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Divisione Generazione ed Energy Management Unità di Business Rossano Centrale Termoelettrica Mercure SINTESI NON TECNICA CENTRALE TERMOELETTRICA MERCURE SINTESI NON TECNICA 1

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SINTESI NON TECNICA

CENTRALE TERMOELETTRICA MERCURE

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INDICE 1 DESCRIZIONE DELL’IMPIANTO pag. 3

2 QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO pag. 7

3 QUADRO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE pag. 15

4 SISTEMI DI MONITORAGGIO pag. 56

1 DESCRIZIONE DELL’IMPIANTO

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IMPIANTO ORIGINARIO La Centrale termoelettrica del Mercure, sita nel comune di Laino Borgo (CS) è posta ad una quota di 333,50 m s.l.m., in corrispondenza del tratto compreso fra i km 4 e 5 della strada provinciale n.4 del Pollino, a sud a circa 45 km dalla stazione ferroviaria di Lagonegro, ed occupa una superficie complessiva recintata di circa 118.000 m2. E’ collegata mediante viabilità locale alla strada statale n.19 e quindi all’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria in corrispondenza rispettivamente delle uscite di Lauria Sud e di Laino Borgo. Non esiste collegamento ferroviario con l’impianto. L’area di proprietà complessiva dell’Enel che comprende anche i territori della ex miniera è pari a circa 3.000.000 m2. L’area su cui sorge l’impianto ricade nella zona D1 del P.R.G. del Comune di Laino Borgo. La Centrale termoelettrica del Mercure era originariamente costituita da due unità da 75 MW predisposte per il funzionamento a OCD (olio combustibile denso) e lignite per complessivi 150 MW di potenza elettrica lorda installata. L’autorizzazione alla costruzione era antecedente alla Nazionalizzazione della produzione di energia elettrica ed era stata rilasciata alla Società Meridionale di Elettricità con Decreto del Ministro per l’Industria e per il Commercio di concerto con il Ministro per i Lavori Pubblici in data 22 maggio 1962. Le due unità costruite con lo scopo di utilizzare prevalentemente le miniere di lignite presenti nella zona erano entrate in servizio rispettivamente:

Sezione 1 14 novembre 1965 Sezione 2 16 febbraio 1966

La sezione n.1 è stata posta successivamente in stato di arresto con cessazione dal servizio dal 01 maggio 1997. Per i prossimi anni non è previsto l’utilizzo di questa unità che non è adeguata ambientalmente e che resterà pertanto nello stato di arresto. La sezione 2 è stata disattivata e dichiarata dismessa al M.I.C.A. (oggi Ministero Sviluppo Economico) a far data dal 01 ottobre 1993 (rif. lettera Enel del 28 dicembre 1993 – prot.18403). Le due sezioni termoelettriche erano equipaggiate con caldaie di tipo Ansaldo B&W a circolazione naturale, ad irradiazione integrale e risurriscaldamento. Le caldaie erano attrezzate per la combustione di lignite e di olio combustibile. L'acqua necessaria per il raffreddamento ai condensatori è prelevata, tramite condotte forzate, da una vasca posta sullo scarico della vicina Centrale idrica di Tancredi la quale utilizza l’acqua del Fiume Mercure. Per garantire lo smaltimento termico per la potenza installata sono presenti in centrale torri di refrigerazione a tiraggio forzato con reintegro dal Fiume Mercure. La portata massima dell’acqua di circolazione prevista per ciascuna sezione per il raffreddamento del condensatore e per gli altri usi di Centrale era di circa 8.700 t/h.

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Le due sezioni, dopo un primo periodo di funzionamento a lignite (della durata di 5 anni) sono state esercite ad olio combustibile, il cui approvvigionamento avveniva tramite autocisterne in partenza dalle raffinerie di Taranto e di Napoli. Il parco combustibili era costituito da 5 serbatoi a tetto fisso per una capacità totale autorizzata pari a 45.000 m3 di olio combustibile denso e 210 m3 di gasolio. Le caratteristiche dei serbatoi erano le seguenti:

n.2 da 7500 m3 (OCD); n.1 da 30.000 m3 (OCD); n.1 da 50 m3 (gasolio); n.1 da 160 m3 (gasolio).

Adiacenti alla Sala Macchine sono installati i trasformatori principali, collegati alla stazione elettrica esterna all’area di Centrale ed in località limitrofa ad essa con due linee a 220 kV. Nell'area circostante alla Centrale era installata una rete di stazioni per il rilevamento continuo dei dati meteorologici e della qualità dell'aria con la registrazione dei dati in locale. Tale rete era costituita da cinque capannine dotate di strumenti per il rilevamento dell’ SO2 e delle polveri. La centrale è dotata di una ciminiera dell’altezza di circa 80 m e diametro di uscita di 6,4m. La Centrale impiegava, a partire dagli anni 70, solo olio combustibile denso. Il consumo orario alla potenza efficiente lorda di 75 MW, per ogni sezione, risultava pari a circa 18 t/h. Limitatamente alle sole fasi di avviamento, venivano anche usate, come combustibile, modeste quantità di gasolio.

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RIATTIVAZIONE DELLA SEZIONE N. 2 PER IL FUNZIONAMENTO A BIOMASSE

GENERALITA’ L’Enel, con istanza del 25 settembre 2001 prot. EP/P2001003718, ha chiesto l’autorizzazione alla riattivazione in esercizio della sezione 2 per la produzione di energia elettrica per una potenza di circa 35 MW elettrici netti (41 MW elettrici lordi), alimentata con biomasse come definite ai punti 3 e 4 dell’allegato 2, sub allegato 1 al decreto ministeriale 5 febbraio 1998, in particolare con rifiuti provenienti dalla lavorazione del legno non trattati e scarti vegetali. Con provvedimento del 2 settembre 2002 della Provincia di Cosenza, Enel è stata autorizzata a modificare ed esercire la sezione 2 della Centrale del Mercure alimentata con biomasse come definite ai punti 3 e 4 dell’allegato, suballegato 1 al DM 5 febbraio 1998, in particolare con rifiuti della lavorazione del legno non trattati e scarti vegetali, in virtù della procedura semplificata prevista dagli articoli 31 e 33 del D.Lgs 5 febbraio 1997, n.22. Ai sensi della sopracitata autorizzazione l’impianto è in fase di ultimazione ed è praticamente pronto ad essere inserito in esercizio commerciale. In data 08 febbraio 2007 con Decreto della Regione Calabria n. 536, Enel ha ottenuto esito favorevole alla Valutazione di Incidenza. Con lettera del 01 febbraio 2007 il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha comunicato ad Enel ed alla Provincia di Cosenza che la Corte di Giustizia Europea ha evidenziato l’illegittimità dell’utilizzo di biomasse qualificate come “rifiuti” e pertanto ha sollecitato l’Enel a presentare apposita istanza affinché le autorizzazioni in essere, ovvero in corso di definizione, vengano adeguate escludendo in maniera tassativa la possibilità che l’impianto possa utilizzare come combustibile prodotti qualificabili come rifiuti. L’Enel, con lettera del 02 marzo 2007 prot. EP/P200700778, ha provveduto a presentare l’istanza richiesta alla Provincia di Cosenza, alla quale istanza la stessa Provincia ha risposto con lettera del 13 aprile 2007 richiedendo ad Enel l’invio del progetto dell’impianto in argomento che tenga conto delle prescrizioni e/o indicazioni contenute nella Valutazione di Incidenza rilasciata dalla Regione Calabria e dei pareri espressi dalla Corte di Giustizia Europea. Tale documentazione dovrà altresì evidenziare, con elaborati tecnici e apposita Relazione Tecnica, le varianti apportate rispetto al progetto autorizzato con atto del 2 settembre 2002.

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TRASFORMAZIONE DELLA SEZIONE N. 2 La caldaia della sezione termoelettrica n.2 è stata trasformata per renderla idonea ad erogare una potenza termica di circa 134,6 MW utilizzando esclusivamente combustibili da biomasse. La turbina, destinata a ricevere il fluido sviluppato dal generatore di vapore, produrrà circa 41 MW elettrici lordi, con immissione in rete di circa 35 MW elettrici netti. La tecnologia di combustione che è stata adottata è quella del letto fluido. Lo schema di funzionamento ha previsto il riutilizzo della turbina a vapore, dell’alternatore e del trasformatore elevatore dell’attuale unità n.2. La turbina è stata oggetto di opportuni interventi finalizzati a mantenere un alto rendimento anche nel nuovo assetto termodinamico. Il vapore prodotto dopo una prima espansione nel corpo AP (alta pressione) viene risurriscaldato e fatto espandere nei corpi di MP e BP (media e bassa pressione) della turbina. Il nuovo ciclo termico, al pari di quello passato, prevede quattro spillamenti dalla turbina per preriscaldare e degasare l’acqua d’alimento del generatore di vapore. Al termine dell’espansione, il vapore di scarico passa in fase liquida all’interno dell’attuale condensatore a superficie mediante acqua di raffreddamento proveniente dalle torri evaporative. Il condensato è inviato in caldaia per mezzo della pompa di alimento pre-esistente. E’ stata recuperata e riutilizzata parte dei componenti del precedente ciclo termico del vapore, dopo opportune attività di ripristino e di adeguamento. Caldaia a biomasse – ciclo termodinamico a vapore (Rankine), in cui il fluido (acqua) subisce una serie di trasformazioni fisiche. COMBUSTIBILE ⇒ ENERGIA CHIMICA ⇒ GENERATORE DI VAPORE ⇒ ENERGIA TERMICA ⇒TURBINA ⇒ ENERGIA MECCANICA ⇒ ALTERNATORE ⇒ ENERGIA ELETTRICA.

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2 QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO Strumenti volontari di gestione ambientale L'impegno per il continuo miglioramento delle prestazioni ambientali assunto dall'ENEL mediante l'adozione, presso i propri siti produttivi, di sistemi volontari di gestione ambientale si è tradotto finora in risultati concreti attraverso il conseguimento della certificazione ISO 14001 e della registrazione EMAS rispettivamente per circa il 66% e il 28% della potenza installata dell'intero parco di generazione ENEL. Anche la Centrale di Rossano è inserita nel programma di certificazione ISO 14001 e registrazione EMAS del parco di generazione ENEL secondo quanto previsto dalla politica ambientale intrapresa dal Gruppo Enel SpA e pertanto sta implementando un sistema volontario di gestione ambientale, costruito secondo lo standard ISO 14001. In aggiunta a ciò per il conseguimento della registrazione EMAS la centrale dovrà elaborare un’analisi ambientale iniziale, eseguita sulla base dei criteri di valutazione dettati dal Regolamento EMAS, i cui risultati verranno poi riportati nella dichiarazione ambientale da rendere pubblica a valle della convalida da parte del verificatore accreditato. La dichiarazione ambientale dovrà inoltre esporre un programma ambientale di centrale contenente gli impegni mirati alla riduzione degli impatti (azioni e interventi strutturali proposti per l’ottenimento di specifici traguardi), con la quantificazione di costi e tempi per il loro raggiungimento. Pianificazione territoriale In linea con gli obiettivi e i contenuti della programmazione di sviluppo socioeconomico regionale identificati attraverso sei assi prioritari dal Programma Operativo Regionale (POR) 2000-2006 della Regione Calabria, si pone il Quadro Territoriale Regionale (QTR), definito con la legge regionale 16 aprile 2002, n.19 "Norme per la tutela, il governo e l'uso del territorio" come strumento di indirizzo per la pianificazione del territorio, con duplice valenza di piano urbanistico territoriale e piano paesistico. Sulla base dell'art.18 della sopracitata legge regionale 19/2002 è stato redatto il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale che svolge il ruolo di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali regionali e la pianificazione urbanistica comunale e che approfondisce i contenuti del QTR riguardo ai valori paesistici e ambientali di cui all'articolo 149 e seguenti del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490. La legge regionale 14 luglio 2003, n. 10 "Norme in materia di aree protette" individua il sistema integrato regionale delle aree protette della Regione Calabria, in relazione alle diverse caratteristiche e destinazioni di queste ultime, al fine di garantire e promuovere la conservazione e la valorizzazione delle aree di particolare rilevanza naturalistica, nonché il recupero e il restauro ambientale di quelle degradate. Nell'area circostante la Centrale del Mercure, sono presenti un Sito di Interesse Comunitario (SIC) “Valle del Fiume Lao” ed una Zona a Protezione Speciale (ZPS)

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“Pollino Orsomarso”Sito di Importanza Comunitaria (SIC) e di elevata valenza naturalistica. In relazione al dettato dell'art.17 comma 5 della Legge Regionale 16 aprile 2002, n.19 (Norme per la tutela, governo ed uso del territorio - Legge Urbanistica della Calabria), la Regione Calabria, con la Deliberazione n. 106 del 10/11/2006, ha emanato Le Linee Guida della pianificazione regionale La Centrale del Mercure è situata all’estremo nord del compartimento geografico calabro. L’impianto è ubicato in un territorio ortograficamente montuoso, nel Comune di Laino Borgo (CS) in località Pianetta, nella valle del Fiume Mercure. A SE troviamo il massiccio del Pollino, con la sua altezza massima di 2.271 metri, mentre a NW la valle è chiusa dallo spartiacque con la valle del Sinni, le cui cime sono alte mediamente 800 metri circa. Complessivamente, l’area considerata è delimitata a NE dalle colline che comprendono il bacino del Torrente Peschiera, a NW dalla dorsale dello Zaccana, ad W dallo spartiacque che corre lungo la linea Monte Fassino – Rossino – Gada, a SW dalla Schiena di Nepeta, a S dalla dorsale dei Monti Vetrano – Costapiana – Cerviero – Cozzo dell’Anticristo – Coppola di Paola – Timpone della Capanna, a SE dalla Serra del Prete e a E dalla linea Colle dell’Impiso – Serra di Viaggianello. Si viene così a formare una conca che, nella sua parte centrale, da W verso E, è percorsa dal Fiume Mercure. Dal punto di vista dello sviluppo verticale, l’area risulta compresa fra i 200-250 metri del corso del Fiume Mercure e i 2.050 metri della Serra del Prete.

Uso e copertura del suolo

L’area in questione è compresa nel perimetro del Parco Nazionale del Pollino e presenta un livello di antropizzazione piuttosto contenuto; le aree influenzate dalle attività umane interessano il 23% circa della superficie considerata. In particolare la superficie coltivata occupa il 21% circa, con una prevalenza delle colture erbacee (20%) rispetto a quelle arboree (1%). Il resto dell’area ospita formazioni di tipo naturale, con una netta prevalenza dei boschi di latifoglie submediterranee (circa il 39% della superficie). Seguono, in ordine di estensione decrescente, gli arbusteti e le formazioni di mantello dei boschi di latifoglie submediterranee, dei boschi di transizione e delle faggete (circa il 17% della superficie), le praterie xeriche (circa il 10% della superficie) e le faggete (circa l’8,5% della superficie).

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CARATTERISTICHE GENERALI DEI SITI SIC E ZPS

Le componenti ambientali considerate ai fini della verifica di esclusione di possibili incidenze dovute alla presenza e all’esercizio della Centrale termoelettrica del Mercure sul sistema territoriale del Sito di Interesse Comunitario (SIC) “Valle del Fiume Lao” e sulla Zona a Protezione Speciale (ZPS) “Pollino Orsomarso” (valutazione di incidenza positiva) sono state analizzate tenendo conto degli indirizzi di cui all’allegato G al DPR 8 settembre 1997, n. 357, in riferimento alle caratteristiche progettuali descritte nella relazione tecnica “Progetto di riattivazione in esercizio della sezione 2 con impiego di biomasse quale combustibile” (settembre 2001) e nelle sue successive integrazioni. Sulla base delle esperienze acquisite attraverso la redazione di numerosi studi di impatto ambientale precedentemente svolti per trasformazioni e modifiche di centrali termoelettriche, si considerano come possibili effetti ambientali di qualche rilievo quelli sulle seguenti componenti del sistema territoriale:

atmosfera, per le emissioni dei prodotti della combustione aerodispersi; ambiente idrico, per la restituzione delle acque di raffreddamento e delle acque

reflue trattate; suolo e sottosuolo, per le deposizioni di microinquinanti aerodispersi (atmosfera); flora e fauna: - ecosistema terrestre, per la rumorosità e gli effetti sulla qualità dell’aria (rumore

e atmosfera), - ecosistema acquatico fluviale, per gli effetti mediati attraverso il prelievo di

risorse idriche e la qualità delle acque (ambiente idrico); salute pubblica, con riferimento agli effetti indotti sulla qualità dell’aria (atmosfera); rumore e vibrazioni, con maggiore riguardo per l’impatto acustico, essendo le

vibrazioni prevedibili praticamente trascurabili; radiazioni, in relazione al campo elettromagnetico generato dall'immissione di

energia elettrica nel sistema di trasmissione primario; paesaggio, per quanto concerne l’influenza della centrale sulle caratteristiche

percettive dell’area. Ai fini della richiesta verifica, l’analisi è stata dunque condotta sulle componenti potenzialmente interessate nell’ambito del SIC e della ZPS presa in esame. Le interferenze del progetto vengono descritte con riferimento al sistema ambientale, considerando le componenti abiotiche, le componenti biotiche e le connessioni ecologiche. L’analisi del progetto consente l’individuazione degli interventi con possibili effetti ambientali di qualche rilievo (“azioni interferenti”) e orienta lo studio delle componenti del sistema territoriale potenzialmente esposte. L’estensione spaziale teoricamente attribuibile alle potenziali interferenze derivanti dalle “azioni” di progetto viene valutata individuando l’area massima entro la quale, secondo le

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conoscenze acquisite, si prevede che gli impatti di maggiore estensione si esauriscano o scendano a livelli trascurabili. Nella Regione Calabria il 5,6% e l’1,8% del territorio è rappresentato rispettivamente da siti di importanza comunitaria e da zone a protezione speciale ossia da aree in cui si promuove la salvaguardia delle biodiversità attraverso la tutela di specie e habitat la cui conservazione è ritenuta di interesse comune per tutti i Paesi membri dell’Unione Europea.

LA CENTRALE DEL MERCURE E IL SIC “VALLE DEL FIUME LAO”

La Centrale del Mercure è sita nel Comune di Laino Borgo (CS), ad una quota di 333,5 metri s.l.m., in corrispondenza del tratto compreso fra i km 4 e 5 della Strada Provinciale 4 del Pollino, a circa 45 km a sud della stazione ferroviaria di Lagonegro. E’ collegata mediante viabilità locale e la Strada Statale 19 all’Autostrada A3 Salerno - Reggio Calabria in corrispondenza, rispettivamente, delle uscite di Lauria Sud e Laino Borgo. Come visibile dalla cartografia d’insieme, la distanza in linea d’aria dal camino di centrale al Fiume Lao, in corrispondenza del confine nord dell'area SIC, è pari a circa 11,5 km. Il Sito di Interesse Comunitario (SIC) “Valle del Fiume Lao” è individuato dal codice IT9310025, interessa un’area di 1.696 ettari, con una altitudine compresa fra 2 e 750 m s.l.m. (mediamente 300 m s.l.m.), è localizzato nel territorio della Regione Calabria (base cartografica in figura) e rientra nella regione bio-geografica mediterranea. Le caratteristiche generali del sito definiscono i seguenti tipi di habitat: corpi d’acqua interni (10%), macchia mediterranea (10%), prati e steppe (5%), boschi decidui (30%), boschi sempreverdi (40%) e rocce e sabbie (5%). In sostanza si tratta di una lunga valle fluviale incassata che si apre verso la foce a formare un’ampia area alluvionale. E’ un ambiente fluviale ricco di boschi riparali e foreste di macchia. In particolare viene indicato come sito riproduttivo di specie endemiche di Anfibi. La scheda descrittiva del sito fornisce diverse informazioni di dettaglio, in particolare:

la tipologia degli habitat presenti facendo riferimento ai tipi di habitat dell'allegato I alla direttiva 92/43/CEE (allegato A al DPR 8 settembre 1997, n. 357);

la percentuale di copertura all'interno del sito; la rappresentatività (allegato III alla direttiva 92/43/CEE) espressa come stima

qualitativa del grado di rappresentatività che indica "quanto tipico" sia l'habitat esaminato;

la superficie relativa (allegato III alla direttiva 92/43/CEE) espressa come superficie del sito coperta dal tipo di habitat naturale considerato rispetto alla superficie totale coperta da questo tipo di habitat naturale sul territorio nazionale;

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il grado di conservazione (allegato III alla direttiva 92/43/CEE) della struttura e

delle funzioni del tipo di habitat naturale in questione e possibilità di ripristino; questo criterio comprende tre sottocriteri:

i) il grado di conservazione della struttura; ii) il grado di conservazione delle funzioni; iii) la possibilità di ripristino;

la valutazione globale (allegato III alla direttiva 92/43/CEE) intesa come sintesi

delle valutazioni emerse con i criteri sopra esposti, ricorrendo al "miglior giudizio di esperti".

Per quanto riguarda il pSIC considerato, le informazioni sono sintetizzate nella seguente tabella: Codice Descrizione del

tipo di Habitat % di sup. coperta

Rappresentatività Sup. relativa

Grado di conservazione

Val. globale

9340 Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia

40 Buona < 2% Buona conservazione

Valore buono

92A0 Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba

30 Buona < 2% Buona conservazione

Valore buono

5330 Arbusteti termo-mediterranei e pre-desertici

10 Buona < 2% Buona conservazione

Valore buono

6210 Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (* stupenda fioritura di orchidee)

5 Buona < 2% Buona conservazione

Valore buono

6220 Percorsi 5 Buona < 2% Buona Valore

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substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea

conservazione buono

Fonte: “Natura 2000 – Formulario standard” tratto da http://www.minambiente.it

VALLE DEL FIUME LAO Tipi di habitat e percentuale di copertura

all'interno del sito

40%

30%

10%

5%5%

10%

Foreste di Quercus ilex eQuercus rotundifolia

Foreste a galleria di Silix albae Populus alba

Arbusteti termo-mediterraneie pre-desertici

Formazioni erbose seccheseminaturali e facies coperteda cespugli su substatocalcareoPercorsi substepposi digraminacee e piante annuedei Thero-Brachypodietea

altro

Inoltre, la scheda identificativa del pSIC individua la presenza delle seguenti specie di cui alle direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE: • Mammiferi Lutra lutra, la cui popolazione risulta di consistenza limitata (<2%),

rispetto alle popolazioni nazionali, ma in buono stato di conservazione e in gran parte isolata;

• Anfibi e Rettili Bombina variegata, la cui popolazione risulta di consistenza limitata (<2%), rispetto alle popolazioni nazionali, in buono stato di conservazione e non isolata, ma ai margini dell'area di distribuzione; Salamandrina terdigitata, la cui popolazione risulta di consistenza limitata (<2%), rispetto alle popolazioni nazionali, in buono stato di conservazione e non isolata, ma ai margini dell'area di distribuzione; Elaphe quatuorlineata, la cui popolazione risulta di discreta consistenza (dal 2 al 15%), rispetto alle popolazioni nazionali, in buono stato di conservazione e non isolata, ma ai margini dell'area di distribuzione;

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• Invertebrati Cordulegaster trinacriae, la cui popolazione risulta di discreta consistenza (dal 2 al 15%), rispetto alle popolazioni nazionali, in buono stato di conservazione e non isolata all'interno di una vasta fascia di distribuzione.

Il pSIC ospita anche altre importanti specie di Rettili e Anfibi comprese negli elenchi di specie delle convenzioni internazionali (allegato 2 alla Convenzione sulla conservazione della vita selvatica dell’ambiente naturale in Europa, adottata a Berna il 19 settembre 1979 e allegato 4 alla Direttiva 43/92/CEE “Habitat” denominato “Specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa. Aggiornato con la Direttiva 97/62/CE del Consiglio del 27 ottobre 1997”). Tali specie sono: Bufo viridis, Rana italica, Triturus italicus, Coronella austriaca, Elaphe longissima e Lacerta bilineata (Lacerta viridis) [1]. La scheda SIC individua come elemento di vulnerabilità la presenza di vicini insediamenti antropici. L’articolo 30, comma 9, della legge regionale 14 luglio 2003, n. 10 “Norme in materia di aree protette” riconosce l’iscrizione dei pSIC regionali al Registro Ufficiale delle aree protette della Regione Calabria (“In conformità alla presente legge, i siti individuati sul territorio calabrese sulla base del loro valore naturalistico e della rarità delle specie presenti, assurti a proposta SIC ai sensi del DM 3 aprile 2000, a Zone di Protezione Speciale (ZPS), a siti di interesse nazionale (SIN) e a siti di interesse regionale (SIR) ai sensi delle direttive 92/43 CEE e 79/43 CEE, dando vita alla rete europea “Natura 2000”, vengono iscritti nel Registro Ufficiale delle aree protette della Regione Calabria”). Regolamentazione di settore La tutela del comparto atmosferico è disciplinata dal Decreto Ministeriale 2 aprile 2002, n. 60 e dalla normativa transitoria definita dal DPR 24 maggio 1988, n. 203. La tematica delle emissioni in atmosfera è regolamentata dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - parte V. Per quanto concerne il controllo della qualità dell’aria, la Regione Calabria non risulta ancora sufficientemente attrezzata dal punto di vista della dislocazione dei mezzi di rilevazione sul territorio delle varie province oltre che della raccolta e elaborazione dei dati da trasmettere al sistema nazionale: fa eccezione la rete di rilevamento della qualità dell'aria gestita direttamente dall'ENEL nell'area di Rossano Calabro che assicura un

[1] Specie politipica che annovera numerose sottospecie. Recentemente alcuni Autori, sulla base di studi biochimici e morfologici, hanno proposto la suddivisione delle popolazioni europee in due specie distinte: quelle occidentali (Spagna, Francia e Germania occidentale) sarebbero ascrivibili a Lacerta bilineata Daudin, 1802, mentre quelle orientali a L. viridis. La definizione dei limiti geografici della nuova specie di Ramarro europeo non è però ancora certa. Nel Repertorio della fauna italiana protetta del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio è presente la specie Lacerta viridis.

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controllo in tempo reale dei valori di concentrazione degli inquinanti caratteristici della combustione. In materia di gestione dei rifiuti, di bonifica e risanamento ambientale, di tutela delle acque superficiali e sotterranee, la Regione Calabria dal settembre 1997 è dichiarata in stato di emergenza. L'ordinanza n. 3185 del 22 marzo 2002 del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri (modificata dalle successive Ordinanze n. 3220 del 15 giugno 2002, n. 3251 del 14 novembre 2002, e n. 3337 del 13 febbraio 2004), nel confermare il Presidente della Regione quale Commissario delegato al completamento degli interventi per il superamento dell’emergenza, gli demanda tutti i poteri necessari all’attuazione del Piano di Gestione Rifiuti anche in ordine alla gestione dei rifiuti speciali e alla bonifica dei siti industriali. Il suddetto Piano di Gestione Rifiuti per il superamento dell'emergenza promuove l'autosmaltimento, inteso come smaltimento o recupero dei rifiuti non pericolosi nel luogo di produzione, come forma prioritaria di gestione dei rifiuti speciali, anche a livello industriale, sottoponendolo a procedure semplificate. La Regione Calabria non ha ancora formalmente recepito il D. Lgs. 152/99 e il D. Lgs. 152/06; la legge regionale 3 ottobre 1997, n. 10 definisce le norme per la tutela delle acque dall'inquinamento disciplinandone le funzioni amministrative secondo le modalità previste dalla ormai abrogata legge 319/76 e delimita cinque Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) che rispecchiano l'articolazione dei confini provinciali per la gestione del servizio idrico integrato. Tutti gli ambiti risultano definiti e sono in corso di costituzione le Autorità di ATO. Nell'ambito della programmazione sovraordinata, costituita dal Piano Regolatore Generale degli Acquedotti, dal Piano regionale di risanamento delle acque, dal Piano di bacino e dai piani territoriali e settoriali, l'attività decisionale dell'ATO 1-Cosenza, che ricomprende il Comune di Rossano, è guidata dal Piano di Ambito del 2003, che definisce i livelli di servizio attesi, pianifica gli interventi a medio e lungo termine e la metodologia di controllo e revisione tariffaria. L'Ufficio del Commissario delegato ha redatto un Piano Stralcio per l'adeguamento del sistema idrico agli obblighi di cui al decreto legislativo 152/99 in materia di scarichi di acque reflue nelle reti fognarie, di collettamento e depurazione. Per quanto riguarda il rumore, né il Comune di Laino Borgo, né i comuni limitrofi hanno ancora effettuato la classificazione dei territori comunali secondo quanto previsto dall’art. 6 della Legge n. 447/95, pertanto sono vigenti i limiti transitori di cui al DPCM 01/03/1991.

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SINTESI NON TECNICA

3 QUADRO DI RIFERIMENTO AMBIENTALE

INQUADRAMENTO DELL’AREA DI RIFERIMENTO Definizione dell'ambito territoriale (sito e area vasta) e delle componenti ambientali interessate Le componenti ambientali da considerare ai fini dell'analisi del sistema territoriale locale sono state scelte tenendo conto dei requisiti della legislazione vigente in materia. Le componenti ambientali individuate sono: • atmosfera, per le emissioni dei prodotti della combustione aerodispersi; • ambiente idrico, per la restituzione delle acque di raffreddamento e delle acque reflue

trattate; • suolo e sottosuolo; • flora e fauna, nel cui ambito sono stati considerati:

• l'ecosistema terrestre, per la rumorosità e gli effetti mediati attraverso la qualità dell’aria,

• l'ecosistema acquatico, per gli effetti mediati attraverso la qualità dell'acqua; • rumore; • paesaggio. Per meglio inquadrare la descrizione di queste componenti ambientali nel loro contesto di inserimento, è stata effettuata anche la raccolta di informazioni accessorie su altri aspetti territoriali (topografia, uso del suolo, oceanografia, geologia, sismologia, popolazione e attività economiche). Fattori e componenti ambientali CARATTERISTICHE DEL SITO

La Centrale termoelettrica del Mercure è ubicata all’estremo nord del compartimento geografico calabro. Essa è localizzata in un territorio orograficamente montuoso in località Pianetta, nella valle del Fiume Mercure. A sud est dell’impianto si trova il massiccio del Pollino, con la sua altezza massima di 2.271 m, mentre a nord ovest la valle è chiusa dallo spartiacque con la valle del Sinni, le cui cime sono alte mediamente 800 m circa.

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QUALITÀ DELL’ARIA

Nel caso specifico della Centrale termoelettrica del Mercure è possibile procedere ad una valutazione dello stato della qualità dell'aria derivante dall'intervento proposto, anche attraverso un’analisi comparativa tra la situazione attuale e la situazione futura, dopo la trasformazione dell'impianto a biomasse. In particolare per la situazione attuale, si considera l’ipotetico funzionamento della sola sezione 1, mentre per la situazione futura viene considerato l'esercizio della sola sezione 2, riattivata per l'utilizzo delle biomasse. Si può, infatti, valutare l’entità e la distribuzione spaziale del contributo dell’impianto alle concentrazioni degli inquinanti al suolo, facendo ricorso a modelli previsionali largamente validati e sperimentati. La scelta del modello di calcolo da utilizzare nello studio della dispersione degli inquinanti emessi dal camino è principalmente condizionata dalle caratteristiche del periodo temporale di simulazione da assumere per verificare la rispondenza ai limiti di legge. La normativa vigente è stata aggiornata con il decreto 2 aprile 2002, n. 60, considerando transitori i limiti del 98° percentile e della mediana delle medie di 24 ore e prevedendo due nuovi riferimenti legati sia al valore orario che a quello giornaliero. In particolare, l'esigenza di determinare i percentili delle medie orarie delle concentrazioni di NO2 richiede l'adozione di un modello di tipo “short-term” (a breve termine), che consenta di valutare i valori medi orari delle concentrazioni. Tra i modelli indicati dall'EPA (U.S. - Environmental Protection Agency) è stato scelto il modello ISC3, che è conforme alle caratteristiche richieste dall'applicazione in esame. Questo modello è identificato nella “Guideline on Air Quality Models” dell’US-EPA, come “preferred” per siti a topografia piana o ondulata (rilievi di altezza inferiore alla quota fisica di emissione), anzi in questi casi il suo utilizzo viene classificato tra le “refined modeling techniques”. Per i siti a topografia complessa, invece, l’algoritmo incluso nell’ISC3 è equivalente a quello del modello COMPLEX-I e rappresenta una tecnica di “screening” che fornisce in queste situazioni stime ampiamente conservative. Le equazioni di base sono quelle classiche che descrivono la dispersione rettilinea di un pennacchio "gaussiano" in condizioni stazionarie. Tali equazioni, con alcune modifiche, sono usate per trattare diverse tipologie di sorgenti: puntiformi, areali, di tipo volume e "open pit" (cave, miniere a cielo aperto, etc.). Per le sorgenti puntiformi, come nel nostro caso (emissioni da camini), il modello può simulare sia il “downwash” (effetto scia) da camino (“stack-tip dounwash”, Briggs 1974) sia il “downwash” causato dagli edifici circostanti (“building downwash”). La velocità del vento, se necessario, viene estrapolata alla quota di emissione secondo la legge di potenza. Per quanto concerne i siti in cui è presente sia terreno pianeggiante sia montagnoso, l’ISC3 permette una gestione completamente in linea con le indicazioni contenute nella già citata "guideline" dell'EPA; infatti, per recettori che si trovano a quote intermedie, cioè quelli la cui quota è compresa tra la sommità del camino e l'asse di livellamento del pennacchio, l'ISC3 applica sia l'algoritmo per terreno piano sia l'algoritmo per terreno complesso e seleziona quello che tra i due produce l'impatto più elevato. Tale schema viene eseguito procedendo recettore per recettore, sorgente per sorgente e ora per ora. Il trattamento del terreno complesso, effettuato da ISC3, prevede un comportamento del pennacchio differente rispetto al terreno piano, in particolare,

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l'algoritmo si basa sull’assunzione principale che l'asse del pennacchio si mantiene alla quota di stabilizzazione quando passa sui rilievi montuosi in condizioni stabili (categorie E ed F), mentre è effettuata una correzione pari a metà altezza in condizioni instabili o neutre (categorie A, B, C e D). Si assume pertanto che, in condizioni di instabilità atmosferica, la complessità del terreno e il susseguente generarsi di vortici termici, siano in grado di influenzare la quota di livellamento del pennacchio, contrariamente a quanto avviene in condizioni stabili. Il modello ISC3 per poter funzionare richiede in input i dati meteorologici, i dati delle sorgenti di emissione considerate e i dati relativi al dominio di calcolo. L’input meteorologico richiede valori medi orari di velocità e direzione del vento, classe di stabilità atmosferica, temperatura ambiente e altezza di rimescolamento. Dai rilevamenti eseguiti, è stato estratto un set significativo di record orari costituiti da giorni completi di dati, equamente ripartiti tra le stagioni dell'anno. L’altezza dello strato rimescolato è stata assunta pari a 10.000 m, poiché rappresenta la condizione più conservativa nell’utilizzo dei modelli per questo tipo di sorgente. L’altezza di livellamento del pennacchio calcolata, infatti, si colloca normalmente sopra la base delle inversioni termiche tipiche del sito e, in questi casi, il modello, se applicato con altezze di rimescolamento inferiori, non prevederebbe alcuna ricaduta al suolo delle concentrazioni. Quest’aspetto è stato verificato in diverse valutazioni modellistiche eseguite per impianti e condizioni analoghe a quelle qui trattate. Il dominio di calcolo, scelto in base alle caratteristiche del sito e al tipo di emissione, è costituito da un quadrato, centrato sull’impianto, di lato 25 km sia in direzione est - ovest che in direzione nord - sud. La disposizione del dominio di calcolo e quindi delle figure contenenti i risultati delle simulazioni, è tale da far coincidere il nord geografico con la direzione verticale. I punti ricettori sono stati disposti su una griglia a maglie quadrate con un passo variabile tra 500 e 250 metri, più fitti all’aumentare della quota, per un totale di 4.817 punti ricettori. Per quanto riguarda i dati delle sorgenti di emissione, si è fatto riferimento ai seguenti valori:

Situazione attuale (sezione termoelettrica)

Fumi Camino

h d Portata Temperatur

a

Emissioni (mg/Nm3)*

(m) (m) (Nm3/h) (°C) SO2NOx

Polveri

80 6,4 265.000 150 1.700 650 50

(*) Valori riferiti ai fumi secchi e al tenore di ossigeno del 3 %

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SINTESI NON TECNICA

Situazione futura (sezione a biomasse )

Fumi Camino

h d Portata Temperatur

a

Emissioni (mg/Nm3)*

(m) (m) (Nm3/h) (°C) SO2NOx

Polveri

80 6,4 195.000 130 50 200 10 (*) Valori riferiti ai fumi secchi e al tenore di ossigeno dell'11%

Sulla base delle suddette informazioni, sono state condotte le valutazioni modellistiche per SO2, NO2 e polveri, calcolando per ciascun inquinante la distribuzione al suolo delle concentrazioni riferite agli indici statistici previste dalla normativa in materia di limiti sulla qualità dell’aria. Per quanto riguarda gli ossidi di azoto, le emissioni delle sorgenti considerate sono costituite prevalentemente da monossido di azoto (NO), mentre la normativa prevede un limite sul 98° percentile annuale dei valori orari di biossido di azoto (NO2). È stata pertanto eseguita la valutazione dell'entità della trasformazione del monossido di azoto emesso (NO) in biossido di azoto (NO2), utilizzando un opportuno codice di calcolo, ampiamente sperimentato per applicazioni di questo tipo, basato sugli equilibri di ossidazione e fotodissociazione che coinvolgono ossidi di azoto, ozono e radiazione solare UV. Tale codice opera sui singoli valori orari e per ogni punto ricettore. I risultati delle simulazioni effettuate sono descritti nel seguito (occorre tener presente che ai tempi dell’iter autorizzativo non era stato ancora emanato il decreto 60/2002 che introduce nuovi riferimenti nei limiti di qualità dell’aria). Biossido di zolfo - SO2 Le figure che seguono mostrano la distribuzione spaziale del 98° percentile e della mediana delle medie di 24 ore ricavate nell’arco di un anno per la situazione futura (alimentazione a biomasse della sezione 2). I dati disponibili sono direttamente confrontabili con i limiti fissati dal DPR 203/88 e consentono di effettuare delle correlazioni anche con l’aggiornamento normativo fatto in materia di qualità dell’aria (decreto 60/2002). Infatti, per questi parametri, il DPR 203/88 prevede i seguenti limiti: 250 µg/m³ per il 98° percentile e 80 µg/m³ per la mediana delle medie giornaliere rilevate nell'arco di un anno, mentre il vigente decreto 60/2002 prevede, in particolare per la protezione degli ecosistemi, un valore limite annuale (calcolato sulla media dei valori) di 20 µg/m³.

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SINTESI NON TECNICA

Le mappe di ricaduta mostrano che l'area maggiormente interessata dal contributo della centrale si colloca a nord est dell’impianto con un massimo assoluto del 98° percentile pari a 7,3 µg/m³ a poco meno di 2 km di distanza, corrispondente a circa il 3% del limite di legge. La mediana presenta un massimo assoluto di circa 0,8 µg/m³, corrispondente all’1% del limite. Inoltre, ritenendo che il valore della mediana delle medie giornaliere ricavate nell’arco di un anno sia confrontabile con il valore della media della stessa distribuzione di valori numerici, si evidenzia come confrontando il valore di concentrazione del biossido di zolfo stimato (0,8 µg/m3), seguendo il modello di calcolo sopra indicato, con il valore limite per la protezione degli ecosistemi fissato dalla normativa vigente (decreto 60/2002), questo risulti essere di quasi due ordini di grandezza inferiore rispetto al limite di legge preso a riferimento (20 µg/m3).

SO2 – 98° percentile delle concentrazioni medie di 24 ore (valori in µg/m³) SITUAZIONE FUTURA

Latronico

-10000

-5000

0

5000

10000

dist

anza

Nor

d-S

ud d

alla

cen

trale

(m)

-10000 -5000 0 5000 10000

distanza Est-Ovest dalla centrale (m)

Viggianello

RotondaLaino Borgo

Episcopia

Castelluccio Sup.

Mormanno

Centrale ENEL S.p.A.

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SINTESI NON TECNICA

SO2 – 50° percentile delle concentrazioni medie di 24 ore (valori in µg/m³) SITUAZIONE FUTURA

Latronico

-10000

-5000

0

5000

10000

dist

anza

Nor

d-Su

d da

lla c

entra

le (m

)

-10000 -5000 0 5000 10000

distanza Est-Ovest dalla centrale (m)

Viggianello

RotondaLaino Borgo

Episcopia

Castelluccio Sup.

Mormanno

Centrale ENEL S.p.A.

Biossido di azoto - NO2 La figura che segue mostra la distribuzione spaziale del 98° percentile delle medie orarie di NO2 su base annua per la futura alimentazione a biomasse. Per questo parametro il DPR 203/88 prevede un limite pari a 200 µg/m³. Anche il vigente decreto 60/2002 prevede un limite orario a protezione della salute umana, pari a 200 µg/m³, e un limite a protezione degli ecosistemi di 30 µg/m³, come media annua di NOx (NO+NO2 come µg/m3 di NO2). La mappa mostra che l'area maggiormente interessata dal contributo della centrale si colloca, come per l’SO2, a nord est dell’impianto, con un massimo assoluto per il 98° percentile delle medie orarie pari a 42 µg/m3 a poco meno di 2 km, corrispondente al 21% del limite di legge.

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SINTESI NON TECNICA

SITUAZIONE FUTURA

Latronico

-10000

-5000

0

5000

10000

dist

anza

Nor

d-Su

d da

lla c

entra

le (m

)

-10000 -5000 0 5000 10000

distanza Est-Ovest dalla centrale (m)

Viggianello

RotondaLaino Borgo

Episcopia

Castelluccio Sup.

Mormanno

Centrale ENEL S.p.A.

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SINTESI NON TECNICA

Particolato aerodisperso Per questo inquinante il DPR 203/88 prevede un limite di 300 µg/m³ per il 95° percentile delle medie giornaliere rilevate nell'arco di un anno e un limite di 150 µg/m³ per la media annuale. Il vigente decreto 60/2002, invece, abbandona il concetto di particolato totale sospeso e valuta i limiti prendendo in considerazione le polveri fini (PM10). I valori previsti per il PM10, a protezione della salute umana, sono 50 µg/m³ quale limite giornaliero e 40 µg/m³ come limite annuale. Essendo differente la frazione di particolato presa in considerazione dai due decreti, sempre il decreto 60/2002 indica che per confrontare i valori del DPR 203/88 con quelli del decreto 60/2002 è necessario servirsi di un fattore di proporzionalità pari a 1,2 (capo VIII, articolo 38, comma 2). Ne consegue che, utilizzando tale fattore di correzione, i valori limite del decreto 60/2002 diventano, con riferimento al particolato totale, pari a 60 µg/m³ come limite giornaliero e 48 µg/m³ come limite annuale. Le figure seguenti mostrano che le aree di maggior ricaduta previste sono all’incirca nelle stesse posizioni di quelle del biossido di zolfo. Il 95° percentile delle medie di 24 ore è pari a 1,1 µg/m3 mentre la media annuale è pari a 0,3 µg/m³. I risultati ottenuti evidenziano che il contributo diretto da parte della centrale alle concentrazioni al suolo di particolato, sia confrontato con i valori limite del DPR 203/88 sia con quelli del decreto 60/2002, è assolutamente trascurabile.

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SINTESI NON TECNICA

Particolato – 95° percentile delle concentrazioni medie di 24 ore (valori in µg/m³)

SITUAZIONE FUTURA

Latronico

-10000

-5000

0

5000

10000

dist

anza

Nor

d-S

ud d

alla

cen

trale

(m)

-10000 -5000 0 5000 10000

distanza Est-Ovest dalla centrale (m)

Viggianello

RotondaLaino Borgo

Episcopia

Castelluccio Sup.

Mormanno

Centrale ENEL S.p.A.

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Divisione Generazione ed Energy Management Unità di Business Rossano Centrale Termoelettrica Mercure

SINTESI NON TECNICA

Particolato – Media annuale (valori in µg/m³)

SITUAZIONE FUTURA

Latronico

-10000

-5000

0

5000

10000

dist

anza

Nor

d-Su

d da

lla c

entra

le (m

)

-10000 -5000 0 5000 10000

distanza Est-Ovest dalla centrale (m)

Viggianello

RotondaLaino Borgo

Episcopia

Castelluccio Sup.

Mormanno

Centrale ENEL S.p.A.

INCIDENZA DELL’IMPIANTO

I risultati dei modelli di ricaduta degli inquinanti indicano che i valori di concentrazione al suolo calcolati risultano essere non solo ampiamente entro i limiti prescritti dalla normativa ma anche di alcuni ordini di grandezza inferiori rispetto ai valori limite di riferimento. Da ciò ne consegue che gli effetti diretti e indiretti dell’impianto sull’ambiente circostante siano da considerare assolutamente trascurabili. Inoltre, dall’esame delle curve di isoconcentrazione riportate nelle mappe dei modelli di ricaduta al suolo delle emissioni, si evidenzia come le massime ricadute siano molto vicine all’impianto e in direzione nord est, non comportando quindi nessuna interazione con la perimetrata area pSIC “Valle del Fiume Lao” a circa 11,5 km di distanza in linea d’aria dall’impianto, in direzione sud ovest, e nessun effetto diretto o indiretto sugli habitat e sulle specie per i quali detto SIC è stato individuato. Analoga valutazione si può fare per la ZPS “Valle del Fiume Lao”.

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SINTESI NON TECNICA

AMBIENTE IDRICO Per una valutazione della qualità idrochimica delle acque del Fiume Mercure con l’esercizio dell’impianto termoelettrico nella precedente configurazione impiantistica, si può fare riferimento ai dati raccolti nella prima metà degli anni novanta in quattro stazioni posizionate lungo il tratto del Fiume Mercure interessato dallo scarico della centrale. Le stazioni di campionamento prese in considerazione sono state collocate una a monte del punto di immissione dello scarico e tre a valle; come indicato di seguito (nella stazione 2, che non figura nell'elenco, è stata effettuata la sola determinazione dell'indice I.B.E.):

Stazione 1: 1 km a monte dello scarico della centrale; Stazione 3: 2 km a valle dello scarico, a monte della stazione ferroviaria di Laino; Stazione 4: 3 km a valle dello scarico, a valle della stazione ferroviaria di Laino; Stazione 5: 5 km a valle dello scarico della centrale, a valle di Laino Borgo.

Nella relazione tecnica “Progetto di riattivazione in esercizio della sezione 2 con impiego di biomasse quale combustibile”, per ogni stazione, sono riportati i valori rilevati, con il livello di inquinamento corrispondente. Secondo i dati rilevati, il tratto di Fiume Mercure preso in considerazione si mantiene ad un livello di buona qualità, sia a monte sia a valle dello scarico della centrale. I fenomeni di inquinamento evidenziabili dai dati si concentrano, principalmente, su nitrati, fosforo totale e sul parametro batteriologico (Escherichia coli), nella stazione 5 a valle di Laino Borgo, indicando, quando presente, l'origine urbana della contaminazione, che si mantiene comunque a livelli molto bassi. Quanto di seguito descritto si riferisce alla nuova proposta di assetto del ciclo delle acque di centrale, in via di presentazione alle Autorità locali al fine di ottenere l’autorizzazione agli scarichi ai sensi del D.Lgs 258/00. Il ridotto consumo di risorsa idrica, stimabile in circa 200 m3/ora, da parte della centrale termoelettrica si deve al prelievo di acqua dal Fiume Mercure, senza alcun interessamento delle falde sotterranee; l’acqua prelevata viene utilizzata per la maggior parte per il reintegro del circuito di raffreddamento del condensatore e dei servizi e in misura minore per gli usi industriali. Il circuito di raffreddamento del condensatore e dei servizi è stato strutturato a ricircolazione chiusa in modo da conseguire il massimo utilizzo della risorsa acqua e da minimizzare lo spurgo dalle torri di raffreddamento restituito allo scarico. La minima quota di prelievo idrico per usi industriali, inferiore ai 50 m3/ora, è destinata sostanzialmente all’impianto di produzione dell’acqua demineralizzata e agli sporadici lavaggi della caldaia e delle apparecchiature ausiliarie. Le acque reflue industriali derivanti da tali processi confluiscono in una vasca di raccolta, da qui vengono inviate al nuovo impianto di trattamento chimico-fisico (ITAR) e successivamente recuperate nel circuito di raffreddamento riducendo ulteriormente la necessità di prelievo dal Fiume Mercure.

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SINTESI NON TECNICA

Per le sostanze inquinanti potenzialmente presenti nei reflui di centrale (costituite dagli idrocarburi di origine petrolifera, dai metalli, dai composti azotati ammoniacali e nitrici e dai cloruri), si assicura il controllo analitico a valle dell’ITAR per la misura della variabilità allo scarico e, comunque, il pieno rispetto del valori limite di cui alla tabella 3 dell’allegato 5 al D.lgs.152/99. Si evidenzia che, nell’assetto produttivo con combustione di biomasse, si evita l’impiego di olio combustibile con eliminazione della principale potenziale fonte di inquinamento da idrocarburi di origine petrolifera. Le acque sanitarie provenienti dai servizi igienici, dagli spogliatoi e dalla mensa, di portata media non superiore a 2 m3/ora, vengono raccolte in reticolo fognario separato e inviate alla linea di trattamento biologico. Con l’assetto del ciclo delle acque sopradescritto anche gli scarichi ne risultano minimizzati, con portata media inferiore a 100 m3/ora,; essi sono restituiti al Fiume Mercure e costituiti per la quasi totalità dallo spurgo delle torri, cui si aggiunge la modesta quantità di acqua proveniente dall’impianto di trattamento delle acque sanitarie. E importante sottolineare come l’acqua restituita non subisca sostanziali alterazioni delle sue caratteristiche chimiche e venga restituita al Fiume Mercure a valle del punto di prelievo con un leggero innalzamento di temperatura nel rispetto, comunque, dei limiti di emissione degli scarichi idrici in acque superficiali secondo quanto previsto dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 e sue successive modifiche e integrazioni (tale innalzamento termico tra le sezioni del corpo idrico superficiale a monte e valle del punto di immissione viene infatti garantito sempre inferiore al limite di 3 °C imposto dalle normative vigenti). Si sottolinea una volta di più che, nel nuovo assetto impiantistico, lo scarico termico è notevolmente ridotto rispetto al passato esercizio dell’impianto termoelettrico sia in termini di quantità di calore sia in termini di flussi d’acqua, in virtù della riduzione della potenza termica e della maggiore efficienza dei sistemi di raffreddamento, tanto che il prelievo di acqua rispetto al funzionamento anche con un solo gruppo ad olio risulta diminuito di oltre l’80 %. Quanto sopra garantisce una scarsa incidenza dello scarico termico sulla componente ambientale costituita dal Fiume Mercure, con esaurimento degli effetti misurabili a breve distanza del punto di scarico e assenza di impatto sull’ecosistema acquatico fluviale. Le acque meteoriche ricadenti in aree potenzialmente inquinabili vengono raccolte in una vasca di prima pioggia e successivamente trattate nella sezione di disoleazione dell’ITAR. Le acque meteoriche provenienti da aree non inquinate, raccolte tramite reti fognarie dedicate, confluiranno nel Fosso Fornaci affluente del Fiume Mercure. I valori analitici emersi dal campionamento effettuato nelle stazioni sopra richiamate, collocate nel Fiume Mercure a 2, 3 e 5 km a valle del punto di immissione, già in passato, in condizioni di esercizio più gravose rispetto alle previsioni del nuovo impianto,

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dimostrano l'assenza di effetti misurabili della diluizione dei reflui di centrale nel corpo idrico superficiale. Non si ritiene pertanto ipotizzabile alcuna futura incidenza dell’attività della Centrale del Mercure sull’habitat acquatico del sistema idrografico locale, tanto più alla distanza della Valle del Fiume Lao, dopo più di 15 km di percorso idraulico. La situazione attuale del Fiume Mercure, nel tratto di Laino Borgo, rientra complessivamente in margini di qualità buona, riferibile ad ecosistemi interessati da una pressione antropica rilevabile ma non eccessiva, desumibile da parametri chimici e microbiologici provenienti essenzialmente da reflui civili. La vulnerabilità per effetto degli insediamenti civili è in effetti assunta tra le motivazioni alla preservazione dell’ambiente fluviale indicate nella scheda SIC IT9310025 della Valle del Fiume Lao e nella scheda ZPS IT9310026 della Valle del Fiume Lao.

Nel novembre 2005, in tempi più recenti, dunque, rispetto a quanto sopra riassunto, volto a stabilire le caratteristiche idrochimiche del reticolo idrografico locale e riportato nel “Progetto di riattivazione in esercizio della sezione 2 con impiego di biomasse quale combustibile”, è stata eseguita una nuova indagine di carattere idrologico che ha interessato l’area prossima alla centrale. In tale occasione sono stati anche prelevati alcuni campioni del Fosso Fornaci e in due sezioni del Fiume Mercure, a monte e a valle della confluenza in esso del Torrente Rotonda. Le analisi sui campioni sono state effettuate presso il Laboratorio Acquedotti e Fognature del Dipartimento di Difesa del Suolo dell’Università della Calabria.

Dal punto di vista idrografico, il Fosso dell’Annunziatella, detto anche Fosso Fornaci, è affluente di destra del Fiume Mercure ed è sito nella contrada Pianette del Comune di Laino Borgo (CS). La Centrale termoelettrica del Mercure è delimitata ad ovest dal menzionato Fosso Fornaci, a sud dalla sponda destra del Fiume Mercure e a nord dalla strada provinciale n.4 del Pollino. Come accennato precedentemente, la Centrale del Mercure per il funzionamento delle fasi di raffreddamento e di processo, preleva l’acqua di restituzione dalla Centrale idroelettrica “Tancredi” posta a monte e, in caso di fermo di questa, mediante presa diretta dal Fiume Mercure con traversa fissa.

Al fine di caratterizzare il livello di qualità dei corsi d’acqua interessati dallo scarico, ai sensi delle tabelle 7 e 9 dell’allegato 1 al decreto legislativo 152/99, così come modificato dal decreto legislativo 258/00, i tre prelievi di acque sono stati eseguiti rispettivamente:

• nel Fosso Fornaci;

• presso la presa sul Fiume Mercure;

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• sul Fiume Mercure, a valle dell’immissione con il Torrente Rotonda.

Le analisi fisico-chimiche condotte sul campione delle acque superficiali del Fosso Fornaci denotano come lo stato ambientale del corpo idrico sia “sufficiente” ai sensi della tabella 9 dell’allegato 1 al decreto legislativo 152/99, mentre quelle condotte per i campioni sulle sezioni del Fiume Mercure fanno classificare il tratto di corso d’acqua come avente uno stato di qualità ambientale “elevato”, si nota però un peggioramento passando dalla sezione a monte a quella a valle, probabilmente a causa dell’immissione del Torrente Rotonda.

Inoltre, lo studio idrologico effettuato prevedeva una stima dei volumi d’acqua provenienti dal bacino del Fiume Mercure e dal suo affluente Fosso Fornaci, allacciato in destra idraulica, mediante i dati pluviometrici delle stazioni di Castelluccio Inferiore, Viggianello, Rotonda, Laino Borgo, Mormanno e Campotenese, unitamente ai dati di portata osservati sul Fiume Lao in corrispondenza della stazione pluviometrica di Piè di Borgo. Dall’analisi idrologica, mediante la valutazione delle portate e delle precipitazioni medie mensili, il calcolo dei coefficienti di deflusso e i valori delle portate di magra nei corsi d’acqua calabresi, emerge che il corso del Fosso Fornaci, avendo un periodo di portata nulla per due mesi /anno, è da considerarsi un corso d’acqua significativo (in base al decreto legislativo 152/99 non sono considerati significativi i corsi d’acqua che per motivi naturali hanno una portata nulla per più di 120 giorni/anno, in un anno ideologico medio). Dalla valutazione congiunta di questi elementi si desume anche che le portate scaricate dalla Centrale del Mercure non alterano le condizioni ambientali del corpo idrico ricettore. Inoltre, dai dati disponibili, è stato possibile determinare per il Fiume Mercure i valori di portata di deflusso minimo in sette (Q7) e trenta (Q30) giorni consecutivi per tempi di ritorno pari a 10, 20, 50 e 100 anni.

10 anni 20 anni 50 anni 100 anni Q(7) 1,2321 m3/s 1,1643 m3/s 1,0910 m3/s 1,0439 m3/s Q(30) 1,3352 m3/s 1,2552 m3/s 1,1690 m3/s 1,1139 m3/s

I valori sopra riportati sono estremamente utili per individuare quali sono, ad esempio nel caso della Q(30), le portate mensili di magra con associati tempi di ritorno. In base a quanto sopra esposto, si ribadisce che non si ritiene ipotizzabile alcuna futura incidenza dell’attività della Centrale del Mercure sull’habitat acquatico del sistema

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idrografico locale, tanto più alla distanza della Valle del Fiume Lao, dopo più di 15 km di percorso idraulico. Inoltre, così come indicato nelle schede SIC IT9310025 e ZPS IT9310026, la vulnerabilità del Fiume Mercure, nel tratto di Laino Borgo, è principalmente legata agli insediamenti civili potendo pertanto ragionevolmente ritenere che la centrale non apporti alcun ulteriore contributo negativo in termini di equilibrio dell’ecosistema acquatico tutelato dalla istituzione delle zone SIC e ZPS in questione.

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ASPETTI NATURALISTICI (FLORA E FAUNA) L'area considerata per la componente naturalistica (flora e fauna) è compresa in una raggio di oltre 10 km attorno al sito della Centrale del Mercure ed è delimitata dagli elementi topografici indicati nei paragrafi precedenti. Nella sua parte centrale, il territorio preso in esame viene attraversato da ovest verso est dal Fiume Mercure. Lo sviluppo verticale dell'area è compreso tra i 200-250 m di altitudine s.l.m del corso del Fiume Mercure e i 2.050 m s.l.m della Serra del Prete. Il clima è tipicamente submediterraneo ma, per i forti dislivelli altitudinali, si hanno situazioni stazionali per cui, al variare dell'esposizione e della pendenza dei versanti, si possono notare ampie risalite e discese delle fasce rispettivamente più calde o più fresche di vegetazione. Nei versanti ripidi della Serra di Mauro, esposti a sud a 1.200 m di altitudine, si possono così trovare a contatto le leccete con le faggete. Per quanto riguarda la vegetazione, nell’area considerata si possono individuare le sotto elencate unità fisionomiche (Unità Ambientali Botaniche), all’interno delle quali sono identificabili le unità sintassonomiche fitosociologiche di riferimento.

Unità Ambientali Botaniche Km2 % Praterie xeriche 36,04 10,46

Formazioni basso-arbustive a mosaico con praterie xeriche

0,58 0,17

Arbusteti e formazioni di mantello dei boschi di latifoglie submediterranee, dei boschi di transizione e delle faggete

57,69 16,75

Boschi di latifoglie submediterranee, boschi termoxerofili e boscaglie rupestri con leccio

111,24 32,30

Boschi mesofili di latifoglie submediterranee di transizione con le faggete e formazioni di ontano napoletano

22,63 6,57

Faggete di altitudine 29,50 8,56

Praterie dei piani carsici 1,20 0,35

Praterie ipsofile 1,10 0,32

Formazioni lineari di ripa 1,23 0,36

Rimboschimenti di conifere 3,73 1,08

Colture arboree 3,20 0,93

Colture erbacee 68,73 19,95

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Aree in trasformazione 0,08 0,02

Aree nude 2,51 0,73

Urbanizzato 3,90 1,13

Specchi d'acqua 1,10 0,32 Dal punto di vista faunistico, invece, nel territorio in esame si possono individuare aree da ritenersi omogenee sia dal punto di vista delle caratteristiche dell’habitat sia dal punto di vista zoologico. Queste aree possono essere raggruppate in 11 tipologie definibili come Unità Ambientali Zoologiche.

Unità Ambientali Zoologiche Km2 % Urbanizzato 1,97 0,57

Agricolo omogeneo 45,13 13,10

Agricolo eterogeneo 43,59 12,66

Formazioni riparie di pianura 1,18 0,34

Corsi d'acqua montani 0,86 0,25

Boschi a predominanza di leccio 18,47 5,36

Boschi di latifoglie decidue submediterranee

171,40 49,76

Prati rocciosi 25,96 7,54

Boschi di faggio 33,51 9,73

Praterie dei piani carsici 1,20 0,35

Prati ipsofili 1,15 0,33 Le eventuali influenze indotte dalle attività della centrale sulle componenti floro-faunistiche locali sono legate essenzialmente alle emissioni di effluenti gassosi (SO2 e NOX) prodotti dalla combustione delle biomasse durante l'esercizio dell'impianto. Al fine di valutare gli eventuali effetti ecotossici dei contributi al suolo previsti per l’alimentazione a biomassa della centrale, si può fare riferimento sia ai livelli critici raccomandati dalla WHO (World Health Organization, 1995) per la protezione della vegetazione sia ai limiti indicati dal decreto 60/2002. I livelli critici raccomandati dalla WHO sono:

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SO2 - 10 µg/m3 come media annuale, per le specie vegetali più sensibili (licheni); - 20 µg/m3 come media annuale, per foreste e vegetazione spontanea; - 30 µg/m3 come media annuale, per le coltivazioni.

NOx - 30 µg/m3 come media annuale (NO+NO2 come µg/m3 di NO2), per tutte le

specie vegetali. I valori limite, invece, a protezione degli ecosistemi indicati dal decreto 60/2002 sono:

SO2 - 20 µg/m3 come media annuale e come media sul semestre invernale (1

ottobre-31 marzo).

NOX - 30 µg/m3 come media annuale (NO+NO2 come µg/m3 di NO2).

Con l'impianto funzionante a biomasse, le concentrazioni massime previste per i contributi al suolo di SO2 e di NOX (calcolate tramite simulazione modellistica come medie annuali specificamente ai fini della previsione degli effetti sulla vegetazione) sono le seguenti:

SO2: 0,8 µg/m3 come media annuale; NOx: 6 µg/m3 come media annuale (somma NO+NO2 espressa come µg/m3 di

NO2). Le curve di isoconcentrazioni, rappresentate nelle mappe del paragrafo sulla qualità dell’aria, evidenziano comunque come la zona di massima ricaduta si trovi in direzione nord-est rispetto alla posizione della centrale non interessando minimamente l’area SIC in questione, in direzione sud-ovest. Si evidenzia, comunque, come anche il confronto dei valori massimi previsti dalla modellazione, sia con i valori di livello critico raccomandati da WHO sia con i limiti indicati dal decreto 60/2002, dimostri che l’esercizio a biomasse sarà caratterizzato da concentrazioni dei contributi di SO2 e di NOx decisamente inferiori ai limiti indicati per la protezione della vegetazione, anche la più sensibile, e, comunque, tali da non determinare un incremento significativo del livello di fondo locale, anche nel punto di massima ricaduta.

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Sulla base, quindi, delle stime effettuate, non si possono ipotizzare effetti negativi sulla vegetazione connessi con le emissioni dell’impianto. Da un punto di vista della perdita di aree di habitat nulla cambia in quanto l’area interessata dal progetto è tutta interna all’impianto esistente. Altro parametro sul quale non esiste alcuna influenza è la frammentazione.

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SALUTE PUBBLICA Eventuali riflessi della realizzazione del progetto sulla salute pubblica potrebbero essere mediati dagli effetti sulla qualità dell’aria. Con riferimento a quanto indicato nel paragrafo “qualità dell’aria”, si fa presente che l’esercizio a biomasse della centrale indurrà una riduzione delle emissioni gassose dell'impianto, conseguentemente si può concludere che al progetto di trasformazione della centrale non si possono associare motivi di preoccupazione nel campo della salute pubblica ed è pertanto possibile ipotizzare un sostanziale mantenimento della attuale situazione sanitaria della popolazione locale, che risulta in linea con quella che emerge dalle statistiche delle Regioni Basilicata e Calabria.

RUMORE E VIBRAZIONI Nella Relazione Tecnica “Progetto di riattivazione in esercizio della sezione 2 con impiego di biomasse quale combustibile”, la stima dell’impatto acustico dell’impianto termoelettrico del Mercure è stata condotta secondo la norma UNI “Acustica – Metodo per la stima dell'impatto e del clima acustico per tipologia di sorgenti”, parte 5 (rumore da insediamenti produttivi industriali e artigianali). La stima previsionale dei livelli sonori prodotti dalla centrale nella nuova configurazione impiantistica (riattivazione di una sezione d’impianto con utilizzo di biomasse) è stata posta in confronto alle emissioni/immissioni acustiche dovute all’insediamento produttivo nella precedente configurazione e alla rumorosità residua dell’area interessata (misure di rumore con impianto fuori servizio). Dato che la trasformazione impiantistica comporta una sostanziale modifica dell’impianto esistente, con installazione di nuove sorgenti sonore, il modello matematico utilizzato è stato impostato attribuendo i livelli di potenza acustica alle nuove sorgenti e alle sorgenti preesistenti che verranno modificate nella trasformazione dell’impianto. Per la stima delle potenze acustiche delle nuove sorgenti, in linea con la norma UNI citata, sono stati utilizzati dati ottenuti da misure su sorgenti analoghe e si è fatto ricorso ai livelli massimi prescritti nelle specifiche di fornitura del macchinario. In sintesi, il processo di trasformazione della biomassa in energia può essere suddiviso, allo scopo di meglio individuare le principali sorgenti acustiche, nelle seguenti attività:

alimentazione dell’impianto con combustibile (emissioni acustiche associate al transito degli autocarri sulle vie di collegamento alla viabilità ordinaria e alle manovre nei piazzali delle aree di stoccaggio);

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movimentazione e trasformazione del combustibile (pale meccaniche e bracci

mobili, cippatrice, con relativa tavola vibrante e trasportatore a catena, vagli e frantoi);

esercizio del gruppo termico (alimentazione della caldaia e funzionamento dei diversi macchinari del gruppo);

trattamento ed eliminazione delle ceneri (triturazione, emissioni acustiche associate al transito degli autocarri per il trasporto in discarica).

Applicando il modello matematico ENM (“Environmental Noise Model”) è possibile calcolare i livelli di immissione acustica dovuti alla centrale in tutto il territorio circostante. Simulando la situazione più gravosa, corrispondente al funzionamento contemporaneo di tutte le sorgenti individuate nello scenario caratterizzato da assenza di vento e di gradiente termico verticale, le curve isofoniche calcolate dal modello portano a valutare un livello di immissione pari a circa 40 dBA, approssimabile al fondo naturale per ambienti indisturbati, a circa 500-700 metri dal confine dell’impianto. Per quanto riguarda possibili effetti esterni delle vibrazioni prodotte dal macchinario rotante dell’impianto, dai vagli, dalle tavole vibranti e dalle cippatrici, alle velocità di vibrazione massima ammissibile per i singoli macchinari è stato applicato un modello di propagazione (H. Amick, 1999) calcolando la velocità di vibrazione percettibile a distanza dalla sorgente. Le accelerazioni complessive ponderate in frequenza nel range 1-5 Hz, relative ai diversi assi, a soli 100 m di distanza dal macchinario risultano inferiori ai valori limite notturni suggeriti dalla norma UNI 9614 per le abitazioni, pari a 5 ÷ 7 mm/s2 (assi x, y e asse z rispettivamente). Tali valutazioni esprimono l’inconsistenza di fattori di interferenza significativi già a distanza di 500 m, tanto più considerando che la rumorosità indotta dal traffico veicolare della adiacente Strada Provinciale 4 del Pollino (anche se inferiore a 300 veicoli/ora e con presenza di veicoli pesanti inferiore al 10%), stimata applicando uno dei numerosi modelli matematici disponibili in letteratura (RLS-90), comporta livelli di immissione maggiori fino a 1 km dall’asse stradale.

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RADIAZIONI NON IONIZZANTI A seguito della modifica dell’impianto, non verrà modificato il collegamento alla esistente rete elettrica nazionale. I trasformatori di centrale sono collegati con la vicina stazione elettrica di Rotonda, da cui passa la linea in semplice terna da 220 kV in direzione nord ovest – sud est, e da cui parte la linea in doppia terna da 220 kV in direzione nord est. Considerata la posizione dell’asse delle linee dell’elettrodotto collegate alla centrale (in verde nella figura), non si ravvisa nessuna possibile influenza del campo elettromagnetico indotto sulle aree SIC e ZPS “Valle del Fiume Lao”.

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CONTESTO TERRITORIALE

Inquadramento geografico L'area considerata è delimitata a NE dalle colline che comprendono il bacino del Torrente Peschiera, a NW dalla dorsale dello Zaccana, ad W dallo spartiacque che corre lungo la linea Monte Fassino - Rossino - Gada, a SW dalla Schiena di Nepeta, a S dalla dorsale dei Monti Vetrato - Costapiana - Cerviero - Cozzo dell'Anticristo - Coppola di Paola - Timpone della Capanna, a SE dalla Serra del Prete e a E dalla linea Colle dell'Impiso - Serra di Viggianello. Si viene così a formare una conca che, nella sua parte centrale, da W verso E, è percorsa dal F. Mercure. Dal punto di vista dello sviluppo verticale, l'area risulta compresa fra i 200-250 m del corso del Mercure e i 2050 m della Serra del Prete. Uso e copertura del suolo L’area considerata è compresa nel perimetro del Parco nazionale del Pollino e presenta un livello di antropizzazione piuttosto contenuto; le aree influenzate dalle attività umane interessano circa il 23% della superficie considerata. In particolare la superficie coltivata occupa circa il 21%, con una prevalenza delle colture erbacee (20%) rispetto e quelle arboree (1%). Il resto dell’area ospita formazioni di tipo naturale, con una netta prevalenza dei boschi di latifoglie submediterranee (circa il 39% della superficie). Seguono, in ordine di estensione decrescente, gli arbusteti e le formazioni di mantello dei boschi di latifoglie sub-mediterranee, dei boschi di transizione e delle faggete (circa il 17% della superficie), le praterie xeriche (circa il 10% della superficie) e le faggete (circa 8,5% della superficie).

Inquadramento antropico Popolazione ed attività produttive L’inquadramento antropico-insediativo può essere delineato utilizzando i dati del 14° censimento generale della popolazione e delle abitazioni, effettuato dall’ISTAT nel 2001. I comuni il cui territorio risulta compreso completamente o in parte nell’area considerata sono: • LAINO BORGO (CS) • LAINO CASTELLO (CS) • MORANO CALABRO (CS) • MORMANNO (CS) • CASTELLUCCIO INFERIORE (PZ) • CASTELLUCCIO SUPERIORE (PZ) • EPISCOPIA (PZ)

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• FARDELLA (PZ) • LATRONICO (PZ) • LAURIA (PZ) • ROTONDA (PZ) • SAN SEVERINO LUCANO (PZ) • VIGGIANELLO (PZ). La densità abitativa dei comuni calabresi varia da valori inferiori ai 23 abitanti per km2 (Laino Castello) a valori massimi compresi tra i 40 e 49 abitanti per km2 (Mormanno). Per i comuni della Basilicata, i valori minimi di densità abitativa sono compresi tra 28 ed 29 abitanti per km2 (Fardella e Viggianello) ed i valori massimi risultano compresi tra 81 e 91 abitanti per km2 (Castelluccio inferiore e Rotonda). Il numero di abitanti residenti per comune (Tabella 4.5.1), mostra che nel comune di Lauria, che possiede la superficie maggiore, risiede circa il 30% della popolazione dell’area considerata, seguito dai comuni di Latronico e Morano Calabro, rispettivamente con 11,5% e 10,8%. Per quanto riguarda la popolazione attiva in condizione professionale (Tabella 4.5.2), il censimento del 2001 mostra una prevalenza di addetti nel Commercio ingrosso e dettaglio, riparazione di auto, moto e beni personali, con il 33,6% della popolazione totale considerata, seguiti numericamente dall’Istruzione (30,1%) e dalle attività di costruzione (27,1%). E’ da notare che, rispetto al 13° censimento del 1991, è crollata la percentuale di addetti all’Agricoltura, caccia e pesca, mentre sono aumentati tutti gli altri settori. In particolare, il comparto produttivo di tipo artigianale o industriale (attività manufatturiere e produzione e distribuzione di energia) è passato da circa 8,8% degli addetti del 1991 a circa 15% nel 2001, mentre il pubblico impiego, che occupava circa il 20% della popolazione residente attiva in condizione professionale, mostra complessivamente un valore prossimo al 64%. Situazione statistico sanitaria Per effettuare l’esame della situazione sanitaria attuale della popolazione locale è stato analizzato il quadro fornito dalle statistiche di mortalità disponibili per l’ambito provinciale di Cosenza e Potenza e per l’ambito regionale della Calabria e della Basilicata. A questo scopo sono state prese in considerazione le cause di morte codificate secondo la classificazione internazionale adottata per le statistiche ISTAT. I dati reperiti per le regioni e province interessate, relativi alla situazione al 31.12.2001, sono stati elaborati per effettuare confronti complessivi con la situazione sanitaria nazionale. Le informazioni sulla mortalità sono state ricavate dalle statistiche ISTAT. Nella Tabella 4.5.3 sono raccolte le statistiche ISTAT sulla ripartizione dei decessi per causa di morte nel 2001 in Italia, nelle regioni Calabria e Basilicata e nelle province di Cosenza e Potenza che consentono di analizzare e gerarchizzare l’incidenza delle varie affezioni sulla mortalità della popolazione. Per agevolare i confronti, le statistiche sono state riportate sotto forma di Tasso di Mortalità Standardizzato.

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Il quadro che si può delineare con questi dati mette in evidenza che la situazione locale si presenta abbastanza simile a quella generale italiana sotto il profilo degli aspetti principali, anche se mostra qualche differenza di dettaglio. Le mortalità regionale e provinciale, per la Regione Calabria e la provincia di Cosenza, della popolazione di sesso femminile si collocano ad un livello significativamente più alto di quella nazionale. Passando all’esame delle statistiche specifiche per affezione, in analogia con quanto si rileva nell’ambito italiano nel suo insieme, le cause di morte principali risultano, nell’ordine, le malattie del sistema circolatorio ed i tumori. Il primo tipo di affezioni fa rilevare a livello provinciale e regionale un Tasso di Mortalità superiore a quello nazionale sia per i maschi che per le femmine. Per le malattie a carattere oncologico i Tassi locali risultano inferiori a quello nazionale. Per quanto riguarda le altre malattie, la graduatoria di importanza come causa di morte in ambito locale appare, per i maschi, simmetrica a quella dell’Italia nel suo complesso, che vede figurare al terzo posto le affezioni dell’apparato respiratorio e le malattie endocrine, nutrizionali e metaboliche, seguite da quelle dell’apparato digerente e dai traumatismi ed avvelenamenti. Per le femmine, invece, risultano maggiormente significative le malattie endocrine, nutrizionali e metaboliche, seguite dalle affezioni dell’apparato digerente e da quello respiratorio. Nel confronto tra i sessi, si nota per gli uomini un Tasso di Mortalità complessivo più elevato rispetto a quello delle donne, con una maggiore incidenza soprattutto delle malattie oncologiche e di quelle dell’apparato circolatorio.

Classificazione sismica La classificazione sismica del territorio riportata nell’Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 definisce il territorio dei comuni dell’area considerata come zona sismica 2. Il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti, nella Mappa della pericolosità sismica in Italia, indica l’area considerata come una parte del territorio nazionale influenzata dagli eventi sismici. I due indicatori di pericolosità utilizzati rappresentano, in modo generale, due aspetti diversi dello stesso fenomeno:

l'accelerazione orizzontale di picco (PGA) illustra l'aspetto più propriamente fisico: si tratta di una grandezza di interesse ingegneristico che viene utilizzata nella progettazione, in quanto definisce le caratteristiche costruttive richieste agli edifici in zona sismica,

l'intensità macrosismica rappresenta, invece, in un certo senso le conseguenze socio-economiche; descrivendo infatti il grado di danneggiamento causato dai terremoti, una carta di pericolosità in intensità macrosismica si avvicina, con le dovute cautele derivate da diverse approssimazioni insite nel parametro, al concetto di rischio sismico.

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L’area considerata, infatti, presenta sia valori di scuotimento atteso relativamente elevati (accelerazione orizzontale di picco che vanno da un minimo di 0,2 g ad un massimo di 0,3 g), sia le classi di intensità macrosismica più alte (VIII ÷ IX). In particolare l’impianto è ubicato in una zona con PGA compreso tra 0,2 e 0,25 g. ed appartenente alla classe VIII di macrosismicità Si può quindi concludere che l’area considerata è da ritenersi a rischio sismico. Ambiente idrico 4.5.1 Caratteristiche idrochimiche del reticolo idrografico locale La caratterizzazione chimico-fisica dei corpi idrici superficiali si basa sul confronto tra i risultati di misure in campo ed analisi di laboratorio ed i criteri di qualità definiti dalla normativa di legge vigente. Nel caso in esame, si è proceduto a classificare le acque del Fiume Mercure utilizzando i criteri e i limiti di riferimento definiti nel D.Lgs. 152/99. Nella Tabella 4.5.4 sono riportati i macrodescrittori previsti dal D.Lgs. 152/99, unitamente ai punteggi relativi alle concentrazioni rilevate; nella seconda parte della tabella è riportato lo schema di classificazione dello stato ecologico del corpo idrico in esame mediante l'Indice Biotico Esteso (I.B.E.), che individua la qualità idrobiologica di un corso d'acqua sulla base dei rapporti di dominanza tra specie sensibili e specie tolleranti all'inquinamento rilevati nell'ambito del popolamento dei macroinvertebrati di fondo. La classificazione dello stato ecologico viene effettuata combinando le indicazioni fornite dall'analisi dei macrodescrittori con il risultato ottenuto dall'I.B.E, attribuendo al corso d'acqua indagato il giudizio peggiore tra i due. Poiché i dati di cui si dispone sono stati ottenuti a seguito di indagini svolte prima dell'entrata in vigore della legge, tra i macrodescrittori è stata utilizzata la concentrazione di Coliformi fecali come equivalente di Escherichia coli. La qualità idrochimica delle acque del fiume Mercure è stata determinata a partire da dati raccolti in situ nella prima metà degli anni novanta, in quattro stazioni posizionate lungo il tratto di fiume Mercure interessato dallo scarico della Centrale. Le stazioni di campionamento prese in considerazione sono collocate una a monte del punto di immissione dello scarico e tre a valle; come indicato di seguito (nella stazione 2, che non figura nell'elenco, è stata effettuata la sola determinazione dell'indice I.B.E.): • Stazione 1: 1 km a monte dello scarico della Centrale; • Stazione 3: 2 km a valle dello scarico, a monte della stazione ferroviaria di Laino; • Stazione 4: 3 km a valle dello scarico, a valle della stazione ferroviaria di Laino; • Stazione 5: 5 km a valle dello scarico della Centrale, a valle di Laino Borgo. Nella Tabella 4.5.5, per ogni stazione, sono riportati i valori di ciascun macrodescrittore, con il punteggio e il livello di inquinamento corrispondente. Secondo tale classificazione, il tratto di F. Mercure preso in considerazione si mantiene ad un livello di buona qualità, sia

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a monte che a valle dello scarico della Centrale. I fenomeni di inquinamento evidenziabili dai dati si concentrano principalmente su nitrati, fosforo totale e sul parametro batteriologico (Escherichia coli), soprattutto nella stazione 5 a valle del paese di Laino Borgo, indicando, quando presente, l'origine urbana della contaminazione, che si mantiene comunque a livelli molto bassi Per quanto riguarda altri indicatori di potenziale tossicità, quali i metalli pesanti (Tabella 4.5.6), la loro presenza è stata rilevata in quantità estremamente modeste e, nella maggior parte dei campioni, al di sotto del limite di rilevabilità strumentale, dimostrando l'assenza di problematiche legate a tale tipo di inquinamento. Caratteristiche idrobiologiche La caratterizzazione idrobiologica delle acque del Fiume Mercure è stata svolta a partire dai risultati della determinazione dell’indice I.B.E. (Indice Biotico Esteso) effettuata nella prima metà degli anni novanta; tale indice, come sopra accennato, individua la qualità idrobiologica di un corso d'acqua in base ai rapporti di dominanza tra specie sensibili e specie tolleranti all'inquinamento riscontrati nell'ambito del popolamento dei macroinvertebrati di fondo. Nella Tabella 4.5.7 sono raccolti i risultati delle determinazioni dell’I.B.E., con l'indicazione delle classi di qualità definite in base all'indice stesso per le stazioni di controllo adotate per i controlli chimico-fisici; a queste va aggiunta la stazione 2, ubicata immediatamente a valle dello scarico della Centrale. Dall'esame di questi dati si può desumere che la qualità idrobiologica del tratto considerato è buona, collocandosi nella Classe (C.Q.) II, che secondo il giudizio formalizzato previsto dal metodo I.B.E., si riferisce ad un “Ambiente con moderati sintomi di inquinamento o di alterazione”. La stabilità dell'indice lungo tutto il tratto di F. Mercure considerato indica che in questo ambito non sono in atto fenomeni perturbativi in progressione da monte verso valle tali da pregiudicare le condizioni di habitat per la vita acquatica. Se si combinano le due classificazioni (quella effettuata a partire dai macrodescrittori e quella ottenuta con l'indice I.B.E.) secondo il D.Lgs 152/99, lo stato ecologico dei tratto di F. Mercure considerato risulta comunque inquadrabile in classe 2 e, quindi, buono. Nel novembre 2005 è stata eseguita una nuova indagine di carattere idrologico che ha interessato l’area prossima alla centrale. In tale occasione sono stati anche prelevati alcuni campioni del Fosso Fornaci e in due sezioni del Fiume Mercure, a monte e a valle della confluenza in esso del Torrente Rotonda. Le analisi sui campioni sono state effettuate presso il Laboratorio Acquedotti e Fognature del Dipartimento di Difesa del Suolo dell’Università della Calabria. Dal punto di vista idrografico, il Fosso dell’Annunziatella, detto anche Fosso Fornaci, è affluente di destra del Fiume Mercure ed è sito nella contrada Pianette del Comune di Laino Borgo (CS). La Centrale termoelettrica del Mercure è delimitata ad ovest dal menzionato Fosso Fornaci, a sud dalla sponda destra del Fiume Mercure e a nord dalla strada provinciale n.4 del Pollino.

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Al fine di caratterizzare il livello di qualità dei corsi d’acqua interessati dallo scarico, ai sensi delle tabelle 7 e 9 dell’allegato 1 al decreto legislativo 152/99, così come modificato dal decreto legislativo 258/00, i tre prelievi di acque sono stati eseguiti rispettivamente: nel Fosso Fornaci; presso la presa sul Fiume Mercure; sul Fiume Mercure, a valle dell’immissione con il Torrente Rotonda.

Le analisi fisico-chimiche condotte sul campione delle acque superficiali del Fosso Fornaci denotano come lo stato ambientale del corpo idrico sia “sufficiente” ai sensi della tabella 9 dell’allegato 1 al decreto legislativo 152/99, mentre quelle condotte per i campioni sulle sezioni del Fiume Mercure fanno classificare il tratto di corso d’acqua come avente uno stato di qualità ambientale “elevato”, si nota però un peggioramento passando dalla sezione a monte a quella a valle, probabilmente a causa dell’immissione del Torrente Rotonda. Considerazioni sull’impatto della trasformazione in progetto La situazione attuale dell'ambiente acquatico considerato rientra in margini di qualità buona riferibile ad ecosistemi interessati da una pressione antropica rilevabile ma non eccessiva, alla quale concorrono, anche se in misura diversa e comunque non elevata, sia i parametri chimici che microbiologici provenienti essenzialmente da reflui civili. In particolare se si confrontano i risultati relativi alla classificazione del corso d'acqua in esame, ottenuti dalle indagini effettuate da Enel Laboratorio di Piacenza nella prima metà degli anni novanta, con quelli del reticolo idrografico regionale (P. Achille, F. Ambrico, G. Percoco, M. Tramutoli: "La qualità delle acque del reticolo idrografico della Basilicata". Basilicata Regione Notizie 2000) si può notare come lo stato ecologico del tratto di Fiume Mercure preso in esame si collochi in posizione medio alta rispetto all'ambito regionale, soprattutto se confrontato con lo stato ecologico dei tratti di più a valle dei corsi d'acqua lucani. A questi si aggiungano, a conforto, i risultati dell’indagine svolta nel novembre 2005. In proiezione futura, sul piano dei reflui liquidi, si prevede che il nuovo assetto di impianto comporterà una riduzione della quantità di calore scaricato in ambiente acquatico ed un miglioramento delle caratteristiche chimiche delle acque smaltite. L’acqua utilizzata per il ciclo di raffreddamento, infatti, non subisce alcuna sostanziale alterazione delle sue caratteristiche chimiche e viene restituita al Fiume Mercure con un leggero innalzamento di temperatura nel rispetto, comunque, dei limiti di emissione degli scarichi idrici in acque superficiali secondo quanto previsto dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 e sue successive modifiche e integrazioni. Rispetto al funzionamento ad olio, la quantità di calore apportata con lo scarico sarà notevolmente ridotta sia a causa del decremento di potenza installata (si è passati da 150 MWe a 41 MWe) sia in seguito al ripristino della piena funzionalità delle torri di raffreddamento, con minimizzazione delle portate di spurgo ulteriormente raffreddate grazie all’installazione prevista di un nuovo refrigerante come mostrato nello schema di principio seguente. Pertanto si può ritenere che la realizzazione del progetto costituisca un elemento positivo ai fini del mantenimento di un buon livello di qualità dell'acqua nel tratto di fiume in esame.

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Aspetti naturalistici Area di studio e inquadramento bioclimatico L'area considerata per la componente naturalistica (flora, vegetazione, fauna) è compresa in una raggio di circa 10 km attorno al sito di Mercure ed è delimtata dagli elementi topografici indicati al punto 1.1. Nella sua parte centrale, il territorio preso in esame viene attraversato da W verso E dal F. Mercure. Lo sviluppo verticale dell'area è compreso tra i 200-250 m del corso del Mercure e i 2050 m della Serra del Prete. Il clima è tipicamente submediterraneo ma, per i forti dislivelli altitudinali, si hanno situazioni stazionali per cui, al variare dell'esposizione e della pendenza dei versanti, si possono notare ampie risalite e discese delle fasce rispettivamente più calde o più fresche di vegetazione. Nei versanti ripidi della Serra di Mauro esposti a S, a 1200 m di altitudine, si possono così trovare a contatto le leccete con le faggete. Vegetazione e flora terrestri Nell’area considerata si possono individuare alcune unità fisionomiche (Unità Ambientali Botaniche: UAB) sotto elencate, all’interno delle quali sono identificabili le unità sintassonomiche fitosociologiche di riferimento.

Unità Ambientali Botaniche Kmq % Praterie xeriche 36,04 10,46 Formazioni basso-arbustive a mosaico con praterie xeriche

0,58 0,17

Arbusteti e formazioni di mantello dei boschi di latifoglie submediterranee, dei boschi di transizione e delle faggete

57,69 16,75

Boschi di latifoglie submediterranee, boschi termoxerofili e boscaglie rupestri con leccio

111,24 32,30

Boschi mesofili di latifoglie submediterranee di transizione con le faggete e formazioni di ontano napoletano

22,63 6,57

Faggete di altitudine 29,50 8,56 Praterie dei piani carsici 1,20 0,35 Praterie ipsofile 1,10 0,32 Formazioni lineari di ripa 1,23 0,36 Rimboschimenti di conifere 3,73 1,08 Colture arboree 3,20 0,93 Colture erbacee 68,73 19,95

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Aree in trasformazione 0,08 0,02 Aree nude 2,51 0,73 Urbanizzato 3,90 1,13 Specchi d'acqua 1,10 0,32

Di seguito viene riportata una descrizione delle UAB individuate. Praterie xeriche Si tratta di formazioni prative discontinue in cui la superficie occupata da roccia affiorante raggiunge e talvolta supera il 50%. Sono dominate da arbusti bassi (Camefite) e da erbe graminoidi. Sono inquadrabili nel Crepido lacerae-Phleion ambiguii, alleanza descritta da Biondi e Blasi (1982) come endemica dell'Appennino centro meridionale. Nell'area considerata si possono trovare due associazioni: l'Helichryso italico-Teucrietum montanae e il Saturejo montanae-Brometum erecti. La prima associazione si distribuisce ad altitudini comprese fra 750 e 900 m e può essere considerata come uno stadio iniziale della serie che porta a boschi termoxerofili a dominanza di roverella o cerro, mentre la seconda associazione è stata rilevata a quote superiori (1100 - 1450 m) e costituisce uno stadio di degradazione dei boschi di cerro o farnetto e delle faggete di bassa altitudine. Sono inoltre rilevabili cenosi di transizione verso le praterie ipsofile, con la presenza di specie di substrati evoluti come Festuca macrathera, Carex kitaibeliana e Trifolium nigrescens. I prati xerici sono da considerare cenosi ad elevata importanza naturalistica in quanto ospitano numerosi endemismi e specie fitogeograficamente importanti; in formazioni di questo tipo viene segnalata, sul Monte Zaccana, la presenza di Pinus leucodermis Antoine. Formazioni basso-arbustive a mosaico con praterie xeriche Nella parte sud dell'area in esame, coincidente con i versanti settentrionali del massiccio del Pollino, sono presenti alcune cenosi in cui i prati xerici sopra descritti si presentano a mosaico, con aree di modesta estensione dominate da piccoli arbusti. Tali cenosi basso-arbustive sono fisionomicamente caratterizzate dalla presenza di Juniperus nana e Daphne oleoides ssp.oleoides. e, sotto il profilo scientifico, presentano un buon livello di interesse. Arbusteti e formazioni di mantello dei boschi di latifoglie submediterranei, dei boschi di transizione e delle faggeteLe formazioni arbustive dell'area in esame possono essere ricondotte a due tipi principali: arbusteti a dominanza di Spartium junceum e brughiere di Ulex europaeus. Gli arbusteti a ginestra odorosa rappresentano il tipo dominante, sono ampiamente distribuiti sulle rotture di pendenza dei depositi sabbiosi nei versanti calcarei e lungo i tagli delle strade. Talvolta, nelle aree prossime a Mormanno e lungo le strade, sono associate a Ampelodesmos mauritanicus. Queste cenosi sono attribuibili al Cytision sessilifolii e tendono ad invadere i boschi degradati e i prati non pascolati, innescando la successione verso i boschi submediterranei. Le brughiere a ginestrone spinoso sono distribuite nel quadrante NE e sono caratterizzate dalla presenza di specie acidofile, sia arbustive che erbacee. Risultano

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ecologicamente correlate con aree con suolo sabbioso o marnoso, con buona piovosità, e sono spazialmente e dinamicamente legate agli ontaneti di Alnus cordata ed ai boschi di transizione. Boschi di latifoglie submediterranee, boschi termoxerofili e boscaglie rupestri con leccio Si tratta di boschi a dominanza di cerro e di boscaglie termoxerofile a dominanza di leccio. I boschi di cerro dell'area sono tutti attribuibili al Lathyro digitati-Quercetum cerridis, associazione descritta per le zone collinari submediterranee dell'Italia meridionale. Tali boschi sono per lo più dotati di una buona articolazione strutturale, anche se in alcuni casi è presente una struttura tipica dei boschi pascolati. Queste formazioni boschive sono distribuite su tutti i rilievi collinari, ad eccezione di quelli del quadrante NE, ad un'altitudine compresa fra 350 e 950 m. Alcune cenosi presentano elementi della lecceta; si tratta, infatti, di boscaglie rupestri distribuite sui versanti ripidi e su substrato roccioso fra 400 e quasi 1000 m, con copertura arborea scarsa, dove il leccio, talvolta accompagnato dalla roverella, compare in forma di grosso arbusto. Queste, con buona probabilità, si possono considerare come cenosi extrazonali che talvolta si mettono in contatto con le faggete quando le condizioni stazionali, esposizioni prevalentemente meridionali, forte pendenza, presenza di correnti umide nei canaloni, le favoriscono rispetto ai boschi decidui. Boschi mesofili a dominanza di latifoglie submediterranee di transizione con le faggete e formazioni di ontano napoletano Nel quadrante NE dell'area esaminata si riscontrano condizioni ecologiche caratterizzate da una buona piovosità e da substrati sabbiosi e marnosi in aree colluviali che permettono di sviluppare una buona riserva idrica. Questi fattori permettono l'instaurarsi di cenosi più mesofile rispetto a quelle dei substrati calcarei. E' in questo quadrante che si possono ritrovare formazioni di transizione fra i boschi mesofili a dominanza di cerro e le faggete, nonchè cenosi ad ontano napoletano. Mentre le cenosi di cerro e faggio sono di difficile collocazione fitosociologica, gli ontaneti sono stati descritti con l'associazione Asperulo taurinae-Alnetum cordatae. Non è chiaro se le cenosi a ontano napoletano siano spontanee o frutto di rimboschimenti. L'ontano napoletano è una specie con simbionti radicali per la fissazione dell'azoto atmosferico, rustica ed eliofila, la cui distribuzione è ristretta all'Italia centro meridionale ed alla Corsica, legata a substrati neutri o debolmente acidi, con ruscellamento di acqua in superficie. La specie è quindi sicuramente spontanea nella zona, ma appare lecito dubitare che queste formazioni monospecifiche siano naturali: l'ontano napoletano dovrebbe infatti essere una specie accompagnatrice, non in grado di dar luogo a formazioni estese, ed è inoltre largamente usato nei rimboschimenti . Boschi di faggio Le faggete d'alta quota sono formazioni fisionomicamente e floristicamente ben differenziate dai boschi submediterranei e di transizione. Sono spazialmente collocate nella parte merdionale dell'area studiata, sui versanti settentrionali del massiccio del Pollino e sui rilievi posti nel quadrante NW (Monte Zaccana e Monte Fassino) al di sopra di un limite altitudinale approssimativo di circa 1000 m. Sono faggete d'alto fusto con un

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buon sviluppo verticale e con pochi segni di antropizzazione, distribuite fra 1000 e 2000 m. L'associazione di riferimento è il Campanulo trichocalycinae-Fagetum, caratterizzato da una endemica locale, Campanula trichocalycina. Di particolare interesse il ritrovamento di individui di Abies alba Miller in rinnovazione naturale. Praterie dei piani carsici Unità non molto estesa nell'area, ma di facile collocazione ecologica per la forte caratterizzazione stazionale e floristica. Si tratta di cenosi acidofile su substrato calcareo fortemente eluviato in superficie, distribuite stazionalmente sui pianori alla base delle doline. Questi ambienti presentano una buona disponibilità idrica e sono sovente pascolati, soprattutto da bovini. Sono da considerarsi come stadi di degradazione delle faggete di altitudine, mantenuti dall'uomo per facilitare il pascolo. L'associazione di riferimento è il Meo athamanticum-Asphodeletum albae, descritto per i piani di Ruggio. L'attribuzione a syntaxa di rango superiore è però controversa. E' da considerare una associazione endemica dell'area di studio. Praterie ipsofile Sono da considerare come disposti altitudinalmente al di sopra dei prati xerici e spesso in condizioni in cui il passaggio è sfumato, quindi i confini fra queste due classi non sono netti. Queste praterie possono essere considerate come formazioni climax e non sono quindi sottoposte alla dinamica naturale; risulta comunque chiaro che la situazione attuale è frutto di un uso antico da parte dell'uomo che ha presumibilmente agito su queste cenosi, per mezzo del fuoco e del pascolo, avvantaggiando le specie piu xeriche e rustiche. Come nel caso delle cenosi del piano inferiore, anche qui troviamo specie di rilevante importanza fitogeografica. Fra queste, la più rappresentativa dell'area in esame è forse Pinus leucodermis Antoine, distribuita anche sul Monte Zaccana (quadrante NW dell'area studiata). Le cenosi rilevate sono da attribuire al Carici macrolepidis-Seslerietum apenninae, associazione del Seslerion apenninae. Formazioni lineari di ripa L'area in studio si presenta alquanto variabile per quanto riguarda il regime idrico dei corsi d'acqua che la interessano; relativamente alle formazioni di ripa presenti si possono quindi individuare varie situazioni di riferimento: • boschi lineari di forra; tali boschi sono distribuiti nel quadrante NE, all'interno dell'area

dei boschi di transizione. Le formazioni lineari in questione sono ben differenziabili per la presenza di Alnus glutinosa con buono sviluppo verticale; nel sottobosco si trovano Dryopteris carthusiana, che caratterizza le stazioni di forra, e varie specie trasgressive delle faggete, come Geranium versicolor, Mycelis muralis, Lathyrus venetus e Melica uniflora. Queste formazioni sono sviluppate su terreni profondi, sabbiosi e moderatamente acidi.

• formazioni di ripa; si sviluppano in pianura, su depositi fluviali ancora non ben consolidati. Sono caratterizzate da Populus nigra, Populus alba e Salix alba, da liane come Clematis vitalba e Bryonia dioica e da Equisetum arvense. In alcuni casi la

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specie caratterizzante è il Salix elaeagnos, un salice arbustivo-basso arboreo, tipico colonizzatore dei greti ciottolosi.

Rimboschimenti di conifere Nell'area in esame i rimboschimenti, di modesta estensione, sono localizzati in tre nuclei principali: presso Mormanno, presso Piani di Ruggio e a SW di San Severino Lucano. Si tratta per lo più di rimboschimenti effettuati con alcune varietà di Pinus nigra. Colture arboree Si tratta di un tipo di vegetazione che nella zona non riveste importanza paesaggistica. Le colture arboree dell'area, vigneti generalmente di vecchio impianto, oliveti e qualche frutteto nella piana del Mercure, sono per lo più situati presso gli abitati e risultano spesso in stato di abbandono. Sono inclusi in questa UAB i pochi appezzamenti di seminativi arborati. Colture erbacee Questa UAB è, quasi per la sua totalita, distribuita sui depositi sabbiosi della valle del Mercure. Si tratta in gran parte di ampie estensioni a grano, rari e piccoli sono gli appezzamenti a mais. La scarsa diversità floristica di queste cenosi è, probabilmente, da mettere in riferimento all'uso di diserbanti chimici. Dal punto di vista fitosociologico le cenosi di infestanti delle colture primaverili sono da attribuire alle Secalinetea Aree in trasformazioneQuesta UAB è diffusa solo nella pianura presso il corso del Mercure, dove alcune aree sono in corso di trasformazione da colture erbacee ad aree industriali o abitative. Per quanto riguarda il grado di artificialità, sono state considerate equivalenti ad aree urbanizzate. Aree nude Unità costituita dalle aree che, per cause antropiche o naturali, sono prive di vegetazione. In questa UAB sono quindi comprese piccole aree di valore naturalistico, come i ghiaioni dei fiumi, che ospitano comunità effimere, le rupi e i macereti di altitudine, che possono essere colonizzati da specie di importanza fitogeografica. UrbanizzatoNell'area in esame sono presenti solo piccoli centri sparsi coincidenti con gli abitati di Rotonda, Viggianello, Laino, Mormanno, Castelluccio ed alcune piccole aree industriali nella piana del Mercure. Specchi d'acquaSi tratta di modeste superfici costituite da alcuni bacini artificiali per l'irrigazione e dai principali corsi d'acqua.

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4.5.2 Fauna terrestre Nel territorio in esame si possono individuare aree che si possono ritenere omogenee sia dal punto di vista delle caratteristiche dell’habitat che da quello zoologico. Queste aree possono essere raggruppate in 11 tipologie definibili come Unità Ambientali Zoologiche terrestri, che sono:

Unità Ambientali Zoologiche kmq % Urbanizzato 1,97 0,57 Agricolo omogeneo 45,13 13,10 Agricolo eterogeneo 43,59 12,66 Formazioni riparie di pianura 1,18 0,34 Corsi d'acqua montani 0,86 0,25 Boschi a predominanza di leccio 18,47 5,36 Boschi di latifoglie decidue submediterranee

171,40 49,76

Prati rocciosi 25,96 7,54 Boschi di faggio 33,51 9,73 Praterie dei piani carsici 1,20 0,35 Prati ipsofili 1,15 0,33

Di seguito viene data una descrizione di tali Unità Ambientali Zoologiche: Urbanizzato (ZUu)Consiste nei pochi centri abitati presenti nell'area, tutti di modeste dimensioni. La fauna è costituita, oltre che da un certo numero di specie euriecie e sinantropiche, da alcune specie rupicole e cavernicole; fra queste ricordiamo la forma selvatica di Columba livia, alcuni strigiformi, Ptyonoprogne rupestris, Phoenicurus ochrurus e alcuni chirotteri. Agricolo omogeneo (ZAo)Unità ambientale distribuita nella parte Centrale dell'area di studio su sabbie e conglomerati lacustri a morfologia pianeggiante, a quote comprese entro i 500 m s.l.m.; la vegetazione, in gran parte artificiale, è costituita in prevalenza da colture erbacee, ma comprende anche prati-pascoli e aree cespugliate. La fauna è costituita prevalentemente da specie di zone aperte, fra le più caratteristiche si ricordano Galerida cristata, Saxicola torquata, Cisticola juncidis e Miliaria calandra; compaiono anche le specie più termofile di Anfibi (Bufo viridis), Rettili (Podarcis sicula, Elaphe longissima) e Insettivori (Suncus etruscus) e specie ubiquitarie oppure legate alle formazioni arbustive presenti negli impluvi e lungo i confini fra i diversi campi. Interessanti dal punto di vista naturalistico le presenze di Coturnix coturnix e Oenanthe hispanica; sono da segnalare inoltre due specie di averle, Lanius collurio e L. senator, e, fra gli accipitridi, Milvus milvus.

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Agricolo eterogeneo (ZAe)Unità molto eterogenea distribuita in massima parte a quote comprese fra 500 e 900 m, su substrati prevalentemente marnosi, costituita da un'alternanza di coltivi, pascoli, cespuglieti e boschi. Sia per le caratteristiche morfologiche e vegetazionali, sia per la distribuzione geografica, questa unità può essere considerata come una fascia di transizione fra le zone coltivate più basse (ZAo) e quelle con vegetazione naturale, distribuite prevalentemente a quote superiori (ZBm, ZBf, ZPx). La fauna risulta quindi ricca e ben diversificata, comprendendo specie legate ai diversi ambienti presenti in questa unità, mancano però quelle più esigenti, tipiche delle aree boscate estese e mature e quelle più strettamente montane. Numerosi i Rettili di ambienti ecotonali, tra cui si devono segnalare Lacerta viridis, Chalcides chalcides, Elaphe situla e Elaphe quatuorlineata. Numerose anche le specie di Mammiferi che si alimentano nelle zone più aperte e che trovano rifugio nelle zone boscate; tra queste si segnalano come tipiche Lepus europaeus, Hystrix cristata, Meles meles, Sus scrofa. Anche l'avifauna nidificante è composta in gran parte da specie euriecie oppure ecotonali; quelle di maggior rilievo, come Milvus milvus, Coturnix coturnix, Lullula arborea, Lanius collurio e, almeno fino agli anni '80, Emberiza hortulana sono tutte più o meno legate alle zone aperte. Formazioni riparie di pianura (ZRb)Unità di modesta estensione, costituita dai tratti del F. Mercure dove l'alveo è più esteso e vi sono formazioni riparie di discreta consistenza. La fauna vertebrata è decisamente ricca, in quanto comprende sia specie tipiche dei corsi d'acqua, come Rana dalmatina, Natrix natrix, Gallinula chloropus, Charadrius dubius, Alcedo atthis e Cettia cetti, che specie legate alle formazioni riparie arbustive e arboree, come Milvus migrans, Otus scops, Picoides major, Hippolais polyglotta, Muscicapa striata, Oriolus oriolus e numerosi chirotteri che in questi ambienti trovano abbondante nutrimento. Nell'ambito dell'area di studio questa Unità riveste presumibilmente una certa importanza, in quanto, come tutte le zone umide, appare idonea per la sosta e per lo svernamento di numerose specie ornitiche. E' necessario aggiungere che, comunque, in prossimità dell'area di indagine esistono corsi d'acqua (in particolare il F. Sinni) con formazioni riparie ben più estese e notevolmente più importanti dal punto di vista faunistico. Corsi d'acqua montani (ZRa)Unità costituita da alcuni corsi d'acqua presenti nelle zone montane dell'area d'indagine; si tratta in tutti i casi di tipici torrenti appenninici caratterizzati da forte pendenza, substrato prevalentemente roccioso e scarsa portata estiva. Scorrono per lo più in zone forestali (Unità Ambientali ZBf, ZBm, ZBl e boschi di ZAe) e spesso la vegetazione riparia è poco differenziata da quella del bosco circostante; si tratta quindi di formazioni la cui individuazione e delimitazione risultano difficili. La fauna comprende in gran parte specie presenti nei boschi circostanti, e in particolare quelle più spiccatamente mesofile, come Salamandrina terdigitata, Parus palustris e Pyrrhula pyrrhula, ma anche specie direttamente legate al corso d'acqua, come Rana dalmatina, Rana italica, Motacilla cinerea, Cinclus cinclus e Neomys fodiens.

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Boschi e boscaglie termofili a predominanza di leccio (ZBl) Unità costituita da grossi patches con vegetazione naturale, boschi a predominanza di leccio e cespuglieti di degradazione, dislocati in alcune forre presenti nella parte centromeridionale dell'area considerata, a contatto con le Unità ZAo e, a Sud, ZAe. Di modesto interesse dal punto di vista faunistico, sia per la generale povertà delle leccete, che per la scarsa maturità dei boschi in esame, ospitano le specie mesofile più comuni, come Triturus carnifex, T. cristatus, Bufo bufo, Rana dalmatina, Sorex minutus. Rivestono comunque una certa importanza come aree corridoio e di rifugio per numerose specie che si nutrono nelle Unità Ambientali Zoologiche circostanti: Vulpes vulpes, Mustela nivalis, Martes foina, Sus scrofa. Boschi di latifoglie decidue submediterranee (ZBm)Si tratta dell'unità più rappresentata nell'area di interesse, distribuita generalmente al di sotto dei 1.000 m di quota. Costituita per lo più da boschi a predominanza di cerro, comprende comunque anche boscaglie a predominanza di roverella, vaste aree di boschi di transizione con la faggeta e boscaglie di ontano napoletano. Le comunità animali sono quelle tipiche delle cenosi forestali: l'estensione, talvolta notevolissima, di questi boschi, permette la presenza di specie piuttosto esigenti come Salamandra salamandra, Salamandrina terdigitata, Rana italica, Coronella girondica, Accipiter nisus, Columba palumbus, Picoides major, Nyctalus noctula, Tadarida teniotis, Dryomys nitedula, Muscardinus avellanarius, Canis lupus, Mustela putorius, Meles meles. Nell'ambito di questa Unità Ambientale Zoologica esistono inoltre alcune aree, come il Bosco di Magnano, dove le cenosi boscate hanno raggiunto un alto grado di complessità e maturità e appaiono in grado di ospitare anche le specie forestali più stenoecie ed esigenti, come Accipiter gentilis, Picoides medius e P. minor. Prati rocciosi (ZPx)Si tratta di praterie a copertura discontinua e con rocce affioranti, spesso con arbusti bassi sparsi, largamente distribuite nelle porzioni meridionali e orientali dell'area considerata e, a NW, nella zona del M. Rossino e del M. Zaccana, a quote comprese fra 750 e 1.700 m, quasi esclusivamente su substrati calcarei spesso con forti pendenze; comprende anche alcune aree rupestri. Unità piuttosto omogenea, caratterizzata da una scarsa diversità strutturale in senso sia verticale che orizzontale e da una forte variabilità stagionale, ospita una fauna che comprende numerose specie di rettili di ambienti soleggiati, fra i quali è da segnalare Coronella austriaca, e specie ornitiche esclusive delle praterie (molte si ritrovano nelle Unità Ambientali Zoologiche ZPc e ZPi); fra quelle di maggior interesse ricordiamo Alectoris graeca, Lullula arborea, Anthus campestris, Oenanthe oenanthe, Monticola saxatilis e M. solitarius, presenti rispettivamente al di sopra e al di sotto dei 1.000 m circa di quota, Emberiza citrinella e E. cia (queste ultime due specie presenti solo in particolari situazioni ambientali). I prati rocciosi sono poi utilizzati come aree di caccia da alcuni rapaci diurni e notturni che nidificano in questa o in altre Unità Ambientali (oppure fuori dall'area considerata), come Aquila chrysaetos, Falco tinnunculus, F. peregrinus e Bubo bubo. Fra le specie di mammiferi caratteristiche di ambienti aperti

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ricordiamo Talpa romana e Talpa caeca (presenti, la prima, alle quote più basse e, la seconda, più in alto), Suncus etruscus, Lepus europaeus, Boschi di faggio (ZBf)Unità ampiamente rappresentata nelle zone occidentali e meridionali dell'area di interesse a quote comprese fra 1.000 e 2.000 m, costituita da boschi d'alto fusto continui e omogenei, caratterizzati da un livello sempre piuttosto elevato di maturità e complessità strutturale. Il numero di specie complessivo delle faggete è inferiore a quello dei boschi di latifoglie decidue submediterranee (ZBm), ma sono qui più frequenti gli elementi stenoeci legati alle foreste mature a carattere mesofilo; da segnalare Podarcis muralis, che in quest'area del Meridione presenta una diffusione limitata alle quote più alte, Sciurus vulgaris, Glis glis. Fra le specie ornitiche di maggior valore naturalistico ricordiamo Certhia familiaris, la cui presenza è stata recentemente accertata, Accipiter gentilis, Dryocopus martius, Picoides medius, P. minor, Phylloscopus sibilatrix e Ficedula albicollis. Nelle radure più ampie e ai confini fra la faggeta e le zone aperte (ZPx, ZPc e ZPi) sono presenti alcune specie ecotonali come Lullula arborea, Anthus trivialis e Emberiza cia. In questa Unità Ambientali trovano inoltre l'ambiente di elezione tre specie di mammiferi rare e di estremo interesse, la cui presenza, segnalata soltanto a scala regionale, appare probabile: Canis lupus, di cui si hanno anche segnalazioni da parte del Corpo Forestale dello Stato, Martes martes e Felis silvestris, presenti solo in aree non antropizzate. Praterie dei piani carsici (ZPc)Unità di modestissima estensione, costituita da praterie pascolate, prevalentemente da bovini, su pianori situati attorno ai 1.300 m di quota, nel quadrante SE dell'area considerata, in contatto con le faggete (ZBf). Viene frequentata da specie silvicole della Unità Ambientale vicina, che qui trovano condizioni favorevoli per la ricerca del cibo (come Accipiter gentilis, A. nisus, Columba palumbus, Turdus viscivorus, Sus scrofa e chirotteri silvicoli). L'umidità del suolo permette la presenza di numerosi anfibi, fra cui Bufo bufo, Rana dalmatina e R. italica. Fra le specie ornitiche tipiche delle zone aperte o dell'ecotono faggeta-prateria, ne sono presenti alcune di interesse naturalistico, come Falco tinnunculus, Alectoris graeca, Lullula arborea, Anthus campestris, Saxicola rubetra, Oenanthe oenanthe, Monticola saxatilis e Emberiza citrinella. Prati ipsofili (ZPi)Unità di modesta estensione, localizzata nel quadrante SE dell'area considerata, al di sopra del limite della vegetazione arborea. Ė da considerare come la continuazione, a quote più elevate, dell'Unità ZPx. La semplicità strutturale di questo ambiente e la rigidità del clima fanno sì che le zoocenosi siano costituite da un numero piuttosto limitato di specie, con una chiara predominanza degli elementi tipicamente montani. Fra gli uccelli nidificanti, i più comuni sono Anthus spinoletta, esclusivo di questa Unità Ambientale, Oenanthe oenanthe e Carduelis cannabina; fra le specie che utilizzano le praterie d'alta quota come aree di alimentazione, oltre ad alcune che vivono nelle faggete (ZBf), sono da segnalare Aquila chrysaetos e Falco peregrinus. Ai confini con le unità sottostanti sono presenti Lullula arborea, Anthus trivialis, Monticola saxatilis e Emberiza cia. Si segnalano

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inoltre in questa Unità Ambientale alcune specie di rettili (Podarcis sicula, Chalcides chalcides, Vipera aspis) che, grazie alla loro condizione di eterotermi, riescono a superare i periodi sfavorevoli. Considerazioni sull’impatto della trasformazione in progetto Le eventuali influenze indotte dal progetto sulle componenti floro-faunistiche locali sono legate essenzialmente all’emissione di effluenti gassosi (SO2 e NOx) prodotti dalla combustione delle biomasse durante l'esercizio dell'impianto. A questo proposito, occorre prima di tutto evidenziare che la situazione futura si diversificherà, rispetto a quella ante-operam, per una sostanziale riduzione dei contributi dell’impianto, sia per quanto riguarda SO2 che per NOx. Al fine di valutare gli effetti ecotossici dei contributi al suolo previsti per la situazione futura, si deve fare riferimento ai livelli critici raccomandati dalla WHO (World Health Organization, 1995) per la protezione della vegetazione, che sono: • SO2

− 10 µg/m3 come media annuale, per le specie vegetali più sensibili (licheni), − 20 µg/m3 come media annuale, per foreste e vegetazione spontanee, − 30 µg/m3 come media annuale, per le coltivazioni.

• NOx

− 30 µg/m3 come media annuale (somma NO+NO2 espressa come µg/m3 di NO2), per tutte le specie vegetali.

Per la situazione futura, con l'impianto funzionante a biomasse, le concentrazioni massime previste per i contributi al suolo di SO2 e di NOx, (calcolate tramite simulazione modellistica come medie annuali specificamente ai fini della previsione degli effetti sulla vegetazione) sono le seguenti: • SO2: 1,5 µg/m3 media annuale • NOx: 6,01 µg/m3 media annuale (somma NO+NO2 espressa come µg/m3 di NO2) Il confronto dei valori massimi previsti dalla modellazione con i valori di livello critico raccomandati da WHO mostra che la situazione futura sarà caratterizzata da concentrazioni dei contributi di SO2 e di NOx decisamente inferiori ai limiti consigliati per la protezione della vegetazione, anche la più sensibile, e, comunque, tali da non determinare un incremento significativo del livello di fondo locale, anche nel punto di massima ricaduta. Sulla base, quindi, delle stime effettuate, non si possono ipotizzare effetti negativi sulla vegetazione connessi con le emissioni dell’impianto trasformato.

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PAESAGGIO INFLUENZA DELLA CENTRALE SULLE CARATTERISTICHE PERCETTIVE DELL’AREA

La base territoriale dell'area in cui si inserisce l'impianto è costituita da un tratto della valle del Fiume Mercure, delimitato dai versanti collinari che ne definiscono lateralmente l'impluvio. In questo contesto, le aree e gli elementi che costituiscono il panorama locale si possono raggruppare sostanzialmente in due unità di paesaggio piuttosto omogenee, che consistono rispettivamente nel fondovalle e nei versanti collinari che lo delimitano ai due lati. Il fondovalle, relativamente aperto, è mosso da ondulazioni che raccordano le propaggini inferiori delle alture circostanti alla ristretta piana attraversata senza incisioni decise dall'alveo del fiume. Gran parte del fondovalle è caratterizzata dalla presenza di colture (principalmente erbacee), che assecondano la morfologia del terreno con superfici uniformi, di colorazione variabile in funzione della fase del ciclo colturale. Sui bordi della fascia agricola, in alcuni punti (e, in particolare, in prossimità dell'impianto), si inseriscono digitazioni più o meno estese che scendono dalle formazioni arboree o arbustive dei versanti collinari, giungendo anche fino al corso del Fiume Mercure. La conformazione ondulata del fondovalle ostacola la intervisibilità orizzontale, per cui la visuale reciproca delle sue varie parti è spesso impedita dai leggeri innalzamenti del terreno; l'impianto stesso, in particolare, dai punti di vista meno rilevati non risulta visibile o, comunque, non lo risulta nella sua interezza, ma soltanto negli elementi a maggior sviluppo verticale. Risulta evidente peraltro come tale conformazione topografica rende del tutto non percettibile la presenza dell’impianto dalle zone vallive comprese nelle aree pSIC e ZPS. Per quanto riguarda gli edificati, il fondovalle, oltre che l'impianto stesso e una limitrofa area produttiva, accoglie pochi raggruppamenti abitativi, costituiti per lo più da un numero limitato di edifici, in alcuni casi anche isolati, raccordati dalla viabilità locale. I versanti collinari presentano un discreto sviluppo altitudinale, con dislivelli rispetto al fiume anche di 800÷900 m, ma, nonostante questo, i loro pendii appaiono relativamente poco acclivi e si raccordano senza cesure brusche con il piano di fondovalle. La naturalità dei versanti viene mitigata dalla presenza di alcune frazioni abitative di modesta o minima dimensione, che si aggregano a mezza costa o lungo i crinali. Tra queste, spicca il nucleo di Rotonda, che costituisce l'edificato principale nei dintorni dell'impianto e si colloca ad una quota intermedia, seguendo la morfologia del crinale che separa il Fosso Paraturo dal Fosso di Grottascura, con le caratteristiche tipiche dei centri collinari dell'Appennino italiano. Nella nuova configurazione a biomasse, le modifiche architettoniche sono marginali e non hanno comportato particolari variazioni della connotazione visiva del sito poiché la vecchia struttura e quelle nuove rivestono, sul piano percettivo, la stessa valenza di masse tecnologiche, ugualmente coerenti con il complesso impiantistico in cui si inseriscono. Sulla base di questo quadro, si può ritenere che l'impatto visivo derivante dalla trasformazione progettuale della Centrale del Mercure non ha alterato la fisionomia e la

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qualità intrinseca del paesaggio circostante rispetto alla situazione precedente. Conseguentemente, si ritiene che non vi sia nessuna interferenza con la naturalità del paesaggio delle aree SIC e ZPS “Valle del Fiume Lao”. CONCLUSIONI Per la Centrale del Mercure, l’area vasta (cioè l’ambito di sostanziale estinzione delle prevedibili interferenze ambientali) può essere circoscritta con ampio margine da un quadrato di 15 km di lato con al centro il complesso impiantistico. Questa delimitazione viene desunta a valle dell’analisi delle componenti ambientali interessate dalle azioni interferenti a scala più ampia (in particolare la ricaduta al suolo degli inquinanti emessi al camino, che in pratica si esaurisce entro pochi chilometri dall’impianto), mentre per le altre, ad areale di impatto ancora più ristretto, l’analisi viene concentrata su una parte di territorio specifica, adeguandone l’ampiezza all’estensione spaziale degli effetti ambientali attesi. Le analisi condotte portano alla conclusione che il progetto di riattivazione, con alimentazione a biomasse, della sezione 2 della Centrale del Mercure non determina impatti ambientali, diretti e/o indiretti, sul pSIC “Valle del Fiume Lao” e sulla ZPS “Valle del Fiume Lao” e dunque si può sostenere l’accertata condizione di “valutazione di incidenza positiva”, ovvero la condizione di acclarata assenza di effetti negativi sulla integrità del pSIC e della ZPS in questione. Analoghe considerazioni possono essere fatte anche se si prende in esame l’istituenda ZPS “Pollino Orsomarso”, indicata nella Delibera della Giunta Regionale n.607 del 27 giugno 2005, ma che non trova ancora ufficialità in uno specifico decreto ministeriale. In tale situazione, infatti, la centrale ricadrebbe nell’estremo margine NNE dell’istituenda ZPS. E’ necessario considerare e ribadire a riguardo che la Centrale del Mercure vede la sua prima autorizzazione alla costruzione nel 1962 e il progetto di riattivazione a biomasse, autorizzato nel settembre 2002, prevede una riduzione della potenza installata di circa il 73% rispetto alla sua configurazione originaria. L’abbandono dunque dell’olio combustibile, l’adozione esclusiva della biomassa e la sostanziale diminuzione di potenza, con gli indiscussi benefici ambientali che ne conseguono, la collocazione geografica della centrale, in posizione estremamente marginale rispetto al perimetro della ZPS in questione, consentono di ritenere che la Centrale del Mercure non sia fonte di impatti ambientali diretti e/o indiretti sull’avifauna selvatica, oggetto di tutela dell’istituenda ZPS “Pollino Orsomarso”. Rispetto, più specificatamente, ai contenuti del Disciplinare di cui alla Deliberazione della Giunta Regionale del 27 giugno 2005, n.604, si possono formulare le seguenti considerazioni.

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Il progetto di alimentazione a biomasse della Centrale del Mercure, autorizzato dalla Provincia di Cosenza nel settembre 2002, ha modificato l’esistente impianto termoelettrico avviato all’esercizio fin dal novembre 1965. Le attività di costruzione sono sostanzialmente terminate e l’impianto ha avviato le procedure per la messa in esercizio della sezione termoelettrica. Il processo di individuazione delle potenziali implicazioni sulle limitrofe zone SIC e ZPS del progetto di alimentazione a biomasse della Centrale del Mercure e le determinazioni del grado di significatività di tali incidenze (screening) hanno condotto alla conclusione che le azioni progettuali non implicano significative incidenze ambientali sui siti Natura 2000. La non significatività delle incidenze è stata valutata (come diffusamente rappresentato in questo studio) sulla base di tutti i possibili indicatori chiave quali, ad esempio, la perdita di aree di habitat, la frammentazione, la perturbazione, i cambiamenti negli elementi principali del sito (in particolare la qualità dell’aria e delle acque), etc.. 4 SISTEMI DI MONITORAGGIO Sistema di misura delle emissioni Come prescritto nell’autorizzazione del 02/09/2002 rilasciata dalla Provincia di Cosenza, per la modifica ed esercizio a biomasse, la sezione n. 2 della Centrale Mercuri è stata dotata di un sistema di monitoraggio per la misura in continuo delle concentrazioni di SO2 – Nox, Polveri, CO, COT, HCl, O2, temperatura, pressione e portata fumi. Le caratteristiche tecniche delle apparecchiature facenti parte dello SME, nonché la loro gestione e taratura sono conformi a quanto previsto dalla normativa vigente applicabile e sono descritte in modo dettagliato nel “Protocollo del Sistema di Monitoraggio delle Emissioni” e nelle procedure gestionali ad esso collegate. Il sistema è dotato, oltre che delle apparecchiature per il campionamento e l’analisi dei fumi, anche di un sistema di taratura, acquisizione, validazione e memorizzazione dei dati. Dall’acquisitore locale, le informazioni relative alle emissioni di ciascuna sezione termoelettrica vengono inviate ad un sistema centrale (comune a tutte le sezioni), che riceve anche i dati di funzionamento di impianto (carico elettrico, portate combustibili, etc.). Il sistema centrale esegue le elaborazioni statistiche dei dati, serve da archivio di lungo periodo e fornisce l’interfaccia funzionale e di supervisione all’operatore. Rete di rilevamento della qualità dell’aria

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La Centrale Mercure è dotata di un “Sistema Chimico e Meteorologico per il Rilevamento della Qualità dell’Aria”, più semplicemente detto “Rete di Rilevamento della Qualità dell’Aria” (RRQA). La rete è costituita da cinque postazioni remote di rilevamento della qualità dell’aria e da una postazione meteorologica.

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