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Settembre 2018 Zona 508 Trimestrale Dagli Istituti di pena BrescianiAutorizzazione del Tribunale di Brescia n.25/2007 del 21 giugno 2007 Zona 508 il trimestrale DAgli Istituti di pena Bresciani Le mani nelle arti

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Zona 508 il trimestrale DAgli Istituti di pena Bresciani

Le mani nelle arti

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Autorizzazione del Tribunale di

Brescia n.25/2007 del 21 Giugno 2007.

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gandeep, Francantonio, Rossano,

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berto, Hamid, Rambo, Annamaria,

Maurizio C., Maurizio M., Oumar,

Jetmir, Fation, Marco, Lorenc,

Sheran, Oriol, Giovanni, Diego,

Saio, Andrea, Daniela, Roberta,

Camilla, Virginia, Enrica, Lucia,

Federica, Alessandra, Marta, Lau-

ra

Cara Mano

3

Le origini

4

Mani per creare

6

Il lavoro delle mani

8

Fuori dal mondo

10

Musica

20

Cinema

22

Sommario

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CARA MANO

Posa le tue dita sul mio petto Senti quello che ho dentro

Utilizzando tutti i simboli, Che io porto dentro di me una bellissima anima Indica loro la sincerità, dall’espressione dei miei occhi

Di’ loro pure che la mia mano è uguale alle vostre mani Di’ loro prima che tu nascessi

Dio aveva già indicato nel bene e non nel male Cara mano quando sfiori la testa del bimbo orfano Leggi negli occhi la grande sofferenza, per la mancanza di genitori

Quando lo accarezzi asciugagli le lacrime Riesci a riportare il sorriso

Ricorda loro che tu domini le lingue e i simboli dell’amore Quando tu prendi per mano il mio amore Riesci a sentire e leggi nella profondità dei miei occhi i miei sentimenti

Senza te l’uomo non avrebbe mai scritto Senza te nessun verso di libertà sarebbe stato scritto

Tu hai spezzato le catene dell’uomo Senza te nessun grido della libertà sarebbe uscito Le tue dita hanno portato in alto i sogni dei popoli

Le tue dita hanno distrutto gli incubi dei dittatori Tu hai scolpito nella pietra i ricordi del passato

Tu porti il cuore del pittore sulla tela Per te sento le note del musicista Con te sento la bellezza dell’arte

Senza te nulla nei miei occhi

El Houssaini, traduzione di Davide

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Le origini L’ORIGINE DEI GESTI

La comunicazione umana ha evoluto diverse forme per rendere l’espressione attraverso la

quale si presenta, non solo a riguardo dell’ambiente circostante ma anche dei propri

pensieri e delle proprie emozioni. Fin dal primordio, precedendo la scrittura nel-la necessità di trovare un mezzo comunicati-

vo, l’uomo ha introdotto suoni vocali e cerca-to di comprendersi non solo attraverso il lin-

guaggio, ma anche adottando tutti quei mezzi che potevano aiutarlo a manifestare il suo pensiero.

Nelle evenienze in cui l’uomo si è trovato e a seconda dell’ambiente e delle circostanze, per

esso è stato naturale esporre ciò che necessi-tava attraverso l’espressione non solo della voce ma anche aiutandosi nella comunicazio-

ne, usando il proprio corpo. Ciò è diventato nel tempo un’abitudine di co-

municazione simbolica, attraverso la gestuali-tà, che è personale e che risultava pratica nella relazione tra un uomo e gli altri, ed an-

cora, tra lui e il mondo.

Lo stesso habitat selvaggio lo rendeva consa-pevole della funzionalità di farsi comprendere

attraverso i gesti che, accompagnando i suo-ni, restituivano l’enfasi della sua volontà. In questo modo comunicava non solo con i suoi

simili, ma veniva inteso da bestie e animali. Ben presto questo linguaggio fisico ebbe mo-

do di diffondersi e svilupparsi all’interno della vita dell’uomo tra i popoli, a volte assomi-gliando a quello di altre etnie per la coinci-

denza di dover esprimere la propria esigenza attraverso la semplice pratica di quanto si vo-

leva comunicare. Oggigiorno ne è esempio la comunanza di gesti tra popoli di diverse raz-ze.

Lorenzo

COMUNICAZIONE VERBALE E

NON VERBALE

Il termine comunicazione porta in sé il modo di esprimere i propri pensieri, le proprie idee, emozioni, rancori, sentimenti…

La comunicazione gestuale si può tranquilla-mente definire il linguaggio del corpo, che ha

accompagnato l’uomo in tutta la sua storia. Credo che l’empatia fra le persone sia un ele-mento fondamentale, sia quando è rappre-

sentata in senso positivo sia negativo. Nel ca-so in cui sia positiva si crea tra le persone

un’energia che pone le medesime ad essere accoglienti, disponibili, verso l’altro; al con-trario si evidenziano elementi di chiusura.

La personalità di ognuno di noi esprime la co-municazione in modi diversi. Ad esempio il

silenzio a mio modo di vedere evidenzia l’uomo di carattere, altri non possono fare a

meno del linguaggio del corpo, con i gesti ne-cessari. Nella comunicazione essi si esprimo-no sia in modo consapevole oppure inconscia-

mente. I gesti consapevoli esprimono la vo-lontà delle proprie idee, pensieri, e danno ri-

sposte in determinati luoghi, con determinate

persone e circostanze. I gesti mettono l’uomo in condizione di rispondere e affermare le

proprie idee. I gesti inconsci esprimono il no-stro modo di essere senza freni inibitori, cal-pestando spesso la sensibilità delle altre per-

sone. Le mani invece rappresentano l’elemento estremo del corpo per comunicare

e trasmettono i propri sentimenti col tatto, il proprio stato d’animo, fino all’estremo caso della violenza.

Nella nostra società l’uomo è unico, aldilà del colore della pelle, della lingua e dello stato

sociale. La comunicazione va oltre tutti questi elementi, probabilmente la si esprime in modi diversi solo ed esclusivamente per retaggi

culturali che ognuno si trascina dal suo pas-sato.

Lorenc

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L’USO DEI GESTI

Il gesto è qualcosa in più della parola, è la dimostrazione della vita nel suo accadimento,

rende aperta l’azione di vivere e la contrasse-gna.

Dunque il bisogno di esprimersi con i gesti è risultato fondamentale per l’uomo ed è entra-to nella sua esistenza come mezzo necessario

per manifestare anche quanto è astratto in base alla personale sensibilità di quanto per-

cepiamo. Pensiamo al linguaggio dei sordo-muti.

Siamo in grado attraverso i gesti non solo di comunicare, ma possiamo benissimo, come per la musica o le opere d’arte, trasmettere

suoni a chi non vede liberando nella sua men-te le immagini o far sentire i suoni a chi ci sta

guardando con attenzione e non può ascolta-re normalmente. Delle cose comuni alle quali non serve la ge-

stualità per esprimerle basta il solo linguag-

gio, mentre invece per esprimere al meglio le

emozioni, diventa imprescindibile utilizzare lo strumento di comunicazione dei gesti che col

tempo è andato sempre di più sofisticandosi e, ad oggi, i gesti accompagnano la nostra vita facilitandoci nella comprensione reciproca

e caratterizzando la nostra personalità nella comunicazione, declamando ciò che proviamo

e nutriamo, attuando in noi un vero e proprio modo di essere. Non che non ne potessimo fare a meno, ma

forse, pensandoci, senza gesti, tutto quanto apparirebbe più scialbo.

Lorenzo

L’arte come gesto

Oltre al bisogno di presentare attraverso i ge-sti le proprie intenzioni, l’uomo sente il biso-

gno di allargare così la sua tendenza d’espressione e si rivolge alla natura e il suo

potere di realizzazione, estendendo i suoi ge-sti che vede ridotti per comunicare tutto il suo sentimento, questa necessità fu l’origine della

nascita dell’arte, il passaggio più importante della storia dell’uomo.

La scrittura inizialmente adattò la rappresen-tazione di oggetti e pensieri attraverso simbo-li e a volte anche gesti, tra le prime forme di

scrittura si trovano al posto delle lettere, im-magini di un uomo o delle sue mani. Veri e

propri ideogrammi che spinsero la comunica-zione scritta a definire con precisione l’intenzione di esprimersi, incorporando la

rappresentazione dei suoni fonetici con le let-tere ad evitare ogni probabile equivoco.

La rappresentazione dei sentimenti nutriti dall’uomo nel suo essere ha superiormente realizzato la sua opera più grande con

l’interpretazione della sua esistenza, espri-mendo quello che i gesti iniziarono nella sua

esternazione e comunicazione, con la riprodu-zione della musica.

Con la musica infatti, l’uomo è stato in grado

di riferire ogni genere di emozione che scatu-risce dalla vita, ha saputo dare la letizia della

gioia assaporata, la grazia della bellezza os-servata, l’impetuosa forza della violenza della passione sentita e ancor più, una voce alla

disperazione incompresa del dolore. Analogamente è quanto si avvalse con la pit-

tura e in questa rappresentazione artistica i dipinti, le statue non solo raffigurarono nuo-vamente il messaggio della comunicazione

dell’uomo attraverso quello che il corpo con il gesto spiegava, ma la meraviglia acquisita dal

mirabile tocco dei geni che dipingevano fece sollevare le opere che, non solo rifletterono l’espressione del corpo ma fecero di più, riu-

scirono a unire il corpo con il suono attraver-so le immagini riprodotte, che a loro volta ge-

neravano la musica alla loro osservazione e più miracolosamente le davano vita facendole

nettamente muovere.

Lorenzo

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6

Mani per creare

A che cosa servono le mani?

“Con le mani tocco, comunico… sono…” (Franco

“Asciugare le lacrime, provocarle. Accarezzare, colpire. Dare forma alla propria ani-

ma, scrivendo, disegnando. Dare tangibilità alla propria indole” (Simone)

“Profumate, carezze, immediate, pure, spontanee, pronte, tenere, attente,

laboriose, lavate, calde, terapeutiche, con il pollice in su” (D.V.)

“Il calore e il sentimento che comunica il nostro corpo vivendolo e

crescendolo” (Soufiane)

“Le mani sono importanti, senza di loro non si può far nien-

te” (Gagandeep)

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7

LA MANO NELL’ARTE

Pensando alla mano, al

suo significato nell’arte,

un concetto più di tutti dà secondo me spunti in-

teressanti.

La mano esteriorizza e dà forma all’interiorità

dell’essere umano. Pen-

siamo a un quadro. In esso ci possono essere le

inquietudini, l’amore,

l’odio e tutta la comples-sità dell’uomo o della

donna che lo hanno di-

pinto. La mano riesce a mettere

nero su bianco e a rende-

re esteriore e tangibile l’interiorità e la comples-

sità dell’animo umano

dandogli una forma.

L’arte in fondo è proprio questo…

Vale anche per una pro-

sa, una poesia o un testo che diventa canzone. In

un mondo dove la medio-

crità, omologazione dell’individuo regna,

l’arte risveglia l’anima

degli uomini, è quindi fondamentale anche a li-

vello sociale.

La mano che dipinge o che scrive una canzone

mette in atto un processo

molto introspettivo. La magia è quando l’artista

nel suo processo intro-

spettivo tocca, va a con-tatto con l’emotività e

l’anima delle persone. La

mano che produce qual-

cosa, che tocca l’anima della gente, fa arte.

Durante un concerto, du-

rante una canzone c’è u-na pioggia di emozioni, si

crea un’energia tra gli

spettatori e una sinergia tra questi e l’artista. È

un’energia che si sente

nell’aria. Ci si abbraccia, si piange,

si ride, ci si tuffa nei ri-

cordi, nell’amore. E quando una mano crea

tutto questo, in quel mo-

mento penso che l’uomo abbia raggiunto la sua

forma più alta, più nobi-

le, più bella.

Simone

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PER COSA USI LE TUE MANI?

Utilizzo le mie mani principalmente per scrivere in quanto il mio lavoro me lo richiede, per cercare un

contatto con l’altro al fine di trasmettere un messaggio positivo, ma maggiormente per giocare con le

mie splendide figlie.

Maurizio

Uso le mie mani per lavare il mio corpo, per lavorare e fare tante cose, inoltre per salutare.

Hamid

Uso le mie mani per cucinare cose buone, per danzare felice e per salutare le ragazze belle.

Rambo

Uso le mani per insegnare l’arte del karate, per dare una mano a chi ha bisogno, per cucinare.

Sheran

Le mie mani le uso tutti i giorni facendo 1000 cose, ma in particolare le uso per stringere quelle degli

amici, per abbracciare un familiare e salutare chi mi circonda.

Roberto

Uso le mie mani per cogliere da un albero il suo frutto per gustarlo alla sua ombra; accarezzare le

guance di una persona che soffre nell’intento di alleviare il suo dolore; modellare la creta per creare

un oggetto in cui porre la propria anima.

Gianni

Io utilizzo le mani specialmente per lavorare, in quanto il mio lavoro è manuale. Vivendo in carcere le

uso per cucinare e per salutare le persone.

Duda

La mano è un’appendice del nostro corpo. Forse la più utile. Attraverso le mani usi il tatto e quindi

puoi esprimere amore, odio e tutto ciò che attraverso le mani arriva al nostro cuore. Il cuore attraver-

so le mani esprime il nostro stato d’animo, ed agisce di conseguenza. Quindi laviamoci spesso le mani

perché attraverso la pulizia continua si evince la purezza del tuo corpo.

Maurizio

Il lavoro delle mani

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Fuori dal mondo IO SONO POLIGLOTTA

Cammino per la strada, mi si avvicina un’automobile ed un

tale in una lingua che non ca-pisco mi passa un biglietto

con un indirizzo: a gesti spie-go la strada, lui con la mano mi saluta e ringrazia soddi-

sfatto. Pochi passi avanti un bambino con abiti troppo più

grandi di lui allunga verso di me la sua mano aperta e il

suo sguardo con troppo ieri e troppo poco domani. Le mie mani frugano nelle tasche alla

ricerca di qualche moneta, gliela porgo e lui prendendola

mi accarezza la punta delle dita per un tempo intermina-bile, quasi a raccontarmi un

po' della sua storia di solitudi-ne. Un ciclista mi chiede al

volo l’orario, io alzo il pollice anulare e medio: sono già le tre, devo affrettare il passo

ma scivolo in avanti, con le mani attutisco la caduta e

riprendo imbarazzato gesti-colando, verso chi intorno si preoccupava, con fare rassi-

curante. Prima della piazza si avvicina un uomo, non ca-

pisco se venga da dove fa molto freddo o molto caldo,

porta la sua mano verso la

bocca aperta, ha fame. Mi ac-compagna nel vicino locale e

gli offro volentieri un panino e dell’acqua fresca. Srotola dal-le tasche una sbiadita mappa

dell’Europa e con le dita mi indica da dove viene ed i luo-

ghi che ha visitato. Questo apolide per scelta con mimica perfetta per ogni città mi de-

scrive un ricordo e così nei suoi gesti rivedo la guerra, la

tour Eiffel, una plaza de toros, un’alta vetta che può essere ovunque. Lo saluto e stringe

la mia mano con entrambe le sue, quasi a ringraziarmi per

aver dedicato qualche tempo a quelle mani che tanto hanno

da raccontare. Finalmente a casa con gli occhi ancora pieni di tutte le emozioni della pas-

seggiata mi metto al cavallet-to e le mie mani attingono da

sole alla tavolozza per un ri-

sultato solo apparentemente astratto che, chissà, potrà e-

mozionare qualcuno cui capi-terà di guardarlo. La sera pri-ma di spegnere la luce guardo

le mie mani e le ringrazio ed insieme ad esse tutte le mani

del mondo. Per mezzo di loro oggi ho ricevuto emozioni, mi sono rialzato, ho trasformato

in colori dolori e gioie non so-lo mie, ma soprattutto ho co-

municato con Sergej, Singh, Pierre, Joe senza conoscere una sola parola delle loro lin-

gue.

Franco

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Hennè

L’hennè è un prodotto tradizionale che

viene ora usato anche per scopi estetici. Nel mio Paese, l’India, si usa principal-

mente nella regione del Punjab dove si mette su mani e piedi creando vari dise-

gni per esaltare la bellezza della sposa. Nell’antichità, invece, si metteva anche

sui capelli per tinteggiarli.

L’hennè viene ricavato da una pianta che cresce in ambiente arido, le sue foglie

vengono fatte essiccare al sole e ridotte in polvere col mortaio. La sostanza che si

ottiene viene mescolata con acqua e

l’impasto che si ottiene è ciò che si usa per decorare mani e piedi e per tingere i

capelli. In Marocco l’hennè viene utilizzato spesso durante le feste come quella di fi-

ne Ramadan o quella del sacrificio dell’agnello oppure durante i matrimoni,

come in India, quando le donne incidono

figure sul proprio corpo per esaltarne la bellezza. Anche gli uomini usano l’hennè

perché dicono che abbia un potere curati-vo; i lavoratori che trascorrono tutta la

giornata in piedi lo applicano la sera per avere sollievo.

Gagandeep e Redouane

LUCE… SEMPRE

C’è un buon odore nel mio buio e dieci occhi sulle dita

che guidano il mio passo.

Sento il colore dei tuoi capelli

Ammiro il cielo dei tuoi occhi

Scivolo fino al battito della tua vita

Il battito delle nostre vite

Il ritmo di tutte le vite

Un abbraccio ed i tuoi palmi disegnano il tuo dorso

Non parli, ma ho il tuo alito sulle dita ed è canzone

d’amore

C’è un buon odore nel mio buio.

Franco 63

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Un racconto:

IL MUTO E LO

STORPIO

Uno storpio di nome

Battista che girava

in Corsica con la

bandiera italiana ap-

poggiandosi ad es-

sa, entrò in un bar

ed ordinò una coca-

cola con la cannuc-

cia. La barista si ac-

corse della sua mal-

formazione e, mos-

sa a pietà, gli offrì

un ramoscello di uli-

vo. Al che Battista,

felice di questa gen-

tilezza, si sedette a

giocare a carte con

una persona pre-

sente nel bar. Ac-

cortosi che il suo

compagno di gioco

non poteva usare la

parola, iniziò a farsi

intendere con la ge-

stualità delle mani e

questo dava ad en-

trambi la felicità, in

quanto il cuore di

uno entrava in sim-

biosi con quello

dell’altro.

A questo punto il

muto, a difesa

dell’handicap di Bat-

tista, gli consigliò di

andare da una fisio-

terapista che gli a-

vrebbe applicato u-

na magia sciamani-

ca. Al che, finito di

giocare, il silente

compagno diede ap-

puntamento a Batti-

sta per sapere se la

magia della mas-

saggiatrice avesse

funzionato. La fisio-

terapista aveva ma-

ni che esprimevano

amore, pace, liber-

tà. Le impose sulla

gamba malata e

Battista si accorse

dopo una

mezz’oretta che la

gamba gli procurava

meno dolore. Pur-

troppo era ancora

storpio ma gli nac-

que un profondo

senso d’amore verso

il muto che aveva

cercato in tutti i mo-

di di guarirlo.

In seguito Battista

ritornò al bar a cer-

care il muto ma non

lo trovò. Chiese alla

barista dove fosse

sparito e lei rispose

che non l’aveva mai

visto prima. Battista

tornò dalla fisiotera-

pista per chiedere

se lei lo conoscesse

ma anche lei rispose

di no. Così, sempre

più claudicante, ar-

rivò ad uno stop e si

mise in guardia con-

tro il traffico urba-

no. Proprio in quel

momento si sentì

chiamare:

“Battistaaa! Batti-

staaa! Battistaaa!”.

Volse lo sguardo e

vide una chiesa dal-

la quale proveniva il

suo nome. Vi entrò

e riconobbe il muto,

andò verso di lui e il

muto iniziò a parlar-

gli della Corsica.

Battista stupito dis-

se: “Ah!! Ma allora

parli!”. Il muto ri-

spose: “Quando tor-

nerò dalla Corsica tu

camminerai dritto”.

Battista in quel mo-

mento si accorse

che il muto aveva

ali di angelo e im-

provvisamente spic-

cò il volo verso

l’isola. Battista si in-

ginocchiò e si sentì

pervadere da una

grande pace e mise-

ricordia verso gli al-

tri. Giunse le mani e

pregò ringraziando il

muto per il bene

fattogli e da allora

promise a se stesso

ed all’angelo che sa-

rebbe tutti gli anni

andato a fare un

pellegrinaggio in

Corsica.

Maurizio C., Fatjon,

Duda, Bensalm, Ha-

mid, Oumar, Rober-

to, Marco

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UN RACCONTO:

“FRA LE MANI”

C’era una volta in

un antico castello

cintato da alte mura

una multietnica co-

munità di mani che

a prima vista sem-

bravano non avere

particolari qualità.

Le mani, stufe di

questa situazione,

cercavano delle ri-

sposte alla loro esi-

stenza dentro il ca-

stello. Durante il vi-

aggio si persero

quattro mani nei

sotterranei. Una

volta trovati i com-

pagni, dal fondo dei

sotterranei udirono

la voce misteriosa

dello spirito che da

secoli aleggiava nel

castello. Lo spirito

chiese con tono

rombante alla prima

mano: - Perché sei

triste?

La mano rispose:

- Perché sono brut-

ta, gonfia e doloran-

te. Per questo mi

vergogno e mi na-

scondo sempre.

Lo spirito fece un

sorriso e chiese ad

un’altra:

- E tu perché ti na-

scondi lì dietro?

- Perché sono stan-

ca di essere derisa e

l’unica cosa che de-

sidero è di scappare

lontano. Lontano da

tutti.

Lo spirito rimase in

silenzio e pochi i-

stanti dopo si rivolse

alla successiva:

- Perché le tue mani

sono così segnate e

piene di cicatrici an-

cora fumanti?

- Perché sto cercan-

do di usarle per sof-

focare gli incendi

della mia vita.

Con tanta tristezza

in volto allora lo spi-

rito notò delle mani

particolarmente

scure e vigorose

ma, a differenza

delle altre, radiose.

Stupito da questa

serenità domandò il

perché.

Esse risposero:

- Perché siamo forti

e possiamo fare

quello che amiamo.

Sbalordito lo spirito

vide una mano che

danzava.

- Come mai questa

gioiosa allegria da

farti persino danza-

re?

- Non è vero, sto

semplicemente tre-

mando.

- Perché tremi? -

chiese lo spirito.

- Perché credo di

non aver fatto nien-

te di bello nella mia

vita.

Ad un certo punto

l’attenzione dello

spirito fu colta da

una mano che dipin-

geva. Incuriosito lo

spirito si avvicinò e

vide che tutte le

mani erano ritratte

sulla tela. Lo spirito

allora prese la tela e

la mostrò al gruppo.

Queste si spaventa-

rono alla vista della

propria immagine.

All’improvviso

dall’ombra uscì

l’immagine dello

spirito che non era

altro che una sem-

plice mano. Le riunì

con un forte abbrac-

cio e in loro nacque

un forte senso di

autostima e amor

proprio. Il gruppo

così capì che fino a

quel punto avevano

vissuto solo il lato

oscuro della loro e-

sistenza, perché tut-

te le mani possono

essere uno spirito.

Lorenc, Gianni, She-

ran, Anna, Miri, Die-

go, Rambo

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DUART PUNTORE

Pa shikoni duart tona,

sa të vogla, sa të njoma!

Duart tona

punëtore,

vizatojnë në fletore.

Presin bukur

me gërshërë, gepin kopsa

me gjilpërë.

Mbajnë tulla,

mbajnë gurë, duart tona

s’lodhen kurrë.

“Guardate

le nostre mani quanto sono piccole

quanto sono fragili

Le nostre mani lavoratrici

disegnano sui quaderni

Tagliano bene con le forbici

e cuciono i bottoni con l’ago

Tengono i mattoni, tengono i sassi

le nostre mani non si stancano mai.”

Commento:

Le mani della mia maestra ero piccolo.

Sono state mani di guida, di affetto, di accoglienza. Le ricordo con amore, e commozione.

Sono mani che mi hanno formato, e che rievocano in me momenti belli. Mani che mi hanno trasmesso valori umani che ancora oggi porto con me

mani impossibili da dimenticare…

Elio, Klodi, Simone

...poesie albanesi dedicate alle mani...

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“Ti tengo nelle mani,

amore mio creatura di vetro

con scintille di stelle. Ho paura…

Ho paura che tu cada e ti rompa”

Commento:

Mani che vogliono proteggere, alimentare il sentimento più profondo dell’essere umano, l’amore.

Mani che vorrebbero preservare da tutto il male il proprio amore. Mani che vogliono dare conforto, vogliono asciugare le lacrime, e vogliono dare una

forma alla passione.

Elio, Klodi, Simone

Te mbaj ne duar

Te mbaj ne duar, dashu-

ria ime. Krijese prej qelqi

me shkendijime yjesh. Kam frike…

Kam frike se mos me bie

edhe thyhesh

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VIAGGIO ATTRAVERSO GLI

OCCHI DI DUE AMICI

E’ singolare intraprendere un

viaggio in un continente lonta-

no, pur stando chiusi tra queste

mura.

Grazie al laboratorio denominato

“Zona508”, ai racconti, alle foto,

ai video realizzati da Gianluca e

Matteo nonché alle loro testimo-

nianze : ci hanno permesso di

volare lontano, oltre il nostro

Paese, in una terra magica, ric-

ca di colori, calore, profumi,

spezie, contrasti, amore e dolo-

ri, caste e ricchezze e tanto al-

tro : l’India.

Il viaggio non convenzio-

nale fatto dagli amici Gianluca e

Matteo, come ci hanno raccon-

tato gli stessi, si è potuto realiz-

zare grazie all’Associazione cul-

turale 7MIGLIA LONTANO, di cui

f a n n o a p p u n t o p a r t e ,

l’associazione ha lo scopo di rac-

cogliere fondi da donare alle On-

lus partners impegnate in tutto

i l m o n d o . L ’ a t t i v i t à

dell’associazione come si evince

dalla stessa denominazione, si

concretizza nello svolgimento di

viaggi in giro per il mondo con

l’obiettivo di documentare, con

immagini e parole, gli usi e i co-

stumi dei luoghi visitati. Una

missione estetica, mediatica (è

possibile seguirla passo passo

dai social) ma soprattutto soli-

dale.

È il viaggio intrapreso da Gianlu-

ca e Matteo, dicevamo appunto,

non convenzionale in quanto è

stato realizzato interamente a

piedi. Ad essi si sono uniti altri

gruppi, appartenenti ad altre

associazioni, conducendo il viag-

gio con i più disparati mezzi di

trasporto (auto, moto, mezzi

pubblici, biciclette, ecc…) per poi

darsi appuntamento in un luogo

ben preciso dell’India.

Il viaggio si è spinto quindi

oltre un classico itinerario stori-

co , artistico e culturale,ha tra-

sceso i limiti del turista tradizio-

nale per trasportarci nel vero

core pulsante di un subcontinen-

te smisurato, carico di milionaria

storia, magiche tradizioni, ma

anche spaventose contraddizio-

ni.

Il raccolto del viaggio e-

mana i colori vivi di una civiltà

profondamente diversa da quel-

la occidentale, a partire dai cibi,

fino ad arrivare al caos assor-

dante delle grandi città, alle

mucche che si muovono sacre

tra i passanti.

Le foto e i video realizzati

ci mostrano volti innocenti di

bambini inconsapevoli ancora

della povertà che li circonda,

sempre alla ricerca di un nuovo

turista che possa portar loro un

dono per farli gioire. Altre foto ci

mostrano invece adulti con volti

segnati ma fieri della vita tra-

scorsa tra le mille difficoltà.

Se mi fermo a riflettere,

colgo in questa esperienza il

vantaggio di entrare in contatto

con il diverso, che spesso intimi-

disce o, addirittura, ci fa paura

soltanto per il fatto di essere

sconosciuto.

Quanto ti trovi inserito in

quel contesto, osservi da un al-

tro punto di vista e capti cose,

fino a quel momento inesplora-

te, che ti danno arricchimento e

consapevolezza che la diversità

è una risorsa, che parole come

INTEGRAZIONE o, ancora di più,

INCLUSIONE, hanno una loro

fondatezza non perché adesso

vanno di moda, ma perché sa-

rebbero una strategia di una vi-

ta vincente per tanti che neces-

sitano di un progetto futuro, di

una nuova dimensione mentale

e culturale.

La scelta di Gianluca e

Matteo di intraprendere questo

viaggio a piedi mi intimorisce

ma allo stesso tempo mi affasci-

na: contare solo sulle proprie

forze fisiche e sull’aiuto della

gente che si incontra durante il

viaggio, ti permetto di scoprire i

tuoi limiti ma ti permette anche

di scoprire la forza che c’è in te

di spostare questi stessi limiti

oltre le tue aspettative. Tale

scelta, indubbiamente, più di

ogni altro mezzo di trasporto, di

intrecciare le più svariate rela-

zioni, anche spiacevoli, con le

persone che incontri innescando

in loro non poche curiosità, in

quanto rappresenti il “diverso”

dal loro punto di vista.

Mi sento personalmente di

ringraziare, e credo di interpre-

tare il pensiero di tutti coloro

che hanno ascoltato con interes-

se, la nostra cara amica Daniela,

che conduce il laboratorio

“Zona508” perché ci ha permes-

so di entrare in contatto con un

mondo sconosciuto, vite reali

seppur inimmaginabili per molti

di noi; di conoscere usi e costu-

mi incredibili, entusiasmanti e

stupefacenti che, difficilmente,

potremmo concepire nel nostro

vivere europeo.

Il dibattito animato che è

scaturito dopo l’esposizione del

viaggio, pieno di richieste di

maggiori delucidazioni, credo sia

la dimostrazione di come la pla-

tea abbia accolto con interesse il

racconto e, soprattutto, è emer-

sa la voglia di tutti noi di viag-

giare oltre i confini di queste

terribili mura.

Maurizio M.

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Steve McCurry

Era un pomeriggio del 2014 quando al museo di Scienze Naturali di Brescia Steve McCurry

incantava trecento persone non solo con la proiezione dei suoi lavori ma anche e soprat-

tutto con il racconto legato a quelle immagini: non la fredda cronaca del momento immorta-lato, ma ciò che l’aveva spinto a puntare

l’obiettivo e scattare. Quella che voleva esse-re una masterclass di fotografia si è subito

trasformata in una avventura coinvolgente dentro i luoghi e le situazioni e ‘dentro’

l’artista. Pluripremiato per ogni sua opera sia di guerra che ordinaria quotidianità, con la naturale capacità di immortalare una situazio-

ne apparentemente banale trasmettendo con immediatezza un senso di ‘movimento della

vita’ nella staticità della stampa. Colori forti come solo i colori della natura sanno essere, scene di disperazione o di enorme speranza

da leggere negli occhi e nei gesti delle perso-ne ritratte. La vita nelle sue accezioni estre-

me, colori e luci mai subiti o alterati, ma sempre funzionali al messaggio o anche sem-plicemente asserviti al gusto del bello senza

orpelli, del bello da godere perché inalterabile

per quanto naturale. Con la sua mano mette

a fuoco non l’attrezzo ma il movimento, ne sfrutta la luce propria con la dimestichezza

del rispetto per una immediatezza senza pari; di fronte ad un suo scatto si possono ricavare le impressioni più disparate, le emozioni più

diverse, ma comunque ci si sofferma. Il se-greto di un grande fotografo non è di cercare

di dare vita ad un’immagine statica ma far ‘muovere’ l’immagine dalla fantasia di chi la guarda. I grandi fotografi come i grandi artisti

della tela: le immagini crude di guerra di Ro-bert Capa come il Picasso del primo periodo,

quello di Guernica, Helmut Newton con i suoi nudi efebici e slanciati quasi alla Modigliani, i colori vivaci di Van Gogh per le immagini di

McCurry. La mano mette a fuoco, la mano muove il pennello. La mano, questo meravi-

glioso terminale delle nostre emozioni.

Franco

Non tutto il mondo vive con le nostre comodità, con il suo sguardo ci

dice che non è giusto, ma che è fiero di portare a casa il pane per la famiglia. (David)

Vita complicata, aiuto per la sua famiglia. (Gagandeep) Senso di tristezza, vuoto, paura. Occhi, che vista l'età, dovrebbero essere pieni di spensieratezza. Occhi che, troppo presto, hanno visto

il lato duro della vita, quello che un bambino, per diritto, non dovreb-be mai vedere. (Simone)

La tristezza nei suoi occhi, la durezza di quello che sta facendo invece che giocare spensierato con i suoi amici. (Alberto R.) I bambini sono l'immagine dell'amore e questo bimbo è amore.

(Franco Antonio) Le mie mani come i miei occhi, la fatica del lavoro, ma ancora la forza

e la voglia di stringere l'attrezzo e la vita. (Franco)

Multinazionali, sfruttamento di mani di chi non può ribellarsi a causa

di governi ladri e società ingiuste. (Rossano)

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Le sue mani fanno di lui uno strumento vivente, il suo sguar-

do lo rende degno di essere chiamato “uomo”. (David)

Dopo una lunga giornata di lavoro pesante mi sono fermato

un paio di secondi per fumarmi una sigaretta in pace e pen-

sare che sono libero (Soufiane)

Occhi stanchi, duri ma con una luce di speranza. È

un’immagine che mi trasmette rispetto e dignità. (Simone)

Fuori dalle viscere della terra, riposo, fumo, ma non spengo

la luce degli occhi (Franco)

Non ho paura del mondo, non ho paura delle sofferenze, ma

voglio morire delle mie mani. (Pjeter)

In pausa dopo il lavoro faticoso, la sua faccia stanca.

(FrancoAntonio)

Il riposo... dopo essere stato sfruttato da turni devastanti in

miniera ... mani stanche e vissute, vita dura ma degnamente

vissuta ... una sigaretta... relax. (Rossano)

Per lui non esistono alternative, si vede la stanchezza negli

occhi e il gusto di fumarsi una sigaretta, forse vizio costoso

per il guadagno di un lavoro in cui rischia la vita. (Alberto R.)

La nostalgia dell'assenza del padrone e la gioia di ritrovar-

lo... si sdraia felice e dorme sul suo cappello. (Gagandeep) Le mani sono distaccate una dall'altra e appoggiate sul ta-

volo. Il gatto sembra avvertire il senso di tenerezza e pro-tezione dell'uomo...accoglienza, affetto. (Simone) Sono in pace con me stesso e la mia mano lo sa, non di-

sturba nemmeno il leggero sonno del gatto. (Franco)

Un animale bello, bisognoso anche lui di coccole e amore.

La fiducia in una mano amica che, anche nella miseria ,

non ti maltratta ma ti protegge.(Rossano)

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Ci sono richiami a diverse religioni.

Questo per me potrebbe significare che nelle molteplici sfumature di ogni religione ci

deve essere un unico messaggio di amore e fratellanza. Le mani che si intrecciano con

tutti quei simboli vogliono essere messaggio di unione. (Simone)

Per me rappresenta la forma di accettazione definitiva della varietà religiosa e culturale

nel mondo, pensata da una persona profondamente spirituale, visto che per essa tutto

gira intorno alla saggezza e alla compassione, virtù comuni alle religioni ma difficilmen-

te fonte di intesa tra i popoli (David)

Tutte le religioni sono diverse ma in fondo sono uguali. (Gagandeep)

Ho fede, non importa quale. È la mia fede. (Franco)

Culture e religioni diverse legate peró dalla stessa passione. (Soufiane)

La fede è venuta in queste mani con compassione e rispetto. (Pjeter)

Troppi tatuaggi... molta confusione .

Mani da bullo di quartiere. (Alberto R.)

Le mani tatuate con i simboli di varie religioni possono avere vari significati o forse un

unico significato. (Massi e Luca)

Troppa confusione. Le mani devono essere pulite, sono la parte più bella del nostro

corpo. (Rossano)

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Le mani per pranzare

Sicuramente vi verrà in mente una mon-

tagna di farina, un bicchiere d’acqua, un salino e poi le mani che impastano ener-

gicamente la pizza su un tavolo… Ma io non voglio annoiarvi con una nuova

ricetta di pizza, sto pensando a qualcosa di diverso e spero di riuscire a interessar-

vi!

Mi ricordo di una giornata di primavera di 3 o 4 anni fa: stavo passeggiando per

Breescia avvolto dal profumo dei tigli e dal canto degli uccelli, due o tre coppie si

tenevano per mano quando incontrai Mi-

chaelle, una stupenda ragazza dell’Africa centrale di circa 28 anni che già conosce-

vo e con la quale decidemmo di andare a mangiare qualcosa; trascorremmo tutta la

sera insieme con la promessa di rivederci al più presto. La settimana successiva,

tornando da Odolo dopo il lavoro, mi fer-mai al supermercato per fare la spesa e

fu lì che la rividi. Mi chiede che cosa fa-cessi lì e, quando le dissi che ci abitavo,

mi rispose che anche i suoi genitori ave-vano casa a Odolo e che lei si stava occu-

pando di loro perché il padre aveva appe-na perso il lavoro. Proseguimmo insieme

la spesa e poi le chiesi di poterle dare un

passaggio fino a casa. Una volta arrivati mi venne incontro con un sorrisone il suo

fratellino e, allungando le manine per cer-care di aiutarmi, prese il sacchetto di riso

stringendolo forte come fosse un tesoro, come Paperon De’ Papero-

ni con la Numero 1!

Michaelle mi chiese di rimanere a cena e

accettai volentieri. Ciò che più mi colpì era il fatto che non

c’erano piatti in tavola ma solo una gran-de padella di circa 40cm: ci sedemmo at-

torno al tavolo io, Michaelle e i suoi geni-tori mentre il fratellino ci girava attorno

come una trottola. Mentre mi guardavo attorno in cerca delle posate, lui mi spun-

tò accanto ridendo e si aggrappò a me per salire sul tavolo e mettere le mani

nella pentola; Michaelle mi disse, un po’ imbarazzata, che loro sono abituati a

mangiare insieme con le mani tutti da una stessa padella ma che suo padre mi a-

vrebbe dato piatto e posate. Io chiesi pe-

rò di poter mangiare con loro e come loro e lì ho capito l’importanza di mangiare

con le mani! Guardando le persone attor-no a me che mi parlavano come fossi uno

di loro, sentii il tocco delle mani, ora deli-zia del palato, ora offerta del cibo come a

chiedere scusa od offrire un tesoro; fui imboccato per la prima volta da Michaelle

che, coi suoi genitori, mi ha mostrato e spiegato che cosa significa mangiare con

le mani e soprattutto mi ha trasmesso il senso antico di una cultura che sino ad

allora non conoscevo.

Rossano

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PERSONE SPECIALI=

MANI SPECIALI Oggigiorno sappiamo molto

bene che le persone prive di uno dei sensi come vista

ed udito, se non entrambi, possiedono una particolare

ed accresciuta sensibilità. La sordità ha conferito a

certi artisti in campo musi-cale una sorta di potere

magico, cioè la possibilità di comporre musica imma-

ginandola nella propria mente per poi eseguirla alla

perfezione, magari cantan-

do anche in maniera per-fetta a discapito del loro

handicap. A noi esseri umani normo-

dotati tutto ciò appare co-me un vero prodigio e non

possiamo fare altro che ammirare ed esaltare que-

sta categoria di geni asso-luti. Grazie al loro esempio,

abbiamo capito che pur senza sentire o vedere, il

nostro corpo possiede altre zone atte alla compensa-

zione di tali decifit. Come

nel caso dei polpastrelli che possiedono capacità uditive

in quanto membrane di pel-le, né più né meno dei tim-

pani. Chi è sordo percepi-sce ogni vibrazione e ne fa

proprio il ritmo, quella par-te più intima ed ancestrale

della musica, come lo sono tamburi e percussioni.

La ricerca ha dimostrato

che per capire la musica, non bisogna per forza ave-

re buon orecchio. Se l’udito non funziona e il mondo di

fuori è muto, basta tenere un palloncino tra le punte

delle dita. Lasciarsi attra-versare dalle vibrazioni del-

le frequenze, fare scorrere delle mani fino alla testa,

interpretare e muoversi a ritmo.

Ma torniamo alle mani ma-giche, strumenti attraverso

i quali esprimere il genio

che, oltre alla composizione ed esecuzione della musica,

vengono usate anche per comunicare in maniera ge-

stuale e teatrale. Splendido esempio di ciò sono i ra-

gazzini sordi che partecipa-no al progetto “mani bian-

che”, uno spettacolo in tournee per piazze e teatri

italiani, durante il quale un coro di normodotati canta

sulle note dell’orchestra e contemporaneamente un

gruppo di ragazzi sordomu-

ti, con mani guantate di bianco, interpreta la musica

in base alla lingua dei se-gni, rendendola viva e

comprensibile. Prima di tut-to, per le persone sorde

presenti, ma anche come stimolo visivo per i portato-

ri di ritardi cognitivi e di sindrome di down. Costoro

traggono benefici nello svi-

luppo della capacità di con-centrazione e di impegno,

alimentando nel contempo le doti di socializzazione e

di collaborazione. Personal-mente penso sia un’idea

molto intelligente ed inno-vativa che offre un nuovo

mezzo di comunicazione e da una grande opportunità

a tante persone in un’ottica di utilità sociale ed integra-

zione. Sono assolutamente con-

vinto che se avessi un figlio

portatore di handicap, spe-cialmente se fosse sordo,

sarei felice di accostarlo a questa realtà e di suppor-

tarlo nel caso fosse deciso a parteciparvi. Ne uscireb-

be arricchito umanamente e di sicuro soffrirebbe me-

no dello stress e della rab-bia che la sua condizione,

unita all’inevitabile sensa-zione di esclusione sociale,

potrebbe generare nel suo animo, rendendolo così più

sicuro di se stesso e più fi-

ducioso nel prossimo. David

M usica

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CONOSCETE GLI STOMP? IO NO…!

Avete mai pensato ad un rumore che di-

venta suono? Quattro simpatiche canaglie inglesi, metropolitane, ci hanno dimostra-

to che si può fare!

Più street art di così non si può. Ricavano musica da tutto ciò che noi vediamo per

strada, una cosa semplice, allo stesso tempo geniale! Da tanti anni a questa

parti gli Stomp riempiono i teatri di tutto il mondo con la musica, senza strumenti

che siamo soliti vedere sul palco. Senza nemmeno rendercene conto, ciascuno di

noi entra in teatro con qualcosa in tasca da cui gli Stomp possono ricavare musi-

ca. Ascoltando l’esibizione di questi ra-gazzi, guarderete gli oggetti con occhi di-

versi. Bidoni dell’immondizia, cerchi di

ruote, scalini in metallo, accendini, fiam-

miferi, scope e tanto altro che nelle loro mani sprigionano musica. Il pubblico vie-

ne coinvolto anche sul palco, invitato a “suonare” il primo oggetto che capita.

Non è forse questo un invito ad usare le nostre MANI, anche per dare un’anima a-

gli oggetti?

Elio, Livio, Franco 63

Lo spirito della musica

La musica è come un linguaggio immenso a cui non dobbiamo apprendimento

ci veste a festa e vive dentro ognuno di noi.

Come è bello immaginare i colori che si stendono

nella visione del volo di una farfalla che libra nello spazio

E ascoltare la muta melodia della sua leggerezza

negli archi e le viole che risuonano nel cuore

a far danzar la nostra anima.

Lorenzo

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c inema

Romania, 1992.

Tre anni dopo la caduta del regime di Ceausescu, Milod Oukili, clown di strada fran-cese di origini algerine, giunge a Bucarest. Qui si trova di fronte a una realtà terribile.

Centinaia di bambini dai tre ai sedici anni vivono nel sottosuolo della città sopravvi-vendo grazie a furti, accattonaggio e prostituzione. Miloud ha un sogno: vincere la

loro indifferenza a tutto.

Non sono mai stati amati e non sanno di essere capaci di amare; non sono mai stati al centro di nulla, per loro il margine è l’unico mondo possibile, non un mondo sferico

ma una sottile linea tra l’urlare disperati e non urlare più. Poi arriva lui, abile manipolatore di oggetti, non di persone: parla con loro, regala lo-

ro un’appartenenza geografica mai sopita veramente, unico flebile elemento rimasto di radici mai annaffiate. Vive con loro, lotta con loro e per loro, ridona un senso di

gruppo intorno ad un fuoco più vivo, fatto di musica, risate, maternità; ridona un o-rizzonte nuovo e più lontano e con lui quelle tante mani che fino ad allora erano ser-

vite solo a rubare , difendersi, picchiare e stringere un sacchetto sudicio pieno di finti

sogni, quelle mani scoprono di poter fare meraviglie con palline e birilli, carte e con i sorrisi della gente, ma soprattutto creare, tenendosi l’un l’altra, una piramide umana,

fidarsi uno dell’altro e, insieme, puntare finalmente in alto.

Franco 63

Regia: Marco Pontecorvo

Anno: 2008

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