Sintesi de La leggenda di Ginevra

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La leggenda di Ginevra Testo e ricerche storiche di Lara Pavanetto Monologo teatrale di e con Raffaella Benetti Edizioni Euphonia Nell’ Archivio di Stato di Venezia è custodito il processo contro Ginevra Serego Alighieri, moglie del potente condottiero della Repubblica Veneta, conte Girolamo Pompei di Illasi. La contessa è accusata dell’omicidio dell’uomo d’arme del marito, Gregorio Griffo, e di aver tradito il marito con il governatore di Verona, Virginio Orsini. Da questo documento è tratto il romanzo che, però, nulla inventa. Il processo risale al 1592, è un documento particolare sia perchè riguarda due delle famiglie più nobili e importanti del veronese, i Pompei e i Serego-Alighieri, sia perché la vicenda narrata ricorda molto da vicino, per trama e situazioni, le opere di Shakespeare. Tanto che si può ipotizzare, visto la risonanza che all’epoca ebbe la vicenda in tutta la Repubblica di Venezia e non solo, che la tragica storia della contessa Ginevra sia stata conosciuta anche dal sommo poeta inglese, che nelle sue opere si riferì al Veneto come ad un’inesauribile fonte d’ispirazione. Non esiste mondo fuor di Verona”, scrisse Shakespeare nel 1597, nel suo dramma più conosciuto “Giulietta e Romeo”, ormai simbolo universale della tragedia di un amore impossibile. Quello stesso “amore” che sostanzia la tragica vicenda della contessa Ginevra Serego Alighieri, vicenda nella quale, proprio Verona gioca un ruolo fondamentale, come scena di intrighi di potere e d’amore che segneranno definitivamente la vita di Ginevra e dello stesso governatore di Verona dell’epoca, Virginio Orsini. Ginevra Serego Alighieri era una discendente di Dante Alighieri, ed è affascinante la coincidenza che lega proprio il nome degli Alighieri alla tragedia di Romeo e Giulietta. Luigi da Porto, il condottiero vicentino che compose nel 1524 una novella basata sulla tragica storia di due amanti, ambientata tra Verona e Mantova, durante un rigido inverno dell’inizio del XIV secolo (novella alla quale molto probabilmente si rifece lo stesso Shakespeare), prese spunto dai celebri versi di Dante Alighieri (Purgatorio, VI 106), in cui il poeta fa menzione delle famiglie Montecchi e Cappelletti (poi diventati Capuleti). Ma i collegamenti non finiscono qui, quasi ci fosse una linea invisibile che unisse in modo misterioso il destino della contessa Ginevra e del suo infelice amore a quello dei due famosi amanti veronesi. Ginevra divenne contessa di Illasi sposando Girolamo Pompei, e proprio il castello di Illasi, era stato nel 1200 Via Saline, 17 37020 Fane (VR) – Italy Tel.: +39 045 485 17 34 FAX: +39 045 75 25 411 www.lamusicaracconta.it - [email protected] 1

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La leggenda di GinevraTesto e ricerche storiche di Lara PavanettoMonologo teatrale di e con Raffaella Benetti

Edizioni Euphonia

Nell’ Archivio di Stato di Venezia è custodito il processo contro Ginevra Serego Alighieri, moglie del potente condottiero della Repubblica Veneta, conte Girolamo Pompei di Illasi. La contessa è accusata dell’omicidio dell’uomo d’arme del marito, Gregorio Griffo, e di aver tradito il marito con il governatore di Verona, Virginio Orsini. Da questo documento è tratto il romanzo che, però, nulla inventa.

Il processo risale al 1592, è un documento particolare sia perchè riguarda due delle famiglie più nobili e importanti del veronese, i Pompei e i Serego-Alighieri, sia perché la vicenda narrata ricorda molto da vicino, per trama e situazioni, le opere di Shakespeare. Tanto che si può ipotizzare, visto la risonanza che all’epoca ebbe la vicenda in tutta la Repubblica di Venezia e non solo, che la tragica storia della contessa Ginevra sia stata conosciuta anche dal sommo poeta inglese, che nelle sue opere si riferì al Veneto come ad un’inesauribile fonte d’ispirazione.

“Non esiste mondo fuor di Verona”, scrisse Shakespeare nel 1597, nel suo dramma più conosciuto “Giulietta e Romeo”, ormai simbolo universale della tragedia di un amore impossibile. Quello stesso “amore” che sostanzia la tragica vicenda della contessa Ginevra Serego Alighieri, vicenda nella quale, proprio Verona gioca un ruolo fondamentale, come scena di intrighi di potere e d’amore che segneranno definitivamente la vita di Ginevra e dello stesso governatore di Verona dell’epoca, Virginio Orsini.

Ginevra Serego Alighieri era una discendente di Dante Alighieri, ed è affascinante la coincidenza che lega proprio il nome degli Alighieri alla tragedia di Romeo e Giulietta. Luigi da Porto, il condottiero vicentino che compose nel 1524 una novella basata sulla tragica storia di due amanti, ambientata tra Verona e Mantova, durante un rigido inverno dell’inizio del XIV secolo (novella alla quale molto probabilmente si rifece lo stesso Shakespeare), prese spunto dai celebri versi di Dante Alighieri (Purgatorio, VI 106), in cui il poeta fa menzione delle famiglie Montecchi e Cappelletti (poi diventati Capuleti). Ma i collegamenti non finiscono qui, quasi ci fosse una linea invisibile che unisse in modo misterioso il destino della contessa Ginevra e del suo infelice amore a quello dei due famosi amanti veronesi. Ginevra divenne contessa di Illasi sposando Girolamo Pompei, e proprio il castello di Illasi, era stato nel 1200 proprietà della potente famiglia dei Montecchi. E’ un cerchio che si chiude, quasi fosse un destino segnato da un’occulta trama.

Alla base però del romanzo che racconta la storia della contessa Ginevra, non ci sono leggende, ma antichi documenti conservati nell’Archivio di Stato di Venezia, dei documenti che ormai sono l’unica e più importante testimonianza di una vicenda che tanto scandalo suscitò all’epoca e della quale poi si volle cancellare ogni traccia da tutti gli archivi, anche di famiglia. La contessa Ginevra, infatti, sparì, quasi fosse un fantasma, nulla si sa sulla sua fine, non esiste di lei una tomba. Tanto che nell’Ottocento, quando fu scoperto nel castello di illasi, lo scheletro di una donna murata, si pensò fosse proprio quello della contessa. Recenti studi sullo scheletro hanno escluso quest’ipotesi, ricacciando ancora una volta nel più assoluto mistero la fine della contessa Ginevra.

Nel romanzo è svelata la storia “nascosta” ed è stata data la soluzione del “giallo”, ma questa nasce, spontaneamente, dalla lettura delle carte, che permette di cogliere sottotraccia, quella storia parallela e troppo pericolosa per il buon nome di Verona e delle famiglie coinvolte, che si tentò in ogni modo di occultare, anche appellandosi alla Ragion di Stato. Se ne ricava lo straordinario affresco di costume di un’epoca; straordinario, soprattutto perché attraverso i documenti parlano direttamente i protagonisti della vicenda.

Lara Pavanetto

Via Saline, 17 37020 Fane (VR) – Italy Tel.: +39 045 485 17 34 FAX: +39 045 75 25 411www.lamusicaracconta.it - [email protected]

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IL CONTESTO

La famiglia Pompei

I Pompei, importante famiglia di condottieri a servizio della Repubblica di Venezia, si radicano a Illasi nel corso del XV secolo. Come ricompensa per i loro successi militari, il 20 aprile 1474 il doge Nicolò Marcello concesse a Giovanni Pompei, ai fratelli e ai loro discendenti il privilegio trasmissibile dell’immunità perpetua per i beni da loro posseduti a Illasi. Girolamo detto il Malanchino, nonno del Girolamo protagonista di questo libro, nel 1509 ebbe assegnato il castello di Illasi dopo aver catturato ad Isola della Scala il marchese di Mantova Francesco Gonzaga che era in guerra con Venezia. Era il periodo della guerra di Cambrai, una guerra nella quale i maggiori stati europei si erano coalizzati contro Venezia, accerchiandola. Anima della coalizione antiveneziana era stato Giulio II, il “papa terribile” che non sopportava l’espansione veneziana nelle Marche e in Romagna. Fino al 1516 Illasi rimase nelle mani degli imperiali, i Pompei avevano dovuto riparare a Padova e vivere con il frutto loro assegnato dal governo veneto. Dopo quella data, segnata dal trattato di Noyon che poneva fine alla guerra contro Venezia, Verona ritornò sotto il dominio veneto e i Pompei poterono ritornare a Illasi e prendere possesso del feudo, la cui giurisdizione fu loro riconfermata dal doge Leonardo Loredano con la ducale del 24 marzo 1519. Questa data segna la loro potente e prepotente ascesa, come una delle famiglie più importanti della Terraferma veneziana.

La famiglia Serego Alighieri

Ginevra Serego Alighieri, sposa di Girolamo Pompei, era figlia di Pieralvise Serego Alighieri, figlio a sua volta di Marcantonio Serego e Ginevra Alighieri. La madre era una discendente di Dante Alighieri, o meglio del di lui figlio Pietro, giudice, che fu podestà di Treviso, dove morì e fu sepolto il 21 aprile 1364. L’ultimo Alighieri, il canonico Francesco, figlio di Dante III, non avendo discendenti diretti aveva ceduto nome e possessioni della famiglia ai Serego nel 1558, lasciando erede Pieralvise Serego, padre della nostra protagonista, e figlio di Ginevra Alighieri, figlia di suo fratello Pietro e sposata con Marcantonio Serego, a patto che i discendenti aggiungessero al cognome Serego quello degli Alighieri. I beni lasciati dagli Alighieri ai Serego erano molto consistenti, una perizia del 1563 parla di una stima di 74.177 ducati. Per dare un’idea della consistenza del patrimonio, il ducato d’oro veneziano pesava grammi 3,56 d’oro fino. Quest’anno 2010 il valore dell’oro non monetato si aggira sui 22 euro al grammo, 74.177 ducati varrebbero più o meno cinque miliardi di euro. I Serego, famiglia molto più antica e nobile di quella degli Alighieri, era anche molto importante sotto il profilo politico oltre che economico. I Serego erano gente d’armi, derivavano da un’antica stirpe militare, che però nel Cinquecento aveva ormai contorni mitici e sfumati. Il matrimonio di Ginevra con Girolamo Pompei probabilmente fu pensato nell’ottica tutta politica di legarsi a dei nuovi potenti condottieri, strettamente legati alla Repubblica, cui erano politicamente e militarmente necessari.

L’ambientazione storica

Nell’anno in cui si svolge la nostra vicenda a Venezia è doge Pasquale Cicogna (1585-1595), la cui famiglia era stata ascritta al patriziato veneto al tempo della guerra di Chioggia per le benemerenze acquisite. Non era molto ricco, ma possedeva case e botteghe. Si era distinto da giovane in guerra contro i pirati, era stato podestà a Padova e a Treviso. Il suo fu un dogado tranquillo e benché fosse in odore di santità, proprio durante il suo dogado si concretizzò seppure a tratti, la linea politica autonoma di Venezia nei confronti della chiesa di Roma. Nel 1589 la Repubblica aveva riconosciuto l’ugonotto Enrico IV di Navarra re di una Francia sconvolta ormai da molti anni da una guerra civile di religione e dinastica, che vedeva contrapposte da una parte la fazione del protestante Enrico di Navarra, dall’altra quella del giovane duca di Guisa, cattolico. Tuttavia, proprio sotto il dogado di Cicogna, fu consegnato a Roma l’eretico Giordano Bruno che a Venezia pensava di salvarsi dall’Inquisizione. In questi anni Galileo insegna a Padova (1592-1610), una città che il vescovo Federico Corner definisce un covo di eretici, sarà proprio il Cicogna ad invitare il podestà di Padova a tutelare la libertà religiosa. Nel 1592 avverrà la consacrazione della chiesa votiva del Redentore alla Giudecca, opera di Andrea Palladio.

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L’Epilogo della vicenda

Ginevra fu interrogata dall’avogadore il 14 gennaio 1592. Subito dopo averla sentita, Marco Querini aveva inviato una lettera urgente a Venezia: Ginevra non aveva richiesto il salvacondotto della Repubblica, si era limitata nella sua deposizione, a dare la versione ufficiale della vicenda; si era addossata la colpa del delitto. E ora per Verona giravano delle voci, su di lei, che preoccupavano molto l’avogadore, che chiedeva a Venezia cosa fare. L’avogadore temeva che la famiglia Pompei si liberasse definitivamente della donna, uccidendola.

Il 18 gennaio 1592 il doge, Pasquale Cicogna, risponde alla lettera del Querini: lavandosi le mani, come Pilato, il doge “santo” scrive di non poter dare nessuna risposta sul da farsi. Ginevra Serego ha avuto la possibilità di chiedere il salvacondotto, non l’ha fatto. E ora che è ritornata nelle mani della sua famiglia, nulla si può più fare. Il doge ritorna così la palla nelle mani dell’avogadore e gli concede: “ […] libertà di poter intorno ciò, divenire a quella risolutione che giudicherete conforme alla giustizia et al dovere […]”.

Ma il problema era appunto che “conforme alla giustizia e al dovere”, l’avogadore aveva le mani legate, e per Ginevra non poteva fare nulla.

Di Ginevra Serego Alighieri, sposata a Girolamo Pompei, non si seppe più nulla. Sparì improvvisamente dalla storia. Neppure tra le carte della sua famiglia di origine si trova qualcosa su di lei. Non si sa che fine abbia fatto, di certo morì. La sua tragica vicenda autorizzava a pensare che non avesse fatto una bella fine, tanto che, quando nell’Ottocento venne scoperto nel castello di Illasi uno scheletro di donna murato, si pensò proprio a lei. Ma recenti indagini su quello scheletro, hanno rivelato che apparteneva ad una bambina e che probabilmente risale all’epoca medievale.

Non sappiamo come, ma sicuramente Ginevra morì: Girolamo Pompei nel 1596, il 16 maggio, sposò in seconde nozze Lucrezia Gualdo, contessa vicentina. I Gualdo erano una delle più antiche, nobili e ricche famiglie vicentine. Avevano palazzi e ville a Vicenza e in provincia, e nelle loro proprietà di Montecchio, nel 1530, avevano ospitato l’imperatore Carlo V e la sua corte, ricevendone in cambio il titolo di cavalieri imperiali e amplissimi privilegi. Se da Ginevra, Girolamo ebbe solo la figlia Faustina in otto anni di matrimonio, dalla seconda moglie fu allietato dalla nascita di ben sei figli, tutti maschi; morì nel 1625.

Faustina fu rinchiusa nel convento di santa Caterina da Siena in San Nazzaro in Verona, prese il nome di suor Lucrezia ed ereditò i beni della madre. Virginio Orsini del ramo dei marchesi di Mentana e principe di l’Amatrice, nel 1594 seguì in Ungheria il duca Vincenzo I di Mantova, che si era recato in soccorso degli Imperlali contro i Turchi. Nel 1596, era generale della cavalleria straniera in Francia. Fu ucciso a Roma nel 1597 dalle milizie di Clemente VIII, mentre combatteva al soldo di Enrico IV, e la sua testa infilzata su una picca fu esposta al pubblico ludibrio.

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I PERSONAGGI DEL FATTO

Girolamo Pompei, conte di Illasi

Ginevra Serego Alighieri Pompei, contessa di Illasi e moglie di Girolamo

Suordamor Pompei, sorella di Girolamo

Caterina Pompei, sorella di Girolamo e Suordamor

Graziadio Campo, marito di Caterina Pompei

Gregorio Griffo, uomo d’armi di Girolamo Pompei

Agostino Griffo, fratello di Gregorio

Chiara Griffo, moglie di Gregorio Griffo

Valorea Griffo, moglie di Agostino Griffo

Agnolina Zorzi, cameriera personale di Ginevra

Virginio Orsini, governatore di Verona

Beatrice Orsini, moglie di Virginio Orsini

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