo di pace c’è la figura di un bambino, discendente di Davide, immagine di

non violenza. La vera liberazione non si conquista esercitando la violenza, ma astenendosi da essa. E

di questa scelta sono responsabili soprattutto i governanti.

La liberazione deve perciò trarre origine dal cuore della gente e deve fondarsi su una ricerca costante

della giustizia e della solidarietà fra tutti i membri del popolo. Senza giustizia non esiste pace vera.

Ma proprio per questa sua dimensione spirituale, la liberazione vera è un dono che viene dall’alto, fa

parte di un ideale che può trovare solo in Dio le sue motivazioni. Non si tratta però di un Dio che si

sostituisce all’uomo, ma di un Dio che illumina e stimola le coscienze, orientandole alla ricerca di

quello che è il vero bene per tutta la società.

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SALMO RESPONSORIALE (Sal 95,1-3.11-13) (96)

Oggi è nato per noi il Salvatore.

Cantate al Signore un canto nuovo,

cantate al Signore, uomini di tutta la terra.

Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.

In mezzo alle genti narrate la sua gloria,

a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,

risuoni il mare e quanto racchiude;

sia in festa la campagna e quanto contiene,

acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:

sì, egli viene a giudicare la terra;

giudicherà il mondo con giustizia

e nella sua fedeltà i popoli.

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SALMO 95 (96)

La regalità di JHWH

Questo salmo fa parte del gruppo di composizioni in cui si esalta la regalità di JHWH. Questa si

esercita non solo su Israele, il popolo che egli guida alla vittoria contro i suoi nemici, ma su tutto

l’universo, che egli ha creato vincendo il caos primordiale. È possibile che questi salmi fossero recitati

precisamente nel contesto di una festa in onore di JHWH re. In essi si riflette infatti il rituale di una

celebrazione liturgica. I temi sviluppati in questi salmi sono simili a quelli del Deuteroisaia: è dunque

possibile che siano stati composti alla fine dell’esilio.

Il Sal 95(96) si divide in tre parti:

1) invito alla lode universale (vv. 1-6)

2) invito all’adorazione universale (vv. 7-10)

3) invito alla lode cosmica (vv. 11-13)

I temi della selezione di versetti ripresa dal testo liturgico sono i seguenti:

a) La regalità di JHWH. Nella Bibbia il concetto della regalità di JHWH getta le sue radici nella teologia

dell’esodo e dell’alleanza. JHWH è re non perché impone il suo dominio su Israele, ma perché lo

libera dall’Egitto e si impegna a salvarlo nelle complesse vicende della sua storia. Si tratta dunque di

una regalità che si fa garante della giustizia all’interno di Israele e nei suoi rapporti con l’esterno. In

questo salmo si afferma che la regalità di JHWH si esercita non solo su Israele, ma su tutta l’umanità.

Anzi è la regalità di JHWH che dà stabilità a tutto il cosmo.

b) La lode. A motivo della sua regalità, spetta a JHWH la lode di Israele. Questo popolo deve cantare

a JHWH un canto nuovo: la novità del canto è determinata non tanto dalla ricerca di nuove parole,

ma dai nuovi interventi salvifici di JHWH che richiedono sempre nuove espressioni di lode. Il canto

ha lo scopo di «benedire» il nome di JHWH, cioè di esaltarlo per i prodigi da lui compiuti e di

annunziare di giorno in giorno la salvezza da lui donata. Questa salvezza consiste non tanto in una

liberazione politica ma nella possibilità di vivere in pace sotto la sovranità di JHWH.

c) La sottomissione dei popoli. Il popolo deve cantare a JHWH da tutta la terra: probabilmente si

allude alla diaspora nella quale si trovano ancora molti giudei. Costoro devono narrare in mezzo alle

nazioni la sua gloria, cioè la sua manifestazione immaginata come una luce sfolgorante. Ad esse

devono dire i suoi prodigi. Il salmista invita le nazioni a unirsi a Israele nel dare gloria e potenza a

JHWH. Davanti a lui tutta la terra deve tremare. Tutte le nazioni sono dunque sottomesse a lui ed

egli le giudica, cioè le punisce con rettitudine. Anche nei confronti delle nazioni JHWH si manifesta

come un re misericordioso.

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SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo Apostolo a Tito (2,11-14)

E' apparsa la grazia di Dio per tutti gli uomini

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci

insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo

con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della

manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.

Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé

un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

Parola di Dio.

CANTO AL VANGELO (Lc 2,10-11)

Alleluia, alleluia.

Vi annuncio una grande gioia:

oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore.

Alleluia.

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Tt 2,11-14

Battesimo e salvezza in Cristo

La lettera a Tito inizia con il prescritto (1,1-4) a cui fa seguito una breve introduzione riguardante la

missione di Tito (1,5-9). Il corpo della lettera inizia e termina con la messa in guardia nei confronti

dei falsi dottori (1,10-16; 3,9-11). Al centro si trovano alcune esortazioni pratiche che Tito deve

rivolgere ai membri della comunità riguardanti i rapporti fra di loro (2,1-15) e con gli estranei (3,1-

8). In ciascuno di questi due brani viene dato ampio spazio alla motivazione teologica. Il brano

liturgico riporta la motivazione teologica della prima esortazione, riguardante la manifestazione della

grazia di Dio (2,11-14).

La manifestazione della grazia di Dio

Dopo aver dato a Tito l’incarico di portare sulla retta via tutti i membri della comunità, l’autore della

lettera gli indica il motivo per cui deve impegnarsi a fondo nella sua opera pastorale. Egli si riferisce

a un evento di importanza determinante per tutta l’umanità: «È apparsa la grazia di Dio, che porta

salvezza a tutti gli uomini» (v. 11). Tutto è cominciato per iniziativa di Dio, il quale ha manifestato la

sua grazia, cioè la sua bontà e il suo amore per gli uomini. Ci troviamo quindi davanti a una epifania

divina, che ha avuto luogo nel tempo e nello spazio. Dio manifesta la sua grazia conferendo la

«salvezza» a tutti gli uomini. Con il termine «salvezza» si allude a colui che è il salvatore, Gesù Cristo,

il quale ha attuato un piano divino di ampiezza universale. Per il Paolo autentico la salvezza di tutta

l’umanità era prevalentemente un evento escatologico, cioè che si realizzerà alla fine dei tempi. Ora

invece è diventata una realtà già attuale a cui tutti possono accedere.

Mediante la sua grazia, Dio ha dato una profonda direttiva di vita (v. 12). L’insegnamento di Dio non

consiste in norme o leggi imposte con la sua autorità, ma in una istruzione che si incarna nella vita e

nell’esperienza umana. L’insegnamento di Dio ha come effetto una rottura con il passato, che

consiste nel rinnegamento dell’empietà, cioè della negazione di Dio, e dei desideri mondani, cioè

dell’attaccamento alle cose di questo mondo. In positivo esso dà al credente la possibilità di vivere

in questo mondo con sobrietà, giustizia e pietà, cioè esercitando correttamente il proprio rapporto

con se stesso, con il prossimo e con Dio. Per il Paolo autentico, sullo sfondo del 10° comandamento,

la vita cristiana è una lotta contro i desideri della carne, visti come la manifestazione per eccellenza

del peccato. In questa sintesi invece si tratta dei desideri di questo mondo, a cui corrisponde, come

antidoto, l’adozione di tre virtù che sono tipiche anche dell’insegnamento morale dei filosofi.

Il comportamento dei credenti ha una forte valenza escatologica (v. 13). La vita cristiana è dunque

connotata dalla speranza. Vi sono dunque due epifanie divine, una delle quali ha già avuto luogo

mediante la prima venuta di Cristo, mentre la seconda si attuerà in un imprecisato momento futuro

mediante il suo ritorno nella gloria. La prima manifestazione dà quindi fondamento alla speranza in

un compimento finale. Nella seconda epifania la manifestazione del nostro grande Dio è abbinata a

quella del salvatore Gesù Cristo.

Il motivo per cui è stato assegnato a Cristo il ruolo di salvatore è cosi formulato: «Egli ha dato se

stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga,

pieno di zelo per le opere buone» (v. 14). Il dono di sé praticato da Gesù allude a una funzione

sacerdotale, la quale però si attua non in un tempio, ma nella vita: con essa si indica una vita di

servizio a Dio e agli uomini spinta fino alle sue ultime conseguenze. Il suo scopo è espresso con due

termini: riscattare e purificare. Anzitutto Cristo ci riscatta, cioè porta a termine l’opera di Dio descritta

nell’AT come una liberazione degli schiavi di cui è autore JHWH; qui però si attua non una liberazione

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politica, ma unicamente la liberazione dall’iniquità. In secondo luogo, Cristo «forma» un popolo di

sua proprietà: questa espressione richiama la particolare condizione del popolo eletto dell’AT che

ora diventa prerogativa dei credenti in Cristo. Questo popolo nuovo si caratterizza per il fatto di

essere pieno di zelo per le opere buone. Il compimento delle opere buone (non le «opere della

legge») è quindi lo scopo della redenzione. Per ottenere questo scopo, Cristo diventa, con la sua

totale dedizione al Padre, modello e guida di quanti credono in lui.

Al centro di questo testo vi è l’intervento salvifico di Dio che ha avuto luogo una prima volta mediante

Gesù Cristo. In esso la grazia di Dio si è manifestata come bontà e amore per gli uomini. Lo scopo di

questa manifestazione è stata la formazione di un nuovo popolo redento e purificato mediante il

battesimo, che comporta il dono dello Spirito. Ma un giorno ci sarà una nuova manifestazione di Dio

mediante Gesù Cristo, che porterà a compimento le promesse, specialmente quella di conferire ai

credenti l’eredità. Nel frattempo essi sono chiamati a vivere nella speranza: se Dio ha già dato loro

tante grazie, non potrà non realizzare alla fine le promesse fatte.

Nell’attuazione del suo piano di salvezza Dio ha associato a sé Gesù Cristo, mediante il quale egli ha

attuato e attuerà alla fine la sua manifestazione all’umanità. L’unione tra Dio e Gesù Cristo è talmente

profonda da provocare il passaggio dall’uno all’altro dell’appellativo di salvatore. Ma non si perde di

vista la sua esperienza umana, che si è espressa mediante il dono di sé a Dio in favore degli uomini.

Nonostante l’orientamento cultuale di questa espressione, si può ancora intuire la percezione di una

vita offerta a Dio in quanto è stata spesa per i fratelli.

Da questo dono di Dio in Cristo deriva per i credenti la possibilità di distaccarsi dai desideri egoistici

tipici dell’umanità per vivere una vita santa. L’esercizio delle virtù non deriva dunque né dalla legge

né dallo sforzo della volontà, ma da un dono interiore che trasforma l’uomo cambiando in profondità

la sua mentalità e spingendolo spontaneamente al bene.

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VANGELO

Dal Vangelo secondo Luca (2,1-14)

Oggi è nato per voi un Salvatore

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento

di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era

governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria

città.

Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di

Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di

Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede

alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una

mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano

tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si

presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da

grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una

grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per

voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un

bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava

Dio e diceva:

«Gloria a Dio nel più alto dei cieli

e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Parola del Signore.

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Lc 2,1-14

La nascita di Gesù

Nel racconto lucano dell’infanzia di Gesù al dittico delle annunciazioni a Zaccaria (1,9-25) e a Maria

(1,26-38), di cui la visita di Maria a Elisabetta (1,39-56) è una specie di appendice, fa seguito quello

delle nascite, prima di Giovanni Battista (1,57-80), poi di Gesù (2,1-21), a cui fanno da appendice due

episodi: la presentazione di Gesù al tempio (2,22-40) e la presenza di Gesù tra i dottori nel tempio

(2,41-52). Il testo liturgico riprende la prima parte del racconto della nascita di Gesù, che si divide in

due momenti: circostanze della nascita (vv. 1-7) e annuncio ai pastori (vv. 8-14).

Le circostanze della nascita (vv. 1-7)

Luca non narra immediatamente la nascita di Gesù, ma si sofferma lungamente a descrivere le

circostanze in cui ha avuto luogo. Egli afferma che «in quei giorni» Cesare Augusto ordinò che venisse

fatto un censimento su tutta la terra (v. 1). La nascita si situa dunque in rapporto a un evento politico,

un censimento che riguardava «tutta la terra», cioè tutto l’impero romano. Buon amministratore,

Augusto voleva conoscere il numero esatto degli uomini disponibili per il servizio militare e la

distribuzione delle ricchezze per una migliore ripartizione delle imposte. Egli fece fare censimenti in

Gallia, Spagna, Egitto, Siria.

In occasione del censimento tutti andavano a farsi registrare nella propria città. Anche Giuseppe,

essendo discendente di Davide, si reca da Nazareth a Betlemme per farsi registrare insieme a Maria,

sua sposa, che era incinta (vv. 3-5). Betlemme era allora un piccolo villaggio della Giudea, situato

sette chilometri a sud di Gerusalemme. Da qui doveva uscire, secondo la profezia di Michea (5,1), il

nuovo Davide: per questo Luca gli attribuisce il titolo di «città di Davide», appellativo che

abitualmente indica Gerusalemme.

Luca prosegue il suo racconto dicendo che, mentre si trovavano in quel luogo, Maria diede alla luce

il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto

per loro nell’albergo (vv. 6-7). Il luogo in cui nasce Gesù, non è indicato, ma poteva essere una

normale casa di Betlemme, costituita, come succede ancora ai nostri giorni, da un’unica stanza

ricavata accanto a una grotta che serviva da stalla. Ciò significa che per partorire con una certa

privatezza Maria si è ritirata nella grotta adibita a stalla. Si spiega così la presenza di una mangiatoia.

La tradizione, raccolta da Giustino a partire dalla metà del II sec., secondo la quale Gesù sarebbe nato

in una grotta, non manca dunque di verosimiglianza.

L’espressione «primogenito», che prepara il racconto della presentazione al tempio, non esige

necessariamente che Maria abbia avuto altri figli dopo Gesù. Con un contrasto seducente, proprio

dello stile lucano, l’accenno alla mangiatoia e alla mancanza di posto prepara l’accoglienza degli

angeli e la designazione del bambino quale Messia. Il fatto che sia Maria stessa ad avvolgere in fasce

il bambino significa che lei, a differenza di Elisabetta (cfr. 1,57-58), è sola. Questo dettaglio potrebbe

alludere alla tradizione giudaica secondo cui in Israele le donne sante partorivano senza dolori, Luca

però non dice nulla a questo proposito.

I pastori (vv. 8-14)

Interrompendo il racconto della nascita di Gesù, Luca annota che in quella regione vi erano alcuni

pastori che, di notte, vegliavano il loro gregge (v. 8). La nascita di Gesù è avvenuta quindi in grande

Commenti tratti da: Commenti ai testi biblici - Padre A. Sacchi (Nicodemo.net)

Culmine e Fonte - Sussidio bimestrale di formazione e spiritualità liturgica (ufficioliturgicoroma.it)

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semplicità e nel silenzio della notte: questo è un tema ben conosciuto nella letteratura aggadica

giudaica, secondo la quale tutti i grandi eventi di salvezza succedono di notte.

Da questi pastori si reca un angelo del Signore. La gloria del Signore li avvolge allora di luce. Essi

sono colti da grande spavento; l’angelo si rivolge a loro, li invita a non temere, e comunica loro

l’annuncio di una grande gioia destinata a diffondersi in tutto il popolo: nella città di Davide è nato

un salvatore che è il Cristo Signore. Egli dà loro come segno il fatto che troveranno un bambino

avvolto in fasce che giace in una mangiatoia (vv. 9-12). In questa presentazione si può individuare lo

schema di un racconto di annunciazione: presentazione dei personaggi; apparizione dell’angelo e

turbamento dei pastori; l’invito a «non temere»; la comunicazione di un messaggio riguardante Gesù

e la sua missione (Salvatore, Cristo, Signore) e infine il conferimento di un segno. Si notino i contrasti

tra notte e luce, timore e gioia messianica, rivelazione angelica e piccolezza del segno, povertà della

mangiatoia e gloria del Signore, cielo e terra.

L’angelo designa Gesù con il titolo di «Salvatore». Nella Bibbia greca dei Settanta, la parola

«salvatore» è generalmente riservata a Dio; questo titolo era usato specialmente nel mondo

ellenistico per designare gli dèi e i re: in ambito cristiano è stato adottato in particolare nelle

comunità cristiane della Diaspora. Nei LXX l’appellativo di «Signore» indica Dio. Per Luca il titolo di

«Salvatore» e quello molto raro di «Cristo Signore» possono indicare solamente il Messia. Essi sono

rivelati da Dio e il loro significato va al di là di ogni comprensione umana.

Dopo che l’angelo ha annunciato il suo messaggio, a lui si unisce una moltitudine di altri esseri celesti

che lodavano Dio dicendo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli

ama» (vv. 13-14). A Dio, che secondo un’immagine corrente dimora nei cieli più alti viene attribuita

la gloria, mentre in terra augurata la pace agli uomini «del ben volere»: questa espressione può

riferirsi agli uomini (gli uomini «di buona volontà»), ma più probabilmente a Dio (gli uomini «oggetto

del suo amore»). In altre parole si vuol dire che la pace è un segno della benevolenza divina, che è

offerta a tutti ma che non tutti accolgono nello stesso modo.

La nascita di Gesù viene collegata da Luca a un evento sociale e politico di grande importanza, come

era un censimento. Su questo sfondo di potenza umana la nascita del Messia appare come qualcosa

di insignificante, anzi come un evento che contrasta con ogni apparenza di potere e di ricchezza: per

lui non c’è posto dove stanno le persone per bene e il solo luogo a disposizione è una grotta fornita

di una mangiatoia. Il lettore perciò coglie nel racconto l’idea che anche i grandi eventi della storia

umana sono piegati da Dio a servire come strumento di quella salvezza che egli sta attuando per

tutta l’umanità: in altre parole il censimento è avvenuto perché si compissero le Scritture in base alle

quali il Messia doveva nascere a Betlemme.

La semplicità e ordinarietà della nascita del Messia non deve però ingannare il lettore. La sua

importanza viene sottolineata dal narratore mediante la scena dell’angelo che, con la partecipazione

delle schiere celesti, rivela la straordinaria grandezza del bambino appena nato. Egli è il salvatore, il

Cristo Signore. La rivelazione non riguarda semplicemente i pastori, ma raggiunge il mondo intero:

essa va dall’alto al basso, dalle schiere degli angeli ai pastori, cioè a una delle categorie sociali più

disprezzate dell’epoca al pari dei peccatori e dei pubblicani. L’annuncio ai pastori rivela la dimensione

sociale e cosmica dell’evento divino che si è appena compiuto: gli angeli, i pastori, gli uomini tutti

sono coinvolti da questa nascita.