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SISTEMA P R E V I D E N Z A MENSILE DI INFORMAZIONE DELL'ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE SISTEMA PREVIDENZA - NUMERO 195 Massimo Paci / La riforma è già stata fatta occorre solo qualche correttivo - Rocco Familiari / Valutare gli equilibri previdenziali nella prospettiva di lungo periodo - Massimo Antichi / È rischioso affidare al mercato la garanzia della copertura - Onorato Castellino / Verso un sistema che coniughi ripartizione e capi- talizzazione - Laura Pennacchi / Una tran- sizione da correggere ma sempre nell’ot- tica dell’equità - Felice Roberto Pizzuti / Affrontare con scelte intelligenti l’inevita- bile conflitto generazionale - Maurizio Benetti / Non anticipare la data del 2001 per la verifica sulle pensioni - Alberto Brambilla / Il sistema contributivo pro- rata garantisce princìpi di flessibilità - Daniele Pace / Dalla liquidità ai fondi pensione nuova direzione per il rispar- mio - Aurelio Donato Candian / Tradurre le scelte di principio in un disegno nor- mativo coerente - Elsa Fornero / Con l’ “opting out” autogestione della contribu- zione previdenziale - Beniamino Lapadula / Incentivare la capitalizzazione mante- nendo il “mix” della Dini - Giuseppe Vitaletti / Un meccanismo a doppio bina- rio per il calcolo della prestazione - Giuliano Cazzola / Le pensioni di anzia- nità sono un’anomalia tutta italiana - Fabio Trizzino / Scelte di riforma condi- zionate da debito pubblico e sommerso Seminario di studi I I N N P P S S - - INPDAP INPDAP Quali prospettive per il sistema pensionistico pubblico? ANNO XVIII - n° 195 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - Lg. n. 662/96 - Art.2 comma 20/c - Filiale di Roma

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S I S T E M AP R E V I D E N Z A

MENSILE DI INFORMAZIONE DELL'ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE

SISTEMA

PREVIDENZA- NUM

ERO 195

Massimo Paci / La riforma è già statafatta occorre solo qualche correttivo -Rocco Familiari / Valutare gli equilibriprevidenziali nella prospettiva di lungoperiodo - Massimo Antichi / È rischiosoaffidare al mercato la garanzia dellacopertura - Onorato Castellino / Verso unsistema che coniughi ripartizione e capi-talizzazione - Laura Pennacchi / Una tran-sizione da correggere ma sempre nell’ot-tica dell’equità - Felice Roberto Pizzuti /Affrontare con scelte intelligenti l’inevita-bile conflitto generazionale - MaurizioBenetti / Non anticipare la data del 2001per la verifica sulle pensioni - AlbertoBrambilla / Il sistema contributivo pro-rata garantisce princìpi di flessibilità -Daniele Pace / Dalla liquidità ai fondipensione nuova direzione per il rispar-mio - Aurelio Donato Candian / Tradurrele scelte di principio in un disegno nor-mativo coerente - Elsa Fornero / Con l’“opting out” autogestione della contribu-zione previdenziale - Beniamino Lapadula/ Incentivare la capitalizzazione mante-nendo il “mix” della Dini - GiuseppeVitaletti / Un meccanismo a doppio bina-rio per il calcolo della prestazione -Giuliano Cazzola / Le pensioni di anzia-nità sono un’anomalia tutta italiana -Fabio Trizzino / Scelte di riforma condi-zionate da debito pubblico e sommerso

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Qualiprospettiveper il sistemapensionisticopubblico?

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CCon questo numero, interamentededicato agli atti del seminario distudi sulle prospettive dei sistemipensionistici pubblici, inizia una

nuova serie di “Sistema Previdenza”.Abbiamo voluto ripensare la formula

della rivista, senza tuttavia sacrificarne le tra-dizionali caratteristiche estetiche, per accen-tuarne la natura di tribuna delle problemati-che scientifiche e politiche direttamente con-nesse alle competenze istituzionali dell’Inps.

L'obiettivo che ci poniamo è insommaquello di fare di questa pubblicazione la sedeprivilegiata del dibattito e dell’analisi che alivello nazionale ed internazionale vanno svi-luppandosi intorno ai dati e alle proiezionisulla sostenibilità futura dei sistemi di sicurez-za sociale. Sarà quindi intensificata la presen-za su queste pagine di studiosi, esperti e spe-cialisti del ramo previdenziale e sociale diogni scuola e tendenza, e sarà dato spaziosempre più ampio alle recensioni di pubblica-zioni in materia di macroeconomia, finanzapubblica, sistemi di welfare.

A1 tempo stesso, in considerazione delruolo di primo piano che l’Inps - come è statoriconosciuto dall'AIPA - riveste nella Pubbli-ca Amministrazione per la capacità di utiliz-zare al meglio le risorse tecnologiche ai finiorganizzativi ed operativi, “Sistema Previden-za” si occuperà anche delle problematiche piùgenerali dei servizi pubblici e della loro tipo-logia e qualità percepita dai cittadini.

È in questa logica, quindi, che dedichia-mo questo numero agli atti del seminariotenutosi il 30 giugno 1999 sul tema “Qualiprospettive per il sistema pensionistico pub-blico”.

Una iniziativa che è frutto di una sinergiafra Inps e Inpdap che sta trovando sempremaggiori occasioni di sviluppo, nell’ottica diconsentire un confronto sempre più ampio eapprofondito fra esperti di diversa estrazionepolitica, sindacale e scientifica su un argo-mento che sta diventando strategico per l’evo-luzione dell’economia non solo italiana madell'intera Europa.

Sistema PrevidenzaMensile dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale

Anno XVIII - Numero 195 - Gennaio 2000Amministrazione, direzione e redazione

Via Ciro il Grande, 21 RomaTel. 06 5905 3515 - Fax 06 5905 3502

Direttore : Massimo Paci Direttore Responsabile : Fabio Trizzino

Capo Redattore : Carlo ParmeggianiRedattori : Riccardo Garbetta

Rita Sacconi Mara Vecchiarelli

Segretaria di redazione : Maria Grazia Ricci Art director : Aldo Rizzuti

Fotografo : Paolo Trucchi

Stampa: Tipografia Litografia Spoletina - V.le Marconi 115 - SpoletoSped. in abbonamento postale Lg.n.549/95 art.2 com. 34

Registrato al Tribunale di Roma il 29/6/81Iscritto al n. 248/81 del registro della Stampa

Finito di stampare il 26/11/1999Associato all’USPI Unione StampaPeriodica Italiana

LE INTRODUZIONIMassimo Paci pag. 2Rocco Familiari 4

GLI INTERVENTIMassimo Antichi 7Onorato Castellino 17Laura Pennacchi 22Felice Roberto Pizzuti 27

IL DIBATTITOMaurizio Benetti 39Alberto Brambilla 42Daniele Pace 45Aurelio Donato Candian 48Elsa Fornero 51Beniamino Lapadula 54Giuseppe Vitaletti 56Giuliano Cazzola 58

LE CONCLUSIONIRocco Familiari 60Massimo Paci 62Fabio Trizzino 63

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CC on un seminario su:“Quali prospettiveper il sistema pen-

sionistico pubblico”, l’INPSe l’INPDAP hanno volutointrodurre una pausa diriflessione nell’incandescen-te discussione sulla materiaprevidenziale. I due Enti nonvogliono e non debbonoovviamente sostituirsi alleforze politiche e sociali, lesole abilitate ad assumeredecisioni in questo campo.Tuttavia, nel dibattito incorso su tale materia, nonintendono essere interlocuto-ri passivi, se non altro per ilpatrimonio di informazioni edi dati di cui dispongono e

che vogliono mettere adisposizione di tutti.

È intenzione dei due entiproseguire in questa collabo-razione, in un lavoro con-giunto per dar vita a un rap-porto annuale sulla situazio-ne della previdenza in Italia.

Si propone, dunque, que-sto seminario di studi che,trattando di pensioni, nonpotrà non avere un significa-to anche politico.

Nella trattazione cheseguirà, pur limitandola abrevissime considerazioni, siritiene opportuno distingueredue piani nel problema che sipone in campo previdenzia-

le, caratterizzati ciascuno dauna diversa urgenzadell’eventuale interventopolitico.

C’è innanzi tutto unpiano di breve e di medioperiodo che si riferisce aglianni compresi nella primadecade del 2000; ce n’è poiun altro di più lungo periodoche riguarda ciò che accadràdopo il 2010.

Su questo secondopiano sono certamente rile-vanti le previsioni demogra-fiche e occupazionali, imodelli teorici e le propostedi riforma, che possono con-durre a un riequilibrio tra ilsistema pubblico a riparti-zione e quello a capitalizza-zione. Il dibattito scientifi-co, su tale terreno, è abba-stanza avanzato ed è ingrado di fornire elementiimportanti alla politica.

Il nostro seminario potràfornire ulteriori apporti aquesto tema tentando di dareuna risposta alle domande: ilsistema pubblico a ripartizio-ne nel nostro paese deveessere ridimensionato a favo-re di quello a capitalizzazio-

Il presidentedell’INPSMassimo

Paci

La riforma è già stata fattaoccorre solo qualche correttivo

L’INTRODUZIONE - MASSIMO PACI

Avviare fin d’ora una riflessione sul contributivo pro rata

Nessuna verificapuò prescindere

da un’analisipacata dei dati

sulla sostenibilitàdella spesa

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ne? Quali sono i pro e i con-tro, i costi e i benefici dientrambi nel lungo periodo?Quali le condizioni macroe-conomiche rilevanti pereffettuare il confronto tra idue sistemi? Qual è il rendi-mento reale di questi ultimi ein particolare del sistema acapitalizzazione? Insommaqual è la situazione finanzia-ria più equilibrata, il mixverso il quale sarà più oppor-tuno tendere?

Inoltre c’è il piano deldibattito che riguarda lasituazione attuale del sistemae la sua sostenibilità finan-ziaria nei prossimi cinque-dieci anni.

Qui è evidente chel’urgenza della politica è piùforte e rischia di prevaleresulla riflessione - per cosìdire - scientifica, sui modelliteorici, sulle stesse previsio-ni. Anche su tale aspetto nonpossiamo evitare di fornirequalche risposta. Credo chesi tratti di valutare anzituttola portata reale dei problemie cominciare una sorta diverifica tecnica analizzando,alla luce dei dati di cuidisponiamo, come stianoandando le gestioni pensioni-stiche dell’INPS, dell’INP-DAP e quali siano le tenden-ze in atto: c’è un aggrava-mento del deficit pensionisti-co, ovvero un’iniziale stabi-lizzazione della spesa? Comestanno andando le entratecontributive? Qual è la dina-

mica delle pensioni di anzia-nità? Insomma, che cosa suc-cederà effettivamente tra il2005 e il 2010, anni in cui -sembra - si porranno i mag-giori problemi?

Avere già alcuni datiprecisi su questi temi sareb-be un passo in avanti moltoimportante. Dopo ciò credosia possibile tentare di discu-tere anche degli eventualicorrettivi da introdurre, valea dire se siano essi cosìurgenti da dover essere presiin considerazione fin dallaprossima finanziaria, o seinvece si potranno introdurredopo l’eventuale verifica conle parti sociali, anzi, dopo laverifica prevista nel 2001.

Il dibattito dovrà toccareanche questi temi di breveperiodo.

Vorrei concludererichiamando l’attenzione sutre punti.

Per prima cosa ricordereiche siamo alla ricerca di cor-rettivi al sistema, e non diuna sua ennesima, granderiforma radicale. Vorremmoproporre degli aggiustamentiche permettano alla riformaDini di camminare con leproprie gambe, accelerando-ne l’andata a regime ed evi-tando di ricorrere in futuro afinanziamenti diretti o indi-retti dello Stato.

In secondo luogo direiche siamo tutti consapevolidell’importanza del consensosociale. Il conflitto è, anche

economicamente, costoso e,quindi, meglio evitarlo adot-tando misure che abbianouna loro equità intrinsecaoltre ad essere anche finan-ziariamente significative.

Infine, se il problema stanel riequilibrio del sistemaper gli anni compresi fra il2005 e il 2010, mi permettodi sottolineare l’importanzache può avere l’estensionedel metodo contributivo atutti, cioè del pro quota o prorata, come si dice. Esso nonsolo ha in sé un elemento diequità determinante, peraltroaccettato da una parte sinda-cale importante come laCGIL nel 1997, ma è ancheparticolarmente indicato dalpunto di vista finanziario,perché i suoi effetti sonorilevanti e incisivi nel quin-quennio in esame.

Il nostro servizio statisti-co ha elaborato un’interes-sante e approfondita analisisui risparmi conseguibili conl’introduzione del metododel calcolo pro rata, dalquale appare chiaramenteche tra il 2005 e il 2010, perle gestioni INPS, si arrive-rebbe ad un risparmio supe-riore ai 17.000 miliardi dilire; dunque, è proprio daquel momento che comince-rebbe a diventare determi-nante. Con questo intervento,pertanto, si può anche farfronte ai problemi maggioriche sembra sorgeranno inquel periodo. ●

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NN oi stiamo approfit-tando del fatto chea questo tavolo

mancherà uno dei relatori e,quindi, il tempo che stiamoimpegnando non è sottrattoagli altri. Mi dispiace chemanchi il professor Artoni,perché il quadro internazio-nale che egli avrebbe dovutoqui disegnare per darci mododi collocare le prospettive diriforma in un contesto piùampio, non sarà esplicitato.Dico questo, perché credoche si sottovaluti spesso ilfatto che il nostro paese siariuscito a fare ciò che altrenazioni più forti economica-mente non sono riuscite a

fare: la Francia e la Germa-nia in questo settore stannodietro a noi. La tendenza asottovalutare la nostra capa-cità di approfondire i proble-mi e di fornire risposte ade-guate è una caratteristica checi portiamo dietro da sempre.Ricordo che per quarant’anniabbiamo avuto l’incubo degli“gnomi di Zurigo” che spe-culavano sul tasso d’inflazio-ne. Ora abbiamo, credo, i“Nibelunghi” della Bancacentrale europea. Abbiamosempre bisogno di qualcheintervento esterno che cirichiami all’ordine!

In tal caso il richiamo è

fuori luogo, perché questopaese ha già realizzato unariforma forte, consistente,che va inquadrata nella pro-spettiva lunga dei sistemiprevidenziali;

Il professor Paci distin-gueva infatti giustamente traprospettiva breve e lunga: isistemi previdenziali devonoessere valutati in quest’ulti-ma. Sarà anche una miadeformazione professionale,perché mi sono formato pre-videnzialmente nell’epocadei grandi attuari. Le proie-zioni si facevano a cin-quant’anni pur in presenza ditassi di inflazione a due cifre.I sistemi previdenziali veni-vano sempre valutati conproiezioni di lunghissimaportata. Oggi è l’epoca deglieconomisti, il quadro è piùcomplesso, le variabili ingioco - quelle prese in consi-derazione - sono sicuramentemolto più numerose e indub-biamente l’approccio risultapiù problematico. Tuttavia, amio parere, non bisognereb-be mai dimenticare la distin-zione tra la prospettivalunga, che è quella dei regi-

L’INTRODUZIONE - ROCCO FAMILIARI

Il presidentedell’INPDAP

RoccoFamiliari

Valutare gli equilibri previdenzialinella prospettiva di lungo periodo

Collocare i progetti di riforma in un contesto più ampio

La riforma Diniha destrutturato

la questione previdenziale

evitando sempliciscorciatoie

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mi e dei sistemi previdenzia-li, e la prospettiva breve, cheè propria dell’economiareale, degli interventi con-giunturali.

C’è un altro aspetto chemi preme sottolineare. Dagiurista ho l’impressione chein crisi, oggi, non sia tanto iltipo di sistema, sia esso aripartizione o a capitalizza-zione, quanto il meccanismoassicurativo in sé, sul quale,forse, si sono scaricate trop-pe aspettative.

Il meccanismo assicura-tivo è estremamente elemen-tare: si basa interamente sulcosiddetto trasferimento delrischio. Vorrei ricordareun’utopia di inizio secolo diun filosofo hegeliano diCambridge, Josiah Royce, ilquale ipotizzò addiritturaun’assicurazione, sottoscrittada tutti i cittadini del mondo,la quale doveva far carico aiguerrafondai istituzionali(mercanti di armi, grandi

finanzieri, speculatori inter-nazionali), di un risarcimentodanni nel caso in cui fossescoppiata una guerra. Natu-ralmente è un’utopia chenessuno si è sognato di met-

tere in pratica, anche se, nelnostro paese, qualcosa che siavvicina a tale utopia è real-mente accaduto durante lacosiddetta rivolta di ReggioCalabria. Tutti gli analisti e icommentatori dell’epoca

erano convinti che ci fosseroi presupposti perché l’insur-rezione si estendesse in tuttoil paese. Fortunatamente larivolta non attecchì in altreregioni e rimase un fenome-no isolato. Una ricerca, dellafacoltà di scienze politichedell’Università di Messina,supportata dai dati INPS,arrivò alla conclusione cheforse non si estese perchéogni famiglia meridionale,composta mediamente daquattro persone godeva di un

intervento previdenziale oassistenziale. Ciò ha consen-tito di non superare quellasoglia oltre la quale scatta ilmeccanismo di propagazionedel conflitto. Allora si può

affermare che l’utopia diRoyce non si è realizzatacosì come egli l’aveva con-cepita, però è anche vero chela previdenza è stata, inquell’occasione, una formadi assicurazione contro un

conflitto (in quel caso laguerra civile).

Per tornare alla previ-denza, senza incorrere nelrischio di eccessive semplifi-cazioni, occorre lasciare ilcampo “anche” agli econo-misti, i quali mettono ingioco tutte le possibili einfinite variabili: è ovvio, perusare la metafora del prisma,che se si sposta leggermentel’angolo visuale, cambiatutta la prospettiva.

Nell’affrontare il temadella sostenibilità economicadel sistema, c’è sempre qual-cuno che ci ricorda il rappor-to di “uno a uno”: vale a direquello, che si è attualmentedeterminato nel sistema aripartizione, di un lavoratoreattivo che mantiene un pen-sionato.

Tuttavia, da una ricercaCensis sulla struttura deiconsumi familiari, si rilevaanche che i pensionati contri-buiscono con il loro redditoad aumentare la capacità di

Oggi non è in crisi iltipo di sistema ma il

meccanismo assicurativo

Occorre lasciare il campoanche agli economisti

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consumo delle famiglie. Inquesto caso, cioé da questoangolo visuale, il rapporto“uno a uno” funziona insenso inverso; è il pensionatoche concorre, con il suo red-dito a mantenere un lavorato-re attivo con retribuzione ins-sufficiente.

Ma ragionando in terminidi sostenibilità c’è da fare iconti anche con l’ipotesi dellaRagioneria generale delloStato, secondo la quale, dal2035 al 2050, la popolazioneitaliana si ridurrebbe di 15milioni di unità.

A quel punto, a mio pare-re, non si porrà più un proble-ma previdenza, ma problemapaese che, con 44 milioni diabitanti, il 50 per cento deiquali con più di 60 anni dietà, non sarà più in grado direggersi economicamente.Un’ultima considerazione

relativa alla capitalizzazione.Sappiamo tutti che que-

sto sistema affronta la spesaprevidenziale con il rendi-mento dei capitali, rimanendoperò sempre in pregiudicato ilmeccanismo di trasferimento.Meccanismo che le proposte,oggi sul tappeto, tendono aeliminare finendo per tradur-re il sistema in una sorta dirisparmio forzoso.

Pertanto, il rischio delmancato o scarso rendimentoentro certi limiti, ricade sullostesso soggetto, e non c’è piùalcuno che se lo accolli. Misembra un aspetto che vadamesso in evidenza. Personal-mente ritengo che il sistemadebba essere riequilibratoattraverso una serie di corret-tivi e, siccome è un sistemacomplesso, uno dei meritidella riforma Dini è di aver“destrutturato” il problema.

Problema che fino aquell’epoca veniva affrontatosempre in maniera semplici-stica: o si alza l’età di pensio-namento o aumentiamo i con-tributi o si riducono le pre-stazioni.

Era una “triangolazione”molto elementare. A seguitodella riforma Dini si può oggiintervenire soltanto su alcunisettori e rivedere la spesacomplessiva. Anche qui, unadelle variabili messe in evi-denza dalle organizzazionisindacali è quella secondo laquale la spesa sociale com-plessiva in Italia è inferiorealla media europea.

Il fatto, poi, che al suointerno la distribuzione sia sbi-lanciata, nel senso che la spesapensionistica rappresenta laquota maggiore, è un’altradelle tante variabili da tenerein considerazione. ●

Massimo Paci e Rocco Familiari

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LL’’ invecchiamentoassoluto dellapopolazione, il

calo della natalità, il declinodel lavoro subordinato comeforma garantita e tutelatarappresentano problemicomuni a tutti i paesi indu-strializzati e, in modo parti-colare, investono le nazionidel continente europeo.

Nel quadro at tuale eprospett ico, i s is temi disicurezza sociale, pressatida una spesa sociale cre-scente in termini relativisoprattutto nella componen-te pensionist ica, sonoattrezzati ad affrontarequello che non sappiamo sesarà un cambiamento tran-sitorio o strutturale?

In particolare i sistemiassicurativi su cui poggia ilfinanziamento delle presta-zioni dei sistemi di sicurezzasociale, in questo quadroprospettico sono o non sonodestinati ad entrare semprepiù in crisi?

Se agli andamenti ten-denziali delle altre variabilisopra ricordate si associanogli attuali ritmi di incremento

della produttività del lavoro,quello che si può facilmenteinferire, a meno di significa-tive inversioni di tendenza, èl’emergere di una situazionein cui un sempre più esiguonumero di persone attivedovrà farsi carico di unnumero crescente di soggettiespulsi a vario titolo dalmondo produttivo per cui, sevolessimo rispettare l’equili-brio di bilancio del sistemaprevidenziale assicurativo,saranno chiamati a sopporta-re sempre più elevati livellidi contribuzione, almenofino a quando la struttura peretà della popolazione non

dovesse ritrovare il suo equi-librio di steady state. È evi-dente che con queste pro-spettive, gli attuali schemi difinanziamento sono destinatiad entrare in crisi e la contri-buzione sociale si trova, e sitroverà sempre più, a doversvolgere un duplice, e nonconciliabile, ruolo che èquello, da una parte, di esse-re chiamata a dare maggiorecopertura finanziaria all’espansione della spesa socia-le, dall’altra, di essere indi-cata come la causa principaledell’elevato costo del lavoroe conseguentemente deglialti livelli disoccupazioneeuropei. Le politiche contri-

L’INTERVENTO - MASSIMO ANTICHI

Massimo Antichi

È rischioso affidare al mercatola garanzia della copertura

Volumi finanziari per ora inadeguati a reggere il “secondo pilastro”

La previdenzacomplementare a

contribuzionedefinita non

immunizza dairischi demografici

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butive nel corso degli anni‘90 hanno risentito della con-traddizione sopra richiamataper cui si è assistito in gene-rale ad un aumento del livel-lo della contribuzione socialerispetto al prodotto internolordo senza riuscire peraltroa contenere significativa-mente i deficit.

Dall’altro si è tentato dilimitare al massimo gli effet-ti di aggravio del costo dellavoro aumentando ove pos-sibile il prelievo a carico deilavoratori autonomi, cercan-do di ampliare la base impo-

nibile e di contenere l’eva-sione contributiva consenten-do però ampie, e contraddit-torie, possibilità di elusionecontributiva, seppur pernobili motivazioni come ilsostegno dei livelli occupa-zionali.

Alla luce di queste con-siderazioni c’è da chiedersise i modelli assicurativi con-servino ancora la loro vali-dità o se, invece, non debbaessere lo Stato, attraverso lacosiddetta fiscalità generale,a farsi carico della coperturafinanziaria di certi rischicome quello demografico o

di alcuni rischi economicicome, ad esempio, la crescitadella produttività.

Una conclusione sempli-cistica è quella di promuove-re riforme che riducano dra-sticamente il ruolo dei siste-mi assicurativi pubblici inmodo da contenere l’onerecontributivo che è indicatocome uno dei principali fat-tori responsabili del calodegli occupati totali. Maquesto è un punto di vistache assume che queste formedi tutela dai rischi di perditadel reddito siano un onere

per l’economia mentre, inve-ce, sappiamo che sono nateper contenerne il tasso diconflittualità e, quindi, attra-verso questa via contribui-scono ad accrescerne l’effi-cienza produttiva.

Secondo taluni un modoindolore, anzi vantaggiosoper tutti, di riformare il siste-ma sarebbe quello di ricorre-re maggiormente al mercato.Quest’ultimo, attraverso imaggiori rendimenti che imercati finanziari riescono agarantire rispetto al tasso dicrescita dell’economia, che èil rendimento sostenibile che

può essere erogato da unsistema di sicurezza socialepubblico, riuscirebbe agarantire lo stesso livello diprestazioni ma richiederebbeun minor livello di risorsefinanziarie per il suo finan-ziamento. Verrebbero cosìliberate risorse che si rende-rebbero disponibili o per ilconsumo o per il risparmio.Allo stesso tempo, abbassan-do il costo del lavoro, sir idurrebbe l ’ incent ivodell’industria a preferire ed apromuovere la ricerca diinnovazioni tecnologichelabour saving e ciò consenti-rebbe il mantenimento, aparità ci condizioni, di piùelevati livelli occupazionali.

Rispetto a questi proble-mi qual è il ruolo che debbo-no svolgere gli economistinel suggerire e nel promuo-vere quelle riforme dei siste-mi pensionistici che megliosiano in grado di adattarsi aicambiamenti che dovrannoaffrontare? Deve veramenteessere dato più spazio aglischemi di pensionamentofully funded come suggeri-scono Feldstein M. eSamwick A?

Innanzitutto deve esseresfatata un’illusione, non èpossibile affermare che unmaggior ricorso alla previ-denza complementare privataa contribuzione definita con-senta un’immunizzazione delsistema rispetto ai rischidemografici. Inoltre, deve

Non esiste una soluzioneesente da rischi che abbiaproprietà taumaturgiche

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essere valutato se un ampioricorso a questo modello siapraticabile per Paesi che nonabbiamo mercati finanziarimaturi e spessi, a meno diessere disposti a mettere inconto: o l’imposizione divincoli molto severi, dalladubbia legittimità in alcunicontesti istituzionali comequelli vigenti per le nazioniaderenti all’UEM, alla quotain investimenti esteri delportafoglio dei Fondi pensio-ne; oppure, la fuoriuscita dalterritorio nazionale di unaquota del risparmio, e degliinvestimenti, di questi paesi.

A Joseph Stiglitz (1989)si deve una bella definizionedi quello che dovrebbe esse-re il ruolo degli economistinell’ispirare i cambiamentiche è la seguente: “...I gover-ni devono intervenire quan-do i mercati falliscono nelcompito di soddisfare i biso-gni sociali, e il ruolo deglieconomisti consiste nel gui-dare i governanti nel compi-to di discernere in quali casie con quali modalità l’inter-vento dello Stato ha maggiorprobabilità di essere utile...”Non esiste, infatti, una solu-zione esente da rischi cheabbia proprietà taumaturgi-che e risolutive in qualsiasicontesto.

Devono, perciò, essereindicati percorsi di riformacompatibili con gli assettieconomici e istituzionalinazionali.

La capacità dei diversimodelli pensionistici diaffrontare i cambiamenti.Nella storia economicanazionale recente un’enfasial di fuori delle giuste pro-porzioni è stata posta esclu-sivamente sulla sostenibilitàmacroeconomica dei sistemidi sicurezza sociale, trascu-rando la finalità più impor-tante di un sistema pensioni-stico che poi (e non lo sidovrebbe dimenticare mai) èla ragione per cui nacquero,che è quella di fornire agliassicurati, durante la fase diquiescenza, un reddito sicuroe prevedibile relativamenteallo standard di vita godutodurante la fase lavorativa.

È innanzitutto rispetto aquesto obiettivo e alle capa-cità di risposta rispetto airischi cui sono esposti gliassicurati durante la loro car-riera lavorativa che devonoessere valutati i diversi sche-mi pensionistici pur nelrispetto, naturalmente, diproprietà economiche inelu-dibili quali fra tutte la soste-nibilità finanziaria deglioneri connessi al loro finan-ziamento.

La domanda principalecui dovremmo farci caricodi trovare una risposta èquella di chiederci qualetra i seguenti modelli pen-sionistici:

1) quello del tipo a pre-stazione definita (definedbenefits) all’interno di un

sistema di finanziamentoPay-As-You-Go (PAYG);

2) quello del tipo a con-tribuzione definita nozionale(notional defined contribu-tion) sempre all’interno di unsistema di finanziamentoPAYG;

3) e quello a contribu-zione definita a capitalizza-zione (defined contributionprivately managed) è quellopiù idoneo a minimizzare leconseguenze economichenegative per gli assicuratirispetto ai rischi individualinonché rispetto ai rischi dimodifiche del quadro demo-grafico, politico, istituziona-le ed economico generaleche i sistemi pensionistici sitroveranno ad affrontarenelle prossime decadi?

I rischi demografici.Sappiamo che un rischioimportante con il quale isistemi economici dei paesiindustrializzati dovrannoconfrontarsi è quello demo-grafico e che quest’ultimorappresenta un fattore impor-tante di lievitazione dei costidi uno schema pensionistico.Il peggioramento dell’indicedi dipendenza di vecchiaia(aged-dependency ratios),così come è definito (omeglio, come è definito oggie cioè il rapporto tra la popo-lazione con oltre 65 anni dietà e quella tra 15 e 64 anni),ha un’importanza crucialenel determinare il verificarsi

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di una delle seguenti condi-zioni o di una loro combina-zione:

a) un incremento dellaquota del prodotto naziona-le dedicata al mantenimen-to della popolazione pen-sionata;

b) una riduzione dellostandard di vita della popo-lazione pensionata rispettoa quello della popolazionein attività;

c) un incremento dell’età pensionabile.

Il peggioramento dell’indice di dipendenza puòavvenire o per un calo deltasso di natalità (changes inbirth rates) o per un incre-mento dell’aspettativa di vita(increase in life expectancy)e ognuna delle due causeproduce un impatto diversosui tre modelli considerati.

Gli effetti del calo dellanatalità. La diminuzione neltasso di natalità, ad esempio,determina nel sistema a pre-stazione definita all’internodi uno schema di finanzia-mento PAYG un calo delnumero dei lavoratori e uncalo del gettito contributivoper cui gli aggiustamentipossibili sono un aumentodelle aliquote contributiveoppure un calo del livellomedio delle prestazioni delsistema pensionistico.

Sui sistemi a contribu-zione definita le prestazioninon sono messe a rischio

dal calo del gettito contribu-tivo, connesso alla diminu-zione nel tasso di natalità,ma dai riflessi che si posso-no avere sulle quotazionidei titoli detenuti nel por-tafoglio dei fondi pensionea causa del calo del numerodei soggetti-acquirenti chesi devono sosti tuire alnumero più elevato di sog-getti-venditori sul mercatofinanziario. Affinché si pos-sano escludere tali effettidovrebbe essere ipotizzatoun aumento del risparmiomedio pro-capite di questisoggetti che potrebbe esseredeterminato: o dai riflessidel calo della natalità sultasso di crescita del sistemaeconomico che a sua voltasi rifletterebbero sul tassodi remunerazione del rispar-mio finanziario, abbassan-dolo, e da cui seguirebbe unaumento delle esigenze dirisparmio pensionistico daparte dei soggetti per rico-stituire il livello obiettivo direddito durante il pensiona-mento (una simile ipotesiviolerebbe proprio una delleassunzioni fondamentali deisostenitori di un maggiorricorso agli schemi fullyfunded che è quella dellaimpermeabilità dei mercatifinanziari rispetto alle con-dizioni demografiche);oppure, da accresciutenecessità di copertura pen-sionistica connesse con uncalo, come è il caso italia-

no, della copertura garantitadal sistema pensionisticopubblico. Tuttavia, ceterisparibus, tali effetti negativisulle quotazioni dei titolisono inevitabili in un’eco-nomia chiusa.

In un’economia apertal’analisi si fa più complicatama è difficile comprenderela ragione per cui tale mag-giore offerta di titoli, se imercati finanziari sono inequilibrio, dovrebbe essereassorbita senza effetti suiprezzi dei titoli stessi.

Non si può, quindi,ragionevolmente sostenereche tale modello sia immunedal rischio demografico maanzi è più probabile cheimplichi un peggioramentorelativo dello standard divita della popolazione pen-sionata rispetto al modelloprecedente. Inoltre, la proba-bile manovra dei soggetti-pensionandi diretta adaumentare l’età pensionabileallo scopo di compensare laperdita in conto capitalesubita dai titoli peggioral’eccesso di offerta dei titoliper cui tale incremento èprobabile che sia elevato diquello necessario nel model-lo a prestazione definita.

Infine, sui sistemi con-venzionali a contribuzionedefinita gli effetti direttisulle prestazioni del calodella natali tà dipendonodalla variabile utilizzata perrivalutare i conti individua-

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li. Se la variabile utilizzataè tale per cui le prestazioninon risentono del calo delnumero dei lavoratori, adesempio impiegato il tassodi crescita del salario medioper addetto, ci si ritrovaesattamente nella situazionedei modelli a prestazionedefinita. Nel modello con-venzionale adottato in Italial’impiego del tasso di cre-scita del PIL implica che leprestazioni risentano diret-tamente del calo del numerodelle nascite e quindi diquello dei lavoratori conconseguente calo dello stan-dard di vita dei soggettipensionati. L’aggiustamen-to, tuttavia, è sfasato tem-poralmente rispetto al calodel gettito contributivo percui si può avere una faseanche temporalmente lungadi deficits del sistema pen-sionistico come nel caso aprestazione definita.

Quindi, possiamo con-cludere che nessuno dei tremodelli è immune del rischioche la variazione del tasso dinatalità non provochi uneffetto sulle prestazioni checosì possono allontanarsi dailivelli attesi dalla program-mazione dei soggetti. Ilmodello meno rischioso per isoggetti, e più carico di con-seguenze sull’aggravio deglioneri a carico della finanzapubblica, è il modello PAYGa prestazione definita. Ilmodello più rischioso per i

soggetti, e rispetto al quale leconseguenze per la finanzapubblica sono solo apparen-temente più contenute per-ché in questo caso è lo Statoad incorrere in un rischioelevato di miopia, è ilmodello a contribuzionedefinita fully funded.

Gli effetti dell’allunga-mento della speranza divita. In questo caso è ilnumero dei soggetti pensio-nati a crescere mentre quellodei lavoratori attivi rimaneinvariato. Gli effetti sui tremodelli sono simili. Nel casodi schema pensionistico aprestazione definita rimanen-do invariato il livello dellaprestazione, i maggiori costidi finanziamento sono sop-portati, sicuramente in unafase iniziale, dai lavoratoriattivi. Mentre invece neglialtri due casi si prestazioni acontribuzione definita siaquella effettiva che quellanozionale l’onere del rag-giungimento è a carico deipensionati ai quali verrannocorrisposti importi di pensio-ne più bassi, perciò, ilrischio di riaggiustamentodelle prestazioni è più eleva-to nei casi a contribuzionedefinita sia che si tratti di unsistema privato che di quellopubblico.

Rischi economici. Men-tre un sistema a contribuzio-ne definita ha una sensibilità

minore rispetto al rischiodemografico costituito dalladiminuzione del tasso dinatalità, ha invece una mag-giore sensibilità rispetto allevariazioni del tasso di cresci-ta dei salari e a quelle delrendimento degli investi-menti. In un sistema a pre-stazione definita questevariazioni non hanno uneffetto diretto. Si deveaggiungere, inoltre, che levariabili sopra richiamatenon seguono un andamentoregolare e prevedibile. Que-sto è un aspetto trascurato icui effetti rispetto all’obietti-vo rappresentato dal conse-guimento di un determinatolivello di pensione ad unacerta età sono stati esaminatiin un originale lavoro diLawrence H. Thompson(1997). Thompson mostrache fissato un obiettivo intermini reddituali e fissatal’aliquota contributiva coe-rente con l’obiettivo in ter-mini di tasso di sostituzionerispetto all’ultimo salario, lavariabilità delle variabilidalle quali dipende la rivalu-tazione periodica dei contiindividuali può inficiarel’obiettivo voluto con per-centuali molto elevate. Adesempio, anche conoscendoesattamente il valore mediodel rendimento di lungoperiodo e pur avendo, quin-di, fissato coerentemente conl’obiettivo di copertura illivello dell’aliquota contri-

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butiva annua, le variazioniannue, sperimentate in passa-to delle variabili rilevanti aifini della determinazionedell’importo della pensione,sono in grado di far diverge-re i risultati effettividall’obiettivo voluto ( Cfr. laTav. 1 ) ottenendo un risulta-to effettivo che può differireanche del 50% in più o inmeno rispetto a quanto desi-derato.

Un sistema a contribu-zione definita è sottoposto,perciò, ad una variabilità neirisultati1 per cui non puòessere preferito agli altrischemi pensionistici sullabase di una valutazione chefa riferimento unicamentealla sua maggiore sostenibi-

lità macroeconomica dalmomento che i suoi risultatisono straordinariamentedipendenti dal tasso di riva-lutazione dei contributi uti-lizzato. E non è realisticoipotizzare di far gravare inte-ramente sui soggetti assicu-rati (sacrificando cosìl’obiettivo di fornire loro unlivello di reddito accettabiledurante la vecchiaia rispettoa quello della sostenibilitàmacroeconomica) gli effettidi questa variabilità senzache ciò si rifletta in una qual-che assunzione di tali rischida parte dello Stato.

Sempre il lavoro diThompson (1997) ci forni-sceun altro esempio di quantotale sistema sia soggetto ad

una grande variabilità, siosservi ad esempio come, fis-sato l’obiettivo in termini dicopertura, l’aliquota contribu-tiva percentuale rispetto alsalario sia straordinariamentevariabile ( Cfr. la Tav. 2 ).

In conclusione, l’adozio-ne di uno schema siffattopuò comportare, con unaprobabilità elevata, che isoggetti risparmio troppo otroppo poco rispettoall’obiettivo di coperturadesiderato.

Rischi economici indi-viduali. Tali rischi riguarda-no l’incertezza sulla carrieraretributiva e assicurativaindividuale di ogni soggetto.Le stime sui risultati conse-

Table 1: Impact of different strategies for setting contribution rates for individual accounts

(Relationship between simulated actual balance at retirement and accumulation target)(50/50 mix of stocks and bonds; all values in percent, except where indicated)

Germany Japan United UnitedKingdom States

Simulatio 1. Contribution rate set at level appropriate for long-term (43-year) trendActual sequence 97 119 132 118Reverse sequence 113 97 77 85

Simulation 2. Contribution rate set at level appropriate for first half Actual sequence 125 173 278 253Reverse sequence 88 67 35 39

Simulation 3. Contribution rate adjusted every 10 years (in line with economic conditions of preceding 10 years)

Actual sequence 93 125 188 180Reverse sequence 100 87 59 66

Basic data43-year average wage increase 4,8 5 3,6 143-years average interes rate 6,3 6,7 5,6 5,7Radio of target accumulationto average wage 7,5 7,4 7,1 5,8

Source: Thompson, Lawrence H. (1997), “Predictability of individual pensions”, paper presented at the OECDInternational meeting on Developments and Reform of Pension schemes held in Paris in december 1997

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guibili in un determinatoschema pensionisticomolto spesso ipotizzatoirrealisticamente che i sog-getti abbiano una carrieraretributiva piena. Le car-riere, invece, possonoessere interrotte da periodidi malattia o di disoccupa-zione che per alcuni pos-sono avere frequenza edurata limitata ma che inaltri casi possono assume-re rilevanza tale da com-promettere l’obiettivovoluto dal sistema pensio-nistico. Altri, ancora, pos-sono godere di una carrie-ra retributiva più rapida,altri più lenta.

In generale, i program-mi pensionistici a benefi-cio definito sono piùattrezzati a risolvere questotipo di problemi. Ad esem-pio, possono prevedere cheil livello pensionistico siadeterminato sulla base diuna media che non consi-dera tutto il periodo assicu-rativo ma esclude gli annipeggiori, oppure possonoconsiderare nel computodell’anzianità contributivaanche gli anni di disoccu-pazione e così via. Questidispositivi solidaristici,seppure più usuali neisistemi a beneficio defini-to, non sono esclusi a prio-ri dagli altri schemi inclusii piani fully funded chepossono prevedere accredi-ti figurativi per i periodi di

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1973

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97

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interruzione del reddito.Quindi, la presenza di ele-menti solidaristici non è unacaratteristica esclusiva dialcuni schemi rispetto adaltri, anche se più rara inquelli diversi da quelli abeneficio definito.

Un altro rischio aggiun-tivo è costituito dal tasso dicrescita individuale delleretribuzioni che dipendedalla propria carriera. Taletasso di crescita può esseremolto diverso rispetto altasso di rendimento del por-tafoglio di attività del fondopensione nel caso di unoschema fully funded, oppureal tasso prescelto in caso dinotional defined contributiona cui si rivalutano i contiindividuali. Dal momentoche l’obiettivo del soggetto èfissato in termini di tasso disostituzione rispetto all’ulti-

mo salario ciò può richiedereun livello dell’aliquota con-tributiva molto diverso daquello medio. In un sistemaa beneficio definito questorischio è escluso.

Rischi diversi. Vi sonopoi altre fonti di rischiocome quella relativa alleincursioni della politica, deirischi di fallimento organiz-zativo o istituzionale che nonsono limitati ai soli schemipubblici. Ad esempio, neglischemi privati riviste unagrande importanza la regola-zione dell’attività delle isti-tuzioni finanziarie volta adevitare o le frodi o i rischiconnessi ad una competizio-ne tra fondi sulla base deltasso di rendimento deidepositi individuali piuttostoche, per esempio, sulla suastabilità del tempo volta ad

evitare eccessive diversità ditrattamento secondo la coor-te di appartenenza o ilmomento di pensionamento.

Ai fini delle nostre consi-derazioni, e non per la loro irri-levanza, sono in questa sedetrascurati.

Lo schema adottato inItalia nel 1995. Con la rifor-ma pensionistica del 1995 èstata prevista la gradualeentrata a regime di un siste-ma di calcolo delle presta-zioni del tipo notional defi-ned contribution. Tale assun-zione esclude il rischio dilievitazione delle aliquotecontributive, se non in rela-zione agli eventuali sfasa-menti temporali tra aggiusta-menti automatici delle pre-stazioni e gettito contributi-vo, dal momento che il livel-lo della spesa tenderà, in

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condizioni di steady state, aconvergere verso una quotastabile del Pil2. Rispetto allasituazione preesistente, ilrischio di intollerabilità deglioneri di finanziamento delleprestazioni pensionistiche èstato decisamente ridotto.Tuttavia, il nostro sistema,partendo da una condizionerelativamente peggiorerispetto agli altri paesi con-correnti, ci vede attestati sudi un livello delle aliquote diequilibrio che, pur se miglio-rato rispetto al sistema prece-dente, è decisamente elevato(33%)3 in termini relativi.

Mentre la spesa pensio-nistica gode delle proprietàsopra richiamate, nel caso incui la somma del tasso dicrescita dell’occupazione edelle retribuzioni sia inferio-re al tasso di crescitadell’economia, può accadereche l’aliquota contributivapossa non essere sufficientea finanziare le prestazioni,tuttavia, il rapporto tra laspesa pensionistica e il pro-dotto interno lordo rimarrà inogni caso stabile. Ciò signifi-ca che il sistema pubblicostabilisce che il livello dellerisorse trasferito agli anzianicomunque rimanga costante(si badi bene che questa èuna garanzia minima ediscutibile quando, ad esem-pio, il numero di anziani intermini relativi tende a cre-scere). In questo caso, saran-no chiamati a finanziare le

prestazioni anche coloro chenon appartengono stretta-mente al mondo del lavorodipendente o comunque sot-toposto ad assicurazione. Percui è lo Stato ad essersiassunto questo tipo dirischio. Sostenere che iltasso di capitalizzazione deicontributi avrebbe dovuto farriferimento esclusivamenteal tasso di crescita del montesalariale sottoposto a contri-buzione significa, in realtà,sostenere che non debbanoessere i titolari di redditidiversi da quelli da lavorocomunque denominato, e inparte responsabili di scelteproduttive ad alto contenutodi innovazione tecnologicalabor saving, ad assumersil’onere del mantenimento dimasse crescenti di cittadinisenza reddito ed espulsi dalmondo produttivo.

Anche per l’Italia è stataavanzata la proposta4 diricorrere maggiormente aschemi fully funded riducen-do il livello dell’aliquotacontributiva e trasferendo almercato solo le risorse finan-ziarie necessarie a ricostitui-re il precedente livello dicopertura pensionistica, infe-riori secondo gli autori dellaproposta grazie alle miglioriperformance dei mercatifinanziari. Quest’ultimaassunzione può essere condi-visa o meno ma quello che ciinteressa sottolineare è che lariduzione della copertura

garantita dal sistema pubbli-co a favore di un incrementodi quella privata è certamen-te possibile ma a condizionedi modificare il modellomisto scelto nel 1995. Laragione risiede nella circo-stanza che un sistema in cuiil sistema pubblico è ridottoal minimo deve rispondere acaratteristiche di anti-povertà. Se ad esempio,l’obiettivo è quello di assicu-rare agli anziani il 40% deiredditi al momento del pen-sionamento, tanto per pren-dere a riferimento una per-centuale come quella stabili-ta dall’International LabourStandards (ILO), tale obietti-vo non può essere affidato apiani pubblici a contribuzio-ne definita perché l’obiettivoha un’alta probabilità di nonpoter essere assicurato.

Per cui solo una voltaaver garantito un livellominimo di copertura concaratteristiche di anti-povertà, all’interno di unoschema pubblico a beneficiodefinito, si può anche pensa-re di affidare la coperturaaddizionale ai piani a contri-buzione definita (pubblici oprivati che siano). Ma nelcaso in cui si affidi al merca-to il compito di assicurare lacopertura addizionale, non sipuò ignorare il rischio eleva-to che una parte rilevante delrisparmio nazionale, che conlo schema a ripartizione pub-blico sarebbe stato impiegato

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soprattutto in consumi, siindirizzi al di fuori del terri-torio nazionale. Infatti, inItalia il valore del capitalequotato in borsa assomma adappena il 20% del Pil, unlivello insufficiente allenecessità di attività finanzia-rie che si renderebberonecessarie in questo caso.Tanto per avere un terminedi riferimento si pensi che inGran Bretagna, paese in cuiesiste uno sviluppato sistemapensionistico complementareprivato, il valore delle atti-

vità finanziarie dei fondipensione è pari all’80% delPil (Cfr. la tav. 3).

In Italia, quindi, non èopportuno accelerare oltremodo il ricorso alle formeassicurative private sia perl’elevato rischio intrinsecocui sottopongono gli assicu-rati rispetto ai risultati pro-dotti sia per lo scarso spesso-re dei mercati finanziari cherichiedono uno sviluppo gra-duato nel tempo.

Tuttavia, quali che sianole scelte operate non cambia

la sostanza del ragionamentoprecedente per cui i detentoridi redditi diversi da quelli dalavoro non possono riceveredallo Stato la garanzia di nonessere chiamati a finanziareprestazioni che non gliappartengono. Sarebbe peri-coloso socialmente, oltrechéiniquo, infatti la circostanzache risultati prodotti da unatteggiamento miope daparte dello Stato siano lonta-ni nel tempo non giustifica leautorità di governo dal pre-venire gli effetti. ■

Table 3. Stock Exchange markets in 1996 (national equities)

Country Total value of Stock exchange Pension fund assentsequities as a percentage of GDP as percentage of GDP %

in equities

Denmark 41,8 20,1 22

France 38,9 3,4 14

Italy 21,7 1,2 14

Netherland 97,8 88,5 30

Portugal 23,7 n.a. 18

Spain 42,3 2,2 4

UK 149,9 79,4 80

USA 68 59,1 52

Source: Federation of European Stock Exchanges

1) Tale variabilità è certamente dipendente dalla composizione del portafoglio; tuttavia, grandevariabilità nei risultati si osserva anche in quei paesi dove la quota in investimenti ad alto rischioè molto contenuta. È il caso, ad esempio, della Germania dove solo l’11 per cento delle attivitàcomplessive dei fondi pensione è detenuta in titoli azionari. Cfr. Commissione delle ComunitàEuropee (1997).2) Cfr. M. Antichi (1995).3) Livello di equilibrio delle aliquote nel caso in cui le variazioni del Prodotto interno lordo e delmonte salariale siano perfettamente correlate.4) La proposta originale, ripresa tra gli altri, con alcune varianti, da O. Castellino e E. Fornero(1998) e da N. Rossi (1998), si deve a M. Feldstein (1998) che ha proposto il passaggio integraleal sistema fully funded per i neo assunti.

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AA ll’inizio del 1992, ilsistema previdenzia-le italiano soffriva di

tre gravissime anomalie:- lo squilibrio finanzia-

rio, già in atto e destinato adaccentuarsi ancor più in pro-spettiva, squilibrio misurabi-le in termini di divario fral’aliquota di equilibrio el’aliquota effettiva;

- le iniquità redistributi-ve, sia tra regimi, per effettodelle differenze normative,sia entro regimi, per effettodi diverse età al pensiona-mento, diverse dinamicheretributive, ecc.;

- gli incentivi perversiall’occultamento dei redditinegli anni anteriori all’ulti-mo quinquennio, alle promo-zioni finali fittizie, alla ces-sazione precoce dell’attivitàlavorativa.

L’insieme delle riformeAmato e Dini, con le ulteriorirevisioni operate dal governoProdi, rappresenta un contri-buto radicale e coraggiosoalla correzione di tutte questeanomalie. Rispetto alla legi-slazione esistente all’iniziodel 1992, e alle previsioni di

quello che, a normativaimmutata, sarebbe stato ilfuturo del sistema, la legisla-zione e le previsioni odiernecostituiscono - in termini diequilibrio finanziario, diequità e di efficienza - unprogresso di portata storica.Chi scrive ha sempre ricono-sciuto che, dopo la deludenteesperienza di riforme peren-nemente discusse e mai attua-te che ha caratterizzato tuttigli anni Ottanta (e anzi dopol’ulteriore segno di irrespon-sabile miopia fornito nel 1990dalla riforma delle gestionidei lavoratori autonomi), eglinon avrebbe osato sperare in

un ravvedimento così rapidoe significativo quale quelloche il legislatore ha dimostra-to tra il 1992 e il 1997.

Detto questo, si deve conaltrettanta sincerità e altret-tanto realismo aggiungereche il coraggio del legislato-re si è sostanzialmente limi-tato al ridisegno della situa-zione di regime. Le normetransitorie consentono ancoraper parecchi lustri la soprav-vivenza, totale o pro rata,del metodo retributivo edella pensione di anzianità,responsabili delle tre anoma-lie indicate all’inizio.

Che resta dunque ancorada fare?

Onorato Castellino

L’INTERVENTO - ONORATO CASTELLINO

Verso un sistema che coniughiripartizione e capitalizzazione

Una fase transitoria che tocchi le anzianità ed estenda il pro rata

La transizionedal sistema di

pura ripartizionea quello misto va

considerata un pattotra generazioni

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Un primo intervento.Innanzitutto bisognerebbeporre mano al pro rata.

L’applicazione dei pre-vigenti metodi di calcolo alleanzianità già maturate, e deinuovi criteri alle anzianitàsuccessive alla riforma,appare il punto di incontropiù appropriato tra la tuteladelle aspettative e la neces-sità di ottenere effetti imme-diati, seppure inizialmentemodesti. Avendo invece lariforma Dini rinunciatoall’applicazione del pro rataper le anzianità superiori a18 anni, vi si potrebbe, siapure tardivamente, provve-dere oggi.

Un secondo intervento.In tema di misure correttivedell’istituto delle pensioni dianzianità, si è seguita unastrada sbagliata sino dallariforma Amato. Questa pote-va scegliere tra due diversimetodi, l’uno incidente sullamisura dei trattamenti, l’altrosul diritto a goderne. Sullamisura si sarebbe potuto ope-rare con un’innovazione radi-cale, ossia anticipandol’applicazione dell’equitàattuariale più tardi introdotta(ma soltanto per la configura-zione di regime) dalla riformaDini. Si sarebbe cioè potutomantenere l’istituto della pen-sione di anzianità per chi giàne aveva raggiunti i requisitie per chi si apprestava a rag-giungerli, determinandone

però l’importo in misurainversamente proporzionalealla speranza di vita.

Si preferì invece lasciareimmutate le regole sullamisura e ridisciplinare quellesul diritto. La legge Amato(per i lavoratori pubblici, chegodevano di norme partico-larmente generose), e lalegge Dini che seguì (per pri-vati e pubblici) il medesimocriterio, ruotano quindi suuna serie di complicate com-binazioni binarie di età e dianzianità (con l’ulteriorescansione delle “finestre”).Chi vi rientra può esercitareil diritto; chi ne resta fuori,anche per un solo giorno, neè escluso, o almeno se lovede posticipare in misurasensibile.

Questo meccanismo haalmeno due gravi controindi-cazioni.

La prima è l’evidenteingiustizia: il fulmine deldivieto colpisce alcuni elascia indenni altri, quando ladifferenza di condizioni sog-gettive è troppo sottile (e avolte dipende soltantodall’avere o non avere pre-sentato una domanda entro unparticolare termine) per meri-tare tanta discriminazione.

La seconda è il perversoincentivo all’accelerazionedelle dimissioni ch’esso (o lasola aspettativa di ulteriorigiri di vite) provoca. Ne èderivato il peggiore risultatopossibile: una diminuzione

dell’offerta di lavoro (non dirado difficilmente sostituibi-le) o un suo passaggioall’economia sommersa, e unaumento della spesa previ-denziale.

L’intervento sulla misu-ra, anziché sul diritto, sareb-be stato scevro da ambeduele controindicazioni. Ora èmolto tardi, e molto tempoprezioso è stato perduto. Siapure con qualche incertezza,penso che si dovrebbe pur-tuttavia intervenire. La parcondicio con chi ha già otte-nuto questa pensione potreb-be essere in qualche modotutelata imponendogli uncontributo di solidarietà.

Ripartizione e capita-lizzazione. Una riforma deisistemi previdenziali a ripar-tizione, la quale li conducain tutto o in parte verso lacapitalizzazione, è storiarecente in numerosi paesi, edè oggetto di vivace discus-sione in altri, tra cui gli StatiUniti. In un precedente scrit-to (Castellino e Fornero1997), abbiamo delineato,per il nostro Paese, una pos-sibile prima mossa in questadirezione.

Un recentissimo articolodi Modigliani e Ceprini(1998) propone una riformaper molti versi analoga,anche se più radicale. Mentreper maggiori precisazioni sirinvia ai lavori citati, il qua-dro I riassume sinteticamente

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Modigliani - Ceprini

- Si aggiunge all’aliquota di tutti i lavoratori il 2%da destinare alla capitalizzazione.

- Per un lungo periodo la componente a capitalizza-zione accumula contributi e redditi

- Grazie alle pensioni pagate dalla componente acapitalizzazione, l’iniziale aumento dell’aliquotadecresce progressivamente.

- Si aumenta ulteriormente il ruolo della compo-nente a capitalizzazione riducendo quello dallacomponente a ripartizione.

- Sistema puro a capitalizzazione

- Rendimento ipotizzato: 6%

- Aliquota (con reversibilità) 6,2%

Castellino - Fornero

- Si dirotta dalla ripartizione alla capitalizzazionel’8% dell’aliquota dei nuovi assunti.

- Si compensa il gettito così sottratto alla ripartizio-ne con ulteriori interventi di riforma (o eventual-mente con versamenti a carico della fiscalità gene-rale).

- Per 40 anni la componente a capitalizzazioneaccumula contributi e redditi (se non compensatoda interventi di riforma, l’onere a carico della fisca-lità generale per la riduzione di aliquota cresce pro-gressivamente sino a circa il 2% del PIL).

- Grazie alle pensioni pagate dalla componente acapitalizzazione, l’onere a carico della fiscalitàgenerale si riduce progressivamente.

- Si può dirottare un’ulteriore quota dalla ripartizio-ne alla capitalizzazione.

- Sistema misto(per esempio: 50% e 50%)

- Rendimento ipotizzato della componente a capita-lizzazione: 3 - 4%

- Aliquota complessiva (con reversibilità):

Ripartizione:50% di 31% 15,5%Capitalizzazione:50% di 12-16% 6-8%

_________________21,5-23,5%

19

le due proposte.Come si vede, le propo-

ste si differenziano sotto dueprofili: Modigliani-Cepriniipotizzano per la capitalizza-zione un rendimento realedel 6%, mentre Castellino-Fornero ritengono più reali-

stico limitarsi al 3-4%;Modigliani-Ceprini puntanoall’integrale sostituzionedella ripartizione con la capi-talizzazionementre Castelli-no Fornero optano; anche aregime, per un sistemamisto. Le due differenze

sono ovviamente correlate,perché quanto maggiore è ildivario tra il rendimentodella capitalizzazione e quel-lo della ripartizione, tantopiù allettante appare il pas-saggio dalla seconda allaprima.

SITUAZIONE DI REGIME

FASE 4

FASE 3

FASE 2

FASE 1

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Come prevedere dun-que i rendimenti dei fondipensione? L’usuale puntodi partenza è l’esperienzadel mercato azionario nor-damericano. Siegel (1994)offre una sintesi storicadalla quale risulta che leazioni hanno fruttato untasso annuo medio del7,0% dal 1802 al 1870, del6,6% dal 1871 al 1925, del6,6% dal 1926 al 1992.

Sorgono peraltro sponta-nee numerose obbiezioni. Inprimo luogo: pur se media-mente più elevati, i rendi-menti azionari sono anchepiù oscillanti, più incerti, piùrischiosi; l’investimentoazionario sembrerebbe quin-di meno adatto a un fondopensione, che per la suanatura deve fornire garanziedi certezza a chi ne attendeuna fonte di sostegno per lapropria vecchiaia.

La risposta di Siegel sot-tolinea che bisogna esplicita-mente precisare gli orizzontidi riferimento. Se si guardaai singoli anni, il mercatoazionario è davvero capric-cioso e imprevedibile: nell’intero periodo (1802-1992),il rendimento annuo ha rag-giunto un massimo del 67%e un minimo del -39%. Mase si guarda alle medie quin-quennali dei rendimentiannui, il campo di oscillazio-ne risulta compreso tra 27%e -11%; l’avvicinamentodegli estremi prosegue con

l’allungarsi dell’orizzonte.Per periodi ventennali, nonsoltanto l’intervallo sirestringe a 13% e 1%, ma,ciò che più conta, divieneaddirittura preferibile a quel-lo delle obbligazioni (9% e3%)! La conclusione di Sie-gel è evidente: comprate uni-camente azioni, non leggetele quotazioni per vent’anni, equando infine le leggerete vitroverete sicuri motivi dicompiacimento.

La seconda obiezioneattiene alla possibilità digeneralizzare a ogni paesel’esperienza nordamericana.Non si dispone, per casidiversi dagli USA, si seriestoriche altrettanto lunghe,ma dai dati a cui si può fareriferimento sembra difficiletrarre equivalenti ragioni diottimismo. Tra il 1921 (1928per l’Italia) e il 1995, il tassoannuo reale medio di rendi-mento delle azioni è stimabilein 2,28% per il Regno Unito,0,33% per la Francia, -2,23%per la Spagna, ed è pratica-mente nullo per l’Italia(Goetzmann e Jorion 1997).E’ ben vero che questi datinon comprendono l’effettodei dividendi, e perciò nonsono direttamente paragona-bili con quelli esposti per gliUSA, ma ogni ragionevoleindizio permette di escludereche i dividendi bastino a rie-quilibrare il confronto.

Una terza obbiezione èancora più sottile e più radi-

cale: quale fondamento pos-siamo trovare nel passato perprevedere l’avvenire? I ren-dimenti annui delle azioniassomigliano all’estrazionedi palline da un’urna - sem-pre dalla medesima urna! -così da potere essere analiz-zati con le stesse tecnichestatistiche con cui si studianole proprietà di un campionecasuale? Oppure (ancheaccettando l’ipotesi che leistituzioni politico-economi-che rimangono sostanzial-mente immutate e rispettosedella proprietà privata e dellelibertà di iniziativa) la storianon si ripete mai, e ci riservacontinue sorprese?

Si osservi infine come,anche nella ottimistica visio-ne di Siegel, un orizzontedell’ordine di cinque anninon dia affatto garanzia direndimenti azionari positivi.Orbene, se pur pochi nellatranquilla ottica di uno stu-dioso che osservi gli avveni-menti ex post, cinque annisono un’eternità per ungestore che debba quotidia-namente affrontare i com-menti della stampa, le letteredegli iscritti, il paragone congli altri gestori. Come sisarebbe trovato, al terminedel quinquennio che avevaregistrato un rendimentoannuo medio del -11%, quelgestore che avesse impiegatoin azioni la totalità delle sueriserve? Come avrebbe potu-to tranquillizzare i suoi

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iscritti e indurli a pazientareper altri dieci-quindici anni?

Tutte queste fondateragioni di perplessità spiega-no come soltanto nei duegrandi paesi anglosassoni gliimpieghi azionari superino il50% delle attività complessi-ve dei fondi, restandone,negli altri paesi, sempre al disotto (cfr. OCSE 1998, pag82); In un gruppo rappresen-tativo di paesi (che compren-de anche i due appena ricor-dati), i fondi pensione hannoquindi fruttato, nel 1970-95,un tasso reale aggirantesiattorno alla metà dei rendi-menti azionari (cfr. Davis1995). Le medesime ragionispiegano altresì perché cisembri prudente appoggiarela nostra proposta di parzialecapitalizzazione a ipotesi direndimento reale delle atti-vità complessive dei fondipensione che si mantengononel limite del 3-4%.

Conclusione. I due primiinterventi suggeriti rappre-sentano il coronamento e ilcompletamento logico della

grande e coraggiosa stagionedelle riforme (1992-1997).Essi richiedono una nuovadose di coraggio; lo studiosoche li delinea restando sedu-to al suo scrittoio (o al suocomputer) non ignora le dif-ficoltà e gli ostacoli che sulpiano politico e sindacale sifrappongono alla loro attua-zione, ma nemmeno devedesistere, per questa solaragione, dal propugnarli.

Il terzo intervento - unparziale e graduale passaggiodalla capitalizzazione allaripartizione - è oggi ancoralontano dai dibattiti politici.Tuttavia, pur con le precisa-zioni e le cautele sopra messein luce, riteniamo che sidebba dare inizio quanto piùpresto possibile alla primafase. Essa permetterà, tral’altro, di acquisire maggioriclementi di giudizio, soprat-tutto quanto all’andamentofinanziario della componentea ripartizione (ovviamenteinfluenzato dalla dinamicadell’occupazione e dei reddi-ti) e al tasso di rendimento

della componente a capitaliz-zazione. I nuovi elementipermetteranno di valutaremeglio i costi, a parità dicopertura, dei due sistemi (edella transizione dall’unoall’altro) e di decidere sino aquale livello si voglia spinge-re questa transizione.

Non ci si deve nasconde-re il fatto che esiste una per-fetta simmetria tra l’istituzio-ne (o l’espansione) di unsistema a ripartizione - chepermette di offrire, a caricodelle generazioni future, rile-vanti benefici alle generazio-ni presenti - e il suo ridimen-sionamento, che pone in attouna redistribuzione opposta(dalle generazioni presentialle future, e quindi cononere per le prime). La tran-sizione da un sistema di puraripartizione a un sistemamisto deve quindi esserevista non come una scelta,sia pure impegnativa, di poli-tica economica, ma comeuna sorta di patto costituzio-nale che coinvolge più gene-razioni. ●

BIBLIOGRAFIA

Castellino, O. e Fornero, E. (1997) Condizioni, modalità e limiti, in “Politica economica”, vol XII, n.1,

aprile, pagg. 3-25.

Davis, P.E. (1995), Pension Funds, Oxford,Clarendon Press

Goetzmann e Jorion (1997) A Century of Global Stock Markets NBER Working Paper n. 5901, gennaio.

Modigliani, F. e Ceprini, M.L. (1998), Social Security: una proposta per l’Italia in “Economia Italiana”,

n. 2, maggio-agosto, pagg. 275-306 (anche in “Review of Economic Conditions in Italy”, n 2, May-Augu-

st, pagg 177-201).

OCSE (1998), Maintaining Prosperity in an Ageing Society, Paris

Sigel, J. (1994), Stocks for the Long Run, Chicago, Irwin.

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II l professor Castellinoha definito un grandis-simo passo in avanti ciò

che è stato fatto con le rifor-me attuate dall’inizio deglianni Novanta. Credo, però,che tale giudizio debba esse-re articolato attribuendo meri-ti a misure specifiche.

La prima cosa che vorreisegnalare è relativa ai provve-dimenti assunti nel 1992, dicui peraltro il professorCastellino ha criticato corret-tamente gli aspetti relativialla vicenda delle pensioni dianzianità. Tra le misure adot-tate in quell’occasione, quellache ha avuto l’impatto piùrilevante sul contenimento

della spesa è stata la sospen-sione dell’indicizzazione deisalari. Una misura su cuioggi in Germania si sta discu-tendo tra molte asprezze edella quale, peraltro, è previ-sta l’applicazione soltanto perdue anni. I provvedimenti del1992, però, avevano mante-nuto completamente inaltera-to il vecchio nucleo del siste-ma a ripartizione retributivo.Non avevano, dunque, disin-nescato la miccia nel lungoperiodo dovuta alla mancanzadi correttivi attuariali. Infatti,solo successivamente è stataadottata la formula di calcolocon il sistema contributivo,

che introduce, per l’appunto,l’elemento della speranza divita al momento del pensio-namento. Soprattutto nonavevano corretto vistosissimeiniquità del sistema previden-ziale italiano, le cui responsa-bilità risalivano molto indie-tro nel tempo. Le ricordava ilprofessor Castellino, ed iovorrei porre in evidenzaanche quel paradossale effet-to redistributivo regressivoche un sistema retributivo haproprio in quanto tale. Essoindividua la prestazione sullabase del reddito dell’ultimoperiodo della vita lavorativa,con poco riguardo all’ammontare della contribuzio-ne pagata e versata durante lastoria lavorativa e senza alcunriferimento al periodo di vitadurante il quale si beneficeràdella prestazione stessa.L’effetto perverso che si pro-duceva era di privilegiare car-riere dinamiche, a scapito diquelle piatte e con salari piùbassi, fino al punto da spin-gere verso quegli atti oppor-tunistici per cui un colonnelloveniva promosso generale nelmomento che precedeva il

Laura Pennacchi

L’INTERVENTO - LAURA PENNACCHI

Una transizione da correggerema sempre nell’ottica dell’equità

Le riforme ‘95-’97 garantiscono insieme diritti ed equilibri di spesa

L’introduzione delcontributivo ha

consentitola stabilizzazione

della quota di spesapensionistica sul PIL

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suo pensionamento. Grazieall’introduzione del metodocontributivo abbiamo ottenu-to una sostanziale stabilizza-zione della quota della spesapensionistica sul Pil e supera-to il fatidico esame che ci haconsentito di essere fra iprimi undici paesi che hannodato vita alla moneta unica.Sulle ultime previsioni dellaRagioneria sono stati mossirilievi critici sia da parte dellaConfindustria che del FondoMonetario Internazionale.Secondo quest’ ultimo, noiavevamo assunto, di qui al2045, un’ipotesi di crescitadella produttività del 2,1 trop-po elevata -anche se la nostrascelta si basava sulla consta-tazione che, un tempo, taleproduttività raggiungeva il2,6 e il 2,7 per cento. Il rap-presentante del Fondo mone-tario sosteneva, soprattutto,che bisognava convergereverso gli andamenti degliStati Uniti d’America chehanno avuto una crescitadella produttività mediadell’1,2 per cento negli ultimivent’anni. Abbiamo, quindi,apportato delle correzioni,tenendo anche conto però chenegli Stati Uniti l’ammini-strazione sta considerandoquanto, invece, sia cresciutala produttività. Oggi lì si stadiscutendo di assumere,come tasso di crescita dellaproduttività per il futuro, il 2per cento, proprio perché,negli ultimi anni, si sono

registrati tassi che hannosuperato anche il 3 per cento.

Ciò dimostra come, inrealtà, in tutte le simulazionisia necessario sempre fareenorme attenzione al fattoche non bastano mai le puree semplici estrapolazioni dalpassato per costruire previ-sioni accurate.

Dicevo, quindi, che,tenuto conto delle obiezioni,anche noi abbiamo abbassatoil tasso nelle ultime previsio-ni. Tuttavia, poiché è invero-simile la convergenza esclusi-vamente su un’unica variabi-le, abbiamo introdotto alcunemodifiche anche su altrevariabili, coerentemente conla nuova stima della produtti-vità. Per esempio, il tasso didisoccupazione, tenuto moltoelevato (al 9 per cento), èstato fatto scendere verso il 5per cento. Abbiamo, inoltre,puntato sulla crescita all’occupazione, in particolarequella femminile, ritenendoscandaloso che in questopaese i tassi di attività femmi-nile siano così bassi e che talidebbano rimanere, in questoraccogliendo anche moltedelle sollecitazioni che civenivano dal professor Paci.

Con questa più recentesimulazione, che ha una suaprofonda coerenza analitica elogica, le cose miglioranomoltissimo e alla fine delperiodo di previsione la spesasul Pil non sarà più pari al14,2 per cento (che ci sem-

brava già un indicatorebuono), ma al 13 e qualcosaper cento. Non bisogna, tutta-via, minimizzare la gobba chesi forma anche con questanuova previsione. Sarà pari apoco più di 1 punto del Pil:non è pochissimo perché sitratta, in valori assoluti, dioltre 22.000-25.000 miliardi.C’è un altro aspetto nell’averriformato un sistema a riparti-zione mantenendone la naturaripartitoria e trasformando ilsistema di calcolo da retribu-tivo in contributivo, che èmolto rilevante, e che viene,invece, poco sottolineato.Esso è rappresentato dallaflessibilità che questo sistemaconsente. Poiché le prestazio-ni si costruiscono sulla basedi una stretta correlazione coni contributi e sull’applicazio-ne di un correttivo attuarialelegato alla speranza di vita, sipuò scegliere di andare inpensione, posto un limite dietà minima che eviti compor-tamenti da free rider, con piùlibertà. C’è la possibilità diandare prima, ricevendo unaprestazione inferiore, o piùtardi, ricevendo una presta-zione superiore. C’è, quindi,il superamento della nozionerigida dell’età pensionabile,cosa che, per esempio,Samuel Brittan, direttore delTimes, ha commentato comemolto positiva e innovativa,in quanto consente di accele-rare quel processo di invec-chiamento attivo, anche con

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di forme di part-time chepossono precedere il pensio-namento completo, via,peraltro, su cui spingel’OCSE. Ci sono poi incentivia non evadere, a non collude-

re (cose di cui parlava il pro-fessor Castellino e su cui mipremeva insistere). Voglio,inoltre, sottolineare che se inassenza di interventi la quotadi spesa pensionistica sarebbeesplosa fino al 22 per centodel Pil, è anche importanteprendere atto che il conteni-mento della spesa, nella dina-mica attesa per il futuro,avviene proprio nel periodoin cui sarà massima l’inten-sità dell’invecchiamento dellapopolazione. Il famoso rad-doppio, e forse più che rad-doppio, dell’indice di dipen-denza degli anziani sui giova-ni avviene per l’appunto apartire dagli anni 2015-2020,nel periodo in cui cioè lariforma eserciterà la sua mas-sima efficacia. Poiché da anniin tutti i paesi, non solo inquelli industrializzati maanche in quelli post-socialistio per esempio, del Sud-Estasiatico privi quasi totalmentedi sistemi di protezione socia-le, si tenta di riformare i siste-

mi pensionistici, bisogneràpur chiedersi i motivi per cuila maggioranza di essi sia riu-scita a compiere solo modestiaggiustamenti.

Ciò al punto che - come

si ricordava - Francia e Ger-mania sono di fronte al fattoche la loro spesa raggiungeinizialmente (per i modestis-simi interventi fatti che non sipossono nemmeno chiamareriforme) il 17 per cento delPil. Solo due paesi, la Sveziae l’Italia, hanno operato cam-biamenti radicali. La Svezia,peraltro, con una operazioneche si limita ad essere - atutt’oggi - ancora solo unindirizzo votato dal Parla-mento e non con misure diriforma già operanti. Con unafase di transizione, sia pureindubbiamente lunga, abbia-mo misure già operanti dal1995 per questa riforma e, dal1992, per la sospensionedell’indicizzazione ai salari.Penso, allora, che ci siano dif-ficoltà oggettive di cui vale lapena cominciare a parlare inmodo esplicito, perché i siste-mi pensionistici di fatto sonocodici di leggi che stabilisco-no chi può pretendere, checosa e a quali condizioni. Le

difficoltà nascono propriodalla rinegoziazione di questicodici, di questi contratti pre-videnziali, perché il puro esemplice rigetto del contrattopotrebbe essere una riduzioneunilaterale dei benefici checrea profondi problemi dilegittimità, di legittimazioneper qualunque Governo. Perdi più, a differenza di quelloche noi possiamo vedere peraltri tipi di prestazione chesiano più genericamentebasati sul bisogno o sulla cit-tadinanza, il contratto previ-denziale collettivo si concre-tizza in forme altamente indi-vidualizzate. Ciascun contrat-to è appunto riferito a specifi-ci benefici, che a loro voltasono connessi a specifichestorie contributive, a specifi-che dinamiche di carriera, aspecifiche storie lavorative.Ed è per questo insieme diragioni che i politologi - cisono studi di grande interesseanche recenti - segnalanocome i programmi pensioni-stici non possono essere trat-tati alla stregua di altri servizipubblici, siano essi le strade ole scuole, perché hannoassunto, a torto o a ragione,nella percezione collettiva laconfigurazione di diritti diquasi-proprietà. I politologied i lavori recenti cui mi storiferendo riconoscono all’Ita-lia ed alla Svezia il merito diaver compiuto, così le defini-scono, dramatic reforms. InItalia queste dramatic reforms

Guai a considerarel’eguaglianza come una

categoria in disuso

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sono state possibili. Le visua-lizziamo un po’ meglio sepensiamo che, a regime (a cuiarriveremo troppo lentamen-te), le prestazioni medie scen-deranno al 50 per centodell’ultimo reddito per i lavo-ratori dipendenti e al 30 percento per i lavoratori indipen-denti. Questo è un indicatoredi ciò che vuol dire quel dra-matic. In Italia queste drama-tic reforms sono state possibi-li proprio per la natura e laconfigurazione impresse alprocesso riformatore, perl’architettura di equità, che hasignificato ridimensionare iprivilegi, contenere il partico-larismo categoriale, estenderela tutela verso i giovani everso le donne (perché nel1995 abbiamo fatto anchequesto). Ciò ha dimostratoche la concertazione è unvalore non solo come metodoma, a determinate condizioni,anche per i contenuti che rie-sce a porre in gioco.

Ora rimangono questionida affrontare soprattutto nellafase di transizione, come peresempio l’estensione del proquota per tutti, che peraltroera già previsto nel progettodi legge firmato dai Progres-sisti, ma addirittura presenta-to alla fine del 1994, che nonprevedeva la spaccatura sullimitedei 18 anni di anzianità.Quel progetto è stato allabase della riforma che vasotto il nome di riforma-Dini.Che rimanessero questioni da

affrontare era ampiamentenoto a tutti, ma la condizioneper affrontarle era e rimanequella di ribadire primaria-mente l’architettura di equità,quella che abbiamo già speri-mentato. Del resto, già allafine del 1997, quando abbia-mo compiuto gli ulterioriaggiustamenti con la riformaProdi, le organizzazioni sin-dacali non si erano mostrateriluttanti a discutere di proquota per tutti o a prevedereun acceleramento più cospi-cuo, di quello che abbiamopoi realizzato, del superamen-to del pensionamento dianzianità. Il professor Onofriha parlato a tal proposito diuno spreco di consenso, cheindubbiamente c’è stato, eadesso questo consenso varecuperato alle condizionipossibili, tali da evitare dicostruire boomerang che poiinceppino tutto il processoriformatore. I requisitidell’equità, questa ideadell’architettura dell’equità,

sono molto più stringenti diquanto lascino pensare facilied enfatici richiami al corag-gio. Nel labirinto dei trasferi-menti incrociati che neltempo si è creato nel nostrolavoro, riconoscere chi paga

non è altrettanto facile rispet-to all’individuare chi riceve,perché alla visibilità e allaconcentrazione su pochigruppi di pressione si con-trappongono l’occultamento ela dispersione su molti deicosti. Occultamento e disper-sione dei costi che in passatoavvenivano attraverso ilfinanziamento della spesa indeficit, il saccheggio deifondi previdenziali attivi (viricordo che fino alla finedegli anni ‘70 il Fondo pen-sioni lavoratori dipendenti hafinanziato tutti gli altri fondi),il fiscal drag e così via, oggiavvengono prevalentementecon l’evasione fiscale, cherimane rilevante. In questasituazione dare patenti diinnovazione o di conservazio-ne sembra proprio non averefondamento. Il doverosorichiamo all’interesse genera-le può trovare accoglimentosolo attraverso il riferimentoprimario all’eguaglianza, allecategorie dell’eguaglianza

che vanno rivisitate, ma checonservano un valore poten-tissimo. Guai, come ha scrittoil professor Guerrieri, a consi-derare l’eguaglianza una cate-goria o una parola in disuso, afarla cadere nell’oblio. Altri-

Merito del contributivouna maggiore flessibilità

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menti si rischia di fare un usocaricaturale del decisivo temadell’equità fra generazioni,che è quello con il qualeabbiamo sostenuto, appunto,tutto il processo di riforma.So io (che ho affrontato leassemblee ai cantieri navali diMonfalcone o alle acciaieriedi Brescia o in molti altri luo-ghi di questa natura) cosa hodovuto dire per poter spiegarela riforma, quanto ho dovutoimpegnarmi in termini diragionamento sull’equità trale generazioni. Un sistemapensionistico è innanzi tuttoun patto fra generazioni: unrequisito del patto fra genera-zioni, che quindi è una strut-tura di solidarietà, è fonda-mentalmente l’equità. Se legiovani generazioni non sen-tono rispettato questo requi-sito, non diventano egoistecome si sostiene, si sentonosemplicemente discriminate.Senza questa architetturadell’equità si finisce conl’accusare di egoismo lavora-tori con il costo del lavoro econ i salari netti più bassid’Europa. Tanto più quandosiamo in presenza di unadiscrasia tra i sacrifici chesono concentrati su gruppispecifici di popolazione, alcu-ni dei quali per di più vivonouna specie di sindrome diprivazione relativa. Basta pertutti l’insofferenza che c’èstata quando abbiamo operatouna misura legittima e dove-rosa quale quella del conteni-

mento della perequazioneprezzi per le pensioni di piùelevato importo. Fino a qual-che mese fa abbiamo sentitoancora, per esempio, dallaBanca d’Italia tornare a gran-di discussioni che contestava-no la validità di questo tipo dimisure.

I problemi sorgono quan-do i benefici riguardano solocategorie concentrate. A taleproposito vorrei ricordare,che il 30 per cento della mag-giore spesa che ci sarà neiprossimi anni deriva da unatipica misura consociativaparlamentare che fu adottatanel 1990 e che estese ai lavo-ratori autonomi la stessa for-mula di calcolo dei lavoratoridipendenti senza adeguarecorrispondentemente i benefi-ci. Infine, ulla capitalizzazio-ne, pur riconoscendo al pro-fessor Castellino un grandeequilibrio, mantengo comun-que delle perplessità e dellediversità di vedute rispetto aquanto ha detto. Non bastauna valutazione sui rendi-menti, ma è necessario consi-derare, in termini di variabilimacroeconomiche complessi-ve, le ipotesi che stiamo met-tendo in gioco.

Quando si va sui rendi-menti, il fatto che si scelgaun’ipotesi di rendimento -reale per la capitalizzazione ditipo privatistico - del 3 percento rispetto a un’ipotesidell’8 e del 9 per cento, non èuna differenza fra ottimismo o

meno, ma tra un’impostazionesbagliata e una un po’ più cor-retta. Il vantaggio, peraltro, diragionare su rendimenti piùmodesti e contenuti dimensio-na il grande lavoro che ancorac’è da fare. Vero è che lariforma, per esempio, assorbein parte lo choc demografico,ma non c’è dubbio chequest’ultimo, di proporzioniassolutamente eccezionalici,imporrà comunque maggiorerisparmio. E’ importante averchiaro che non c’è un miraco-lo dei pani e dei pesci chepossa esser fatto né con laripartizione né con la capita-lizzazione. Sotto il profilodelle variabili macroeconomi-che messe in gioco l’ultimacosa che voglio ricordare èche quando ipotizziamo perlunghi periodi di tempo e pertutti gli investimenti (non soloper gli investimenti azionari)tassi di rendimento molto piùcontenuti di quelli di cui parlaFeldstein, ma comunquesuperiori al tasso di crescitadel Pil, stiamo ipotizzandoche una parte crescente deiprofitti finanzierà le prestazio-ni per un numero crescentedegli anziani.

Di fronte alla ipotesi chei salari cresceranno meno deltasso di crescita della produt-tività, mi chiedo che fine fac-cia il postulato dell’invarian-za delle quote distributiveche appartiene all’economianeoclassica e non a quellamarxista. ●

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IIl dato1 cui spesso si fariferimento per esprime-re riassuntivamente le

preoccupazioni sul tipo dievoluzione in corso dei siste-mi previdenziali è costituitodalla crescita del rapporto traspesa pensionistica e PIL.

Nelle prossime paginevorrei analizzare le cause diquesta evoluzione: quelleche hanno agito in passato equelle che si presume agiran-no in futuro.

Dall’analisi del passato edel futuro vorrei dunquederivare delle indicazioni perle scelte di politica economi-ca e previdenziale da effet-tuare nel presente.

Il passato. La crescitadel rapporto tra la spesa pen-sionistica e il PIL implica unaumento della quota di reddi-to correntemente prodottoche viene trasferito dagli atti-vi agli anziani; dal punto divista macroeconomico que-sta crescente redistribuzionepuò essere vista con preoccu-pazione ovvero come causadi riduzione del processo diaccumulazione e di sviluppo.

Per la verità, il dibattitoeconomico non offre risultaticonsolidati circa gli effettidei sistemi pensionistici edei loro diversi criteri difinanziamento sulla crescitaeconomica2; né esistono indi-cazioni teoriche su quale siail limite dell’entità dei trasfe-rimenti agli anziani da consi-derarsi macroeconomica-mente sostenibile. D’altraparte, prima ancora di poterindividuare quel limite, sipone un problema di misurae di confronto nel tempo enello spazio di questo generedi trasferimenti, i quali sonosempre esistiti ma hanno tro-

vato canali molto diversi, piùo meno soggetti a rilevazionestatistica.

Storicamente, la famigliae le sue regole di convivenzahanno rappresentato l’ambitoe la strumentazione più dif-fusi nell’applicazione dei tra-sferimenti intergenerazionali,dando luogo ad un informalemeccanismo di “ripartizione”del reddito familiare prodot-to dai componenti attivi.

Con lo sviluppo dei siste-mi pensionistici, la redistri-buzione del reddito a favoredegli anziani ha trovato diffe-renti canali istituzionali chein qualche misura hannosostituito quelli preesistenti,ma a differenza di questi ulti-

Felice Roberto Pizzuti

L’INTERVENTO - FELICE ROBERTO PIZZUTI

Affrontare con scelte intelligentil’inevitabile conflitto generazionale

Il sistema pubblico è più adatto a farsi garante del patto sociale

Il rapportotra prestazioni

pensionistiche e PILè un indicatore

della redistribuzionedel reddito

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mi hanno dato luogo adun’esplicita contabilizzazio-ne dei flussi trasferiti.

Il rapporto tra prestazionipensionistiche e PIL rimanenaturalmente un indicatoresignificativo della redistribu-zione del reddito corrente-mente prodotto ed è impor-tante indagare sulle cause delsuo aumento tendenziale esui possibili interventi idoneiad arrestare tale crescita.

A tal fine possiamodisaggregare il rapporto Sp.Pen./ PIL come indicato nelriquadro3, analizzando gliaspetti che hanno condiziona-to le sue singole componenti.

Il rapporto (2) è indicati-vo del grado di coperturadelle pensioni rispetto al red-dito della popolazione attiva4

ovvero del grado di distribu-zione del reddito a favore deipensionati. Esso è cresciutonella generalità dei paesi per

diversi motivi, ma soprattut-to per una ragione di caratte-re strutturale consistentenella progressiva entrata aregime dei sistemi pensioni-stici creati nel dopoguerra enegli anni successivi.

In base ad un’indaginesvolta dall’OCSE perl’insieme dei suoi paesimembri, tra il 1960 e il1985, l’aumento che si èverificato nel valore del rap-porto (2) ha contribuito inmisura del 33,2% alla cre-scita della quota della spesapensionistica di vecchiaiarispetto al PIL5.

La (7) rappresenta ilgrado di accesso al sistemapensionistico dei beneficiaripotenziali.

Nei paesi OCSE, il suoaumento ha rappresentato ilprincipale fattore di crescitadella spesa pensionistica inrapporto al PIL, incidendo in

misura del 38% sull’aumen-to del rapporto (1) nel perio-do 1960-856.

La (8) esprime il gradodi invecchiamento dellapopolazione ovvero il gradodi dipendenza degli anzianirispetto alla popolazione inetà da lavoro; secondo il giàcitato studio dell’OCSE,questa componente ha incisoin misura del 25,6%.

L’invecchiamento dellapopolazione dipende dallariduzione del tasso di fertilitàe dall’aumento dell’etàmedia di vita.

Un fenomeno chepotrebbe contrastare in variamisura la tendenza all’aumento dell’età mediadella popolazione è quellodell’ immigrazione.

Naturalmente entrambi irapporti (7) e (8), oltre chedagli altri requisiti perl’accesso al pensionamento,dipendono dalla fissazionedell’età pensionabile laquale, oltre che da fattoriistituzionali connessi allenorme che regolano i siste-mi pensionistici, dipendeanche da scelte individualiextra economiche e dallecondizioni del mercato dellavoro ovvero dalle condi-zioni della domanda edell’offerta di lavoro.

I rapporti (5) e (6) ripor-tati nel precedente riquadro,rappresentano le inverse,rispettivamente, del tasso diattività e del complemento a

Sp.Pen Pen.M. N°Pen_______ = ________ x _______PIL PIL/Occ Occ

...(1)…......…..(2)…..….…(3)

N°Pen N°Pen Pop F.Lav_____ = ________ x _______ x _______Occ Pop F.Lav Occ

…(3)…..….(4)….....…...(5)…......(6)

N°Pen N°Pen PopPen_______ = ________ x ________Pop PopPen Pop

...(4)….......….(7)……..…..(8)

Sp.Pen Pen.M. N°Pen PopPen Pop F.Lav_____ = ________ x _______ x _______ x _____ x ______PIL PIL/Occ PopPen Pop F.Lav Occ

...(1)……....(2)…….…(7)……...…(8)….…...(5).....…(6)

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uno del tasso di disoccupa-zione.

Nel periodo 1960-85,per i paesi OCSE, il prodot-to dei rapporti (5) e (6) èleggermente aumentato,contribuendo anch’esso,anche se in misura del solo3,2%, all’aumento del rap-porto Sp.Pen./PIL.

Ma nei paesi europei, ein Italia in particolare, i tassidi attività e di disoccupazio-ne sono peggiorati molto piùdella media OCSE, special-mente nel periodo successi-vo al 1985 (vedi tab 1).

In Italia nel ventennio1960-80, il tasso di attività ècalato più della media euro-pea, passando dal 66,6% al60,1, e successivamente è

ulteriormente diminuito finoal 57,8% nel 1998; questoultimo dato risulta inferioredi quasi 16 punti rispetto aquello medio dei sette prin-cipali paesi OCSE e di 9punti rispetto al dato euro-peo7 il tasso di disoccupazio-ne è salito dal 5,5% nel1960 al 5,6% nel 1980, al12,1 nel 1996 e al 12,2 nel19988 quest’ultimo dato èsuperiore di 1,6 punti aquello della media UE e di5,1 punti a quello dellamedia OCSE.

Specialmente in Italia,l’andamento dei rapporti (5)e (6) segnalano una carenzadei sistemi economici che percerti versi “spiazza” gli effet-ti demografici; infatti viene

lasciata inoccupata una con-sistente parte della popola-zione in età da lavoro chepure è relativamente esiguaper motivi demografici.

Va infine segnalato che,parallelamente all’ aumentodel tasso di disoccupazione,un ulteriore contributo allaspiegazione della riduzionedel tasso di crescita del PILverificatasi dagli anni ‘80 inpoi può essere rintracciatonella riduzione del tasso dicrescita della produttività.

Nei venticinque annicompresi tra il 1971 e il 1996la produttività del lavoro inItalia è aumentata media-mente del 2,06% l’anno; mamentre nei primi dieci annila media è stata del 2,57%,

Tab. 1 - Tassi di attività e di disoccupazione

________________________________________________________________________________________

Tassi di attività Tassi di disoccupazione

1960(*) 1980 1985 1990 1996 1998 1960 1980 1985 1990 1996 1998

________________________________________________________________________________________

Canada 62,8 73,0 75,1 77,9 76,0 76,3 ó,4 7,5 10,5 8,1 9,7 8,4

Francia 70,4 68,4 66,4 66,5 67,2 67,3 1,4 6,2 10,2 8,9 12,4 11,8

Germania 70,3 68,3 67,4 69,1 68,8 68,2 1,0 3,2 8,0 6,2 10,3 11,2

Italia 66,6 60,1 58,5 58,9 57,5 57,8 5,5 5,6 8,6 9,1 12,1 12,2

Giappone 75,8 71,8 72,5 74,1 76,9 78,1 I ,7 2,0 2,6 2,1 3,4 4,2

Regno Unito 72,0 74,0 74,7 76,4 75,3 75,2 1,3 6,2 11,6 5,9 8,0 6,5

Stati Uniti 66,2 71,0 72,8 76,5 77,0 77,5 5,4 7,2 7,2 5,6 5,4 4,5

Media G-7 69,5 70,0 70,6 72,9 73,2 73,6 3,3 5,3 7,2 5,6 7,0 6,7

Olanda 61,7 57,7 56,0 58,2 62,6 64,4 0,7 4,0 9,2 6,0 6,6 4,1

Media Ocse 69,4 69,0 69,0 69,9 70,0 70,5 3,4 5,6 7,7 6,0 7,5 7,1

Media Ue 68,3 66,2 65,8 67,0 66,6 66,8 2,3 5,6 10,2 7,9 11,3 10,6

________________________________________________________________________________________

* Ocse Histoncal Statistics (1996).

Fonte: Oecd, Economic Ouolook (antu van).

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nell’ultimo quindicennio ilvalore è sceso all’1,72%9.

Il futuro. Per il futuro,l’evoluzione organizzativadei sistemi pensionistici nondovrebbe esercitare più glieffetti di crescita sul rapportoSp.Pens./PIL avuti in passa-to; accadrà invece il contra-rio, poiché andranno a regi-me le riforme restrittivecominciate a prendere all’ini-zio degli anni ‘90.

Invece, stimoli alla cre-scita della spesa pensionisticain rapporto al PIL continue-ranno a venire dall’invec-chiamento demografico senulla si farà per contrastarnegli effetti.

Ulteriori effetti sull’andamento del rapportoSp.Pens./ PIL, positivi onegativi, saranno esercitatidalle prestazioni, positive onegative, del sistema econo-

mico in termini di crescita edi occupazione.

Le previsioni pensioni-stiche sulla base della legi-slazione esistente dipendonodunque strettamente dalleipotesi che si fanno perl’evoluzione demografica eper l’andamento delle prin-cipali categorie macroeco-nomiche.

In Italia, tra le proiezio-ni più accreditate si segnala-no quelle effettuate con ilmodello della RagioneriaGenerale dello Stato (RGS)utilizzato dal Governoanche nel gennaio 1998 perle previsioni ufficialmenteadottate nel piano di conver-genza verso l’Unione mone-taria europea10.

Nella tabella 2 sonoriportate le ipotesi concer-nenti i quadri normativi, ilquadro demografico e i

quadri macroeconomiciadottate in due recenti seriedi proiezioni effettuate conil modello RGS11. Sulla basedi queste ipotesi, per il rapp.Sp. Pen./ PIL, il mod RGS(genn. 98) prevede (vedifig.1) partendo da un valoresuperiore al 14 % nel perio-do iniziale, il rapporto salecon maggiore velocità finoal 2015 e poi più lentamentefino a raggiungere il massi-mo del 15,79% nel 2032successivamente la curvascende fino a raggiungere il14,24% nel 2045.

Le ipotesi adottate nellaproiezione ufficiale si basa-no sull’adozione di uno sce-nario futuro che, se si realiz-zasse, sarebbe preoccupantenon tanto e non solo per ilsistema pensionistico, quan-to e soprattutto per il sistemaeconomico e sociale com-plessivo.

Specialmente per legenerazioni degli anzianiverrebbe smentita una con-cezione oramai storicamenteradicata nella cultura deipaesi occidentali che inter-preta il benessere economicoin chiave costantementeespansiva.

Non è dunque irragione-vole pensare che possanoinnescarsi delle reazioni ascenari così preoccupanti:sia a livello di comporta-menti spontanei, sia a livellodi scelte di politica economi-ca e sociale.

Si tornerà successiva-

Tab. 2 - Ipotesi adottate in alcune previsioni della RGSPrevisioni gennaio 1998 (a)

Quadro normativo (*) Legge 449/97 (Finanziaria per il 1998)Quadro demografico Scenario Istat con dinamica centraleQuadro macroeconomicoTasso di attività medio 1994 56,4%

2045 62,0%

Tasso di occupazione 1994 88,6%2045 91,0%

Tasso di crescita produttività 1996-2006 1,5%2007-2015 1,8%2016-2025 2,2%2026-2045 2,6%

Tasso di crescita Pil reale primi 10 anni 1,7-1,8%periodo successivo 1,5%

(*) Le previsioni tengono conto automaticamente della rideterminazione ogni dieci anni dei coefficientidi trasformazione prevista dalla L.335/95. In rapporto all’andamento demografico (non è considerato ilprevisto adeguamento al tasso di variazione del PIL)(a) Italy’s convergence towards Emu (Ministero del tesoro, 29.1.98).

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mente su quali potrebberoessere queste reazioni spon-tanee e di politica economi-ca; per adesso vediamocome tali reazioni potrebbe-ro esercitare effetti sullo sce-nario futuro nel cui ambitosi evolverà la spesa pensio-nistica.

Utilizzando sempre ilmodello previsionale RGS,ragionando a legislazioneattuale invariata, si possonovalutare i singoli effetti deri-

vanti dai diversi possibiliandamenti di ciascuna dellevariabili macroeconomiche edei flussi immigratori:- sul rapporto Sp. Pens./ PIL- sul rapporto Pen. Med./PIL per Occ.- sul rapporto N. Pen./ Occ.- sui tassi di crescita del PILe del PIL procapite.

Per una analisi dettaglia-ta dei singoli effetti sull’andamento di questi rapportiesercitati da ciascuna ipotesi

sull’evoluzione di ognunadelle grandezze macroeco-nomiche e demografiche sirimanda al lavoro più estesorichiamato nella prima nota.Qui verranno illustrati solo idifferenti effetti complessivisul sistema pensionistico chesono prevedibili in corri-spondenza a tre scenarimacroeconomici e demogra-fici posti a confronto con loscenario e le proiezioni uffi-ciali del ’98 ( vedi Tab. 3).

Tre nuovi scenaridi prestazione. NellaFig. 2 sono stati ipotizzatitre nuovi scenari macroeco-nomici e demografici deri-vanti da diverse combinazio-ni delle ipotesi evolutive inmateria di:a) flussi immigratori;b) tassi di attività;c) tassi di occupazione;d) crescita della produttività.

Per ogni scenario sonostate effettuate nuove proie-

zioni con il mod. RGS chesono messe a confronto conquelle del gennaio 98 (sce-nario D) considerato comescenario base.

Scenario A (di riferi-mento): ottenuto modifican-do lo scenario base D (Pianosi convergenza), assumendola crescita della produttivitàfissa al 2%.

Scenario B (ottimista):scenario A modificato con:• crescita graduale nel perio-

do 2000-2005 della produtti-vità dal 2 al 2,5% che poirimane fissa al 2,5%;• tassi di attività femminiliche aumentano del 10%;• tassi di disoccupazione chescendono fino al 5% nel2015 e poi si attestano a quelvalore per tutto il periodo;• flusso di immigrati aggiun-tivo fino a 150.000 l’annonel 2015 con TFT = 1,4.Scenario C (pessimista):scenario A modificato: 31

18,00 %

17,00 %

16,00 %

15,00 %

14,00 %

13,00 %

Figura 1 - Previsioni RGS: andamento del rapporto spesa - pensionistica / Pil

2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045Previsioni RGS gennaio 1996

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• assumendo la crescita dellaproduttività fissa al 1,5%;• sono escluse le possibilità diulteriori riduzioni dei tassi diattività, di occupazione e deiflussi immigratori rispettoallo scenario di riferimento.

Nella Fig. 2 vengonodunque messi a confronto gliandamenti del rapporto Sp.Pen./ Pil nei tre scenari A, B,C e nello scenario adottatonel Piano di convergenza (D).

Lo scenario B è quellopiù ottimistico: il rapportoscende fin dall’inizio, arri-vando ad un minimo del13% che persiste nel periodo2015-2020; risale poi fino al13,8 nel 2035 e si ricollocaal 13% alla fine del periodo.

L’evoluzione del rap-porto nello scenario D si

intreccia con quelli degliscenari A e C, risultando piùpessimista nell’immediato epiù ottimista nella secondaparte del periodo.

Nello scenario C piùpessimista (già visto nellafig.1) il rapporto arriva asfiorare il 18% nel 2035 perpoi calare fino al 16,7% allafine del periodo.

I risultati ottimisticidello scenario B si spieganoin buona parte con l’effettoesercitato dalla minor cresci-ta del rapporto N. Pen/ Occ.

Anche il maggior calodel rapp. Pen. Med./ Pil perOcc. contribuisce, ma inmisura minore, e tende ascomparire alla fine delperiodo.

I risultati positivi con-

nessi allo scenario B trovanor iscontro , na tura lmenteanche negli andamenti delPIL e del PIL procapite.

La valutazione degliscenari e l’autorealizza-zione delle ipotesi. Le ipo-tesi che sottostanno agli sce-nari previsivi utilizzati nelleprecedenti proiezioni delmod. RGS rientrano senzadubbio nel novero di quelleragionevolmente possibili;ma, come si è detto, è altret-tanto ragionevole ipotizzaredi avere scenari diversi, piùo meno ottimistici.

Nell’ambito dei nuoviscenari ipotizzati, quello B -il più ottimistico - si fondasull’ipotesi che le tendenzeeconomiche negative indotte

Tab. 3 - Ipotesi adottate in quattro scenari previsivi per l’applicazione del modello RGS nel periodo 1998-2045.

Scenario A Scenario B Scenario C Scenario D(di riferimento) (ottimista) (pessimista) (previsioni per l’EMU)

Quadro normativo Legge 449/97 Legge 449/97 Legge 449/97 Legge 449/97

Quadro Scenario Istat con Scenario Istat con Scenario Istat con Scenario Istat con demografico dinamica centrale dinamica centrale e dinamica centrale dinamica centrale

(50.000 immigrati netti l’anno) aumento degli immigrati (50.000 immigrati netti l’anno) (50.000 immigrati netti l’anno)fino a150.000 l’anno nel 2015

Quadro macroeconomico

Tasso di attività medio Dal 56.4% iniziale al Dal 56.4% iniziale al 68% nel 2015 Dal 56.4% iniziale al Dal 56.4% iniziale al62% nel 2045 e per il periodo successivo 62% nel 2045 62% nel 2045

Tasso medio disoccupazione Dall’88,6% iniziale al Dall’88.6% iniziale al 95% nel 2015 Dall’88,6% iniziale al Dall’88,6% iniziale al91% nel 2045 e per il periodo successivo 91% nel 2045 91% nel 2045

Tasso di crescita produttività1998-2000 1,5-2,0% 1,5-2,0% 1,5-2,0% 1,5%2001-2005 2,0% 2,0-2,5% 2,0-1,5% 1,5%(*)2006-2015 2,0% 2,5% 1,5% 1,8%(**)2016-2025 2,0% 2,5% 1,5% 2,2%2026-2045 2,0% 2,5% 1,5% 2,6%

(*) Fino al 2006 (**) Dal 2007

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dall’evoluzione demograficain corso inneschino nuovicomportamenti spontanei emisure di policy di tipo reat-tivo non solo in campo eco-nomico ma anche in campodemografico.

Gli altri scenari conside-rati aggiungono invece allenegative tendenze demografi-che il permanere di tendenzestagnazioniste nel mercato dellavoro. Tra questi, lo scenariopiù pessimista (C) aggiungel’ipotesi di una più contenutaevoluzione della produttivitàmedia del lavoro.

La scelta tragli scenari vafatta non solo inbase al grado diragionevolezzache è possibilericonoscere alleipotesi implicite,ma tenendoconto anchedella possibilitàche la sceltadello scenario inqualche misurapresenta aspettidi autorealizzazione.

Ad esempio, prevedereper il futuro quote elevate(contenute) delle spese pen-sionistiche sul PIL, può indur-re oggi politiche di bilanciopiù restrittive (espansive) perle altre voci di spesa, ma iconseguenti effetti depressivi(espansivi) sulla crescita delPIL contribuiranno a rendereeffettivamente più elevato

(basso) il rapporto Sp. Pen./PIL; in tal modo verrebberoconfermate le previsioni pes-simistiche (ottimistiche) ini-zialmente fatte.

Il meccanismo dell’auto-realizzazione delle ipotesirichiede alcune avvertenze ecommenti. Il suo funziona-mento implica un’adeguatareattività anticongiunturale daparte dei decisori della politi-ca economica, la quale -peraltro - deve essere effica-ce, ovvero deve esserci unacorrelazione positiva tra ilsegno della politica economi-

ca e la variazione del PIL.Ma proprio l’esperienza

degli ultimi anni mostra chele misure di politica economi-ca restrittive sono state fre-quenti ed effettivamentehanno avuto un ruolo di con-tenimento sulla crescita delPIL. D’altra parte, non man-cano elementi per ritenere cheanche una politica economicaespansiva sarebbe nelle con-

dizioni di essere efficace.Si pensi ad esempio ai

consistenti e prolungati tassidi disoccupazione, al rallenta-mento della crescita, ai chiarisegni di carenza di domandache caratterizzano la nostraeconomia e quella europea damolti anni e all’allentamentodel vincolo estero conseguen-te alla creazione dell’UME.Numerose economie medio-piccole molto aperte al com-mercio estero si sono trasfor-mate in una sola area econo-mica e valutaria molto menoaperta; questa nuova situazio-

ne è molto più favorevoleall’efficacia di politicheespansive.

L’adozione delle ipotesisul futuro dunque non è neu-trale, ma può avere effetti suicomportamenti spontanei esulle scelte di politica econo-mica e dunque sulle tendenzeche si realizzeranno nel siste-ma economico.

Le ragioni della crescita

20%

19%

18%

17%

16%

15%

14%

13%

12%1998 2003 2008 2013 2018 2023 2028 2033 2038 2043 2048

AB

CD

Figura 2 - Spesa in rapporto al Pil e sua scomposizione sotto differentiscenari macro - economici e demografici

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passata e di quella ancora pre-vista per il futuro del rapportoSpes.Pens./PIL, sono molte-plici. Alcune sono legate alnaturale processo di matura-zione dei sistemi pensionisti-ci. In altri casi la crescitariflette comportamenti pocooculati o addirittura opportu-nistici sia da parte dei respon-sabili politici, sia da partedegli stessi beneficiari; spe-cialmente per il futuro, perl’andamento del rapporto Sp.Pens./ PIL, sono rilevanti gliandamenti demografici e irisultati economici complessi-vi. È possibile e auspicabileche le tendenze pessimisticheda alcuni previste possanoessere contrastate da reazionispontanee che ad esempiocontribuiscano ad invertire ilcalo della natalità o che spin-gano a prolungare la vitalavorativa.

Ma, a fianco di queste edaltre possibili reazioni sponta-nee, sono comunque necessariinterventi di politica economi-ca e in particolare di politicaprevidenziale.

Esistono margini di rea-lizzazione della spesa, comel’eliminazione di trattamentidi favore per alcune categorieo generazioni. Tra le cause ditrattamenti disomogenei, sipuò ricordare, ad esempio, lo“scalino” dei 18 anni di anzia-nità che fa da spartiacque tracoloro per i quali il calcolodelle pensioni è fatto esclusi-vamente con il metodo contri-

butivo e coloro per i quali ilcalcolo include anche unacomponente della pensionecalcolata con il metodo retri-butivo. Gli effetti delle ten-denze demografiche sono dif-ficili da contrastare ma esisto-no comunque margini dimanovra ad esempio:

A) mediante politiche dipianificazione e controllodell’immigrazione.

A fronte di previsionidemografiche che segnalanoun calo della popolazione finoal 20% del suo ammontareattuale e un suo forte invec-chiamento e considerando lacrescente indisponibilità dellapopolazione residente a svol-gere alcuni tipi di lavorinecessari, non dovrebbe esse-re impossibile una gestioneintelligente di politiche di pia-nificazione e controllodell’immigrazione.

B) Con una maggiorofferta di servizi all’infanzia ealle famiglie che aiutino ledonne nel loro doppio ruolofamiliare e lavorativo.

C) Tramite la diffusionedel part-time, la riduzionedell’orario e tutti i provvedi-menti in grado di conciliaremaggiormente il tempo dilavoro e le attività personali,familiari e sociali che favori-rebbero l’aumento del tasso diattività e del tasso di natalità.D) Stimolando l’aumentodell’età media di pensiona-mento con incentivi attuarialie miglioramento delle condi-

zioni di lavoro.Tutti gli sforzi per soppe-

rire all’invecchiamento demo-grafico, tesi cioè ad aumenta-re l’offerta di lavoro, sarebbe-ro tuttavia vani se il sistemaeconomico non venisse aiuta-to nella crescita e nella crea-zione di posti di lavoro. Comesi può procedere, in generale,per rilanciare la crescita el’occupazione e più specifica-mente, cosa si può fare incampo previdenziale?

Si sta diffondendo la tesiche per rilanciare la crescita sidebba complessivamente econsistentemente ridurre ilbilancio pubblico: tagliare laspesa per poter ridurre le ali-quote del prelievo fiscale.

Tra le ipotesi in discus-sione ci sono quelle di ridurredi una decina di punti rispettoal PIL sia le entrate che leuscite; entrambe, dunque, siridurrebbero di poco meno diun quarto rispetto ai valoriattuali; si tratterebbe di uncambiamento strutturale daattuarsi in tempi rapidi.

Un taglio consistente delbilancio pubblico inevitabil-mente dovrebbe coinvolgerein modo sostanziale il bilan-cio dello Stato sociale e, piùspecificamente, il bilancio delsistema previdenziale pubbli-co. Per la verità non si trattadi idee nuove: come imposta-zione si richiamano alla stra-tegia di politica economicache si è progressivamenteaffermata nell’ultimo venten-

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nio e che in Europa ha trovatoespressione nello “spirito diMaastricht”.

Questa politica ha portatoanche a risultati intermedipositivi come la sconfittadell’inflazione e l’inversionedi tendenza del peggioramen-to dei conti pubblici.

Ma questi risultati, cheerano presentati come il pre-supposto di una immediata esicura ripresa della crescita edell’occupazione, hanno fino-ra fallito rispetto agli obiettivifinali che sono quelli rispettoai quali qualsiasi politica eco-nomica va giudicata. In tuttaEuropa, queste politiche sisono accompagnate ad unasostanziale riduzione dei tassidi crescita fino a rasentare lastagnazione e ad un aumentopiù che doppio della disoccu-pazione.

In Italia, dove le politichedi stabilizzazione sono stateparticolarmente stringenti,anche il peggioramento dellegrandezze reali dell’economiaè stato inevitabilmente piùaccentuato: il tasso di disoc-cupazione è salito dal 5,6%nel 1980 al 12,2% nel 1998.

La riduzione del costo deldenaro, la riduzione del costodel lavoro e la contrazionedella presenza pubblica inmolti settori produttivi, purmigliorando sensibilmente lecondizioni d’offerta per leimprese, non sono state suffi-cienti a stimolare nuovi inve-stimenti privati capaci d’inno-

vare il nostro sistema produt-tivo e accrescerne la competi-tività. Invece, è stato sottova-lutato il ruolo depressivo dellepolitiche di stabilizzazionesulla domanda effettiva, la cuipersistente limitatezza datempo costituisce un serioostacolo alla concretizzazionein termini di crescita e dioccupazione dello stessomiglioramento delle condizio-ni d’offerta.

La scommessa di unariduzione sostanziale delbilancio pubblico sta nellasperanza che lo stimolodepressivo di un calo dellaspesa pubblica verrebbe piùche compensato dallo stimoloespansivo di una riduzionedelle aliquote fiscali.

Ma si tratta di una speran-za che non trova sufficientielementi di conforto né inconsolidati ragionamenti teo-rici, né in riscontri fattualilegati alla situazione attualedella nostra economia.

In generale, mentre uncalo della spesa pubblica sitraduce per intero inun’immediata riduzione delladomanda effettiva (che poiinnesca gli effetti moltiplicati-vi negativi sul PIL), un abbas-samento delle entrate fiscalinell’immediato fa sì aumenta-re di un pari ammontare ilreddito disponibile degli ope-ratori privati, ma accrescesolo in misura inferiore ladomanda effettiva (e i suoieffetti moltiplicativi positivi

sul PIL) poiché parte del red-dito viene risparmiato (e nonspeso).

Si aggiunga poi che men-tre l’effetto depressivo di uncalo della spesa pubblica èimmediato, lo stimolo espan-sivo derivante da un calo delletasse ha tempi più lunghi.Questa asimmetria temporalegiocherebbe un ruolo partico-larmente negativo nell’attualecongiuntura economica carat-terizzata da una persistentecarenza della domanda.

Quanto ai dati di fatto,nella situazione specifica ita-liana, proprio l’esperienzadegli ultimi anni non autoriz-za a sperare che ulteriorimiglioramenti nelle condizio-ni d’offerta che si concentras-sero sulla riduzione del costodel lavoro (già il più bassonell’ area dell’ EURO) rilan-cerebbero gli investimenti pri-vati nella misura necessaria agiustificare le virtù espansiveattribuite ad un contempora-neo calo delle entrate e delleuscite del bilancio pubblico.

Senza cadere nelle inter-pretazioni opportunistiche e dicomodo del pensiero keyne-siano che certa politica ha pra-ticato nei passati decenni nelnostro paese, nell’attuale con-giuntura economica sembraaddirittura evidente la neces-sità che la politica economicadia il necessario contributo disostegno al mercato. Partico-larmente in campo sociale,coerentemente agli insegna-

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menti della stessa teoria eco-nomica liberale, in diversecircostanze il ruolo pubblicosi dimostra quanto mai neces-sario, non solo per motivi diequità, ma anche per motivi diefficienza economica.

A quest’ultimo riguardo,sarebbe illusorio pensare cheuna consistente sostituzionedel sistema pensionistico pub-blico a ripartizione con quelloprivato a capitalizzazionepossa incentivare la crescita erisolvere o alleggerire lepreoccupazioni dell’ aumentodel rapporto Spesa pens./PIL.Il minor versamento di contri-buti previdenziali si tradurreb-be in un corrispondenteabbassamento delle prestazio-ni pensionistiche pubblicheche tuttavia riguarderebbe ipensionati futuri; ma nel frat-tempo le pensioni in esseredovrebbero pur essere pagate.

Per i pensionati futuri sipensa ad un’integrazione dellacopertura pensionistica affida-ta alla previdenza privata acapitalizzazione, la qualeperò, oltre ad immediatiincentivi pubblici, richiedesubito le risorse finanziarieper la creazione delle riserve.

Questi interventi struttu-rali in campo pensionisticoimplicano dunque, per ilbilancio pubblico, un consi-stente peggioramento cheandrebbe subito compensatocon ulteriori tagli di spesa e,per il mondo del lavoro, lanecessità di un risparmio

aggiuntivo anch’esso imme-diato. In particolare, i lavora-tori vedrebbero ulteriormenteridotto il loro reddito com-plessivo (inteso come sommadella busta paga, più il tratta-mento di fine rapporto, più lapensione) e ciò andrebbe ascapito delle già scarse dispo-nibilità per i consumi correnti.

Nell’insieme si avrebbeuna consistente redistribuzio-ne a danno dei lavoratoridipendenti e un conseguentecalo della domanda effettivache, in base ad una speranzaingiustificata, dovrebbe esserepiù che compensato dai mag-giori investimenti privati sti-molati dal calo del peso fisca-le sulle imprese.

Ciò che non viene com-preso è che per convincereun’impresa a fare investimen-ti, la presenza di convenienticondizioni d’offerta non è suf-ficiente; è necessaria ancheuna ragionevole certezza checi sarà una domanda paganteper ciò che si produce. Ma èproprio quest’ultima che oggimanca maggiormente. Nonandrebbe poi sottovalutatol’evidente costo in termini dicoesione sociale che una ulte-riore spinta redistributivacomporterebbe.

Alla proposta che si vaaffermando di una riduzioneconsistente della previdenzapubblica a ripartizione perlasciare spazio alla previdenzaprivata a capitalizzazione ven-gono attributi altri vantaggi

molto discutibili.Si sostiene ad esempio

che gli investimenti in azionidel risparmio previdenzialeoperato dai fondi pensionisticia capitalizzazione sarebberopiù redditizi e darebbero piùconsistenza alla nostra Borsa.A tale riguardo, va in primoluogo ricordato il dato di fattoriscontrato in tutto il mondoche i costi di gestione deifondi pensione privati sonoconsistentemente superiori aquelli dei sistemi pensionisticipubblici. Non è questione didiversa efficienza dei gestori;si tratta di una superioritàstrutturale connessa al fattoche la ripartizione del rischioè più sicura e meno costosaquando si ripartisce su unmaggior numero di assicurati.

In secondo luogo, è diffi-cile pensare che nell’arco dicirca 60 anni (periodo lavora-tivo più periodo di pensiona-mento) i rendimenti dei premiassicurativi versati ai fondi eimpiegati in Borsa possanoessere sicuramente e apprez-zabilmente superiori al tassodi crescita del PIL (che costi-tuisce il rendimento dei con-tributi sociali versati al siste-ma pensionistico pubblico);ne discenderebbe infatti unacontinua redistribuzione afavore delle rendite finanzia-rie e a danno dei settori pro-duttivi difficilmente sostenibi-li anche ai fini della crescitaeconomica.

Ma, ammessa e non con-

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cessa, tale eventualità impli-cherebbe una crescita dellepensioni superiore a quella deiredditi da lavoro e un aumen-to della spesa pensionisticarispetto al PIL, cioè del rap-porto che tutti dicono di volerridurre.

D’altra parte, investire sumercati finanziari di paesi inrapido sviluppo (che teorica-mente potrebbero garantirerendimenti maggiori) oltreche rischioso (vedi l’esperien-za delle borse asiatiche),implica una fuoriuscita dirisparmio nazionale a favoredi altri sistemi produttivi.

In terzo luogo, non v’èdubbio che la Borsa italianasia “poco spessa” e controllatada un ristretto ambito di ope-ratori; la presenza di un mag-gior numero di grandi inter-mediari finanziari - come ifondi pensioni - potrebbemigliorare la situazione a van-taggio dell’intero sistema eco-nomico. Tuttavia, i limitiattuali della nostra Borsa deri-vano non da una scarsadomanda di titoli azionari mada una cronica indisponibilitàdi offerta degli stessi da partedelle imprese.

Il grosso delle impreseitaliane è controllato da chinon ha interesse a quotarsi inborsa poiché reputa che i purrilevanti vantaggi di poteraccedere ad aumenti di capita-le siano insufficienti a contro-bilanciare i “rischi” dellamaggior trasparenza che la

quotazione implica.

Conclusioni. Per conclu-dere, è innegabile che l’invec-chiamento demografico e lealterne vicende dei sistemieconomico-sociali possonoindurre sperequazioni tragenerazioni diverse.

Ma, oltre che innegabile,per molti aspetti è anche ine-vitabile. A meno di pensareche i sistemi economico-sociali possano riproporsi neltempo sempre eguali a se stes-si, è inevitabile che generazio-ni diverse risentano delle dif-ferenti condizioni demografi-che ed economiche. Le gene-razioni che sono andate inpensione nel dopoguerrahanno perduto tutti i lororisparmi previdenziali gestiti acapitalizzazione perché ilsistema produttivo semplice-mente non era in grado dionorare in termini reali i loro idiritti acquisiti.

In quel caso fu il mercato,tramite l’inflazione che sen-tenziò l’indisponibilità diattingere al reddito corretta-mente prodotto per pagare lepensioni. Solo quando neglianni successivi il sistema pro-duttivo iniziò a riprendersi, lacollettività cominciò a riparti-re parte del reddito a favoredegli anziani, e lo fece con inuovi sistemi pensionistici aripartizione.

Le generazioni andate inpensione negli anni ’60 - ’70,a prescindere da qualche pro-

messa ingiustificatamentegenerosa motivata da esigenzedi consenso politico, hannoinvece usufruito di condizionidemografiche ed economichemolto più favorevoli che sisono tradotte nell’accesso aprestazioni non adeguatamen-te giustificate da precedentistorie contributive. Il punto èche nessun sistema pensioni-stico può assicurare con cer-tezza le prestazioni future, lequali inevitabilmente sonocondizionate dalle condizionidemografiche, economiche esociali che si verificheranno.

Semmai, pur non contan-do sulla presenza di riserveindividuali, è il criterio dellaripartizione gestita pubblica-mente che è più sicuro dellacapitalizzazione. Esso infattisottintende un patto socialeintergenerazionale che è sem-pre esistito e che nel sistemapubblico è garantito dalla col-lettività organizzata e dallesue istituzioni che sono le piùattrezzate per far rispettarepatti che coinvolgono genera-zioni di epoche diverse.

Per quanto riguarda laspesa pensionistica nel suocomplesso - pubblica e priva-ta - bisogna entrare nell’ordi-ne di idee che se aumenta laquota degli anziani sullapopolazione è inevitabile cheil flusso di reddito richiestoper il loro sostentamentotenda ad aumentare.

Si tratta di una tendenzache non necessariamente

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1 ) Questo articolo è una versione sintetica del saggio Trasferimenti intergenerazionali, previsioni pensionistichee politica economica in Acocella, Rey, Tiberi (1999): Saggi in onore di Federico Caffè, Vol. III Franco Angeli,Roma.

2) Al netto dei fenomeni di complementarietà e sostituzione tra le diverse forme di finanziamento del redditodegli anziani, ovvero, a parità di tutte le altre circostanze (in particolare, degli altri flussi di trasferimento formalie informali esistenti), la redistribuzione del reddito a favore della popolazione più anziana operata tramite i siste-mi pensionistici può influenzare la formazione del risparmio; tuttavia non esistono indicazioni certe ed univochesul segno e l’entità dell’eventuale variazione del risparmio; cfr. Pizzuti Economia e politica della previdenzasociale, in Castellino (1995), Le pensioni difficili, Il Mulino, Bologna, paragrafi 3.1-3.7, e la bibliografia in essocitata.3) Il significato dei simboli è il seguente: Sp.Pen = spesa pensionistica; Pen.M. = Pensione media; N°Pen =Numero dei pensionati (si estrae dal problema della differenza tra il numero delle pensioni e dei pensionati); PIL= Prodotto interno lordo; Occ = Occupati; Pop = Popolazione in età lavorativa; F.Lav = Forza lavoro; PopPen =Popolazione in età di pensionamento. 4) Il tasso di rimpiazzo delle pensioni rispetto al reddito da lavoro può essere espresso in vario modo: ad esempio,a livello micro, si può rappresentare il valore della prima annualità di pensione all’ultima annualità di salario; alivello macro, si può rapportare il valore medio delle pensioni erogate al valore medio dei redditi da lavoro.5) Cfr. OECD, Reforming Public Pensions, Paris (1988). In Italia, in base allo stesso studio dell’OCSE, il tasso dirimpiazzo (synthetic replacement rates of old-age pensions for workers with average wages in manufacturing)sarebbe passato da 62 nel 1969 a 69 nel 1980; in base ad una ricostruzione effettuta dal prof. Coppini, il rapportotra importo medio delle pensioni e reddito per abitante sarebbe invece aumentato dal 22,57% del 1946, al 42,99nel 1969, al 41,87 del 1987 (Cfr. Coppini 1989).6) Cfr. OECD (1988) op. cit.7) Tra i paesi europei, andamento e valori del tasso di attività simili a quelli italiani si sono avuti in Grecia dovenel periodo 1960-80 il tasso è sceso dal 65,7 al 57,1% per poi risalire fino al 60,7% nel 1996.8) Anche per il tasso di disoccupazione in Grecia si registra un andamento simile a quello italiano: il tasso è sen-sibilmente sceso nel ventennio ‘60-80, passando dal 6% al 3%, ma poi è risalito fino al 10,4% del 1996.9) Peraltro, la valutazione dell’andamento della produttività va fatta con cautela, sia per gli elementi di circolaritàimpliciti nelle modalità del suo calcolo, sia per i grandi mutamenti intervenuti nella composizione settorialedell’economia durante il periodo considerato nel quale è fortemente cresciuto il peso dei servizi, caratterizzato daminori possibilità di crescita della produttività.10) Cfr. Ministero del Tesoro, Italy’s Convergence Towards Emu Mineo: (1998); in particolare vedi la fig. 19.Altre previsioni recentemente presentate in materia pensionistica sono quelle dell’ISTAT; vedi ISTAT (1998).11) Si tratta delle proiezioni effettuate nel 1997 (sulla base del quadro normativo successivo alla L. 335/1995,“riforma Dini”, e del quadro demografico basato sullo scenario ISTAT con dinamica centrale) e nel 1998 (sullabase del quadro normativo successivo alla L. 449/1997, “legge finanziaria per il 1998”, e nuove ipotesi macroeco-nomiche). Per la specificazione del modello RGS e per il dettaglio delle ipotesi e dei risultati delle previsionieffettuate nel ‘97 vedi Ministero del Tesoro-Ragioneria Generale dello Stato (1996 e 1997). Il quadro normativoaggiornato alla L. 449/97 (L. finanziaria per il 1998) utilizzato nella proiezione più recente (inserita nel piano diconvergenza verso l’UME) è sinteticamente riportato il Ministero del Tesoro (1998).12) Caffè (1986), Pubblico e privato in tema di pensioni: perfezionare, senza inquinare i ruoli, Previdenza Socia-le, n°4-5.

implicherà una riduzione delreddito a disposizione degliattivi, ma in ogni caso dovràessere affrontata con intelli-genza, lungimiranza, effi-cienza e senso di civiltà.Non sembra invece auspica-bile il ricorso al “metodo

della pertica” richiamato daFederico Caffè in un suosaggio sulla previdenza12,nel quale ricordava il modoseguito in alcune tribù afri-cane per garantire la stabi-lità demografica: “… le per-sone anziane divenute inca-

paci di dare ogni pur mini-mo contributo alla comunitàvenivano portate sulla rivadi un fiume profondo e spin-te, dolcemente ma inflessi-bilmente, con lunghe perti-che verso il punto di nonritorno”. ■

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IIl sindacato viene pre-sentato da molti com-mentatori politici come

il simbolo della conservazio-ne, come l’organizzazione daabbattere per consentire losviluppo della società finoalla considerazione da partedi alcuni notisti politici diuna sua presunta inutilitàcome rappresentante di inte-ressi. D’altra parte, questa èla visione che guida anche ireferendum radicali, soprat-tutto quelli che riguardano ilsindacato.

Da questi ultimi sonoinvece scomparsi i referen-dum sugli ordini professio-nali, eppure i giovani di cuitanto si parla, incontranosempre più difficoltà a entra-re in tali ordini, che sonoormai organizzazioni chiusein difesa dei propri interessi.Solo le organizzazioni dirappresentanza degli interes-si dei lavoratori vengonomesse in discussione: lealtre, a quanto pare, nonsono per definizione portatri-ci di interessi corporativi esettoriali.

La modernità, allora,

consiste nel consentire larappresentanza solo ad alcu-ne componenti della societàe negarla ad altre. Credo chei politologi farebbero bene adare qualche spiegazione suciò, per farci capire l’imma-gine di società che si va deli-neando.

Siamo conservatori sullepensioni: questo ci si dice.Ma gli interventi fatti dal‘92 al ‘97 con l’accordo deisindacati non trovano con-fronti con quelli fatti neglialtri paesi. Se stiamo alleproiezioni della Ragioneriagenerale dello Stato, i prov-vedimenti adottati hanno

abbassato di almeno seipunti le previsioni di spesa intermini di Pil, si tratta di piùdi 120.000 miliardi. Se que-sti sono, come qualche com-mentatore sostiene, interven-ti marginali, vorrei capirequali sono i sostanziali!

Il sindacato, quindi, inquesti anni lungi dall’esserstato conservatore ha dimo-strato di saper cambiare, anzidi rappresentare il motoredel cambiamento. Vorreiricordare a quei commenta-tori politici che ritengono ilnostro comportamentoresponsabile dell’incerta per-manenza dell’Italia nel con-testo europeo, che molti di

Non anticipare la data del 2001per la verifica sulle pensioni

IL DIBATTITO - MAURIZIO BENETTI

Il sindacato rappresenta ancora il motore del cambiamento

Maurizio Benetti

““Monitorarecostantemente

il sistemapensionistico

pubblico

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essi, in anni precedenti,erano sul fronte degli euro-scettici. Convinti che nonsaremmo mai entrati inEuropa, ritenevano inutilipersino gli sforzi sostenuti.Loro malgrado vi siamoentrati. E in questo ingressoun ruolo fondamentalel’hanno avuto gli accordi del‘91, del ‘92 e del ‘93, sullacontingenza e sulla concerta-zione, e agli interventi sullepensioni, senza i quali ogginon avremmo l’attuale tassodi inflazione, la diminuzionedei tassi di interesse, nonavremmo rispettato i vincolidi Maastrichtt. A tutto ciò hacontribuito in manierasostanziale il sindacato ita-liano, e non senza ampiediscussioni al suo interno,perché, come ha asserito il

professor Castellino è piùsemplice discutere di questecose in un’aula universitariache di fronte ad un’assem-blea di lavoratori ai quali si

deve spiegare il perché di unmutamento delle regole pen-sionistiche. Diventa difficilediscuterne soprattutto quan-do essi controbbattono alrappresentante sindacalefacendo riferimento a perma-nenti situazioni di privilegio,quali, per esempio, quelledei deputati e dei senatori, ilproblema dell’equità è reale.E’ vero che dal punto di

vista macroeconomico unconto sono le pensioni deimilioni di lavoratori dipen-denti e un altro quelle di pic-coli settori. Ma per il lavora-

tore l’aspetto macroecono-mico è meno percepibilementre confronta la sua con-dizione con quella di unqualsiasi altro componente disettori privilegiati. Voglioricordare in proposito che,nel ‘94, non abbiamo dovutofaticare molto per portare ilavoratori in piazza. Ricor-do, altresì, la sorpresa quan-do in molte fabbriche del

Il sindacato ha dimostratodi saper cambiare

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Nord, in cui da anni non siscioperava, i lavoratori chein massa avevano votato perla Lega Nord, scesero insciopero contro il loroGoverno che intervenivasulle pensioni!

Per tornare ai temi pro-posti dal seminario, siamoanche noi convinti che ilsistema pensionistico vadacontinuamente monitorato,proprio perché siamo difen-sori del sistema pubblico esappiamo che a rimetterci daun suo fallimento e da unpeggioramento dei contidello Stato sono proprio ilavoratori.

Quello che non riusciamoa capire, però, è questa dram-matizzazione improvvisa.

Nel patto di Natale siera stabilita la data del 2001per la prima verifica sullariforma. Cosa è successo daNatale ad oggi dal punto divista della spesa pensionisti-ca? Ci sono stati improvvisi

cambiamenti, tali da indurread anticipala? Ci risulta dino: nulla è cambiato, né intermini immediati né a brevetermine.

Ci sono i problemi di

medio-lungo periodo e delperiodo compreso tra il 2005e il 2010 e ci sono i problemidella “gobba” ma si puòdiscutere molto su lle proie-

zioni effettuate..Si fanno molti raffronti

internazionali: vorrei ricor-darne soltanto due. Si diceche la nostra spesa pensioni-stica sia superiore a quella dialtri paesi e i dati dell’Unio-ne europea lo confermereb-bero.

Vorrei, però, introdurredue elementi di contestazio-ne: uno, lo conosciamo tutti,è rappresentato dal fatto chenella spesa pensionistica ita-liana c’è il TFR, che pesaormai tra l’1,5 e l’1,7 percento, ma ce n’è anche un

altro, di cui in genere non siparla . Il calcolo della spesapensionistica italiana vienefatto al lordo dell’IRPEF,mentre, ad esempio, la spesapensionistica tedesca ne è

calcolata al netto delle impo-ste. Allora o la nostra spesa èsovrastimata, o, alla spesatedesca, va aggiunto il man-cato introito fiscale che le

esenzioni sulle pensionideterminano. Ho l’impres-sione che se teniamo contodi questi due elementi la dif-ferenza non sia poi così rile-vante. L’altro raffronto, chespesso si dimentica, è sullaspesa sociale.

Non mi riferisco allaFrancia o alla Germania, maad un paese, il cui Capo delGoverno è molto popolare inalcuni ambienti italiani: laGran Bretagna che ha unaspesa sociale complessiva trepunti più alta di quella italia-na (secondo gli ultimi datidell’Unione europea che siriferiscono al 1996). Dal ‘90al ‘96 inoltre tale spesa haavuto un incremento rile-vante, mentre in Italia, per lostesso periodo, si è ridotta.Allora, se vogliamo prendereesempio da Blair, cosa fac-ciamo?

Aumentiamo di tre puntianche la spesa sociale italia-na? Non lo abbiamo maichiesto, quello, però, che nonvogliamo è che venga ulte-riormente ridotta. ●

La macroeconomia non èpercepita dai lavoratori

Le riforme fattenon trovano confronti

in altri paesi

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PPremetto che giudicoin modo estrema-mente positivo le

riforme che si sono sussegui-te dal ‘92 ad oggi, soprattut-to la riforma che ha introdot-to il sistema contributivo insostituzione del sistema retri-butivo (che era, come haavuto modo di dire pocanzil’onorevole Pennacchi,molto molto iniquo), per laflessibilità che esse hannointrodotto, ad esempio lariforma Dini consente la pos-sibilità di uscita tra i 57 e i65 anni e le prestazioni sonorapportate alla speranza divita al momento del pensio-namento.

Rilevo, con una punta dipolemica, che la stampa dàancora molto spazio a coloroche criticarono aspramente lariforma nata da una relazioneche si disse mai scritta, mache in realtà esisteva, ed erail frutto del lavoro della“Commissione Castellino”,che aveva introdotto, nel1994, questi primi e saldiprincìpi.

Premesso questo mioaccordo sulla riforma efermo restando che ci sonomolte cose ancora da risiste-mare (ma si tratta, perl’appunto, di “risistemazio-ni” e non di riforme), vorrei

fare due osservazioni, cherappresentano più riflessioniche proposte.

Un po’ tutti i relatorihanno focalizzato la loroattenzione sulle pensioni dianzianità, ma io rilevo chenon è il primo e neanchel’unico problema. Non negoche il problema esista, tutta-via altre sono le ereditànegative meritevoli di nota.Recentemente ho fatto unostudio piuttosto semplice,relativo ai lavoratori autono-mi. Un autonomo che abbiainiziato a lavorare nel 1960-61 e che sia andato in pen-sione dal ’95 in poi (questostudio va fino al 2005),avendo versato in mediacontributi modesti e in cifrafissa fino al 1984 (nel ’70 ilcontributo era pari a 7.780lire in cifra fissa all’anno)ha ottenuto un tasso internodi rendimento, andando inpensione di anzianità, che èstratosferico. Giusto per par-lare un po’ meno tecnica-mente e un po’ più pratica-mente, dai nostri conti rile-viamo che, i contributi versa-ti e capitalizzati al tasso dei

IL DIBATTITO - ALBERTO BRAMBILLA

Alberto Brambilla

Il sistema contributivo pro ratagarantisce princìpi di flessibilità

Il vero problema da affrontare è lo squilibrio fra Nord e Sud

““L’Italia restail fanalino di coda

in terminidi patrimonio

di fondi pensione

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titoli di Stato (quindi, inmodo estremamente genero-so), consentono di pagarecirca tre anni di pensione,dopodiché questi lavoratorisono a carico della colletti-

vità. per il restante periododi vita (anche oltre 20 anni),Un problema anzianità, quin-di, esiste ma va verificatonella sua giusta dimensione estratificato tra le categorie.

Esiste poi un’altra seriedi problemi. Per esempio,nessuno parla delle pensionidi vecchiaia, che peraltrorappresentano per l’Istituto(dati ’98) circa 70.000miliardi di spesa, contro i28.000 miliardi delle pensio-ni di anzianità pagate acoloro che hanno un’età infe-riore a quella di vecchiaia.Andando a verificare checosa stia dentro a queste pen-sioni ci accorgiamo che tantisono i cosiddetti “silenti”,cioè lavoratori che non ver-savano più da 10, 12, 15anni; inoltre il periodo dicontribuzione media si atte-sta tra i 20 e i 22 anni; anchequi, se andiamo a rapportare

i contributi e le prestazioni intermini di tassi interni di ren-dimento non siamo moltolontani dal costo delle pen-sioni di anzianità; anzi, devodire che su alcune simulazio-

ni fatte sono molto più gene-rose le prestazioni di vec-chiaia che quelle di anzia-nità, anche se poi l’importomedio delle prime è ovvia-mente inferiore.

Vi sono poi due altriproblemi, uno dei quali è losquilibrio territoriale. In unrecente studio ho portatol’esempio della Sicilia, manon perché ce l’abbia con gliamici siciliani, semplicemen-te perché dall’83 ad oggi c’èuno squilibrio tra contributi eprestazioni a forbice che,partito dai circa 1.000 miliar-di nell’83, è arrivato ai 9.000miliardi del ’97; alla solaINPS il differenziale tra con-tributi e prestazioni è costato9.070 miliardi: 5.390 miliar-di di contributi e 14.484miliardi di erogazioni, e nel’98 le prime verifiche cidicono che questi 9.070miliardi aumenteranno anco-

ra;. Lo stesso discorso si puòfare prevalentemente pertutte le regioni meridionali,per la Liguria, per la Valled’Aosta e in parte per laToscana.

L’altro problema, comedicevo (pongo dei punti diriflessione), è rappresentatodalla contribuzione figurati-va. La contribuzione figura-tiva normale per i periodi diinoccupazione, disoccupa-zione (lasciamo perderequella relativa ai periodi diservizio militare e di mater-nità) ammonta a circa 4.000miliardi: se noi bloccassimole pensioni di anzianità dasubito, arriveremmo ad unrisparmio di 4.500 miliardi.

Ricordo questo per direche è semplicistico parlaredi riformare le pensionifocalizzandosi solo su quel-le di anzianità; ci sonoanche quelle oltre a altri8.000 miliardi circa di sotto-contribuzioni o agevolazionicontributive, le pensioni diinvalidità e le pensioni direversibilità.

Stiamo dicendo che lanostra spesa previdenzialeesplode e che la spesa afavore della famiglia, invece,implode nel senso che è pic-cola. In realtà, se andiamo apensare quanto costano lepensioni ai superstiti (cheammontano a circa 33.000miliardi) e quanti contributistanno sotto “ a queste pen-sioni, ci rendiamo conto che

Con la moneta unicamaggiore equilibrio

tra previdenza di basee complementare

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tutto sommato si tratta più diassistenza che di previdenza.Non solo: in alcuni paesi seil coniuge superstite non hafigli a carico o non ha invali-di in famiglia percepiscequesta pensione di reversibi-lità a età che vanno tra i 50 ei 55 anni; oggi in Italia lapuò prendere benissimo un ouna venticinquenne, indipen-dentemente dai contributiversati dal de cuius. Questisono soltanto alcuni punti diriflessione su un tema che èestremamente complesso.

L’ultimo punto di rifles-sione è che noi abbiamo uncosto del lavoro molto alto eche fino a qualche tempo faavevamo la svalutazionecompetitiva che di anno inanno ci consentiva di soppe-rire con la forte dinamicità

del nostro sistema delle pic-cole-medie imprese, a questoelevato carico fiscale e con-tributivo. E’ evidente chequalche cosa con la monetaunica deve cambiare, perchélo scenario complessivo ècompletamente diverso econseguentemente bisogneràriallineare piano piano ecominciare a fare i primipassi verso un riequilibrio trala previdenza di base e lacosiddetta previdenza com-plementare.

Chi verrà dopo di mecertamente parlerà di fondipensione, ma l’Italia è anco-ra oggi il fanalino di coda intermini di patrimonio difondi pensione, sia rapporta-to al Pil che in termini com-plessivi.

Occorre quindi certa-

mente porre mano pianopiano ad una riforma chevada ad intaccare alcuniaspetti, visto che - comeabbiamo detto prima - lariforma Dini la possiamodefinire strutturale, proprioper consentire un maggiorriequilibrio tra una riduzionedei contributi alla previdenzaobbligatoria e un deflusso diquesti contributi in parte ariduzione del costo del lavo-ro ed in parte a fondi pensio-ne. Solo se viaggiamo su duegambe, come abbiamo sem-pre detto, potremo pensare diavere un sistema che possaconsentirci di essere compe-titivi e di vivere con maggio-re fiducia anche in previsio-ne di un elevato livellod’invecchiamento dellapopolazione. ●

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IIl problema che ci vieneproposto da un certonumero di anni riguarda

la sostenibilità della spesapensionistica.

La prima cosa da dire èche, allo stato, la teoria eco-nomica non consente di defi-nire, e quindi di misurare conriferimento ad un indicatoreoggettivo, univocamentedeterminato, una nozione disostenibilità. Non esiste unasoglia prima della quale laspesa pensionistica è sosteni-bile e oltre la quale diventainsostenbile. Possiamo affer-mare, quindi, che qualunquelivello di spesa pensionisticaè sostenibile? Ovviamenteno, non è corretto trarre que-sta conclusione. Ma quandosi parla di sostenibilità,occorre riflettere più attenta-mente sul fatto che in societàcomplesse come le moderneeconomie capitalistiche,come quelle del G7, tra lequali ci onoriamo di essere,la sostenibilità dipende dalladisponibilità dei tax payers,dei pagatori d’imposta, dicontinuare a finanziare unsistema di sicurezza sociale.

Quali sono, allora, le condi-zioni sotto le quali è più pro-babile che i pagatori d’impo-ste non si ribellino all’ammontare di pressionefiscale e contributiva che èlegata a certi aspetti del wel-fare? La prima condizione darispettare è che il gioco dellaprevidenza complementarevenga percepito come ungioco equo (e naturalmenteper essere percepito cometale è indispensabile che losia davvero). Diviene, dun-que, una condizione non suf-ficiente, ma certamentenecessaria, che vi sia equiva-lenza attuariale tra i contri-

buti versati e le prestazioniricevute.

Io ritengo che sotto que-sto profilo la riforma del1995 abbia detto, per lasituazione di regime, unaparola definitiva sotto unduplice punto di vista: ilprimo è che stabilisceun’equivalenza attuarialerigorosa tra contributi pagatie prestazioni incassate; ilsecondo è che, per fortuna,ha pochi meccanismi impli-citi di redistribuzione a finisolidaristici.

Infatti, un altro degli ele-menti che favorisce la dispo-nibilità a pagare per un siste-ma di social security è che i

IL DIBATTITO - DANIELE PACE

Daniele Pace

Dalla liquidità ai fondi pensionenuova direzione per il risparmio

Omogeneizzazione, pro rata, anzianità: tre nodi da sciogliere

““La riforma Dini,per la situazione

a regime, ha dettouna parola definitiva

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meccanismi redistributivi afini solidaristici siano espli-citamente posti al di fuori delsistema pensionistico, facil-mente sottoponibili ad

approvazione o censura poli-tica: anche sotto questo pro-filo la riforma del ’95 credocostituisca un enorme passoin avanti.

Esistono ancora moltecose da fare, e proverò adelencarle molto brevemente.

La prima cosa da fare èquella di procedere moltorapidamente verso un’omo-geneizzazione dei numerosisistemi pensionistici che esi-stono ancora oggi in Italia,in modo da ricondurli tuttial medesimo tasso di rendi-mento interno, che rappre-senta l’unica misura oggetti-va di equità che può esistereall’interno di un sistemapensionistico. Mi riferiscoai pubblici dipendenti, aifondi speciali dell’Inps, ailavoratori autonomi, segna-tamente agli agricoli e cosìvia; questa è certamente laprima misura che va postain essere.

La seconda misura

riguarda il pro rata. Non c’èdubbio che la spaccatura indue del mondo del lavoro trachi nel 1995 aveva più omeno di diciotto anni di

anzianità contributiva atten-ga all’essenza stessa dellariforma del ’95, la quale èimportante non solo e nontanto perché diminuisce laspesa pensionistica , ma pro-prio perché introduce forti edinequivoci elementi di equi-valenza attuariale all’internodel sistema pensionistico ita-liano e quindi favorisce lasostenibilità espressa in ter-mini di consenso dei pagato-ri di tassi verso l’attualeassetto di welfare. Sotto que-sto profilo sottolinierei chesarebbe improprio impiccareil dibattito e le misure dipolitica economica ad unapercentuale convenzionale dispesa per pensioni sul PIL,sia essa del 14,8, del 15,2 odel 16,4.

La cosa che più conta,guardando le curve del rap-porto tra spesa pensionisticae Pil, e tra quota della popo-lazione in età da pensione etotale della popolazione è

che la derivata secondadella curva del rapporto traspesa pensionistica e Pil èmolto minore dell’altra,ovvero che il rapporto traspesa pensionistica e Pilcresce molto meno veloce-mente del rapporto tra quotadella popolazione-età dapensione e totale dellapopolazione; questo signifi-ca che a parità di altre circo-stanze si stanno riducendole prestazioni pro-capite.

Allora, adottando unafattiva versione di lungoperiodo si conferma chenon si tratta di impiccarsiad una percentuale, ma dieliminare dalla fase transi-toria tutto ciò che contrad-dice in nuce l’operazioneconclusa nel 1995.

Su questo credo cheanche coloro che sono mag-giormente restii a rimetteremano alla riforma dellepensioni possano inveceessere coinvolti all’internodi un’operazione che puntia dare il massimo di equità,il massimo di equivalenzaattuariale e quindi poten-zialmente i l massimo diconsenso.

Lo stesso discorso, natu-ralmente, vale anche per lepensioni di anzianità, le qualiancora più del mancato prorata per tutti contraddicononella sua essenza, la riformadel ’95. Tutti coloro i quali sioccupano di pensioni nonpossono non rilevare che le

È urgente una omogeneizzazione

dei numerosisistemi pensionistici

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pensioni di anzianità, dalpunto di vista dell’ugua-glianza del tasso di rendi-mento interno dei contributitra soggetti che hanno paga-to per lo stesso numero dianni un eguale importo,costituiscono un vero e pro-prio scandalo, un’eccezionetalmente grande da poteressere difficilmente tollerataa livello intellettuale.

Tuttavia chi ha l’oneredella politica economica deveavere una piena contezzadelle interrelazioni tra gran-dezze e comportamentidiversi a volte anche distanti.

Non voglio riferirmi amodelli di equilibrio genera-le, perché la frammentazionedella realtà e dei saperi ci haportati lontani, purtroppo,dal possesso di un talemodello, ma non possiamoguardare soltanto alle pen-sioni, dimenticando - adesempio - che se siamoentrati in Europa lo dobbia-mo anche al fatto che l’Italiaè stata, dal punto di vistadelle rivendicazioni salariali,un paese con minori fram-mentazioni di altri e che noiabbiamo avuto degli incre-menti salariali assai modestipur in presenza di un livelloassoluto dei salari che èmolto basso oppure chesiamo entrati in Europaanche grazie alla concerta-zione.

Non possiamo dimenti-carci di questo e quindi cer-

care di governare il proble-ma dell’eliminazione pro-gressiva delle pensioni dianzianità contro le forzesociali

Mi sembra un tentativoda apprendisti stregoni checorre il rischio di replicarein un modo impropriol’esperienza del tatcherismoinglese: negli anni ’60 sisarebbe detto “alle vongole”.Seguire in Italia un modelloin cui è l’individuo che siconfronta con il mercato cer-cando di fare fuori la rappre-sentanza sociale non credopossa funzionare perché alsindacato confederale sisostituirebbero mille sinda-cati corporativi.

Non credo, dal punto divista del policy maker chequesto sia un buon sistemadi governare la cosa pubbli-ca; né credo in termini dicosti e di opportunità nell’abbandono di un sentierostretto, quello del coinvolgi-mento del sindacato all’interno di un’operazione chedeve tendere a massimizzareil profilo equitativo dellariforma del ’95, mettendo incontraddizione anche il sin-dacato rispetto alla sua rap-presentanza sociale.

Credo che abbandonarequesto sentiero stretto afavore, per così dire, diun’operazione che corre ilrischio di essere meramentepropagandistica, non portilontano.

In conclusione vorreidire che ho apprezzato illavoro di Elsa Fornero eOnorato Castellino.

Credo che la loro sia unaproposta da sperimentarecon cautela ma senza paure.Ritengo, infatti, che essapunti oggettivamente ad unrafforzamento della previ-denza complementare e chepotrebbe essere più facil-mente attivata se ragionassi-mo non soltanto in terminidi flussi (e cioè di quota, disalario che non va più a con-tribuzione obbligatoria mava verso i fondi pensione),ma anche in termini distocksdi ricchezza finanzia-ria già investiti al di fuoridel circuito pensionistico.

Ciò sembrerebbe coe-rente con l’inopportunità diaccrescere la propensione alrisparmio in questa fase con-giunturale.

Inoltre, consentirebbeanche ai lavoratori a bassoreddito di accumulare risor-se congrue con la finalità diavere una pensione comple-mentare e non dell’argent depôche in età avanzata.

Infine, ciò consentirebbedi rendere meno drammaticol’impatto sui conti dell’Inps, anche se forse l’impat-to sulla finanza pubblicapotrebbe essere immutato,ma consentirebbe forse diaumentare ancora di più laquantità di risorse che puòandare ai fondi pensione. ●

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NN elle relazioni intro-duttive di stamatti-na, si è descritto il

mutato atteggiamento neiconfronti della Previdenzaobbligatoria, ricorrendo allaseguente efficace espressio-ne: “siamo passati dall’epoca dell’attuario all’epocadell’ economista”. Orbene intale contesto dialettico ilruolo del giurista è statosovente finalizzato a fornire i“vestimenta” necessari, men-tre assai raramente vi è statauna interazione sul pianodelle scelte di politica legi-slativa. In vista di ciò reputoopportuno sottoporre alcunesintetiche impressioni in

chiave di policy.E’ del tutto ovvio che il

valore delle impostazionipolitiche generali deve misu-rarsi sul piano degli effettipratici cui esse mirano e que-sti ultimi, a loro volta, posso-no definirsi solo in funzionedelle diverse possibilitàofferte sul piano della c.d.legal implementation, ossiadi quell’articolato processodi traduzione delle scelte diprincipio in un disegno nor-mativo ed istituzionale coe-rente.

Per quanto riguarda gliobiettivi non si può trascura-re come in un loro ipotetico

inventario dovrebbe figurare,in via preliminare, una ridu-zione del rapporto tra spesapensionistica pubblica e pro-dotto interno. In questa dire-zione vi è la possibilità, sulpiano della legal implemen-tation, di intervenire, conmaggiore rigidità, sui criteridi accesso alle pensioni dianzianità evitando, per altro,che tale problema rimangarelegato in un ambito ideolo-gico. Allo stesso modo nonsi dovrebbero mostrareeccessive remore nell’esten-dere il metodo contributivopro-rata e ciò anche e soprat-tutto per quanto accennerò inseguito.

Per quanto r iguarda,invece, le scelte di princi-pio general i è indubbiocome il dibattito circa leopzioni di un sistema aripartizione o capitalizza-zione o misto abbia unanaturale rilevanza (per leconseguenti implicazioni)nell’ottica giuridica ma cheaffondi le proprie radici inun ambito economico.

Allo stesso modo non sipuò trascurare come i “cari-

IL DIBATTITO - AURELIO DONATO CANDIAN

Aurelio Donato Candian

Tradurre le scelte di principioin un disegno normativo coerente

Distonie legislative in materia previdenziale

““Siamo inpresenza diun sistema

previdenziale“maculato”

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chi” previdenziali impingonoanche sulle “strutture” digestione ed in questo sensonon si può rimuovere lanecessità di riflettere sullescelte relative all’adozione diun sistema che contempliuna posizione più o menoecumenica degli enti previ-denziali o che preveda unaserie di iniziative che militi-no nell’area del decentra-mento amministrativo.

Tuttavia in un’otticastrettamente giuridica non sipuò trascurare l’importanzache assume, nell’inventarioproblematico, l’ottica deisoggetti tutelati e la segmen-tazione delle tutele. In questadirezione è del tutto agevolela constatazione per cui si èin presenza di un sistemaprevidenziale “maculato”,connotato da varie aree diprivilegio determinatesi perstratificazioni successive nelcorso dei decenni.

Alla luce di quest’ ulti-mo aspetto è agevole consta-tare come le problematichedianzi accennate rischiano dipassare in secondo pianorispetto ai possibili rimedi daimpiegare nei confronti diuna segmentazione delletutele non “sorvegliate”. Inquesta ottica pare congruentesoffermarsi circa gli effetti“virtuosi” che possonodiscendere dall’osservanzadel principio della correla-zione tra contribuzione e pre-stazione. Privilegerei, in par-

ticolare, due aspetti.Il primo effetto “virtuo-

so” dell’adozione di talecorrelazione attiene al datoper cui si tratterebbe di unaforma che permetterebbe di

ragionare in termini moneta-ri; il che costituirebbe unasorta di garanzia nei confron-ti del delicato problema dellec.d. regole implicite.

E’ del tutto ovvio ram-mentare che un ordinatosistema normativo nondovrebbe contemplare laregola implicita, in quanto seci sono specifiche situazionida considerare le si dovreb-bero esporre in provvedi-menti ad hoc motivati e “vei-colati” con regole che abbia-no, peraltro, una durata tem-porale propria del fenomenoe, quindi, nella fattispecieprevidenziale con uno spet-tro temporale dalla duratamedio-lunga. Tuttavia l’atteggiamento, forse incon-sapevole, verso le regoleimplicite non pare esaurirsi.

Ad esempio mi pare deltutto emblematico chenell’inventario delle motiva-zioni addotte a difesa dellepensioni di anzianità figuri latutela dei lavori usuranti il

che spiega chiaramentel’inclinazione a voler risol-vere i problemi attraversoregole implicite, mentre,invece, sembrerebbe naturaleesporre tali regole chiarendo

che sono destinate a discipli-nare trattamenti speciali per-mettendo, peraltro, il dispie-garsi del c.d. controllo socia-le sulle scelte compiute. E’indubbio che si tratti di scel-te delicate sul piano dei pos-sibili atteggiamenti ma èparimenti veridico che le ten-denze ad invocare un sistemaprevidenziale “puro” abbianouno specifico substrato con-creto, il che le dovrebbeallontanare dal “terreno” uto-pistico in cui sovente le sivuole relegare. Il secondoaspetto attiene ai possibiliprofili di standardizzazioni,quindi di equità attuariale (ilche può garantire anche altritipi di equità).

Tutto questo può com-portare delle scelte delicatein materia di fondi pensionecomplementari e cioè disecondo pilastro pensionisti-co. E’ appena il caso di ram-mentare che se si ragionasulle prestazioni in terminimonetari vi è un minore spa-

Aumentare lo spazio cheviene assegnato alla

previdenza complementare

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zio per i trasferimenti impli-citi e, dunque, a parità dialtre circostanze, si riscon-trerà un’ovvia diminuzionemedia delle prestazioni. Invista di ciò sarebbe raziona-le, come è stato ricordato piùvolte, aumentare lo spazioche viene assegnato alla pre-

videnza complementare permantenere inalterato il perio-do complessivo di coperturapensionistica.

Allo stesso modo, èaltrettanto logico pensare, sesi tende ad una sorta di stan-dardizzazione, che tutti ibisogni specifici di previden-za debbano essere racchiusi,contemplati e permessi nellanormativa speciale in mate-ria di previdenza comple-mentare.

Se è così, però, non vatrascurata l’esistenza di duetipologie di interventi giuridi-ci totalmente diversi nel “tor-mentato” disegno legale dellaprevidenza complementare.Se si considerano da unaparte il D. Lgs. n. 124/93 e la

L. n. 335/95, e dall’altraparte la disciplina contenutanei provvedimenti collegatialle leggi finanziarie ci siavvede agevolmente di unasostanziale distonia di fondo.Quando si parla di collegatoalla finanziaria si ha unasorta di applicazione trasver-

sale delle regole. Si fissanoregole indipendentemente dalfatto che si tratti di previden-za obbligatoria o previdenzacomplementare ovvero disistemi caratterizzati da ungrado di sviluppo, anche giu-ridico, assai diverso. Sonosussulti di policy pericolosi,se collegati agli aspetti pro-blematici dianzi evidenziati.

Le difficoltà intrinsechenon paiono limitarsi ai possi-bili limiti di una legal imple-mentation in tale materia masi estendono anche ai princi-pi ed alle concezioni razio-nalmente impiegabili ed inquesto senso non si può tra-scurare come gli studiosi deldiritto del lavoro si interro-ghino, da molto tempo, sulla

natura del rapporto previden-ziale facendo leva sull’arti-colo 38 della Costituzioneper distinguere se si è in pre-senza di un rapporto di tipoassicurativo “speciale” o unrapporto pubblicistico il che,poi, ha condotto alcuni inter-preti a discutere il principiodi corrispettività nel sistemadella previdenza comple-mentare. Come giurista vor-rei dare un’avvertenza: noncadiamo in una trappolanella quale, per variegateragioni, non è difficile cade-re! La trappola consiste nelfatto che dalle norme costitu-zionali non si possonodedurre regole specifiche, inquanto, così facendo, finiscocon il sostituire l’interpreteal legislatore senza trascura-re come il legislatore ordina-rio debba avere un necessa-rio spazio attuativo.

Le avversioni nei con-fronti del principio di corri-spettività non dovrebberoessere “veicolate” medianteuna tecnica che pare distoni-ca rispetto ai compitidell’interprete in quanto sifinisce per fissare regole enon per interpretarle.

Il problema meriterebbe,naturalmente, un’ esposizio-ne ben più articolata di quel-la proposta il che, però,esorbiterebbe necessaria-mente dagli scopi di unintervento finalizzato adillustrare alcune impressioniin chiave di policy. ●

Il problema dell’interventosulle pensioni di anzianità

non resti confinatoin ambito ideologico

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CC redo di rappresenta-re una parte di quel-la che è stata defini-

ta la scuola di Torino, equindi non posso che condi-videre in pieno le propostefatte dal professor Castelli-no, che di quella scuola sin-tetizzano la posizione.Anche dal mio punto divista, pertanto, nell’agendadel prossimo appuntamentoprevidenziale dovranno esse-re compresi: l’estensione delpro rata, gli interventi sullepensioni di anzianità e anchel’opzione di dirottare a pre-videnza integrativa privatauna parte dell’attuale aliquo-ta contributiva pubblica. Suquest’ultima proposta, dettadi opting out, vorrei concen-trarmi.

Anzitutto, vorrei qualifi-care la proposta con l’agget-tivo di moderata, dato cheessa non ambisce a rivolu-zionare il sistema previden-ziale, bensì soltanto a riequi-librarlo nelle sue varie com-ponenti. La proposta vertesulla possibilità concessa ailavoratori - e in particolare ailavoratori dipendenti sogget-

ti a un’aliquota molto elevata- di destinare a un fondopensione (chiuso o aperto)alcuni punti percentuali dellacontribuzione oggi destinataal sistema pubblico.

Come ho già detto, taleproposta non mira all’euta-nasia del sistema a ripartizio-ne; sappiamo tutti, però,dalla grande varietà dimodelli, simulazioni e proie-zioni di cui disponiamo, chetale sistema sarà sottoposto aforti squilibri e difficilmentesarà in grado, senza ulterioricambiamenti, di reggeresulle sue sole gambe. Il pro-blema della diversificazione

dei pilastri, perciò, andrà inqualche modo affrontato, aevitare che le pensioni degliitaliani debbano basarsi suuno soltanto, e assai pocostabile.

Abbiamo tutti elogiato ilmetodo contributivo, ed iofaccio parte di coloro che neapprezzano in particolarel’equità e la trasparenza. Lapensione, salvo i casi in cuisi deve intervenire con stru-menti di assistenza, devedipendere da quanto si è ver-sato, dalla lunghezza dellavita lavorativa e di quella dipensionamento. E’ un meto-do chiaro e trasparente,equo, non capricciosamente

IL DIBATTITO - ELSA FORNERO

Elsa Fornero

Con l’ “opting out” autogestionedella contribuzione previdenziale

Dalla scuola di Torino una proposta “liberale e moderata”

““Dirottare una partedell’attuale aliquotacontributiva pubblica

a previdenzaintegrativa privata

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redistributivo, e quindi nonpossiamo che apprezzare lasua introduzione in luogodell’assai più difettosa for-mula retributiva.

Non dobbiamo tuttaviadimenticare che, anche aregime, il livello della contri-buzione destinata al pilastropubblico resterà particolar-mente elevato, almeno per ilavoratori dipendenti, con il33 per cento. Ciò significache un terzo del loro redditolordo sarà, anche nel lontanofuturo, vincolato a un parti-colare tipo di impiego, qualeconfigurato dalla ripartizio-ne, con il suo tasso interno direndimento. Con quest’ali-quota è però lecito doman-darsi quanto realisticamentepotrà andare ad altre compo-nenti, soprattutto se si ritie-ne che il principio delladiversificazione della ric-chezza, anche quella previ-

denziale, risponda a unastrategia saggia.

Vista in quest’ottica, laproposta dell’opting out èmoderata perchè non mira aesaurire il ruolo della ripar-tizione pubblica, ma puntapiuttosto a un suo ridimen-sionamento all’interno di unportafoglio previdenzialenel quale più spazio dovràessere lasciato alla compo-nente a capitalizzazione; peresempio, si può pensare auna ricomposizione dellaricchezza previdenziale trapubblico e privato attorno aquote rispettivamente del 60e 40 per cento, da realizzarsinon domani o dopodomani,ma nel lungo periodo. Perarrivarci, però, dobbiamoavere l’onestà di parlarnefin d’ora.

Senza entrare nei detta-gli della proposta, vorrei sol-tanto dire che, anche se non

adottiamo i favolosi tassi direndimento americani (soprail 6 per cento reale annuo,come media degli ultimidecenni) perché non fannoparte della storia europea -un divario di mezzo puntopercentuale a favore deltasso di interesse sul lungotermine comporta una sensi-bile differenza nel montanteda tradurre in pensione. Adesempio, se si adottano iltasso di crescita del Pil che èalla base della riforma del95, ovvero l’1,5 per cento, eun tasso di interesse anchesoltanto pari a un benmodesto 2 per cento, facen-do i conti sul risultato nettodella partecipazione alsistema pubblico, si scopreche per ogni cento lire ver-sate il sistema ne restituiscesoltanto 85.

Questo è ciò che dob-biamo spiegare ai lavorato-

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ri, ossia il fatto che se iltasso di rendimento deimercati finanziari è superio-

re al tasso di crescitadell’economia la partecipa-zione al sistema a ripartizio-ne comporta una perditasecca. Non dobbiamo peròdedurne che sia auspicabileil pieno passaggio alla capi-talizzazione, proprio perchéi due tassi sono incerti e unaloro combinazione è prefe-ribile a una soltanto delledue componenti.

La proposta, oltre adessere moderata, è ancheliberale, nel senso che nonobbliga nessuno a fare qual-cosa in cui non crede: è unopting out liberamente scel-to, è qualcosa che al lavora-tore viene dato in opzione.Nessuno dovrebbe essereobbligato a scegliere la pre-videnza privata, ma incenti-vato sì, almeno nella misurain cui si voglia realizzare ladiversificazione. Se un sog-getto si sente maggiormenteprotetto nell’ambito delsistema pubblico con tutta lasua aliquota, ci stia, benvenga, non lo vogliamo cac-ciare fuori.

Infine, due parole sullamisura. E’ vero che nell’arti-colo con Castellino abbiamo

fatto i calcoli su una riduzio-ne dell’aliquota pari a ottopunti, e cioè dal 33 al 25; èperò anche vero che l’ipotesiprevedeva una restrizionedell’opzione soltanto allenuove classi lavorative, allequali d’altronde è principal-mente indirizzata la previ-denza integrativa.

D’altro canto, la nuovaoccupazione nel nostro Paesebeneficia generalmente disconti contributivi e il fattoche quasi nessuno entri piùnel mondo del lavoro conun’aliquota contributiva

piena, vorrà pur dire qualchecosa, in termini di costo dellavoro.

In ogni caso, la propostapuò essere graduata a piaci-mento, purché gli effettidell’operazione sul bilanciopubblico, soprattutto nella

fase iniziale, siano contenuti. Il mio auspicio è che se

ne discuta seriamente, inmaniera non ideologica, per-ché non ci sono interessi diparte da difendere. Penso chei lavoratori siano personeche risparmiano e che hannol’obiettivo di avere dei buonirendimenti sul loro rispar-mio. Perché dovremmo con-dannarli, per una quota, ripe-to, rilevante, ad una prospet-tiva di rendimento più bassodi quello che potrebberoottenere?

Per concludere: ritengoche vi sia parecchio di buononella proposta di un gradualee limitato opting out, mentrenon vi è nulla che ci richiedadi sostituire integralmente laripartizione con la capitaliz-zazione.

Il sistema pubblico vamantenuto nel lungo perio-do, ma deve trattarsi di unsistema di dimensioni piùsnelle e finanziariamente

equilibrato.Cominciare a parlarne

oggi, nel convegno promossodall’Inps, è anche la dimo-strazione di una rinnovatafiducia in questo fondamenta-le pilastro della sicurezzaeconomica degli anziani. ●

Il sistema pubblico, nellungo periodo, deve avere

una maggiore agilità

Riduzione autogestitadella contribuzione

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II l sindacato è d’accordoper un monitoraggiocontinuo, attento, quo-

tidiano dei conti della previ-denza. Non vogliamo sottrar-ci quindi a nessuna verifica,ci opponiamo al modo stru-mentale con cui anche ilGoverno vuole affrontare iltema pensioni.

Non si tratta di farenuove riforme. Mi pare che,almeno in questo Convegnoci sia un’ampia convergenzasul fatto che abbiamo giàapprovato una riforma radi-cale. Anche alcune ideemoderate avanzate in unprimo momento dai Profes-sori Castellino e Fornero e

cioè di spostare volontaria-mente un paio di punti dialiquota dall’Inps ai Fondipensione, non le ho ritenutein contraddizione con lo spi-rito della riforma. Anzi, hodichiarato interesse per que-sta forma molto limitata diopting-out che potrebbe sol-lecitare una più forte atten-zione dei giovani verso ilproprio destino previdenzia-le. Devo però dire che quel-la proposta è diventata viavia un’altra cosa, è statariformulata come un riequi-librio sostanziale del siste-ma pensionistico in direzio-ne della capitalizzazione e

degli schemi privati. Noi ciopponiamo a questo tentati-vo, per noi il mix pubblico -privato individuato dallariforma del ’95 non deveessere stravolto.

Sulla questione capita-lizzazione-ripartizione hoprecisato il nostro punto divista; prima di affrontare lealtre due questioni poste sultappeto, quella del pro-rata equella delle pensioni dianzianità, vorrei fare unaconsiderazione che attiene alproblema del consenso.

Paolo Onofri in molteoccasioni ha sostenuto chenel 1997 in materia previ-denziale c’è stato uno sprecodi consenso. Personalmentecredo che abbia ragione;devo però aggiungere che ilconsenso non è un bene illi-mitato, non si ripropone allostesso modo in tutte le sta-gioni, ma è qualcosa dimolto prezioso, in assenzadel quale non si fa nulla. E’sbagliato sottovalutare leimportati riforme di questianni e il fatto che altri Paesieuropei, più importanti estrutturati del nostro, sono

IL DIBATTITO - BENIAMINO LAPADULA

Beniamino Lapadula

Incentivare la capitalizzazionemantenendo il mix della “Dini”

Sì all’opting out, purché non alteri gli equilibri del sistema

““Il sindacatonon si sottrae

alla verifica tecnicasulle riforme

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ancora su questamateria, all’anno zero.

In Italia nell’arcodi sei, sette anni sonostati decisi tre inter-venti sul sistema pen-sionistico. Nell’ultimodi questi interventi si è stabi-lito di sottoporre a nuovaverifica il sistema nel 2001.Gli impegni del Governo edel Parlamento non possonoessere disattesi, pena unagrave perdita di credibilità suuna materia così delicatacome quella delle pensioni.Una rimessa in discussionecontinua degli impegniassunti brucia consenso equindi compromette anche lapossibilità di proseguire coninterventi riformatori. Laspaccatura tra chi aveva unacerta anzianità e chi nonl’aveva è stata introdotta dal

Governo Amato nel riordinodel ’92. La riforma del ’95ha quindi registrato sempli-cemente una scelta operatadal Governo Amato tre anniprima.

Alla base di questa deci-sione c’è stata la presa díattodella difficoltà che incontre-rebbero i lavoratori piùanziani a costruirsi una pen-sione integrativa capace dicompensare la minore pen-sione pubblica. Le pensioniintegrative decollano troppolentamente. Prima di parlaredi estensione del contributi-vo pro-rata a tutti i lavorato-

ri bisogna risolvere ilproblema dei Fondi pen-sione. Anche la transi-zione per superare lepensioni di anzianitàrisente di quanto decisonel riordino del 1992 che

prevedeva un adeguamentodel Pubblico Impiego allenormative del settore privatoin un arco di molti decenni.Nel 1995 i pubblici dipen-denti andavano infatti inpensione con soli 22 anni dilavoro. Quando si parla dipensioni di anzianità non dipuò pensare che questi pre-cedenti non abbiano avutoimportanza: ogni cosa ha unasua storia. Il ’95 è stato con-dizionato dal ’92, e, come siè visto, lo stesso interventodel ’97 ha dovuto tener contodella complessa eredità delPubblico Impiego. ●

Le promesse nonmantenute brucianoil consenso sociale

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RR itengo che ci sianomolti motivi perdifendere la previ-

denza a ripartizione, ma cheper la sua tenuta siano neces-sari interventi di strutturache sviluppino l’impostazio-ne della riforma del 1995.

La modifica di strutturasulla quale voglio centrare ilmio intervento consiste nellaintroduzione di un doppiocriterio per il calcolodell’importo delle pensionial momento della quiescen-za. Non più prestazioni para-metrate esattamente ai con-tributi versati (sulla base diun’aliquota del 33% per ilavoratori dipendenti, del

20% per i lavoratori autono-mi), ma prestazioni ottenutecome somma di due compo-nenti. La prima componentesarebbe calcolata in base alleregole della riforma del ‘95,ma in corrispondenza di ali-quote più basse (ad esempioil 25% per i dipendenti, il15% per gli autonomi), cosache comporterebbe la ridu-zione delle pensioni pubbli-che contributive di circa unquarto. La seconda compo-nente sarebbe invece calco-lata in base a importi chematurano in misura ugualeper tutti in relazione nonall’ammontare dei contributi

versati, ma al numero di annidi versamento, andando acostituire il pilastro di basedel sistema previdenzialepubblico. Strutturando talepilastro di base in modo cheil suo peso sia meno di unquarto rispetto alle pensionicontributive, risulterebbe inprospettiva un alleggerimen-to della presenza pubblicanel sistema previdenziale. Lacontrazione sarebbe piùaccentuata per i redditi medie alti, meno accentuata perquelli bassi (per i quali, purrestando l’alleggerimentocome dato medio, potrebbeaddirittura essere ipotizzatoun miglioramento).

L’introduzione a brevetermine di un pro rata cherecepisse le due componentidi calcolo della pensionepermetterebbe di raggiunge-re numerosi obiettivi: a)risparmi maggiori rispetto aquelli di un pro rata che silimitasse a estendere la rifor-ma Dini a coloro che nel ’95vantavano più di diciottoanni di contributi; b) rispon-denza della previdenza pub-blica ad un modello di equità

IL DIBATTITO - GIUSEPPE VITALETTI

Giuseppe Vitaletti

Un meccanismo a doppio binarioper il calcolo della prestazione

A patto che venga difeso il sistema pensionistico a ripartizione

““E’ opportuno che igiovani trovinoconveniente la

previdenza pubblica

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effettiva (pilastro di base piùpilastro contributivo), convantaggi soprattutto per ilavoratori a basso salario

(molto spesso alle dipenden-ze delle piccole imprese); c)apertura di spazi effettivi allaprevidenza integrativa, versola quale sarebbero indirizzatisoprattutto i redditi medio-alti (piuttosto che i giovani,come si vorrebbe in molteproposte. E’ opportuno inve-ce che i giovani trovino con-veniente la previdenza pub-blica, altrimenti questa èdestinata a inaridirsi).

Ovviamente vi sarebbela necessità di coprire per viafiscale il buco sulle entrateaperto dalla massiccia ridu-zione dei contributi socialiconnessa alla manovra. Inrelazione a questa esigenza,e non come inasprimento delprelievo fiscale complessivo,viene in rilievo l’opportunitàdi aumentare l’aliquotadell’Irap, destinandone ilgettito alla previdenza, comeera nelle intenzioni origina-rie degli ideatori di un prelie-vo sul valore aggiuntivo diimpresa.

La sostituzione di una

quota rilevante dei contributisociali con l’Irap abbassereb-be il costo relativo del lavo-ro, favorendo l’aumento

dell’occupazione. Questoeffetto potrebbe essererafforzato di molto ove fossemodificata la struttura dellabase imponibile Irap,mediante inclusione degliammortamenti e deduzionerelativamente ad un numerosignificativo di anni delcosto dell’occupazione addi-

zionale creata dall’impresa.Se l’occupazione aumenta,cresce il gettito contributivo,per cui l’apporto della previ-denza alla riduzione del defi-cit pubblico viene a determi-narsi non solo per il tagliodelle spese, ma anche perl’incremento delle entratelegato al buon andamentodell’economia.

Si potrebbe poi procede-

re su questa via virtuosa,aumentando ulteriormentel’aliquota della nuova Irap eriducendo gli oneri sociali acarico dei datori di lavoro.Per evitare l’aumento di tra-sferimenti di natura fiscaleall’Inps, si potrebbe in talcaso trasformare in contem-poranea parte dell’Irpef incontributi sociali a caricodegli iscritti alla previdenza.Alla fine l’onere contributivosui datori di lavoro nondiverrebbe lontano dalle ali-quote bassissime di cui par-lano i sostenitori di un ritor-no integrale alla capitalizza-zione.

Se tutto ciò ha successo,a costoro si può controbatte-re anche su altri terreni, qualila facoltà di smobilizzo

durante la vita lavorativa diparte del capitale in corso dimaturazione per la pensione.Infatti il buon andamento deiconti aprirebbe la possibilitàdi consentire anche nellaripartizione uno scambio traparte della pensione futuraed utilizzo dei contributi peresigenze correnti (ad esem-pio come maggiorazionedegli assegni familiari). ●

La riduzione del costodel lavoro

favorisce l’occupazione

Sarebbe opportuno destinare il gettito

dell’IRAP alla previdenza

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TT rovo singolare esinceramente facciofatica a mettere

insieme consenso e gover-nabilità sociale con posizio-ni che sono sbagliate. Lepensioni d’anzianità sonoun problema insostenibileda tanti punti di vista. E’sudamericano un paese cheal passaggio del secolopensi di mandare in pensio-ne dei cinquantenni: eppurequalcuno sostiene che sipossano adottare altre misu-re al posto di una elimina-zione di questa anomalia;eliminazione che poi signi-fica solamente andata aregime di quanto prevede in

proposito la riforma Dini.Considero singolare che

si proponga di mandare inpensione nel 2030 delle per-sone a 57 anni: voglio ricor-dare che gli inglesi hannostabilito per le donne l’età dipensionamento a 65 anni apartire dal 2002 proprioquando noi consentiremo diandare in pensione a 57 anni.Eppure siamo qui a dire chetutto si può fare, tranne chemodificare i limiti di età.

Pur riconoscendo tuttal’importanza che va data alconsenso sociale, credo chela posizione delle organizza-zioni sindacali sulle pensio-

ni di anzianità, anche semotivata da interessi reali,sia sbagliata .

Il nostro paese non puòpermettersi di sbagliare inuna situazione come questadove si è dovuto raddoppiarela manovra di bilancio per-ché, altrimenti, non siamo incondizione di stare dentro ilpercorso del patto di stabi-lità. Non saremo in grado dipareggiare iil bilancio neiprimi anni duemila senzaintervenire sulla spesa pen-sionistica-assistenziale il cuidisavanzo (cito i dati delprofessor Onofri, conferma-ti da Fornero-Castellino) èstrutturalmente pari al 4 percento del Pil.

Quando mi dicono diguardare all’Europa mimetto a ridere. Non è che inFrancia, in Germania o inaltri paesi siano particolar-mente felici della condizio-ne in cui si trovano! L’Euro-pa è un grande malato diwelfare state, un grandemalato di sistemi pensioni-stici, e quindi chi ha unaspesa sociale più alta dellanostra si dispera.

IL DIBATTITO - GIULIANO CAZZOLA

Giuliano Cazzola

Le pensioni di anzianità sonoun’anomalia tutta italiana

Sui pensionamenti anticipati il sindacato continua a sbagliare

““Le pensioni dianzianità sono

un fenomeno dapaese sudamericano

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Poi c’è il contesto demo-grafico.

Cosa vuol dire, comequalcuno afferma, che se laprevisione della Ragioneriasi avvera c’è un problema diPaese e non un problemaprevidenziale? Certo, è chia-

ro che non possono essere lepensioni a salvare un paese aforte declino demograficocome il nostro. Il problema ècapire però quale contributopuò venire da un sistemapensionistico più equilibrato;

Tra l’altro, se questoPaese dovrà aprire le porteagli immigrati, bisogneràpure che si dia delle politichesociali adeguate non condan-nate a pensare solo ai pensio-nati; delle politiche socialiche possano guardareall’immigrazione, nonlasciarla soltanto alla Caritas.Cosa fa questo paese in ter-mini di integrazione e diaccoglienza nel momento incui gli immigrati saranno nonsolo una soluzione necessa-ria, ma una ricchezza?

E allora vedete che unadifferenziazione delle politi-che sociali chiama in causal’esigenza di una rottura del

blocco duro delle pensioni inun paese che pensa solo acerti segmenti di pensionati.Sono assolutamente d’accor-do che il risparmio più gran-de lo hanno pagato i pensio-nati, ma è stato l’interventosulla scala mobile, e quindi

sulle pensioni in essere,l’elemento che ha portato aquessto risultato.

In conclusione dico chese la curva della spesa neiprossimi anni ha una“gobba”, vuol dire che lecose non possono restare tali,senza che nulla succeda. Cito

un dato della professoressaFiorella Padoa Schioppa: la“gobba” vuol dire 2 milionidi miliardi di debito pensio-nistico in più nel solo siste-ma Inps e tra l’altro con unasituazione assolutamente

ingiusta per le generazionifuture. Non è giusto scarica-re tutti i sacrifici su quelliche verranno!

Tra l’altro, nel 1995 ipasdaran della legge 335dissero che il torto nei con-fronti dei giovani era statoriparato con la riforma Dini,mentre Amato (il quale tral’altro non aveva fatto il con-tributivo, ma una misuraequivalente, perché calcolareil retributivo su ampi ambitidi vita è praticamente ugualeal contributivo) aveva morti-ficato i giovani. Oggi, inve-ce, abbiamo dei dati per cuile pensioni dei giovanisaranno - cito il modello pre-visionale Inps - mediamentepari al 29 per cento dellamedia delle retribuzioni.

Credo che non si possaavere un sistema che realizzicosì poca equità tra le gene-

razioni e ripartisca cosìingiustamente i sacrifici.

Ricordo un detto india-no: “il presente non lo rice-viamo dai nostri padri, ma loprendiamo in prestito dainostri figli”. ●

L’Europa è un grandemalato di welfare state

Aprire le porte agliimmigrati con politiche

sociali adeguate

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BBene, prima di darela parola al presi-dente Paci, ospite,

per le conclusioni finali,permettetemi di dire soltan-to poche cose.

Intanto voglio ringrazia-re tutti quelli che sono inter-venuti, soprattutto per ilgrande equilibrio con cuihanno affrontato i problemi:la professoressa Fornero sene stupiva, credo che lo sipossa ribadire anche dopol’appassionato intervento diCazzola.

Quello che ha contraddi-stinto gli interventi di tutti èstato il riconoscimento delle

ragioni dell’altro. Io non hotrovato i toni che non piùtardi di qualche anno fainfiammavano il dibattito suquesti temi, soprattutto quan-do si iniziò a parlare di pre-videnza integrativa e com-plementare: oggi c’è unaconvergenza verso posizionidi equilibrio più moderate.

Vorrei fare soltanto unaccenno a un tema che nonmi pare sia stato finora toc-cato. Mi riferisco al temadell’Europa, certo se n’è par-lato ma solo per il raffrontofra sistemi. Non ho sentito,

invece, alcuna considerazio-ne sul fatto che probabilmen-te i problemi che ci attana-gliano e che attanagliano ilresto d’Europa andrebberoaffrontati in una dimensioneunitaria.

Ho letto di recente leanticipazioni apparse sul“Sole 24ore” dell’“Europeanround table” dove si identifi-cavano cinque ragioni cheimporrebbero una considera-zione dei problemi dellasicurezza sociale in ambitoeuropeo.

Li ricordo brevemente:lo choc demografico, le pro-messe irrealistiche, una pro-spettiva globale (che sarebbevantaggiosa), l’uguaglianzadelle opportunità e la liberacircolazione dei lavoratori.

Credo che nessuno di noiabbia qualcosa da obiettaresull’importanza di questitemi per una considerazionecomplessiva e unitaria deiproblemi della sicurezzasociale.

Quando negli anni ‘60 sicominciò a parlare di quotelatte o delle eccedenze agri-

Riforma in chiave europeadei sistemi di sicurezza sociali

LE CONCLUSIONI - ROCCO FAMILIARI

Maturi i tempi per una riconsiderazione del welfare a livello UE

I nostri problemi,che attanagliano

anche il restod’Europa, vannoaffrontati in una

dimensione unitaria

Rocco Familiari

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cole, credo che sembrasseirrealistico che si potessearrivare a una regolamenta-zione su scala europea conesborsi folli da parte di alcu-ni paesi a favore di altri.

Vorrei fare una provo-cazione in questo senso, ecioè cominciare a parlaredi quote sociali e di ecce-denze di prestazioni perchéquest’Europa (mi permettosoltanto di obiettare a Caz-zola che non condivido itoni spengleriani a proposi-to di un’ Europa “appesan-tita” da eccessi di garanti-smo in confronto ad altris is temi, che poi non so

quali s iano, dato che i l“mitico” sistema americanolascia un terzo della popo-lazione senza assistenza) sifonda su valori di civiltà, etra essi anche la costantericerca di un riequilibriodelle condizioni di vita.

A mio avviso, pertanto,la difesa di un sistema che hagarantito comunque la cre-scita del paese senza lacera-zioni e senza traumi è ancheuna questione culturale.

La provocazione o sug-gestione è quella di comin-ciare a parlare, e magaripotrebbe essere uno dei temidel prossimo appuntamento.

Spero in autunno, dipoter proseguire insieme conPaci su questa linea dellesinergie e organizzare unseminario che, tra i vari temi,tocchi anche questo dellapossibile convergenza suscala europea dei sistemi disicurezza sociale.

Mi sembra un passaggioobbligato per ogni paese chevoglia uscire da una serie diproblemi che sono sì in parteautonomi, diversi da paese apaese, ma anche - la maggiorparte - comuni.

Vi ringrazio ancora e vido appuntamento in autunnonella nostra sede. ●

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LLungi da me l’ideadi fare delle con-clusioni generali.

Mi sembra tuttavia oppor-tuno non perdere l’’occa-sione per ribadire alcunipunti, frutto della rifles-sione, che le relazioni egli interventi svolti mihanno sollecitato.

Anzitutto, è stato spie-gato bene come il problemadelle pensioni sia comples-so e ricco di sfaccettature.Ci sono vari aspetti, ma cisono anche molti dati.

E l’attenzione al datoè proprio il primo punto sucui mi soffermerei. Dobbia-mo reintrodurre questo ele-mento oggettivo nel dibatti-to, anche in quello politico.I dati disponibili sono tanti.Mancano quelli sul som-merso (mancanti per defini-zione), però abbiamo anchetante altre informazioni,che rappresentano la nostraricchezza.

Secondo punto. Misembra che abbiamo spo-stato un po’ l’attenzione daidiritti categoriali acquisiti o“rigidi” alle convenienze

economiche, ai rendimentifinanziari, come criterio concui giudicare delle situazio-ni di fatto che si sono createstoricamente e anche comeelemento di fondo per anda-re a proporre dei correttivi.Non si può più ragionaresulla base dei diritti “rigi-di”, perché questo non fache complicare ulteriormen-te il sistema. Se, invece, sifa riferimento alle misureeconomiche, ai rendimentidifferenziati, forse si ha unapossibilità di uscire da que-sta gabbia in cui ci siamocacciati nel nostro paese.

Terzo punto. Uno dei

fari che ci può guidare per icorrettivi eventuali è il con-cetto dell’equità o, meglio,dell’uguaglianza. Moltiinterventi sono mossi fon-damentalmente dal bisognodi giustizia, di equità: suquesto ci troviamo sullastessa lunghezza d’onda.Tali interventi permettonodi ottenere i l consensosociale. Se teniamo contodel reddito dei lavoratori,bisognarà sforzarsi di fon-dare le misure su un ragio-namento di equità, e poi icorrett ivi si troverannoanche sulle pensioni dianzianità.

Infine, il quarto impor-tante elemento riguarda lasensazione che ho avuto,nonostante alcuni interventiun po’ più spigolosi, chesiamo impegnati in unaricerca comune e che oggisia possibile riflettere conmaggiore maturità rispetto alpassato. Ciò permette di enu-cleare i termini di una lineapoliticadi riforrmismo “pos-sibile”, come è stato detto,senza strattoni, né in unadirezione né nell’altra. ●

In cerca di un arduo equilibriofra diritti, equità e mercato

LE CONCLUSIONI - MASSIMO PACI

Dibattito serrato ma anche più convergenza su analisi e soluzioni

Impegnarsiin una ricerca

comunee riflettere con

maggiore maturitàrispetto al passato

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FFedele al mio ruolo,dovrei restare in unambito strettamente

tecnico ma, per una volta,mi consento una piccolalicenza: dirò, quindi, moltosinteticamente quello chepenso.

Penso, innanzi tutto,che almeno l’85 per centodi ciò che andava fatto perattutire ed eliminare glisquilibri sia stato fatto.Voglio ricordare il calo, intermini di incidenza percen-tuale sul Pil, della spesapensionistica, ma, altresì,che dalla riforma Amato al2005 la manovra, tra minorispese e maggiori entrate, è

di circa 400.000 miliardi.La seconda cosa che

penso è che probabilmentequesto tormentato dibattitosull’insostenibilità dellaspesa pensionistica nonavrebbe ragion d’essere senoi in Italia non avessimodue specificità in negativo: ildebito pubblico e la quota disommerso, che è da noi didimensioni enormementerilevanti.

Perché se sulla nostraspesa pubblica non incides-sero ancora i 150.000 miliar-di all’anno di interessi suldebito pubblico, se il som-merso fosse ricondotto a

condizioni più gestibili e sipotesse quindi fare emergereuna quota di almeno unpunto, un punto e mezzo diPil in termini di entrate, pro-babilmente anche la nostraspesa pensionistica rientre-rebbe nell’ambito dei para-metri europei.

La terza cosa che penso(lo dico con assoluta onestàe con tutto l’equilibrio che civuole) è che il residuo 15 percento delle cose da fare vadafatto sul terreno dei tre inter-venti indicati dal professorPaci. Innanzi tutto si tratta ditrovare una omogeneità realeall’interno del sistema pub-blico per i fondi sostitutivi(tra l’altro queste sono learee nelle quali si registra esi registrerà sempre più ilmaggiore squilibrio finanzia-rio). Voglio ricordare che inostri fondi sostitutivi avran-no nel 2010 un’esposizionenegativa complessiva di55.000 miliardi e annual-mente le pensioni pubblichehanno uno squilibrio, in ter-mini di entrate e uscite, che èdue volte e mezzo quello chec’è nel complesso delle

LE CONCLUSIONI - FABIO TRIZZINO

Fabio Trizzino

Scelte di riforma condizionateda debito pubblico e sommerso

Due specificità in negativo che incidono sul parametro spesa/PIL

Il “tavolo” chesi aprirà dovrà

affrontarela questione

del welfare nelsuo complesso

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gestioni del sistema privato.La seconda cosa da fare,

forse la si sarebbe potuta rea-lizzare con un minimo dicoraggio in più già nel ’95,è l’estensione a tutti delsistema contributivo proquota. Obiettivamente in ter-mini etici e morali, la distin-zione ora esistente non sigiustifica.

La terza cosa da fare,infine, è quella non di aboli-re ma accelerare il percorsodelle pensioni di anzianitàverso un requisito contributi-vo di 40 anni.

Ricordo, perché ho vis-suto all’interno di questoente, la fase della nascitadella pensione di anzianitànel 1965: nacque e restò let-tera morta, perché non c’eranessuno che potesse aspiraread andare in pensione con 35anni di contribuzione effetti-va. Poi sono venuti gli auto-nomi, è venuto il riscatto deiperiodi non lavorativi ed èmaturata la prospettiva diallungamento della vita chel’ha consentita.

Sulla verifica nel 2001si fa, in sostanza, una que-stione quasi ideologica,anche perché io credo che sela rinviassimo il dibattitonon si placherebbe: sarem-mo tormentati tutti i giornida questo stillicidiodell’insostenibilità dellaspesa. Se, viceversa, affron-tassimo seriamente il tavolodella verifica, mai il

momento sarebbe tantoopportuno. Chiudiamo infat-ti un consuntivo ‘98 in cuiper la prima volta la spesapensionistica cresce, ma inmisura inferiore all’incre-mento del Pil nominale, e lenostre previsioni sono chequesta tendenza si manterràanche nell’anno in corso enel 2000. La corsa alle pen-sioni di anzianità sembra ral-lentata, almeno sul frontedegli autonomi, mentre suquello del lavoro dipendentesiamo sostanzialmente inlinea con le previsioni.

Abbiamo ipotizzato nelbilancio di previsione di

quest’anno 200.000 nuovepensioni di anzianità, avrem-mo dovuto liquidarne118.000, mentre ne abbiamoliquidate poco più di 80.000.

Nonostante la situazio-ne certamente non brillantedella nostra economia, leentrate non vanno male e,anche nel ‘99, mostranosegni di incremento tenden-ziale. Quindi si potrebbefare una verifica su ciò chec’è da fare, con equilibrio,con il tempo che ci vuole,anche perché il punto di crisisi avvertirà nel 2005-2010.

L’ultima cosa è unauspicio: se questo tavolo siaprisse, vorrei non fosselimitato all’aspetto dellariduzione della spesa pensio-nistica, ma che affrontasse inmodo serio e globale ildiscorso del ripensamentodel welfare nel suo comples-so, anche e soprattutto suquel versante anacronisticosul quale non si è fino a que-sto momento assolutamenteinciso: quello delle entrate.

Abbiamo un sistema difinanziamento che non èassolutamente al passo con itempi, con l’evoluzione delmercato del lavoro.

Non ha la capacità dimantenere in equilibrio ilfondo pensioni lavoratoridipendenti perché la forzadel lavoro dipendente dimi-nuisce e continuerà a decre-scere; il fondo pensioni lavo-ratori dipendenti si porta die-tro un fardello di 10 milionie mezzo di pensioni natequando il sistema pensioni-stico italiano è stato utilizza-to spesso come ammortizza-tore sociale.

Quindi, ecco l’auspicio:che il discorso si apra, ma siarealmente globale. ■

Affrontare in modo serio eglobale il discorso sul

ripensamento del welfare