Silvio Saglio e le prime guide delle Grigne

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1 i quaderni di MOdiSCA 2 Silvio Saglio e le prime guide delle Grigne COMUNITA’ MONTANA LARIO ORIENTALE

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I quaderni di Modisca n.02b.L'attività editoriale di Silvio Saglio in riferimento alle guide alpinistiche delle Grigne e dell'arco alpino.

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i quaderni di MOdiSCA 2

Silvio Saglio e le prime guide delle Grigne

COMUNITA’ MONTANALARIO ORIENTALE

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46 Hanno partecipato alla realizzazione di questo numero:

S.E.L. Società Escursionisti LecchesiS.E.C. Società Escursionisti Civatesi

Fanno parte del gruppo di lavoro di MOdiSCA (Montagne di Scatti)

Cesare Perego (rapporti istituzionali e associazioni)Sabrina Bonaiti (acquisizione interviste, raccolta materiale documentario e fotografi co)Mirella Tenderini (raccolta materiale documentario e fotografi co)Greta Valnegri (coordinatrice del progetto)Alberto Benini (acquisizione interviste, raccolta materiale documentario e fotografi co)Alberto Berti (responsabile portale e protocolli biblioteca digitale)Carlo Caccia (acquisizione interviste, raccolta materiale documentario e fotografi co)Ferruccio Ferrario (acquisizione interviste, raccolta materiale documentario e fotografi co)Renato Frigerio (raccolta materiale documentario e fotografi co)Ruggero Meles (acquisizione interviste, raccolta materiale documentario e fotografi co)Giorgio Spreafi co (acquisizione pagine storiche giornale “La Provincia”, raccolta materiale documentario e fotografi co)Paolo Tentori (responsabile buone pratiche digitalizzazione, registro metadati e protocolli biblioteca digitale)

Copertina:La Grignetta e i Piani Resinelli negli anni ’30 La Grignetta e i Piani Resinelli negli anni ’30 (archivio Dario Cecchini)(archivio Dario Cecchini)

Retro di copertina:Il Fungo in Grignetta (foto Silvio Saglio)Parco Valentino (foto archivio S.E.L.)

Montagne di Scatti (MOdiSCA) è aperto alla collaborazione di associazioni, gruppi sportivi, privati che vogliano condividere il loro materiale documentario (foto, fi lmati, documenti, letteratura alpinistica) per la messa in rete secondo il diritto d’autore delle Creative Commons (http://www.creativecommons.it).Attualmente (aprile 2009) il patrimonio acquisito è di circa 10.000 foto, 30 fi lmati storici, 20.000 scansioni da riviste e libri storici, 20 interviste fi lmate a personaggi dell’alpinismo lombardo, basi di dati e 500 pagine di cronaca alpinistica.

Comunità Montana del Lario Orientalevia Pedro Vasena 4 - SALA AL BARRO DI GALBIATETel. 0341240724Mail: [email protected]://www.cmlarioorientale.it

Con il patrocinio di

COMUNITA’ MONTANALARIO ORIENTALE

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MOdiSCA... a che punto siamodi Cesare Perego(Presidente Comunità Montana del Lario Orientale)

In Grigna affrontai per la prima volta il problema del reportage fotografi co. Mi misi d’accordo con Carlo Mauri, uno dei migliori rocciatori lecchesi, io un “fotografo” che non sapeva nemmeno maneggiare la macchina fotografi ca. Non ricordo se con l’aiuto di Mauri riuscii a tirar fuori qualcosa per l’articolo che dovevo pubblicare non ricordo nemmeno dove. Comunque da allora la macchina fotografi ca ha sempre fatto parte della mia attrezzatura di montagna. Alla Grigna è dedicato il primo capitolo (non so se si può chiamarlo così) del mio libro: Montagne senza parole. Parecchie delle foto di alpinismo presentate in varie mostre (la presentazione della mostra di mie fotografi e tenuta alla Biblioteca Comunale di Milano venne scritta da Dino Buzzati) furono riprese sulle Grigne.

Emilio Frisia

Ogni lavoro in sinergia è una specie di “lancio della corda nella nebbia”. Si sa esattamente cosa si vuol fare e dove si vuole arrivare, poi il caso o le contingenze ci possono mettere lo zampino e allora le strade possono farsi più avventurose e anche più interessanti... E’ quello che sta succedendo in MOdiSCA. Siamo partiti con l’idea di raccogliere materiale documentario sulla montagna lecchese e un grande apporto lo stanno dando milanesi, bergamaschi e brianzoli. Montagna lecchese pensavamo signifi casse soprattutto alpinismo: è certamente così ma la partita giocata nel tempo dalle associazioni escursionistiche passa tranquillamente il secolo di vita e tocca il quotidiano di migliaia di persone. Gli studi geologici sulle nostre montagne fanno parte della nascita della geologia in Italia.

Le foto, le riviste, i documenti stanno lì a raccontare tante storie che sono spesso già ordinate nella mente degli autori, come se fossero bozze di libri o sceneggiature di fi lm che vanno solo interpretate. C’è quindi già materiale suffi ciente per potere curare gli

Lancio della corda in Grignetta(Archivio Emilio Frisia)

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Museo Naturalistico del Parco Valentino ai Piani Resinelli.

Che dire di piu? Un ringraziamento a tutti per le testimonianze, per i fi lm, le foto, i racconti, ma soprattutto per l’entusiasmo che ci conferma che questo lavoro resterà nella storia della gente lariana.

Questo quaderno ricordaVasco Cocchimedico, alpinista, presidente del Gruppo Ragni

aggiornamenti settimanali sul sito di MOdiSCA per anni...

Questo secondo quaderno vede la luce in coincidenza con la serata di ringraziamento per tutte le persone che hanno fatto la storia della montagna lecchese ed hanno voluto collaborare con noi fi no ad oggi e siamo nell’ordine delle decine e decine di alpinisti, fotografi , cineoperatori, storici, escursionisti, montanari.

Dedicarlo alla “storia delle storie” della Grigna è un modo di pagare, almeno in parte, un debito con la “casa comune degli alpinisti lombardi”, con lo sfondo della storia e collegandola alla fi gura di Silvio Saglio, le cui fotografi e sono custodite come una preziosa eredità nel

Le copertine della guida

S.U.C.A.I (1925)e della

“Saglio” (1937)

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RingraziamentiLa città di Lecco, incastrata fra lago e montagne, portava iscritto nel suo essere “in pendenza” il suo carattere. Da tempi immemorabili (la prima testimonianza si legge nel Giovio) la necessità di tagliare alberi e fi eno magro aveva spinto i suoi abitanti (specie quelli delle frazioni a ridosso del Resegone e del San Martino) a maturare la capacità di lavorare su ripidi pendii, formando così un’élite di cacciatori/contadini/agricoltori/boscaioli di pendenza: i rampacorni, che ha svolto una incisiva mediazione fra l’attività lavorativa e l’alpinismo.

In questo contesto si situa la testimonianza di Gastone Aldé, erede di una dinastia cresciuta sui ripidi pendii del Monte San Martino, che ha dato lezioni di montagna anche a Casimiro Ferrari, un alpinista a cui Gastone si è legato sulle montagne della Patagonia.

Fra i fondatori del gruppo Ragni ci sono Giulio Bartesaghi, Franco “Piccolo” Spreafi co, Emilio “Topo” Ratti e subito dietro di loro, in ordine sparso Luciano “Cianin” Riva, Giuseppe “Pepetto” Spreafi co, Pierdavide “Cito” Pennati, Giovanni “Stizza” Carcianiga, Gianfranco Anghileri, Silvio Fezzi, che ne fu il primo presidente, seguito nel 1952 da Vasco Cocchi . Operativamente ai margini del gruppo, ma ben presente nei momenti topici, Sergio “Lada” Ghiraldini.Altri rincalzi sono nel 1953 Renzo Battiston e Battista Corti. Li seguono, l’anno dopo, Claudio Corti e Romano Perego, tutti alpinisti di grande caratura e di notorietà molto inferiore ai loro meriti. Ma le montagne, per fortuna, non sono solo di chi le vede da vicino. Anzi, viste da lontano, sembrano incantare ancora di più.

Gli alpinisti brianzoli, milanesi o bergamaschi raccontano di essere stati quasi rapiti da questa visione che poi li costringerà per tutta la vita a salire là dove lo sguardo era già arrivato. Abbiamo scelto di cominciare ad intervistarne alcuni, scelti per primi, a rappresentare i loro territori.

Immaginiamo di essere in cima alla Grigna o al Resegone e di lasciar correre lo sguardo verso la pianura. Ecco là in fondo c’è Monza; come non pensare ai “Pell e Oss”? Dalle loro fi la sono usciti alpinisti come Walter Bonatti, un mito per generazioni di scalatori che ha accettato di raccontarci la storia dei suoi inizi sulle pareti. Josve Aiazzi ci ha invece parlato di Andrea Oggioni, suo compagno in mille avventure. La storica cordata Vasco Taldo - Nando Nusdeo si è ricomposta per accompagnarci nella storia del gruppo e delle loro grandi scalate, mentre Florio Casati, tra i fondatori del gruppo monzese, ci ha descritto le prime uscite sul treno delle 5.20 da Milano.

E sul treno delle testimonianze sono saliti altri alpinisti: a Milano Luciano Tenderini, a Merate Tino Albani. A Calolziocorte si sono poi aggiunti i “bergamaschi” Andrea Cattaneo, caprinese e direttore per molti anni della scuola “Leone Pelliccioli “di Bergamo e Mario Burini di Vercurago “il re della Spedone”, parete meglio conosciuta con l’eloquente nome di “Fracia”. Da Giussano, fi nalmente, una donna: Teresina Airoldi, che può vantare, tra le tante salite, la prima ripetizione della via del Fratello al Badile, e che si è illuminata ricordando la sua seconda salita, ormai più che sessantenne, alla via di Riccardo Cassin sulla Nord-est del Badile.

Abbiamo cominciato da loro e dagli archivi fotografi ci di Mario “Boga” Dell’Oro, Ercole “Ruchin” Esposito e di Rocco Spini, alpinisti dell’epoca classica. Moltissimi avrebbero diritto di affi ancarli: ci perdoneranno, ma da qualche parte abbiamo dovuto cominciare. Speriamo di arrivare a tutti.

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Prove tecniche di guida: sulla “Rivista Mensile” del C.A.I.di Carlo Caccia

Anno 1905: sulla “Rivista Mensile” del CAI, in rapida successione, appaiono due ampie monografi e – I Torrioni Magnaghi di Angelo Rossini e La Cresta Segantini di Eugenio Moraschini – che di fatto inaugurano la pubblicistica legata all’arrampicata nelle Grigne. Entrambi gli articoli, il secondo dei quali occupa ben diciotto pagine, toccano pressoché tutti gli aspetti riguardanti i loro soggetti e hanno verosimilmente rappresentato, trentadue anni prima della pubblicazione della guida di Silvio Saglio (che al momento opportuno non li dimenticò), dei preziosi vademecum per coloro che intendevano affrontare quelle rocce. Il lettore e lo studioso moderni, in quegli scritti, possono invece scoprire aspetti trascurati della storia del gruppo calcareo lecchese e poi cogliere, al di

là dello stile datato dei due autori (che non compromette la godibilità dei testi), alcuni elementi ancora assai attuali.Di particolare interesse, in entrambi i contributi, le informazioni toponomastiche. Angelo Rossini ci informa infatti che fu Giulio Clerici, il 12 marzo 1900, a proporre all’assemblea del CAI di Milano «di battezzare col nome del povero Magnaghi (Carlo Magnaghi, nato nel 1851, presidente della sezione meneghina del sodalizio alpinistico nazionale dal 1884 al 1887, scomparso il 12 febbraio 1900, ndr) quel nudo contrafforte roccioso» e precisa che «i presenti accolsero con gran plauso l’idea». A proposito della Cresta Segantini, invece, nello scritto di Eugenio Moraschini possiamo leggere che «fu nel 1899 [...] che il geniale e valoroso alpinista Giulio Clerici, rompendone l’assoluta castità», pensò di “imporre” alla cresta «il nome di Giovanni Segantini» (il famoso pittore, nato nel 1858 e scomparso proprio nel 1899). Tanto i Torrioni Magnaghi quanto la Cresta Segantini devono quindi i loro nomi alla prematura dipartita di due illustri personaggi e, soprattutto, alla premura del Clerici.Attenzione, però: al momento dei “battesimi” sia i torrioni sia la cresta erano ancora inviolati e, nel caso dei primi, il Rossini ci fa sapere che «dubitavasi [...] che si riuscisse a domare la rupe e che si potesse quindi dare al voto dell’assemblea completo esaudimento». Al CAI di Milano, tuttavia, «v’erano amici affezionatissimi del Magnaghi, ai quali era sacro quel voto solenne, e fra quegli amici era Giacomo Casati». Scattò così una «nobile gara di investigazioni e di ardimenti» la cui fase iniziale, di studio, ebbe «il solo risultato [...] di persuadere gli assalitori che la fortezza fosse assolutamente inespugnabile dal versante del Canalone Porta».

LA CONQUISTA DEI MAGNAGHI E IL CELEBRE “TRAVERSINO”L’attacco decisivo scattò il 15 aprile 1900, domenica di Pasqua. Giacomo Casati, Emilio Buzzi e Giovanni Ghinzoni, seguiti da Anacleto

Immagine a tutta pagina

tratta dalla “Rivista Mensile”

del 1905 e raffi gurante il versante più

domestico dei Torrioni

Magnaghi, sul quale vennero

tracciate le prime vie di ascensione

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Mariani e Luigi Colombo, raggiunsero il versante orientale dei Torrioni e lì si divisero: «La prima comitiva attaccò direttamente le balze ripidissime della parete orientale; la seconda, con un largo giro, si portò più in alto, verso un canale a settentrione». Così, dopo circa un’ora, la prima cordata si ritrovò in vetta al Torrione Meridionale mentre la seconda raggiunse la sommità di quello Centrale. «Credevano allora gli alpinisti – continua Rossini – di potersi riunire per inneggiare insieme alla doppia vittoria, ma un abisso spalancato ai loro piedi li doveva fermare. La cima della rupe [...] era in realtà divisa da un profondo intaglio in due punte distinte». Così Casati non si sentì soddisfatto: «Egli avrebbe dovuto superare anche il breve tratto di cresta interposto fra le due punte e raggiungere da quella parte la punta più elevata».L’anno seguente, dopo aver osservato la «voragine fra i due Torrioni», Casati si lancia nella «temuta traversata». Con Giuseppe Gugelloni, Alessandro Bossi e Angelo Rossini (l’autore dell’articolo), soci del CAI, e inoltre con Giuseppe Brambilla e G.B. Robbiati, iscritti alla SEM, il nostro protagonista scende «a due terzi dell’intaglio» e, «dopo un rapido esame dell’abisso, audacemente spicca un salto, si aggrappa alla parete opposta, fa un passo, poi un altro in salita, si ferma un istante e prende a strisciare di traverso». Gli sguardi dei compagni sono fi ssi su di lui, «quasi a contare le contrazioni dei suoi muscoli», fi nché con un sospiro di sollievo «Casati [...] accelera le mosse e raggiunge la meta. Egli ha vinto, completamente vinto» e il celebre “traversino” dei Magnaghi, destinato a diventare lo spauracchio di generazioni di rocciatori, è realtà. Lo stesso Rossini, in una riga e mezza da incorniciare, defi nisce quel tratto «assolutamente da sconsigliare a chiunque non voglia mettere inutilmente a repentaglio la propria vita».

L’EPOPEA DELLA CRESTA SEGANTINIIl 13 giugno 1901, poche settimane dopo la traversata dal Torrione Magnaghi Meridionale al Torrione Magnaghi Centrale, Giacomo Casati – che era nato nel 1875 e sarebbe scomparso nel 1903 sul Monte Rosa – effettuò il primo percorso in discesa della Cresta Segantini (che non era ancora stata salita). Da solo, con ottanta metri di corda, Casati lasciò la vetta attorno alle 10 del mattino e, come scrive Eugenio Moraschini, «il suo ritorno fu notato avanti sera alla Capanna Escursionisti [...]. Di questo primo percorso il dott. Casati parlò agli amici rivelandosene entusiasta e dichiarando inoltre di avervi usato, come mai fi no allora, dei più svariati ed ingegnosi maneggi di corda».L’11 luglio dello stesso anno, dopo la salita ad un pinnacolo della cresta da parte di Cesare Bartesaghi (dalla Val Scarettone, 30 giugno 1901), fu Giuseppe Dorn a seguire le tracce di Casati. Lasciata la cima alle 9.30, con ben cento metri di corda, lungo la discesa Dorn fu colto da un violento temporale ed era ormai mezzanotte quando, a Mandello, concluse la sua epica avventura. Entrò poi in scena Hans Ellensohn che dalla Val Scarettone, con Angelo Perotti, percorse in salita il tratto superiore della cresta e poi, con Theodor Dietz, tra il 1° e il 2 novembre 1902, ne tentò la terza discesa. I due compagni, tuttavia, furono ingannati dalla nebbia e passarono due diffi cili

notti sulla montagna, «non senza aver visto il loro unico sacco precipitare giù da una balza». La dettagliata ricostruzione di Moraschini continua raccontando che «verso la metà del mese di ottobre 1903 i soci (del Cai, ndr) dott. Emilio Buzzi e Carlo Porta vinsero la vetta che chiamarono Piramide Casati» dove, un mese dopo, «elevano con grandi stenti» un caratteristico monumento in onore dell’amico da poco scomparso. Toccò poi ai fratelli Palma e Tremolada di Monza ai quali, dopo un tentativo, riuscì la

La prima pagina della monografi a di Angelo Rossini dedicata ai Magnaghi

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Cartolina raffi gurante la Cresta Segantini tratta da un negativo di Moraschini e inviata dallo stesso a Lorenzo Bozano, presidente del C.A.I. di Genova (Archivio Famiglia Fasana)

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terza discesa della cresta (15 agosto 1904).A questo punto, con queste parole: «L’idea di una visita alla Cresta Segantini sorse in me ai primi di giugno di quest’anno (1905, ndr)», la narrazione di Moraschini entra nel vivo e dopo una pagina in cui il nostro riferisce del suo tentativo in discesa dell’11 giugno 1905 (compiuto con Giuseppe Clerici e Angelo Rossini) e poi del successo, sempre in discesa, del 29 giugno successivo (Moraschini, Rossini e Aldo Casiraghi), il corsivo «8 e 9 ottobre 1905» annuncia l’inizio del racconto della prima salita (fi nalmente!) della celebre cresta. L’avventura – con Moraschini, questa volta, c’è di nuovo Giuseppe Clerici – comincia all’una di notte da Mandello e alle 7.30, dopo aver raggiunto il Colle del Pertusio (dove oggi sorge il rifugio Rosalba), i due pionieri arrivano alla «sella erbosa posta ad oriente della Piramide Casati»: il Colle Valsecchi. Da lì, al posto di dirigersi subito verso la vetta della Grignetta, Moraschini e Clerici salgono alcune guglie nelle vicinanze (le attuali Torri Moraschini e il Torrione Palma) e soltanto il giorno successivo partono per la meta fi nale, dove arrivano senza alcun intoppo alle 11.30. Così, dopo aver affermato che «la salita della Cresta Segantini [...] a parere del collega Giuseppe Clerici e mio, può equivalere in diffi coltà alla

discesa», Moraschini aggiunge che «essa discesa ci sembra più interessante, mentre la via di salita riesce più diffi cile ad essere rinvenuta da chi non l’abbia mai percorsa». Seguono una dettagliata descrizione dell’itinerario (naturalmente nel senso della discesa, vista la premessa) e alcune, ancora attualissime, considerazioni conclusive. Moraschini, ad esempio, prima afferma che «la Cresta Segantini potrà [...] diventare una vera e grande palestra alpinistica, oltre che un superbo campo di allenamento per più alte imprese» e poi dichiara che «non sarà mai suffi cientemente biasimata l’iniziativa di chi, allo scopo di cooperare alla facilitazione delle vie belle ma alquanto astruse della Segantini, credesse opportuno di farvi segnalazioni o agevolazioni con messa di corde nei punti più diffi cili, o con posa di scale o pioli in altri punti che ora si devono girare per la loro inaccessibilità». Neppure due anni dopo aver scritto queste parole, nel luglio 1907, il ventisettenne Eugenio Moraschini trovò la propria fi ne sulla Meije, nel Delfi nato: anche a lui, come al suo predecessore Giacomo Casati, fu fatale il candido richiamo delle splendide Alpi Occidentali.

L’immagine di apertura dell’articolo di Eugenio Moraschini offre una visione di insieme della cresta, da un “negativo di O. Silvestri - Milano”

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Fra le illustrazioni della monografi a dedicata nel 1905 alla Cresta Segantini, si trova la riproduzione di questo schizzo topografi co della Grigna Meridionale, opera di Giuseppe Clerici, uno dei più profondi conoscitori della Grigna

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Dalla guida del S.U.C.A.I. a quella di Silvio Saglio di Alberto Benini

Solo recentemente e per merito dell’assiduo studio di Lorenzo Revojera, le vicende del S.U.C.A.I., la Sezione Universitaria del Club Alpino viene a (ri)prendere nella storia alpinistica italiana il suo ruolo, soprattutto grazie al volume Studenti in cordata, pubblicato nel 2008 da Vivalda.È proprio a questa istituzione che si deve, nel 1925, la realizzazione della prima monografi a uscita autonomamente sulla Grigna Meridionale, curiosamente “appaltata” nella realizzazione al Gruppo Amatori delle Alpi, una delle molte minuscole stelle che compongono, fi no all’affermazione del Fascismo la nebulosa dell’associazionismo escursionistico-alpinistico milanese che stampava un proprio giornale dal signifi cativo titolo “La rupe”.La piccola (11,5 x 18 centimetri) e agile guida (56 pagine in tutto, cucite e racchiuse in una copertina di cartoncino leggero) appare per molti versi davvero moderna e fotografa, nelle parole di Gianni Barberi e negli schizzi di Angelo Calegari, una Grignetta appannaggio esclusivo dei milanesi, dove ogni guglia (con l’eccezione della Punta Giulia) è stata raggiunta per la via normale. La descrizione dei sentieri, che viene rimandata ad un secondo volume che non vedrà mai la luce, è sostituita da uno schizzo schematico a doppia pagina che segue la descrizione della via di salita alla Torre Dito (oggi Dito Dones), unica guglia presa in esame non appartenete alla Grignetta vera e propria.Si tratta di una rassegna pressoché completa delle vie tracciate fi no ad allora, con l’eccezione di alcune salite dovute ad arrampicatori (sempre milanesi) molto brillanti come Gaetano e Antonio Polvara, Eugenio Fasana,Vitale Bramani, il quasi sconosciuto (e dimenticato) Lucio Lucini, Arturo Andreoletti, Erminio Dones, Angelo Vassalli e Carlo Prochownick che hanno già intrapreso salite con un atteggiamento sportivo che va oltre la mera conquista della singola torre, ma mira a percorsi che ne valorizzino particolari strutture morfologiche. Stupisce la sistematica omissione dei nomi dei vincitori dei singoli torrioni, nemmeno raccolti in un elenco o citati in alcun modo con le eccezioni di Dones, Vassalli (che era perito nel

1917 sui uno dei contrafforti del Monte Grappa), Fasana e Gnesin.Alcune fra le 24 vie menzionate sono le vere e proprie vie normali, già all’epoca prive di qualsiasi valore alpinistico (Casati, Palma). Per le altre ci muoviamo invece su diffi coltà mediamente di 3° grado (Campaniletto, Angelina, Magnaghi) che raggiungono, in qualche caso, anche il 4° grado/4° grado superiore (Sigaro, Fungo, Costanza). Risulta del tutto episodico l’uso di chiodi di progressione (come nel caso del Sigaro) mentre due itinerari, la normale alla Mongolfi era e lo spigolo S dell’Ago Teresita, richiedono macchinosi artifi ci oggi dimenticati, come si vede dalla nota tecnica di quest’ultima salita che si riporta per il suo valore storico e la sua curiosità:Dalla Direttissima per il Canalone di Val Tesa continuare dopo l’attacco della Guglia Angelina, per una decina di minuti, così

costeggiando l’intera parete E della medesima, si giunge all’intaglio tra l’Ago e la Guglia precisamente ai piedi dello spigolo N di quest’ultima. Da questo punto la parete del Teresita si presenta assolutamente verticale, qua e là leggermente strapiombante, tanto che, per parecchi anni non si poté altro che superarla con mezzi artifi ciali. Credo opportuno descrivere qui il metodo comunemente usato e che è lo stesso seguito dai primi salitori. Si risale il percorso in discesa della Guglia Angelina sino a portarsi in quella nicchia dove si trova ben fi ssato il chiodo

Lo schizzo schematico che riassume la parte escursionistica della guida S.U.C.A.I del 1925. Le due sigle Rg e RC dovrebbero indicare rispettivamente i rifugi Grigna e Coera

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che serve per l’ultima discesa. Si attraversa diagonalmente portandosi ad un pianerottolino che cade a piombo sul punto in cui trovasi la croce in memoria del compianto Pettinella e a circa due o tre metri più sotto la spalla dello Spigolo N dell’ Angelina. Da questo punto, guardando il Teresita, si osserva, a pari altezza, un gradino formato da una sospensione della verticalità dello spigolo S-O. Questo gradino, che è la chiave dell’ascensione, è abbastanza ampio (vi è posto per tre persone) ed è disposto in modo che su di esso la corda ha buon giuoco. Si lega il capo di una cordicella ad un dischetto di piombo e poi facendo bene attenzione che di questa ne siano sfi lati almeno una trentina di metri, si lancia vigorosamente il dischetto in modo che esso cada sull’altro versante poggiando la cordicella sul gradino. Il peso del dischetto servirà poi a far ben scorrere la cordicella in modo che in pochi minuti, salvo incidenti, viene stabilita la comunicazione fra il pianerottolino dell’ Angelina e il versante O dell’ Ago Teresita. Da questo si tirerà a sé una corda da 50 metri e due da 25 ben congiunte, legando un capo della corda ad un capo della cordicella; dal pianerottolino

dell’Angelina si lascerà scorrere la corda facendo attenzione che essa fi li bene senza eccessive scosse. Dal versante O del Teresita si provvederà a ben fi ssare, mediante un solido chiodo, il capo della corda. Così, rapidamente, sarà fi ssata la corda necessaria per superare la ventina di metri che formano, diciamo così, l’attacco del Teresita. Sollevandosi in parte a forza di braccia ed in parte aiutandosi con qualche buon appiglio, o , meglio aiutandosi con qualche altro mezzo artifi ciale, si giunge al gradino dello spigolo del Teresita.

Da questo punto la salita continua tenendo sullo spigolo S-O, salvo qualche variante di pochi metri, si giunge in tal modo, sempre seguendo i chiodi abbondantemente seminati, in circa 45 minuti sull’aerea vetta.

Discesa per la medesima via a rapide corde doppie. Ritornati al gradino, l’ultimo di cordata avrà la precauzione di lanciare fuori la corda occorsa nella salita; un chiodo saldamente infi sso servirà per l’ultima discesa.

Sarà questa la pubblicazione che aprirà la strada della grande frequentazione della “casa comune degli alpinisti lombardi” e suggerirà implicitamente quel fi orire di nuovi percorsi che, nella dozzina d’anni che separa il suo apparire da quello della guida di Silvio Saglio, faranno della Grignetta la più frequentata meta delle montagne italiane. Inutile qui ripercorrere per filo e per segno qui la sua storia alpinistica che viene qui di seguito sunteggiata nelle parole di Silvio Saglio, e per la quale si può oggi rinviare all’approfondita trattazione che Giancarlo Mauri le sta dedicando, puntata dopo puntata su “Vertice”, l’annuario della sezione del C.A.I. di Valmadrera.

UNA VERA E PROPRIA “ENCICLOPEDIA” DELLE GRIGNEA partire dal 1934 il Club Alpino in collaborazione con il Touring Club aveva messo mano a una collana la “Guida dei Monti d’Italia” che raccoglieva l’eredità di altre più o meno episodiche pubblicazioni volte ad illustrare le Alpi agli adepti di uno sport ormai passato dallo stato di divertimento di élite a quello di sport di massa, almeno per quello che riguarda il suo aspetto tecnicamente meno impegnativo, l’escursionismo. Si trattava di una collana, che, pure con alterne fortune, sarebbe stata destinata a durare arrivando a coprire quasi tutte le aree montuose della penisola. Seppure con qualche variazione l’impianto dei volumi (che vedremo in dettaglio per quello dedicato alla Grigna) è costante e, anche se con alcune difformità di applicazione, viene introdotto l’uso della “scala di Monaco” per la valutazione delle diffi coltà.I primi volumi di questa serie, convenzionalmente nota come “seconda serie” sono Alpi Marittime, di Attilio Sabbadini (1934), Pale di San Martino di Castiglioni (1935), Odle, Sella, Marmolada di Castiglioni (1937) Masino, Bregaglia, Disgrazia di Bonacossa (1936). Il disegno appare evidente, e lo conferma l’uscita nel 1942 di Sassolungo, Catinaccio, Latemar di Tanesini: si tratta di mettere in giusta rilevanza i maggiori gruppi montuosi italiani. Non stupisce quindi di trovare proprio all’inizio della “Prefazione” alla guida dedicata alle Grigne e uscita nell’aprile del 1937 delle parole che

Il tracciato di ascensione

dello spigolo S dell’Ago Teresita,

oggi via A.P.E.

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suonano come una giustifi cazione anche della mole dell’opera: “Un volume di 492 pagine per un ristretto gruppo prealpino di soli 160 chilometri quadrati di superfi cie, parrà forse eccessivo a chi non conosce il Gruppo delle Grigne, ma se si pensa che un torrione di poche decine di metri (e nelle Grigne ve ne sono parecchi) ha più itinerari ed è più frequentato di molte celebri vette di 4000 metri, si è costretti a riconoscere l’utilità di una trattazione diffusa e completa [...]”.A ulteriore giustifi cazione, poche righe oltre, si afferma che le “Grigne indubbiamente sono le più frequentate montagne della catena alpina”, inoltre viene posto l’accento sul valore di preparazione ai “più ardui cimenti delle Alpi” attribuito alla montagna lombarda. L’estensore di queste righe non stava certo formulando una profezia: aveva sotto gli occhi la storia alpinistica delle Alpi e a un rapido riscontro risultava come tutti i grandi alpinisti lombardi fossero transitati dalle rocce della Grigna.

L’opera, entrando nel dettaglio, ambisce ad essere, e di fatto diventa, una vera e propria enciclopedia dell’area presa in esame che deve molto della sua struttura alle guide turistiche che parallelamente si andavano diffondendo, non a caso sotto l’egida del Touring Club.Non stupisce in questa logica l’ampiezza del “Cenno generale” (28 fi tte pagine corredate da schizzi) in cui vengono dettagliatamente descritti gli aspetti fi sici (orografi a, idrografi a, geologia, paleontologia, mineralogia, fl ora, fauna, clima) e di geografi a umana (economia, storia). Gli tiene dietro la descrizione delle vie d’accesso e la completa elencazione dei rifugi e dei relativi sentieri che li raggiungono che occupa 85 pagine.La parte alpinistica vera e propria (nella quale si trovano descritte anche le escursioni che non hanno come meta un rifugio) è evidentemente il pezzo forte della guida e va da pagina 145 fi no a pagina 472. Le tengono dietro due modeste

appendici dedicate allo scialpinismo e alla speleologia.Di grande rilevanza, per l’aspetto alpinistico, le righe dedicate alla valutazione delle diffi coltà che meritano un’attenta lettura per la loro grande modernità: “Per ogni salita si è indicata la diffi coltà incontrata, e non il “valore d’impresa”. Per questa classifi ca, quanto mai soggettiva, delicata, e fonte di continue polemiche, l’autore ha compiuto una accurata inchiesta tra i frequentatori del gruppo, e in modo particolare si è valso delle indicazioni degli esponenti del Manipolo Rocciatori di Lecco che, alla perfettissima conoscenza delle rocce grignensi, accoppiano una grande pratica di arrampicate dolomitiche , in modo che il confronto di quelle con queste può considerarsi, astrazione fatta della lunghezza dell’arrampicata, il più vicino possibile al vero”. Insomma a tutti gli effetti un’opera d’avanguardia per il quale il Saglio, che in sé non era che arrampicatore modesto, s’era potuto giovare di collaborazioni di primissimo piano e di differente formazione alpinistica.La cura del volume è mostrata anche dalla presenza di indici molto dettagliati, schizzi e fotografi e, mentre la robusta legatura e la stoffa della copertina ne garantiscono la durata nel tempo, affermandone nel contempo la destinazione all’uso sul campo. E la guida che era stata pensata per durare nell’aspetto fi sico, durò anche nella sostanza, se si dovette attendere il 1971 per una nuova monografi a dedicata alle Grigne e addirittura la fi ne del XX secolo per una nuova edizione aggiornata, apparsa nella stessa collana.

SILVIO SAGLIO E MARIO DELL’OROFra gli archivi di alpinisti della prima generazione, recuperati nell’ambito del progetto MOdiSCA si trova quello di Mario Dell’Oro, detto “Boga”, di cui

La lettera di Silvio Saglio a Mario Dell’Oro (il seguito a pag. 14)

(Archivio Dell’Oro)

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ci eravamo già occupati nel 2001 su “Archivi di Lecco”. Un archivio di grande importanza, pur nella scarsità delle dimensioni, perché vi si trovano importanti testimonianze relative all’attività di uno dei maggiori alpinisti lecchesi (e italiani) di quella generazione. Fra questi documenti spiccano per singolarità alcune fotografi e e una lettera di Silvio Saglio, che permette di aggiungere un piccolo, ma signifi cativo tassello alla storia dei rapporti che intercorrevano fra gli alpinisti più informati o con maggiori possibilità economiche e i giovani lecchesi ormai arrampicatori affermati, ma col grande problema di scovare posti nuovi e con limiti economici e di tempo assai rilevanti.Si tratta forse del più singolare documento scritto di tale attività di promozione che sia giunto fi no a noi, corredato da cinque fotografi e di grande formato della Presolana, ricoperte di carta velina su cui lo stesso Saglio aveva schizzato i percorsi delle vie fi no ad allora tracciati sulla montagna bergamascaPerché la generosa idea del Saglio non abbia avuto modo di

concretizzarsi non è dato sapere: Ma si tratta di un’iniziativa analoga a quella che vide protagonista l’alpinista comasco Binaghi che condusse nel 1938 un gruppo di lecchesi ad aprire una serie di vie nella zona del lago Darengo. Si tratta, in forme diverse, di vere e proprie campagne alpinistiche, sovente descritte anche nelle pagine dei libri di Riccardo Cassin. Ma in questo caso la presenza contemporanea del documento scritto e delle immagini consente una visione particolare. Vale la pena di rileggere le righe di Saglio, tenendo contemporaneamente sott’occhio le fotografi e.

Milano il 24 giugno 1935 XIII*Egr. Sig. Mario Dell’OroLecco

Caro BogaDi nuovo complimenti per la bella scalata di domenica scorsa. Sciogliendo la promessa Le mando una serie di fotografi e mie della Presolana, con i tracciati dei principali itinerari e quelli ancora da effettuarsi. I tracciati sono stati fatti in fretta e sono quindi approssimativi.Un programma per raccogliere buoni allori con il miglior impiego di tempo, potrebbe essere il seguente: Venerdì Andare a pernottare al Passo della Presolana (in baita o all’Albergo Grotta).SabatoPartenza ore 4/5, e per il sentiero della Porta (segnavie scarsi) scavalcare il Visolo, e per la Bocchetta tra il Visolo e la Presolana Orientale, scendere nella conca detritica di fronte alle Quattro Matte. Attaccare la parete S della Corna delle Quattro Matte (via nuova) e scendere per la cresta O (via nuova).Io credo che prima di mezzogiorno le due salite possono essere compiute. Quindi continuare per il Sentiero del Passo della Porta verso Colere, fi n ad aver contornato la grande parete NE della Presolana Orientale, (via Longo). Da questa conca, credo per una cengia ci si può portare alla base dello Spigolo N della Presolana Orientale (via nuova), cercando di non spostarsi a destra verso il Lago di Polzone per non incappare nella Via Giannantoni che sale per la parte N. Potete così raggiungere la vetta della Presolana Orientale, dalla quale si discende per cresta e per facili pendii di roccia ed erba a quella selletta con il Visolo, già scavalcata al mattino. Discesa a pernottare alla Baita Cassinelli.DomenicaPartenza alle ore 5 e portarsi sotto gli speroni della Presolana Centrale. Qui vi sono ancora due problemi. Il primo consiste nel rettifi care la via Bramani (spigolo a sinistra della via Longo), continuando ad arrampicarsi per lo spigolo, invece di tagliare subito a destra [recto] nel canale (itin. sballato e molto diffi cile). Con un poco di chiodi credo si possa continuare direttamente. Oppure si può attaccare lo spigolo a sinistra del canalone Salvadori, che si alza con grossi gendarmi. Raggiunta la cresta terminale, piegando verso destra si raggiunge la vetta della

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Presolana Centrale, dalla quale si può scendere per la via comune nuovamente alla Casera Cassinelli.Sono 5 vie nuove alpinisticamente interessanti.Unisco altre fotografi e del versante N della Presolana Centrale e Occidentale. Problemi di interesse alpinistico non ve ne sono più. Le canne d’organo fra la via Caccia e lo Spigolo Gilberti-Castiglioni portano sulla cengia Bendotti (itinerario dei primi salitori), sono di diffi cile avvicinamento ed esclusivamente di interesse sportivo.Allegato troverà pure una serie di articoli sulla Presolana da me pubblicati in diverse puntate sullo “Scarpone”. Vi potranno servire per l’orientamento e per le vie di discesa.Sulla carta ho segnato l’itin. rosso primo giorno; verde secondo giorno.Tanti auguri di successo, e in attesa di buone notizie, cordialissimi saluti.Silvio Saglio

P.S. Le fotografi e mi abbisognerebbero di ritorno. [verso]

La data della lettera consente facilmente di identifi care la via tracciata dal Boga il giorno precedente: si tratta dell’ascensione alla parete ovest del Torrione Fiorelli condotta in compagnia di Ginetto Esposito, alla quale certamente Saglio poteva aver assistito dai prati della cresta Sinigaglia.Va poi notato come il futuro estensore della guida metta insieme per il Boga un programma estremamente ambizioso, che anche con il maggior ottimismo risulta diffi cilmente realizzabile. Segno comunque questo, di stima nei confronti dell’alpinista lecchese. Inoltre va notato che il Saglio non chiede nulla per sé e che, per una fortunata circostanza, le fotografi e non fecero ritorno al legittimo proprietario, cosicché oggi questa piccola, ma signifi cativa vicenda ci risulta completa di tutti i suoi documenti, fatta eccezione per la cartina menzionata alla fi ne della lettera.I rapporti fra i due dovettero continuare se il Boga pubblicherà sulla “Rivista mensile” del 1937 (lo riproduciamo nelle pagine seguenti) un articolo che doveva servire da lancio alla guida del Saglio dedicata alle Grigne, nella cui prefazione si parla del Dell’Oro come di una delle maggiori fonti di informazione per il suo lavoro.Per completezza notiamo che le vie proposte da Saglio a Dell’Oro verranno realizzate nel periodo che va dal 1937 al 1950 da alpinisti bergamaschi e milanesi, mentre la rettifi ca della Via Bramani verrà portata a termine da un allievo del “Boga”: Vittorio Ratti.

Due delle immagini inviate da Saglio a Dell’Oro per famigliarizzarlo con la Presolana

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Un’altra delle immagini di

Saglio, inviate al Boga. L’edifi cio a

sinistra è il Rifugio Albani

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La storia alpinistica della Grigna di Silvio Saglio

Il paragrafo che Saglio dedica alla storia dell’alpinismo, resterà per molti anni (pur nella sua laconicità) l’unico bilancio insieme complessivo e dettagliato di quanto svoltosi sulle rocce della Grigna. Lo riproduciamo proprio per questo suo valore documentario.

La cronaca alpinistica pur essendo limitata in relazione all’estensione del gruppo, ha avuto gli stessi aspetti di quella di altri più importanti settori della catena alpina, e sotto un certo punto di vista ha presentato caratteri ancora più marcati e più defi niti. Vi si possono infatti distinguere i tre periodi che rispecchiano il reale sviluppo all’alpinismo italiano. Il primo, quello dei pionieri, va dal 1874 al 1900 con la salita dei Torrioni Magnaghi; il secondo, degli alpinisti, arriva alla Grande Guerra, e l’ultimo quello del rocciatori si è andato sviluppando in questi ultimi anni con una fase più intensa nel 1933-1934, nella quale furono

compiute le più importanti arrampicate con l’impiego della raffi nata e sviluppata nuova tecnica di arrampicamento. A un decennio di distanza dal rito augurale della fondazione del Club Alpino Italiano si ebbe nel 1873 la creazione della Sezione di Milano con primo presidente l’abate Antonio Stoppani, nato a Lecco, il quale, ardimentoso scalatore di vette e, valentissimo perlustratore, giovò moltissimo con la potenza persuasiva del suo stile, a promuovere il ferace connubio dell’alpinismo con la scienza. Un anno dopo, il 17 ottobre 1874, si ebbero le prime esplorazioni di carattere alpinistico con la salita per la via dei Chignoli e la discesa per il Canalone della Grigna Settentrionale, compiute dal Gavazzi che si fece accompagnare per l’occasione da una guida di Courmayeur e da un portatore locale. Dovevano passare vent’anni da quella data prima che si effettuassero altre salite di una certa importanza, quale la Traversata alta delle Grigne del Ganazzoli e la conquista della Grignetta dalla Val Scarettone, compiuta dalla guida Locatelli, da Banda e da Prina. Negli anni successivi (1895 e 1896) si riscontra il fatto curioso che i nuovi tracciati prendono tutti il nome dei loro primi salitori: così il Canalone Caimi salito da Paolo Caimi, la Cresta

Lo schizzo a pagina 144 della guida del Saglio. Analoghi schizzi sono dedicati alla costiera del San Martino, alla Gri-gna Settentrio-nale, al Nodo del Monte Pilastro, alla Costiera del Monte Palagia e da ultima alla Catena dei Pizzi di Parlasco

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Sinigaglia percorsa da Giorgio Sinigaglia con la guida Locatelli, e il Canalone Porta rimontato da Carlo Porta con la stessa guida. Dopo la stasi provocata dalle condizioni generali demoralizzanti di quell’oscuro e triste periodo italico, si ebbe un forte risveglio col principio del nuovo secolo (1900), in cui l’alpinismo lombardo per la prima volta venne a contatto con la roccia, e vinse il Torrione Magnaghi Meridionale (Casati - Buzzi - Ghinzoni) e il Torrione Magnaghi Centrale (Colombo - Mariani).Questo potente risveglio determinò un nuovo periodo, quello alpinistico, che si inizia nel 1901 con la traversata dei Torrioni Magnaghi (Casati - Gugelloni - Bossi - Rossini - Brambilla - Robbati), la salita al Torrione Clerici (Dorn) e la leggendaria discesa della Cresta Segantini (Casati). Nel 1903 Porta e Buzzi compiono la scalata della Piramide Casati, formante allora uno dei primi Torrioni della Cresta Segantini, la quale veniva percorsa in salita due anni dopo, nel 1905, da Moraschini e Clerici.Limitata fu l’attività del 1906 e del 1907 che vanta solo alcune vie secondarie al Torrione Clerici, e alla Torre Cecilia, e il primo percorso della Cresta del Giardino. Ma la stagione del 1909 fu veramente rivoluzionaria per merito specialmente dell’Andreoletti e del Prochownick che divulgarono fra i nostri giovani le arrampicate dolomitiche, vincendo lo spigolo NO della Torre Cecilia e la parete NO del Torrione Clerici, e svilupparono nel successivo 1910 il loro ardito programma con altre vie alla Torre Cecilia e sulla parete NO della Piramide Casati. L’anno dopo ancora l’Andreoletti in cordata con Berto Fanton spinge le conquiste sul Cinquantenario e sull’Angelina, imitato dal Fasana che inizia la sua attività con la salita della parete E del Torrione Magnaghi Centrale e della parete NO del Torrione Palma. Nel contempo Gnesin e Gamma tracciano una nuova via sulla parete SE del Torrione Magnaghi Settentrionale; il Dorn percorre lo spigolo a cui lasciò il nome; il Dones fa la sua comparsa con la salita del canalino che separa il Torrione Magnaghi Meridionale da quello Centrale, e il Carugati e il Ripamonti portano a termine l’arditissima impresa del Sasso Cavallo. Nel 1912 il Dones raggiunge il Campanile S. Pietro e supera i Gendarmi, Gnesin e Gamma salgono la parete O del Magnaghi Centrale, e Fasana vince la parete NE del Torrione Magnaghi Settentrionale. Scarsa è invece l’attività del 1913; solo il Binaghi fa il suo ingresso nel groppo con la vittoria al Torrione Vaghi. Al contrario nel 1914 si ha una notevole ripresa: Vassalli e Sprangher vincono la Torre Costanza; Dones e Castelli raggiungono l’Ago Teresita; Fasana, Binaghi e Maccagno salgono il Fungo; Fasana, Binaghi e Prada superano il Campaniletto, la Lancia e la Torre; Carugati e Broockes s’arrampicano sulla Mongolfi era, e i tridentini, sfuggiti all’Austria (Fabbro e Paisser) e guidati dall’Andreoletti, tracciano un nuovo percorso sulla parete O della Torre Cecilia. Questa notevole attività doveva culminare l’anno appresso

(1915) con la vittoria sul Sigaro, di Fasana, Dones e Vassalli, e con la salita al Torrione Magnaghi Meridionale per la spaccatura O, per opera di Dones e di Vassalli. Dopo la forzata sosta imposta dalla Grande Guerra si può considerare chiuso il ciclo degli alpinisti. Quasi tutti i torrioni sono stati saliti, e perciò alla giovane schiera che si fa avanti nell’immediato dopo guerra non resta che tracciare delle vie lungo gli spigoli, le crepe, le pareti di pinnacoli già battezzati. Si inizia il periodo del rocciatori nel 1919 con la salita dello spigolo N del Teresita (Polvara - Ponti), del versante N dell’Angelina (fratelli Polvara), e della parete E della Piramide Casati (Carugati - Bianchi Porro). Più ricco di salite il 1923: Ferreri e Lucini scalano il Fungo da NO; i fratelli Porro percorrono la diffi cilissima fessura occidentale del Casati; e Carugati, solo o con Fanny Guzzi, o Bianchi Porro traccia abbondanti vie nuove sul Palma, sul Casati, sulla Cecilia e in Val Mala. Nel 1924 il Fasana riprende le esplorazioni verso la Cima del

Lo schizzo di pag. 206

della guida del Saglio (opera di

Binaghi)rappresenta

la parete E del Magnaghi

Centrale. I tracciati si

riferiscono alle vie Gandini (116f) e Fasana (116e)

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Palone e si porta nel 1925 con Bramani sulla vasta parete del Pizzo della Pieve, e nel 1926 con lo stesso compagno e con M. Castiglioni sull’erbosa parete O del Pizzo.Dopo una sosta di 3 anni, nel 1927, ritornano le nuove arrampicate sui torrioni della Grignetta. Cade la parete E della Torre per merito di Lucini, Fontana e Prina e nel 1928 anche la parete O del Campaniletto. Col 1929 scompare l’attività degli alpinisti milanesi e si fanno avanti i rocciatori lecchesi. Perego, Gandini e Ponzini trovano nei meandri del canaloni un torrione ancora vergine e lo battezzano Punta Giulia. Nel 1930 Dell’Oro, Riva e Villa di questo torrione salgono lo spigolo SO e la parete NO, e Dell’Oro, Molteni e Villa tracciano un arditissimo itinerario sulla Mongolfi era.Nel 1931 Gandini, Galbiati e Bonaiti attaccano la parete

SE del Torrione Magnaghi Centrale, Cassin e Riva la parete N del Sigaro, Castiglioni, Pinardi, Ravà e Asti la parete O dell’Angelina, Comici e Varale la parete E dell’ Angelina, Cassin e Redaelli la parete SO del Palma, Dell’Oro e Villa la N della Costanza, e Cassin - Dell’Oro la SSE della Corna di Medale. La forte attività lecchese non cessa con il 1932, perché gli arrampicatori fattisi più audaci superano la parete O del Sigaro (Cariboni Rizieri - Vitali), la parete S del Cinquantenario (Gandini - Galbiati - Gerli), lo spigolo SO del Fungo (Dell’Oro - Varale - Comi), la parete O dell’Angelina (Dell’Oro Varale - Cassin), la parete O della Costanza (Dell’Oro - Comi), le lontane pareti SE del Sasso dei Carbonari (Cassin - Dell’Oro), la parete NE del Pizzo della Pieve (Dell’Oro - Comi - Cassin) e il camino O del Pizzo (Cassin - Comi). Incoraggiati dai plausi della stampa, aiutati dalle autorità politiche, incitati da buoni tecnici e addestrati dal Comici alla nuova tecnica arrampicatoria, i giovani lecchesi compiono nel 1933 imprese ancora maggiori e vincono: la parete NE del Nibbio (Comici-Dell’Oro - Piloni e Cassin - Piloni - Corti),

A SINISTRA:La parete E della Piramide Casati nello schizzo a pagina 290 della guida del Saglio. Malgrado l’aspetto severo la qualità della roccia ne ha decretato il progressivo abbandono. Di grande interesse storico la via che si svolge a un dipresso dello spigolo a sinistra (144 f) dedicata da Benvenuto Basilli e Francesco Confortini alla squadra d’azione “Carnaro”

A DESTRA:La parete est del Corno del Nibbio con (da sinistra) le vie Sant’Elia, Comici, Campione d’Italia, Ratti, Cassin e le varie combinazioni dello spigolo N. Entrambi gli schizzi si devono alla penna di Luigi Binaghi

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la parete E della Torre (Comici - Varale - Corti), lo spigolo SO della Torre (Piloni - Lazzeri - Nascali), la parete E del Teresita (Dell’Oro), la parete NO della Giulia (Vassena - Tentori - Piloni - Ronchi), la parete E della Costanza (Comici - Varale - Dell’Oro), la parete SSE della Corna di Medale (Cariboni Rizieri - Corti), la parete S del Sasso Cavallo (Cassin - Corti), la parete NO del Torrione Magnaghi Meridionale (Panzeri - Cattaneo - Tizzoni), il versante SE del Fiorelli (Corti - Riva - Cattaneo), mentre i milanesi scalano lo spigolo S del Casati (Basilli - Confortini), la Torre Andreina. (Basilli - Dones - Panigalli), e la parete NE del Fiorelli (Parini - Basilli - Ferrari) . Ma il culmine dell’attività arrampicatoria si ebbe nel 1934; nulla rimane di intentato e le vie si moltiplicano talvolta una accanto all’altra come ai Corni del Nibbio dove Cassin, Dell’Oro e Panzeri tracciano la Via Campione d’Italia; Molteni, Minola e Curioni la Via S. Elia; Dell’Oro e Tizzoni la via chiodata del diedro meridionale. NelIo stesso anno si vince la Torre Gino per lo spigolo SE (Cattaneo - Tagliabue), la parete S del Magnaghi Meridionale (Panzeri - Galbusera - Cattaneo), lo spigolo SO della Ginetta (Cattaneo - Menni - Varale), la parete O della Torre (Villa - Colnaghi); il versante SE della Lancia (Parini - Orlandli) lo spigolo SO del Clerici (Dell’Oro - Ferrario - Giudici); la parete O della Cecilia (Cassin - Pozzi), la parete NO della Mongolfi era (Dell’Oro - Corti); la parete S della Costanza (Cassin - Piloni - Lazzeri), lo spigolo SE della Pala (Aldeghi - Villa), la parete SSE della Medale (Dell’Oro - Tizzoni - Polvara); la parete S del Sasso dei Carbonari (Panzeri - Citterio - Vitali), le anticime del Sasso dei Carbonari (Vinante - Puttin - Cacciamognaga - Enriconi), e il Canal Grande del Pizzo della Pieve (Cassin - Corti). Nel 1935 si continua l’assalto con insistenza anche se le conquiste sono minori e sono

portate dai lecchesi in altri ambienti dolomitici. Parini e De Tisi tracciano l’ultima dimenticata via alla Grignetta, la più diretta e la più diffi cile; Dell’Oro ed Esposito vincono la poderosa parete O del Fiorelli; Panzeri, Galbusera e Invernizzi salgono la verticale parete SO del Torrione Magnaghi Meridionale; Cassin e Ratti, Pellizzari e Pifferetti trovano altre vie al Nibbio; Pozzi e Polvara scalano la parete S del Cecilia, e Pifferetti e Longhi risalgono da S il Campanile S. Pietro. Per Il 1936 ben poco rimane ancora da conquistare; l’esplorazione del gruppo può considerarsi completa e solo alle ultime vie di dettaglio si impegna un ardimentoso gruppo di comaschi; sono infatti Molteni, Valsecchi, Camporini che si attaccano alla parete ESE del Clerici; Valsecchi, Camporini e Monti alla parete O del Clerici; Valsecchi e Molteni alle Moraschini, alla Fiamma, alla parete SO della Pala, e al versante SO del Diaz; Bernasconi e Marazzi alla parete ENE della Pala; Bemasconi, Malinverni e Marazzi allo spigolo NO del Diaz. Chiudono le arrampicate dell’anno i fratelli Pensa e Bertarini al Pizzo e Cattaneo, Rusconi al Torrione Tre Sassi.

La vetta della Grignetta

vista da N. L’itinerario contro cielo (111 m) è la Cresta Sinigaglia. La via di Parini e

De Tisi (111g) è fra le ultime tracciate

prima dell’uscita della guida.

Lo schizzo, come altri, è dovuto

a un ignoto disegnatore che si fi rma “John Nano”

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La Grigna Meridionaledi Mario “Boga” Dell’Oro

Il testo seguente apparve sulla “Rivista Mensile” come lancio per la guida di Silvio Saglio. Lo stile con il quale è scritto fa escludere che si tratti di opera direttamente dovuta alla penna di Dell’Oro, e porta piuttosto a farlo ritenere elaborato da qualche collaboratore della rivista, forse su ispirazione dello stesso Saglio che ne avrà concordato alcuni apetti con il “Boga”.

Chi mi sa nemico dichiarato di tutto quanto si riferisce a scartoffi e, molto si meraviglierà di questa mia relazione: se poi i medesimi sapessero che queste righe sono vergate mentre il giorno si annuncia con una di quelle aurore che fanno arrossire le crode al richiamo innamorato del sole; che alzando gli occhi dal bianco foglio vedo, oltre la fi nestra, l’invitante parete Medale e si riaffacciano alla mente e parlano al cuore visioni e ricordi, goduti e lasciati nella sua conquista, certamente la loro meraviglia salirebbe fi no all’incredulità e si chiederebbero se il lupo si è fatto frate.Sì, per una volta mi sono riconciliato con la mia acerrima nemica: la penna; anzi, in questo momento derogando ancor più ai miei principi, la guardo con tenerezza, forse la preferisco al chiodo ed al martello, amici cari inseparabili, perché se questi mi offrono la possibilità di soddisfare la mia ardente passione, di temprare le mie migliori energie, di innalzare sempre più i miei puri sentimenti sulla impervia croda, la penna mi offre la possibilità di adempiere ad un dovere.Dovere di coscienza, poiché, sentendomi vero fi glio di Grigna, vedo questa seconda Madre tanto ardentemente amata, bella e senza macchia: ma soprattutto dovere di Accademico è l’indicarla a quei pochi che ancora non la conoscono che di nome: a quegli altri, pochissimi, che, conoscendola, non l’apprezzano giustamente; infondere loro quella fi ducia nel giovamento, nel perfezionamento tecnico e nella soddisfazione che possono trarre da questa montagna alla portata di tutti.Forse è presunzione la mia, perché ben noto è questo gioiello dolomitico, questo regno incantevole di crode e di picchi, di vertiginose pareti, di guglie belle di forma, ma seriamente faticose da raggiungere: come pure può essere inconcepibile il voler infondere fi ducia ad altri, mentre sento che questa virtù è venuta a me solo da pochi anni. Ma è venuta precisamente dopo aver conosciuto celebri itinerari del mondo dolomitico cortinese (Spigolo della Fiammes, Camino Terschak), e di quello di Misurina: parete Nord della Cima Grande; Spigolo Giallo della Piccolissima; via Fehrmann della Piccolissima; Torre del Diavolo; dopo aver aperto delle “prime” sulla Guglia De Amicis sul Popera e ripetuto le vie dei Dimai sulle Cinque Torri; dopo aver asceso la Civetta per la impressionante via Comici; dopo aver aperta una “prima” sul versante Sud-Ovest della Torre Trieste.Per il vero, io pure, quando mi trovai per la prima volta al cospetto di quelle interminabili pareti dal celebre nome ho dubitato per un istante della piccola palestra lecchese, tanto

che all’attacco dello “spigolo della Fiammes”, mia prima arrampicata fuori zona, mi sembrava impossibile il poter raggiungere la vetta tanto lontana. Tuttavia ho arrampicato e fi n dalle prime mosse presentii che per quella via sarei passato; e, quando, sulla vetta raggiunta, l’iride imprimeva quell’incomparabile nirvana alpino, e l’animo ne sentiva tutta la sublime bellezza, il mio pensiero era sulla montagna che sin da “bocia” mi insegnò l’ardimento cosciente, che mi forgiò cuore forte e muscoli saldi, per avviarmi a imprese sempre più ardue.Il pensiero era là a ringraziare quella Grignetta, candida nel cuore, perché così è la sua roccia, azzurra alla base, ove il Lario la bacia, porporina alla vetta perché così la vuole il tramonto.Fu lassù che ritornò la fi ducia che non verrà mai meno perché ora so, e desidero che altri sappiano a prova, l’intenso allenamento, l’occhio sicuro, la robustezza fi sica che forma questa montagna con le sue vie che nulla hanno da invidiare ai passaggi più famosi delle montagne pallide.E quando devo prepararmi per qualche impresa alpinistica di alto valore, non corro a cercare l’insegnamento sulle montagne dai nomi più celebri: salgo invece sull’umile Grignetta.Generalità – Questo contrafforte forma, con il fratello maggiore,

Un ritratto di Mario Dell’Oro “Boga”

(Archivio Dell’Oro)

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il Grignone, il caratteristico Gruppo delle Grigne. Se il suo nome è femminile la causa va attribuita alla sua grazia seducente e alla sia più modesta altezza. In compenso, la Grignetta, è però più ricca di superbi itinerari di croda, che vanno dal facile allo straordinariamente diffi cile, tanto che gradatamente divenne la montagna più popolare delle Prealpi Lombarde. Le origini del suo nome non sono note, ma ben le si addice la leggenda tramandata dai vecchi alpinisti.Raccontano infatti che così fu chiamata perché la bella, ma spesse volte tremenda divinità assetata di sangue, rida (nel dialetto locale, grigna), soddisfatta di avere ai suoi piedi, in eterno, un adoratore. Essa sa bene, troppo bene, che altri continuamente verranno senza imprecare alla sua forza bruta che si difende dagli attacchi di un fragile cuore, sia pur sorretto

da una grande anima: è certa che i rimasti persisteranno nella lotta affascinante per la capitolazione della sua verginità: perché chi ama una sola volta l’ha veduta, porta nel cuore un turbamento inguaribile che solo potrà placarsi con la conquista dei suoi incomparabili tesori. Sa che l’alpinista non trema se lungo il suo periglioso cammino incontra ghirlande vermiglie: sa che si arresta certamente un attimo per deporre un fi ore e mormorare una preghiera, ma poi prosegue verso gli orizzonti sui quali pari vibri l’appello dell’ignoto meraviglioso; verso le crode che natura creò come un retaggio divino per noi mortali.E qui la natura fu veramente felice nella concezione del monte. Esso s’innalza con pendii ripidissimi dalla sponda orientale del Lago di Lecco, precisamente quel ramo che volge a mezzogiorno, tanto caro al Manzoni, per fi nire sfrangiato in un ricamo granitico verso la vetta.Questo però non è il lato migliore per salire a godervi la sua bellezza dato che, sul fi anco opposto, più comoda e forse più suggestiva è la fascia ubertosa, l’ampia ed arcuata Valsassina.Il viandante che di lì ascende il monte, passando fra prati ameni, fra boschetti generosi di refrigerio, sentirà rinascere in sé la dolce poesia del romantico pascolo, udirà il gioioso sussurrar di fronde, e il garrulo canticchiar di fontanelle: ammirerà la bellezza del fi ore montano, e, giungendo sul pianoro dei Resinelli, capirà di essere entrato in un altro mondo, tanto diverso dal primo, ma ugualmente, anzi più fortemente bello.Ai Piani Resinelli, m. 1200, si penetra di botto nella caratteristica zona dolomitica, brulla, arida, ma incantevole nella tinta bianco rosata delle sue rocce che stregano l’anima.Sono guglie aguzze, torrioni, aghi, che con le loro punte laceranti l’immensità azzurra parlano al cuore, invitano l’animo all’ammirazione, alla meditazione. Sono i molteplici itinerari, le ardue scalate che trascinano alla sana, audace, gagliarda attività.Suo valore alpinistico – A molti sembrerà altisonante questa frase: “Suo valore alpinistico”, e troveranno indubbiamente da ridire, in tema di montagna, che questo delle Grigne, sia troppo modesto per avere spazio sulle pagine della nostra Rivista mensile. Ma essi sono in errore, perché pur essendo questo alpinismo minore, vale sempre il grande precetto: “che più importa, non è ciò che si fa, ma come lo si fa; se fatto bene merita plauso, se fatto male, nulla”; e bene si possono cogliere nel piccolo orticello calcareo di Grigna, le migliori frutta e verdure, i più bei fi ori e inevitabilmente qualche spina, perché pur quassù si è molto camminato.A tempi moderni, vie moderne; ad evoluzione novella, tecnica novella.Alla nuova giovinezza italica più non sono bastate le vie tracciate con mirabile genialità da un Fasana, un Carugati, un Vassalli e da altri pionieri dell’alpinismo acrobatico sulle Grigne: occorreva qualcosa di più ardito per soddisfare gli animi desiosi di cimentarsi in sempre nuovi ardimenti, per sviluppare l’insegnamento che una nuova tecnica aveva dato. Come per incanto vie nuove nacquero sulle guglie che per molto tempo avevano mantenuto intatto quell’alone di inviolabilità per la quale venivano guardate con sacro rispetto.

Lettera di ringraziamento

per uno degli innumerevoli

soccorsi o recuperi di salme

cui il “Boga” aveva preso

parte

(Archivio Dell’Oro)

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Ora, accanto alle piccole gemme, sempre preziose, rifulgono le perle migliori. Nessuna torre fu risparmiata; anzi, alcune furono violate per itinerari diversi dalla giovane schiera che si cimenta per crode vertiginose per la sola gioia, la grandi gioia di una “prima”. Bello è fermarsi lungamente al cospetto di una guglia di un torrione, studiarne la teorica via fi n nei più minuti particolari, prima di passare all’azione, colla certezza di una nuova vittoria. Allora si prova il piacere raffi nato che più ci scuote i nervi vibranti, che più ci fa fremere l’animo di sensibile diffi coltà, per poi passare dal sogno magico alla realtà ancor più bella. Cessano all’istante le fantasie, mentre le mani attenagliano [sic] l’appiglio sfuggente, mentre il volere vince la gravità del corpo che tende al vuoto e dal petto esce possente il respiro; allora sentiamo in tutta la sua grandezza, la bellezza della passione alpina, sentiamo l’orgoglio di appartenere alla forte schiera dei montanari, sentiamo la gioia di essere sani di corpo, ma soprattutto sani di spirito: sentiamo l’orgoglio di essere fi gli del monte.Questa relazione non elencherà tutti gli itinerari di croda della Grignetta; sarebbe cosa troppo lunga: mi accontenterò di accennare i torrioni che presentano le vie più ardite, quelle che, secondo la mia premessa dovrebbero servire e davvero servono per personale esperienza, a prepararsi per il regno del 5° e 6° grado. Il descrivere gli altri itinerari sarebbe da parte mia assurdo inquantoché è in corso di pubblicazione il volume della Guida dei Monti d’Italia “Gruppo delle Grigne” del Dott. Silvio Saglio, che sarà un’opera completa.Ricorderò soltanto le guglie sulle quali forgiò ardimento e tecnica, quella schiera di giovani che partita dall’umile Grignetta, seppe destare la più sincera meraviglia ed ammirazione nel regno dolomitico: seppe ricevere il plauso dei più formidabili arrampicatori, i quali videro le pareti della loro zona per anni senza violatori, cadere fi nalmente all’audacia di questi.Se si debbono tacere i nomi delle persone, non si possono però tacere i nomi delle guglie, delle torri, che furono i loro banchi di insegnamento. Troppa ingratitudine sarebbe la mia, e mancherei ad un dovere tacendo che sugli itinerari nuovi del Fiorelli, dei Torrioni Magnaghi, del Sigaro, del Fungo, Lancia, Torre, Costanza, Giulia, Mongolfi era, Angelina, Ago, Torri del Nibbio, e di infi nite altre guglie, si fa un allenamento atto a superare qualsiasi cimento.Mi è pure doveroso aggiungere che per vagliare quanto sopra, la Grigna offre pareti di 400-500 metri.Se dall’esame di prova negli itinerari della parete di Medale, del Sasso Cavallo, della Parete di Carbonai [sic], il neofi ta esce con la suffi cienza, può ritenersi sicuro di cimentarsi in qualsiasi prova, e la probabilità del successo non sarà cosa effi mera, anche se la meta potrebbe essere la famosa Parete delle Pareti o la Torre delle Torri nel favoloso Gruppo della Civetta; ove per fortuna il limite del possibile è eguale e nulla ha di differente a qualsiasi altra zona dolomitica che annoveri itinerari di 6° grado.Servizi logistici – Lo sviluppo dell’alpinismo non è solo basato sull’attività, sulla passione di quei pochi eletti che mediante esempio, parola, incitamento, infondono ad altri quella nobile

fi amma che è l’amore per la montagna.No, anni fa ciò bastava; oggi alla vita dinamica del tempo moderno occorre un qualcosa che porti e riporti nel minor tempo possibile all’alpe, ove si ricorre nei ritagli di tempo che il vivere intenso del giorno d’oggi concede.Il problema delicato è stato risolto con la costruzione delle funivie, delle strade, ecc. sebbene molti dicono che l’alpe così è profanata, non possono negarne le comodità.Non voglio sollevare polemiche in questo campo, però mi si conceda il dire che la montagna resta sempre quella fonte di meditazione, conserva quell’austera bellezza per la quale ci si sente un nulla al suo cospetto, mentre i suoi panorami restano costantemente quadri invitanti alla contemplazione, alla elevazione dello spirito, anche se ammirati senza aver sottoposto il corpo a privazioni e fatiche. Sulla Grigna pure è giunto il progresso: una magnifi ca strada, che nulla ha da invidiare in fatto di tecnica costruttiva alle sorelle dello Stelvio, del Tonale, di Montespluga, porta da Ballabio Superiore con uno sbalzo di 650 m. di dislivello alla base delle rocce invitanti. Di questa opera si parlava fi n dal 1928-29, ma non era altro che la lontana eco di lungiveggienti [sic] i quali, però, non erano riusciti a smuovere l’apatia di chi doveva e poteva fare.Finalmente sorse un uomo deciso ad affrontare gli inevitabili ostacoli, perché seppe capire che il problema della valorizzazione turistica di Grigna solo così poteva risolversi. Oggi la strada è un fatto compiuto.Il servizio alberghiero poi, pur non raggiungendo il fasto e la comodità dei grandi ed importanti centri mondani, non ha nulla da invidiar loro, per la scrupolosa pulizia e per l’ottima cucina.Qui però dovrei cedere il campo ad altro argomento, e lascio quindi la constatazione, a chi vorrà venire a goderne, sia pure una sola volta, questa ottima zona di preparazione per le maggiori conquiste.

Nella primavera del 1935 il Duca di Bergamo, accompagnato da autorità civili e militari percorse la strada per il Piani Resinelli, ancora in costruzione.L’uomo “deciso” di cui parla il “Boga” a cui si deve l’impulso defi nitivo per la costruzione della strada è il commendator Alfredo Redaelli

(Archivio Dell’Oro)

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Le guglie di Silvio Saglio

Il Museo del Parco Valentino ai Piani Resinelli conserva una grande quantità di immagini scattate dal Saglio alle guglie della Grignetta. Ne proponiamo alcune, scelte fra le meno note, per soggetto o per inquadratura.

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Appunti per una biografi a di Silvio Sagliodi Ruggero Meles

Silvio Saglio, chi era costui? Ai giovani che frequentano le montagne oggi questo nome dice poco, e anche dalle generazioni di ultraquarantenni rischia di essere ricordato solo come un autore di belle guide ormai un po’ stagionate, ma i sentieri che gli alpinisti percorrono e le pareti che scalano sono stati quasi tutti imbrigliati e addomesticati dalla fi tta rete di parole e immagini del dottor Saglio.Vale dunque la pena di conoscere meglio la sua fi gura. Nasce a Novara il 21 aprile del 1896. Dopo il diploma in ragioneria, nel 1914 si trasferisce a Milano per iscriversi all’Università Bocconi, ma la sua vita, come quella di milioni di altri giovani, cambia luoghi, abitudini e ritmi allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Le prime montagne le vede dunque in fi amme. Prima da soldato semplice, poi da sottotenente del Genio. Alla fi ne della guerra torna ai suoi studi e nel 1921 ottiene la laurea in scienze economiche e commerciali iniziando subito dopo la sua attività professionale. Ma la sua vera passione sono le vette.Nel 1926 si iscrive alla SEM (Società Escursionisti Milanesi), una delle tante organizzazioni alpinistiche che, grazie alla combinazione treno, corriera e gambe, in sole tre ore e con meno di venti lire a testa permettono agli infi niti “alpinisti della domenica” di mutare il ritmo della loro vita lavorativa settimanale, lasciarsi alle spalle la penombra e l’aria polverosa delle offi cine e rubare la luce e il vento alle cime.A Milano sono spuntate come funghi le associazioni alpinistiche. Si può dire che ogni livello della complessa stratifi cazione sociale della capitale lombarda vi sia rappresentato. La sezione del CAI è stata fondata nel 1873. Il suo nucleo forte è rappresentato da un gruppo di ingegneri e professori della facoltà di ingegneria milanese, il famoso Politecnico, che i milanesi chiamano con orgoglio: “el noster Politeknik”.Accanto a loro ci sono eredi di nobili famiglie, come i fratelli Bonacossa o il conte Ugo Ottolenghi di Vallepiana. La loro prestigiosa sede si trova addirittura nella galleria Vittorio Emanuele, nel cuore di Milano.Impiegati e altre fi gure classifi cabili nel ceto medio sono invece ben inserite proprio nella SEM.I “semini” costituiscono il gruppo più numeroso e, fedeli al loro motto, “..con il popolo e per il popolo…” ogni

fi ne settimana organizzano centinaia di scarpinatori ed arrampicatori di ogni età. Gli scalatori più forti hanno fondato nel 1906 il G.L.AS.G. (Gruppo Lombardo Alpinisti Senza Guide) con fi nalità analoghe a quelle del torinese C.A.A.I. (Club Alpino Accademico) nato nel 1904. La fusione dei due gruppi di punta darà origine, nel 1922, al gruppo nazionale degli Alpinisti Accademici. Anche gli operai hanno la loro associazione, la U.O.U.E.I. (Unione Operaia Escursionisti Italiani) fondata nel 1911, caratterizzata da un curioso motto: ”per il monte, contro l’alcool” che rende felici anche gli imprenditori, garantendo loro manodopera presente e sobria il lunedì mattina quando si riaprono le offi cine. Nella SEM Saglio si trova subito in ottima compagnia, gli si offre l’occasione di legarsi alla corda di alpinisti del calibro di Vitale Bramani, titolare di un negozio di

Gli archivi della S.E.M di Milano conservano questo bel ritratto di Silvio Saglio

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materiali per alpinismo in via della Spiga e che diventerà conosciutissimo dopo l’invenzione della famosa suola, Ettore Castiglioni, Eugenio Fasana, Antonio Omio, Elvezio Bozzoli Parasacchi, Ugo di Vallepiana, Leopoldo Gasparotto e molti altri. Le sue capacità alpinistiche non sono all’altezza dei fuoriclasse appena citati, ma la sua tenacia lo rende un buon secondo di cordata e gli permette di partecipare a prime ascensioni in Grigna, in Presolana, in Val Masino e nelle Pale di San Martino. Ma non è certo la sua abilità arrampicatoria a farlo emergere. Piuttosto la sua capacità di organizzare le gite sociali tracciandone, con estrema precisione, gli itinerari e descrivendo mirabilmente i vari gruppi montani. Dai suoi schizzi e dalle sue relazioni nascono le famose monografi e alpinistiche, sciistiche ed escursionistiche che verranno dapprima pubblicate per ben 247 puntate su “Lo Scarpone” per prendere in seguito una veste

più dignitosa nella prestigiosa collana “Guida dei Monti d’Italia” edita dal CAI e dal Touring Club a cui terrà dietro un’infi nita teoria di guide e pubblicazioni, interrotta solo dal richiamo alle armi con il grado di capitano e il comando di un battaglione nei giorni bui della Seconda Guerra Mondiale.Nell’immediato dopoguerra Saglio riprende, con rinnovato vigore, le sue attività. Nel 1950 viene eletto presidente della SEM, carica che manterrà sino alla sua scomparsa, avvenuta il 19 luglio 1964 e che svolgerà con totale dedizione, mettendo a disposizione del popolo degli alpinisti le sue competenze professionali. Un’attenta gestione amministrativa del patrimonio sociale, specialmente nei confronti dei rifugi, porta la SEM a raggiungere una solida posizione fi nanziaria.Saglio è un uomo che non ama mettersi in mostra, che preferisce operare nell’ombra con metodicità e cura per offrire poi a tutti i risultati del suo lavoro. E i fatti parlano in sua vece: 1954 acquisto del terreno adiacente al rifugio Tedeschi in Grignone. Nello stesso anno costruzione del rifugio Zappa. 1955: ristrutturazione ed ampliamento del rifugio Zamboni e realizzazione del collegamento con il rifugio Zappa. Nel 1956 ricostruzione ed ampliamento del rifugio SEM Cavalletti ai Piani Resinelli, 1960 ampliamento e costruzione della sala “Erna” sempre al rifugio SEM Cavalletti.Il suo impegno nella SEM non gli impedisce di svolgere incarichi prestigiosi anche nel CAI, di cui sarà dapprima Consigliere Centrale poi vice Segretario Generale ed infi ne, dal 1956 al 1958, Segretario Generale. Da buon alpinista ed escursionista sa dosare le forze e riesce a dare il suo contributo in un’infi nità di Commissioni. Il nudo elenco di questi oscuri incarichi è eloquente di per sè: - Consigliere della Sezione di Milano dal 1945 al 1950- Presidente della Commissione toponomastica del CAI dal 1950 - Presidente del Comitato delle pubblicazioni del CAI- Consigliere del Movimento per la protezione della natura dal 1952 - Segretario della Commissione organizzativa per la spedizione Italiana al K2- Membro della Commissione per la revisione toponomastica della carta d’Italia presso l’IGM. - Membro della Commissione propaganda e Scialpinismo- Direttore del Parco Valentino al Coltignone (Piani Resinelli)

In questa immagine,

proveniente dall’archivio di

Pino Comi, e scattata durante

la lavorazione della guida,

Silvio Saglio è ritratto con alcuni

arrampicatori lecchesi che si preparano

all’ascensione

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Nel 1958 fonda la Scuola di Alpinismo della SEM, oggi ancora oggi attiva e a lui intitolata, e che otterrà la qualifi ca di “Scuola Nazionale di Alpinismo e Scialpinismo” Un simile elenco di cariche può far pensare ad un freddo burocrate. Niente di più sbagliato: Saglio sa come mantenere viva la sua passione primaria per la montagna e la sua vocazione di autore, redattore e coordinatore di innumerevoli guide e carte toponomastiche.Dopo la collana “Guida dei Monti d’Italia” vede la luce “Da rifugio a rifugio” che riassume ed offre al lettore il sunto delle sue infi nite escursioni. In un importante articolo dedicatogli nel numero unico “La SEM nel 2000” viene ricordato un esempio emblematico del suo operare, raccontando che per preparare la guida Alpi Retiche Occidentali della collana “Da rifugio a rifugio” Saglio percorse in un mese dell’estate 1952 ben 400 chilometri in montagna, portandosi sulle spalle il fardello dell’ingombrante attrezzatura fotografi ca dell’epoca e superando complessivamente molte migliaia di metri di dislivello.A parziale riconoscimento di tutto questo gravoso e incessante impegno, nel 1949, viene ammesso a far parte del gruppo degli Accademici del CAI.Fino all’ultimo ha continuato nella sua instancabile attività di organizzatore e pubblicista. Due mesi prima della morte, le cronache alpinistiche ricordano un suo brillante intervento al Rifugio Zamboni-Zappa sopra Macugnaga in occasione del 60° anniversario di fondazione dello SCI-SEM. Ed è proprio sulle pendici del Monte Rosa che aveva chiesto di essere sepolto aggiungendo, modesto e discreto, come sempre, “se la cosa non fosse stata di costo eccessivo”.

LE PUBBLICAZIONI DI SILVIO SAGLIO

Collana “Guida dei Monti d’Italia”:

Le Grigne, CAI - TCI, 1937 Alpi Venoste, Passirie, Breonie (dal Passo Resia al Passo Brennero), CAI - TCI,1939Prealpi Comasche, Varesine, Bergamasche, CAI - TCI, 1948 Adamello, CAI - TCI, 1954 (con la collaborazione di Gualtiero Laeng)Alpi Orobie, CAI - TCI, 1957 (con la collaborazione di Alfredo Corti e Bruno Credaro) CAI - TCI, 1959

Monte Rosa, CAI - TCI, 1960 (con la collaborazione di Felice Boffa)Monte Bianco vol. 1 (dal Col de la Seigne al Colle del Gigante), CAI - TCI, 1963 (con la collaborazione di Renato Chabod e Lorenzo Grivel) Monte Bianco vol. 2 (dal Colle del Gigante al Col de Grapillon), CAI - TCI, 1968 (con la collaborazione di Renato Chabod e Lorenzo Grivel)

Collana “Da rifugio a rifugio”:

Dolomiti Occidentali, CAI - TCI, 1949 Alpi Pennine, CAI - TCI, 1951 Alpi Graie, CAI - TCI, 1952 Alpi Retiche occidentali, CAI - TCI, 1953 Alpi Retiche meridionali, CAI - TCI, 1954 Dolomiti Orientali, CAI - TCI, 1955 Alpi Lepontine, CAI - TCI, 1956 Prealpi Lombarde, CAI - TCI, 1957 Alpi Liguri e Marittime, CAI - TCI, 1958

Alpi Cozie, CAI - TCI, 1959 Prealpi Trivenete, CAI - TCI, 1961

Altre pubblicazioni:

Guida sciistica del Passo di Rolle e delle Pale di S. Martino, Sci CAI Milano, 1933 Ortles - Cevedale - Itinerari sciistici, Sci CAI Milano, 1935 Cento domeniche - Quattro settimane, Sci CAI Milano, 1937 Skiführer durch die Ortles - Cevedale - Gruppe, Sci CAI Milano, 1937 La toponomastica alpina della Vallunga in “Rivista Mensile” del CAI, agosto-settembre, ottobre, 1940 La stella delle Alpi (Edelweis) in “Rivista Mensile” del CAI marzo-aprile 1941 Des Cabanes du CAI en général. UIAA, 1950 La catena del Monte Bianco dal Rifugio Elisabetta la Lex Blanche, CAI sottosezione Tecnomasio Milano, 1953. I rifugi Zamboni e Zappa e il Monte Rosa, CAI Milano, 1955 I rifugi del CAI, CAI, 1957 Rifugi e bivacchi, CAI, 1959 Gite per un anno, CAI Milano, 1960 La montagne (traduzione ed aggiornamento dell’opera pubblicata sotto la direzione di Maurice Herzog), De Agostini, 1962. I cento anni del Club Alpino Italiano, CAI, 1964 I Pizzo di Palù m 3906 dalla Diavolezza. Monografi a sci-alpinistica, Milano: CAI

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IL PARCO VALENTINO E IL MUSEO NATURALISTICO

Il Parco Valentino si estende su una su-perficie di 180 ettari ai Piani Resinelli. È percorso da diverse piste in terra battu-ta e da comodi sentieri parte dei quali oggi percorribili a tutti.Nel cuore del Parco Valentino si può vi-sitare il museo naturalistico delle Grigne che, ubicato in una bella e antica costru-zione in stile alpino, offre una carrellata su tutti gli aspetti paesaggistici e natu-ralistici.Nelle varie sale si osservano strumenti alpinistici, agricoli, minerari, animali im-balsamati, nonché una collezione storica di foto di Silvio Saglio, grande conosci-tore delle Grigne.Il museo oggi è accessibile al piano terra anche a persone disabili, come una par-te dei sentieri e il Centro Servizi Marco e Piero della Santa.Questo, grazie alla realizzazione di un progetto coordinato dalla Comunità Montana del Lario Orientale, in accordo con: la Regione Lombardia, la Provin-cia di Lecco, il Sistema Turistico Lago di Como.

IL PARCO VALENTINO E IL MUSEO NATURALISTICO

Il Parco Valentino si estende su una su-perficie di 180 ettari ai Piani Resinelli. È percorso da diverse piste in terra battu-ta e da comodi sentieri parte dei quali oggi percorribili a tutti.Nel cuore del Parco Valentino si può vi-sitare il museo naturalistico delle Grigne che, ubicato in una bella e antica costru-zione in stile alpino, offre una carrellata su tutti gli aspetti paesaggistici e natu-ralistici.Nelle varie sale si osservano strumenti alpinistici, agricoli, minerari, animali im-balsamati, nonché una collezione storica di foto di Silvio Saglio, grande conosci-tore delle Grigne.Il museo oggi è accessibile al piano terra anche a persone disabili, come una par-te dei sentieri e il Centro Servizi Marco e Piero della Santa.Questo, grazie alla realizzazione di un progetto coordinato dalla Comunità Montana del Lario Orientale, in accordo con: la Regione Lombardia, la Provin-cia di Lecco, il Sistema Turistico Lago di Como.