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CNR - CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE IRAT - ISTITUTO DI RICERCHE SULLE ATTIVITÀ TERZIARIE Fedele Iannone Sistemi di Logistica e Trasporto per il Settore Agroalimentare in Italia Quaderni / 45

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CNR - CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE

IRAT - ISTITUTO DI RICERCHE SULLE ATTIVITÀ TERZIARIE

Fedele Iannone

Sistemi di Logistica e Trasportoper il Settore Agroalimentare in Italia

Quaderni / 45

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INDICE

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 5

1. Evoluzione delle reti distributive per il traffico merci . . . . p . 9

1 .1 . Aspetti spaziali, verticali e dinamici delle reti logistiche . p . 91 .2 . Classificazione dei nodi logistici terrestri . . . . . . . . . . . . . p . 111 .3 . Localizzazione dei nodi logistici e organizzazione dei flussi secondo il modello hub-and-spoke . . . . . . . . . . . . . . p . 201 .4 . Immobili per la logistica e caratteristiche del mercato a livello europeo e nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 28

2. La logistica agroalimentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 36

2 .1 . La complessità logistica delle filiere agroalimentari . . . . . p . 362 .2 . I mezzi di trasporto dei prodotti agroalimentari . . . . . . . . p . 462 .3 . La tecnologia della refrigerazione passiva . . . . . . . . . . . . p . 522 .4 . Le piattaforme per la logistica agroalimentare . . . . . . . . . p . 532 .5 . Caratteristiche tecniche dei magazzini a temperatura controllata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 57

3. Le principali infrastrutture puntuali di primo livello

per la logistica agroalimentare in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . p . 59

3 .1 . Riepilogo sinottico dei nodi logistici analizzati . . . . . . . . p . 593 .2 . Le infrastrutture portuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 593 .3 . Le infrastrutture interportuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 77

Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p . 109

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INTRODUZIONE

Il sistema agroalimentare italiano necessita di un insieme di misure di accompagnamento per migliorare la propria competitività a livello organizza-tivo ed infrastrutturale. La logistica rappresenta il principale ambito d’azione per lo sviluppo, l’integrazione e la modernizzazione delle imprese e dei sup-ply network coinvolti nell’industria agroalimentare. L’integrazione logistica è oramai un fattore strategico di competitività a livello produttivo e distributi-vo. I principali vantaggi che ne derivano sono: la riduzione delle operazioni di movimentazione e di trasporto, la riduzione dei volumi immagazzinati, la riduzione dei costi d’investimento e di esercizio, l’aumento del livello di ser-vizio . Le produzioni del comparto agroalimentare presentano alcune specifiche caratteristiche che contribuiscono ad innalzare il livello di complessità logi-stica rispetto ad altri settori, in particolare: elevate distanze tra aree produttive e aree di consumo, basso valore aggiunto, deperibilità, necessità di garantire il monitoraggio continuo della qualità e della rintracciabilità, stagionalità e necessità di riduzione degli stock lungo il canale distributivo. Inoltre, il po-sizionamento competitivo a livello imprenditoriale e territoriale è in conti-nua ridefinizione a seguito dell’evoluzione della domanda dei consumatori, dell’internazionalizzazione dei mercati di fornitura e di vendita, e della rior-ganizzazione delle imprese di produzione e di distribuzione. Attualmente, è possibile distinguere i seguenti principali driver del pro-cesso evolutivo del mercato dei prodotti agroalimentari:- sviluppo della grande distribuzione organizzata (GDO);- forte incremento dei convenience food a temperatura controllata (alimenti

parzialmente preparati, come insalate già lavate e tagliate, alimenti pronti per la cottura);

- sviluppo della controstagionalità legata all’importazione di frutta e ver-dura dall’emisfero meridionale;

- nuovi prodotti ed evoluzione dei consumi;- spinta alla containerizzazione refrigerata (“refeer”) per il trasporto ma-

rittimo dei prodotti agroalimentari e per evitare, dove possibile, rotture di carico;

- progressiva diminuzione o abolizione di dazi e quote sui prodotti agroali-mentari, con conseguente ridisegno delle catene logistiche;

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- normative per la tracciabilità agroalimentare, nonché sulla documenta-zione in merito al mantenimento delle temperature adeguate e per il con-trollo della temperatura e delle performance delle attrezzature a differenti livelli della catena del freddo .

Gli elementi decisivi per la valorizzazione e la competitività delle pro-duzioni agroalimentari italiane sono: 1) la corretta pianificazione e gestione della catena del freddo dalla produzione al consumo (per i prodotti freschi e surgelati); 2) lo sviluppo di centri logistici dedicati e la loro integrazione con poli logistici e intermodali di livello superiore; 3) il monitoraggio continuo della qualità delle merci, la rintracciabilità e l’adozione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, specie a supporto di filiere cosiddet-te “corte”. I costi logistici rappresentano circa 1/4 del fatturato delle imprese agro-alimentari italiane, con punte del 30-35% nel comparto ortofrutticolo. I costi di trasporto, che per oltre il 90% avvengono su gomma, costituiscono a loro volta circa i 2/3 degli oneri logistici, mentre i costi di magazzinaggio, picking, confezionamento e condizionamento rappresentano la restante parte (ISMEA, 2006). A livello più generale di filiera, il maggiore problema logistico in ambito nazionale è rappresentato dalla forte polverizzazione della fase agricola, uni-versalmente riconosciuta come la meno evoluta. Inoltre, la scarsa collabora-zione ed aggregazione interaziendale non consentono lo sviluppo di adeguate soluzioni logistiche di tipo infrastrutturale ed organizzativo gestite in proprio dai produttori o per conto di questi ultimi e che consenta loro di essere com-petitivi sul mercato nazionale ed internazionale. Parallelamente, per quanto riguarda il lato del dettaglio moderno, alcune realtà della grande distribuzione organizzata (GDO) non hanno ancora competenze e dimensioni adeguate per lo sviluppo di centri distributivi (Ce.Di.) efficienti. Inoltre, nel caso dei merca-ti all’ingrosso, le funzioni logistiche sono ancora considerate come accessorie rispetto alle funzioni più tipicamente commerciali, con scarsa attenzione alle utili e significative possibilità che la modernizzazione e l’integrazione logisti-ca potrebbero garantire per il recupero di competitività di tali strutture. La situazione è resa poi ulteriormente problematica dall’organizzazione del sistema di fornitura dei prodotti, soprattutto quello della grande distribu-zione, che è basato sul “just in time” e quindi su ordini giornalieri, spesso di modesti volumi, che impongono ai produttori spedizioni personalizzate con tempi e modalità di consegna sempre più stringenti. Di conseguenza, le forni-

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ture avvengono per la maggior parte su gomma e per di più a carico parziale e con un gran numero di ritorni a vuoto, determinando notevoli livelli di con-gestione stradale e d’inquinamento. Del resto, in Italia, rispetto ad altri Pae-si europei avanzati, si rilevano ancora diverse carenze a livello di dotazione infrastrutturale e in termini di presenza di grandi operatori logistici integrati in grado di supportare l’intero ciclo delle forniture (dal produttore al consu-matore finale) con servizi ad elevato valore aggiunto e collegamenti “door-to-door” . Per il sistema agroalimentare italiano, la razionalizzazione delle strutture logistiche (piattaforme, centri di distribuzione) e la loro riorganizzazione intor-no a nodi intermodali e poli logistici rappresentano un obiettivo da perseguire nell’ottica della riorganizzazione dei circuiti di scambio e della diffusione di nuove forme di connettività delle reti di trasporto. Risulta evidente la necessità di individuare e promuovere nuovi sistemi logistici a supporto dell’industria agroalimentare nazionale, ed in particolare nuove configurazioni di network basati su collegamenti materiali ed immateriali tra piattaforme di concentra-zione della produzione localizzate nelle aree di coltivazione, piattaforme di transito e compattamento delle merci localizzate in nodi logistici intermedi e piattaforme di redistribuzione della merce localizzate nelle principali aree di consumo. Tali strutture, in qualità di luoghi di concentrazione dell’offer-ta, preparazione degli ordini, manipolazione e composizione dei carichi, do-vrebbero prevedere il coinvolgimento di tutti o per lo meno di gran parte dei principali attori coinvolti nella filiera distributiva agroalimentare (produttori, distribuzione organizzata, mercati all’ingrosso, operatori logistici e di traspor-to). In tal modo dovrebbe essere possibile il superamento di diverse criticità logistiche della filiera, a partire dall’ottimizzazione dei trasporti e dall’uso più generalizzato di soluzioni intermodali, con evidenti effetti in termini di eco-nomie di scala e di scopo, nonché di riduzione dell’impatto ambientale, fino al mantenimento di adeguate condizioni qualitative e di sicurezza dei prodotti, a beneficio di tutti i soggetti coinvolti: produttori, grossisti, rivenditori, operato-ri logistici e consumatori. Alla luce di quanto sopra esposto, il presente lavoro mira a contribuire all’ulteriore sviluppo delle conoscenze delle problematiche riguardanti la lo-gistica agroalimentare, con particolare riferimento alla situazione in ambito nazionale. Il primo capitolo affronta tematiche riguardanti l’evoluzione delle moderne reti distributive per il traffico merci in generale. Sono in particolare evidenziati gli aspetti spaziali, verticali e dinamici delle reti logistiche, con

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riferimento alle principali classificazioni e ai modelli localizzativi dei nodi, ai modelli di organizzazione dei flussi di tipo “hub-and-spoke” e al settore immobiliare logistico. Il secondo capitolo è invece dedicato a tematiche riguardanti più stretta-mente la logistica agroalimentare. Sono innanzitutto evidenziate le determi-nanti della complessità logistica delle filiere agroalimentari, con particolare riferimento a quelle riguardanti i prodotti a temperatura controllata. Succes-sivamente, viene presentata una classificazione dei mezzi di trasporto dei prodotti agroalimentari, soffermandosi inoltre sulla recente tecnologia della refrigerazione passiva. Sono infine affrontate problematiche riguardanti le lo-giche che sono alla base dell’organizzazione delle piattaforme per la logistica agroalimentare, approfondendo anche i principali aspetti tecnici relativi alla progettazione e gestione dei moderni magazzini a temperatura controllata. Nel terzo ed ultimo capitolo sono riportati informazioni e dati identificati-vi dei maggiori nodi logistici italiani di primo livello in cui sono svolte attività legate alla manipolazione e alla distribuzione di prodotti agroalimentari. Si è provveduto in particolare ad analizzare le principali caratteristiche tecniche e di business di 9 nodi portuali e 17 nodi interportuali, nonché le iniziative di sviluppo in corso e previste, con riferimento alla logistica agroalimentare.

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1. Evoluzione delle reti distributive per il traffico merci

1.1. Aspetti spaziali, verticali e dinamici delle reti logistiche

Al fine di individuare quale infrastruttura logistica sia la più idonea per l’organizzazione e gestione dei flussi di merce che interessano un’impresa, una supply chain, un distretto o un territorio è necessario individuare e valutare gli elementi delle moderne reti logistiche . In particolare, come ad esempio già evidenziato in uno studio del Ministero dei Trasporti (1999), le reti logistiche sono costituite da “nodi” (corrispondenti ad impianti produttivi, distributivi e trasportistici) ed “archi” (corrispondenti alle operazioni di trasporto svolte su infrastrutture lineari di collegamento fra un nodo e l’altro) (fig. 1.1).

Figura 1.1 – Esempio generalizzabile di rete logistica

I nodi di una rete logistica possono essere distinti in nodi terminali (for-nitori da un lato e clienti dall’altro) e nodi intermedi. Questi ultimi possono essere a loro volta distinti in impianti di produzione ed in impianti di tipo lo-gistico in senso stretto (ad es. interporti, centri distributivi, magazzini, transit point, ecc.). In generale, è possibile distinguere:

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- grandi nodi logistici ad accesso pubblico e d’interesse nazionale ed in-ternazionale, quali i porti, gli aeroporti, gli interporti e i poli logistici di maggior rilievo;

- nodi logistici ad accesso privato, ovvero impianti minori (centri d’inter-scambio con valenza locale) e strutture di singole imprese o consorzi di imprese (piccole piattaforme logistiche e magazzini), che rappresentano strutture secondarie del sistema dei trasporti e della logistica.

I centri logistici fungono da nodi di connessione tra diversi livelli di rete a livello geografico (globale/nazionale e nazionale/locale), da luoghi di rac-colta e smistamento delle merci e, in alcuni casi, da punti d’interscambio tra diverse modalità di trasporto. In pratica, le strutture logistiche contengono le merci mantenute a scorta e ne regolano i flussi, trasformando quelli in entrata in flussi in uscita, secondo le necessità dettate dai piani di consegna e dalle composizioni delle unità di carico richieste. I collegamenti fra i nodi di una rete logistica possono presentare caratteri-stiche estremamente complesse e diversificate: collegamenti porto-interporto, interscambi fra stabilimenti, spedizioni dirette da stabilimento a cliente, spedi-zioni dirette da magazzino centrale a cliente, ecc. I cicli di trasporto risultano strettamente dipendenti dalla configurazione spaziale della rete. L’inserimento di nodi intermedi all’interno di una rete logistica è moti-vato fondamentalmente da due ordini di ragioni: esigenze di livello di servi-zio (localizzare i prodotti il più vicino possibile al mercato) oppure esigenze di riduzione dei costi logistici (raggruppare le spedizioni relative a diversi prodotti in modo da ottenere significative economie di scala nei trasporti). Il primo caso è tipico dei depositi periferici localizzati nelle aree di mercato; il secondo caso, invece, è tipico dei centri distributivi che raccolgono le merci provenienti da numerosi fornitori e riforniscono i clienti ottimizzando i carichi mediante il raggruppamento di prodotti diversi. Il numero e la localizzazio-ne dei magazzini sono quindi stabiliti in funzione dell’allocazione geografica delle sedi produttive e dei mercati. In particolare è possibile distinguere tre casi:1) localizzazione orientata al mercato;2) localizzazione orientata alla produzione;3) localizzazione di tipo intermedio . Da un punto di vista dinamico una rete logistica può essere vista come un insieme di flussi di materiali in cascata, regolati dall’andamento della do-manda commerciale, in cui i nodi di livello inferiore sono riforniti dai nodi di

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livello superiore. I flussi all’interno della rete e gli accumuli di scorte e/o unità di carico localizzati negli impianti devono consentire l’integrazione dei diver-si cicli operativi dalla fase di approvvigionamento alla vendita finale (cicli di approvvigionamento, cicli di lavorazione, cicli di trasporto, cicli di consumo). Gli accumuli di scorte nei nodi della rete sono resi necessari dall’impossibilità di ottenere una perfetta sincronizzazione dei diversi cicli operativi, ciascuno dei quali è subordinato a vincoli specifici, nonché dall’esigenza di garantire un desiderato livello di servizio al mercato .

1.2.Classificazionedeinodilogisticiterrestri

Il trasferimento dei prodotti dai luoghi di produzione a quelli di consumo può seguire strade diverse, tracciate dal numero e dalla tipologia dei nodi rea-lizzati sul territorio, nonché dai legami istituiti per connetterli (Luceri, 2002). Il livello quantitativo e qualitativo di risorse distributive di cui un territorio dispone può quindi incidere sul suo grado di dipendenza da servizi forniti da infrastrutture ed operatori esterni, influendo sia sui costi e sulle modalità di trasferimento delle merci in ambito nazionale ed internazionale, sia sulla con-figurazione delle correnti di traffico, sia sulla maggiore o minore dipendenza da vincoli naturali. I nodi logistici rappresentano sostanzialmente piattaforme specializzate in attività di trasbordo, trattamento e redistribuzione delle merci. Tali infra-strutture possono essere considerate un risultato dell’evoluzione del settore del trasporto merci, che ha richiesto di utilizzare luoghi in cui sia possibile be-neficiare non solo dell’eventuale coordinamento di più modi di trasporto, ma anche di consolidare/deconsolidare o lavorare merce di diversa provenienza e di ridistribuirla ai clienti. Alcuni lavori specificamente o per la gran parte dedicati al tema dei nodi logistici sono, ad esempio, quelli di Associazione SRM (2007), Bargero e Fer-laino (2004), Bella e Marchetti (2003), Bologna (1998), Brugge (1993), Cabo-di (2000), Dalla Chiara et al . (2002), Hannappe (1986), Iannone et al . (2009), Libardo e Nocera (2006), Maggi (1998), Ministero dei Trasporti (1999, 2001), Nuzzolo et al . (2006), Ottimo e Vona (2001), Uniontrasporti (2007), Vona (2001). Da tali contributi emerge chiaramente che non esiste una definizione unica di infrastruttura logistica. Le infrastrutture per la logistica variano secondo le rispettive localizza-

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zioni, nonché delle attrezzature e dei servizi che offrono. Così, tra i vari nodi logistici, è possibile distinguere ad esempio: gli interporti, i distripark, i city logistics center o centri di distribuzione urbana, ecc. Sempre più spesso a livello operativo alcuni di questi termini sono utilizzati in maniera sostitu-tiva tra loro, oppure in luogo di tali termini sono adoperati sinonimi, quali “piattaforma logistica”, “polo logistico”, “parco logistico” o “centro logisti-co”. Si distinguono poi, anche, i cosiddetti “distretti logistici”, che sono aree specializzate in cui, grazie all’alta concentrazione di servizi e infrastrutture e alla loro posizione baricentrica rispetto ai flussi informativi, di approvvi-gionamento e distributivi, si genera una forte attrazione di attività logistiche, come ad esempio di magazzini centrali per lo stoccaggio e la distribuzione di prodotti su un’area continentale. Un esempio può essere il triangolo “Rotter-dam-Amsterdam-Anversa”. Il termine “distretto logistico” è spesso utilizzato anche per indicare un interporto o un distripark . A livello nazionale ed europeo, i nodi logistici stanno assumendo una ben definita caratterizzazione che si struttura principalmente su tre macrolivelli specifici:a) Infrastrutture standard localizzate lungo le maggiori direttrici di traffico

e/o più strategicamente in prossimità dei grandi agglomerati urbani. Sono strutture di elevate dimensioni che gestiscono prodotti diversificati sen-za assumere una connotazione specialistica (“piattaforme generaliste”). In particolare, queste sono potenzialmente in grado di integrare i cicli produttivi a monte e a valle delle imprese, sebbene attualmente, in Italia, sono nella maggior parte dei casi destinate alla logistica distributiva. Un esempio sono gli interporti .

b) Infrastrutture localizzate in prossimità di distretti industriali o di aree ad elevata industrializzazione o di domanda commerciale (“piattaforme de-dicate”). Sono attivabili soprattutto mediante l’iniziativa privata e posso-no assumere una configurazione ad elevata specializzazione di servizi lo-gistici a monte e a valle del ciclo delle imprese clienti cui si relazionano. In questo caso, la piattaforma logistica svolge ruoli che in passato erano specifici della produzione: assemblaggio, finissaggio, confezionamento, controlli di qualità, oltre alla movimentazione e al trasporto delle merci. Si tratta cioè di attività che sempre più sono esternalizzate a fornitori specializzati, al fine di conseguire tempi e condizioni di consegna compe-titivi. Tali piattaforme possono essere inoltre dotate di raccordi ferroviari e operare in sinergia con infrastrutture logistiche di livello superiore (ad

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esempio gli interporti).c) Infrastrutture per il traffico stradale, comprendenti spazi per il magaz-

zinaggio, la movimentazione delle merci ed i servizi per i conducenti degli automezzi (autoporti, transit point e centri di distribuzione urbana). Esempi di servizi logistici che possono essere offerti in tali strutture ri-guardano ad esempio: il “merge in transit”, che consiste nella fusione di flussi indipendenti di prodotti in transito senza stoccarli; il “groupage” e il “degroupage”, ovvero il consolidamento e il deconsolidamento dei ca-richi per conto di imprese di autotrasporto; il “cross docking”, che consi-ste nel coordinare arrivo e partenza di carichi già allocati presso i clienti; il “rapid fulfillment depot”, che è un’operazione mediante cui la merce viene solo stoccata (senza lavorazione o finitura) per un breve periodo. Contrariamente alle operazioni di cross docking, i carichi movimentati attraverso il rapid fulfillment depot non sono ancora allocati presso clienti particolari .

Come già accennato, è possibile classificare i diversi nodi a seconda della loro tipologia, delle loro caratteristiche, delle modalità di trasporto servite e di particolari dettami normativi. Innanzitutto, le funzioni principali di un nodo logistico possono essere: a) quella di smistamento o transito, che si pone l’obiettivo di massimizzare

la velocità con cui le merci percorrono il canale logistico dalla produzio-ne al consumo;

b) quella di stoccaggio, che è invece relativa alla conservazione delle merci durante il periodo che intercorre nel passaggio da un polo di destinazione ad un altro;

c) quella di transito e stoccaggio. I magazzini di transito sono solitamente localizzati nell’immediata peri-feria delle aree di consegna a maggior assorbimento di domanda; in tali strut-ture, le attività di ingresso, smistamento (o ventilazione) e riconsolidamento avvengono in rapida sequenza e la merce rimane in sosta per periodi molto brevi. I magazzini di stoccaggio, invece, devono essere ben collegati ma più decentrati, dovendo servire numerose destinazioni e in un raggio più ampio; in tali strutture, le merci stazionano per un periodo di tempo determinato dalla politica di rifornimento (giornaliera, settimanale, quindicinale, mensile, ecc.), dalla frequenza di consegna, dalla stagionalità delle richieste e dalla dimen-sione media degli ordini (prelievo a pallet, a colli, per singoli pezzi, ecc.). In genere, i tempi di permanenza sono dell’ordine di settimane o mesi, in quanto

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in questo caso il magazzino funge da punto di disaccoppiamento tra la produ-zione e la distribuzione (Dallari e Marchet, 2005). Per quanto riguarda in particolare la funzione di transito si distinguono le seguenti infrastrutture logistiche:Autoporto, infrastruttura adatta solamente al trasporto su gomma, con

aree riservate ad operatori di autotrasporto in conto terzi ed attrezzate per la presa e la consegna, il consolidamento e il deconsolidamento dei carichi. L’attività maggiormente supportata è il trasporto su gomma di collettame con le connesse funzioni di riordino e smistamento dei carichi, più che di deposito e magazzinaggio. Gli autoporti possono erogare an-che servizi a carattere generale, alle persone ed ai mezzi quali ristoranti, banche, autofficine, nonché servizi doganali se sono localizzati nei pressi di confini di Stato.

Magazzino/piattaforma di smistamento/transito (transit point), infra-struttura di rete che svolge prevalentemente il ruolo di trasformatore dei flussi di prodotti finiti in ingresso in flussi in uscita, con particolare rife-rimento alla composizione dei carichi. La tecnica utilizzata, tipicamente nella distribuzione dei prodotti alimentari deperibili si chiama di cross-docking. Essa permette di effettuare nella piattaforma di smistamento la preparazione degli ordini (picking), senza la necessità di ricorrere ad un magazzino. In altre parole, nella piattaforma si effettua il trasbordo della merce direttamente in banchina, passando dagli automezzi a carico com-pleto dei vari fornitori a quelli di piccole dimensioni che provvedono alle consegne su base locale.

Gateway (o scalo di smistamento), infrastruttura ferroviaria posta su una direttrice ferroviaria caratterizzata da grandi flussi di convogli merci e in corrispondenza di una stazione. Consente di trasferire unità di carico provenienti da altri convogli ferroviari e da altri mezzi di trasporto su un treno a lunga percorrenza.

Centro intermodale (o terminal intermodale), infrastruttura solitamente non dotata di magazzini, dove si effettua il trasferimento delle unità di carico (container, casse mobili e semirimorchi) tra modi e mezzi di tra-sporto . I terminal container sono situati presso i porti; quelli posti presso un terminal ferroviario terrestre, per il trasporto combinato strada-rotaia, sono anche denominati inland terminal. Tali strutture possono essere ge-stite direttamente dall’ente ferroviario o da altre società pubbliche e pri-vate. Tipicamente, ma non esclusivamente, i terminali intermodali sono

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posti all’interno di un interporto.Terminal cargo aeroportuale, infrastruttura dove opera un handler aero-

portuale di merci. Per quanto riguarda invece la funzione di movimentazione e stoccaggio si distinguono le seguenti infrastrutture logistiche, di cui alcune svolgono anche funzione di transito: Piattaforma logistica (o polo logistico), infrastruttura dotata di un’ampia

superficie scoperta che ospita veicoli, unità di carico, eventuale centro di trasferimento intermodale, nonché di un’ampia superficie coperta che ospita diversi magazzini con impianti automatici o semiautomatici di movimentazione, governati da sistemi informatici complessi, e in cui si svolgono anche attività di lavorazione ad alto valore aggiunto sulle merci. Le piattaforme logistiche sono infrastrutture, normalmente a gestione pri-vata, che consentono di soddisfare le necessità delle aziende che offrono servizi logistici, nonché delle aziende che producono o commercializzano beni e che svolgono in proprio questi servizi. Tali nodi hanno funzione di transito, stoccaggio e manipolazione delle merci1. Sono inoltre ubicate

1 Per quanto riguarda in particolare i fattori di convenienza delle imprese interessate ad insediarsi in un polo logistico, vanno distinti vari aspetti, e cioè: magazzini, tra-sporti e costi di gestione. Sinteticamente si può affermare che per l’utenza di un qual-siasi polo logistico i costi di acquisto/affitto sono tendenzialmente più alti, in quanto i magazzini inseriti in un polo devono avere determinate caratteristiche e standard qualitativi elevati, mentre i costi di trasporto e i costi di gestione sono tendenzialmente più bassi. Il vantaggio dovrebbe essere quindi pressoché garantito.Un polo logistico è infatti solitamente servito da vie di comunicazione adatte al tran-sito di mezzi pesanti ed è ubicato in zone dove il traffico risulta essere non eccessiva-mente caotico, pur essendo rapidamente raggiungibile dalle grandi arterie di traffico. È quindi lecito pensare che avere un magazzino in un polo logistico permetta di ri-durre i costi di trasporto. Per quanto riguarda inoltre i costi di gestione, il polo logi-stico consente di ottenere, grazie alle sue dimensioni, economie di scala difficilmente ottenibili da un singolo magazzino. La scelta delle imprese di localizzare o meno un magazzino in un polo logistico dovrebbe comunque tener conto, oltre che dei costi, anche della “qualità” del magazzino stesso. In particolare, i magazzini di un parco lo-gistico possono essere utilizzati da aziende diverse per soddisfare differenti esigenze. È quindi necessario che i magazzini realizzati siano flessibili, capaci cioè di adattarsi alle differenti esigenze degli operatori .Le modalità di utilizzo degli immobili da parte degli operatori possono essere le più diverse. Già in sede progettuale andranno quindi studiate tutte le caratteristiche dei singoli magazzini che formeranno il polo logistico per garantire la massima qualità e

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in bacini di utenza dove si concentra la domanda di servizi logistici e risultano fortemente integrati con le reti di distribuzione locali. La mano pubblica può intervenire solo negli oneri di urbanizzazione, ma la loca-lizzazione e la dotazione tecnologica non possono che essere scelte da un’impresa privata o da un accordo tra imprese coinvolte nel medesi-mo progetto e le amministrazione pubbliche. L’area attrezzata dovrebbe disporre di almeno di 200.000 metri quadrati di superficie. Solamente prevedendo dimensioni piuttosto elevate si riesce a ripartire in modo eco-nomico gli alti costi di gestione del polo stesso, come ad esempio per quanto riguarda i costi d’illuminazione, di manutenzione, di pulizia dei piazzali, di vigilanza, ecc .

Il concetto di piattaforma logistica è spesso utilizzato con significati pro-fondamente diversi, da cui deriva un’ambiguità di interpretazione. Ad esem-pio, il termine piattaforma è utilizzato per indicare:- un deposito centrale tale da costituire il punto nevralgico di una rete di-

stributiva di un produttore;- il transit point di un vettore. Spesso il termine “piattaforma logistica” è utilizzato anche come sinoni-mo di interporto. L’ambiguità interpretativa che ne consegue deriva dalla con-cezione originaria francese delle plateformes logistiques, a cui corrispondono gli interporti italiani. In tutta Europa, l’adozione di questo tipo d’infrastruttura presenta caratteristiche diverse da Paese a Paese.Centro merci, infrastruttura che, oltre alle funzioni di trasferimento svol-

te dal terminale intermodale, comprende funzioni minime di servizio ai praticità d’uso. Alcuni importanti elementi da considerare sono ad esempio:- l’ottimizzazione delle maglie strutturali, in modo da consentire l’utilizzo più ra-

zionale e flessibile dello spazio sia a chi ha maggiori necessità di movimentazio-ne delle merci (passaggio dei muletti), sia a chi ha maggiori necessità di stoccag-gio (dimensioni delle scaffalature che possiedono misure standard);

- la planarità del tetto, sempre più richiesta dagli enti di controllo per la certifica-zione assicurativa degli impianti antincendio (sprinkler);

- un’adeguata altezza minima sotto trave; - un’adeguata larghezza delle strade interne; - un’adeguata altezza del piano di ribalta rispetto al livello stradale; - la possibilità di cross docking; - un’adeguata profondità di attracco; - la presenza di uffici nei mezzanini, eventualmente dotati di collegamento a fibre

ottiche;- la produzione autonoma di energia elettrica e riscaldamento.

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mezzi ed alcuni servizi alle merci, con la presenza di edifici per la mani-polazione ed il deposito delle merci. In pratica, sono infrastrutture gestite da privati e che, in presenza di un centro intermodale al loro interno, hanno funzioni analoghe a quelle degli interporti, ma inferiori a queste per dimensioni .

Interporto, tipologia di infrastruttura logistica prevista in Italia dal Piano Generale dei Trasporti del 1986 e dalla Legge 240/90 (“Intervento dello Stato per la realizzazione di interporti finalizzati al trasporto merci e in fa-vore dell’intermodalità”), collegata con diverse reti di trasporto, dotata di un centro intermodale, una sede doganale e diversi magazzini. In pratica, rappresenta un insieme organico di strutture e servizi integrati finalizzati allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, comprendente uno scalo ferroviario idoneo a formare e/o a ricevere treni intermodali e in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione. Al suo interno sono svolte tutte le attività relative ai trasporti (mono-modali e combinati), alla logistica e alla distribuzione delle merci. Gli interporti, sono strutture logistiche molto estese, con superfici di almeno qualche centinaia di ettari (oltre i 600-700 mila mq), fino ad alcuni milioni di mq.

Distripark, ovvero macro-piattaforma logistica avanzata in grado di ope-rare sia come centro di stoccaggio, sia come cross-docking . È localizza-ta solitamente in una zona franca retroportuale o aeroportuale in cui è possibile fornire valore aggiunto alle semplici operazioni di carico/scari-co delle merci, rivestendo la funzione di punto di interscambio fra varie modalità di trasporto e di congiunzione fra industria e servizi. Con tale sistema, la “rottura di carico” diviene indispensabile al fine di consentire l’effettuazione di servizi logistici avanzati quali, ad esempio, il controllo qualità, l’assemblaggio, il confezionamento e l’etichettatura, a supporto di attività globalizzate di produzione e scambio.

Centro di distribuzione urbana (CDU), infrastruttura realizzata in prossi-mità delle aree urbane e metropolitane in cui vengono raccolte, stoccate e manipolate le merci trasportate dai veicoli pesanti per poi essere smistate su mezzi di minore portata (e a basso impatto ambientale), secondo un piano di consegne ottimizzato nei percorsi e negli orari. In tali strutture si svolgono quindi principalmente operazioni complementari sulle merci e quelle di consolidamento e deconsolidamento dei carichi. I centri di distribuzione urbana rappresentano generalmente nodi logistici ad uso

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esclusivo di un operatore o dei suoi partner (ad esempio produttori di beni e/o altri operatori logistici) e destinati al trasporto monomodale stradale. Nascono dalla necessità di agevolare l’accesso nei centri storici, ridurre gli impatti ambientali del trasporto merci nelle aree urbane e metropoli-tane .

Magazzini/depositi, che rappresentano dei “polmoni”, ovvero dei luoghi in cui la componente dei servizi alle merci o alle imprese è molto ridotta e che assolvono quasi esclusivamente la funzione di stoccaggio e gestione amministrativa di riserve di scorte utili ad affrontare le richieste prove-nienti dai diversi mercati. In una logica di produzione just-in-time si tende a limitare il numero di queste strutture, poiché si riducono le rotture di carico e di conseguenza i luoghi di stoccaggio. Dal punto di vista della collocazione all’interno della supply chain i magazzini con funzione di movimentazione e stoccaggio possono essere suddivisi in:- Magazzini di fabbrica, utilizzati come polmone di disaccoppiamento

tra due fasi successive del processo produttivo. Possono essere sud-divisi in:- magazzini di materie prime; - magazzini di semilavorati;- magazzini interoperazionali.

Per quanto riguarda le prime due tipologie, trattasi solitamente di pun-ti di consolidamento dei carichi provenienti da numerosi fornitori. Essi possono essere posizionati in prossimità di un grande sito produttivo in modo che il materiale possa essere rapidamente trasferito, anche su base giornaliera, a seconda dei fabbisogni.- Magazzini di rete: magazzini di prodotto finito interfacciati con il

mercato dei clienti. Possono a loro volta essere suddivisi, in relazio-ne alla funzione svolta o alla loro collocazione all’interno della rete distributiva, in:

- Magazzini centrali, spesso annessi agli stabilimenti di produzione. Nel caso invece di aziende di distribuzione, sono generalmente con-nessi a una rete distributiva multilivello e hanno la funzione princi-pale di centro di stoccaggio .

- Centri di distribuzione (Ce.Di.): si tratta di magazzini collocati in una posizione intermedia all’interno della rete distributiva (con funzione di copertura di una specifica area geografica), cui fanno capo i diversi materiali provenienti da vari fornitori e/o stabilimenti di produzio-

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ne. Tale concentrazione consente la formazione di carichi completi, comprendenti il mix di prodotti desiderato, destinati ai diversi clienti della zona servita (più raramente anche a depositi periferici). È la tipica struttura utilizzata dai principali operatori della grande distri-buzione per ricevere le merci da fornitori di beni di largo consumo e servire i punti vendita al dettaglio (supermercati e ipermercati).

- Magazzini periferici, strutture tipiche nel settore dei beni di largo consumo caratterizzate da una prevalenza della funzione di picking (allestimento e preparazione ordini) e di smistamento. Sono dislo-cate nei diversi bacini di domanda per garantire un adeguato livello servizio ai clienti in termini di tempo di consegna nonostante la di-spersione geografica del mercato. L’economicità di tali strutture è particolarmente elevata quando il valore della merce è relativamente basso, i rifornimenti richiesti sono frequenti e i volumi alti ma non sufficienti a comporre un carico completo. La localizzazione in pros-simità dell’area di mercato permette di beneficiare delle economie di scala realizzabili tramite il consolidamento delle spedizioni in arrivo dalle fonti di approvvigionamento .

Magazzini generali, infrastrutture di pubblica utilità inseriti di norma all’interno di nodi logistici di primaria importanza in cui è prevista la presenza di un presidio doganale. Un tempo avevano funzioni prevalen-temente di immagazzinamento e distribuzione di derrate alimentari. Suc-cessivamente, con la presenza al loro interno di un presidio doganale, hanno costituito il punto di riferimento per gli operatori economici coin-volti in acquisti all’estero di grandi quantità di merce di diversa tipologia. Oltre alla funzione prevalente di stoccaggio essi offrono servizi alle im-prese di carattere fiscale e amministrativo (deposito IVA), servizi ai mezzi e alle persone quali per esempio la sosta custodita dei veicoli e locali di ristoro. La differenziazione dell’offerta della gamma di servizi è tuttavia legata alla struttura logistica in cui il magazzino generale è collocato. I magazzini generali possono: - rilasciare un titolo di credito rappresentativo della merce così da con-

sentire il trasferimento della proprietà mediante semplice girata sul titolo;

- ottenere un finanziamento da istituti di credito dando la merce in pegno attraverso il titolo di credito;

- rinviare il pagamento dei dazi e dei diritti doganali che saranno dovu-

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ti solo al momento dell’uscita della merce dal magazzino doganale, o non pagati affatto nel caso di merce destinata all’esportazione.

1.3.Localizzazionedeinodilogisticieorganizzazionedeiflussisecondoilmodellohub-and-spoke

Come ampiamente dimostrato dai moderni approcci alla pianificazione, organizzazione e gestione di attività imprenditoriali nell’ambito dell’econo-mia reale, le maggiori e più frequenti cause di discontinuità nell’ambito di un sistema logistico sono solitamente:- la dinamica dei volumi;- i cambiamenti di gamma;- le riallocazioni di capacità produttiva;- la necessità di variabilizzare i costi o di ridurre gli immobilizzi;- i cambiamenti dei flussi origine/destinazione. È soprattutto in questi casi che si attivano progetti strategici di outsourcing/insourcing, nonché di riconfigurazione della rete fisica e di processi importan-ti . Con riferimento alla localizzazione dei nodi logistici e all’organizzazione dei flussi, è possibile distinguere modelli di comportamento che variano sensi-bilmente in funzione della logica che sottende l’azione dell’attore economico interessato o del rapporto di forza che esiste tra diversi attori economici in un dato momento della storia di una modalità di trasporto e/o di un prodotto e del mercato di riferimento (Cabodi, 2000). Le principali logiche alla base della progettazione delle catene logistiche e della localizzazione ed organizzazione del sistema di depositi e piattaforme da parte di imprese di produzione, commerciali e di servizi logistici dipendo-no in misura sempre maggiore dalla tipologia di bene da trasportare e dalle caratteristiche della domanda. In ogni caso, la tipologia, il numero e la localiz-zazione dei nodi logistici funzionali alle attività di gestione di una o più supply chain dipendono generalmente da molteplici fattori, quali:- il numero e la localizzazione di fornitori e/o clienti (a seconda del caso);- il numero, la localizzazione e la capacità produttiva di impianti già esi-

stenti;- la tipologia, il ciclo di vita e la densità di valore dei beni;- le quantità inoltrate;

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- i termini di resa;- il livello di servizio richiesto (ad es. in termini di frequenza delle spe-

dizioni, tempi di consegna programmati, gestione dei resi/sostituzioni/riparazioni, assistenza, ecc.);

- le richieste di personalizzazioni dei prodotti e/o di particolari imballaggi per determinate aree geografiche e/o clienti;

- la regolarità della domanda;- la morfologia, la dotazione infrastrutturale, la dotazione immobiliare, il

grado di accessibilità e la situazione economica, politica, legislativa e fiscale del territorio, secondo le diverse scale geografiche di interesse.

La scelta del modello distributivo dipende fortemente dal trade-off esi-stente tra i costi di trasporto verso i clienti (trasporto secondario o outbound) e i costi di trasporto dalle fonti di approvvigionamento ai magazzini (trasporto primario o inbound), più i costi legati al magazzinaggio e al mantenimento delle scorte (Maggi, 1998). Nel caso di prodotti ad alta densità di valore e/o nel caso di basse frequenze di consegna si tende solitamente alla riduzione di costi di mantenimento delle scorte, cercando di ridurre il più possibile il numero di punti di stoccaggio. Nel caso invece di prodotti voluminosi e de-peribili si tende alla riduzione dei costi di trasporto, frammentando la rete di distribuzione. Anche nel caso di elevate quantità da distribuire e/o di bassa irregolarità della domanda si tende solitamente ad utilizzare reti distributive più decentrate (Dallari e Marchet, 2003). Come indicato nella figura 1.2, strut-ture caratterizzate da molti depositi periferici e piccole e frequenti consegne emergeranno allorquando le imprese siano più orientate al livello di servizio ed i costi di trasporto sono alti; al contrario, strutture caratterizzate da pochi depositi centralizzati emergeranno quando le imprese hanno l’obiettivo di re-alizzare di economie di scala nel trasporto (Radstaak et al ., 1998; Tavasszy et al ., 2003). Le tendenze del mondo produttivo moderno sono caratterizzate da pro-cessi diffusi di terziarizzazione delle attività di magazzino e più in generale logistiche e distributive da parte di imprese di produzione e commerciali ad operatori altamente specializzati (Marasco, 2008). L’industria logistica mo-derna è caratterizzata dalla presenza di fornitori che mettono in atto logiche localizzative e reti distributive particolarmente innovative, soprattutto in rela-zione agli effetti territoriali indotti . Le imprese dominanti tendono a localiz-zarsi in centri logistici con funzioni di poli di concentrazione, bilanciamento e smistamento dei flussi di tutte le diverse modalità di trasporto operanti in

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un certo mercato. Spesso si assiste anche alla realizzazione di piattaforme di distribuzione gestite da società specifiche al servizio di reti di centri commer-ciali come risultato di alleanze tra integratori logistici e operatori della grande distribuzione (Cabodi, 2000; Savy et al ., 1995).

Figura 1.2 – Il trade-off tra scorte e trasporti

Fonte: Tavasszy et al ., 2003

Per comprendere meglio i motivi che spingono le imprese a scegliere alcune localizzazioni piuttosto che altre, per insediarvi le piattaforme logi-stiche, occorre considerare che le attività logistiche e di distribuzione sono solite localizzarsi secondo una struttura a rete che collega nodi primari a nodi secondari. Il livello di connettività delle reti logistiche è fortemente aumentato negli ultimi tempi, in quanto da un modello a rete non ordinata si è passati ad un modello a rete ordinata di tipo “hub-and-spoke”, che risponde a logiche di radializzazione e massificazione dei flussi, riducendo i collegamenti necessari all’interscambio, le rotture di carico e i costi di produzione dei servizi logistici (fig. 1.3).

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Figura 1 .3 – Modello distributivo tradizionale e modello hub-and-spoke

Fonte: Rodrigue et al ., 2006

Mentre il tradizionale sistema a rete prevede che i centri di raccolta e distribuzione delle merci operino come soggetti indipendenti e quindi spesso in sovrapposizione spaziale-merceologica, la logica hub-and-spoke richiede la concentrazione dei traffici su pochi punti (hub) che sventagliano le merci verso strutture periferiche (spoke) da cui hanno poi origine le consegne finali su brevi itinerari terrestri. Il modello dei centri di smistamento centralizza-ti, largamente diffuso nel traffico marittimo, dove i cosiddetti hub portuali di transhipment sono posizionati lungo le tratte servite dalle grandi navi che effettuano servizi intercontinentali, si sta, anche se lentamente, diffonden-do nella distribuzione terrestre. In campo marittimo tale soluzione risponde sostanzialmente alla necessità degli armatori di massimizzare la saturazione

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delle grandi navi; in campo terrestre, invece, la logica in oggetto prevede lo sviluppo di varie strutture logistiche in qualità di hub primari e spesso anche in concorrenza fra loro. Gli spoke, invece, sono rappresentati dai collegamenti con gli hub di livello inferiore (piattaforme logistiche minori), che movimen-tano lotti di merce a scala progressivamente decrescente, posizionandosi nelle immediate vicinanze della destinazione finale delle merci (Forte, 2005). Le principali ragioni per cui molte imprese sono passate da configurazioni più tradizionali della propria rete distributiva al modello hub-and-spoke sono, da un parte, quella di aumentare la velocità e l’efficienza delle operazioni di smistamento e distribuzione, e dall’altra, l’opportunità di sfruttare le econo-mie di trasporto indotte dalla presenza di uno o più punti di transhipment in cui si consolidano e si smistano i flussi provenienti dalle principali direttrici di traffico. Concentrando, infatti, i principali flussi su un numero minore di collegamenti, è possibile raggiungere una maggior saturazione dei mezzi di trasporto (possibilmente in entrambe le direzioni) e garantire una frequenza di consegna elevata (Dallari, 1999; Dallari et al ., 1999; Dallari e Marchet, 2003). L’adozione del modello hub-and-spoke come modalità di organizzazione delle reti logistiche non solo ha consentito la razionalizzazione dei flussi di merci e la conseguente contrazione del numero di strutture dedicate alla movi-mentazione delle stesse, ma è stata anche causa e conseguenza di un processo di selezione tra gli operatori logistici, che tendono a ridursi nel numero e a specializzarsi su determinati segmenti di domanda. L’organizzazione secondo il modello hub-and-spoke diventa quindi il fulcro di una strategia messa in atto dai principali operatori logistici per consolidare le proprie posizioni su particolari aree, escludendone i concorrenti. L’adozione di un simile model-lo ha determinato, comportando notevoli investimenti, un innalzamento delle barriere d’accesso al settore e quindi la conseguente selezione degli operatori e il consolidarsi di una situazione di quasi oligopolio (Cabodi, 2000; Cescom Bocconi e Sistema Impresa, 1998; Debernardi, 1996). Lo sviluppo delle reti radializzate, inoltre, ha fatto emergere la necessità per ogni paese di predisporre una rete logistica nazionale dotata di hub di pri-mo e secondo livello, gerarchicamente coordinati fra loro e di movimentazioni veloci e funzionali attraverso spoke efficienti (Bologna, 1998). La condizione necessaria per un nodo con i requisiti geografici per poter fungere da hub è di disporre di servizi di trasbordo di qualità a prezzi competitivi e di una rete di infrastrutture in grado di permettere lo smistamento dei carichi per le desti-

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nazioni finali (invio agli spoke), con tutte le modalità di trasporto disponibili, necessarie e più convenienti da utilizzare, singolarmente o combinate. La localizzazione di un hub dipende quindi principalmente dalle aree da servire, o meglio dalla possibilità di servire il proprio bacino entro tempi brevi e con la massima affidabilità. Per questo motivo nelle scelte localizzative di un hub hanno grande importanza le condizioni di accessibilità locali e quindi il basso livello di congestione della rete infrastrutturale e la possibilità di rag-giungere facilmente non solo i mercati da servire, ma anche i nodi delle reti principali . Il diffondersi di questo modello dovrebbe consentire maggiore libertà nelle scelte localizzative e distributive, determinando, a scala europea, nuove occasioni di sviluppo, attraverso l’inserimento in reti specifiche, per territori tradizionalmente periferici. Fino ad oggi, gli integratori logistici, che detengo-no il controllo di tali reti, hanno privilegiato localizzazioni in corrispondenza dei maggiori hub infrastrutturali e in particolare di quelli portuali e aeropor-tuali, di norma collocati in zone centrali. Le ragioni di queste scelte dipendono principalmente dal fatto che la densità di popolazione e attività economiche, la presenza di infrastrutture di trasporto più articolate, moderne ed efficienti, l’esistenza di politiche volte a facilitare il transito delle merci rappresenta-no fattori decisivi nelle scelte localizzative. La localizzazione specifica di un centro logistico riflette infatti il bisogno di ottimizzare la quantità e la qualità del traffico locale e di quello a lunga distanza, ovvero il rapporto e le rotture tra le due tipologie di traffico, così che i flussi possano essere efficientemente consolidati/deconsolidati e smistati . L’attuale congestione dei sistemi infrastrutturali e, in alcuni casi, l’alto costo dei terreni e della manodopera iniziano però spesso a rappresentare al-trettanti fattori che spingono le imprese a cercare localizzazioni alternative a quelle centrali per i loro hub . Iniziano così ad emergere nuove zone per la loro localizzazione. Tali aree emergenti, sebbene collocate in territori periferici o al di fuori delle consolidate rotte di traffico, sono caratterizzate dalla presenza di reti efficienti e poco congestionate, assicurando la possibilità di un servizio affidabile, rapido ed economico. Inoltre, in queste aree, i costi di installazio-ne, così come quelli di funzionamento, sono solitamente meno elevati. Per questi territori, quindi, lo sviluppo e la diffusione del modello hub-and-spoke potrebbe rappresentare una reale occasione di sviluppo. A scala europea, ciò potrebbe rappresentare l’occasione per realizzare un assetto territoriale inno-vativo, più equilibrato ed “equo” (Molin, 1994). Condizione necessaria affin-

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ché ciò avvenga è un ripensamento delle politiche infrastrutturali, soprattutto per quanto riguarda l’accessibilità dei territori periferici. Un fattore significativo nella ridefinizione delle strategie localizzative è il ruolo assunto dalle reti transeuropee di trasporto (Trans-European Network-Transport, TEN-T), indispensabili per assicurare la libera circolazione del-le merci nell’Unione Europea. Gli orientamenti per lo sviluppo delle TEN-T definiscono le priorità dell’Unione Europea in materia di trasporto merci, applicando l’etichetta di “rete” a determinati itinerari e concentrando così il sostegno finanziario a favore di progetti con un valore aggiunto comunitario più elevato . Con particolare riferimento ai nodi delle reti TEN, questi sono costituiti dalle infrastrutture d’interconnessione che convertono le diverse modalità di trasferimento e trasporto a grande scala nelle funzioni logistiche metropolitane e in quelle di scambio delle risorse ambientali, sociali ed econo-miche a livello urbano. Le imprese si trovano così costrette a individuare aree per l’approvvigionamento, lo stoccaggio e la distribuzione merci con diversi raggi d’azione, dando luogo a diversi modelli distributivi (Baccelli ed altri, 2007). Ad oggi, la maggior parte dei centri di distribuzione e degli hub euro-pei si trova nella cosiddetta “Blue Banana”, una fascia curvilinea di territorio che si estende da Manchester in Gran Bretagna, fino al Nord Italia, passando per Olanda, Belgio, Germania e Svizzera. Questa zona rappresenta il cuo-re commerciale dell’Europa e garantisce un rapido accesso ai mercati chiave dell’Unione Europea, anche grazie ad un network di trasporti ed infrastrutture ben sviluppato. Tale fascia di territorio si sta inoltre sempre più estendendo fino ad includere aree dell’Europa centrale ed orientale, nonché della Francia e della Spagna (fig. 1.4). Un’altra concentrazione di siti logistici è rappresentata dal cosiddetto “Latin Arc”, che parte dalla penisola iberica (vicino Madrid), passa attraverso la regione di Valencia e la Catalogna (Barcellona), la Francia (Montpellier, To-losa, Marsiglia), raggiunge la pianura del Po e si estende fino all’Italia centro-meridionale. Tra le localizzazioni attualmente più richieste per lo svolgimento di attività logistiche, diversi studi immobiliari recenti rivelano una notevole apertura nell’area del centro-sud Italia, dove la disponibilità di terreni è ele-vata ed a costi ancora competitivi. Si segnala, ad esempio, il forte interesse per l’area sud di Roma e di alcune aree di Puglia e Campania. Tuttavia, la carenza di infrastrutture continua a bloccare lo sviluppo di nuovi centri di-stributivi e il Nord del Paese resta ancora l’area più richiesta. Questo avviene

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soprattutto a seguito dell’ingresso di numerosi operatori europei nel mercato italiano, per i quali il Nord Italia è sicuramente più strategico e, in particolare, la zona dell’estremo Triveneto, porta di transito verso gli sbocchi commerciali ad Est.

Figura 1 .4 – La Blue Banana e le sue estensioni

Fonte: Cushman & Wakefield, 2006

L’allargamento ad Est dei confini dell’Unione Europea e l’integrazione economica dei nuovi Paesi membri stanno causando importanti cambiamenti nei modelli distributivi e della supply chain delle imprese in ambito europeo. I poli della logistica europea si stanno, infatti, spostando in misura maggiore ad Est per far fronte alle crescenti richieste dei mercati emergenti. Le logiche localizzative delle imprese non sono comunque le uniche da

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tenere in considerazione. Infatti, da quando autorità e altri enti locali, come ad esempio Province, Comuni e Camere di Commercio, hanno iniziato a cogliere le possibilità offerte dalla logistica, si è innescato un circuito parallelo a quello dei privati per la realizzazione di queste strutture. Le piattaforme pubbliche sono promosse e finanziate con la finalità di fornire strutture fruibili da utenti che non possono o non ritengono conveniente realizzarle in proprio. Esse rap-presentano uno strumento importante per lo sviluppo locale, sebbene la loro localizzazione spesso non nasce dalla considerazione delle esigenze espres-se dalle imprese. Tali installazioni, infatti, tendono a essere allontanate dalle zone economiche più attive, poiché consumatrici di grandi spazi e produttrici di risorse fiscali meno interessanti che quelle prodotte da attività commerciali o di alta tecnologia, mentre le aree in crisi entrano in competizione per atti-rarle, in quanto potenziali produttrici di nuova occupazione. Il risultato è la proliferazione di progetti e interventi in luoghi dove non esiste la richiesta di tali strutture, mentre spesso non ne esistono dove effettivamente potrebbero essere utili, non solo come risposta ad esigenze industriali, ma anche come strumenti per favorire un riequilibrio delle attività logistiche e di trasporto sul territorio (Cabodi, 2000; Paché, 1992).

1.4.Immobiliperlalogisticaecaratteristichedelmercatoalivelloeuropeoe nazionale

Il settore immobiliare logistico rappresenta quella parte del più generale comparto immobiliare che si occupa dell’analisi localizzativa, nonché della realizzazione e della vendita di immobili con destinazione d’uso logistica, vale a dire magazzini e centri logistici ove si concentrano le attività di stoc-caggio e smistamento delle merci di uno o più operatori (Creazza, 2006). Il mercato è attualmente caratterizzato da un trend di sviluppo abbastanza fa-vorevole. Gli attori principali sono grandi operatori del trasporto e della logi-stica, sviluppatori logistici, enti pubblici territoriali (consorzi industriali, enti locali), intermediari di diversa natura (agenzie di promozione, agenzie immo-biliari, consulenti), gestori di piattaforme logistiche pubbliche e costruttori. Inoltre, con l’ingresso sul mercato di società di sviluppo immobiliare come ad esempio Pirelli RE, Gazelet, GSE e ProLogis, l’offerta di immobili specializ-zati ha raggiunto caratteristiche e prezzi industriali che permettono ad aziende manifatturiere, commerciali e distributrici da una parte e dall’altra agli opera-

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tori logistici di non presidiare questo aspetto della loro attività, utilizzando le risorse finanziarie disponibili per impieghi legati all’attività caratteristica. In ogni caso, il mercato immobiliare logistico può essere compreso a par-tire dall’analisi di tutte le sue componenti fondamentali: localizzazioni, im-mobili, attori e transazioni (Jones Lang La Salle, 2008a). È possibile quindi innanzitutto distinguere tra “prime” e “secondary” location, dove le prime rappresentano aree ubicate in corrispondenza di importanti infrastrutture di trasporto, con uno stock di immobili logistici consolidato ed un mercato di riferimento molto ampio. Sono altresì considerate primarie le aree in cui stan-no emergendo sviluppi immobiliari logistici importanti, fatte salve le altre caratteristiche sopra specificate. Sono definite invece secondarie le aree che non soddisfano tutti od alcuni dei criteri utilizzati per classificare le prime location . Il magazzino rappresenta un elemento fondamentale per il sistema logi-stico, in quanto è il nodo centrale di interconnessione e coordinamento dei flussi. Esso influenza le prestazioni di costo e di servizio dell’impresa e di ampia parte della catena o delle catene produttive e/o distributive a cui questa appartiene. I parametri ottimali di un immobile logistico sono in ordine di importanza: - una localizzazione strategica, sia dal punto di vista operativo che in ter-

mini di visibilità; - una corretta gestione e conservazione delle merci; - un numero adeguato di portoni sezionali, baie di carico e attrezzature

necessarie . In generale, l’evoluzione della logistica segue una tendenza alla realizza-zione di magazzini più grandi, più alti e con più porte. Secondo le caratteristi-che tecniche e strutturali è possibile distinguere (Scenari Immobiliari, 2006):- Classe A: immobile di almeno 10 o 12 metri di altezza, con una superficie

coperta maggiore di 5.000 metri quadrati, con rapporto di superficie tra coperta e scoperta di uno a due, maglie ampie, cablato, con impianti an-tincendio e sprinkler, adatto alle funzioni logistiche.

- Classe B: immobile con altezza superiore agli 8 metri e inferiore ai 10 metri, superficie coperta superiore ai 2.000 metri quadrati, con rapporto di superficie tra coperta e scoperta di uno a due, con livello medio di do-tazioni di impianti, adatto alle funzioni logistiche.

- Classe C: immobile di altezza inferiore agli 8 metri, con superficie supe-riore o uguale a 1.000 metri quadrati, quasi sempre frutto di riconversio-

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ne da altre funzioni, industriali o trasportistiche, adattabile alle funzioni logistiche .

Attualmente, a livello internazionale gli immobili più richiesti per attività di logistica moderna sono quelli appartenenti alla classe A. Dal punto di vista dimensionale, la taglia media orientativa dei magazzini richiesti alle socie-tà immobiliari è di 12 mila metri quadrati. Il dimensionamento dipende da molteplici fattori, ad esempio: se l’immobile logistico è mono-fronte la pro-fondità non deve superare i 95-100 metri, mentre se l’immobile è bi-fronte la profondità può arrivare a 130-140 metri. Inoltre, per quanto riguarda l’altezza di impilamento della merce, questa deve garantire almeno 10,5 metri di luce libera sotto trave. I singoli comparti dell’edificio non devono essere superiori agli 8.500 metri quadrati e con un numero sufficiente di punti di collegamento tra i diversi comparti, almeno due per i magazzini monofronte e tre per quelli bifronte. La maglia strutturale minima dell’edificio deve essere di dodici metri (al fine di evitare rigidità nella definizione del lay-out interno del magazzino) e occorre poi anche una perfetta planarità e non discontinuità della pavimenta-zione, con una portata in grado di assicurare un carico uniforme di 5.000 Kg/metro quadrato. La densità delle ribalte deve essere di almeno una ogni 800/1.000 metri quadrati (tale parametro dipende anche dal tipo di destinazione dell’immobi-le logistico, tendenzialmente superiore per centri distributivi ed inferiore per centri di deposito e/o puro stoccaggio di prodotti). Infine, i piazzali devono avere una profondità di almeno 35 metri per consentire una normale circola-zione e sosta degli automezzi. Per quanto riguarda il layout complessivo del magazzino, la tendenza prevalente è quella di adottare una disposizione delle aree operative coerente con il flusso dei materiali, in modo da minimizzare i costi di movimentazione. La dimensione, le caratteristiche e l’importanza di ciascun’area operativa va-riano in relazione alla tipologia del magazzino e al tipo di prodotti trattati . Da un punto di vista qualitativo si distinguono le seguenti tipologie di magazzino:- Magazzini per stoccaggio intensivo, generalmente di grandi dimensioni

(sopra i 10.000 mq) e localizzati nei pressi delle principali arterie au-tostradali. Le principali caratteristiche tecniche sono: maglia strutturale ampia, altezza sottotrave di almeno 10 metri, doppio fronte di ribalte, impianto sprinkler, ampie aree di manovra .

- Magazzini per corrieri espresso, generalmente di dimensioni medio pic-

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cole (1.500-2.000 mq) per lo smistamento e la distribuzione di colli nel minor tempo possibile. Le principali caratteristiche tecniche sono: altezza sottotrave di circa 8 metri; alto numero di baie di carico; doppio fronte di carico e minor profondità rispetto allo standard. Sono generalmente loca-lizzati nei pressi dei principali mercati finali di distribuzione.

- Magazzini specialistici (del freddo, automatici, ecc.), generalmente dotati di elevate caratteristiche tecniche costruttive, funzionali al tipo di attività logistiche da svolgere (conservazione di merci a temperatura controllata, gestione automatizzata di colli, ecc.).

Tutti i magazzini di logistica - con poche eccezioni, ad esempio quel-li per gli elettrodomestici bianchi - sono scaffalati (in senso longitudinale o trasversale), in quanto la merce è pallettizzata ovvero suddivisa/confezionata su “piattaforme di sostegno” – i pallet, appunto – generalmente in legno, uti-lizzate per le operazioni di movimentazione e stoccaggio. Tutte le dimensio-ni sono quindi rigidamente governate dal “modulo”, cioè dalla dimensione standard del pallet. Si stanno inoltre diffondendo soluzioni eco-compatibili per i magazzini logistici che prevedono lo sfruttamento delle energie pulite (pannelli fotovoltaici e solari per il riscaldamento di aria e acqua, bruciatori ad alto rendimento per il riscaldamento, ecc.), l’integrazione paesaggistica con la vegetazione per la mitigazione dell’impatto visivo, l’installazione di sensori di presenza per l’attivazione di riscaldamento e illuminazione, frangisole per limitare il riscaldamento da irraggiamento, e così via (Creazza e Dallari, 2006; Jones Lang LaSalle, 2008). Gli attori principali del mercato immobiliare logistico sono gli utilizzato-ri, gli sviluppatori (o developer) e gli investitori istituzionali. Gli utilizzatori sono ulteriormente raggruppabili in due categorie: i third party logistics pro-vider e gli owner occupier. I primi sono naturalmente le imprese che offrono servizi logistici in conto terzi, mentre i secondi rappresentano le imprese che svolgono la propria funzione logistica in modo indipendente, autonomo e con risorse interne. Gli sviluppatori sono invece società o singoli individui che si assumono la responsabilità finanziaria e il rischio connesso alla realizza-zione di progetti immobiliari. Si distinguono in sviluppatori “puri” e “finan-ziari”. I primi si fanno carico di tutto il processo urbanistico, autorizzativi e costruttivo fino alla completa realizzazione dell’immobile, mentre i secondi affidano la progettazione e costruzione dell’immobile ad un general contrac-tor. Infine, gli investitori sono soggetti che vendono e comprano immobili a reddito, oppure che finanziano sviluppi speculativi, ovvero la realizzazione di

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immobili senza aver preventivamente individuato un locatario. Gli investitori sono generalmente società nazionali o internazionali oppure singoli individui. Le decisioni di investimento interessano generalmente immobili di dimensio-ni medio-grandi o interi parchi logistici. Tra gli investitori sono molto attivi quelli “istituzionali” (società assicurative, fondi pensione, organismi di inve-stimento collettivo), nonché le società di investimento immobiliare, le società di gestione del risparmio, i fondi immobiliari, ecc. Gli immobili vengono fatti generalmente confluire in fondi di investimento differenziati in funzione della tipologia di rischio (rischio basso in caso di immobili con contratti di locazio-ne di lunga durata, rischio alto in caso di immobili che richiedono alti investi-menti di re-sviluppo). Le decisioni di investimento nel mercato della logistica interessano generalmente immobili di dimensioni medio-grandi o interi poli logistici, i quali offrono maggior sicurezza ed un’offerta di servizi più ampia rispetto ad un singolo immobile. Nel mercato dell’immobiliare logistico gli attori si muovono quindi at-traverso delle relazioni di scambio che hanno ad oggetto il magazzino e/o il parco logistico. Tali relazioni sono di due tipi: locazione e compravendita. I principali elementi del contratto di locazione sono la durata, il canone, il diritto di recesso e le garanzie . I third party logistics provider, ad esempio, prediligono contratti brevi con possibilità di uscita a 3-6 anni, in modo da potersi muovere con flessibilità sul territorio in funzione della localizzazione dei propri clienti . Gli investitori vendono e comprano immobili a reddito, oppure ricercano redditività più alte acquistando sviluppi speculativi oppure partecipando allo sviluppo di un immobile o di un polo logistico tramite joint-venture con gli sviluppatori. I principali driver nella scelta dell’acquisto sono la localizza-zione, la qualità dell’immobile, lo standing del cliente utilizzatore e la durata del contratto di locazione. Infine, sta sempre più crescendo l’importanza delle operazioni di cosiddetto “sale and lease back”, mediante cui un’azienda ven-de il proprio immobile ad un investitore, sottoscrivendo contemporaneamente con quest’ultimo un contratto di locazione. L’operazione non prevede alcun diritto di riscatto a favore della locataria al termine di tale contratto . Il canone di locazione di un magazzino, normalmente, varia tra un’area ed un’altra. Vi sono infatti alcuni fattori determinanti nel servizio offerto dal-la piattaforma logistica che si ripercuotono sul prezzo. I fattori determinanti per stabilire il prezzo sono tre: la posizione dell’immobile rispetto all’area di utenza, la facilità di accesso all’immobile stesso e la sua vicinanza alle prin-

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cipali arterie stradali e ferroviarie. In Italia, il costo di locazione annuo di un magazzino varia dai 40 ai 70 euro al metro quadrato, a cui bisogna aggiunge-re i costi di gestione della piattaforma logistica, come le spese di vigilanza, illuminazione, pulizia, manutenzione generale e del verde, che si attestano generalmente sui 5-6 euro al metro quadrato. In linea generale, i canoni di locazione variano da progetto a progetto in base alle specifiche tecniche e rispecchiano sempre la regola del rapporto tra domanda ed offerta. Tale considerazione di mercato aiuta a comprendere le differenze di costo che si possono riscontrare in Italia nel raffronto con altri Paesi europei. Ad esempio, in Francia, dove le piattaforme logistiche sono molto più diffuse che in Italia, i canoni di locazione dei magazzini sono me-diamente inferiori del 10%. In Germania, al contrario, il canone è superiore del 5%, mentre in Paesi come Ungheria e Polonia, dove esiste una carenza di immobili logistici, si può arrivare anche ad 80 euro al metro quadrato. Soli-tamente, la durata media del contratto di locazione è coerente con i termini previsti dalla legge italiana, che prevede un contratto di locazione con la for-mula dei 6 + 6 anni. Alcuni operatori evidenziano, però, che un contratto di 9 anni sarebbe la soluzione ottimale per rispondere alle esigenze dell’industria logistica, considerando che la committenza finale richiede contratti temporal-mente inferiori ai 3 anni . L’Italia mantiene attualmente una solida posizione di mercato nell’in-dustria immobiliare logistica europea, attestandosi all’interno della top ten globale dei mercati con le migliori location per spazi industriali e logistici (Cushman & Wakefield, 2008). L’analisi dei dati di mercato effettuata in ri-ferimento a diverse fonti presenta anche per il 2008 un trend complessiva-mente in crescita, nonostante la crisi finanziaria internazionale, confermando la tesi che anche in Italia, se pur in ritardo rispetto ad altre realtà europee, si sta prendendo coscienza del ruolo strategico del settore della logistica nel-la competizione globale. Secondo l’analisi riportata da Jones Lang La Salle (2009), la domanda di spazi logistici sta confermando la sua spinta positiva, chiudendo il 2008 con una crescita dell’assorbimento dell’8%. La sostanziale tenuta della domanda in una situazione di crisi strutturale del sistema econo-mico globale può spiegarsi nel continuo processo di cambiamento in atto delle filiere merceologiche e di quelle logistiche che sta influenzando le strategie di medio – lungo termine degli operatori nella riorganizzazione dei network e nell’ottimizzazione dei flussi, traducendosi in una continua domanda di spazi logistici nuovi e moderni. Sempre con riferimento all’anno 2008 si è rilevato

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inoltre in Italia una certa stabilità dei canoni nelle localizzazioni primarie, una riduzione degli investimenti del 13% rispetto all’anno precedente e un aumento dei rendimenti2. Nelle figure 1.5 e 1.6 si riportano alcune mappe riguardanti i principali mercati emergenti dell’immobiliare logistico in Italia. Attualmente, le maggiori concentrazioni sono nel Nord Italia e rappresentano hub territoriali primari le aree di Milano, Verona, Piacenza, Bologna e Novara. Nel Centro-Sud Italia, invece, sono in espansione le aree di Roma, Napoli, Bari e Catania.

Figura 1.5 – I mercati emergenti dell’immobiliare logistico nel Nord Italia

Fonte: Jones Lang La Salle, 2007

2 In ambito immobiliare, il rendimento rappresenta il rapporto percentuale tra il red-dito lordo ricavabile dalla locazione di un immobile e il valore commerciale dell’im-mobile stesso.

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Figura 1.6 – I mercati emergenti dell’immobiliare logistico nel Centro Sud Italia

Fonte: Jones Lang La Salle, 2007

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2. La logistica agroalimentare

2.1.Lacomplessitàlogisticadellefiliereagroalimentari3

La logistica agroalimentare si può suddividere nelle seguenti tipologie, a seconda della tipologia di conservazione degli alimenti e della necessità di rapidità nelle operazioni di distribuzione e consegna:fresco;freschissimo;surgelato;prodotti che non hanno bisogno di tecnologie del freddo. La complessità logistica è naturalmente elevata per le prime tre tipologie (Ahumada e Villalobos, 2009; Gustafsson et al ., 2009). Per esse si può in par-ticolare parlare di “logistica a temperatura controllata” e “catena del freddo”. In via generale, il concetto di complessità logistica può essere considerato come risultante delle caratteristiche di complessità a livello di (Rao e Young, 1994): network, inteso come insieme di attori coinvolti nel ciclo di approvvigio-

namento, produzione e distribuzione di un dato prodotto;processo logistico, che include l’insieme delle attività necessarie alla ge-

stione dei flussi fisici e delle relative informazioni dall’acquisizione delle materie prime e componenti alla distribuzione del prodotto finito agli uti-lizzatori finali;

prodotto, inclusi i componenti e le materie prime necessarie per la realiz-zazione del prodotto finale destinato al consumatore.

Le produzioni del comparto agroalimentare presentano alcune specifiche caratteristiche che contribuiscono ad innalzare il livello di complessità logi-stica rispetto ad altri settori, in particolare: elevate distanze tra aree produttive e aree di consumo, basso valore aggiunto, deperibilità, necessità di garantire il monitoraggio continuo della qualità e della rintracciabilità, stagionalità e necessità di riduzione degli stock lungo il canale distributivo. La complessità a livello di network è determinata essenzialmente dalla dispersione geografica degli attori coinvolti e dal numero delle transazioni tra essi. La distanza fra le aree produttive e quelle di consumo ha un notevole im-

3 Si ringraziano la dott.ssa Alessandra Marasco e la dott.ssa Marcella De Martino per i chiarimenti forniti in merito al concetto di “complessità logistica” e per la collabora-zione alla individuazione delle sue determinanti.

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patto sulla complessità logistica delle filiere di alcuni prodotti agroalimentari, ed in particolare di quelli deperibili. Relativamente al processo logistico, la complessità deriva dai tempi e dal-le modalità delle operazioni di approvvigionamento, produzione e distribuzio-ne. Così, ad esempio, la necessità di garantire lead time produttivi e/o distribu-tivi brevi rende sicuramente più complessa la gestione delle attività logistiche così come la necessità di mantenere basso il livello di stock lungo la catena. Rispetto a tale aspetto occorre tenere soprattutto in considerazione l’influenza esercitata dalle esigenze di razionalizzazione dei flussi espresse dalla Grande Distribuzione, che tende a imporre alle imprese produttive tempi e modalità di consegna dei prodotti spesso molto vincolanti, come il just in time, frequenti consegne (spesso di modesti volumi), carichi pallettizzati, codici a barre per il tracking & tracing della merce. A ciò si aggiunge la tendenza, comune ormai, a diversi settori manifatturieri, a ridurre drasticamente gli spazi per l’imma-gazzinaggio delle merci (ISMEA, 2006). Occorre poi anche considerare le esigenze specifiche in ordine alle operazioni di approvvigionamento, produ-zione e distribuzione determinate dall’applicazione di normative in tema di sicurezza alle quali sono sottoposti molti dei prodotti dell’agroalimentare. A ben vedere, la complessità logistica a livello di processo è strettamen-te collegata ed influenzata dagli aspetti di complessità a livello di prodotto, primo fra tutti la deperibilità. In particolare, il grado di deperibilità di un pro-dotto agroalimentare determina la sua “vita commerciale”, comunemente nota come “shelf life”, che può variare da 24-48 ore – nel caso dei cosiddetti pro-dotti “freschissimi” – ad alcune settimane per i prodotti “freschi”. Il grado di deperibilità costituisce in pratica il principale parametro da considerare per determinare i lead time massimi per la distribuzione dei prodotti agroalimen-tari ed influenza considerevolmente le modalità di trasporto, conservazione e condizionamento dei prodotti stessi, determinando quindi anche la necessità di un attento monitoraggio della loro integrità e qualità (Michalewicz et al ., 2006; Regione Emilia Romagna, 2006). La salvaguardia degli standard qualitativi richiesti ad un prodotto agroali-mentare durante le fasi di trasporto e di stoccaggio viene assicurata effettuan-do un controllo costante sui seguenti elementi:- temperatura;- umidità; - atmosfera;- attività di handling;- packaging .

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Temperatura La conservazione dei prodotti surgelati implica l’utilizzo di una tempe-ratura solitamente compresa fra i -7°C ed i -25°C (cosiddetto “freddo negati-vo”). Le tipologie merceologiche considerate sono molteplici, dalla carne ai prodotti ittici, ai gelati e ai piatti già preparati . Per quanto riguarda invece i prodotti freschi e freschissimi, la loro tem-peratura di conservazione si attesta solitamente fra 0°C e 4°C (“freddo positi-vo”), sebbene sussistano delle differenze a seconda della diversa tipologia di alimenti cui ci si riferisce. Le due filiere si distinguono non tanto per la tem-peratura che devono mantenere i prodotti, ma per il diverso grado di urgenza con il quale questi devono essere distribuiti al consumatore finale. Esistono, infatti, prodotti che si alterano più o meno rapidamente, ovvero modificano le proprie caratteristiche organolettiche (odore, sapore, colore e consistenza) mediante la formazione di nuove sostanze che talvolta sono anche nocive all’organismo. Per questi motivi i prodotti freschissimi devono arrivare sulle tavole dei consumatori pochissimo tempo dopo la loro produzione. In questa categoria merceologica si possono sicuramente annoverare il latte (crudo o pastorizzato), alcune tipologie di formaggi particolarmente deperibili (come la mozzarella di bufala), ma anche i prodotti ittici freschi. Per quanto riguarda il fresco, invece, si possono citare la frutta e la verdura, il burro, le uova e mol-ti formaggi duri o semiduri. Anche le carni (pollame, carni rosse e selvaggina) devono sottostare a livelli di temperatura controllata. Come evidenziato nel lavoro di Blackburn e Scudder (2008), i prodotti deperibili raggiungono il loro massimo valore al momento della raccolta. Suc-cessivamente, tali prodotti iniziano a deteriorarsi e a perdere valore a tassi che sono fortemente dipendenti dai livelli di temperatura (oltre che di umidità) a cui sono sottoposti. I prodotti deperibili risultano infatti interessati da un pro-cesso chimico denominato “respirazione”, che non solo genera anidride car-bonica (CO2) e calore, ma converte anche lo zucchero in amido, determinando in definitiva la perdita di dolcezza e qualità degli stessi prodotti. La figura 2.1 mostra i risultati di misurazioni di laboratorio relative al tas-so di respirazione (misurato in Mg Co2/Kg/ora) di alcuni prodotti deperibili, così come riportate nel data-base contenuto nel lavoro di Gross et al . (2004). Emerge, in particolare, che l’indice di respirazione (e la perdita di zucchero) aumenta significativamente in funzione del livello di temperatura (misurato in °C) a cui sono sottoposti i prodotti. In generale, la shelf life dei beni deperibili varia inversamente alla veloci-

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tà di respirazione; inoltre, i prodotti con i più elevati tassi di respirazione ten-dono ad avere una vita commerciale più breve rispetto ai prodotti caratterizza-ti da tassi di respirazioni inferiori. Ecco perché la shelf life di prodotti quali il crescione, il mais dolce, l’ocra e la pera di giardino, è inferiore a quella di altri prodotti come la scarola, la lattuga in foglie, il porro, il mirtillo, il cavolfiore, la lattuga, il ravanello in fascio, il melone, il cavolo e l’uva americana.

Figura 2 .1 – Effetto del livello di temperatura sul tasso di respirazione di alcuni prodotti deperibili

Fonte: nostra elaborazione su dati Gross et al . (2004)

Appleman e Arthur (1919) hanno approfondito la problematica riguardante l’effetto del processo di respirazione sulla qualità e il valore del mais dolce, mo-strando in particolare che la perdita di saccarosio in tale prodotto deperibile nel tempo avviene secondo una funzione di decadimento esponenziale il cui tasso di decadimento aumenta fortemente al crescere della temperatura (fig. 2.2).

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Figura 2.2 – Respirazione nel tempo del mais dolce a diverse temperature

Fonte: Appleman e Arthur, 1919

Dato che i prodotti deperibili possono avere una temperatura interna che raggiungere i 30-35 °C, la rimozione rapida del calore del campo risulta criti-ca per preservare la loro qualità e massimizzare la loro vita commerciale. Per-tanto, è fondamentale trasferire rapidamente tali prodotti dal campo stesso ad impianti di refrigerazione e garantire il mantenimento della catena del freddo dal periodo di post-raccolta fino al momento dell’acquisto da parte dei consu-matori finali. In tal modo il processo di deterioramento avverà a tassi molto più bassi (Hartz et al ., 1996; Jobling, 2002; Perosio et al ., 2001). La figura 2.3 mostra schematicamente come un tipico prodotto fresco perda valore nel tempo lungo la supply chain. In particolare, durante il periodo critico compreso tra la raccolta e la refrigerazione (che va da t0 a t1) il prodotto perde valore molto rapidamente ed esponenzialmente . In tale fase, la supply chain deve quindi essere di tipo “responsive”, ovvero le operazioni devono avvenire in maniera veloce. Nell’intervallo temporale post-raccolta (da t1 a t2), invece, il valore del prodotto si riduce ad un tasso molto più lento e la supply chain può in questo caso essere pianificata in base a criteri di efficienza (“cost efficiency”) (Blackburn e Scudder, 2008). In definitiva, il controllo della temperatura rappresenta uno strumento fondamentale per la conservazione degli alimenti, in quanto ne impedisce la perdita di valore dovuta al deperimento e al conseguente proliferare di batteri dannosi alla salute umana. Il mantenimento della giusta temperatura lungo

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la supply chain è garantito grazie al controllo costante di termometri ed altri dispositivi di monitoraggio collocati sia sui mezzi di trasporto adeguatamente coibentati, sia presso i depositi e i punti vendita.

Figura 2.3 – Riduzione nel tempo del valore di un tipico prodotto fresco

Fonte: Blackburn e Scudder, 2008

Lo sviluppo delle produzioni agroalimentari a temperatura controllata ha fatto inoltre emergere la necessità di una regolamentazione da parte delle au-torità pubbliche, al fine di proteggere il consumatore finale da rischi alla salu-te. In particolare, l’Europa e tutte le altre nazioni sviluppate hanno istituito un insieme di regole per il controllo della temperatura e delle performance delle attrezzature a differenti livelli della catena del freddo, fornendo al consumato-re garanzie sul piano igienico, nutrizionale e qualitativo, nonché informazioni sul trasporto, la conservazione ed il corretto uso di alimenti surgelati. Molti paesi hanno stabilito regolamenti sulla sicurezza del cibo che ri-guardano soprattutto:- la regolazione della temperatura del prodotto lungo tutta la supply chain;- la registrazione automatica della temperatura dell’aria e del prodotto nelle

celle di produzione, nei veicoli refrigerati e nei luoghi di carico e scari-co;

- attrezzature standardizzate certificate da attestati.

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La regolazione differisce da nazione a nazione ma i regolamenti e le di-rettive UE sono state armonizzate con delle temperature definite riguardo a varie tipologie di prodotti in tutte le fasi della catena di produzione e di distri-buzione (in accordo con il Regolamento 178/2002), tenendo conto anche della documentazione specifica (in accordo con il Regolamento 852/2004). Recen-temente è stato introdotto il concetto di tracciabilità del freddo, che richiede alcuni strumenti ed attrezzature quali termostati, registratori ed indicatori di temperatura per il controllo della qualità di diversi beni deperibili, come pol-lame o altre carni, pesce, frutta e verdura, pasticceria, gelati ed altri prodotti caseari, che sono trasportati sotto differenti cooling requirement . Esistono delle tabelle, realizzate a seguito di un accordo detto “ATP” (Ac-cord Transport Perissable), abbreviazione di “Accordi sui trasporti interna-zionali delle derrate deteriorabili e dei mezzi speciali da utilizzare per questi trasporti”, che prescrivono i tipi di alimenti deperibili da trasportare in regime di temperatura controllata e le temperature alle quali devono essere effettuati i trasporti frigoriferi e refrigerati. Queste tabelle si occupano di fissare anche una temperatura massima tollerata durante il periodo della distribuzione fra-zionata, in cui spesso sono necessarie numerose operazioni di apertura delle unità di carico per lo scarico della merce. L’ATP è la regolamentazione per i trasporti frigoriferi refrigerati a tem-peratura controllata di alimenti deperibili destinati all’alimentazione umana. La normativa ATP è il risultato di un accordo europeo sottoscritto nel 1970, da alcuni Stati, tra cui l’Italia, che impone determinate regole nella costruzio-ne degli allestimenti isotermici per i trasporti frigoriferi refrigerati destina-ti al trasporto di alimenti deperibili a temperatura controllata, e determinate prescrizioni per gli utilizzatori. Assume carattere legislativo nel 1977 e, dal settembre 1984 viene assegnata la competenza al Ministero dei Trasporti, il quale provvede alle verifiche tecniche di collaudo tramite gli Uffici Provin-ciali MCTC. L’aspetto igienico sanitario è invece di esclusiva competenza del Ministero della Sanità, tramite le ASL. Di seguito sono presentate alcune tabelle ATP che forniscono un’elencazione delle sostanze deperibili destinate all’alimentazione umana da trasportare in regime di temperatura controllata, definendo anche i range di temperatura (min-max) a cui devono viaggiare le diverse categorie merceologiche (tabb. 2.1-2.2).

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Tabella 2.1 – Condizioni di temperatura controllata che debbono essere ri-spettate durante il trasporto di determinate sostanze alimentari fresche

(*) Ferme restando le temperature sopra indicate, sono tollerati questi limiti massimi durante il periodo della distribuzione frazionata, dovuto alle numero-se operazioni di apertura per lo scarico della merce.

Fonte: http:/www .trasportiatp .it

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Tabella 2.2 – Condizioni di temperatura controllata che debbono essere ri-spettate durante il trasporto di determinate sostanze alimentari congelate o surgelate

(*) Ferme restando le temperature sopra descritte, sono tollerati questi limiti massimi durante il periodo della distribuzione frazionata, dovuto alle numero-se operazioni di apertura per lo scarico della merce.

Fonte: http:/www .trasportiatp .it

Per completezza rispetto a quanto sopra riportato in materia di regolamen-tazione per la salvaguardia della sicurezza alimentare, occorre infine anche ricordare che, in Italia, per poter trasportare e stoccare i prodotti alimentari è necessaria un’autorizzazione sanitaria prevista dall’art. 44 del D.P.R. 327/80. Tale normativa prevede che siano soggetti ad autorizzazione sanitaria:- le cisterne ed altri contenitori adibiti al trasporto di sostanze alimentari

sfuse;- i veicoli adibiti al trasporto di alimenti surgelati per la distribuzione al

dettaglio;- i veicoli adibiti al trasporto di carni fresche e congelate e prodotti della

pesca freschi e congelati . L’autorizzazione sanitaria ha validità di due anni dalla data del rilascio. Inoltre ci devono essere dei sistemi di autocontrollo relativi all’igiene dei pro-dotti alimentari (direttiva comunitaria 43/93/CEE14). Tali sistemi sono detti “HACCP” (Hazard Analysis Critical Control Points) e puntano a identificare ed analizzare i possibili danni associati ai differenti stadi del processo produt-tivo di una derrata alimentare, a definire i mezzi necessari per neutralizzarli e ad assicurare che questi mezzi siano messi in atto in maniera efficace. L’HAC-

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CP è elaborato per un prodotto specifico, dalla produzione ai rischi che esso può comportare per il consumatore, al fine di elevare o migliorare la garanzia di qualità microbiologica, fisica e chimica delle derrate alimentari.

Umidità Quasi tutti i prodotti freschi risentono del grado di umidità dell’aria. In alcuni alimenti, quali carne, frutta e verdura, un’umidità elevata favorisce lo sviluppo di muffe e batteri. Al contrario, un’aria troppo secca tende a disidra-tarli . Durante il trasporto e lo stoccaggio, il grado di umidità che impedisce il deperimento dei prodotti viene assicurato da un flusso d’aria circolante la cui entità dipende, da un lato, dal tipo di contenitori utilizzati per proteggere l’alimento (sacchetti di rete, cassette, ecc.) e, dall’altro, dal modo in cui questi contenitori vengono assemblati tra loro.

Atmosfera Non sempre il controllo della temperatura e dell’umidità sono sufficienti a garantire al prodotto gli standard qualitativi voluti e per questo viene affian-cato ad essi anche il controllo sull’atmosfera. La possibilità di conservare certi alimenti, anche per lunghi intervalli di tempo, tra la fase di raccolta e quella di distribuzione viene garantita da particolari tecniche di controllo dell’atmo-sfera che si basano, in pratica, sul concetto di “vuoto d’aria”: nelle strutture di stoccaggio l’aria normalmente presente viene eliminata e sostituita con un’at-mosfera povera d’ossigeno (condizionamento gassoso) e ricca di azoto e ani-dride carbonica. Questa miscela contribuisce ad impedire una contaminazione batteriologica degli alimenti durante il trasporto.

Attività di handling Anche le attività di manipolazione effettuate sui prodotti deperibili duran-te lo stoccaggio ed il trasporto contribuiscono, in modo rilevante, a garantirne la qualità e la sicurezza. Gli addetti alle operazioni di handling devono quindi preoccuparsi non solo di proteggere l’integrità delle confezioni, ma anche di evitare che i diver-si alimenti vengano a contatto con odori, polvere, insetti e altri fattori che ne possono ridurre la qualità fino a renderli dannosi per la salute umana.

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Packaging Un ulteriore elemento che consente di mantenere elevata la qualità di un prodotto deperibile è il packaging, che comprende sia il confezionamento che l’imballaggio. Il confezionamento riguarda l’unità di vendita e quest’ultima è influenzata in modo rilevante, oltre che dalla necessità di preservare la qua-lità del prodotto, da aspetti propri del marketing. Al contrario, l’imballaggio riguarda la modalità secondo cui le diverse confezioni di vendita vengono assemblate tra loro per facilitare le operazioni di handling, trasporto e stoc-caggio: l’attenzione in questo caso è rivolta al mantenimento della qualità del prodotto e alla sicurezza delle confezioni. Occorre inoltre tener presente che l’imballaggio varia anche a seconda della modalità di trasporto utilizzata: così il ricorso ad un trasporto ferroviario o marittimo richiede un imballaggio più accurato rispetto ad un trasporto stradale o aereo.

2.2. I mezzi di trasporto dei prodotti agroalimentari

Il trasferimento dei prodotti agroalimentari è effettuato con mezzi coi-bentati ventilati o refrigerati che si differenziano a seconda della modalità di trasporto (tab. 2.3).

Tabella 2 .3 – I mezzi di trasporto dei prodotti deperibili

Modalità di trasporto Mezzi di trasportoStradale - mezzi a furgonatura coibentata-ventilata - mezzi a furgonatura coibentata-frigoriferaFerroviario - carri merci convenzionali, coperti o ventilati

- carri merci isotermici- carri merci refrigerati

- carri merci frigoriferiMarittimo - navi da trasporto in stiva - navi portacontainerAereo - stive pressurizzateCombinato - casse mobili - container marittimi (20’, 40’)

Fonte: Conti (2004)

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Trasporto stradale Nel trasporto stradale è possibile effettuare delle distinzioni in funzione del grado di deperibilità del prodotto e della distanza da percorrere. Pertanto:- alcuni veicoli, dotati di furgonatura coibentata-ventilata, sono adatti al

trasferimento di prodotti poco deperibili, su brevi e medie distanze in clima temperato;

- altri veicoli, dotati di furgonatura coibentata-frigorifera, sono adatti al trasferimento di alimenti freschi e di prodotti congelati o surgelati. Tali mezzi sono dotati di un compressore per la refrigerazione che viene ali-mentato grazie all’energia prodotta autonomamente durante il trasporto; nei tempi di sosta, invece, la temperatura all’interno della stiva può essere mantenuta solo se si dispone di una rete elettrica grazie alla quale il com-pressore può continuare ad essere alimentato.

Secondo quanto riportato sul sito dell’Albo Autotrasportatori (www.albo-autotrasporto.it), l’espansione del mercato degli alimentari freschi e surgelati – ma anche l’evolversi delle normative igieniche e l’esigenza di tenere sotto controllo la temperatura dei prodotti lungo tutta la catena logistica – ha fatto espandere sensibilmente il mercato degli allestimenti per trasporti in regime di temperatura controllata, regolato dalle normative internazionali ATP. Dal punto di vista commerciale, i veicoli per il trasporto a temperatura controllata possono essere suddivisi in diverse categorie. Per i veicoli leggeri (ed anche per i commerciali derivati da autovettura) la più diffusa è quella delle coiben-tazioni isotermiche o frigorifere, realizzate inserendo un guscio plastico op-portunamente isolato all’interno della struttura del furgone originale. A partire dai veicoli leggeri e fino ai grandi semirimorchi sono disponibili le furgonatu-re, anch’esse isotermiche o frigorifere (fig. 2.4). Nel caso degli autocarri e dei rimorchi queste sono realizzate con allestimenti su normali telai; per i semiri-morchi si utilizzano normalmente telai specifici sensibilmente alleggeriti e, in alcuni casi, celle autoportanti. Una variante che si sta molto diffondendo negli ultimi anni è la furgonatura multitemperatura, suddivisa in più scomparti in cui è possibile mantenere temperature differenti (fig. 2.5). Diffusa soprattutto sui semirimorchi e specie in alcuni paesi europei fra cui la Spagna è invece la centinatura isotermica, costituita dalla normale struttura di un centinato il cui telone ha, grazie ai suoi strati interni di materiale isolante, capacità di mante-nere temperature molto basse. Appartengono alla categoria ATP, infine, anche i veicoli riscaldati, utilizzati soprattutto dall’industria alimentare e da quella chimica .

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Figura 2.4 – Un semirimorchio isotermico

Trasporto ferroviario Relativamente alla modalità ferroviaria, i carri utilizzati per il trasporto degli alimenti possono essere classificati in:- Carri merci convenzionali, coperti o ventilati, per il trasferimento di pro-

dotti poco deperibili.- Carri merci a temperatura controllata specifici per beni altamente depe-

ribili. Questi carri, a loro volta, possono essere distinti in isotermici e refrigerati. I primi sono caratterizzati da un isolamento termico maggiore rispetto ai convenzionali e perciò adatti al trasporto di derrate sensibili al caldo e al freddo; i secondi, invece, sono dotati di casse per conserva-re il ghiaccio e di impianti di elettroventilazione. Questi ultimi hanno il compito di spingere l’aria fra le ghiacciaie, dove viene raffreddata, e il carico .

- Carri merci frigoriferi, dotati di gruppi frigoriferi autonomi con motori diesel e dispositivo di riscaldamento per i servizi invernali (da +20°C a -25°C).

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Figura 2.5 – Semirimorchio refrigerato multitemperatura

Fonte: Colicchia et al., 2008

Trasporto marittimo Per quanto riguarda la modalità marittima, le navi utilizzate per il traspor-to dei prodotti deperibili sono classificabili in:- navi convenzionali dotate di stive frigorifere;- navi portacontainer, dotate di un sistema di controllo centralizzato per il

monitoraggio del funzionamento dei gruppi frigoriferi dei container. Con l’entrata in servizio di numerose nuove navi portacontainer “Post-panamax” con capacità refeer fino ad un migliaio di TEU, le navi refrigerate tradizionali stanno perdendo quote di mercato (fig. 2.6), con molte unità ora-mai avviate alla demolizione. Attualmente, secondo quanto riportato in Mark Up (2009), i container refrigerati rappresentano oltre l’80% della “refeer ca-pacity” a livello mondiale, con una previsione di raggiungere l’86% entro il 2010 . L’utilizzo di container refrigerati è ad esempio conveniente nel traspor-to di prodotti ortofrutticoli particolarmente deperibili o compresi nella fascia delle primizie o tardizie caratterizzati da (CNEL, 2003):- quantitativi relativamente limitati o comunque tali da non riempire con

vantaggio economico la stiva di una nave tradizionale refrigerata;

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- temperature e modalità di conservazione differenti;- necessità di non subire rotture di carico o manipolazioni aggiuntive man-

tenendo per tutto il ciclo del trasporto/distribuzione l’integrità della cate-na del freddo;

- consegne differenziate su mercati diversi ed in quantità più limitate, che risultano meglio gestibili da unità intermodali con capacità di carico equi-valenti a quelle dei normali semirimorchi frigoriferi stradali.

In figura 2.7 è riportato uno schema sullo sviluppo dei traffici marittimi refeer lungo le principali rotte mondiali. Gli scambi maggiori riguardano la rotta intra-asiatica, la rotta unidirezionale America-Latina-Europa e la rotta uni-direzionale Far East-Europa. Secondo i dati di RQ Containerisation International riportati in C.I.S.Co. (2009), mentre la produzione dei contenitori per carichi secchi a livello mon-diale si è completamente fermata dall’ottobre 2008 (a causa della recessione economica), la costruzione di contenitori e motori refrigeranti è invece andata avanti. La prova di tale tendenza può essere costituita dalle attività di vettori marittimi quali MSC e CMA-CGM, che continuano ad ampliare il proprio equipaggiamento refrigerato e ad offrire un numero maggiore dei propri ser-vizi ai caricatori di prodotti deperibili.

Figura 2.6 – Scambi di prodotti deperibili via mare a livello mondiale

Fonte: Mark Up, 2008

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Figura 2.7 – Lo sviluppo delle principali linee marittime refeer a livello mondiale

Fonte: Mark Up, 2008

Trasporto aereo Il trasporto aereo, invece, risulta adeguato per il trasferimento su lunghe distanze di beni di alto valore quali le primizie oppure di prodotti deperibili a forte domanda di consumo. I mezzi utilizzati dispongono di stive pressurizza-te che sono in grado di mantenere la temperatura tra i 4°C e i 12°C.

Trasportocombinato Per quanto riguarda infine il trasporto combinato, le unità di carico utiliz-zate per le spedizioni dei prodotti freschi e freschissimi sono le casse mobili e i container (da 20 e 40 piedi), dotati entrambi di gruppi frigoriferi in grado di controllare la temperatura fra i +12°C e -25°C.

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2.3. La tecnologia della refrigerazione passiva

Sulla base di dati ed informazioni contenute in diverse riviste professio-nali e siti di settore, è possibile identificare il cosiddetto “Passive Refrigera-tion System (PRS)” come un sistema innovativo di refrigerazione sviluppato di recente e che consente in modo completamente autonomo, ovvero senza l’ausilio dell’energia elettrica, il trasferimento dei prodotti deperibili in condi-zioni ottimali di temperatura e di umidità. Il principio di funzionamento del Sistema di Refrigerazione Passiva si basa sul preraffreddamento di accumulatori termici mediante la circolazione interna di un fluido frigorigeno. Una volta raggiunta la temperatura ideale, il sistema ha un’elevata autonomia e successivamente non necessita di operazio-ni di deumidificazione dell’aria, né di operazioni di sbrinamento. In particola-re, l’autonomia termica ha una durata di almeno 5 giorni, fino ad un massimo di 30 giorni, a fronte di un tempo di carica degli accumulatori che va da 2 fino a 14 ore . La tecnologia PRS è inoltre estremamente affidabile in quanto non dipende dal funzionamento di parti meccaniche. Assicurando un’autonomia termica anche per diverse settimane, tale tec-nologia consente agli operatori logistici di allentare i ritmi tesi tipici della distribuzione di alcune produzioni agroalimentari, dal momento della raccolta in campo fino alla distribuzione finale presso il punto vendita. In tal modo, è inoltre possibile garantire una qualità di conservazione dei beni decisamente superiore alle tecnologie di refrigerazione tradizionali, oltre che una riduzione dei costi logistici totali ed un minore impatto ambientale. Il Sistema di Refrigerazione Passiva può essere applicato a qualsiasi unità di carico e di trasporto, ed in particolare:- alle casse mobili (fig. 2.8);- ai container marittimi;- alle furgonature;- ai thermopallet, che sono unità di carico indipendenti con le stesse dimen-

sioni standard dei pallet ISO o Euro;- ai thermobox, che sono particolari tipi di thermopallet realizzabili su spe-

cifica richiesta. Attraverso una serie di indagini condotte nell’ambito del Progetto di ri-cerca “Agrologis” finanziato dal MIUR, si è potuto verificare che, nel caso del trasporto dei prodotti agroalimentari deperibili, il Sistema di Refrigerazione Passiva può rendere più conveniente il combinato strada-rotaia rispetto al tut-

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to-strada. Trenitalia, in particolare, ha effettuato una serie di sperimentazioni di successo con treni programmati da Catania a Ravenna. Altre sperimenta-zioni ben riuscite hanno infine riguardato anche altri vettori sull’asse europeo Svizzera-Ungheria.

Figura 2.8 – Cassa mobile a refrigerazione passiva

2.4. Le piattaforme per la logistica agroalimentare

La gestione della logistica nel settore agroalimentare in generale e in quello dei prodotti a temperatura controllata in particolare (prodotti freschi, freschissimi e surgelati) presenta profili delicati e complessi sia per i produt-tori, sia per i distributori, che necessitano sempre più, in una fase di grande competitività, di aree e magazzini modernamente strutturati. Alle esigenze di un mercato in rapida evoluzione, le strutture per la gestione della supply chain (magazzini, centri di distribuzione e transit point) devono rispondere a criteri tecnologici adeguati alle richieste di flessibilità, affidabilità, sicurezza ed eco-compatibilità. Per rispondere a queste esigenze è possibile distinguere attualmente tre tipologie di impianti logistici corrispondenti a tre diversi livelli di temperatura (ISMEA, 2006):

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1 . impianti dedicati a prodotti che non hanno bisogno di tecnologie del fred-do (conserve, bevande, biscotti, ecc.);

2 . impianti dedicati ai prodotti surgelati (freddo negativo);3 . impianti per i prodotti deperibili (freddo positivo). Nei casi in cui la refrigerazione è necessaria, le piattaforme sono suddivi-se in celle specifiche (fig. 2.9) per ciascun prodotto, in quanto il mantenimento delle temperature richieste e le incompatibilità chimico-biologiche sono fatto-ri fortemente condizionanti il valore della merce . Lo sviluppo di centri logistici secondo la logica della temperatura permet-te di utilizzare nuove logiche di raggruppamento dei prodotti basate più sulla condizione termica che sulle diverse filiere, e che permettono, tra l’altro, il ricorso a consegne in camion multiprodotto. Più in generale, i centri logistici rivestono oggi un ruolo chiave nell’aggiustamento delle strategie di produzio-ne e di commercializzazione delle imprese del settore agroalimentare . La dif-fusione del passaggio attraverso tali impianti risponde simultaneamente alla ricerca di maggiori economie di scala ed ai bisogni di continuità dei flussi, di flessibilità e di qualità.

Figura 2.9 – Anticelle e celle in magazzini a temperatura controllata

Fonte: Colicchia et al., 2008

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Per quanto riguarda in particolare la catena del freddo, se fino a qualche tempo fa gli investimenti nel settore erano tipici dei produttori, ora si sono aggiunti operatori logistici specializzati e, da ultima, la grande distribuzione. Diversi sono i motivi che spingono tali soggetti ad investire nella catena del freddo:Il produttore è fondamentalmente interessato alla qualità del prodotto che

deve preservarsi fino alla tavola del consumatore. In questo modo il pro-duttore controlla tutta la catena distributiva.

Gli operatori logistici sono interessati ai vantaggi di costo che possono ottenere grazie ai grandi volumi movimentati. A causa degli elevati in-vestimenti è fondamentale movimentare una massa critica consistente di merce per poter ripartire adeguatamente i costi del servizio fornito. La terziarizzazione permette al produttore o al distributore di non effettuare investimenti in impianti o attrezzature particolarmente costosi.

La grande distribuzione organizzata si sta inserendo sempre più nella ca-tena del freddo in virtù dei consistenti volumi di merce movimentata, oltre che per motivi strategici e competitivi. Questo permette di gestire gli assortimenti in modo svincolato dalla singola industria fornitrice e di rispondere con maggiore flessibilità alle esigenze dei consumatori.

Il peso dei prodotti a temperatura controllata sul totale del retail sta au-mentando sempre più .

Secondo gli ultimi dati della ECSLA, European Cold Storage and Logi-stics Association, sul mercato italiano vengono offerti 3 milioni di metri cubi di freddo negativo da operatori terzi, a cui vanno aggiunti più di 500 mila me-tri cubi di celle a temperatura positiva. Ben poco rispetto ad altri paesi euro-pei: l’Olanda dispone di oltre 12 milioni di metri cubi, la Germania di almeno 10 milioni, la Francia e la Gran Bretagna di 5 milioni ciascuno. In Italia, si riscontra quindi una evidente mancanza di infrastrutture adeguate, ma in certi casi ci si trova di fronte anche all’incapacità di sfruttare meglio le piattaforme esistenti. Il settore perciò presenta ancora notevoli margini di crescita. Quasi tutte le catene della GDO negli ultimi anni hanno cercato di centra-lizzare la distribuzione dei prodotti agroalimentari, ed in particolare di quelli a temperatura controllata, attrezzando dei centri di distribuzione per lo stoccag-gio e la preparazione degli ordini per i punti vendita. Tale strategia persegue sostanzialmente tre obiettivi principali: 1) combinare la gestione e la consegna di prodotti di più fornitori, riducendo il contatto diretto tra industria e punto

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vendita4; 2) assorbire (ottenendo condizioni di acquisto vantaggiose) produ-zioni di fornitori minori; 3) ottenere economie di scala. La gestione dei flussi attraverso il passaggio dai centri logistici permette significativi guadagni di efficacia e di efficienza, in particolare:- l’utilizzo generalizzato dei pallet, in modo da ridurre sia i costi unitari

della gestione delle rotture di carico, sia il numero delle operazioni di carico e scarico necessarie a tutti i livelli della catena di attività;

- lo sviluppo di strategie che permettono di ritardare il più possibile la dif-ferenziazione di un prodotto, sia in termini di condizionamento e tempe-ratura, sia di marcatura, confezionamento ed etichettatura.

La soluzione del futuro sarà quella della piattaforma mista di redistribu-zione, utilizzata dai diversi fornitori e dai distributori in accordo con i primi (fig. 2.10).

Figura 2.10 – Integrazione logistica tramite l’utilizzo di piattaforme miste di redistribuzione

Inoltre, è in forte crescita da parte della distribuzione moderna, la doman-da di prodotti “normalizzati”, classificati secondo le diverse caratteristiche qualitative: varietà, colore, taglia, grado di maturazione, grado zuccherino, consistenza e poi, origine, tipo di lavorazione, metodo di coltivazione e/o di raccolta, rispetto dei particolari capitolati (Doc, Igp, marchi collettivi, ecc.) e contratti di fornitura. Gli impianti logistici prossimi ai luoghi di raccolta sono quindi il luogo privilegiato dove è possibile sviluppare questa attività di sele-zione dei prodotti ai fini di una classificazione qualitativa e commerciale, con l’obiettivo di predisporre lotti omogenei (ISMEA, 2006).

4 Questo permette di gestire gli assortimenti in modo svincolato dalla singola industria fornitrice e di rispondere con maggiore flessibilità alle esigenze dei consumatori.

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2.5.Caratteristichetecnichedeimagazziniatemperaturacontrollata

La logistica a temperatura controllata (o logistica del freddo) può essere suddivisa in due macrosettori:la logistica a temperatura controllata per prodotti agroalimentari;la logistica a temperatura controllata per prodotti non agroalimentari,

come farmaci, cosmetici, componentistica elettronica e fiori recisi. Questi due macrosettori, sebbene abbiano in comune la necessità del mantenimento della catena del freddo, presentano notevoli diversità insite nelle diverse caratteristiche dei prodotti (grado di deperibilità, valore unitario, urgenza nella consegna, volumi movimentati). Per quanto riguarda più specificamente i moderni magazzini a tempera-tura controllata, questi sono solitamente progettati in modo da ridurre i co-sti energetici, con un completo isolamento sia per quanto riguarda i divisori dall’esterno (pareti esterni, pavimenti e soffitti), sia per quanto riguarda le pa-reti divisorie degli spazi interni, che devono essere progettate in modo da af-fiancare le celle frigorifere con temperature similari (in sequenza decrescente con le celle frigorifere a temperature più basse ad una maggior distanza dalle baie di carico). Lo sviluppo in altezza contribuisce a ridurre i costi di manteni-mento della temperatura rispetto all’estensione orizzontale a parità di volumi. Anche le scelte in merito al colore (chiaro) e al tipo di isolamento per il tetto, oltrechè in merito al sistema di illuminazione interno, possono contribuire a ridurre i costi operativi relativi all’energia. È inoltre necessario porre attenzio-ne ad aspetti quali l’orientamento dell’edificio, che deve tener conto dei venti prevalenti. Infatti, le porte delle baie di carico non devono essere esposte ai venti prevalenti in quanto ciò potrebbe rapidamente modificare la temperatura interna sia al momento dell’apertura, sia nel caso di possibili infiltrazioni. Nei flussi di merce in entrata e in uscita risulta importante l’impiego di banchine mobili avviluppanti, attraverso un’adiacente precella ed una suc-cessiva anticella, per realizzare un “continuum” con le celle frigorifere vere e proprie, creando le condizioni ideali per il mantenimento della temperatura del prodotto, assicurando la continuità della catena del freddo. Inoltre, è im-portante che gli impianti frigoriferi, i cui circuiti ad espansione diretta di am-moniaca hanno temperature di aspirazione differenziate per l’ottimizzazione dei consumi energetici, siano alimentati da compressori in grado di sviluppare una capacità frigorifera media (espressa in frigorie/ora) differenziata. Gli im-pianti devono poi essere dotati di dispositivi per la parzializzazione della ca-

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pacità frigorifera che consente di erogare la potenza in base ai reali fabbisogni dell’utenza senza spreco energetico. Altro aspetto di cui tener conto nella progettazione riguarda la sicurezza nel suo complesso, sia per eventuali protezioni da possibili attacchi di tipo dimostrativo (animalisti, ad esempio), sia da possibili forme di bio-terorrismo, oltrechè per garantire i prodotti dal punto di vista fitosanitario per l’intero processo logistico. A questo scopo la realizzazione di siti con adeguati sistemi di recinzione, sistemi di videocontrollo e sistemi di accesso differenziato sono ormai la norma . Gli standard tecnici dei magazzini a temperatura controllata sono oggetto di recente evoluzione, sia per la necessità di dover gestire quantitativi mag-giori di merce containerizzata (pertanto risulta necessario che le baie di carico siano dotate di prese elettriche e protezioni telescopiche), sia per il grado di sofisticazione dei controlli anche da remoto delle temperature e dei gas, grazie all’utilizzo di sofisticati manning gas detector . Inoltre, i magazzini a tempe-ratura controllata necessitano di opportune autorizzazioni sanitarie e certifica-zioni di qualità. Un magazzino costruito per non essere refrigerato si adatta difficilmente alla temperatura controllata. Potrebbe infatti risultare possibile adattarlo al fresco, mentre è difficilmente attuabile una riconversione al congelato e sur-gelato. I magazzini a temperatura controllata sono spesso costruiti “su misu-ra”, in base cioè alle specifiche tecniche prescritte dagli utilizzatori finali. Tali infrastrutture sono raramente considerate come semplici luoghi di deposito, in quanto rappresentano strutture portanti della catena del freddo che dal produt-tore arriva al rivenditore finale (Jones Lang La Salle e Gruppo Clas, 2007).

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3. Le principali infrastrutture puntuali di primo livello per la logistica agroalimentare in Italia

3.1. Riepilogo sinottico dei nodi logistici analizzati

Sono riportati di seguito informazioni e dati identificativi dei maggiori nodi logistici italiani di primo livello in cui sono svolte attività legate alla manipolazione e alla distribuzione di prodotti agroalimentari. Sulla base dei materiali disponibili, sono state analizzate le principali caratteristiche tecniche e di business di 9 nodi portuali e 17 nodi interportuali, nonché le iniziative di sviluppo in corso e previste, con particolare riferimento alla logistica agroa-limentare. Le principali fonti ufficiali utilizzate sono: Censis e UIR (2009) CNEL (2003), Regione Emilia Romagna (2006), Ship2Shore (2008), siti in-ternet delle Autorità portuali e di operatori. Un riepilogo sinottico in merito alle infrastrutture analizzate è riportato nelle tabelle 3.1 e 3.2.

3.2.Leinfrastruttureportuali

Il porto di Genova I prodotti agroalimentari movimentati nel porto di Genova riguardano l’ortofrutta e gli alimentari congelati e surgelati. Presso il Ponte Somalia del porto (fig. 3.1) opera Terminal Frutta Genova (TFG) in qualità di impresa terminalistica responsabile dal 1989 per la gestione dei carichi a temperatura controllata e di altre merci varie ad alto valore aggiunto. I servizi offerti da TFG sono i seguenti- imbarco/sbarco;- stoccaggio a temperatura controllata;- controlli fitosanitari;- pratiche doganali;- controlli qualità;- recupero pallet;- svuotamento/riempimento container;- distribuzione.

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Tabella 3.1 – Le principali infrastrutture portuali italiane per il traffico di prodotti agroalimentari

Fonte: nostra elaborazione su fonti varie

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Tabella 3.2 – Le principali infrastrutture interportuali italiane per il traffico di prodotti agroalimentari

Fonte: nostra elaborazione su fonti varie

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Figura 3 .1 – Il Terminal Frutta di Genova

Fonte: Autorità Portuale di Genova, 2009

TFG è stata fino ad oggi una società controllata dalla Clerici Logisti-cs Group S.p.A., operatore logistico specializzato a cui fanno capo anche il Terminal Frutta di Salerno, oltre ad una serie di società di servizi in grado di fornire servizi di trasporto, movimentazione, deposito e distribuzione. A breve, TFG dovrebbe essere però ceduta da Clerici al Gruppo Gavio dietro un corrispettivo di 6 milioni di euro e previa autorizzazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il Gruppo Clerici ha maturato tale decisione a seguito della interruzione del rapporto pluriennale con Chiquita. Nel 2008, TFG ha ottenuto la certificazione di qualità ISO 9001:2000 come “Terminal operator specializzato in prodotti deperibili”. Tale certi-ficazione risponde ad una serie di norme e linee guida in accordo all’etica aziendale e ai migliori standard internazionali conosciuti, che propongono un modello di assicurazione della qualità (per prodotti e/o servizi) finalizzato a tenere sotto controllo i processi aziendali, indirizzandoli alla soddisfazione del cliente . In generale, il terminal di Genova è diventato un nodo logistico primario per la frutta e i metalli non ferrosi, sia per il mercato interno che per l’Europa centrale ed orientale. Le direttrici principali di traffico sono le seguenti:- Europa nord-occidentale;

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- Europa orientale;- Mediterraneo meridionale/Nord Africa;- Medioriente;- Estremo Oriente;- Nuova Zelanda;- Nord America;- Sud America. Gli ultimi dati di traffico disponibili sono riportati in figura 3.2. Le tipo-logie principali di merci deperibili trattate sono i legumi freschi e congelati e la frutta fresca (banane in particolare). Genova è anche il principale porto italiano per la ricezione di carni congelate .

Figura 3.2 – Dati di traffico del Terminal Frutta di Genova

Fonte: Autorità Portuale di Genova, 2009; Ship2Shore, 2009

La superficie su cui è ubicato il terminal è di 70.000 mq., con una capacità frigorifera di 13.400 pallet in un’area coperta refrigerata di 14.000 mq. Nelle tabelle 3.3 e 3.4 si riportano i dati sulle caratteristiche tecniche del terminal e sulla capacità media di sbarco. Alcune criticità, già rilevate da uno studio del CNEL (2003), sono le se-guenti:• Procedure e tempi lunghi per i controlli ai varchi doganali: varco doga-

nale non dedicato, ma in comune con le altre tipologie merceologiche con il risultato di scontare oltre ad inevitabili perdite di tempo anche una scarsa attenzione alle problematiche del prodotto deperibile da parte degli addetti alla dogana .

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• Mancanza di coordinamento e dialogo tra le autorità preposte ai controlli e conseguente dilatazione dei tempi.

• Scarsa accessibilità alle infrastrutture retroportuali ed in particolare a quella ferroviaria: il tempo medio per far uscire un carro refrigerato dal porto è di ben 4 ore.

• Utilizzazione obbligatoria del trasporto su gomma per le consegne: infatti il vettore ferroviario non dispone dell’equipment necessario per la logi-stica del servizio in regime di freddo ad iniziare dall’alimentazione dei gruppi frigoriferi dei refeer container durante il trasporto su ferro fino alla mancanza di garanzie sul rispetto dei tempi di consegna.

A livello infrastrutturale, il piano di espansione previsto dall’Autorità portuale riguarda la realizzazione di una nuova struttura frigorifera, nonché la ristrutturazione del terminal al fine di ampliare le operazioni Ro/Ro e la movimentazione container. Il nuovo impianto previsto consentirà al porto di Genova di essere il primo porto del Mediterraneo in cui sarà possibile la ma-turazione delle banane sbarcate, che potranno così essere consegnate diretta-mente ai clienti finali.

Tabella 3.3 – Caratteristiche tecniche del Terminal Frutta di Genova

Pescaggio 11 mLunghezza banchine 700 mNumero accosti 3 + 1Area coperta 24.000 m²Area coperta refrigerata 13.700 m²Area scoperta 46.000 m²Area totale 70.000 m²Celle frigorifere 14Capacità stoccaggio frigorifero (-2°C ÷ +14°C) 13.400 palletVolume complessivo refrigerato 89.000 m³Prese di corrente per contenitori refeer 90Raccordo ferroviario 1Postazioni ricarico camion 25Gru di portata utile 6 tonn. 5Gru per container 1Stacker per container 1Transpallet elettrici 24Carrelli elettrici da 16/25 q 18Carrelli elettrici con pinza 1Carrelli a doppia forca 10

Fonte: Gruppo Clerici, 2009

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Tabella 3.4 – Rese di sbarco del Terminal Frutta di Genova

Merce pallettizzataResa media di sbarco (tonn./squadra/turno) 500/600ContainerResa media di sbarco 20 pezzi/h

Fonte: Gruppo Clerici, 2009

IlportodiSavona-Vado I prodotti agroalimentari movimentati nel complesso portuale di Savona-Vado riguardano la frutta, il caffè e i cereali. Nel porto di Vado Ligure opera dal 1982 Refeer Terminal. Grazie a diversi investimenti per l’espansione delle strutture e degli impianti, Refeer Terminal è attualmente il più importante nodo di sbarco nel Mediterraneo per i traffici di ortofrutta (oltre 500.000 tonnellate annue), sia in stiva che in contenitore, e che da Vado viene distribuita a tutto il Sud Europa (fig. 3.3). Nelle tabelle 3.5 e 3.6 si riportano le caratteristiche tecniche del terminal e i dati sulla capacità media di sbarco. Reefer Terminal è controllato dal Gruppo Orsero parte del Gruppo GF di Albenga, la più grande impresa del Sud Europa nel settore dell’importazione e distribuzione di frutta fresca e ortaggi, core business del Gruppo, che è anche impegnato direttamente nell’attività di produzione in Costa Rica, Camerun, Spagna e Sud America (pere, mele e agrumi). I prodotti movimentati da Refe-er Terminal riguardano per il 50% banane e ananas e per la restante parte agru-mi e altra frutta in contro stagione proveniente dall’emisfero sud (Sud Africa, Venezuela, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Sud America e Mediterraneo Orientale). I programmi di sviluppo del terminal riguardano l’effettuazione di lavori di dragaggio (per portare i pescaggi sino a 14 m), l’acquisizione di nuo-ve banchine e spazi retrostanti, l’acquisizione di una nuova gru di banchina ed altri mezzi di movimentazione .

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Figura 3 .3 – Il Refeer Terminal di Vado Ligure

Fonte: Autorità Portuale di Savona, 2009

Tabella 3.5 – Caratteristiche tecniche del Refeer Terminal di Vado Ligure

Pescaggio massimo 12,5 mLunghezza banchine 885 mNumero accosti 3Area coperta 27.000 m²Celle frigorifere 15Capacità stoccaggio frigorifero (-1°C ÷ +13°C) 13.500 palletPrese di corrente per contenitori refeer 510Gru da banchina RMG 2Gru semoventi 2Gru da piazzale RMG 2Reach stacker 9Fork-lift e transpallet 9Carrelli flatbed, trattori, trailer dato n.d.

Fonte: Autorità Portuale di Savona, 2009

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Tabella 3.6 – Rese di sbarco del Refeer Terminal di Vado Ligure

Merce pallettizzataResa media di sbarco (pallet/turno) 500Resa media di sbarco (pallet/giorno) 3.000/4.000ContainerResa media di sbarco 20 TEU/h

Fonte: CNEL, 2003

Di recente, l’Agenzia delle Dogane ha autorizzato la possibilità di proce-dure di pre-clearing nel porto di Savona-Vado. Questa modalità operativa, la cui rilevante novità consiste nell’anticipare il momento dell’acquisizione te-lematica dei documenti di sdoganamento delle merci prima dell’attracco della nave in banchina in maniera da dare tempi certi e rapidi all’uscita delle stes-se dai porti, è già passata dalla fase di sperimentazione alla fase realizzativa in particolare nel porto commerciale di Vado, e precisamente proprio presso il Terminal Reefer. Consentirà, inoltre, agli operatori economici savonesi di conoscere prima dello sbarco il canale di controllo selezionato dal sistema informativo doganale e al contempo di poter garantire una gestione più ra-zionale degli spazi di stoccaggio. In definitiva, l’ottimizzazione dei tempi di espletamento delle formalità doganali avrà riflessi molto positivi sulla rapidità del ciclo logistico delle merci, oltre che sulla viabilità urbana e portuale. Reefer Terminal gestisce anche il terminal container di Vado, arrivato in pochi anni a movimentare 251.000 TEU nel 2008 (fig. 3.4). La banchina con-tainer ha una lunghezza di 465 metri ed un pescaggio di 12,5 metri, mentre l’area di stoccaggio è di 173.000 mq con una capacità di movimentazione an-nua potenziale di 400.000 TEU. Il terminal è dotato anche di un’area riservata per le merci pericolose, un CFS (container freight station) in grado di offrire servizi a ogni tipo di merce in transito ed un’officina per la riparazione dei contenitori .

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Figura 3.4 – Il terminal contenitori di Vado Ligure

Fonte: Autorità Portuale di Savona, 2009

Nel complesso portuale di Savona-Vado sono presenti inoltre anche altri operatori che movimentano prodotti della filiera agroalimentare, quali:- Monfer (rinfuse alimentari);- Vio (caffè);- Terminal Rinfuse Italia (cereali);- Multiterminal (caffè).

Il porto di Livorno Nel porto di Livorno si movimentano frutta fresca, prodotti congelati e pesce. Quest’ultima tipologia di beni alimentano i processi produttivi di Pana-pesca, il maggior importatore italiano di pescato . I terminal di prodotti deperibili sono 2: il Terminal Dole e il Terminal Giolfo & Calcagno. Il Terminal Dole (fig. 3.5) è specializzato nella movimen-tazione, stoccaggio, containerizzazione e distribuzione di frutta esotica. Le dotazioni tecniche sono:

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- magazzini a temperatura controllata con capacità di 35.000 mc;- 3 grandi celle frigorifere per lo stoccaggio dei vari tipi di frutta, per una

capacità fino a 200.000 tonn/anno;- 100 prese elettriche per contenitori frigorifero .

Fig . 3 .5 – Il Terminal Dole di Livorno

Fonte: Autorità Portuale di Livorno, 2009

Il Terminal Giolfo & Calcagno è invece specializzato nel traffico di pro-dotti congelati. Dispone di una banchina di 80 m, di una superficie totale di 23.812 mq, di cui 13.359 coperti e di celle frigorifere per una capacità totale di 4 .700 mc . Tra gli interventi futuri previsti dall’Autorità portuale di Livorno è possi-bile evidenziare in particolare quelli riguardanti lo spostamento del Terminal Dole in un’altra area e la realizzazione di un nuovo polo del freddo.

Il porto di Ancona Nel porto di Savona si movimentano cereali, zucchero, olio, farine, le-gumi e prodotti surgelati. Riguardo quest’ultima tipologia di prodotti alimen-tari, il porto di Ancona segue quelli di Livorno e Genova per quantitativi di imbarchi e sbarchi. Ancona si avvale inoltre del mercato ittico più moderno d’Europa e di una efficiente rete di servizi a terra: grandi depositi e magazzini, officine di riparazione, fabbriche del ghiaccio, forniture di provviste e attrez-zature di bordo.

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I porti di Trieste e Monfalcone Nel porto di Trieste si movimentano cereali, caffè, prodotti congelati ed ortofrutta. Il Molo V dispone di un terminal frutta dedicato di 55.000 mq, di cui circa la metà di superficie coperta, oltre ad altre aree di stoccaggio, un silos per rinfuse liquide ed un piazzale per deposito e movimentazione container. Le principali aree di scambio per i prodotti ortofrutticoli sono l’Egitto e il Nord Europa. Qualche anno fa, il terminal frutta è stato ceduto dal Gruppo Clerici al Gruppo Gavio, con l’inaugurazione di nuovi impianti refrigerati. In genera-le, il Gruppo Gavio ha programmato d’investire quasi 60 milioni di euro: 50 milioni per la ristrutturazione dell’intero Molo V e la rimanente parte per un impianto di maturazione e pallettizzazione di cartoni sciolti. Il Gruppo preve-de di movimentare nel Molo diverse decine di migliaia di tonnellate l’anno di frutta. Nel 2008 i traffici complessivi sono stati pari a 130mila tonnellate tra frutta e merci varie, mentre nei primi sei mesi del 2009 il traffico complessivo è ammontato a 100 mila tonnellate. Tale infrastruttura ambisce a diventare un hub per l’ortofrutta destinata all’Europa centro-orientale. L’obiettivo è quello di attirare traffici dal Nord Africa, dal Sud America e dal Mediterraneo Orien-tale . Anche per i prodotti congelati esiste un terminal dedicato, il quale è ge-stito da Frigomar. Tale azienda, facente capo al Gruppo Artoni, ha allestito un magazzino costiero refrigerato che opera mediante un sistema di stoccag-gio a scaffalature semi-automatiche a compattazione. Tale struttura è capace di raggiungere temperature fino a -25°C, con tasso di umidità costantemente controllato . Il magazzino è strutturato su due celle con una capacità di 20.000 mc cadauna, per un totale di 4.500 mq di superficie. Le celle sono suddivise in un totale di 4.100 slot per pallet e big-bag con un peso unitario fino a 1.000 kg. In totale, Frigomar dispone di una superficie di 17.000 mq adibita a piaz-zali per la movimentazione ed il deposito delle merci. Oltre allo stoccaggio in magazzino, sono offerti anche servizi collaterali come: - movimentazione e selezione;- marcatura;- etichettatura;- controllo peso;- cargo inspection;- sampling;

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- consolidamento;- smistamento . Frigomar è anche gestore di Deposito Doganale Pubblico autorizza-to dall’Autorità Doganale e sottoposto al suo controllo. In questo deposito l’azienda immagazzina merci estere, rispondendo alle esigenze degli operatori economici che intendono evitare i dazi all’importazione. Frigomar è inoltre gestore di Deposito IVA. L’immissione delle merci in tale deposito permette l’assolvimento dell’imposta solo al momento della loro estrazione dal deposi-to per l’immissione in consumo nello Stato. Infine, nel porto di Trieste vi è anche un terminal cerali dotato di silos di capacità pari a 46.000 tonn, mulino per la lavorazione del prodotto finito, aspi-ratore pneumatico della capacità di 600 tonn/ora, impianto per la caricazione automatizzata con una potenzialità di 2.000 tonn/ora. Tale infrastruttura è ge-stita da Trieste Terminal Cereali. Nel terminal dedicato alla movimentazione di merci varie, coloniali e prodotti tessili operano invece Tergestea, Romani & Co. e S.G.S. Italia. Per quanto riguarda invece il porto di Monfalcone, si segnala la presenza di un importante impianto cerealicolo gestito da De Franceschi SpA. L’attuale impianto occupa un area di 80.000 mq antistanti il golfo di Monfalcone. La configurazione del sito è il frutto di una graduale e continua realizzazione di ampliamenti e adeguamenti. Le attuali infrastutture disponibili sono:- una banchina per l’attracco navi della portata di circa 30.000 tonn., at-

trezzata con impianto pneumatico per l’imbarco e lo sbarco di cereali, farine e semole;

- un impianto di essiccazione cereali con capacità di 1500 tonnellate/gior-no;

- silos verticali per una capacità complessiva di circa 40.000 tonn., - silos orizzontali per una capacità complessiva di circa 25.000 tonn. colle-

gati con la rete ferroviaria nazionale . Per quanto riguarda il processo produttivo sono disponibili:- due linee di decorticazione dei cereali;- un impianto per la tostatura e fioccatura dei cereali da 250 tonn/giorno;- una linea di estrusione ed una di pellettatura delle farine di granoturco per

una capacità complessiva di 240 tonn/giorno;- un impianto molitorio con sezioni diversificate;- una sezione di macinazione granoturco con degerminazione ad umido

per la produzione di semole e farine destinate ad utilizzi industriali quali

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produzione di snack estrusi e semole per birra con capacità di circa 500 tonn/giorno;

- una sezione con degerminazione a secco per la produzione di farine e semole destinate al consumo diretto e a produzioni speciali con capacità di circa 300 tonn/giorno;

- una sezione di macinazione granoturco bianco per la produzione di farine bianche per il consumo diretto con capacità di circa 50 tonn/giorno;

- varie sezioni per la raffinazione dei prodotti e per la macinazione di pro-dotti speciali .

Tutte le linee sono dotate a monte di macchine per la pulitura dei cereali che assicurano la lavorazione di materie prime selezionate ed esenti da im-purità. La presenza di magneti e vagli assicura l’assenza di corpi estranei nei prodotti finiti. Il controllo è completamente automatizzato e supervisionato da operatori qualificati e aggiornati circa le nuove tecnologie e le normative di igiene e sicurezza. I prodotti ottenuti sono automaticamente avviati ai silos di stoccaggio e alle relative linee di confezionamento automatizzate diverse per i differenti formati. Dal pacchetto per il consumo diretto alle confezioni più grandi de-stinate all’industria. Tutte le fasi della lavorazione, produzione e confeziona-mento sono monitorate e controllate dagli addetti al controllo qualità. La favorevole posizione logistica, crocevia tra l’Europa danubio-balca-nica, il bacino del Mediterraneo e i paesi del nord Europa, e le infrastrutture presenti garantiscono la possibilità ricevere e di spedire i prodotti confezionati o alla rinfusa via mare, gomma, rotaia.

IlportodiVenezia Nel porto di Venezia si segnala la presenza di Terminal Rinfuse Italia (TRI), che tratta principalmente prodotti agroalimentari e rinfuse nere (carbo-ne, ferroleghe e ghisa). Svolge anche operazioni di RO-RO, nonché di Grandi Molini Italiani, che svolge operazioni portuali che riguardano in prevalenza rinfuse cerealicole connesse alla autonoma attività produttiva, imbarcando fa-rine e prodotti della macinazione in sacchi risultanti dalla lavorazione. Di recente sono emerse nuove prospettive per il porto legate allo sviluppo dei traffici con i porti egiziani, soprattutto con Alessandria, con l’obiettivo di incrementare e razionalizzare la cooperazione nel settore agroalimentare tra Italia ed Egitto ed in particolare di diffondere in Europa, attraverso i porti italiani, i prodotti ortofrutticoli egiziani.

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Le iniziative attualmente in corso nel porto di Venezia sono volte al per-seguimento del duplice obiettivo di alimentare o essere alimentato con servizi feeder nuovi o già esistenti che, sfruttando i porti di transhipment egiziani (Port Said, Damietta e Alessandria), riducano il tempo di transito dall’Estremo Oriente e dall’Africa verso l’Italia settentrionale, la Germania meridionale, l’Austria e l’Europa centro-orientale, facendo di Venezia il punto di arrivo del “Green Corridor” Italia-Egitto per le merci dirette in Europa. L’Autorità Portuale sarebbe infine interessata a coordinare la partecipa-zione di operatori legati a Venezia alla gara per la realizzazione del polo del freddo ortofrutticolo nel porto di Alessandria, e a sperimentare - assieme a tale porto egiziano – l’applicazione dell’art. 4 dell’accordo marittimo italo-egiziano del 3 dicembre 2008 teso ad accelerare le operazioni portuali sia in Egitto che in Italia, in particolare, sotto il profilo doganale e sanitario.

Il porto di Ravenna Nel porto di Ravenna si movimentano prodotti agricoli e derrate alimen-tari. È disponibile un terminal frigorifero gestito da Frigoterminal, che è parte del Gruppo Sapir. Nel porto di Ravenna, il Gruppo Sapir gestisce anche il terminal container assieme a Contship Italia, controllata del Gruppo Eurokai-Eurogate di Amburgo. Nel terminal deperibili sono offerti servizi di imbarco/sbarco e stoccaggio di agrumi, ortofrutta fresca e legumi. Il terminal ha una capacità ricettiva di circa 3 .000 pallet in 7 celle di stoccaggio in grado di mantenere i prodotti a temperatura controllata da -30°C a 16°C. La banchina del terminal è equipag-giata con gru per la movimentazione dei pallet e con nastri trasportatori per scatole e cartoni sfusi di frutta (fig. 3.6), collegando direttamente la stiva delle navi alle celle . Le principali aree di scambio del terminal deperibili sono il Mediterra-neo, il centro-nord Europa, l’Europa dell’est, l’America settentrionale e meri-dionale, l’Estremo Oriente. Nel porto di Ravenna esiste anche un terminal cereali gestito da Docks Cereali e che si estende su un’area di 253.000 mq. Il terminal svolge attività di:- imbarco/sbarco di cereali, sfarinati, fertilizzanti, inerti, rinfuse in genere,

sacchi, big-bag, sling;- carico e scarico di carri ferroviari e autotreni; - macinazione e miscelazione di materie prime per la produzione di man-

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gimi; - insaccaggio; - movimentazione di tutte le merci, compreso i sacchi. In porto opera inoltre Magazzini Generali, specializzata nello stoccaggio, insacco, imbarco/sbarco di riso, farina, cereali, zucchero, sale e materie pla-stiche e ferrose, confezionate o sfuse, con magazzini per 15.000 mq e piazzali per 10.000 mq. Dispone di 3 serbatoi certificati per stoccaggio di prodotti alimentari liquidi ed infiammabili, per un totale di 4.300 mc.

Figura 3.6 – Operazioni terminalistiche di prodotti deperibili nel porto di Ravenna

Fonte: Gruppo Sapir, 2009

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Il porto di Salerno L’ortofrutta (prodotti freschi e trasformati) rappresenta una delle cate-gorie merceologiche più significative dei traffici containerizzati del porto di Salerno. Dal porto di Salerno partono prevalentemente prodotti conservieri in container, mentre arrivano prodotti ortofrutticoli freschi provenienti da Egitto, Turchia, Tunisia ed Israele sia con navi portacontainer in modalità “refeer”, che su autotreni e semirimorchi caricati sulle navi Ro-Ro delle linee di auto-strada del mare del Gruppo Grimaldi di Napoli. Un’ulteriore quota dei volumi di frutta fresca movimentata nel porto, quasi esclusivamente banane, viene importata da Terminal Frutta Salerno (TFS) in pallet trasportati in stiva della nave (2/3) o in container frigoriferi (da 20 pallet cadauno) provenienti da di-versi paesi del Sud America (Costa Rica, Colombia, Panama, Ecuador). TFS è società appartenente al Gruppo Clerici che gestisce una struttura logistica interamente dedicata alla conservazione, allo stoccaggio e alla mo-vimentazione in conto terzi di prodotti deperibili (fig. 3.7). I prodotti trattati sono destinati per un 30-40% alla Campania; per il resto, il bacino servito è comunque l’intero centro e sud-Italia, mentre al nord si spedisce solo un 10% della merce sbarcata a Salerno. La struttura terminalistica ed i magazzini del Gruppo Clerici garantiscono attraverso un sistema di relazioni con operatori logistici, vettori specializzati ed altri terminal deperibili in Italia ed Europa, una piena razionalizzazione dei collegamenti nazionali ed extra-nazionali. I principali servizi logistici offerti da TFS sono:- sbarchi/imbarchi;- stoccaggio a temperatura controllata;- controlli fitosanitari;- pratiche doganali;- controllo qualità;- recupero pallet;- distribuzione;- svuotamento/riempimento container.

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Figura 3 .7 – Il Terminal Frutta Salerno

Fonte: Gruppo Clerici

Nella tabelle 3.7 e 3.8 si riportano alcune caratteristiche infrastrutturali del TFS, nonché i dati sulla capacità media di sbarco.Negli ultimi tempi, il Gruppo Clerici ha avviato dei lavori (effettuando un investimento di oltre 3 milioni di euro) finalizzati alla realizzazione di una nuova cella frigorifera da circa 1.000 posti pallet e alla ristrutturazione di 3 celle dismesse fronte mare, portando la capacità complessiva del terminal a lavori ultimati a circa 5.000 posti pallet. La realizzazione di ulteriori celle fri-gorifere permetterà di differenziare ulteriormente i servizi offerti garantendo temperature diverse a tipologie di prodotti diversi.

Tabella 3.7 – Caratteristiche tecniche del Terminal Frutta Salerno Pescaggio 10 mLunghezza banchine 300 mNumero accosti 1 + 1Area coperta 5.500 m²Area coperta refrigerata 3.300 m²Area scoperta 10.500 m²Area totale 16.000 m²Celle frigorifere 7Capacità stoccaggio frigorifero (-2°C ÷ +14°C) 3.000 palletVolume complessivo refrigerato 23.000 m³Prese di corrente per contenitori refeer 130Postazioni ricarico camion 12Gru di portata utile 12 tonn. 3Gru per container 1Stacker per container 1Transpallet elettrici 11Carrelli elettrici da 16/25 q 16Carrelli elettrici con pinza 1Carrelli a doppia forca 6

Fonte: Gruppo Clerici, 2009

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Tabella 3.8 – Rese di sbarco del Terminal Frutta Salerno

Merce pallettizzataResa media di sbarco (tonn/squadra/turno) 400/500ContainerResa media di sbarco 20 TEU/h

Fonte: Gruppo Clerici, 2009

All’interno del porto di Salerno opera anche Med Reefer, altra impresa del Gruppo Clerici specializzata nella logistica delle merci deperibili e che gestisce il servizio di feederaggio nel bacino del Mediterraneo (CNEL, 2003). Infine, nel porto si movimentano anche prodotti coloniali.

3.3.Leinfrastruttureinterportuali

L’interporto di Torino L’interporto di Torino (figg. 3.8-3.9), gestito da S.I.TO. - Società Interpor-to di Torino-Orbassano SpA, è una macro-piattaforma logistica e intermodale operativa sin dai primi anni ’90 in località Orbassano, a sud Ovest di Torino, nel Nord-Ovest italiano. L’area interportuale copre una superficie totale di 2.800.000 mq ed è in-terconnessa allo scalo FS di Orbassano, che è uno dei maggiori centri di smi-stamento ferroviario in Europa. La dotazione ferroviaria può inoltre contare anche sullo scalo privato di S.I.TO. dotato di binari propri utilizzati per il trasbordo delle merci e per le operazioni di presa e consegna diretta a diversi magazzini raccordati . La posizione dell’interporto consente rapide connessioni con la A32 verso la Francia, con il sistema ferroviario che attraversa il Frejus e con la A5 verso la Svizzera. In particolare, l’interporto si configura come infrastruttura utile ad incentivare l’intermodalità da e verso le Alpi, sulla direttrice del Corridoio V, verso Lione. Va inoltre consolidandosi il servizio di autostrada viaggiante che consente il trasporto su ferro di veicoli completi o semirimorchi, con quattro collegamenti giornalieri via ferro A/R con la Francia.

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Figura 3.8 – Foto aerea dell’area di localizzazione dell’interporto di Torino e del suo terminal ferroviario

Fonte: S .I .TO ., 2009

Figura 3.9 – Planimetria dell’interporto di Torino

Fonte: S .I .TO ., 2009

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L’interporto è suddiviso in due zone, una a nord ed una a sud della tan-genziale sud di Torino: la zona sud è stata la prima ad essere edificata ed è attualmente interamente occupata, mentre la zona nord, relativamente più recente, è occupata solo in minima parte ed è in fase di sviluppo. Tra gli ope-ratori insediati nell’area nord si citano il C.A.A.T. - Centro Agro Alimentare di Torino (fig. 3.10), ex Mercati Generali, ed il Terminal intermodale di S.I.TO. Logistica ScpA.

Figura 3.10 – Le aree e le strutture del Centro Agrolimentare localizzato nell’interporto di Torino

Fonte: C .A .A .T ., 2009

In generale, l’interporto mette a disposizione degli operatori circa 750.000 mq di piazzali, circa 350.000 mq di magazzini e circa 70.000 mq dedicati ad uffici. Ad oggi l’interporto si può definire completato circa per il 70%, ed in-fatti nuovi magazzini sono in via di realizzazione o in fase di progettazione. È inoltre previsto un ulteriore ampliamento della superficie interportuale con i terreni confinanti la zona Nord. Attualmente, l’interporto movimenta un volume complessivo di merci pari a circa 3 milioni di merci, di cui il 30% rappresenta traffico intermoda-le e il 20% rappresenta invece traffico ferroviario tradizionale. Le principali tipologie di merci movimentate sono le seguenti: derrate alimentari (frutta

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secca, frutta fresca, agrumi, ortaggi, carne, cibi in scatola, ecc.), componen-tistica meccanica (automotive in generale), abbigliamento, carta, elettronica, legname, prodotti metallurgici e altre merci. In quest’ultima tipologia sono ad esempio compresi i pacchetti postali di utenza privata che si avvalgono di spedizionieri diversi dalle Poste Italiane, le lettere tramite corriere espresso, i prodotti farmaceutici e chimici. Le derrate alimentari coprono da sole più della metà dei prodotti in esa-me, con un 34% per i prodotti cosiddetti “fuori frigo” ed un 30% di prodotti a temperatura controllata. Il solo Centro Agro Alimentare torinese movimenta il 31% del totale delle merci in entrata e in uscita dall’interporto. A seguire, il settore dell’automotive con il 21%, il metallurgico con il 9% e la categoria “altre merci” con il 6%. Nelle tabelle 3.9 e 3.10 si riportano i dati sulla movi-mentazione merci del Centro Agro Alimentare e il peso delle singole tipologie di merci sul totale movimentato nel periodo 2001-2006.

Tabella 3.9 – Derrate alimentari introdotte in mercato dal C.A.A.T.(dati in quintali)

Anno Frutta fresca Frutta secca Agrumi Ortaggi Totale2001 1.234.876 15.817 483.396 1.925.529 3.659.6182002 1.782.894 32.293 717.326 2.941.190 5.473.7032003 1.823.591 13.878 765.465 3.062.962 5.665.8962004 1.765.407 61.347 1.035.057 3.406.599 6.268.4102005 1.709.869 59.417 1.002.495 3.299.432 6.071.2132006 1.620.407 56.308 950.044 3.126.801 5.753.560

Fonte: S .I .TO ., 2009

Tabella 3.10 – Incidenza delle diverse tipologie di prodotti sul totale delle derrate agroalimentari introdotte in mercato dal C.A.A.T.

Anno Frutta fresca Frutta secca Agrumi Ortaggi Totale2001 33,7% 0,4% 13,2% 52,6% 100,0%2002 32,6% 0,6% 13,1% 53,7% 100,0%2003 32,2% 0,2% 13,5% 54,1% 100,0%2004 28,2% 1,0% 16,5% 54,3% 100,0%2005 28,2% 1,0% 16,5% 54,3% 100,0%2006 28,2% 1,0% 16,5% 54,3% 100,0%

Fonte: nostra elaborazione su dati S .I .TO ., 2009

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L’interporto di Rivalta Scrivia L’interporto di Rivalta Scrivia (figg. 3.11-3.12), gestito Interporto di Ri-valta Scrivia SpA, è una macro-piattaforma logistica e intermodale operativa sin dal 1966 in provincia di Alessandria, nel Nord-Ovest italiano. Rappresenta la prima infrastruttura interportuale realizzata in Italia ed ha una posizione favorevole rispetto alle direttrici di scambio commerciale tra sud e nord Eu-ropa, ed in particolare tra Mar Mediterraneo e fascia transalpina. La vicinanza al casello di Tortona consente una facile accessibilità agli assi autostradali A7 e A21, ma soprattutto la vicinanza al porto di Genova, ha sempre fatto con-siderare la struttura di Rivalta Scrivia come il naturale retroporto di Genova Voltri. Attualmente, l’interporto comprende superfici coperte per 400.000 mq (oltre a 25.000 mq di ampliamenti in corso), 300.000 mq di terminal inter-modale, 250.000 mq di piazzali per autoveicoli 100.000 mc di magazzini fri-goriferi (depositi a temperatura controllata e depositi per prodotti freschi e congelati) e 10.000 mq di uffici. I magazzini frigoriferi, in particolare, sono suddivisi in tre banchine di carico/scarico (circa 26.000 mc) e celle frigorifere (circa 74.000 mc). Le celle presenti sono 9 ed offrono una capacità comples-siva di circa 15.500 posti pallet con diverse tipologie di stivaggio. I volumi delle celle variano da 2.500 mc a 13.700 mc. Sei celle sono costantemente ad una temperatura di -30°C e sono atte ad accogliere prodotti surgelati finiti o materie prime per la trasformazione. Vi sono altresì due celle a temperatura oscillante tra 0°C e +10°C ed una cella a temperatura compresa tra 0°C e +6°C. La presenza di 14 punti di carico/scarico garantisce un movimento in/out di circa 1.000/1.500 pallet al giorno. Rivalta Scrivia è specializzata nella movimentazioni di autovetture, non-ché nella lavorazione di prodotti alimentari (refrigerati e beni coloniali) e nell’imballaggio e raggruppamento di merci destinate a centri commerciali della grande distribuzione organizzata. Le merci movimentate nel 2007 hanno superato 1.700.000 tonnellate, il 25% delle quali ha subito lavorazioni all’in-terno dell’interporto. Il 20% dei traffici transita su ferrovia, mentre il restante 80% su gomma. Attualmente, l’interporto sta realizzando un nuovo terminal al fine di ac-cogliere convogli di 650 metri, fino ad arrivare ad una lunghezza massima di 1.000 metri. Gli obiettivi di medio periodo consistono in un ulteriore radica-mento dell’interporto nel territorio di riferimento, fungendo da piattaforma al servizio delle imprese locali e da struttura di smistamento terrestre dei traffici che si attestano sui sistemi portuali dell’alto Tirreno.

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Figura 3.11 – L’interporto di Rivalta Scrivia

Fonte: Interporto di Rivalta Scrivia, 2009

Figura 3.12 – Planimetria dell’interporto di Rivalta Scrivia

Fonte: Interporto di Rivalta Scrivia, 2009

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L’interportodiVadoLigure L’interporto di Vado Ligure si estende su un’area di 145.000 mq alle spal-le del porto di Vado Ligure, cui è collegata mediante una viabilità dedicata. Tale infrastruttura comprende 2.000 mq di uffici e 54.000 mq di magazzini, di cui 18.000 mq destinati a servizi di lavorazione e conservazione di prodotti alimentari e 3.000 mq a celle frigorifere. Le principali specializzazioni produttive riguardano l’elettronica, gli elet-trodomestici e l’agroalimentare, anche con riferimento a prodotti freschi o surgelati. Il caffè verde, in particolare, è il vero core business dell’interporto, dove vengono eseguite, ad esempio, operazioni di carico e scarico, pulitura, crivellatura ottica, spietratura, separazione, stoccaggio e movimentazione. A tal fine è utilizzata una batteria di silos costituita da 42 celle da 110 tonnella-te . L’interporto di Vado Ligure movimenta circa 130.000 tonnellate di merci annue. Grazie alla realizzazione di nuovi magazzini e al potenziamento del si-stema di collegamenti ferroviari, si prevede che nei prossimi anni raggiungerà una capacità tra le 250.000 e le 300.000 tonnellate, così da poter adeguata-mente rispondere alle prospettive di crescita dei traffici portuali. Attualmente, solo il 10% delle merci è movimentato via ferro.

L’interportodiVerona L’Interporto Quadrante Europa di Verona (figg. 3.13-3.14) è una delle maggiori infrastrutture logistiche terrestri di primo livello attualmente esisten-ti in Italia. Fu sviluppato a partire dal 1968 e definitivamente realizzato dal Consorzio per la Zona Agricolo Industriale (ZAI) di Verona, un consorzio di sviluppo industriale istituito in base ad una legge speciale e costituito tra la Provincia, il Comune e la Camera di Commercio della città scaligera. Dal punto di vista geografico, l’interporto è localizzato all’incrocio tra i due Corridoi transnazionali I e V. Oltre ad essere attraversato dalla tangenziale Nord cittadina, sorge infatti nei pressi del punto di intersezione tra l’autostrada A4 Milano-Venezia e la A22 Modena-Brennero, nonché tra le linee ferroviarie Milano-Venezia e Bologna-Brennero, con cui il terminal intermodale dell’in-terporto è collegato direttamente attraverso una stazione interna. L’interporto di Verona si estende su una superficie di 2.500.000 mq. La zona ferroviaria si estende su una superficie di 310.000 mq, di cui si prevede un’espansione per ulteriori 490.000 mq che consentiranno l’ampliamento del terminal intermodale (che si sviluppa attualmente su una superficie di circa

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136.000 mq) ed il trasferimento nell’area interportuale dello scalo merci ferro-viario. Il contiguo raccordo ferroviario consente a 30.000 convogli ferroviari di essere movimentati annualmente verso le diverse strutture. L’area interpor-tuale comprende inoltre le seguenti componenti: - area doganale di 65.000 mq;- magazzini per spedizionieri, per un totale di 70.000 mq di superficie co-

perta;- terminal dell’operatore Hangartner, che si estende su un’area di 385.000

mq, con 58.000 mq di magazzini coperti e un magazzino frigorifero da 65.000 mc;

- centro logistico di Volkswagen Italia, per un totale di 150.000 mq di su-perficie;

- centro assistenza ai mezzi, per un totale di 14.000 mq di superficie;- parcheggio TIR, per un totale di 30.000 mq di superficie;- centro direzionale, presso cui sono localizzati uffici, attività di servizio

alle persone e il laboratorio chimico della dogana.

Figura 3.13 – Foto aerea dell’area di localizzazione dell’interporto di Vero-na e dell’adiacente polo agroalimentare

Fonte: Wikipedia, 2009

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Figura 3.14 – Planimetria dell’interporto di Verona

Fonte: Consorzio ZAI, 2009

Adiacente all’interporto si trova inoltre il Centro Agroalimentare, che si estende su un’area di 550.000 mq e rappresenta la maggiore piattaforma logi-stica italiana per la raccolta, la distribuzione e la commercializzazione all’in-grosso di prodotti agroalimentari . Nel 2007 sono transitate nell’interporto 7,2 milioni di tonnellate di merci su ferrovia ed oltre 20 milioni di tonnellate su gomma. In generale, nell’inter-porto di Verona si realizza circa il 30% di tutto il traffico combinato nazionale italiano ed oltre il 50% del traffico combinato internazionale italiano. Tra le varie tipologie merceologiche trattate, risaltano in particolare due specializza-zioni: quella dei prodotti refrigerati alimentari e quelle delle autovetture.Il piano di espansione dell’interporto prevede un ampliamento del perimetro dell’interporto da 2,5 milioni di mq a 4,2 milioni di mq. Il Consorzio ZAI sta ad esempio avviando una nuova iniziativa nella cosiddetta “Area dell’innova-zione”, che si estende su una superficie di 1.300.000 mq, nella zona comune-mente denominata “Marangona”, che è uno dei comprensori istituzionali ri-

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servati alla giurisdizione del Consorzio. Si tratta di un insediamento destinato aziende del settore high-tech. In futuro l’interporto sarà anche collegato con il canale fluvio-marittimo Milano-Cremona-Mantova-Legnago-Rovigo-Pò di Levante .

L’interporto di Padova L’interporto di Padova (figg. 3.15-3.16), gestito da Interporto di Padova SpA., è una macro-piattaforma logistica e intermodale situata nel cuore del Nord-Est d’Italia ed è collegata alle reti ferroviarie nazionali ed internazionali. In particolare, il raccordo con la rete ferroviaria è assicurato da una dorsale di 4 Km che collega il terminal intermodale dell’interporto con l’asse Trieste-Venezia-Milano-Torino e con l’asse Padova-Bologna-Roma.

Figura 3.15 – Foto aerea dell’area di localizzazione dell’interporto di Padova

Fonte: Interporto di Padova SpA, 2009

Il collegamento alla rete autostradale avviene invece tramite il casello di Padova Est (lungo la A4 Venezia-Verona-Milano-Torino) e tramite quello di Padova Interporto (lungo la A13 Padova-Bologna).

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Figura 3.16 – Planimetria dell’interporto di Padova

Fonte: Censis-UIR, 2009

La superficie complessiva dell’interporto è pari a circa 2 milioni di mq, su cui sono disponibili:- Due terminal intermodali, rispettivamente di 70.000 mq e di 100.000 mq,

uno di proprietà di FS e l’altro della società di gestione dell’interporto. Il terminal FS è composto da due fasci di tre binari ciascuno, mentre altri 8 binari sono disponibili presso il secondo terminal. La gestione di entrambi è affidata a Nord Est Terminal SpA, la prima società in Italia a partecipazione mista ferrovie-interporti per i terminali intermodali.

- Una stazione merci ed un terminal per il trasporto combinato, che interes-sano un’area complessiva di 153.000 mq formata da un fascio di smista-mento di 21 binari di presa e consegna, e un ulteriore fascio di 7 binari, dove FS svolge le operazioni di carrellamento stradale dei carri merci, nonché le altre operazioni inerenti la presa e consegna delle merci private su vagoni normali.

- Magazzini coperti, per un totale di 250.000 mq suddivisi tra: - fabbricati per spedizionieri, raccordati ai terminal intermodali o alla sta-

zione merci;

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- fabbricati per corrieri;- due magazzini a pronti, raccordati alla rete ferroviaria e destinati a servizi

di logistica distributiva;- una cittadella della logistica, di cui sono state recentemente realizzate le

prime due parti per oltre 61.000 mq di impianti, mentre la terza (6.700 mq) è in fase di completamento;

- un distripark, della superficie di 47.500 mq, strutturato in due corpi di fabbrica, uno dei quali raccordato alla rete ferroviaria. All’interno del distripark è possibile svolgere il ciclo completo della gestione logistica delle merci (logistica d’ingresso, warehousing, logistica d’uscita e packa-ging), beneficiando di facilitazioni doganali.

Oltre a dogana, uffici, negozi e servizi ausiliari, altre strutture presenti nell’area interportuale sono il Mercato Agroalimentare di Padova che, inclu-dendo un’area coperta di più di 86.000 mq ed i 100.000 mq dei Magazzini generali, occupa una superficie totale di oltre 250.000 mq e su cui sono anche disponibili 55.000 mc di magazzini frigoriferi con celle polivalenti a tem-peratura controllata (+15°C / -25°C) riconosciuti con bollo CEE per carne e pesce . Di recente, l’Ente Autonomo Magazzini Generali si è trasformato in so-cietà di capitali. Inoltre, i consigli di amministrazione di Interporto di Padova e Magazzini Generali hanno approvato la fusione tra i due soggetti, istituendo così la nuova società Interporto di Padova - Magazzini Generali SpA, che opererà su più di 1 milione di metri quadri di superficie, di cui 22.000 mq refrigerati . Complessivamente, l’interporto di Padova movimenta circa 8 milioni di tonnellate di merce annua, di cui circa il 40% tramite ferrovia e più del 30% mediante soluzioni intermodali.

L’interportodiVenezia L’interporto di Venezia (fig. 3.17), gestito da Interporto di Venezia SpA, è localizzato nel centro della zona industriale di Marghera e risulta ben col-legato alle principali arterie stradali ed autostradali, nonché alla stazione fer-roviaria di Venezia Mestre e all’aeroporto Marco Polo di Venezia Tessera. Il raccordo ferroviario ha una lunghezza complessiva pari a 3 km ed è collegato sia alla stazione di Venezia Mestre che al Porto Commerciale di Marghera.

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Figura 3.17 – L’interporto di Venezia

Fonte: Interporto di Venezia SpA, 2009

L’interporto di Venezia si estende su una superficie complessiva pari a circa 240.000 mq. Di questi 47.400 mq sono coperti. L’area ad uso servizi ha una superficie di 5.400 mq circa e comprende uffici, mensa e spogliatoi. I magazzini coprono invece complessivamente 41.000 mq e sono utilizzati per lo stoccaggio di rinfuse e prodotti siderurgici. Sono inoltre disponibili 6.000 mq di celle frigorifere (la “Cittadella del Freddo”) dedicate a prodotti ittici, carni e alimentari congelati in genere. L’interporto dispone anche di 5 silos di stoccaggio ecologici per le rinfuse solide, di cui 4 con una capacità di 36.000 tonnellate ed uno più piccolo da 6.500 tonnellate. L’area scoperta ha invece una estensione di 134.000 mq, di cui 110.000 riservati ai piazzali per lo stoc-caggio delle merci (rinfuse e prodotti siderurgici), 2.400 per la sosta notturna dei camion e 7.800 adibiti ad area doganale. Ulteriori 26.000 mq sono infine occupati da depositi fiscali ai fini I.V.A. La banchina, situata nel Canale Industriale Ovest di Porto Marghera, ha invece una lunghezza complessiva pari a 500 metri, mentre il canale grazie ai nuovi lavori raggiunge profondità pari a 32 piedi. Lungo la banchina si tro-vano tre gru portuali con capacità rispettivamente di 70, 80 e 104 tonnellate. Fra le altre strutture disponibili, si segnala un carro ponte portuale con una capacità di 52 tonnellate . L’interporto di Venezia mette a disposizione degli operatori servizi in grado di combinare le tre modalità di trasporto: nave, gomma e rotaia. Pos-sono così essere effettuate operazioni di ricarico della merce direttamente da navi a camion o vagoni, oltre che da piazzale su camion e vagone. Attraverso l’impiego di moderne attrezzature è possibile inoltre effettuare operazioni di

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carico delle merci da silos a camion . Accanto ai servizi più propriamente lo-gistici, all’interno dell’interporto si effettuano lavorazioni di vario tipo delle merci, quali miscelazione, macinazione, deferrizzazione, confezionamento e vagliatura. Grazie ad attrezzature e macchinari moderni, l’interporto svolge diversi servizi ausiliari alle operazioni di imbarco e sbarco fra cui ricordiamo l’insacco e la palettizzazione delle merci alla rinfusa. Complessivamente, l’interporto di Venezia riesce a movimentare circa 2 milioni di tonnellate annue di merce e, sul fronte strada, a sdoganare 30 mila camion. Inoltre, il 10% del totale del traffico è movimentato su ferro. Infine, almeno 350 sono le navi che ogni anno attraccano in banchina.

L’interporto di Rovigo L’interporto di Rovigo, gestito da Interporto di Rovigo SpA, è posiziona-to a sud-est del centro abitato di Rovigo, nei pressi della zona industriale, ed in prossimità dell’idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco-Pò di Levante, uno degli assi su cui si regge il sistema idroviario padano-veneto. Per quanto riguarda i collegamenti con la rete stradale, l’interporto dista 6 km dall’autostrada A13 (Padova-Bologna) e circa 3 km dalla SS434 Transpolesana. I collegamenti ferroviari tra l’interporto e la linea Venezia-Bologna sono assicurati dalla sta-zione ferroviaria di Rovigo. Grazie all’idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco-Pò di Levante l’interporto è collegato, inoltre, con il sistema idroviario pada-no-veneto, nonché con i principali porti posti lungo le sponde dell’Adriatico e del Mediterraneo. L’interporto copre una superficie di 1,9 milioni di mq e dispone di:- banchina di accosto fluviale di 800 m;- terminal ferroviario di 18.000 mq;- piazzali di movimentazione delle merci con una superficie complessiva

di 35.000 mq;- magazzini e uffici spedizionieri dotati di ribalta, per un totale di 44.000

mq;- palazzina riservata agli uffici della Dogana;- palazzina riservata agli uffici di Interporto di Rovigo SpA., del COVNI e

dell’Ispettorato di Porto;- pesa pubblica abilitata al trasporto pesante;- darsena per natanti da diporto . Attualmente, l’interporto di Rovigo movimenta circa 1 milione di tonnel-late di merce annua, legate in prevalenza alla filiera agro-industriale (soprat-tutto soia e girasoli).

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L’interportodiLugo L’interporto di Lugo (figg. 3.18-3.19), gestito da Lugo Terminal SpA, è localizzato al centro della Romagna, con accesso sia alle maggiori linee autostradali, sia alle linee ferroviarie tradizionali ed alternative, mediante cui è in grado di servire tutto il basso Veneto, la parte nord della Toscana e delle Marche, oltre che ovviamente il bacino romagnolo fino alle porte dell’Emilia. In quest’ottica, Lugo Terminal ha sviluppato un network logistico realizzan-do nuovi centri intermodali e consentendo collegamenti con le piattaforme pugliesi di Apricena (FG), Giovinazzo (BA) e Surbo (LE). I traffici ferroviari verso Apricena riguardano anche mosti e vino in container cisterna, mentre quelli con Giovinazzo riguardano, tra gli altri, il grano diretto a vari produttori di farina e pasta e dei sottoprodotti (crusca e sfarinati) per mangimi localizzati sulla direttrice sud-nord. Altri traffici che si attestano su Lugo riguardano an-che prodotti agroalimentari refrigerati e zucchero. Lugo Terminal SpA sorge su un’area di 110.000 mq, di cui 35.000 edifi-cabili a magazzini coperti. Ad oggi sono stati realizzati 12.500 mq di magaz-zini coperti, 4 km di binari in grado di ricevere contemporaneamente 4 treni blocco, 60.000 mq di piazzali asfaltati ed un’area di parcheggio per container refrigeranti con 32 prese di corrente idonee a garantire il mantenimento della temperatura controllata. Il terminal è inoltre attrezzato con 2 reachstacker da 45 tonn. di portata (per la movimentazione di container, casse mobili e semiri-morchi), carrelli elevatori da 3, 7 e 16 tonn. di portata (con forche e pinze ido-nee a svuotare container, a scaricare coil, bobine di carta e merce pallettizzata di ogni genere).

Figura 3.18 – L’interporto di Lugo

Fonte: Lugo Terminal SpA, 2009

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Figura 3.19 – Lay-out dell’interporto di Lugo

Fonte:Lugo Terminal SpA, 2009

L’interporto di Bologna L’interporto di Bologna (figg. 3.20-3.21), gestito da Interporto Bologna SpA, è un complesso integrato di infrastrutture logistiche, ferroviarie e strada-li per il trasporto delle merci collegato direttamente alla rete ferroviaria e au-tostradale nazionale. In particolare, è localizzato a 15 Km a nord della città di Bologna, in un’area extraurbana, non congestionata, collegata all’intera rete ferroviaria nazionale attraverso la Bologna-Venezia, una linea in grado di so-stenere l’immissione di ingenti quote di traffico. È inoltre collegato all’intera rete autostradale attraverso l’A13 Bologna-Padova a cui si accede per mezzo dell’apposito casello “Bologna- Interporto”. Si estende su una superficie di 2.000.000 di mq, di cui 650.000 mq desti-nati agli impianti di Trenitalia. Sono inoltre previsti ampliamenti per un’area complessiva di altri 2.200.000 mq circa. Uno degli aspetti distintivi dell’Interporto è caratterizzato dalle infrastrut-ture ferroviarie che si estendono su un’area complessiva di 585.000 mq e com-prendono 3 terminal ferroviari con 19 binari operativi, di cui uno di 53.000 mq dedicato alle rinfuse, uno di 130.000 mq dedicato al traffico intermodale e l’altro di 147.000 mq dedicato al traffico combinato. Lo scalo ferroviario

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è posizionato nella parte occidentale della struttura interportuale ed è dotato di un fascio base di 4 binari. Sono anche disponibili magazzini direttamente raccordati dove è possibile effettuare direttamente il trasbordo della merce dal treno. Inoltre, un’area dedicata allo stoccaggio di autoveicoli è servita da 3 binari. Attualmente, l’interporto conta circa 400.000 mq di magazzini coperti, con possibilità di realizzare altri 150.000 mq entro il 2012. Più specificamen-te, le superfici coperte dell’interporto comprendono: - ribalte gomma-gomma,; - ribalte ferro-gomma; - magazzini generali; - magazzini per la logistica .

Figura 3.20 – Alcune strutture logistiche dell’interporto di Bologna

Fonte: Techne ScpA, 2009

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Figura 3.21 – Planimetria dell’interporto di Bologna

Fonte: Interporto Bologna SpA, 2009

All’interno dell’interporto è inoltre presente un centro doganale che ospi-ta la Circoscrizione doganale, la Dogana di Bologna, la delegazione della Ca-mera di Commercio di Bologna, imprese di spedizione e trasporto, spedizio-nieri doganali . Nel corso del 2008 l’interporto di Bologna ha movimentato circa 4.575.000 tonnellate di merci con una flessione di 5,5 punti percentuali rispetto all’an-no precedente. Le ragioni della diminuzione del traffico sono da ricondursi alla crisi internazionale che ha causato una contrazione delle spedizioni do-vuta al calo dei consumi e della produzione con la conseguente ricaduta sul traffico merci dell’interporto. Nel 2008 sono stati caricati e scaricati 125.000

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UTI tra container e casse mobili, con una riduzione di 11,8% rispetto all’an-no precedente. Le specializzazioni merceologiche dell’interporto riguardano la meccanica, le autovetture e i prodotti plastici. Con riferimento alla filiera agroalimentare, nell’interporto di Bologna si movimentano prodotti alimenta-ri secchi .

L’interporto di Parma L’interporto di Parma (figg. 3.22-3.23) è ufficialmente operativo dal 1974 ed è stato realizzato da Centro Padano Interscambio Merci (Ce.P.I.M.) SpA. Attualmente Ce.P.I.M. mantiene la funzione di coordinamento dello sviluppo dell’area dell’interporto ed agisce individualmente come operatore con l’of-ferta di servizi logistici e la disponibilità di terreni urbanizzati.

Figura 3.22 – L’interporto di Parma

Fonte: Ce .P .I .M . SpA, 2009

L’interporto è collegato alla rete autostradale nazionale (autostrada A1/A15) attraverso la Via Emilia ed è inoltre collegato alla rete ferroviaria nazio-nale attraverso la linea Milano-Bologna. La superficie complessiva dell’in-terporto è pari ad oltre 2.390.000 mq, di cui 500.000 mq coperti e 65.000 mq di terminal intermodale. Un posto di rilievo meritano i depositi a temperatura controllata, per un totale di 120.000 mq e con possibilità di refrigerazione fino

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a -28°C. Le specializzazioni produttive dell’interporto riguardano la catena del freddo, le autovetture e la carta, cellulosa e derivati. L’infrastruttura ha movimentato nel 2007 5,3 milioni di tonnellate di merci, con un incremento rispetto agli anni precedenti. La quota di traffico movimentata mediante soluzioni intermodali è il 25%, che si punta ad in-crementare attraverso il potenziamento ed il miglioramento soprattutto della tratta ferroviaria Parma-La Spezia e al consistente ampliamento del terminal intermodale. Quotidianamente, transitano sui 15 km di linea ferroviaria inter-na dell’interporto 8 convogli merci, per un totale di circa 2.000 treni e 45.000 carri ferroviari annui.

Figura 3.23 – Lay-out dell’interporto di Parma

Fonte: Consorzio dei Servizi dell’Interporto di Parma, 2009

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L’interporto di Prato L’interporto di Prato (fig. 3.24), gestito da Interporto della Toscana Cen-trale SpA, si trova nel cuore dell’Italia centrale e dell’area più industrializ-zata della Toscana. Si situa esattamente fra le direttrici che uniscono il nord dell’Italia con il sud e le due coste, adriatica e tirrenica. Rispetto alle grandi vie di comunicazione, l’interporto è situato tra l’Au-tostrada del Sole e l’A11, ed è quindi in grado di intercettare i numerosi flussi di mezzi su gomma che percorrono l’A1 per unire gli Appennini con Roma, facilitando lo scambio delle merci da nord a sud. Ha la linea dei treni collegata alla rete nazionale grazie a binari appositamente dedicati, mentre a pochissi-mi chilometri di distanza beneficia dell’aeroporto di Firenze e soprattutto del porto di Livorno, raggiungibile grazie al raccordo autostradale denominato “FI-PI-LI” cui presto si collegherà direttamente con una apposita bretella. Ha inoltre accesso diretto dalla Mezzana-Perfetti-Ricasoli che collega il casello autostradale Prato Est con il casello Prato-Calenzano sull’A1. E’ contiguo e raccordato con la linea Milano-Napoli sulla Direttissima ed è collegato, attra-verso questa, con l’Alta velocità.

Figura 3.24 – Layout dell’interporto di Prato

Fonte: Interporto della Toscana Centrale SpA, 2009

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L’interporto di Prato è in grado di offrire servizi all’uomo, alle imprese e alle merci. Si estende su un’area di oltre 700.000 mq, con 60.000 mq di magazzini, 6.000 mq di uffici direzionali e un terminale intermodale, in via di ampliamento, con due binari di 650 metri lineari. A breve dovrebbero aumentare gli insediamenti destinati a magazzini, anche con l’attivazione di spazi destinati ai Magazzini Generali. A questo si aggiungerà la realizzazione di una piattaforma ferroviaria con un ulteriore fa-scio di binari in grado di fornire servizi ferroviari completi, integrando alla funzione intermodale quella del trasporto a carro e dei magazzini raccordati di cui è prevista la realizzazione. Per il medio periodo è già impostata l’esten-sione dell’area interportuale in Comune di Campi Bisenzio, per un totale di circa 260.000 mq. di superficie destinata dallo strumento urbanistico appro-vato. Sarà quindi possibile incrementare di circa 40.000 mq la dotazione di magazzini con ulteriori opere di urbanizzazione e servizi per uomini, mezzi e imprese . Attualmente, nell’interporto sono disponibili il controllo accessi telema-tico, i servizi doganali, un’officina riparazioni container, un’autofficina, varie aree di parcheggio anche attrezzate per la catena del freddo, servizi di han-dling, manovra ferroviaria e sosta delle unità di carico all’interno del termi-nal . Nel 2006 l’interporto di Prato ha movimentato 840.000 tonnellate di mer-ci, di cui il 15% mediante soluzioni intermodali. Le attuali specializzazioni produttive dell’interporto riguardano il tessile/abbigliamento, la distribuzione urbana delle merci e i prodotti refrigerati. Sono inoltre insediate presso l’in-terporto diverse aziende leader dell’air cargo. Tra l’altro, la Toscana ha una forte vocazione a spedire i propri prodotti per via aerea e l’interporto ha una posizione baricentrica fra i due hub principali Malpensa e Fiumicino. L’interporto di Livorno L’interporto di Livorno (fig. 3.25), gestito da Interporto Toscano Amerigo Vespucci SpA, è situato nell’area di Guasticce, nel comune di Collesalvetti, a quattro chilometri da Livorno e dal suo porto e a breve distanza dall’autoparco “Il Faldo”. L’interporto è posto nei pressi di importanti vie di comunicazione, quali:- la ferrovia Pisa-Livorno-Roma, a cui è raccordato mediante parte del trac-

ciato della vecchia Ferrovia Maremmana Livorno-Stagno-Collesalvetti; - Strada di grande comunicazione Firenze-Pisa-Livorno, che serve l’area

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dell’interporto con due uscite; - Autostrada A12; - Variante Aurelia; - via Aurelia.

Figura 3.25 – Lay-out dell’interporto di Livorno

Fonte: Censis-UIR, 2009

In futuro si prevede di rendere navigabile anche lo Scolmatore dell’Ar-no, così da creare un collegamento immediato per il trasporto delle merci dal porto di Livorno; inoltre è previsto il prolungamento del tratto ferroviario che giunge da Livorno e che serve l’interporto: esso verrà collegato con la tratta Pisa-Collesalvetti-Vada (la cosiddetta “Ferrovia Maremmana”) all’altezza di Vicarello. La superficie interportuale attuale è pari a 2,5 milioni di metri quadri, solo in parte utilizzati. A regime l’interporto avrà ampi spazi per il parcheggio degli autoveicoli (dagli attuali 80.000 metri quadri si potrà arrivare a 150.000 metri quadri), per i magazzini (dagli attuali 60.000 metri quadri si potrà arri-vare a 340.000 metri quadri) e per gli uffici (dagli attuali 1.500 metri quadri a 4.600 metri quadri). Gli spazi destinati al terminal intermodale sono pari a 130.000 metri quadri. Le merci attualmente movimentate afferiscono al comparto delle auto, dei prodotti alimentari, del legname, della cellulosa e dei prodotti chimici sfu-si, segnale evidente della capacità dell’interporto di sostenere i processi di sviluppo delle filiere produttive locali.

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L’interporto di Civitavecchia L’interporto di Civitavecchia (fig. 3.26), gestito da Interporto di Roma Piattaforma Logistica Civitavecchia – ICPL SpA, è una delle infrastrutture interportuali nazionali non inserita nella rete degli interporti di primo livello. Costituisce comunque un importante cardine nell’assetto economico e pro-duttivo per il Centro Italia ed in particolare per il Lazio, in cui trovano spazio funzioni e attività d’interesse internazionale legate al trasporto e alla logistica. Ne rappresentano un esempio gli investimenti da parte di Mediterranean Ship-ping Company (MSC), che è la seconda compagnia di navigazione a livello mondiale nel segmento container, particolarmente attiva sulle rotte di traffico tra l’Asia e l’Europa, e leader nel Mediterraneo anche per quanto riguarda i traffici crocieristici.

Figura 3.26 – L’interporto di Civitavecchia

Fonte: Interporto di Roma Piattaforma Logistica Civitavecchia – ICPL SpA, 2009

L’interporto è in diretto contatto:- con il porto omonimo, che si sta ponendo come nodo catalizzatore nella

rete dei trasporti del Mediterraneo;- con la rete infrastrutturale su gomma e in particolare con il Corridoio

Tirrenico, per il quale si prevede il completamento verso Livorno e la connessione trasversale con l’A1.

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- con il sistema ferroviario, ovvero con la linea internazionale Napoli-Ge-nova-Ventimiglia, per la quale si prevede un potenziamento con incre-mento di traffici internazionali;

- con l’aeroporto intercontinentale di Fiumicino, tramite l’autostrada A12, legame rafforzato dalla sottoscrizione nell’aprile 2004 di un importante protocollo d’intesa con Aeroporti di Roma.

Complessivamente, l’area interportuale è pari a circa 500.000 mq, di cui 242.602 mq di aree verdi, 45.017 mq coperti, 112.000 mq di piazzali, 3 binari e 30.744 mq di aree di sosta. Sono inoltre disponibili magazzini e colonnine frigo, officina riparazione, pulizia e disinfezione container, vari spazi doganali vincolati, depositi IVA, depositi fiscali e depositi per particolari tipologie di merci extra-comunitarie. L’interporto dispone di un complesso di celle frigorifere a diverse tem-perature. La principale, per complessivi 60.000 mc, consente lo stoccaggio di 5.000 posti pallet a temperature fino a -25°C con moderni ed efficienti metodi di movimentazione, tra cui l’utilizzo di rulliere motorizzate. Dispone inoltre, di una cella a multi temperatura (+4°C e -25°C) con una capacità complessiva di 600 pallet . Le celle dispongono di sistemi di allarme e di registrazione della temperatura al fine di assicurare e certificare le condizioni di stoccaggio.

L’interportodiValpescara L’interporto Val Pescara (fig. 3.27), gestito da Interporto Valpescara SpA, è localizzato all’uscita Scafa-Alanno della A25, tra i comuni pescaresi di Ro-sciano e Manoppello, su una superficie totale di 959.000 mq.

Figura 3.27 – Alcune strutture operative dell’interporto di Valpescara

Fonte: Interporto Valpescara SpA

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L’infrastruttura, attualmente inserita nel sistema logistico regionale con il Centro Smistamento Merci della Marsica ed i porti di Ortona e Vasto, è in fase di completamento . È attualmente collegata con la A 25 Torano-Pescara, la SS 5 Tiburtina, la linea FS Pescara-Roma, il raccordo autostradale Chieti-Pescara. Tra i servizi offerti rientra la raccolta e distribuzione delle merci nelle zone locali produttive e di consumo, tramite lo scalo merci situato all’interno dell’interporto stesso. L’interporto di Val Pescara si sviluppa su 110 ettari, di cui circa 20.000 mq di magazzini, più altre aree destinate a piazzali, uffici e servizi vari. A regime, l’area destinata ai magazzini dovrebbe raggiungere un’estensione di 80.000 mq, mentre quella destinata ai piazzali dovrebbe raggiungere un’estensione di 95.000 mq. Le specializzazioni attuali dell’interporti riguardano i prodotti da semola di grano duro e i prodotti per la casa. Nel 2007 sono state movimentate 150 .120 tonnellate di merce . L’interporto di Nola L’interporto di Nola (figg. 3.28–3.29), gestito da Interporto Campano SpA, si trova sul corridoio intermodale tirrenico Nord Europa-Gioa Tauro ed in posizione baricentrica rispetto al corridoio trasversale dal Centro-Sud Italia verso la Puglia. È direttamente collegato alle autostrade A16 Napoli-Bari, A30 Caserta-Salerno, A1 e A2 Napoli-Roma e Roma-Milano, A3 Salerno-Reggio Calabria. L’interporto vanta inoltre al proprio interno una stazione RFI com-pletamente elettrificata e che è la stazione di testa di una breve linea che si distacca, con un bivio, dalla Cancello-Salerno. L’area interportuale si estende per 3.000.000 di mq e, di cui circa 300.000 mq di magazzini coperti sono destinati alla manipolazione e allo stoccaggio delle merci, anche a temperatura controllata; sono inoltre presenti un terminal intermodale di circa 225.000 mq (in grado di movimentare circa due milioni di tonnellate/anno di merci in entrata ed uscita), il CIS, il più grande Cen-tro all’Ingrosso d’Europa, ed un Centro Servizi multifunzionale denominato “Vulcano Buono”. I 236.000 mq di piazzali permettono la sosta contemporanea di circa 3.000 TIR. Per le merci in import od export extra UE, nell’interporto è stata istituita un’area doganale di circa 20.000 mq, di cui 4.000 mq sono rappresen-tati da piazzali destinati alla sosta degli automezzi, abilitata a diverse funzioni, compresa la temporanea custodia. Si evidenzia infine la presenza all’interno dell’interporto di un “polo del freddo” (Refeer terminal, figg. 3.30-3.31) con

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un’offerta di spazio refrigerato pari a 354.000 mc di magazzini ad atmosfera e temperatura controllata capaci di ospitare fino a 12.000 euro-pallet. I magaz-zini sono suddivisi in celle di diversa cubatura e il cui punto di forza è rappre-sentato dalla possibilità di temperature da 0°C a -30°C, così da coprire l’intero ciclo della catena del freddo. La parte posteriore della struttura è direttamente collegata ad una banchina di carico per vagoni ferroviari, servita da un rac-cordo al fascio stazione di circa 900 metri lineari. L’impianto, la cui gestione è affidata a Nola Reefer Terminal, una partecipata di Interporto Campano, si candida a diventare un punto di riferimento per produttori e distributori di merci altamente deperibili, dal settore alimentare a quello farmaceutico. La struttura ha le potenzialità di piattaforma distributiva regionale primaria al servizio della DO e GDO per la conservazione e distribuzione di prodotti surgelati, freschi e congelati. La catena del freddo è assicurata anche da una banchina ferroviaria posteriore alla struttura, servita da un raccordo al fascio stazione di circa 900 metri lineari, che consente l’accosto diretto dei vagoni frigoriferi ai magazzini .

Figura 3.28 – Il distretto logistico, intermodale e commerciale di Nola

Fonte: Interporto Campano SpA, 2009

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Figura 3.29 – Ortofoto satellitare dell’interporto di Nola.Focus sugli impianti ferroviari e intermodali

Fonte: nostra elaborazione

Figura 3.30 – Il polo del freddo dell’Interporto di Nola

Fonte: Interporto Campano SpA, 2005

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Figura 3 .31– Camion in attesa e in transito presso il polo del freddodell’interporto di Nola

Fonte: Interporto Campano SpA, 2005

Alcuni operatori dell’interporto sono attualmente interessati a capire se ci sarebbero le condizioni per sviluppare treni verso la Puglia, ad esempio per il trasporto di semola, farinacei e surgelati. Alcuni traffici che attualmente si attestano sul terminal intermodale riguardano pomodori, succhi di frutta e pa-sta. Inoltre, Mediterranean Shipping Company (MSC), importante operatore marittimo del settore crocieristico e di quello container, ha di recente siglato un accordo di partnership con Interporto Campano per i propri spazi refrige-rati (fig. 3.32). Tale accordo prevede l’insediamento di Italcatering, la società che si occupa della logistica “food & beverage” della compagnia croceristica, in due unità operative (lotti) del polo del freddo, per un totale di capacità com-plessiva degli spazi pari 40.000 mc e 4 mila pallet su scaffale. Il magazzino rifornirà tutte le navi da crociera di MSC che fanno scalo nei principali porti del Sud Italia. A pieno regime, dalla piattaforma si muoveranno 25 camion e altrettanti container al giorno. In particolare è prevista una movimentazione annua di 150 mila tonnellate di prodotti food & beverage, pari a 30 milioni di euro, con una stima di crescita di almeno il 20% annuo. Tra i piani di sviluppo

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futuri di Interporto Campano per quanto riguarda il Polo del freddo vi è quel-lo di riservare una parte delle celle disponibili alle operazioni doganali delle merci refrigerate che arrivano da paesi extra-comunitari.

Figura 3.32 - Operazioni logistiche presso la piattaforma di MSC Crociere nell’interporto di Nola

Fonte: Interporto Campano SpA, 2009

Gli interporti di Bari e Cerignola La Puglia rappresenta uno dei principali territori di interportualità nascen-te dell’Italia meridionale. L’interporto di Bari, gestito da Interporto Regionale della Puglia SpA, rappresenta la principale realtà attualmente operativa. Dista meno di 5 Km dal più vicino svincolo autostradale, dal porto e dal nuovo aero-porto internazionale di Bari Palese. L’interporto è direttamente raggiungibile dalla tangenziale di Bari (svincolo n°5 Bari Q.re San Paolo/Interporto) ed è collegato con la stazione centrale dalla fermata “Tesoro” della nuova linea metropolitana di superficie Bari-Q.re San Paolo e da una fermata del servizio autobus metropolitano. Esso è inoltre adiacente allo scalo RFI di Ferruccio. L’interporto di Bari si estende su una superficie di circa 500.000 mq, di cui 90.000 mq destinati ad edifici direzionali e magazzini sia per attività non-food, sia per la logistica del freddo. Per questi ultimi possono essere allestite all’interno di ogni modulo celle frigorifere con temperature di esercizio da -25°C a +4°C. I magazzini (sia di tipologia gomma-gomma che ferro-gomma) di superficie variabile si caratterizzano per un altezza sottotrave di 10,50 m e per dotazioni impiantistiche avanzate . Gli operatori attualmente presenti nell’interporto movimentano prodot-

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ti alimentari (ittici surgelati, yogurt, ecc.), sigarette, abbigliamento, ricambi auto. Le merci provengono per la gran parte dal territorio nazionale e sono prevalentemente ridistribuite sul territorio pugliese e lucano. Attualmente, il terminal intermodale dell’interporto è in fase di ultima-zione. Si prevede che in futuro tale infrastruttura si estenderà su una superficie di 50.000 mq e sarà dotata di 4 binari operativi. Offrirà inoltre, tra gli altri, i seguenti servizi:- treni shuttle giornalieri portacontainer da e per Milano, Napoli, Rotter-

dam, Verona e Padova; - servizi di handling con ausilio di reachstaker e trainstainer per le opera-

zioni di carico/scarico container;- deposito, manutenzione, fumigazione per container vuoti. Il sistema intermodale della Puglia può attualmente contare anche sull’in-terporto realizzato attraverso il Consorzio Ofanto Sviluppo dalle amministra-zioni comunali di Cerignola e San Ferdinando di Puglia. La superficie totale di quest’ultima infrastruttura è pari a 450.000 mq. Una volta ultimato, l’inter-porto disporrà di 52.000 mq di magazzini, di cui 13.000 mq già realizzati, e di un terminal da 75.000 mq. La struttura si colloca in un territorio adiacente all’Agglomerato di Ceri-gnola-San Ferdinando, importante polo agroalimentare che si estende su una superficie di 2.220.000 mq su cui operano circa 6.000 aziende. Attualmente, l’interporto di Cerignola è un centro di carico e scambio di produzioni orto-frutticole costituite principalmente da grano, frutta e particolari ed importanti qualità di ortaggi. Oltre ai traffici legati a tale comparto, l’interporto si propo-ne di intercettare anche parte dei flussi di merce che transitano attraverso la provincia di Foggia.

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