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SOLENNITA’
DEL NATALE DEL SIGNORE
La celebrazione del tempo del Natale del Signore
Il Tempo di Natale, che inizia con la Messa vespertina
della vigilia e/o con i primi Vespri di quel giorno e
termina con la domenica che cade dopo il 6 gennaio,
continua la tematica dell’Avvento ed è diviso in due
parti: la prima comprende il periodo di tempo che si
estende tra il Natale del Signore e la solennità
dell’Epifania, mentre la seconda parte inizia con
l’Epifania e termina con la festa del Battesimo del
Signore. All’interno della prima parte del Tempo di
Natale sono poste l’ottava, che culmina nella solennità
di Maria Santissima Madre di Dio, la celebrazione del
corteo del Signore, la festa della Santa Famiglia e la
solennità dell’Epifania.
Il tempo natalizio è il prologo della grande festa di Pasqua, ma allo stesso tempo diventa una
preparazione verso la celebrazione più completa del Mistero Pasquale.
Uno degli argomenti che caratterizzano il Natale è il tema dell’ammirevole scambio divino tra l’uomo
e Cristo. Da un lato vi è il richiamo all’Eucaristia, dove il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue
di Cristo. Per altro verso, invece, il riferimento è allo scambio, tradotto come mistero, che si riferisce
a Gesù Cristo, il quale nell’incarnazione prende la nostra carne mortale e quindi diventa vero uomo
portandoci la sua divinità, perché per mezzo di essa noi troviamo l’espressione della nostra. Cristo,
prendendo la nostra natura umana, ci innalza verso la sua divinità. L’eucologia di questo tempo mette
particolarmente in risalto questo doppio aspetto di divina grandezza e di umile umanità che
costituisce l’essenza stessa del mistero del Natale. La divinità e l’umanità del Figlio di Dio sono la
tematica centrale del tempo di Natale.
Le tre Messe del giorno del Natale
Le tre messe del giorno di Natale, quella della notte (in nocte), quella dell’alba (in aurora) e quella
del giorno (in die), sono di origine romana.
Dal secolo IV al secolo VIII la Messa della notte veniva celebrata dal Papa nella Basilica di Santa Maria.
Nel pomeriggio della vigilia il Pontefice lasciava la sua residenza in Laterano per dirigersi alla Basilica
di Santa Maria con tutto il corteo papale e i fedeli e veniva celebrata la Messa in nocte. Terminata la
Messa della notte il corteo papale partiva nuovamente dalla Basilica di Santa Maria per dirigersi verso
il Vaticano ove, all’interno della Basilica di San Pietro, il Papa celebrava la Messa in die. Lungo il
tragitto il Pontefice sostava presso il Palatino dove, presso la chiesa stazionale di Santa Anastasia,
celebrava la Messa in aurora. Terminata la Messa in aurora il Papa si dirigeva presso San Pietro ove
celebrava la Messa in die. La tradizione di queste tre messe è stata successivamente acquisita nei
sacramentari e, attraverso la Liturgia di Rito Romano, si è diffusa in tutto l’Occidente. Da questa
tradizione deriva la possibilità per tutti i sacerdoti di poter celebrare o concelebrare nel giorno di
Natale tre Messe, purché distanziate secondo l’orario corrispondente ai tre formulari: nella notte, di
primo mattino, durante il giorno.
Commenti tratti da: Commenti ai testi biblici - Padre A. Sacchi (Nicodemo.net)
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MESSA DELLA NOTTE (in nocte) Lc 2, 1-14; Is 9, 1-6; Sal 95; Tt 2, 11-14
Colletta
Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra lo contempliamo
nei suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
La Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Divina Rivelazione Dei Verbum (n. 2) afferma: «Con
la sua rivelazione, infatti, Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si
intrattiene con essi per invitarli alla comunione con sé».
Come è bello pensare questo a Natale, nella Notte della Natività del Signore Gesù: Dio è vicino a
noi e noi siamo vicini a Dio, come in una famiglia. Lo stesso presepio, con i suoi sentieri e i suoi
percorsi, ci ricorda che siamo incamminati sulle sue orme, sulle sue tracce: insieme sulla stessa strada
verso Gesù.
Il profeta Isaia (I lettura) ci parla appunto di un popolo in cammino: «il popolo che camminava nelle
tenebre ha visto una grande luce». L’umanità ha visto una luce, un segno, un’impronta ben visibile:
quella di Dio! Una presenza rassicurante, quasi familiare, che ci illumina e ci dà conforto; che dà un
significato nuovo ai nostri quotidiani e unici itinerari di vita; che dà senso pieno e definitivo alla
nostra storia personale e sociale, a quella del mondo e dell’intera umanità. Le tracce di Dio, le sue
impronte, le sue orme danno ormai un senso pieno, una meta e un perché anche alle nostre, spesso
vaganti e incerte.
San Paolo (II lettura) ci invita a saper dire dei “no” decisi e a cercare di vivere le virtù teologali e umane,
perché altri scoprano le tracce di Dio e le seguano per non disperdersi sulle vie che portano al nulla,
lontano da Dio.
Gli eventi storici hanno chiesto a Maria e a Giuseppe di fare un cammino da Nazaret fino a
Betlemme (Vangelo); di lasciare le loro sicurezze per fidarsi di Dio; di riconoscere in quel piccolo
e fragile Bambino il Figlio di Dio fatto uomo.
Anche a noi, oggi, in questo tempo e in questo mondo, è chiesto di incamminarci in una direzione
e di lasciare una traccia del nostro cammino per le nostre famiglie, le comunità, per il mondo. Come
i pastori, anche se è buio, anche se è notte, con coraggio possiamo iniziare o riprendere il cammino
per accogliere l’annuncio di gioia del Natale per noi e per l’intera famiglia umana: il nostro
Salvatore è quel Bambino nato per noi.
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PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Isaìa (9,1-6)
Ci è stato dato un figlio
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse,
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Madian.
Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.
Parola di Dio.
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Is 9, 1-6
Un’era di pace
Il libro di Isaia si apre con una sezione di oracoli contro Giuda e Israele (Is 1-5). Dopo di essa è stata
collocata una seconda raccolta chiamata «Libretto dell’Emmanuele» (Is 6-12), in quanto al centro di
essa si trova una figura regale che è designata con questo titolo.
Il tema dell'Emmanuele è presente in un importante oracolo, nel quale si descrive la missione salvifica
affidata al fanciullo promesso (9,1-6).
L’oracolo inizia con una constatazione piena di stupore: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha
visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (v. 1). La luce di
cui si parla qui è simbolo di una gioia straordinaria, provocata da un evento di origine soprannaturale.
Coloro che erano depressi per una grande rovina adesso si rendono conto che essa è passata e un
nuovo periodo ha avuto inizio.
Prima di dire in che cosa consisteva questa svolta, l’autore si sofferma sull’esperienza positiva della
luce, che viene illustrata con due paragoni: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda»
(v. 2). La luce è dunque una metafora per indicare una grandissima gioia, che nelle circostanze
dell’epoca è comparabile a quella dei mietitori che raccolgono una messe abbondante o a quella di
coloro che, dopo aver vinto una battaglia, si spartiscono il bottino.
Infine viene indicato il motivo di tanta gioia: «Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la
sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian» (v. 3). La gioia di
cui parla il profeta è determinata dalla liberazione dalla dominazione straniera, immaginata come lo
spezzarsi del giogo o della sbarra che pesa sulle spalle oppure del bastone dell'aguzzino. Tutto il
popolo è di nuovo libero e può provvedere senza difficoltà alla sua esistenza. Questa liberazione
viene paragonata a quella che ha avuto luogo «nel giorno di Madian», cioè alla vittoria del tutto
inaspettata riportata da Gedeone con soli trecento uomini sull’esercito imponente dei madianiti.
L’oracolo procede poi indicando un altro motivo di gioia, che consiste nel fatto che alla liberazione
fa seguito la pace, significata mediante l'eliminazione dei segni di guerra (calzatura di soldato,
mantello intriso di sangue) (v. 4).
Come artefice della liberazione e della pace viene indicato un bambino di stirpe regale, il quale riceve,
al momento dell'ascesa al trono, quattro nomi simbolici (v. 5), nei quali sono compendiate in sommo
grado le qualità tipiche del re: «Consigliere mirabile», dotato cioè di una grande sapienza (cfr. la
figura di Salomone in 1Re 3), «Dio potente», in quanto possiede in sommo grado le doti militari (cfr.
l'esempio di Davide), «Padre per sempre», a motivo della sollecitudine per il popolo (cfr. 1Sam 24,12,
dove Saul è chiamato «padre») e infine «Principe della pace» per la sua capacità di attuare una pace
duratura (cfr. 1Re 5,18).
Sull'ultimo titolo in modo particolare viene posto l'accento: per merito del re fanciullo inizierà
un'epoca di pace per la dinastia davidica e per il regno di Giuda, che egli, con l'aiuto di JHWH, fonderà
saldamente sul diritto e sulla giustizia (v. 6).
In questo testo Isaia, ispirandosi all'idea biblica che vede nel re lo strumento di cui Dio si serve per
conferire al popolo la salvezza e la pace, annuncia la venuta di un nuovo re che attuerà pienamente
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il progetto di Dio. È probabile che il profeta, deluso dal comportamento di Acaz, abbia riposto tutte
le sue speranze in Ezechia, la cui nascita era già stata da lui presentata come segno della permanente
assistenza divina. Se è vero, come ritengono numerosi studiosi, che già nel 727 Ezechia ancora
fanciullo sia stato assunto al trono, sarebbe stata questa l'occasione in cui l'oracolo è stato composto.
Questo oracolo mette in luce l’importanza di una liberazione dal potere straniero, visto come un
peso che condiziona tutta la vita di un popolo, creando sfruttamento e miseria. Dall’indipendenza
politica e sociale dipende una pace vera e duratura, da cui deriva il progresso in campo materiale.
Al centro di questo oracolo di pace c’è la figura di un bambino, discendente di Davide, immagine di
non violenza. La vera liberazione non si conquista esercitando la violenza, ma astenendosi da essa. E
di questa scelta sono responsabili soprattutto i governanti.
La liberazione deve perciò trarre origine dal cuore della gente e deve fondarsi su una ricerca costante
della giustizia e della solidarietà fra tutti i membri del popolo. Senza giustizia non esiste pace vera.
Ma proprio per questa sua dimensione spirituale, la liberazione vera è un dono che viene dall’alto, fa
parte di un ideale che può trovare solo in Dio le sue motivazioni. Non si tratta però di un Dio che si
sostituisce all’uomo, ma di un Dio che illumina e stimola le coscienze, orientandole alla ricerca di
quello che è il vero bene per tutta la società.
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SALMO RESPONSORIALE (Sal 95,1-3.11-13) (96)
Oggi è nato per noi il Salvatore.
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.
Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli.
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SALMO 95 (96)
La regalità di JHWH
Questo salmo fa parte del gruppo di composizioni in cui si esalta la regalità di JHWH. Questa si
esercita non solo su Israele, il popolo che egli guida alla vittoria contro i suoi nemici, ma su tutto
l’universo, che egli ha creato vincendo il caos primordiale. È possibile che questi salmi fossero recitati
precisamente nel contesto di una festa in onore di JHWH re. In essi si riflette infatti il rituale di una
celebrazione liturgica. I temi sviluppati in questi salmi sono simili a quelli del Deuteroisaia: è dunque
possibile che siano stati composti alla fine dell’esilio.
Il Sal 95(96) si divide in tre parti:
1) invito alla lode universale (vv. 1-6)
2) invito all’adorazione universale (vv. 7-10)
3) invito alla lode cosmica (vv. 11-13)
I temi della selezione di versetti ripresa dal testo liturgico sono i seguenti:
a) La regalità di JHWH. Nella Bibbia il concetto della regalità di JHWH getta le sue radici nella teologia
dell’esodo e dell’alleanza. JHWH è re non perché impone il suo dominio su Israele, ma perché lo
libera dall’Egitto e si impegna a salvarlo nelle complesse vicende della sua storia. Si tratta dunque di
una regalità che si fa garante della giustizia all’interno di Israele e nei suoi rapporti con l’esterno. In
questo salmo si afferma che la regalità di JHWH si esercita non solo su Israele, ma su tutta l’umanità.
Anzi è la regalità di JHWH che dà stabilità a tutto il cosmo.
b) La lode. A motivo della sua regalità, spetta a JHWH la lode di Israele. Questo popolo deve cantare
a JHWH un canto nuovo: la novità del canto è determinata non tanto dalla ricerca di nuove parole,
ma dai nuovi interventi salvifici di JHWH che richiedono sempre nuove espressioni di lode. Il canto
ha lo scopo di «benedire» il nome di JHWH, cioè di esaltarlo per i prodigi da lui compiuti e di
annunziare di giorno in giorno la salvezza da lui donata. Questa salvezza consiste non tanto in una
liberazione politica ma nella possibilità di vivere in pace sotto la sovranità di JHWH.
c) La sottomissione dei popoli. Il popolo deve cantare a JHWH da tutta la terra: probabilmente si
allude alla diaspora nella quale si trovano ancora molti giudei. Costoro devono narrare in mezzo alle
nazioni la sua gloria, cioè la sua manifestazione immaginata come una luce sfolgorante. Ad esse
devono dire i suoi prodigi. Il salmista invita le nazioni a unirsi a Israele nel dare gloria e potenza a
JHWH. Davanti a lui tutta la terra deve tremare. Tutte le nazioni sono dunque sottomesse a lui ed
egli le giudica, cioè le punisce con rettitudine. Anche nei confronti delle nazioni JHWH si manifesta
come un re misericordioso.
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SECONDA LETTURA
Dalla lettera di san Paolo Apostolo a Tito (2,11-14)
E' apparsa la grazia di Dio per tutti gli uomini
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci
insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo
con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della
manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé
un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
Parola di Dio.
CANTO AL VANGELO (Lc 2,10-11)
Alleluia, alleluia.
Vi annuncio una grande gioia:
oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore.
Alleluia.
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Tt 2,11-14
Battesimo e salvezza in Cristo
La lettera a Tito inizia con il prescritto (1,1-4) a cui fa seguito una breve introduzione riguardante la
missione di Tito (1,5-9). Il corpo della lettera inizia e termina con la messa in guardia nei confronti
dei falsi dottori (1,10-16; 3,9-11). Al centro si trovano alcune esortazioni pratiche che Tito deve
rivolgere ai membri della comunità riguardanti i rapporti fra di loro (2,1-15) e con gli estranei (3,1-
8). In ciascuno di questi due brani viene dato ampio spazio alla motivazione teologica. Il brano
liturgico riporta la motivazione teologica della prima esortazione, riguardante la manifestazione della
grazia di Dio (2,11-14).
La manifestazione della grazia di Dio
Dopo aver dato a Tito l’incarico di portare sulla retta via tutti i membri della comunità, l’autore della
lettera gli indica il motivo per cui deve impegnarsi a fondo nella sua opera pastorale. Egli si riferisce
a un evento di importanza determinante per tutta l’umanità: «È apparsa la grazia di Dio, che porta
salvezza a tutti gli uomini» (v. 11). Tutto è cominciato per iniziativa di Dio, il quale ha manifestato la
sua grazia, cioè la sua bontà e il suo amore per gli uomini. Ci troviamo quindi davanti a una epifania
divina, che ha avuto luogo nel tempo e nello spazio. Dio manifesta la sua grazia conferendo la
«salvezza» a tutti gli uomini. Con il termine «salvezza» si allude a colui che è il salvatore, Gesù Cristo,
il quale ha attuato un piano divino di ampiezza universale. Per il Paolo autentico la salvezza di tutta
l’umanità era prevalentemente un evento escatologico, cioè che si realizzerà alla fine dei tempi. Ora
invece è diventata una realtà già attuale a cui tutti possono accedere.
Mediante la sua grazia, Dio ha dato una profonda direttiva di vita (v. 12). L’insegnamento di Dio non
consiste in norme o leggi imposte con la sua autorità, ma in una istruzione che si incarna nella vita e
nell’esperienza umana. L’insegnamento di Dio ha come effetto una rottura con il passato, che
consiste nel rinnegamento dell’empietà, cioè della negazione di Dio, e dei desideri mondani, cioè
dell’attaccamento alle cose di questo mondo. In positivo esso dà al credente la possibilità di vivere
in questo mondo con sobrietà, giustizia e pietà, cioè esercitando correttamente il proprio rapporto
con se stesso, con il prossimo e con Dio. Per il Paolo autentico, sullo sfondo del 10° comandamento,
la vita cristiana è una lotta contro i desideri della carne, visti come la manifestazione per eccellenza
del peccato. In questa sintesi invece si tratta dei desideri di questo mondo, a cui corrisponde, come
antidoto, l’adozione di tre virtù che sono tipiche anche dell’insegnamento morale dei filosofi.
Il comportamento dei credenti ha una forte valenza escatologica (v. 13). La vita cristiana è dunque
connotata dalla speranza. Vi sono dunque due epifanie divine, una delle quali ha già avuto luogo
mediante la prima venuta di Cristo, mentre la seconda si attuerà in un imprecisato momento futuro
mediante il suo ritorno nella gloria. La prima manifestazione dà quindi fondamento alla speranza in
un compimento finale. Nella seconda epifania la manifestazione del nostro grande Dio è abbinata a
quella del salvatore Gesù Cristo.
Il motivo per cui è stato assegnato a Cristo il ruolo di salvatore è cosi formulato: «Egli ha dato se
stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga,
pieno di zelo per le opere buone» (v. 14). Il dono di sé praticato da Gesù allude a una funzione
sacerdotale, la quale però si attua non in un tempio, ma nella vita: con essa si indica una vita di
servizio a Dio e agli uomini spinta fino alle sue ultime conseguenze. Il suo scopo è espresso con due
termini: riscattare e purificare. Anzitutto Cristo ci riscatta, cioè porta a termine l’opera di Dio descritta
nell’AT come una liberazione degli schiavi di cui è autore JHWH; qui però si attua non una liberazione
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politica, ma unicamente la liberazione dall’iniquità. In secondo luogo, Cristo «forma» un popolo di
sua proprietà: questa espressione richiama la particolare condizione del popolo eletto dell’AT che
ora diventa prerogativa dei credenti in Cristo. Questo popolo nuovo si caratterizza per il fatto di
essere pieno di zelo per le opere buone. Il compimento delle opere buone (non le «opere della
legge») è quindi lo scopo della redenzione. Per ottenere questo scopo, Cristo diventa, con la sua
totale dedizione al Padre, modello e guida di quanti credono in lui.
Al centro di questo testo vi è l’intervento salvifico di Dio che ha avuto luogo una prima volta mediante
Gesù Cristo. In esso la grazia di Dio si è manifestata come bontà e amore per gli uomini. Lo scopo di
questa manifestazione è stata la formazione di un nuovo popolo redento e purificato mediante il
battesimo, che comporta il dono dello Spirito. Ma un giorno ci sarà una nuova manifestazione di Dio
mediante Gesù Cristo, che porterà a compimento le promesse, specialmente quella di conferire ai
credenti l’eredità. Nel frattempo essi sono chiamati a vivere nella speranza: se Dio ha già dato loro
tante grazie, non potrà non realizzare alla fine le promesse fatte.
Nell’attuazione del suo piano di salvezza Dio ha associato a sé Gesù Cristo, mediante il quale egli ha
attuato e attuerà alla fine la sua manifestazione all’umanità. L’unione tra Dio e Gesù Cristo è talmente
profonda da provocare il passaggio dall’uno all’altro dell’appellativo di salvatore. Ma non si perde di
vista la sua esperienza umana, che si è espressa mediante il dono di sé a Dio in favore degli uomini.
Nonostante l’orientamento cultuale di questa espressione, si può ancora intuire la percezione di una
vita offerta a Dio in quanto è stata spesa per i fratelli.
Da questo dono di Dio in Cristo deriva per i credenti la possibilità di distaccarsi dai desideri egoistici
tipici dell’umanità per vivere una vita santa. L’esercizio delle virtù non deriva dunque né dalla legge
né dallo sforzo della volontà, ma da un dono interiore che trasforma l’uomo cambiando in profondità
la sua mentalità e spingendolo spontaneamente al bene.
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VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (2,1-14)
Oggi è nato per voi un Salvatore
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento
di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era
governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria
città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di
Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di
Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede
alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una
mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano
tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si
presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da
grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una
grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per
voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un
bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava
Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Parola del Signore.
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Lc 2,1-14
La nascita di Gesù
Nel racconto lucano dell’infanzia di Gesù al dittico delle annunciazioni a Zaccaria (1,9-25) e a Maria
(1,26-38), di cui la visita di Maria a Elisabetta (1,39-56) è una specie di appendice, fa seguito quello
delle nascite, prima di Giovanni Battista (1,57-80), poi di Gesù (2,1-21), a cui fanno da appendice due
episodi: la presentazione di Gesù al tempio (2,22-40) e la presenza di Gesù tra i dottori nel tempio
(2,41-52). Il testo liturgico riprende la prima parte del racconto della nascita di Gesù, che si divide in
due momenti: circostanze della nascita (vv. 1-7) e annuncio ai pastori (vv. 8-14).
Le circostanze della nascita (vv. 1-7)
Luca non narra immediatamente la nascita di Gesù, ma si sofferma lungamente a descrivere le
circostanze in cui ha avuto luogo. Egli afferma che «in quei giorni» Cesare Augusto ordinò che venisse
fatto un censimento su tutta la terra (v. 1). La nascita si situa dunque in rapporto a un evento politico,
un censimento che riguardava «tutta la terra», cioè tutto l’impero romano. Buon amministratore,
Augusto voleva conoscere il numero esatto degli uomini disponibili per il servizio militare e la
distribuzione delle ricchezze per una migliore ripartizione delle imposte. Egli fece fare censimenti in
Gallia, Spagna, Egitto, Siria.
In occasione del censimento tutti andavano a farsi registrare nella propria città. Anche Giuseppe,
essendo discendente di Davide, si reca da Nazareth a Betlemme per farsi registrare insieme a Maria,
sua sposa, che era incinta (vv. 3-5). Betlemme era allora un piccolo villaggio della Giudea, situato
sette chilometri a sud di Gerusalemme. Da qui doveva uscire, secondo la profezia di Michea (5,1), il
nuovo Davide: per questo Luca gli attribuisce il titolo di «città di Davide», appellativo che
abitualmente indica Gerusalemme.
Luca prosegue il suo racconto dicendo che, mentre si trovavano in quel luogo, Maria diede alla luce
il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto
per loro nell’albergo (vv. 6-7). Il luogo in cui nasce Gesù, non è indicato, ma poteva essere una
normale casa di Betlemme, costituita, come succede ancora ai nostri giorni, da un’unica stanza
ricavata accanto a una grotta che serviva da stalla. Ciò significa che per partorire con una certa
privatezza Maria si è ritirata nella grotta adibita a stalla. Si spiega così la presenza di una mangiatoia.
La tradizione, raccolta da Giustino a partire dalla metà del II sec., secondo la quale Gesù sarebbe nato
in una grotta, non manca dunque di verosimiglianza.
L’espressione «primogenito», che prepara il racconto della presentazione al tempio, non esige
necessariamente che Maria abbia avuto altri figli dopo Gesù. Con un contrasto seducente, proprio
dello stile lucano, l’accenno alla mangiatoia e alla mancanza di posto prepara l’accoglienza degli
angeli e la designazione del bambino quale Messia. Il fatto che sia Maria stessa ad avvolgere in fasce
il bambino significa che lei, a differenza di Elisabetta (cfr. 1,57-58), è sola. Questo dettaglio potrebbe
alludere alla tradizione giudaica secondo cui in Israele le donne sante partorivano senza dolori, Luca
però non dice nulla a questo proposito.
I pastori (vv. 8-14)
Interrompendo il racconto della nascita di Gesù, Luca annota che in quella regione vi erano alcuni
pastori che, di notte, vegliavano il loro gregge (v. 8). La nascita di Gesù è avvenuta quindi in grande
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semplicità e nel silenzio della notte: questo è un tema ben conosciuto nella letteratura aggadica
giudaica, secondo la quale tutti i grandi eventi di salvezza succedono di notte.
Da questi pastori si reca un angelo del Signore. La gloria del Signore li avvolge allora di luce. Essi
sono colti da grande spavento; l’angelo si rivolge a loro, li invita a non temere, e comunica loro
l’annuncio di una grande gioia destinata a diffondersi in tutto il popolo: nella città di Davide è nato
un salvatore che è il Cristo Signore. Egli dà loro come segno il fatto che troveranno un bambino
avvolto in fasce che giace in una mangiatoia (vv. 9-12). In questa presentazione si può individuare lo
schema di un racconto di annunciazione: presentazione dei personaggi; apparizione dell’angelo e
turbamento dei pastori; l’invito a «non temere»; la comunicazione di un messaggio riguardante Gesù
e la sua missione (Salvatore, Cristo, Signore) e infine il conferimento di un segno. Si notino i contrasti
tra notte e luce, timore e gioia messianica, rivelazione angelica e piccolezza del segno, povertà della
mangiatoia e gloria del Signore, cielo e terra.
L’angelo designa Gesù con il titolo di «Salvatore». Nella Bibbia greca dei Settanta, la parola
«salvatore» è generalmente riservata a Dio; questo titolo era usato specialmente nel mondo
ellenistico per designare gli dèi e i re: in ambito cristiano è stato adottato in particolare nelle
comunità cristiane della Diaspora. Nei LXX l’appellativo di «Signore» indica Dio. Per Luca il titolo di
«Salvatore» e quello molto raro di «Cristo Signore» possono indicare solamente il Messia. Essi sono
rivelati da Dio e il loro significato va al di là di ogni comprensione umana.
Dopo che l’angelo ha annunciato il suo messaggio, a lui si unisce una moltitudine di altri esseri celesti
che lodavano Dio dicendo: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli
ama» (vv. 13-14). A Dio, che secondo un’immagine corrente dimora nei cieli più alti viene attribuita
la gloria, mentre in terra augurata la pace agli uomini «del ben volere»: questa espressione può
riferirsi agli uomini (gli uomini «di buona volontà»), ma più probabilmente a Dio (gli uomini «oggetto
del suo amore»). In altre parole si vuol dire che la pace è un segno della benevolenza divina, che è
offerta a tutti ma che non tutti accolgono nello stesso modo.
La nascita di Gesù viene collegata da Luca a un evento sociale e politico di grande importanza, come
era un censimento. Su questo sfondo di potenza umana la nascita del Messia appare come qualcosa
di insignificante, anzi come un evento che contrasta con ogni apparenza di potere e di ricchezza: per
lui non c’è posto dove stanno le persone per bene e il solo luogo a disposizione è una grotta fornita
di una mangiatoia. Il lettore perciò coglie nel racconto l’idea che anche i grandi eventi della storia
umana sono piegati da Dio a servire come strumento di quella salvezza che egli sta attuando per
tutta l’umanità: in altre parole il censimento è avvenuto perché si compissero le Scritture in base alle
quali il Messia doveva nascere a Betlemme.
La semplicità e ordinarietà della nascita del Messia non deve però ingannare il lettore. La sua
importanza viene sottolineata dal narratore mediante la scena dell’angelo che, con la partecipazione
delle schiere celesti, rivela la straordinaria grandezza del bambino appena nato. Egli è il salvatore, il
Cristo Signore. La rivelazione non riguarda semplicemente i pastori, ma raggiunge il mondo intero:
essa va dall’alto al basso, dalle schiere degli angeli ai pastori, cioè a una delle categorie sociali più
disprezzate dell’epoca al pari dei peccatori e dei pubblicani. L’annuncio ai pastori rivela la dimensione
sociale e cosmica dell’evento divino che si è appena compiuto: gli angeli, i pastori, gli uomini tutti
sono coinvolti da questa nascita.