sociologia in PILLOLE

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SOCIOLOGIA ECONOMICA IN PILLOLE SOCIOLOGIA ECONOMICA : insieme di studi e ricerche volti ad approfondire i rapporti di interdipendenza tra fenomeni economici e sociali. La sociologia economica ha sviluppato un metodo più legato all’indagine storico-empirica e dunque problematizza gli assunti a priori della teoria economica (gli individui non sono normalmente ben informati e capaci di calcolo razionale, e non sono tutti moralmente affidabili; i mercati non sono sempre pienamente concorrenziali). La sociologia economica mette in discussione l’atomismo e l’utilitarismo della teoria dell’azione dei neoclassici e rileva la funzione simbolica dei consumi in una competizione per acquisire maggiore prestigio specie nelle grandi città in crescita. La moda ha una duplice finalità: identificarsi con altri gruppi sociali e distinguersi da altri gruppi sociali. Weber lega i comportamenti di consumo alla ricerca di status tipica dei ceti ed talvolta si accompagna alla rigidità sociale del comportamento di consumo (es. un aumento di prezzo di un bene può non dar luogo a minor consumo se il bene ha un valore simbolico elevato o viceversa). Capitolo 1 ISTITUZIONE Complesso di valori e norme sociali che orientano il comportamento individuale e si basano su sanzioni che tendono a garantirne il rispetto da parte dei singoli soggetti. ORGANIZZAZIONE Complesso coordinato di risorse umane e materiali per raggiungere uno scopo. SISTEMA ECONOMICO Modalità, variabili nel tempo e nello spazio, con cui le istituzioni orientano e regolano il mercato : mentalità economica (valori che orientano il comportamento degli individui), organizzazione economica (norme formali e informali che regolano l'esercizio delle attività economiche), tecnica (conoscenze tecniche e i procedimenti utilizzati dai soggetti per produrre beni e servizi). RECIPROCITA’ (obblighi sociali - si producono e distribuiscono beni e servizi sulla base di obblighi di solidarietà condivisi nei riguardi degli altri membri del gruppo parentale o della tribù) REDISTRIBUZIONE (avvento dell’istituzione politica - Il comportamento economico non è più soltanto definito da obblighi sociali condivisi, ma da specifiche regole formali fatte valere dal potere politico, pur se di solito legittimate in termini religiosi.) SCAMBIO DI MERCATO (autoregolazione del mercato legge della domanda e dell’offerta - modo relativamente pacifico per acquisire, attraverso un rapporto bilaterale, beni non immediatamente disponibili.) VISIONE ATOMISTICA Le preferenze individuali si formano indipendentemente dall’influenza degli altri soggetti (visione dell’economia) NUOVO PARADIGMA DELL’ECONOMIA Gli individui sono mossi all’azione economica da motivazioni utilitaristiche lo stato non deve interferire con il mercato)

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SOCIOLOGIA ECONOMICA IN PILLOLE

SOCIOLOGIA ECONOMICA : insieme di studi e ricerche volti ad approfondire i rapporti di interdipendenza

tra fenomeni economici e sociali. La sociologia economica ha sviluppato un metodo più legato all’indagine

storico-empirica e dunque problematizza gli assunti a priori della teoria economica (gli individui non sono

normalmente ben informati e capaci di calcolo razionale, e non sono tutti moralmente affidabili; i mercati

non sono sempre pienamente concorrenziali). La sociologia economica mette in discussione l’atomismo e

l’utilitarismo della teoria dell’azione dei neoclassici e rileva la funzione simbolica dei consumi in una

competizione per acquisire maggiore prestigio specie nelle grandi città in crescita. La moda ha una duplice

finalità: identificarsi con altri gruppi sociali e distinguersi da altri gruppi sociali. Weber lega i comportamenti

di consumo alla ricerca di status tipica dei ceti ed talvolta si accompagna alla rigidità sociale del

comportamento di consumo (es. un aumento di prezzo di un bene può non dar luogo a minor consumo se il

bene ha un valore simbolico elevato o viceversa).

Capitolo 1

ISTITUZIONE

Complesso di valori e norme sociali che orientano il comportamento individuale e si basano su sanzioni che

tendono a garantirne il rispetto da parte dei singoli soggetti.

ORGANIZZAZIONE

Complesso coordinato di risorse umane e materiali per raggiungere uno scopo.

SISTEMA ECONOMICO

Modalità, variabili nel tempo e nello spazio, con cui le istituzioni orientano e regolano il mercato : mentalità

economica (valori che orientano il comportamento degli individui), organizzazione economica (norme

formali e informali che regolano l'esercizio delle attività economiche), tecnica (conoscenze tecniche e i

procedimenti utilizzati dai soggetti per produrre beni e servizi).

RECIPROCITA’ (obblighi sociali - si producono e distribuiscono beni e servizi sulla base di obblighi di

solidarietà condivisi nei riguardi degli altri membri del gruppo parentale o della tribù) REDISTRIBUZIONE

(avvento dell’istituzione politica - Il comportamento economico non è più soltanto definito da obblighi

sociali condivisi, ma da specifiche regole formali fatte valere dal potere politico, pur se di solito legittimate

in termini religiosi.) SCAMBIO DI MERCATO (autoregolazione del mercato – legge della domanda e

dell’offerta - modo relativamente pacifico per acquisire, attraverso un rapporto bilaterale, beni non

immediatamente disponibili.)

VISIONE ATOMISTICA

Le preferenze individuali si formano indipendentemente dall’influenza degli altri soggetti (visione

dell’economia)

NUOVO PARADIGMA DELL’ECONOMIA

Gli individui sono mossi all’azione economica da motivazioni utilitaristiche – lo stato non deve interferire

con il mercato)

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EFFICIENZA DEL MERCATO

Soddisfare le preferenze individuali ai costi più bassi.

ECONOMIA NEOCLASSICA (funzionamento del mercato)

Soggetti ben informati e moralmente affidabili, capaci di calcolare razionalmente le proprie preferenze.

Piena commerciabilità di tutti i beni e fattori di produzione. Molti venditori e molti acquirenti.

SOCIOLOGIA ECONOMICA

Nella realtà, gli individui non sono ben informati, sono influenzati nel calcolo delle preferenze e possono

essere moralmente inaffidabili. Inoltre, il mercato non è pienamente concorrenziale. Quindi, l’intervento

dell’Istituzione è necessario, a tutela dell’interesse individuale.

UTILITA’ MARGINALE (la propensione a spendere diminuisce proporzionalmente all’incremento delle unità

di prodotto consumate).

E’ smentita dal fenomeno del consumo di massa. Quindi l’efficienza del mercato va costruita socialmente.

COMPROMESSO STORICO

Nel 2° dopoguerra, lo stato interviene massicciamente nell’economia sia per pianificare l’economia (es.

piano Marshall) che per redistribuire i redditi (welfare). Le imprese maggiori collaborano con l’Autorità per

stabilizzare i profitti di lungo termine. Si realizza la comunione di intenti stato-impresa.

RIVOLUZIONE KEYNESIANA (anni ’30)

Keynes rompe l’ortodossia del riaggiustamento automatico del mercato (vds crisi del 1929). Da fondamento

teorico all’intervento dello stato nell’economia per ridurre gli effetti negativi dell’incertezza e sostenere la

domanda attraverso la spesa pubblica e la redistribuzione (welfare).

DECLINO DELLA SOCIOLOGIA ECONOMICA (periodo 1930 – 1970)

Mentre negli anni ’30 l’economia recuperava aderenza alla realtà (rivoluzione keynesiana), la sociologia

registrava un periodo di stagnazione del pensiero in campo economico (studi di Parsons) e finiva per

interessarsi di altre discipline.

Capitolo 2

SOCIOLOGIA DELLO SVILUPPO (periodo: decolonizzazione, anni ’50 – ’60)

Partendo dalla teoria della modernizzazione (legata ai percorsi della civiltà occidentale nei paesi arretrati),

sviluppa delle critiche che evidenziano i CONDIZIONAMENTI ECONOMICI (teoria della dipendenza) e

POLITICI (nuova Political Economy comparata). Si evidenzia che la “soluzione occidentale” non è la sola

“best way” ma esiste una pluralità di percorsi di modernizzazione.

TEORIA DELLA MODERNIZZAZIONE

La società tradizionale che caratterizza i paesi arretrati ne ostacola lo sviluppo. La famiglia ha caratteristiche

estese (e non nucleare) e ciò facilità il controllo sociale. Inoltre, è proiettata all’autoconsumo e non al

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contributo di lavoro individuale e specializzato per il mercato. Infine, inculca un riconoscimento passivo dell

“autorità” che ostacola la “creatività” dell’individuo per sostenere l’imprenditorialità. Manca una èlite

politico/intellettuale capace di ottenere legittimazione e di sostituirsi a modelli di tipo religioso/tribale. La

soluzione è il contatto/intrusione della civiltà di sviluppo occidentale per orientare l’assetto

istituzionale/culturale allo sviluppo. Si assume che: lo sviluppo è inevitabile, superiorità del modello sociale

occidentale, convinzione che il contatto con l’esterno stimola ineluttabilmente lo sviluppo. Contiene al suo

interno diversi approcci:

1) teoria della modernizzazione in senso stretto (anni ’50 – ’60): sottolinea l’importanza dei fattori

socioculturali e politici endogeni dei paesi meno sviluppati nel condizionare il cambiamento sociale;

2) teoria della dipendenza: fa particolare riferimento ai paesi dell’America Latina ed ai condizionamenti

economici esercitati dai paesi più sviluppati sul cambiamento di quelli arretrati;

3) political economy comparata: al centro della sua attenzione è il ruolo delle istituzioni politiche nel

processo di modernizzazione, anche attraverso un confronto tra i paesi asiatici e quelli dell’America Latina.

CRITICHE alla teoria della modernizzazione

Non è dimostrato che il modello sociale occidentale sia ottimo o superiore né che possa pervadere

tutte le sfere sociali (dalla comunicazione, all’istruzione, alla domanda di consumo, alla produzione,

al funzionamento delle istituzioni politiche)

L’incremento di sviluppo dei paesi arretrati porta questi ultimi ad una insostenibile competizione

con quelli sviluppati per il reperimento dei finanziamenti (insufficienti quelli generati all’interno)

che di fatto finisce per determinare dipendenza. Quest’ultima genera una penetrazione diretta del

capitale straniero che sottrae al paese ulteriore “vantaggio” generando sfruttamento.

La “sostituzione” delle strutture tradizionali può generare instabilità, è imprevedibile nei risultati ed

è condizionato da eventi contingenti (guerre). Sarebbe preferibile porre attenzione ai soggetti del

cambiamento e non alle strutture sociali in astratto.

POLITICAL ECONOMY

Guarda al ruolo dello stato che deve guidare lo sviluppo negoziando i rapporti internazionali

(condizionamenti esterni) in un ambiente culturale che assicura l’autonomia dell’élite politica dagli interessi

particolari privati/di settore (condizionamenti interni)

Mantenendo elevata autonomia lo stato deve creare legami sociali personali tra i diversi attori economici,

pubblici e privati, ovvero deve creare capitale sociale.

I condizionamenti interni mettono in luce 3 diversi modelli:

GIAPPONE: il capitalismo è guidato “dall’alto” dell’élite politica che intrattiene rapporti stretti con

l’impresa ed è favorito dalla cultura del confucianesimo (obbligo di sottomissione all’autorità). Ciò

ha reso possibile il grande sviluppo economico giapponese (sostituzione delle piccole imprese

familiari con le grandi imprese dell’industria pesante).

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CINA: nella società cinese assume rilievo la struttura della famiglia. Ciò ha reso possibile la

creazione di tante imprese familiari (piccole e medie) con ruoli complementari, coordinate da

relazioni fiduciarie e di reciprocità su base familiare (reti). Lo stato acconsente alla creazione di

queste imprese (pur mantenendo un’impostazione comunista), mentre il costo del lavoro è

determinato dalla famiglia e la domanda è determinata dall’esterno (multinazionali estere). La

domanda interna resta bassa.

PAESI POST-COMUNISTI: capitalismo dall’estero (Rep. Ceca, Polonia, Ungheria), scarso ruolo dello

stato e rapida introduzione del capitalismo (le multinazionali acquistano le imprese locali e portano

capitali e tecnologia). Capitalismo dall’alto (Russia, Ucraina, Romania), gli esponenti politici si

impossessano delle imprese statali trasformandole in proprietà privata, cresce la corruzione e la

dipendenza delle imprese dal finanziamento pubblico. Capitalismo dal basso (modello Cina), cresce

la piccola impresa familiare ma permane la concezione comunista dello stato e la grande industria

statale.

PROSPETTIVE FUTURE DELLA POLITICAL ECONOMY

La peculiarità del capitalismo asiatico di imprese deboli inserite in network forti (in occidente, imprese forti

con struttura organizzativa e cornice giuridica) evidenzia una specificità istituzionale, economica e politica,

riconducibile al concetto di civiltà (es. confucianesimo) e differenti visioni del mondo per legittimare il

potere. Tutto ciò nega l’avvento di un’unica civiltà economica mondiale e conferma l’esistenza di differenti

processi di modernizzazione seppur in un contesto globalizzato (le variabili della modernizzazione non sono

solo politico-istituzionale ma anche culturali).

Capitolo 3

NUOVA SOCIOLOGIA ECONOMICA (a partire dagli anni ’70)

Studia le trasformazioni del modello organizzativo “fordista” delle imprese (divisione tayloristica del lavoro

in attività semplici, manodopera non specializzata e struttura verticale gerarchizzata) e l’avvento di nuovi

modelli organizzativi “flessibili” (impresa-rete, reti di imprese, post-fordismo).

STATO SOCIALE KEYNESIANO (2° dopoguerra)

La teoria di Keynes (1930) accetta l’intervento dello stato nei processi di mercato (con compiti

regolamentari e redistributivi) ma limitato al breve periodo (stabilizzazione del ciclo economico nei

momenti di depressione). Nel tempo (anni ’50 – ’60) l’intervento dello stato ha superato l’idea keynesiana

intervenendo stabilmente (cioè indipendentemente dal ciclo economico) nell’ottica di sostenere la

CRESCITA economica (non solo stabilizzazione). Ciò che caratterizza particolarmente lo stato sociale

keynesiano è la forte crescita delle politiche di welfare. Inoltre nel modello keynesiano trova spazio la

teoria neomarxista dello stato (lo stato incrementa i programmi di protezione sociale per sostenere

l’accumulazione ed il mantenimento del consenso).

Tale intervento prolungato è lo STATO SOCIALE KEYNESIANO che ha contemplato 3 livelli di intervento:

Modello istituzional-redistributivo: riconosce i diritti sociali come componenti essenziali della

cittadinanza. Si tratta di programmi pubblici che forniscono benefici uniformi per tutti i cittadini,

quindi su base universalistica (Svezia, Norvegia, Danimarca)

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Modello residuale: in cui la protezione sociale pubblica è volta a coprire una fascia limitata di

popolazione che si trova in condizioni di particolare indigenza e bisogno, per rischi che non sono

coperti dal mercato, dalla famiglia o da forme di azione volontaria (USA, Canada, Australia e

ultimamente Inghilterra)

Modello remunerativo: la protezione sociale non si basa su un diritto di cittadinanza ma

sull’appartenenza a una categoria socio-professionale (non universale) e si concretizza

prevalentemente in trasferimenti monetari anziché elargizione di servizi (Europa continentale)

CRISI DELLO STATO SOCIALE KEYNESIANO (anni ’70: crisi petrolifera e concorrenza dei nuovi paesi

industriali)

La maggiore protezione sociale genera incremento della domanda e nuove ulteriori pretese salariali,

determinando inflazione dei prezzi e stagnazione dell’occupazione (stagflazione). Lo stato pur di mantenere

la propria legittimazione (consenso politico) rincorre le maggiori pretese, incrementando la spesa sociale e

generando nuova inflazione.

LA NUOVA POLITICAL ECONOMY

In questa spirale di generazione dell’inflazione, la nuova politcal economy studia le relazioni intercorrenti

tra governo, sindacati e imprese, domandandosi cosa spinga i governi a cercare il consenso politico

(legittimazione) mediante l’incremento della spesa pubblica (cedendo alle nuove pretese di protezione

sociale).

C’è uno scarto temporale tra l’espansione economica ed il manifestarsi degli effetti inflattivi e siccome gli

elettori hanno la memoria corta, essi non comprendono che l’inflazione post-elettorale è generata dalle

politiche espansive del governo per farsi rieleggere.

Vengono elaborati i concetti di NEOCORPORATIVISMO e CONCERTAZIONE, contrapposti ai precedenti

concetti di pluralismo e politica di pressione.

Per NEOCORPORATIVISMO si intende un modello di regolazione politica dell’economia nel quale grandi

organizzazioni di rappresentanza degli interessi partecipano insieme alle autorità pubbliche, in forma

concertata, al processo di decisione e attuazione di importanti politiche economiche e sociali (si distingue

dal corporativismo che abbiamo visto nelle esperienze dei regimi autoritari che serviva per imporre scelte

sostanzialmente definite dall’alto da parte dei governi autoritari).

NEOCORPORATIVISMO E CONCERTAZIONE

Il controllo degli effetti perversi dello stato sociale keynesiano (stagflazione) passa attraverso un nuovo

sistema di rappresentanza degli interessi (neocorporativismo) e di decisione politica (concertazione). Le

piccole associazioni volontarie esprimono un interesse di settore e sono in competizione tra loro

(pluralismo) ed hanno scarsa capacità di coordinamento. Con l’avvento del NEOCORPORATIVISMO la

rappresentanza degli interessi è organizzata da poche organizzazioni (oligopolio) strutturate verticalmente

e che ricomprendono ampi settori di interessi, che godono sia del riconoscimento della base rappresentata

sia della legittimazione e riconoscimento del governo. Esse tutelano l’interesse della base partecipando con

l’autorità pubblica al processo di definizione ed attuazione delle politiche economiche e sociali

(concertazione). I sindacati sono spinti ad accettare la moderazione salariale perché il governo ha beni da

distribuire ed è pronto a scambiarli con il consenso sociale che è nella disponibilità dei sindacati. I vantaggi

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sono le migliori politiche sociali per i rappresentati ma anche un accresciuto e riconosciuto potere politico

dei dirigenti sindacali.

Il neocorporativismo si è manifestato con diversi gradi intensità e stabilità, fondamentalmente

caratterizzati dalla presenza al governo di partiti di sinistra, da un tessuto culturale più o meno sospettoso

verso forme di aggregazione degli interessi (Italia), organizzazione della rappresentanza forte e tendente al

monopolio.

DECRETO

E’ un tipo di regolazione alternativo sia alla CONCERTAZIONE (neocorporativismo) sia alla POLITICA DI

PRESSIONE (pluralismo). E’ caratterizzato dalla politica dirigistica dello stato che orienta il comportamento

delle imprese (leve del credito, fiscali, sostegno all’esportazione), escludendo dalla decisione politica la

partecipazione dei gruppi sindacali che risultano deboli.

Le differenze tra il decreto e gli altri due modelli, l’accordo (che coincide con il neocorporativo) ed il

mercato (che coincide con il pluralismo radicale il cui riferimento principale sono gli Stati Uniti).

GLI ANNI ‘80

Al tema del controllo dell’inflazione (corporativismo e concertazione degli anni ’70) si aggiunge la sfida

dell’innovazione per contrastare la maggiore concorrenza dei nuovi paesi industriali. Il nuovo quadro

impone conseguenze per tutti gli attori economici: le imprese, abbandonano progressivamente

l’organizzazione “fordista” per nuovi modelli flessibili, spostando all’estero le fasi di mera produzione e

privilegiando la creazione di imprese (ristrutturazione) orientate ai servizi. Conseguentemente, aumentano

i lavoratori specializzati e cala drasticamente la classe operaia, nocciolo duro delle rappresentanze sindacali

che perdono potere in assoluto e subiscono una frammentazione organizzativa parallela al declino del

modello fordista. Il diminuito peso sindacale (e con esso il minor conflitto sociale), l’integrazione politica in

strutture sovranazionali (Unione Europea) e la globalizzazione dei mercati finanziari (moneta unica)

modificano le priorità dei governi, indirizzandone l’azione verso il controllo dei bilanci pubblici ed in

particolare il contenimento della crescente quota di spesa sociale (sanità, pensioni, previdenza, assistenza,

ecc.). Vengono meno i requisiti costitutivi del neocorporativismo (sindacati forti, conflitto sociale

incombente, disponibilità di risorse pubbliche da distribuire). Emergono nuovi orientamenti: contrattazione

decentrata e definizione di nuovi patti sociali. In USA si conferma ed accentua il modello di regolazione

liberale (mercato) mentre in Europa permane il sistema regolativo della concertazione, seppur con

differenti graduazioni a livello regionale, incentivato dalla stessa Unione Europea.

NUOVI PATTI SOCIALI

Conseguenza del quadro economico degli anni ’80, pongono l’accento sulla necessità di incentivare la

riorganizzazione flessibile dell’impresa (post-fordismo e distretti), promuovere la deregolamentazione del

mercato del lavoro (flessibilità) introducendo nuove forme di protezione sociale, con funzione

compensativa (flexicurity), ma compatibili con l’esigenza di stabilizzare i bilanci pubblici e contenere la

spesa sociale.

Capitolo 4

SOCIOLOGIA ECONOMICA DEGLI ANNI ‘80

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In questo periodo la sociologia economica si concentra sullo studio dei nuovi modelli organizzativi flessibili

dell’impresa (post-fordismo e modelli ibridi), sul nuovo approccio di intervento istituzionale (influenzare i

livelli dell’offerta di beni più che regolare la domanda: ovvero spinta all’innovazione), influenzato da nuovi

fattori culturali, rapporti fiduciari e reti di relazioni sociali.

MODELLO FORDISTA, CRISI E TRASFORMAZIONI

Le caratteristiche del modello (nato negli USA, con popolazione a forte immigrazione ed elevata

propensione al consumo di beni standardizzati): produzione di massa, manodopera scarsamente qualificata

e struttura di imprese integrate verticalmente. Il modello convive con l’esistenza di piccole imprese (che

rispondono alla domanda di beni non standardizzati) ed imprese controllate (per la produzione nei settori

caratterizzati da domanda instabile nel tempo). Il modello è fortemente legato allo stato sociale

keynesiano.

I fattori di crisi del modello: SATURAZIONE del mercato dei beni di massa ed accresciuta CONCORRENZA dei

paesi di nuova industrializzazione (che beneficiano di manodopera a basso costo).

L’ evoluzione del modello (post-fordismo): è ascrivibile all’avvento di MACCHINE A CONTROLLO NUMERICO

che consentono produzione di qualità, in quantità limitata e soggetta a rapido mutamento dell’articolo (in

sostanza si continua a fare produzione di massa, ma di qualità e notevole variazione del prodotto). Infine, il

ricorso alla MULTINAZIONALITA’ (investimenti nei paesi in via di sviluppo) consente di ritrovare quelle

condizioni di vantaggio tipiche del modello fordista originario.

Contrapposto al nuovo modello fordista (post-fordista) si afferma il modello della SPECIALIZZAZIONE

FLESSIBILE (distretti industriali).

DISTRETTI INDUSTRIALI

L’alternativa all’evoluzione del modello fordista (post-fordismo) sono i nuovi modelli di specializzazione

flessibile cioè i DISTRETTI INDUSTRIALI.

Caratteristiche territoriali: concentrazione di tante piccole imprese in un territorio limitato (non

necessariamente identificabile con i confini amministrativi), avente vocazione per la produzione in un

settore specifico (es. calzaturiero, abbigliamento, tessile, ceramica, ecc.), caratterizzato dalla presenza di

una forte subcultura politica locale (es. tradizione cattolica, socialista/comunista), con presenza di

manodopera motivata e culturalmente disposta alla flessibilità del lavoro (riferita sia al salario che alla

flessibilità di mansioni oppure alla mobilità da impresa ad impresa), ove ciascuna impresa si specializza in

una particolare fase del ciclo produttivo di un determinato bene.

Caratteristiche organizzative: le singole imprese intrattengono un elevato grado di cooperazione (sia tra

loro che tra imprenditori e lavoratori), accettando che solo alcune di esse intrattengono rapporti diretti col

mercato finale, impegnando i sub fornitori a “non tirare troppo la corda” ma a puntare sui vantaggi di lungo

periodo-

In questo sistema è essenziale la cooperazione tra imprese e la presenza di università e centri di ricerca per

sviluppare i processi cognitivi (conoscenze) e dare impulso all’innovazione che accresce la competitività.

Inoltre, visto il livello medio-piccolo delle singole imprese, la produzione dei servizi alle imprese è devoluta

a specifici centri di servizio (cooperazione tra imprese e sindacato) oppure è svolta direttamente dagli Enti

locali/regionali (istituzione pubblica).

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Il modello dei distretti si è evoluto in due direzioni: RETI DI IMPRESE (dove piccole imprese cooperano tra

loro su un piano sostanzialmente paritario – vds. Toscana); IMPRESE-RESE (dove poche imprese di

dimensione maggiore coordinano una rete di subfornitori senza che intercorra una vera dipendenza

organica – vds. Veneto).

DISTRETTI “HIGH TECH”

Sono particolari distretti industriali dove piccole imprese operano nei settori produttivi dove “l’alta

tecnologia” riveste un ruolo di assoluta preminenza (di contro, esistono settori produttivi dove l’high tech è

importante ma non esclusiva).

Caratteristiche territoriali: Fattori essenziali per lo sviluppo di distretti high tech sono la presenza sul

teriitorio di:

economie esterne correlate ai processi cognitivi (Università e Centri di Ricerca alimentano sia lo

sviluppo di nuove tecnologie sia la disponiblità di personale altamente qualificato, con frequenti

passaggi tra attività scientifiche e formative;

fornitori specializzati di beni e servizi all’impresa, con particolare riferimento ai servizi finanziari

stante l’incertezza ed il rischio elevato che caratterizza gli investimenti nel settore high tech;

qualità socioculturali del contesto territoriale, che deve attrarre personale altamente qualificato

ed istruito, idoneo all’insediamento delle rispettive famiglie, a garanzia della formazione di una

comunità professionale stabile.

Differenze rispetto ai comuni distretti industriali sono:

prevalenza di economie esterne orientate alle “conoscenze” piuttosto che orientate alle

infrastrutture, alle relazioni industriali, trasporti, ecc. che caratterizzato i distretti industriali.

basso impatto con la comunità locale, in particolare quanto agli aspetti occupazionali

maggiore incisività del ruolo delle istituzioni locali e regionali (ma anche centrali) cui compete il

ruolo di “intermediazione e collegamento” nella costruzione di rapporti cooperativi tra il mondo

della ricerca e le imprese impegnate nei settori high tech.

ECONOMIA INFORMALE

E’ caratterizzata da tre dimensioni: produzione di beni legati con metodi illegali; produzione di beni illegali

con metodi legali; produzione di beni destinati all’autoconsumo (cioè che non entrano nelle filiere di

mercato).

L’economia informale rappresenta la via bassa alla flessibilità, contrapposta alla via alta alla flessibilità,

centrata sui distretti (reti di imprese ed impresa rete).

Capitolo 5

NUOVA SOCIOLOGIA ECONOMICA DEGLI ANNI ‘80

La profonda riorganizzazione delle imprese degli anni ’80 (reti di impresa ed imprese-rete) ha evidenziato

l’incremento di “reti di contratti” tra le imprese, mettendo in luce i relativi “costi di transazione”,

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determinati da comportamente opportunistici che sfruttano le incertezze e le carenze informative. La

nuova sociologia si sofferma su tali costi, evidenziano come essi sia riconducibili, più che a fattori di

mercato, a “fattori umani”: razionalità limitata (impossibilità di conoscere tutte le alternative) e

opportunismo (mancanza di sincerità ed onestà).

Ne derivano due approcci di studio: quello strutturale (considera la collocazione dei soggetti nelle “reti

sociali”) e quello neoistituzionale sociologico (che considera i “fattori culturali”).

L’APPROCCIO STRUTTURALE (reti sociali)

L’inserimento dei soggetti in “reti sociali” stabili contribuisce a creare relazioni personali che generano

fiducia e permettono lo scambio informativo in modo da tenere sotto controllo i comportamenti altrui ed

individuare quelli scorretti, isolando dalla rete i relativi soggetti responsabili. Ciò riduce i costi associati alle

transazioni ed aumenta la quantità delle transazioni stesse. E’ da evidenziare, tuttavia, che questo risultato

“positivo” delle reti sociali non è l’unico in quanto il concetto di rete è altrettanto funzionale allo sviluppo,

in forma associata (controllo informazione e sanzione) dei comportamenti scorretti (economie criminali,

insider trading - cioè della possibilità di utilizzare informazioni relative a ordini o a intendimenti dei clienti,

per trame vantaggi particolari per sé o per la propria società (per esempio, acquistando o vendendo in

proprio i titoli interessati, o vendendo ad altri le informazioni) - . Gli operatori possono sfruttare le

«asimmetrie informative» a scapito dei clienti, manipolando le informazioni e orientandone le scelte.). Per

gli autori riconducibili all’approccio strutturale l’azione è sempre socialmente orientata e non può essere

spiegata soltanto sulla base di motivazioni individuali.

Granovetter con la nozione di embeddedness sottolinea i ruolo delle relazioni personali concrete e delle

strutture di tali relazioni nel generare fiducia e nello scoraggiare la prevaricazione. Il maggior grado di

fiducia (legami sociali forti )che lega i soggetti della rete radicata favorisce la circolazione di informazioni,

specie quella di natura tacita, legate a conoscenze specifiche non facilmente codificabili e trasmettibili. Egli

mostra inoltre l’importanza dei contatti informali come strumento per trovare lavoro ed attira l’attenzione

sulla forza dei legami deboli (i soggetti inseriti in relazioni sociali deboli hanno più possibilità di accesso a

un numero maggiore e più diversificato di informazioni rispetto a quelle ottenibili attraverso legami “forti”

con i familiari, parenti e amici intimi perché i conoscenti hanno maggiori probabilità di essere inseriti in

cerchie sociali diverse).

Dunque, l'attività innovativa sembra essere legata alla combinazione di buoni e diffusi legami deboli verso

l'esterno con legami forti interni.

In senso positivo, le reti sociali contribuiscono allo sviluppo di collaborazioni interorganizzative, necessarie

a creare il ciclo virtuoso tra ricerca (lo studio) invenzione (l’idea) finanziamento (disponibilità dei

mezzi) innovazione (realizzazione dell’idea), dove i manager collegati alla rete sociale riescono a dare il

contributo migliore, colmando alcune lacune strutturali (ciò che manca).

Le medesime conseguenze dell’appartenenza alle reti sociali (sia in positivo che in negativo) sono emerse

negli studi specifici riferiti alle attività finanziarie, evidenziando come la reste possa di volta in volta favorire

il controllo dei comportamenti opportunistici o generale “cartelli” (comportamenti scorretti o criminali).

L’insieme delle relazioni sociali generate dalla rete (e di cui dispone ciascun soggetto) rappresentano il

capitale sociale che si ricollega allo sviluppo economico. Il capitale sociale è un bene collettivo e non

divisibile (in quanto i suoi vantaggi non sono appropriabili individualmente ma vanno a tutti coloro che

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partecipano alla rete), che i singoli sono poco propensi a produrre in proprio. Spetta all’istituzione pubblica,

pertanto, stimolarne la produzione ed orientarne l’uso “positivo” (scoraggiando i comportamenti scorretti).

L’APPROCCIO NEOISTITUZIONALE (fattori culturali)

A differenza dell’approccio strutturale (reti sociali), pone l’accento sul comportamento del singolo soggetto

(sia esso individuale o collettivo) che, di fronte alla carenza informativa ed ai rischi delle transazioni, si

affida in modo acritico a quelle soluzioni che sono state scelte come ottimali dall’ambiente nel quale egli

opera. Ne consegue una sorta di uniformazione dei comportamenti dei singoli (tutti tendono ad adottare

quella soluzione presentata come ottimale), generando ISOMORFISMO che può essere: istituzionale

(coercizione - cioè portare a modelli simili a causa vincoli cogenti - da parte dell’antitrust, di norme sul

lavoro e la sicurezza; da parte di imprese committenti verso i subfornitori; causate dalle relazioni industriali

- ), normativo (standard comportamentali - dovuto al ruolo delle università e delle scuole di

specializzazione che formano manager che spostandosi all’interno delle varie imprese possono diffondere

idee e standard professionali di comportamento che assumono elevata legittimità da parte delle imprese

stesse) o mimetico (per imitazione dei modelli che appaiono più appropriati e legittimati nel campo

organizzativo).

In questo contesto, ad esempio, si inserisce l’attività delle agenzie di revisione contabile e di valutazione del

credito che, alla luce della diffusa asimmetria informativa esistente, si propongono di elaborare

“informazioni affidabili” a sostengo della decisione del singolo soggetto (che ad essi si affida). La genuinità

di questo sistema è strettamente connesso alla effettiva “indipendenza” di dette agenzie (vds le collusioni

evidenziate dal caso Parmalat).

Studi recenti indicano come i fattori culturali (neoistituzionalismo) non possono essere considerati in modo

totalmente separato dalle relazioni generate dalle reti sociali (strutturalismo) e pertanto la nuova tendenza

di studio porta a considerare unitariamente sia le risorse relazionali che gli orientamenti culturali, attuando

una COMPARAZIONE volta ad identificare differenti modelli locali in base a tutte le variabili (relazionali e

culturali) presenti nel singolo contesto.

Le agenzie di revisione contabile e di valutazione del credito svolgono in realtà una funzione latente

essenziale per l'andamento del mercato: quella di rassicurare gli investitori. Sono «agenti di diffusione

della fiducia», la quale rende possibile investimenti che potrebbero essere altrimenti problematici.

CONSUMI

La sociologia economica tradizionale si è interessata pressoché esclusivamente della “produzione” dei beni,

mentre gli studi recenti hanno concentrato l’attenzione sui “consumi”, elaborando:

l’approccio neodifferenziazionista (i beni consumati vengono scelti in funzione dell’esigenza di

identificarsi con un gruppo sociale e distinguersi dagli altri – competizione per lo “status sociale”). Secondo

Jean Baudrillard i modelli di consumo attraverso i quali i soggetti tendono a differenziarsi sono sempre più

mediati dai mezzi di comunicazione di massa ed i consumatori hanno l’illusione di scegliere liberamente tra

questi modelli, ma in realtà sono fortemente condizionati dal sistema dei media che li impone (sono degli

automi sociali che si adattano passivamente agli stimoli provenienti dall’esterno) mentre per Pierre

Bourdieu i comportamenti di consumo rispondono a una logica di competizione per lo status che spinge a

identificarsi con gli stili di vita e i gusti di alcuni gruppi e a differenziarsi dagli altri. Tuttavia, l’attenzione non

si focalizza in questo caso sui media, ma sui condizionamenti esercitati sugli individui dalla loro posizione

Page 11: sociologia in PILLOLE

nella stratificazione sociale. Anche qui i singoli soggetti sembrano non disporre di margini di autonomia

nella sfera dei consumi per l’influenza dei gruppi sociali di appartenenza (e non per i media).

l’approccio dei fattori culturali (incline a considerare i consumi come segni di identificazione, o

distacco, o addirittura di contestazione, nei riguardi dei valori culturali prevalenti (es. le subculture

giovanili, etniche, politiche, religiose) – Sono più strumenti di “comunicazione sociale” che non di

competizione per lo status.

Capitolo 6

DUE CAPITALISMI A CONFRONTO (economie coordinate di mercato – economie non coordinate di

mercato)

Il problema degli anni ’70 era il controllo dell’inflazione ed ha dato luogo a differenti modelli regolativi

(neocorporativismo con l’accordo; il decreto con le politiche dirigistiche; il pluralismo con le libere

fluttuazioni delle regole di mercato). Negli anni ’80, posta sotto controllo l’inflazione, è emersa la sfida

dell’INNOVAZIONE quale rimedio per competere con successo sui mercati internazionali (esteri) e vincere la

concorrenza delle importazioni sui mercati interni. L’innovazione si concretizza con l’idea della “produzione

flessibile di qualità” per evitare la competizione (perdente) sul terreno del costo del lavoro. Il ruolo dello

stato viene concepito a sostegno di un contesto istituzionale favorevole allo spostamento verso produzioni

flessibili e di qualità. Si delineano due idealtipi istituzionali: economie coordinate di mertato (modello

germano-nipponico) ed economie non coordinate di mercato (modello anglosassone).

CONFRONTO NEL BREVE PERIODO

I risultati migliori sembrano arrivare dalle economie coordinate di mercato. Infatti:

nelle economie NON coordinate i finanziamenti provengono dal mercato e di conseguenza la

proprietà dell’impresa (azionisti) è molto instabile ed orientata al reddito a breve. Conseguentemente, il

management (pur di essere riconfermato) persegue obiettivi di breve periodo rinunciando agli investimenti

di lungo respiro che invece sarebbeo necessari all’innovazione.

Nelle economie coordinate i finanziamenti sono reperiti nel sistema bancario e la proprietà dell’impresa è

più stabile nel tempo. Ciò consente al management di operare con investimenti di lungo periodo, a tutto

vantaggio dei processi innovativi e della competitività.

formazione professionale: nelle economie non coordinate il lavoro è regolato dal mercato e

comporta una elevata mobilità che scoraggia gli investimenti dell’impresa nella formazione dei dipendenti.

Di contro, impegna ingenti risorse per il maggior costo del lavoro del personale già specializzato,

rinunciando così agli investimenti di risorse per l’innovazione.

Nell’economia coordinata, parte dei costi della formazione professionale sono sostenuti dallo stato, inoltre

i rapporti di lavoro più stabili assicurano una disponibilità più stabile di forza lavoro su cui investire in

formazione senza rischi, il che è funzionale all’innovazione.

relazioni industriali: nelle economie non coordinate i bassi vincoli normativi comportano elevata

mobilità del personale e bassa qualificazione, a svantaggio dell’innovazione. Nelle economie coordinate i

vincoli più rigidi del mercato del lavoro incentivano le imprese ad investire in formazione per valorizzare le

risorse umane disponibili e di cui comunque non potrebbero liberarsi facilmente.

Page 12: sociologia in PILLOLE

Nonostante queste diversità, alla fine degli anni ’90 le economie NON coordinate presentavano livelli di

occupazione, competitività e crescita economica superiori a quelli delle economie coordinate. Tali successi

sono ascrivibili ai più bassi livelli di disoccupazione, maggiore specializzazione dei settori produttivi (settori

dell’alta tecnologia - industria aerospaziale, informatica e telecomunicazioni, biotecnologie – e settore dei

servizi al consumatore). Questa realtà, da un lato evidenzia la differenza di risultato se misurata nel lungo

periodo, dall’altra dimostra che competitività e sviluppo possono coesistere (sono compatibili) con elevati

livelli di disuguaglianza sociale (la maggiore occupazione è proporzionale alla diminuzione dei salari reali e

delle protezioni sociali).

IL DIBATTITO ATTUALE

Il comportamento dinamico tra economie coordinate e non coordinate ha evidenziato (oltre alla differenza

di risultati nel tempo) che tra questi due estremi si vanno affermando numerosi altri modelli intermedi che

non troverebbero spiegazione esaustiva né nell’economia coordinata né in quella non coordinata e che in

sintesi sono ascrivibili a:

differenti gradi di intervento economico delle istituzioni (dirigismo, stato che compensa, stato non

interventista, stato che concerta);

diversificazione dell’intervento, a livello locale/regionale, seppur all’interno di un sistema istituzionale

nazionale prevalente (distretto industriale toscano / veneto);

composizione variabile di una ampia gamma di modalità operative con cui le aziende possono puntare

al successo competitivo (non esiste un modo “unico” di competere ma mix: organizzazione “modulare”

della produzione, impiego di macchinari multiuso nell’ottica della diversificazione produttiva,

multinazionalità, ecc.).

CONCLUSIONI

Mentre i mercati si muovono nel senso della “globalizzazione”, le economie e le istituzioni sembrano

muoversi verso la “diversificazione” dei modelli, in funzione delle specificità storiche e culturali delle singole

territorialità. Più che ragionare in termini di superiorità di un modello su un altro occorre dunque

guardare alla possibilità di equilibri multipli con punti di forza e di debolezza diversi.