Singolari Books Box

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Quattro racconti Singolari editi da Liberaria

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© Liberaria Editrice s.r.l.Via Abate Gimma 171, 70122 Bariwww.liberaria.itP.I. 07256920724

singolari

civico 16francesco gavatorta

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In via Boucheron a Torino ci arrivi se passi da Porta Nuova, dopo aver attraversato piazza Carlo Felice, via Roma, piazza San Carlo, ancora via Roma, piazza Castello, via Garibaldi e aver svoltato da piazza Statuto in via Passalacqua. Forse molti torinesi non sanno neanche che c’è, quella via lì. Eppure è una bella strada.È una via stretta. Ci sono dei negozi che

avranno cinquant’anni, di quelli con i pro-prietari che parlano il dialetto e in pochi, ormai, li capiscono ancora. C’è un piccolo supermercato, una lavanderia, un paio di ri-storanti. I palazzi sono alti, fanno filtrare poco la luce del sole. Trovare parcheggio è difficile.

Io stesso non sapevo che esistesse. Fino a quella sera. Quella in cui sentii al tele-giornale regionale che proprio là, in quel-la strada stretta, era capitato qualcosa. Stavo cenando con i miei e a tavola non si chiacchierava, non ci si parlava, tutti man-giavano e guardavano la televisione. Poi era passato quel servizio dove ascoltai quella storia, per caso.

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In uno stabile verso il fondo della via, quello del Civico 16 per la precisione, un uomo era salito sul tetto con uno zainetto, si era seduto sulle tegole e aveva deciso di rimanere lì. Non per buttarsi, non per pro-testare. Non sembrava ci fossero motivi par-ticolari. Era passato da una botola che ave-va trovato dalle scale, ma come avesse fatto quello era un mistero, soprattutto perché l’uomo era un vecchio di circa ottant’anni.

Nessuno era riuscito a capire come fosse arrivato lassù, e perché. Parenti e vicini l’avevano cercato per tutto il giorno, fino a che qualcuno che abitava nello stabile di fronte notò che sul tetto del condominio, al civico 16, un uomo con la barba e i ca-pelli grigi stava seduto a pochi metri dal vuoto, comodo e apparentemente senza paura, a fumare.

Quando il servizio del tg finì, stavo man-giando una cotoletta. Masticai l’ultimo boc-cone, guardai mio padre che con gli occhi bassi continuava a masticare. Mia madre s’e-ra alzata ed era rivolta ai fornelli, si-lenziosa.

«Chissà perché proprio lassù», dissi.«Sarà un pazzo», rispose mio padre senza

aggiungere altro, continuando a tenere lo sguardo verso il basso.

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l'altro mondolivio milanesio

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La guerra è finita da più di un mese: se

nessuno vorrà portarci a casa ci torneremo

da soli. Benedetto, Emanuele, David, Felix,

Gabriele e io abbandoneremo il campo di

smistamento, questa notte, e torneremo per

conto nostro. Benedetto, il più piccolo, ha

dodici anni; Gabriele, il più grande, ne ha

quasi diciotto.

Abbiamo raccolto qualche provvista. Abbiamo

aspettato il tramonto, acquattati lungo la

recinzione. Abbiamo fatto un buco e siamo

usciti nel bosco. Come previsto, nessuno ci

insegue. Ci sono problemi più grandi, a questo

mondo, che ritrovare sei bambini ebrei. Solo

dopo aver camminato tutta la notte, e parte

del mattino, ci siamo riposati. Ci guida

Emanuele. Ha quattordici anni ma ne dimostra

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più di venti. Siamo tutti come lui. Più

vecchi del necessario e senza più nessuno

al mondo.

In due giorni di cammino finiamo le provviste.

Siamo armati! Evitando i paesi e le strade

più frequentate ci siamo trovati a dormire

in un fienile deserto. Andando a farla, David

ha trovato un mucchio di cose abbandonate dai

soldati. Emanuele ha insistito per tenere le

armi: due fucili, una pistola, una baionetta,

una granata vuota, alcune munizioni. Le

abbiamo caricate su una carrozzina e nascoste

sotto coperte e stracci. Dormiamo ancora una

notte nel fienile, sembra un posto sicuro.

Stiamo morendo di fame. Abbiamo vissuto di

stenti, negli ultimi tre anni. Ogni giorno

il cibo sufficiente a non scomparire. Dopo

la liberazione hanno continuato a nutrirci

poco. Non siete più abituati, dicevano. Lo

stomaco si è fatto talmente minuto che non

ci sta niente. Nessuna riserva. E ora più

nessuna provvista. Restando lontano dai

paesi sarà molto difficile sopravvivere.

Felix propone di scendere in paese. Ne

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MODULAZIONIDI PRESENZAFRANCESCO FORMAGGI

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Scendendo le scale che danno sulla

strada, l’altra mattina, la signora

Antonia, mia padrona di casa nonché

dirimpettaia, ha messo un piede di

sguincio ed è capitombolata. Pare portasse

in mano una sporta piena di banane che

miracolosamente sarebbero andate a

finirle per cappello proteggendole la

testa come un casco, tant’è che sta

cominciando a diffondersi la voce nel

quartiere che se non fosse stato per le

banane la signora Antonia, dopo quel

volo, non si sarebbe più rialzata. Pare

sia rimasta spalmata a terra per più

di un’ora, gridava aiuto ma nessuno la

sentiva. Poi è arrivato il postino e

l’ambulanza e il vicinato e i parenti

e i curiosi. Mentre gli infermieri la

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caricavano sulla barella, più che per

il dolore pare si disperasse perché

la gonna si era sollevata e tutti le

avevano visto le mutande, e pare che

chiamasse il nome di un certo Gianni,

come ipnotizzata, e pare che il marito,

di nome Antonio, sia rimasto piuttosto

perplesso. Diagnosi: frattura della nona

vertebra lombare aggravata da osteoporosi

cronica in stadio avanzato. Non sono

ancora andato a trovarla ma qui intorno

si dice che debba restare in ospedale

per mesi, ingessata fino al mento, e

che le abbiano innestato una barra al

titanio nella schiena, per sorreggere

la colonna, e ho sentito qualcuno che

parlava di una gamba artificiale, qualcun

altro di uno sfregio sulla faccia che

l’avrebbe sfigurata, poi di un femore

che sarebbe esploso come una bottiglia

di vetro sbattuta a terra, e una chiosa,

anonima: «Le sta bene!».

Quello stesso pomeriggio il marito si

è presentato alla mia porta chiedendomi

se potevo occuparmi del gatto per qualche

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primo circolodidatticoletizia bognanni

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«Alle undici di solito mangia uno

yogurt», urlò Annalisa dal bagno.

«Lo so», rispose sua madre dal piano

di sotto. «Ce lo andiamo a mangiare

al parco, che ne dici bambolina?»,

chiese poi alla nipote, dandole un

pizzicotto sulla guancia.

«Non darle quello alla fragola,

quello è il mio», continuò Annalisa.

«Sei pronto?», chiese a Sandro, che

la osservava appoggiato allo stipite.

Gli lanciò un’occhiata veloce mentre

sceglieva il rossetto. «Ho cambiato

idea, togliti la cravatta. È troppo

formale, e poi ti fa sembrare un

mafioso». Sandro ubbidì. «Con questo

caldo, poi. Non è che la gonna è

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troppo corta? No dai, va bene. Mica

devo sembrare una testimone di Geova.

Mi metto le calze?»

«Con questo caldo?»

«Una signora elegante indossa

sempre le calze. Me le metto. Non

posso sembrare sciatta proprio oggi.

Ballerine o decolleté? Ballerine.

Madonna, guarda che capelli mi ha

fatto quel cretino, sembro mia madre.

È l’ultima volta che ci vado».

«Secondo me stai bene».

«Diosanto, sono troppo agitata. Tu

non sei agitato?»

«Un po’. Ma cerca di tranquillizzarti,

vedrai che andrà bene. Ti aspetto

giù».

«Arrivo fra cinque minuti». La

voce di Annalisa era accompagnata

dal ritmo del piede che batteva

frenetico, mentre scorreva con lo

sguardo le borse ordinatamente

sistemate sugli appositi scaffali