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Settembre - Ottobre 2015 Autunno a Crotone di Teodoro Domenico Chiaravalloti

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Settembre - Ottobre 2015

Autunno a Crotone di Teodoro Domenico Chiaravalloti

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Brutto affare riconoscere i propri errori; non era possibile sbagliare su Goethe; eppure lo abbiamo fatto: gli abbiamo scippato la “e” interme-dia.Inutile cercare di nascondersi dietro la scusa del refuso, delle funzioni “copia e incolla” male utilizzate.Abbiamo sbagliato in un clima di vigilanza ridotta, di delega piena sen-za sufficiente sorveglianza, nonostante i solleciti della correttrice di bozze.Abbiamo sbagliato. Punto e basta; è come se avessimo messo un ele-fante a quadretti su una tovaglia a pallini: impossibile farlo ma è stato fatto. Chiediamo scusa a Goethe e ai lettori.Da qui, però, ripartiamo, dall’errore, proprio da lì per cogliere l’occa-sione che esso ci dà di riaccendere in tutti noi la consapevolezza del nostro limite. In quest’ottica di riaccensione, peraltro, si muove il nostro dossier, unitamente ad una possibilità che mai va accantonata, quella di ripartire sempre, mai azzerati.“Riaccendiamoli”: così si intitola, infatti, lo speciale che costituisce il cuore del nuovo numero di Kairos che avete per le mani.Chi o cosa dobbiamo riaccendere?I ragazzi e i giovani. E non solo. Prima di tutto costoro ma anche chi è più giovane di ciascuno di noi; pensiamo a tutti quelli che hanno meno anni di noi, ai quali dobbiamo imparare a fare spazio. E’ uno strano gioco di luci quello cui pensiamo. Di tale gioco abbiamo riempito lo spazio del dossier.Quando ci innamoriamo splendiamo di luce nuova e facciamo risplen-dere della stessa luce anche il nostro amato. Con la stessa dinamica di trasporto e cura vorremmo che i più giovani, quelli assolutamente più giovani, si illuminassero nuovamente attraverso un’azione di assun-zione di responsabilità che dovrebbe riguardare i più maturi, capaci, è l’auspicio, di farsi da parte.Come?Pensate, per esempio, all’ostinazione di cercare altro lavoro dopo il pensionamento per la paura di uscire di scena, di doversi fare i conti con l’anonimato di un quotidiano che terrorizza, di restare in famiglia, accanto ad un coniuge mal tollerante, a volte addirittura ignoto, e pen-sate alla risposta inusuale di farsi da parte, di dire: “Signori, sono fuori! E’ il tempo per Voi”. Una cosa via via sempre più originale.Invece succede che ci si accanisce a giocare al gioco delle poltrone: guai a perderne qualcuna… E quanto lavoro viene così tolto alle giovani leve, sempre più parcheg-giate a studiare anche dopo la laurea o le lauree?Quando inizieranno a lavorare costoro, ad essere autonomi, a proget-

EDITORIALE

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tare in termini di fattibilità concreta il loro futuro?Nel gioco delle luci noi pensiamo soprattutto … ad un nostro spegni-mento: ci si accende per amore e ci si spegne anche per amore, per fare luce e dare risalto e spazio agli altri.Incidenti di percorso frequenti e vari spezzano le luminarie desiderate.Impossibile, quando si parla di tutela dei più giovani, non ragionare an-che in termini di protezione da mode e tendenze inopportune: anche di questo ci siamo interessati con l’ausilio di una giovane giurista.Abbiamo collocato i consueti “Angolo dei ragazzi” e “Angolo dei giova-ni”, quest’ultimo fuso nel dossier per dare voce ad una bella iniziativa che vorremmo contagiasse anche i nostri territori, un’iniziativa all’inse-gna della accensione dei più piccoli.Precede il dossier uno spazio nel quale ci siamo interessati di temi di attualità europea, nazionale, della provincia crotonese e della stessa città di Crotone. Come non interessarsi della querelle “Europa si/Europa no”, del discusso provvedimento “La buona scuola”, della riforma della Pubblica Amministrazione ma anche della bella e assai nascosta legge italiana che riguarda la cultura del dono, di tanti dei numerosi appunta-menti sotto le stelle che hanno avuto luogo sotto i cieli della nostra lun-ga estate crotonese, dei contributi di spessore dei cultori delle materie umanistiche che vivono nella nostra terra?E’ stato un viaggio nel sole, fatto anche molto fuori dai nostri confini territoriali.Ed ancora, inauguriamo una stagione nuova nella quale diamo spazio alla letteratura calabrese, sia dei tempi passati che di quelli recenti, così come diamo il via ad una rubrica, “I segni in Tavola”, nella quale si par-lerà dei prodotti, come il vino e il pane, che vediamo sulle tavole eucari-stiche; ce ne interesseremo secondo una prospettiva nuova, guardando loro dalla Calabria e secondo il linguaggio della laboriosità calabrese.Già, laboriosità e non solo cose negative!Non dimentichiamolo!Inevitabile poi è stato interessarsi degli appuntamenti autunnali che ve-dono impegnata la Chiesa italiana nelle prossime settimane: il Sinodo sulla famiglia e l’incontro a Firenze sul nuovo umanesimo.A riguardo del primo non temiamo di dare voce a problematiche di cui si fa ancora silenzio per resistente imbarazzo e a riguardo del secondo ci piace pensare che come il Rinascimento, tempo di un nuovo umanesi-mo, ebbe in Firenze la sua centralità, così di nuovo a Firenze si prova a ripartire con un ennesimo nuovo/antico umanesimo.Il tutto, come sempre, immerso nei colori del nostro Sud, non solo in quelli crotonesi e non solo in quelli autunnali. Il gioco delle luci, così, continua nutrendoci; senza di loro non sapremmo stare e difatti quando ne siamo lontani il morso della loro nostalgia ci attanaglia lasciandoci inquieti, come fuori dalla pace di casa.A tutti buona lettura!

Lucia Bellassai

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SOMMARIO SETTEMBRE - OTTOBRE 2015

AUTORIZZAZIONE TRIBUNALE DICROTONE N° 1 DEL 29.01.09

Editore: KRISISAssociazione di PromozioneSocio-culturale e Teologica

Piazza Duomo - 88900 Crotone

www.kairoskroton.it

Redazione:Fortunato Morrone

Serafino ParisiFrancesco Antonio Spadola

Collaboratori:Antonella ParisiTullia Prantera

Aldo Truncè

Direttore Responsabile:Lucia Bellassai

e-mail: [email protected]

Segreteria:Gabriella Cantafio

Stampa:

Via 1 Maggio, 7388900 Crotone

e-mail: [email protected]

Progetto Grafico e Pubblicità

Via Inghilterra, 1088900 Crotone

e-mail: [email protected]

IN EUROPA

Per la Pace PerPetua di e. Kant

uscita della Grecia dall’euro conseGuenze Per l’italia e Per l’unione euroPea

IN ItAlIA

il Giorno del dono

la riForMa della PuBBlica aMMinistrazione

diriGere scuole ne “la Buona scuola”

l’ANGOlO DEI BAMBINI

IN ItAlIA

l’alternanza scuola – lavoro: un’oPPortunità di crescita

IN CAlABRIA

il Modello trinitario di Gioacchino da Fiore nell’uoMo e nella storia

A CROtONE

BreviariuM latine loQuendi

NEl tERRItORIO CROtONESE

a strata

la storia di un territorio

“c’era una volta il niGht” di cataldo aMoruso

il Palazzo ducale di verzino

PreMio letterario caccuri

SCRIttORI CAlABRESI

Giovanna Gulli’

lA VIGNEttA

DOSSIER: RIACCENDIAMOlI

il coMPlesso di saul

la natura si Fa da Parte

i Giovani d’oGGi

Moda e PedoPornoGraFia : lo scandalo voGue Paris

una Buona oPPortunità

I SEGNI IN “tAVOlA”

a ProPosito del vino

APPUNtAMENtI AUtUNNAlI DEllA CHIESA

nel caMMino della chiesa italiana verso il conveGno ecclesiale nazionale

a ProPosito del sinodo sulla FaMiGlia

su “instruMentuM laBoris”

lA CONtRORA

storie di Mare e cielo a crotone

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Quando il saggio comparve nel 1795, l’Europa era profondamen-te stanca della guerra. Si aveva desiderio di pace, ma serpeggiava molta inquietudine. Si aveva come un presentimento delle guerre spa-ventose che sarebbero accadute di lì a qualche anno. Kant aveva seguito con interesse e malcela-to entusiasmo gli eventi connessi alla Rivoluzione. Una sola volta i suoi vicini lo videro correre nella via. Era il giorno in cui la posta portava da Parigi a Königsberg, la notizia della proclamazione della “Dichiarazione dei diritti dell’uo-mo e del cittadino”. Quando seppe del trionfo della Repubblica e della disfatta dei re, comprese che pote-vano realizzarsi alcuni dei princi-pi in cui poneva grandi speranze. L’instaurazione di Repubbliche per il governo dei popoli europei è la condizione prioritaria per l’avven-to degli Stati Uniti d’Europa e per conseguenza di una pace che non sia soltanto una tregua tempora-nea. Ai popoli dovrà essere garan-tito il diritto alla libertà, il diritto all’uguaglianza.<<Associarsi è un darsi reciproca-mente l’uno all’altro nei limiti e per i fini convenienti; è un obbligarsi ad un tempo a servirsi e a rispettar-si gli uni e gli altri. Ogni persona sarà dunque un fine, nessuna può, né deve essere un mezzo. Nessuno sfruttamento dell’uomo per mezzo dell’uomo.>>La soluzione che per prima colpi-sce il suo pensiero è la costituzione

di una Federazione di popoli euro-pei. Ogni membro di questa fede-razione continuerebbe a formare uno Stato particolare, avente la sua autonomia, la sua Costituzio-ne, il suo Potere Legislativo, il suo Potere Giudiziario, il suo Potere Esecutivo, insomma il suo Gover-no. Questi Stati particolari, però, costituirebbero e manterrebbero sopra di loro uno Stato federale, la cui Legislatura, il Tribunale, il Consiglio esecutivo, reggerebbero l’insieme formato dagli Stati. Nessuna evoluzione sociale ed economica potrà mai realizzarsi senza una evoluzione correlativa della morale, il cui principio, già ricordato, è che ogni persona uma-na deve, dappertutto e sempre, es-sere considerata come un fine, mai come un mezzo. <<Primo articolo definitivo per la pace perpetua: la Costituzione ci-vile di ogni Stato deve essere re-pubblicana >>La costituzione fondata: primo, sul principio della libertà dei com-ponenti l’associazione (come uo-mini); secondo, su quello della dipendenza di tutti (come sudditi) da un’unica legislazione comune, e terzo, sulla legge dell’eguaglian-za (come cittadini); l’unica costi-tuzione che nasca dal concetto di un contratto originario su cui deve fondarsi ogni legislatura giuridica di un popolo, è la repubblicana.Ed ecco gli articoli preliminari ad una pace perpetua fra le nazioni.Articolo I.

Nessun trattato di pace deve esser considerato come tale, se stipulato con tacita riserva di argomenti per una guerra futura.Questo significa sopprimerne l’e-sistenza come persona morale e di questa fare una cosa.Articolo II. Non deve alcun Stato indipendente (poco importa se piccoloo grande) poter essere acquisito da un altro per mezzo di eredità, scambio, compera o donazione.Articolo III.Gli eserciti permanenti (miles per-petuus) devono col tempo intera-mente cessare.Articolo V. Nessun paese deve ingerirsi colla forza nella Costituzione o nel go-verno di un altro.<<Articoli definitivi per una pace perpetua fra le Nazioni>>Lo stato di pace tra gli uomini, vi-venti gli uni a lato agli altri, non è uno stato di natura (Kant non con-divide, a tal riguardo, la celebre te-oria di Rousseau sul cosi detto Sta-to di natura dell’uomo innocente!)

Ogni costituzione giuridica però, in quanto concerne le persone, sarà:1) conforme al diritto pubblico na-zionale (Staatsbürgerrecht) di un popolo (jus civitatis), 2) conforme al diritto internazio-nale dei popoli in rapporto gli uni agli altri (jus gentium), 3) conforme al diritto cosmopoli-tico (Weltbürgerrecht), in quanto

Per la Pace PerPetua di e. Kant

IN EUROPA

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uomini e Stati che stanno in rela-zione di vicendevole influenza gli uni sugli altri vengono considerati quali membri di una società uma-na universale (jus cosmopoliti-cum).>> << Una tale ripartizione non è pun-to arbitraria, ma necessaria all’idea di pace perpetua, giacché se anche uno solo di essi popoli, essendo in contatto ed esercitando un’influen-za concreta sugli altri, si trovasse tuttavia ancora allo stato di natura, sorgerebbe da ciò una condizione di guerra, dalla quale si tratta qui appunto di liberarsi.Ora, la Costituzione repubblicana, oltre alla purezza della sua origine, essendo nata dalle sorgenti limpide del concetto giuridico, ha inoltre la prospettiva di metter capo alla de-siderata evenienza della pace per-petua.La vera politica adunque non può fare passo alcuno, senza prima

IN EUROPA

aver consultata la morale; e ben-ché la politica sia, per sé, un’arte difficile, tuttavia l’accordo di essa colla morale non è punto un’arte, poiché, non appena si trovino in contrasto, la morale tronca i nodi che la politica non è in grado di sciogliere>>.Dalle citazione del saggio del grande filosofo tedesco appare evi-dente come Kant valuti quale con-dizione prioritaria per la creazione degli Stati Uniti d’Europa l’avven-to di stati repubblicani in cui siano garantiti i diritti fondamentali del-la libertà e dell’uguaglianza per gli individui e i popoli, che sia garan-tita una pace duratura (perpetua!) tra i popoli, che la condotta dei politici non sia mai disgiunta dal-la morale. Al rapporto tra morale e politica dedica una intera appen-dice:<<Posso bensì immaginarmi un politico morale, cioè uno che in-

tenda i principii dell’arte di go-verno in tal guisa che essi possano coesistere colla morale, ma non già un moralista politico che si foggi la morale a seconda della convenien-za dell’uomo di Stato.>>La dottrina kantiana su una Euro-pa composta da Stati a regime re-pubblicano in cui siano garantiti i diritti di Libertà e di Uguaglianza si avvale di una visone etica dell’ uomo inteso come persona moral-mente responsabile delle sue azio-ni. Soltanto questo potrebbe essere il cammino dell’Europa unita ed in pace.

Nicolino AielloDirigente scolastico a riposo

Crotoneda “Perchè non possiamo non

dirci europei”di Nicolino Aiello

Congi Editori pp.. 32-37

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Uscita della Grecia dall’EuroConseguenze per l’Italia e per l’Unione EuropeaStiamo assistendo in questi giorni al rischio di uscita dalla Unione Europea di un suo paese membro, la Grecia; nelle ultime settimane, infatti, giornali e televisioni ci pro-pongono quanto sta accadendo nel paese ellenico colpito da una crisi economica senza precedenti che si sta ripercuotendo anche sulla sua possibile uscita dalla U. E. E’ da dire che sin dalla sua costitu-zione, nel 1973 l’Unione Europea non è mai stata interessata da pro-blemi di fuoriuscita di paesi mem-bri, questo è il primo rischio serio di un abbandono, ed anzi, negli ul-timi 40 anni, con le politiche di al-largamento della U. E. si è passati dai 9 stati membri costituenti agli attuali 28, oltre quelli candidati a farne parte in un prossimo futuro.La Grecia è solo un piccolo ingra-naggio dell’area euro, non certo un perno centrale, il suo Pil pesa meno del 3% in Europa, eppure, in caso di uscita dall’euro o anche di default, l’effetto domino sui mer-cati, il cosiddetto contagio, seppu-re limitato, potrebbe avere riflessi rilevanti.La crisi greca viene da lontano ed in particolare inizia quando il presidente George Papandreou, a fine 2009, subito dopo le elezioni politiche dichiara che i precedenti governi greci avevano falsificato i dati di bilancio dei conti pubblici per permettere alla Grecia d’en-trare nell’euro, denunciando così di fatto il rischio di bancarotta del

Paese.Nel 2010, in seguito alle valutazio-ni fatte da parte delle agenzie di ra-ting internazionali, si sono diffusi i timori della crisi del debito pub-blico e nei primi giorni di maggio 2010 è stato definito un pacchetto di 110 miliardi di euro di aiuti in 3 anni, da parte dei paesi della zona euro. Da quel momento in poi è un sus-seguirsi di prestiti e finanziamenti da parte dell’ Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale, talvolta subordinati ad impegni presi da parte del governo greco ed a piani di austerità interni difficil-mente rispettati.Crisi che il popolo greco ha vissu-to in questi ultimi anni con un au-mento della disoccupazione sino a raggiungere tassi del 27 % ed oltre, taglio dei salari con conseguente aumento della povertà, licenzia-menti fatti dallo stato di dipendenti pubblici e che è culminata (potreb-be essere un eufemismo) con le immagini che tutti abbiamo visto delle code davanti alle banche dei cittadini greci per prelevare i pro-pri soldi, e con la borsa greca che ha perso diverse decine di punti percentuali (in primis i titoli ban-cari).Crisi che l’esito del referendum del 5 luglio 2015 non ha rallentato ed anzi, forse, ha esaltato poiché di fatto il popolo ed il governo gre-co hanno rinnegato il soggetto che li teneva in vita dal punto di vista

finanziario, visto che l’82,5% dei 280,8 miliardi di euro che costitu-iscono il debito pubblico ellenico sono dovuti a creditori istituziona-li.Solo alcuni dati: l’ Efsf (European financial stability facility: il fondo salva Stati) è il maggior creditore con una cifra pari a 130,9 miliardi di euro. I prestiti bilaterali concessi nel 2010-11 alla Grecia dai paesi membri dell’area Euro ammontano a 52,9 miliardi. Il Fondo moneta-rio internazionale ha una posizione creditoria di 21 miliardi di euro. La Banca centrale europea detiene infine 27 miliardi di titoli di Stato greci.

Con la vittoria del NO al referen-dum, il popolo ha ritenuto che non rispettare gli accordi economici e gli impegni finanziari presi con l’U.E. fossero manifestazione di libertà e di indipendenza economi-ca, ha ritenuto che l’uscita del pa-ese dalla U.E. fosse una conquista che avrebbe portato la nazione alla ripresa finanziaria e ad un nuovo sviluppo economico.Convinzione non lontana da certi pensieri politici che girano anche in Italia, non condivisibili, dettati forse più dal bisogno che spinge a compiere scelte estreme e spesso sbagliate, che da presupposti eco-nomici concreti e razionali.C’è da dire comunque che il fatto che Atene abbia saltato il paga-mento di 1,6 miliardi al Fondo mo-

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netario internazionale, con la con-seguente manifesta dichiarazione di insolvenza da parte dei creditori europei, non ha reso automatica e inevitabile l’uscita del Paese dalla zona euro.Per quanto riguarda le possibili conseguenze sul sistema economi-co nazionale ed europeo dell’uscita dalla Grecia dall’Unione Europea si esprimono le seguenti conside-razioni:“gli effetti sui mercati di un default della Grecia sarebbero limitati”; sono le parole rassicuranti pronun-ciate nei giorni scorsi dal ministro dell’Economia, Padoan, per com-mentare le ipotesi che la Repub-blica Ellenica non riesca a pagare tutti i propri debiti. Secondo Pa-doan, infatti, oggi l’Euro dispone di meccanismi interni capaci di impedire l’allargamento della crisi ad altri paesi; ed anche rassicura-no gli sforzi fatti da alcuni paesi come l’Italia, che hanno raggiunto una maggiore solidità finanziaria rispetto al passato.Nonostante le parole rassicuranti di Padoan, però, alcuni economisti hanno evidenziato come più che l’ipotesi di default della Grecia, ad avere ripercussioni sul sistema economico italiano sarebbero le conseguenze della possibile uscita della Grecia dalla Unione Mone-taria Europea. In questo caso, se-condo gli economisti, si potrebbe assistere in Italia ad una nuova impennata dello spread tra i Btp e Bund, cioè il differenziale di ren-dimento tra titoli di stato italiani e tedeschi; tale ipotesi porterebbe il governo italiano a pagare mol-ti interessi in più per finanziare il proprio debito pubblico, con una maggior spesa di pubblica di di-versi miliardi di euro l’anno.

Altro aspetto su cui fissare l’at-tenzione è l’ammontare dei crediti che l’Italia vanta nei confronti del-la Grecia; secondo i dati diffusi dal ministero, l’Italia è esposta verso la Grecia per una somma di circa di 35 miliardi di Euro tra crediti di-retti ed indiretti;Il timore, invece, per il sistema economico Europeo è che il venir meno del dogma dell’indissolubi-lità dell’euro crei sfiducia ed incer-tezza sui mercati e, possa generare volatilità nelle borse mettendo in difficoltà diversi paesi dell’U. ‘E., in particolare oltre l’Italia, la Spa-gna e perfino la Francia.Se ci fosse una Grexit, ed Atene abbandonasse l’euro, l’Unione monetaria diventerebbe un insieme da cui si può uscire; il sistema non sarebbe più irreversibile e questo, nel medio periodo rappresentereb-be “un pre cedente”, una possibili-tà in più, quella dell’uscita dall’eu-ro, che porterebbe il sistema in generale più fragile e meno capace di assorbire gli shock”.In pratica, la Grexit potrebbe signi-ficare che l’euro non è un vero pro-getto politico ma solo un’unione di cambi fissi tra i Paesi membri. Per evitare conseguenze peggiori, il Governatore della banca d’Italia Ignazio Visco afferma che la crisi greca “va governata”, che suona come un invito esplicito a trovare un modo per arrivare ad un haircut (sconto rispetto al valore di un’at-tività reale o finanziaria), un taglio del debito, o una sua ristrutturazio-ne per evitare che Atene finisca in default, visto che è di pochi giorni fa l’allarme lanciato dalla capita-le ellenica sull’assoluta mancanza dei fondi necessari per ripagare i creditori.Anche se il ministro Padoan usa

parole rassicuranti, il possibile ri-torno alla dracma di Atene non sarà una passeggiata neppure per l’Italia.

Giuseppe GravinaCommercialista - Crotone

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In foto un ingresso a Crotone di Teodoro Domenico Chiaravalloti

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IN ItAlIA

“Con la Legge 14 luglio 2015 n.110 (in GU, serie generale, n.167 del 21 luglio 2015) è stato istituito il “giorno del dono”. Tale ricorren-za è stata prevista per il 4 ottobre di ogni anno, festa di S. Francesco di Assisi. Il primo appuntamento con il Dono Day 2015 si terrà ad Expo Milano.“L’istituzione di questa giornata contribuisce a rimarcare, in manie-ra decisa, l’importanza delle prati-che donative all’interno del nostro tessuto economico e sociale”, ha dichiarato il Sottosegretario al La-voro e alle Politiche Sociali, Luigi Bobba. “Questa giornata - prose-gue il rappresentante del Ministero del lavoro - è un modo, non solo per dar voce e concretezza al lavo-ro di quei sei milioni di volontari che donano il proprio impegno e il proprio tempo in attività di alto va-lore sociale e che rappresentano la vera forza motrice del nostro Ter-zo Settore; ma è anche l’occasio-ne, per diffondere, soprattutto nei giovani, la cultura del dono quale momento di crescita personale”. Il Giorno del Dono avrà lo scopo di offrire ai cittadini l’opportunità di acquisire una maggiore consa-pevolezza del contributo che le scelte e le attività donative pos-sono recare alla crescita della so-cietà italiana, grazie a una forma di impegno e di partecipazione in cui i valori di libertà e solidarietà trovino un’espressione degna di essere riconosciuta e promossa. A questo fine la legge prevede l’or-

il Giorno del donoganizzazione di eventi, cerimonie e iniziative – a partire anche nelle scuole - senza oneri per lo Stato, per l’avvio di un’attività di sensibi-lizzazione e divulgazione costante e significativa volta a stimolare la pratica del dono. Le donazioni nel nostro paese sono molto significative. Gli italiani do-nano molto ma in modo discreto. Infatti, l’ammontare totale delle donazioni portate in detrazione o deduzione è sensibilmente inferio-re a quanto ricevuto concretamen-te dalle organizzazioni non profit in un determinato arco temporale di riferimento. “Con la delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, attualmente in discussione al Senato – conclude il sottosegre-tario - si intende razionalizzare e semplificare i regimi di deducibili-tà e di detraibilità delle erogazioni liberali, rendendo questa pratica più vantaggiosa per i contribuenti italiani con il fine di stimolare ul-teriormente le pratiche e i compor-tamenti donativi”.

Massimo VescogniAvvocato - Modena

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IN ItAlIA

La riforma della Pubblica Am-ministrazione è legge. L’Aula del Senato ha infatti approvato il ddl delega con 145 voti a favore. I con-trari sono invece stati 97 e nessun astenuto. La riforma della Pubbli-ca amministrazione vede dunque il traguardo, anche se bisognerà ora guardare alla sua attuazione. Sul-la rampa di lancio c’è una batteria di circa venti decreti. I primi arri-veranno in Consiglio dei ministri subito dopo la ripresa dalla pausa estiva. Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Ma-dia, parla di «due pacchetti» in linea di principio: un doppio bi-nario, da una parte tutte le misure antiburocrazia e dall’altra gli inter-venti volti al dimagrimento della macchina pubblica: basti pensare, solo per un esempio, al taglio delle c.d. “municipalizzate”.Trattandosi di una delega, la fase attuativa è quella più attesa. Visti i rimandi contenuti nel testo per Madia il numero di decreti sarà «superiore a 10 ma sotto i 20», da presentare «in due pacchetti». Uno, si può ipotizzare, sotto la testata “cittadini” e l’altro sotto quella “spending review”. Il rior-dino del pubblico impiego potreb-be arrivare anche con più calma, sotto forma di Testo Unico.Il presidente del Consiglio Matteo Renzi parla del dimezzamento dei tempi della burocrazia per la rea-lizzazione di opere di interesse ge-nerale: «ci impegniamo a presen-tare un bozza di discussione per il Parlamento a settembre». Quanto

alle società partecipate dal “pub-blico”, le idee d’intervento sono già chiare, con Renzi che conferma «una riduzione drastica, da 8.000 a 1.000». Madia però pone dei pa-letti, spiegando che nei tagli «non rientreranno» le quotate, e mette le mani avanti sulla tempistica: anche se i provvedimenti arriveranno a breve, il Testo Unico sul riordino del settore avrà «un orizzonte mi-nimo di dieci anni».

Venendo al crinale tecnico resta nondimeno il fatto, assai poco di-scutibile, che sotto l’ombrellone il Governo ha varato un provvedi-mento coraggioso e molto ampio sul piano dei contenuti seppure, come già più volte segnalato, quasi interamente “non auto-attuativo”; e se l’eterogenesi dei fini non pre-varrà, c’è da sperare che qualcosa di buono affiori a valle della sta-gione applicativa.Basti pensare, su tutto, all’enforce-ment espresso al principio “digital first”, attraverso un tentativo di riduzione del divario digitale an-che giusta predisposizione di una identità e di un domicilio, per l’ap-punto, digitali per i cittadini; alla riduzione dei tempi procedimentali in sede di conferenza dei servizi e di silenzio-assenso (immediata-mente operativo) tra Pubbliche Amministrazioni, anche laddove attributarie di interessi “sensibili” come l’ambiente o i beni culturali (circostanza che ha alimentato po-lemiche, peraltro del tutto prevedi-bili); alle misure in tema di libera-

la riForMa della PuBBlica aMMinistrazione

lizzazione, con previsione espressa dei casi per i quali un’attività può essere intrapresa, tra l’altro, sen-za autorizzazione preventiva; alle ulteriori disposizioni in tema di anticorruzione e di trasparenza; al riordino della dirigenza, con possibilità di decadenza dal nuo-vo ruolo unico (tripartito: statale, regionale, locale) per il dirigente non raggiunga gli obiettivi fissa-tigli dalla politica; alla previsione di tempi certi per il procedimento disciplinare nei confronti dei pub-blici dipendenti (anche non diri-genti); alla riorganizzazione degli uffici pubblici territoriali, con un ruolo di coordinamento affidato agli Uffici Territoriali dello Stato (oggi, le Prefetture), il cui numero è previsto in riduzione giusta ac-corpamento (e qui occorrerà essere prudenti, visto il ruolo di “punti di riferimento” che i Prefetti si sono guadagnati in sede locale nel corso di decenni di concreta operatività); alla istituzione del numero unico 112 nazionale per le forze di po-lizia, di cui molto si è detto; alla (peraltro, allo stato solo eventuale) soppressione del Corpo Forestale dello Stato con ri-attribuzione del-le pertinenti funzioni a Carabinieri e Vigili del Fuoco. Vi sono poi previsioni importanti delle quali si è detto singolarmente assai poco, e che invece non vanno dimenticate.Così, è stata prevista anche una riduzione delle Camere di Com-mercio, dalle attuali 105 a non più di 60; viene promossa la concilia-

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zione tra i tempi di vita e di lavoro dei pubblici dipendenti, anche per favorire eventuali cure parentali; per la dipendente pubblica vittima di violenza di genere inserita in un percorso di protezione sarà pos-sibile, a determinate condizioni, essere trasferita ad altra PA; viene ridisegnata la possibilità per i di-rigenti di conferire premi monetari ai subordinati, fino ad oggi più o meno indiscriminata (con enorme dispendio di spesa pubblica) e, oramai, contingentata ad un de-cimo dei dipendenti dell’Ufficio; viene prescritta la individuazione da parte degli enti locali di attività di interesse generale che esigono continuità e non discriminazione nell’accesso fisico ed economico da parte dei cittadini, con conte-stuale riduzione dei monopoli; vengono previsti requisiti di ono-rabilità per gli amministratori della società con partecipazione pub-blica, e maggiore trasparenza nel flusso di informazioni, specie di bilancio, con l’ente pubblico azio-nista.Anche se si tratta, ad oggi, per lo più di obiettivi, meglio esserse-li posti che averli trattenuti nella penna.

Giulio BacosiAvvocato dello Stato

già Magistrato fondatore di “Democrazia nelle Regole”

Roma

Francesco VitaleResponsabile Ufficio Stampa“Democrazia nelle Regole”vice coordinatore nazionale

Roma

In foto Portici di Crotone di Teodoro Domenico Chiaravalloti

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diriGere scuole ne “la Buona scuola”

Il 15 luglio sulla GU è stata pubblicata la Legge n. 107 , più comunemente conosciuta come Legge sulla Buona Scuola, ap-provata definitivamente dal Se-nato della Repubblica il 13 lu-glio 2015.La Legge 107 è già in vigore , è sta producendo effetti per la stabilizzazione di migliaia e mi-gliaia di docenti precari in atte-sa di un posto di lavoro stabile.L’iter della legge è stato mol-to osteggiato dal mondo della scuola per tanti motivi, non ul-timo il ruolo primario che dovrà assumere il dirigente scolastico nella gestione del personale e di tutta la vita scolastica. Parlare di dirigenza scolastica, in questo scorcio estivo, con i nervi scoperti dei docenti per la lunga protesta contro la Buo-na Scuola e per l’ansia con cui stanno vivendo le varie fasi del-la stabilizzazione, non è sem-plice per una serie di motivazio-ni :- La Legge 107, che sicuramente determinerà cambiamenti note-voli nella scuola, non è di facile lettura per la sua strutturazione in un unico articolo, suddiviso in 212 commi, senza titoli;- Mancano molti tasselli, la cui strutturazione, affidata con de-lega amplissima con il comma 180 al Governo, su tanti am-biti: dalla formazione iniziale per dirigenti scolastici e docen-

ti, alla generalizzazione della scuola dell’infanzia sul territo-rio nazionale, al potenziamento dell’offerta formativa, all’indi-viduazione dei livelli essenziali di prestazione, ad altro;- Sono definite nuove modalità per l’assunzione con concorso e tirocinio triennale;- Sono promossi i finanziamenti delle scuole tramite erogazioni liberali;-Sono promosse la formazione di Reti e di scuole innovative;-E’ codificata la revisione strut-tura Comitato di valutazione ;-Vi è l’introduzione del Portale Unico della Scuola;-Viene promosso un Piano per le competenze digitali;-Vengono introdotti i tirocini di alternanza scuola-lavoro in tutti gli istituti d’istruzione seconda-ria;-E’ previsto un Bonus per il me-rito;-E tanto altro.In tutte queste novità che si sus-seguono da un comma all’altro senza un vero filo conduttore, alcuni comma, in particolare dal 78 all’85 , sono dedicati al ruolo del dirigente scolastico. A dire il vero, nell’elencare i compiti e le funzioni del dirigente scola-stico, la legge rinvia al D.L.vo 165 del 2001 con cui erano già definiti i compiti e le funzioni del personale dirigente. Certo, peraltro, non si può negare che

la legge n. 107/15 irrobustisce il ruolo del dirigente scolastico nella gestione della scuola, nel-la selezione del personale do-cente e nella valutazione delle sue prestazioni.

Difatti, il comma 79, prevede che il dirigente scolastico “ A decorrere dall’anno scolastico 2016/2017, per la copertura dei posti dell’istituzione scolastica, propone gli incarichi ai docen-ti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento, prio-ritariamente sui posti comuni e di sostegno, vacanti e disponi-bili, al fine di garantire il rego-lare avvio delle lezioni, anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesi-mi e della precedenza nell’asse-gnazione della sede “.

Dalla lettura del comma 79 , si evince che il dirigente scolasti-co non assumerà per chiamata diretta il personale docente di cui ha bisogno per l’attuazione del Piano triennale dell’offerta formativa , ma selezionerà il personale tra i docenti a tempo indeterminato che hanno pre-sentato la propria candidatura per quel determinato incarico.Tale procedura certamente in-nova e rivoluziona il sistema di mobilità del personale docente all’interno dell’articolazione territoriale di riferimento, che

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allo stato attuale corrisponde alla provincia, ma che in futuro potrebbe avere un’altra defini-zione.E’ chiaro che il dirigente sco-lastico, prima della selezione del personale, dovrà esplicitare e rendere pubblici criteri chiari e obiettivi cui riferirsi per la scelta del personale. Oggi, il personale si sposta in base ad un punteggio desunto da una valutazione di servizi, titoli ed esigenze familiari, domani lo spostamento potrebbe avvenire semplicemente per la valorizza-zione di una esperienza molto significativa in un determinato ambito disciplinare.Sicuramente vengono ridimen-sionati i diritti soggettivi dei docenti e prevale la ricerca del personale più qualificato per ri-spondere meglio alle richieste di qualità dell’utenza. Si potrebbero verificare soprusi e ingiustizie, ma è nell’interesse del dirigente scolastico operare con responsabilità, equilibrio e trasparenza se vuole eserci-tare il suo ruolo con autorevo-lezza riconosciuta per garantire un’efficace ed efficiente gestio-ne di tutte le risorse disponibili, finalizzandole al buon funzio-namento scolastico.

Il ruolo del dirigente scolastico si esprime nella gestione uni-taria dell’istituzione scolastica tramite un ampio ventaglio di attività che consentono a tutte le componenti scolastiche di lavo-

rare per il raggiungimento degli obiettivi fondamentali dell’isti-tuzione, esplicitati nel Piano triennale dell’offerta formativa quali :

“il potenziamento dei saperi e delle competenze delle stu-dentesse e degli studenti e per l’apertura della comunita’ sco-lastica al territorio con il pieno coinvolgimento delle istituzioni e delle realta’ locali.”

Tali obiettivi possono essere raggiunti solo tramite un’azione costante e mirata del dirigente scolastico, illuminata da crite-ri trasparenti e pubblici per la promozione e valorizzazione di tutto il personale scolastico tra-mite la collaborazione del rifor-mato Comitato di valutazione. Difatti, il comma 129, stabilisce la nuova composizione e nuovi compiti del Comitato per la va-lutazione dei docenti:

“Presso ogni istituzione scola-stica ed educativa e’ istituito, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il co-mitato per la valutazione dei docenti. 2. Il comitato ha durata di tre anni scolastici, e’ presieduto dal dirigente scolastico ed e’ costi-tuito dai seguenti componenti: a) tre docenti dell’istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio di istituto;

due rappresentanti dei genitori, per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione; un rappresentante degli stu-denti e un rappresentante dei genitori, per il secondo ciclo di istruzione, scelti dal consiglio di istituto; c) un componente esterno indi-viduato dall’ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici. 3. Il comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docen-ti sulla base: a) della qualita’ dell’insegna-mento e del contributo al mi-glioramento dell’istituzione scolastica, nonche’ del successo formativo e scolastico degli stu-denti; b) dei risultati ottenuti dal do-cente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alun-ni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonche’ della collaborazione alla ricerca di-dattica, alla documentazione e alla diffusione di buone prati-che didattiche; c) delle responsabilita’ assunte nel coordinamento organizzati-vo e didattico e nella formazio-ne del personale. 4. Il comitato esprime altresi’ il proprio parere sul superamento del periodo di formazione e di prova per il personale docente ed educativo. A tal fine il comi-tato e’ composto dal dirigente scolastico, che lo presiede, dai docenti di cui al comma 2, lette-

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ra a), ed e’ integrato dal docen-te a cui sono affidate le funzioni di tutor.”

Indubbiamente, questo comma della Legge 107 in relazione ad altri che dettano regole sul su-peramento del periodo di prova (c. 117 e c. 118), sull’assegna-zione del Bonus per merito ( c.c. 127 e 128), sull’assegna-zione incarichi (c.c. 79,80,81), sull’individuazione dei docenti coordinatori ( c. 83), genera ansia nei docenti, che temono d’incontrare nel loro percorso professionale dirigenti scolasti-ci non all’altezza del delicato

compito. Sfiducia , confermata dalla corruzione dilagante ne-gli enti pubblici, che avvelena il rapporto dei cittadini con gli or-ganismi dello Stato. Basti pen-sare agli scandali di Roma Ca-pitale, o a quelli del terremoto dell’Aquila e ai tanti episodi di corruzione quotidiani alla ribal-ta dei mass media.

Tuttavia, senza voler sminuire la preoccupazione di una così grande parte del mondo del-la scuola per le problematiche esplicitate, bisogna guardare al futuro della scuola con speranza e fiducia per un semplice dato

di fatto: “ gli onesti sono più numerosi dei disonesti”, e cer-tamente i dirigenti scolastici s’impegneranno per valorizzare le competenze di tutti i docen-ti, per promuovere i vari talenti degli alunni, per realizzare la didattica laboratoriale, per ela-borare percorsi di formazione in servizio interessanti, per rende-re sicuri e attraenti gli ambienti scolastici, per realizzare, come fanno tutti i giorni, la Buona Scuola.

Eugenia GarritaniDirigente scolastico

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l’ANGOlO DEI BAMBINI

Disegno di Fabiola C.

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l’alternanza scuola – lavoro: un’oPPortunità di crescitaLa tanto contestata “buona” scuo-la, per certi versi, era buona anche prima e sarebbe bastata una lettu-ra comparativa con le disposizioni precedenti per evitare tanti clamo-ri. Le linee di principio della Leg-ge 107/15 riportano a sentieri già battuti: il potenziamento e la va-lorizzazione delle competenze lin-guistiche, logico – matematiche e scientifiche, quelle di cittadinanza attiva e lo sviluppo delle compe-tenze digitali appartengono, infatti, alla tradizione di sinistra da Luigi Berlinguer a Beppe Fioroni.La finalità, dichiaratamente am-biziosa, di “affermare la centralità della Scuola nella Società della Conoscenza” induce, però, questa volta, il Legislatore ad ampliare il ventaglio dei “saperi” e delle “edu-cazioni”.Compaiono, così, la pratica e la cultura musicale, il cinema e l’ar-te, la produzione delle immagini, la riflessione sulla pace, l’intercul-turalità, la sostenibilità ambientale, tante suggestioni che sbocciano in una “scuola aperta, laboratorio permanente di ricerca, sperimenta-zione e innovazione didattica”.Ma quello che ancora, forse, non è chiaro a tutti è che il vero profi-lo della “ buona” scuola emergerà dai Decreti Legislativi che, stando ai commi 180 e 181, Il Governo andrà “ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigo-re della presente legge, al fine di provvedere al riordino, alla sem-

plificazione e alla codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione”. E, quindi, se La Legge 107 ha il merito di avere messo sul tappeto i problemi della Scuola Italiana, in tutta la loro complessità, eviden-ziando le connessioni funzionali tra la qualità degli apprendimenti e la professionalità del personale do-cente, la trasparenza delle proce-dure e le prestazioni del Personale ATA, il Piano dell’Offerta Forma-tiva e la crescita del Territorio, la continuità didattica e il precariato, il pieno utilizzo degli Edifici Sco-lastici e la messa in sicurezza delle strutture, la corretta applicazione delle nuove tecnologie e i van-taggi della banda larga anche per la Scuola, il meglio deve ancora venire, anche in virtù della portata degli investimenti che non ha pre-cedenti nella Scuola Italiana.Da una attenta lettura traspare, in filigrana, come elemento di pregio la valenza formativa del Testo, an-corata al Principio di Responsabi-lità.Questa trascende le “educazioni” e coinvolge tutti gli attori del Siste-ma Scuola: dagli alunni al Perso-nale Docente ed ATA, dal Governo agli EELL ed alle Parti Sociali.E, naturalmente, al Preside che, a parere della piazza, con questa Legge, vede rafforzati i suoi “ po-teri” con tutte le conseguenze che questo comporta.Si grida allo scandalo perché “a decorrere dall’anno scolastico

2016/2017, il Dirigente Scolastico propone gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all’ambito terri-toriale di riferimento, prioritaria-mente sui posti comuni e di soste-gno, vacanti e disponibili, al fine di garantire il regolare avvio delle lezioni”.Ma… questa non è una novità! Ac-cadeva ed accadrà, anche quest’an-no, che, esaurite le operazioni di nomina da parte delle articolazioni territoriali dell’ Ufficio Scolastico Regionale, ciascuna Istituzione Scolastica nominerà sui posti resi-duali rimasti vacanti fino al termi-ne delle lezioni.Cambia, con questa Legge, il fatto che “ l’incarico ha durata trienna-le ed è rinnovabile purché non in contrasto con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa”. Si tratta, certamente, di un atto de-licato che comporta il rispetto del-la trasparenza e concorre, insieme, con altre attribuzioni, a gravare su un impegno che merita molta cau-tela.Si è detto che l’aspetto più interes-sante della norma sta nella peda-gogia della responsabilità, ambito nel quale si colloca l’Alternanza Scuola Lavoro, strategia didatti-ca già nota, almeno all’Istruzione Professionale, introdotta negli Anni Novanta con “ Progetto 92”, documento che rimane, ancora oggi, la matrice di tutte le Riforme che hanno attraversato la Scuola Italiana.Ripresa dalla Moratti con l’Art.4

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della legge 53/03, e declinata nel Decreto Legislativo 15 aprile 2005, n. 77, l’Alternanza compare nelle disposizioni successive, ema-nate dalla Gelmini, in particolare nel DPR 89/10 – Riordino Licei –, nel DPR 88/10 – Riordino Istituti Tecnici, nel DPR 87/10 – Riordi-no Istituti Professionali, nella Di-rettiva 65/10 – Linee Guida Istituti Professionali. Viene, ora, riproposta (Art.1 commi 33 – 41) negli Istituti Tec-nici e Professionali per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 h. e, nei Licei, di almeno 200 h.La cosa sorprende perché, nella Società del Terzo Millennio, che coniuga il sapere umanistico con il sapere scientifico e tecnologico, non ci dovrebbe essere differenza tra Indirizzi di Studio tradizional-mente deputati al Lavoro ed In-dirizzi, sempre tradizionalmente, orientati alle Professioni, come se il Medico o l’Avvocato o l’Inge-gnere non lavorassero come lavo-ra un Tecnico della Grafica e della Pubblicità o un Geometra.Sembra, questa, l’unica stonatura, atteso che la Legge, in molti pas-saggi, spiana la strada alla pratica dell’Alternanza.Inserita nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa, l’attività si può svolgere,anche, nel periodo di sospensione delle lezioni in ac-cordo con le realtà produttive del Territorio, con i soggetti del Terzo Settore e con gli Ordini Profes-sionali, i Musei e gli altri Istituti Pubblici e Privati che operano nei Settori del Patrimonio e delle At-

tività Culturali, Artistiche e Musi-cali e, anche, con Enti che svolgo-no attività afferenti al Patrimonio Ambientale o Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI. Sembrerebbe ampliata la rosa del Partenariato, ma, in realtà con questi ultimi Soggetti si è lavorato anche in precedenza.Il quadro normativo agevola le Istituzioni Scolastiche che intra-prendono il percorso attraverso al-cune misure importanti: il Registro Nazionale delle Imprese per l’Al-ternanza Scuola Lavoro, istituito presso la CCIA, la Carta dei Di-ritti e dei Doveri degli Studenti in Alternanza, la possibilità di espri-mere una valutazione di merito, sulle Azioni promosse dal Sog-getto Partner, in fase di attuazione del percorso da parte del Dirigente Scolastico e dell’alunno.Il Decreto Legislativo 77/ 2005 non aveva affrontato questi aspetti sic-ché toccava al Dirigente Scolastico andare alla ricerca dell’ Imprendi-tore “illuminato” e “convincerlo” a rendere disponibile la propria struttura, previa corresponsione, di una cifra, seppure irrisoria, da versare nelle casse dell’Azienda. Bisognerà vedere quante e quali Aziende daranno la loro disponibi-lità nella nostra realtà territoriale!La Carta dei Diritti e dei Doveri ha la sua rilevanza in quanto defini-sce la natura del rapporto e porta nell’azienda il ragazzo con suo “ status” che deve essere rispettato e lo impegna a comportamenti co-erenti con le regole che vigono in un ambiente di lavoro. Ed è impor-tante, anche, che lo studente possa esprimere una valutazione sull’ef-

ficacia del percorso che svolge in Azienda dove, a volte, viene re-legato in un ruolo di “osservatore passivo” ed impegnato in attività del tutto marginali.Non è chiaro, però, quale inciden-za avranno eventuali valutazioni negative espresse dagli allievi e dal Dirigente Scolastico sulla pro-secuzione del rapporto e sulla per-manenza del partner nel Registro dell’Alternanza. Rimane evidente che il rapporto Scuola – Impre-sa andrà definito e specificato nell’Accordo di Rete e che il Le-gislatore dovrà esprimersi in caso di reiterate inadempienze da parte dell’Azienda.Stabilito che la Legge 107 restitu-isce a questo intervento formativo quel colore che era andato sbiaden-do con la Riforma Gelmini, vale la pena di soffermarsi sulla “ pedago-gia dell’Alternanza” e sui vantaggi che ne discendono.Le considerazioni che seguono non hanno la pretesa di essere esaustive, né , tanto meno, di pro-porre un modello preconfezionato. Rappresentano, piuttosto, un sug-gerimento a sostegno degli attori di un processo, non semplice, in cui devono trovare punti di congiun-zione logiche e linguaggi diversi. L’Alternanza Scuola Lavoro è un modello pedagogico basato sulla reciprocità dei processi del “pensa-re” e del “fare”; potenzia l’autono-mia scolastica e qualifica l’offerta formativa. Si snoda, all’interno del curricolo con la finalità di attuare modelli di apprendimento flessi-bili, aderenti agli stili ed ai ritmi cognitivi degli allievi, di promuo-vere azioni formative più adeguate

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alla diversità delle intelligenze, di favorire l’acquisizione di cono-scenze e competenze spendibili nel Mercato del Lavoro, di orientare l’allievo a costruire il progetto di sé, di sollecitare la vocazione pro-fessionale, di realizzare un colle-gamento tra la Scuola, il Mondo del Lavoro e la Società Civile, di correlare l’offerta formativa allo sviluppo economico e sociale del Territorio.L’innovazione sta nel passaggio dall’ apprendimento per discipline all’apprendimento per competen-ze; nel rendere funzionali i conte-nuti di tutte le discipline, generali e di indirizzo, alle competenze da conseguire; nella integrazione dei saperi scientifici e tecnologici con i saperi linguistici e storico – so-ciali, nel quadro degli assi culturali e delle competenze di cittadinan-za; nella dimensione laboratoriale dell’insegnamento – apprendimen-to.L’impianto didattico, di competen-za del Consiglio di Classe, meglio se integrato dal Tutor aziendale, regge su un sistema reticolare arti-colato secondo sequenze modulari autoconsistenti cui corrispondono obiettivi misurabili e competenze che l’Istituzione Scolastica deve certificare.La sequenza modulare è strutturata in unità di apprendimento equiva-lenti da realizzare in un contesto integrato.La progettazione didattica dovrà indicare con chiarezza le cono-scenze e le competenze di base, trasversali e tecnico- professiona-li che si intende conseguire, indi-viduare gli strumenti di verifica e

i criteri di valutazione che vanno sempre concordati con l’Azienda.Entrambi i Sistemi Formativi, cioè la Scuola e l’Azienda adotteranno metodologie interattive individuali e di gruppo. Il gruppo, infatti, fa-vorisce il confronto, il potenzia-mento delle capacità relazionali, l’abitudine a lavorare in team, il rispetto dei ruoli e degli impegni.L’ambiente ideale di apprendimen-to è quello del laboratorio inteso come spazio virtuale nel quale il formatore organizza itinerari di ricerca – azione attraverso attivi-tà di: action – oriented learning, cooperative learning, learning by doing .L’apprendimento in Alternanza si innesta in un sistema reticolare di ruoli, di funzioni e responsabilità che agisce su piani diversi , ma complementari.La governance appartiene all’Area del Management Aziendale e Sco-lastico cui spetta il compito di sti-pulare un Accordo che, nel rispetto dei ruoli e delle funzioni, consenta di ottimizzare le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibi-li, quello di governare il processo e di valutare i risultati.L’Area di Gestione del progetto procede, invece, alla stesura del Piano di Formazione delle risorse professionali impegnate, verifica l’andamento didattico del proget-to e la sua coerenza rispetto agli obiettivi, seleziona, rielabora e cura la diffusione delle buone pras-si.L’area tutoriale presidia lo svilup-po delle competenze degli studenti ed il raccordo tra l’Istituzione Sco-lastica, il Mondo del Lavoro ed il

Territorio.Il Tutor interno alla Scuola è il do-cente che assiste, guida gli studenti e verifica il corretto svolgimento del percorso.Predispone, di concerto con il Tu-tor Aziendale il Diario di Bordo, la Scheda di Osservazione Azienda (per l’Alunno) e la Scheda di Os-servazione Allievo (per l’Azienda)Il tutor Aziendale favorisce l’inse-rimento dello studente nel contesto operativo, lo assiste nel percorso di formazione sul lavoro, controlla e verifica l’attività e valuta l’effica-cia del processo formativo.C’è da dire che non tutte le Azien-de dispongono di risorse umane competenti nella mediazione di-dattica. Capita, infatti, che un qua-dro aziendale, anche molto bravo, incontri difficoltà ad interagire con i ragazzi in situazione di apprendi-mento; sarebbe opportuno, quindi, che l’Imprenditore, che si rende disponibile nel Registro dell’Al-ternanza, si preoccupi di avviare piani di formazione specifici per il personale che ritiene di coinvolge-re nell’attività.La Carta dei Diritti e dei Doveri degli studenti in Alternanza rap-presenta una traccia utile alla ste-sura del Patto Formativo che va stipulato con i ragazzi.Sarà cura del Dirigente Scolastico, inoltre, redigere un Organigramma Funzionale inteso come documen-to che formalizza i compiti, i tempi di lavoro, le responsabilità, i risul-tati che si prevede di ottenere dal-le figure professionali, impegnate, nella scuola, a vari livelli, nel per-corso formativo.Il Documento risponde ad un crite-

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rio di qualità, ad indicatori di effi-cacia e di efficienza e rende traspa-renti le procedure.La tappa finale del percorso è la Valutazione di Processo atto che ha lo scopo di condividere le re-sponsabilità in ordine:- a quali modificazioni sono inter-venute rispetto ad atteggiamenti e comportamenti degli allievi;- a quanto efficacemente è stato fatto in relazione agli apprendi-menti disciplinari, alla scoperta vocazionale, alle competenze pro-fessionalizzanti;- alle condizioni in cui è stato fatto e quali sono stati i punti di forza e i punti di debolezza;- al gradimento degli alunni, delle famiglie, dei tutor, delle Imprese, della Scuola.La gestione della Pedagogia dell’alternanza è complessa, ma presenta molti vantaggi per tutti gli attori coinvolti.Quali sono i vantaggi per gli allie-vi?L’inserimento in un contesto di lavoro facilita processi di acqui-sizione di competenze relazionali ed organizzative finalizz ate alla soluzione di problemi; sollecita la riflessione e l’impegno, concor-re al consolidamento dell’identità personale perché è l’occasione per la messa a fuoco di interessi, aspirazioni e valori in quanto l’Al-ternanza è una forma di apprendi-mento mirato a stimolare la curio-sità intellettuale e l’assunzione di responsabilità.La Scuola, attraverso la progetta-zione didattica integrata, si mette nelle condizioni di formulare Piani di Studio coerenti con le richieste

che provengono dal contesto socio – economico e culturale e risponde al suo ruolo di Agente di Sviluppo del Territorio.La collaborazione con le Istituzio-ni Scolastiche consente alle Impre-se di valorizzare la dimensione for-mativa del lavoro ed investire nella preparazione di risorse umane fun-zionali ad uno specifico settore con la possibilità di allestire una Banca Dati di risorse professionali quali-ficate in grado di inserirsi opportu-namente nel ciclo produttivo.Infine la sinergia tra Istituzioni Scolastiche e Mondo del Lavoro favorisce la formazione del cittadi-no lavoratore, lo sviluppo di politi-che attive per il lifelong learning e la crescita del territorio.Pertanto, sarebbe auspicabile che le Scuole, in rete tra loro, proce-dessero alla stipula di un Patto Formativo Territoriale nel quale coinvolgere, oltre che i decisori economici, anche quelli politici al fine di disegnare un progetto di sviluppo del contesto di riferimen-to al quale la scuola, in base alle sue competenze, potrebbe dare il proprio contributo.In fondo la qualità della relazio-ne che si sviluppa fra la scuola ed il territorio è la condizione di un buon governo delle politiche dell’istruzione e dell’educazione .

Rosa Maria RomanoDirigente scolastico a riposo

Crotone

Isole Eolie di Teresa Amoruso

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IN CAlABRIA

il Modello trinitario di Gioacchinoda Fiore nell’uoMo e nella storiaIl modello delle relazioni fra le persone della Trinità, alle quali corrispondo le loro mis-sioni nel tempo, costituisce la chiave di letture del pensiero di Gioacchino da Fiore, sia in riferimento alla sua concezio-ne dell’uomo e della storia sia in relazione alla sua esegesi biblica. Tante manipolazioni e tanti fraintendimenti del suo messaggio sono dovuti al fatto che non si è valutata adegua-tamente la sua teologia trinita-ria, oggi per altro attualissima. Il linguaggio spesso simbo-lico, evocativo e figurale, col quale egli ci accosta al mistero del Dio trinitario, estrapolato dalla robusta armatura concet-tuale del suo discorso teologi-co, è stato occasione e pretesto per accuse e deformazioni del-le sue idee. Nella percezione più diffusa, il modello trinita-rio della storia della salvezza, vario e complesso nelle sue scansioni, nei suoi numeri e nelle sue estensioni, è ridotto al solo schema delle tre età. La terza età, quella dello Spirito, è stata scorporata, enfatizzata e secolarizzata tanto da essere sovente confusa con una for-

ma di utopia ideologica. Emer-ge inoltre sempre più chiara la sua originale antropologia, che andrebbe valorizzata e svilup-pata anche nelle sue proiezioni sociali e pedagogiche: l’uomo, creato a immagine di Dio, a di-mensioni trinitarie e ogni per-sona umana ha una prevalente somiglianza con una delle tre persone divine, per cui ha at-titudini ed inclinazioni che lo orientano nelle scelte di vita e del suo ruolo sociale.

A cura diGiuseppe Riccardo Succurro

Presidente Centro Studi Gioachimiti

San Giovanni in Fiore

In foto interno Abbazia San Giovanni in Fiore

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A CROtONE

BreviariuM latine loQuendiIl Breviarium è un quaderno di ap-punti dedicato a quanti amano il latino e vogliono ripercorrere un cammino che sa di antico, attraver-so le tre operazioni essenziali della conoscenza della lingua: leggere, comprendere, tradurre.Per rispondere alle sollecitazioni che ci vengono da una considera-zione di Salvatore Battaglia che lamentava che lo studio del latino e della civiltà godeva ancora della protezione dell’insegnamento uffi-ciale, ma che non riusciva a supe-rare la fase meramente scolastica e con difficoltà e di rado si tramutava in autentico acquisto intellettuale, giacchè ad una più diffusa divulga-zione del sapere non corrisponde-va un adeguato possesso delle sue più intrinseche verità spirituali, abbiamo ritenuto di introdurre nel Breviarium note di varia cultura, veterum vestigia patrum, che ten-dono al recupero culturale della centralità mediterranea. L’Europa trova il suo naturale impulso all’u-nità nell’incremento della sua spi-ritualità, nella valorizzazione degli studia humanitatis che rafforzano il progetto di dare patriam diversis gentibus unam.Il quaderno è rimodulato sulle indi-cazioni metodologiche e stilistiche di alcuni dei migliori testi presen-ti nella scuola italiana. Sono stati all’uopo riutilizzati alcuni esempi forniti dai testi presenti nella bi-bliografia essenziale; la maggior parte delle frasi latine nasce diret-tamente dallo studio dei classici, da Cicerone, da Cesare, da Corne-lio Nepote, da Sallustio, da Livio, da Seneca, da Tacito, da Plinio il

Giovane. Res ardua vetustis novitatem dare, novis auctoritatem, obsoletis nito-rem, obscuris lucem, fastiditis gra-tiam, dubiis fidem omnibus vero naturam et naturae suae omnia, itaque etiam non assecutis voluisse abunde pulchrum atque magnifi-cum est. “È compito non facile dare una ve-ste nuova alle cose vecchie, auto-rità alle cose nuove, splendore alle desuete, luce alle oscure, eleganza alle noiose, credibilità alle cose in-

certe, assicurare insomma ad ogni cosa la sua natura e alla natura tut-to ciò che le appartiene; comunque resta un’impresa bella e gloriosa, anche per chi non raggiunge lo scopo, averlo perseguito”. (Plin. Nat. Hist.)

Filomena SchipaniRiccardo Schipani

CrotoneAutori

Breviarium Latine Loquendi

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NEl tERRItORIO CROtONESE

Quandu u suli ancòra dòrmasubba a strata fridda e lònganc’è nu mundu chi camìna

prestu prestu da matìnaCaminàti, caminàti

à fila comu a li surdàtialla vànda da statàli

tutti scùri e tutti guàli

Ntu carròlu a vànda vàndanc’è na reta longa e ràndafacci scuru e facci chiarichi n’arrivanu du mari

Caminàti caminàtima ‘ntu cori u bbì scordàtidoppu u mari ‘nc’è na terra duvi fanu sempi a guerra

Terra randi terra i suliamàra comu a li cardùniterra tutta e disperàta

povarèddra abbandunàta Caminàti caminàti

figghji poviri e scunzulàtialla vànda da statàli

tutti scùri e tutti guàli

Ntu carròlu caminàti‘mberzu u cielu po’ guardàti

‘nc’è nu Diu chi v’accumpàgnasubba a strata lònga e rànda

Caminàti caminàti

figghji tutti stravjàtiunu avanti e l’atru arrèdi

quetu quetu appèdi appèdi

A stràta griggia e a striscia jàncae u carròlu a vànda vàndaocchji randi e facci scùrisubba a strata a tutti l’ùri

Caminàti caminàtima però nu vi fermàti

‘ntà su mundu ‘nc’è na terrasenza armi e senza guerra

Filippo ScalziIsola Capo Rizzuto

Quando il sole ancora dormesulla strada fredda e lunga

c’è un mondo che camminapresto presto dalla mattina

camminate camminatein fila come i soldatidi fianco alla statale

tutti scuri e tuti uguali

Nel sentiero fianco fiancoc’è una rete lunga e grandefacce scure e facce chiare

che arrivano dal marecamminate camminate

ma nel cuore non dimenticate

dopo il mare c’è una terra dove fanno sempre la guerra

Terra grande terra di soleamara come i carditerra tutta disperatapovera abbandonata

camminate camminatefigli poveri e sconsolati

di fianco alla stataletutti scuri e tutti uguali

Nel sentiero camminateverso il cielo poi guardate

c’è un Dio che vi accompagna sulla strada lunga e grande

camminate camminatefigli tutti sparsi

un avanti e l’altro dietropiano piano a piedi a piedi

La strada grigia e la linea biancanel sentiero fianco fiancoocchi grandi e facce scure sulla strada a tutte le orecamminate camminate ora però non vi fermate

in questo mondo c’è una terrasenza armi e senza guerra.

L’opera è risultata al primo posto premio letterario “ Uccialì ”

a Le Castella il 25 agosto 2013

a strata

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NEl tERRItORIO CROtONESE

la storia di un territorio“La contrada di Sant’Anna” è il titolo della ricerca che don Edoardo Scordio ha dedicato al luogo ove svolge la sua missio-ne di sacerdote. In tre parti – la storia, il territorio e la festa – in maniera suadente ci fa conosce-re le vicende di una comunità. Attraverso la lettura, quasi dieci secoli di storia scorrono dinan-zi ai nostri occhi e rendono te-stimonianza delle radici e della fede di tante generazioni. La devozione a Sant’Anna, madre della Vergine Maria e nonna di Gesù, ebbe origine nella chiesa greco-albanese intorno all’an-no mille e tramite loro è giunta fino a noi. La pubblicazione fa conoscere, inoltre, la pluride-cennale presenza dei rosminia-ni nella ex diocesi di Isola di Capo Rizzuto. Nella zona di Sant’Anna vi sono ritrovamenti archeologici di un edificio sa-cro d’epoca magnogreca (V-VI secolo a. C.) ed è documentata, sempre intorno all’anno mille, l’esistenza di un santuario de-dicato alla Santa. Nel 1145 il monastero di San Giovanni di Massanova è tra i luoghi sacri sotto giurisdizione vescovile e la chiesa di Sant’Anna, allora di rito greco, era “obbedienza” di questo monastero. Attraverso varie epoche vescovi e feuda-tari hanno goduto del possesso delle gabelle di Sant’Anna e di San Giovanni di Massanova e

la piccola chiesa rurale ha con-tinuato ad esistere. Ora c’è una nuova chiesa, la cui costruzione è vicina all’antica “chiesola”. Gli albanesi venerano l’imma-gine di Sant’Anna e più preci-samente quella stessa immagine che una volta si trovava in una antica edicola nel territorio di Pallagorio. Il 26 luglio di ogni anno si ritrovano per onorarLa con canti e preghiere recitati nella loro lingua. Da quando è iniziata nel secolo scorso l’ope-ra di riforma agraria viva è stata la presenza francescana. Non si possono dimenticare le figure di padre Adeodato, di padre Lucio e di padre Contardo Fabbris. I Barracco acquistarono villa Margherita, una delle più belle ville del Crotonese, già posses-so dei de Nobili e dei Doria. Di quel che resta del vecchio lati-fondo si possono ammirare la torre cinquecentesca di Tripani – già feudo dei vescovi di Isola – e i ruderi della chiesetta dedi-cata a San Pietro Apostolo. Un edificio di interesse storico, co-struito intorno al 1850 per ini-ziativa dei Barracco, è la fabbri-ca per la concia della liquirizia, che veniva esportata anche in America, in Inghilterra e in Rus-sia. Nel 1867 ebbe la medaglia d’oro nell’esposizione di Parigi e quella d’argento a Torino nel 1884. La presenza di molti im-migrati crea oggi una situazione

nuova. Nella serata della pre-sentazione del libro, avvenuta il 23 luglio nel largo antistante la chiesa, Filippo Scalzi ha re-citato una sua poesia dedicata agli “occhji randi e facci scùri”. Ha preso parte al dibattito, fra gli altri, Lucia Bellassai, che ha auspicato il rilancio dell’agri-coltura e il ripristino del “Con-cio”, la vecchia fabbrica per la produzione della liquirizia.

Nicola OliverioCrotone

già Funzionario Regione Calabria

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“c’era una volta il niGht”di cataldo aMoruso Ho conosciuto Cataldo Amoru-so nel 1962 che suonava in un Night Club di Capri di Ciro Fa-iella, Zio di Peppino di Capri. Ricordo che all’epoca c’erano anche Fred Bongusto e Totò Sa-vio, (Autore di Cuore matto, Se bruciasse la città ecc), mentre Brigitte Bardot girava il film il Disprezzo, tratto dal romanzo di Moravia, e camminava scal-za per i vicoli di Capri. Ho se-guito Cataldo che da suonatore di Night Club è diventato uno scrittore, un commediografo. Dopo molti anni, qualche mese fa, ho avuto un incontro con lui ed abbiamo parlato del suo nuo-vo libro che sta per uscire dai tipi dell’ “Editore Ensemble”. Il libro s’intitola, appunto, “C’era una volta il Night”.

Cataldo ricordi quando suo-navi alla Rupe Tarpea a Roma?

Sì, ho tanti ricordi – All’epoca suonavo in un gruppo con un bravo pianista spagnolo Santia-go Miguel Deparos, si cantava-no le canzoni di Fred Bongusto, Frida, Doce Doce e quelle di Bruno Martino, “E la chiama-no Estate”, “Cosa hai trovato in lui”, si ballava al ritmo di musiche Sud Americane. Ricor-do che una sera mi chiamò un signore che era seduto vicino a

me aveva in mano foglietti di carta ed una matita, mi disse: <<per favore puoi abbassare la tua chitarra? E ti prego puoi so-narmi Verde Luna?>> Risposi, <<con molto piacere>>. Max, il cantante del gruppo, col suo strascicato dialetto romanesco, mi disse: <<aoh! Lo sai chi è quer signore che tutte le sere viene a guardare lo spogliarel-lo?>> Risposi, <<non lo cono-sco>>, <<a Catà… quell’omo è Giorgio De Chirico, er più grande pittore metafisico ita-liano, ammazza aoh!>>. All’O-penghet, un night di lusso, una notte suonammo per lo Scià di Persia. Dal ‘60 al ‘65 ho suona-to in quasi tutti i night club di Roma: al Pipistrello, al Capric-cio, all’84, alle Grotte del Pic-cione, alle Pleiadi, alla già citata Rupe tarpea, alla Cabala, al Sa-movar, al Kit Kat, al Belvedere delle Rose, al Brigadoon dove suonava anche Gigi Proietti.

Ma come erano i Night club degli anni 60?

Erano locali a volte angusti come struttura, c’era sempre una bolla di fumo, perché si suonava sino alle quattro del mattino, però un certo fascino, in ogni caso non circolava dro-ga, i frequentatori erano perso-ne per bene, si sedevano, consu-

mavano, ballavano e bevevano whisky e champagne, bastava-no due bottiglie per far l’incasso della serata, ricordo che i pro-prietari dei locali si rivolgevano agli orchestrali e dicevano: <<A ragà…me raccomanno - vojio sentì er botto, fate sartare li tappi delle bottie e non suona-te musica jezze>>, ovviamente più tappi di bottiglie di Dom Pèrignon saltavano e più gua-dagnavano. Molto gradito era il Floor Show con spogliarello finale dove spesso si esibivano artisti internazionali fra i quali molti francesi. I frequentatori di Night erano molto confidenzia-li con noi orchestrali, si creava un’amichevole empatia. Con-venivano molti commendatori, piccoli industriali, imprenditori, con la voglia di ballare e diver-tirsi con le entreneuse (ragazze night). A volte entravano artisti come Anna Magnani e Renato Rascel, Massimo Serato, Re-nato Salvatori, Leopoldo Trie-ste, Maurizio Arena, Saro Urzì, Sergio Endrigo, Pietro Germi, Franco Silva, una volta venne anche Flaiano, tanto per fare al-cuni nomi.

Perché non scrivi un libro su quell’epoca?

Già fatto, ho scritto una sor-ta di Amarcord sul Night che

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s’intitola appunto. “C’era una volta il night” dove racconto i miei cinque anni di vita in que-sti locali, è un libro che sta per uscire, con molti aneddoti di-vertenti e con quell’Italia degli anni ‘60, gli anni più belli per la mia generazione, poiché si usciva dall’incubo ella miseria che aveva lasciato la sciagurata e tragica guerra del ‘40 e si an-dava verso il futuro radioso del boom economico, in cui almeno 10 milioni di italiani andavano in ferie per un mese, compra-vano la 600 e la 500. Un’Italia spensierata, allegra allagata da bellissime canzoni.

So che nel 1966 hai fondato i Ciros un gruppo che ottenne molto successo, ne vuoi parla-re?

Sì, i fondatori, per essere preci-si, sono stati i due Nicodemo Malena poi subentrammo io, Sasà Molinari e successivamen-te Cataldo De Bartolo, Gino Colicchio, Rino Noce, Peppino Malena, però dei Ciros ne par-leremo la prossima volta.

Dopo l’avventura dei Ciros, io ero a Roma, e ho saputo che avevi incominciato a scrivere, conoscevo questa tua passio-ne per i romanzi che ti aveva inculcato tua nonna, così da

lettore sei diventato uno scrit-tore, quali sono i romanzi che ami di più?

“Cecè il Picciotto”, “Il conte di Melissa” con tre tirature e dal quale è stato tratto il film.

Quali sono gli altri libri che per te hanno incontrato il gu-sto del pubblico?

“Filottete”, “il Mistero di Giu-lia Capellieri”, Il Diavolo sotto il Gelso”, “Il mio amico Mus-solini” mentre “La Ragazza di Porto Venere” è un libro molto amato, iacque tanto al regista Mario Monicelli che mi telefo-nò due volte e poi andai a tro-varlo a casa. A Luigi Comencini regista di “Pane Amore e fanta-sia”, “Pinocchio”, al Produttore Luigi Rovere che produsse “Il Cammino della Speranza” e tanti altri film, a Pupi Avati, ai critici come Antonio Piromalli, Gianni Rotondi, Peppino Sel-vaggi, Beppe Guerrisi. Un altro libro è a “Patti con la mafia” che è entrato a livello nazionale nei libri che fanno parte della storia della mafia.Ad Maiora, Cataldo!

Vladimiro SodanoAddetto stampa

“Grand Hotel Fellini”Rimini

anni ‘60

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il Palazzo ducale di verzino(…) E’ proprio sul finire del XVII secolo che il paese, ancora asser-ragliato sulla parte preminente della collina, ove era anche il vec-chio palazzo baronale e la chiesa matrice, si distese verso la parte piana con la costruzione ad opera del duca Nicolò Cortese “seniore” del suo nuovo e imponente Pa-lazzo Ducale in piazza Campo, in “insula” come il Catasto Onciario rubricava i palazzi non contigui a nessun’altra costruzione.Narrano le cronache che l’avo di questa discendenza, un tal Capita-no Cortese, romano, annoiato delle sofferenze militari, per quieto vi-vere partivasi da Roma e veniva a finire in Cariati, dove stringeva amicizia col Principe Spinelli, feu-datario di questa città. Un giorno il Principe ebbe bisogno di molto denaro e, non disponendo di tale somma, amichevolmente confidò la sua ambasciata a Capitan Cor-tese, personaggio oltremodo ricco per una straordinaria circostanza. Nel tempo che abitava a Roma, al-loggiò in un palazzo il cui padrone e la famiglia tutta, erano periti di colera. Prima che fossero distrutti dal morbo, avevano nascosto ogni loro tesoro in una stanza la cui por-ta era simulata da un’immagine di-pinta su una tela. Per sua ventura il tesoro fu scoperto dal Cortese che diventò così molto ricco. Diede pertanto al Principe amico il dena-ro di cui necessitava. Quando, trascorso molto tempo, questi volle restituire la somma, Capitan Cortese non l’accettò, fa-cendo notare che non era il caso di

preoccuparsene. Si racconta che il principe Carlo Antonio Spinelli, colpito da tanta generosità, per gra-titudine, cedette a Capitan Cortese il ducato di Verzino con tutti i suoi diritti ducali. Divenuto Barone, il Cortese recossi subito in Verzino e là costruì il Palazzo del Campo.Nel racconto vediamo aleggiare la fantasia del nostro popolo, ma come ogni racconto popolare ha il suo substrato storico, anche in que-sto vi è un fondo di verità.Ne troviamo conferma nel Cedola-rio n°74 (anni 1639-1695) dell’Ar-chivio di Stato di Napoli “... il 22 di marzo del 1668 vendita et alie-nazione fatta da Carlo Antonio Spinelli, Principe di Cariati e Duca di Castrovillari, a beneficio di Leo-nardo Cortese della Terra di Verzi-no... per ducati 50.000”.Da un altro manoscritto si appren-de, invece, che il Cortese, acqui-rente del feudo di Verzino, lungi dall’essere un generoso e sfatica-to Capitano, era un intraprenden-te fornaio, che trasse la famiglia dall’oscurità commerciando og-getti di poco valore.Leonardo Cortese, il fornaio Baro-ne, per poco tempo poté godere gli agi della ricchezza e della nobiltà, in quanto nel dicembre del 1675 cessava di vivere. Ne ereditava la baronia col relativo titolo, il figlio Niccolò Cortese.Carlo Giuranna, appassionato cul-tore della storia dei nostri luoghi, così ne tratteggia la figura: “...uomo robusto, maneggiava le armi da fuoco con arte particolare, tanto da colpire, con una palla, i

vasi d’acqua che le donne portava-no sulla testa, senza queste ferire... e addosso sempre portava, quando usciva di casa, il suo pistone. Esercitava un perenne di-spotismo sopra i beni e le persone degli abitanti di Verzino... teneva un orrido carcere dove, senza que-rela di parte, senza processo, senza ordine di giudice, chiudeva i po-veri disgraziati ad anni interi e si scordava così degli innocenti come dei rei. Ai rivoltosi minacciava la morte perché tenea una manica di malandrini a suo servizio”.“Questo bel tipo di delinquente”, nel 1693, fu incoronato Duca di Verzino per graziosa concessione di Re Carlo II Borbone e, divenu-to Duca, aumentarono le sue ne-fandezze. Il nostro bel tipo di don Rodrigo governò, per ben 56 anni, sino a tardissima vecchiaia moren-do nell’agosto del 1731.Gli succedeva il figlio Leonardo che moriva dopo pochi anni nel 1734. Terzo ed ultimo Duca di Ver-zino, diventò Niccolò II che si rive-lò della stessa indole dei suoi ante-nati “serie di tirannelli ed aguzzini l’uno peggiore dell’altro”. Si rac-conta che percosse in così violento modo il sacerdote don Antonio Ca-vallo, fratello dell’Arciprete della Terra di Verzino, sol perché non aveva immediatamente eseguito un suo ordine.Bersagliò poi le famiglie più in vi-sta per censo, gli Scerra, i Cavallo, i Figoli, che furono costrette a cer-care rifugio nei paesi vicini. Dette famiglie avevano subito e subiva-no prepotenze ed umiliazioni, ma

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ciò non faceva che accrescere il loro odio magnificamente simula-to. Ritorneranno a Verzino quando, nel 1746 Nicolò Cortese si rese fel-lone e il Feudo veniva confiscato al Duca Cortese e passava al Regio Fisco.Dopo un cinquantennio durante il quale Verzino fù terra demaniale, ai princìpi del secolo scorso, il pa-ese fu di nuovo venduto ed i suoi abitanti conobbero, come scrisse Pericle Maone, nuovi padroni che non ebbero nulla da invidiare agli antichi.Oggi il Palazzo Ducale, di pro-

prietà del Comune, è oggetto di un recupero conservativo in fase di completamento. Acquistato da una delle prime amministrazioni civica della Verzino repubblicana e, finalmente, libera e democratica, mira a divenire motore e centro per il recupero del patrimonio storico e culturale della città. Le sue sale nobiliari, poste su tre livelli, la tor-re con l’orologio, possono infatti divenire il luogo in cui il passato, il presente ed il futuro della sua gente trova degna collocazione a memoria della sua lunga storia. I reperti archeologici che da de-

Notturno su Verzino

cenni giacciono nei depositi del Museo civico di Crotone, nasco-sti e sottratti per lungo tempo alla cultura ed agli abitanti di tutto il territorio, possono adeguatamen-te testimoniare la genesi di questa terra e della sua gente, trovando, ed è il nostro auspicio, la loro giu-sta collocazione negli ambienti del Palazzo Ducale di Verzino.

Domenico GrandeConsigliere Comune di Verzino

con delega al Patrimonio

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NEl tERRItORIO CROtONESE

PreMio letterario caccuriIl Premio Letterario Caccuri è nato da un sogno: fare innamora-re una regione, un Paese intero, di un luogo senza tempo e con tanta storia, Caccuri, alle pendici della Sila. Il mondo che gira intorno a questo suggestivo evento è quello della scrittura e della letteratura, da troppi anni latitanti a questa latitudine. L’Accademia dei Cac-curiani (l’associazione no-profit che è il vero cuore organizzativo del Premio Letterario Caccuri) sostiene con forza che la Cultura è il vero motore di qualsiasi popo-lo, di chiunque abbia desiderio di progredire in ogni direzione. E la direzione è quella del risveglio, del rinnovato, vigoroso senso di im-pegno sociale, culturale, umano. In questa particolare riflessione si riscontra una vitalità, un’efferve-scenza, una voglia di “scaricare a terra” queste energie, al punto di venire fatalmente spinti a dar voce a questa terra diversamente silente, a dar forza a chi da solo non la può trovare, a diffondere la passione come un virus, presso tutti coloro i quali hanno orecchie, cuore, atten-zione. Il desiderio primo dell’Ac-cademia dei Caccuriani è quello di diffondere Cultura dove non se ne fa abbastanza, di far luce nel buio,

di realizzare un vero riscatto mora-le agli occhi della nostra Nazione. Anche in Calabria, nella semisco-nosciuta Sila, si può affermare il verbo della sensibilità al sapere, dell’attenzione appassionata al mantenimento delle tradizioni lo-cali, riavvicinando soprattutto i giovani al sapere e riscrivendo il patto tra loro e la Cultura, tra loro e la fiducia, la speranza. Il Premio è solo alla quarta edizio-ne, ma la linfa vitale dell’impegno sta crescendo negli organizzatori e un’intera comunità se ne è accor-ta: a Caccuri tutto è in movimen-to. Un inarrestabile movimento verso il cambiamento. Ognuno in questro piccolo paese si è messo in gioco totalmente ed ha utiliz-zato i propri canali relazionali per assicurare alle prime tre edizioni del Premio Caccuri l’abbraccio affettuoso di partecipazione di per-sonalità di livello internazionale. Nella prima edizione del 2012 si sono uniti: Giordano Bruno Guerri (Presidente di giuria), Alessandro Profumo, Alessandro Laterza, Al Bano, Mimmo Gangemi, Giovan-na Taviani, Davide Giacalone ed i finalisti Pino Aprile (vincitore), Piergiorgio Odifreddi e Piergior-gio Morosini. In crescita anche la

seconda edizione tenutasi nell’a-gosto 2013, che ha visto misurarsi tre saggi finalisti molto apprezzati da pubblico e Giurie. In Particola-re, il contest di saggistica ha visto prevalere quello del Direttore del Sole 24 ore, Roberto Napoletano, col suo “Promemoria italiano”, edito da Rizzoli. In seconda posi-zione, ex aequo, Luisella Costa-magna con “Noi che costruiamo gli uomini” edito da Mondadori e Oliviero Beha col suo “Il culo e lo stivale” di Chiarelettere. Indi-menticabili per classe, presenza e simpatia, gli interventi di Carmen Lasorella, Presidente di Rainet che ha svolto nella due giorni il ruolo di moderatrice degli interventi dei finalisti, la applauditissima presen-za del paroliere, scrittore e autore Mogol; sono stati presenti anche il giornalista Paolo Guzzanti, dis-sacrante ed acuto come sempre, il Premio Campiello Carmine Aba-te, il Professore di Fisica Antonio Ereditato, l’economista Gianfran-co Viesti. Sulla stessa linea la terza edizione che ha visto il successo del saggio “Gli italiani non sono pigri” della giornalista Barbara Serra di Al Jazeera International edito da Garzanti. In seconda po-sizione, ex aequo, Vittorio Sgarbi

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NEl tERRItORIO CROtONESE

con “Mattia Preti” edito da Rub-bettino e Vittorio Feltri con “Una Repubblica senza Patria” edito da Mondadori. Ricchi di spunti e ri-flessioni interessanti gli interventi di Carlo Freccero, Nicola Gratteri, Caterina Chinnici, Gianrico Caro-figlio, Oliviero Beha, del compian-to Ciro Imparato e delle giornali-ste Sabrina Scampini di Canale 5 e Helga Cossu di Sky. Non sarà di certo da meno la quarta edizione che consacra definitivamente que-sta manifestazione quale evento di primo piano nel panorama let-terario italiano. I tre saggi finalisti 2015 sono già stati resi noti alla

stampa: Il potere delle donne di Maria Latella, edito da Feltrinel-li; Ricordati di vivere di Claudio Martelli, edito da Bompiani; Non è tempo per noi” di Andrea Scanzi, edito da Rizzoli. Ospiti di grande spolvero quali Antonio Lubrano e Bruno Gambarotta, lo scritto-re Edoardo Nesi (Premio Strega 2011). E ancora: il volto familiare della televisione Flavio Insinna, presente sul palco del Caccuri con la sua “Piccola orchestra”. Il gran-de Maestro Pupi Avati che ci par-lerà del suo ultimo lavoro girato in Calabria e del suo ultimo romanzo. Il giornalista Antonio Caprarica, il

capostruttura Rai Antonio Azza-lini. E poi la Rimbambad, Carlo Lomartire, le Appassionante e il meglio della narrativa calabrese (Carmine Abate, Giuseppe Aloe, Gioacchino Criaco, Domenico Dara, Mimmo Gangemi, Annaro-sa Macrì, Dante e Serena Maffia, Cataldo Perri, Olimpio Talarico e Peppe Voltarelli.A Caccuri dall’8 al 9 agosto si par-lerà di libri, di cultura, di musica, un mix che non potrà che far bene alla nostra terra.

Olimpio TalaricoCofondatore

“Premio Letterario Caccuri”

Chiesa della Riforma - scenario delle serate del “Premio Letterario Caccuri”

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SCRIttORI CAlABRESI

Scritto circa 80 anni fa, il ro-manzo di Giovanna Gullì, «la più grande narratrice calabre-se» (Leonida Rèpaci), offre alla riflessione morale, il tema dell’impossibilità di vivere in una società in cui conta solo il danaro, il lavoro è un mezzo di sfruttamento e un’arma di ricat-to e la donna è vista come og-getto di conquista in funzione del bisogno sessuale maschile. La crisi economica dei nostri giorni insieme alla povertà sem-pre più diffusa e a situazioni di vera e propria indigenza ha ri-proposto l’alternativa “o morire o perdersi” come termini di una scelta, in molti casi ineludibile, mettendo in discussione i prin-cipi dell’organizzazione sociale e le basi stesse della nostra ci-viltà.

Caterina Marasca è una giova-ne donna del Sud, come l’autri-ce (nata a Reggio Calabria nel 1911 e morta a Milano all’età di 28 anni per una polmonite), e la sua vicenda umana si svol-ge nella stessa epoca, a Napoli, piuttosto che in qualsiasi altra città del meridione, secondo la finzione narrativa. Come l’au-trice, Caterina appartiene ad una famiglia numerosa, decadu-ta e ridotta a vivere di stenti, a pane ed orzo. Ma, pur nelle cir-costanze avverse è fiera, tenace, orgogliosa del proprio nome e

della propria onestà, che non coincide con l’idea conformi-stica della ‘virtù’ femminile, ma è pieno, ingenuo abbandono al proprio impulso vitale: volontà di amare senza riserve e senza altri scopi ed interessi. Come lei, è costretta a cercarsi un la-voro e fa esperienza della pre-potenza maschile, della man-canza di solidarietà e della falsa morale che domina nel mondo.

Il clima storico è quello di un Mezzogiorno rispetto al quale lo Stato unitario ha fallito, non essendo riuscito a mantenere le sue grandi promesse, ed è quel-lo illiberale e paternalistico del fascismo, con la sua ideologia della virilità e del rispetto for-male della donna come madre e come amante. Cosicché il ro-manzo della Gullì, animato da un incontenibile bisogno di ve-rità, pur senza entrare nel meri-to del giudizio politico, assume il carattere di una esplicita de-nuncia sociale e della ribellione etica, inscrivendosi tra i pochi esempi di una letteratura del dissenso (uscì nello stesso anno de “Gli indifferenti” di Mora-via).

Si spiegano così le difficoltà che la scrittrice incontrò per la sua pubblicazione, avvenuta soltanto dopo la sua scomparsa e grazie ad alcuni tagli strategi-

ci operati per eludere la censura del regime. Solo per questo, ma non solo per questo, Caterina Marasca meriterebbe un posto di rilievo nella storia letteraria del Novecento italiano, in con-fronto alle opere di scrittori più o meno grandi, che mantennero un atteggiamento equivoco o elusivo, ovvero aderirono, al-meno formalmente, al fascismo, salvo a prenderne le distanze dopo il disvelamento del grande inganno. Al contrario, la Cala-bria di Alvaro, Rèpaci, Perri, La Cava, Gullì fu, fin dall’inizio, all’opposizione, anche se que-sto non viene spesso ricordato.

Le coincidenze biografiche ac-certabili fra la scrittrice e il suo doppio si riducono a quelle so-pra accennate. Ed è vano, d’al-tronde, chiedersi, come è stato fatto, se e fino a che punto vi sia una puntuale corrispondenza tra fatti narrati e fatti vissuti, così come è improprio qualificare il romanzo come “autobiografi-co”, se non per il fatto che vi si riflette la dialettica di un’anima sensibile e di un’intelligenza vigile e acuta, particolarmente versata nell’analisi interiore. Il suo specifico oggetto è la rap-presentazione di una condizio-ne limite, di estrema difficoltà, che può riguardare tutte le don-ne e, di riflesso, l’essere umano in generale e che, proprio per

Giovanna Gulli’

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tà regionali, di ogni nostalgico descrittivismo del colore locale, dimostrando come l'amore per la propria terra viva nella sof-ferta ricerca di una più autentica identità umana, nella denuncia e nella lotta contro l'ingiustizia di un assetto sociale opprimente, che nega ai più deboli anche la dignità, di una morale ipocrita fondata sul rispetto di regole convenzionali, ma che asservi-sce soprattutto le donne, nella liberazione dai vincoli di una religione, che, offrendosi come strumento di consolazione e di perdono per tutti, consacra di fatto le contraddizioni sociali persistenti.

Vittorio Emanuele EspositoDirigente scolastico a riposo

Crotone

la sua radicalità, induce ad una dolente e amara riflessione sul senso dello stare al mondo e sul carattere ora illusorio, ora mi-stificante delle giustificazioni che vengono addotte per rende-re accettabili il dramma dell’e-sistenza e l’ingiustizia sociale. Quest’ultima è una variabile storica aggiuntiva che taglia in due il genere umano, rendendo gli uni prevaricatori e gli altri vittime, inaridendo , negli uni e negli altri, i sentimenti più na-turali .e a tutti, in diversa forma e misura, negando la contingen-te e leggera felicità del vivere.

Nonostante le modalità comu-nicative scelte dalla scrittrice calabrese, che alterna il raccon-to in terza persona con la for-ma diaristica e, a volte, con il dialogo diretto con il lettore, le vicende narrate, cioè la caduta, la “risurrezione” e la definitiva, ma non rassegnata, perdizione di Caterina, sono il correlato di un lungo monologo interiore, che si sviluppa sul filo dell’ acu-to contrasto tra l’io profondo e l’io quale è indotto a determi-narsi nelle situazioni incomben-ti e pressanti di miseria mate-riale e morale, che deformano, ma non snaturano l’immagine ideale che la protagonista ha di sé. Caterina, infatti, ruba, accetta un lavoro servile senza asservirsi, si riscatta attraverso l’esperienza di un amore, cui si abbandona con tutta se stessa,

viola, infine, l’ultima resistenza della sua dignità femminile, ac-cettando da un uomo il denaro e diventando, poi, l’amante e la mantenuta di un nobile e ricco ammiraglio napoletano, ma re-sta se stessa,

Per la prima volta nella lettera-tura italiana la storia di un’ani-ma femminile, con la sua forza vitale e il suo coraggio, le sue fragilità e le sue ignorate e di-sconosciute delicatezze, diven-tava oggetto di rappresentazio-ne, Caterina Marasca è, sotto questo aspetto, un personaggio simbolo di un cammino di ri-scatto ancora tutto da compiere in Italia e nel mondo. Un per-sonaggio reale e a tutto tondo, quali quelli che Giacomo Debe-nedetti ha individuato come se-gni della rinascita del romanzo nel Novecento. Ed è un perso-naggio positivo, nonostante le apparenze, che, come tale, si differenzia dai molti «eroi ne-gativi» della letteratura della crisi.

Scritto nella prima metà del Novecento da una giovane cala-brese, formatasi in un ambiente culturale chiuso e tradiziona-lista ed educatasi attraverso la narrativa ottocentesca (Hugo, Dostoevskji, Zola), il romanzo della Gullì si innalza al di sopra di ogni angusta retorica sulle "radici', di ogni vacua celebra-zione di "identità" e di specifici-

SCRIttORI CAlABRESI

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Foglie autunnali di Tiziano Boscarato

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lA VIGNEttA

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Dal discorso pronunciato da Papa Francesco nel corso dell’incontro con il mondo della scuola e dell’Università presso la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador a Qui-to il 7 luglio 2015 (…)

Nel Vangelo abbiamo ascoltato come Gesù, il Maestro, insegna-va alla folla e al piccolo gruppo dei discepoli, adeguandosi alla loro capacità di comprensione. Lo faceva con parabole, come quella del seminatore (Lc 8,4-15). Il Signore è stato sempre “plastico” nel modo di insegna-re. In modo che tutti potessero

capire. Gesù non cercava di “sdottorare”. Al contrario, vuo-le arrivare al cuore dell’uomo, al suo ingegno, alla sua vita, af-finché questa dia frutto.(…)Mi chiedo insieme con voi edu-catori: vegliate sui vostri stu-denti aiutandoli a sviluppare uno spirito critico, uno spirito libero, in grado di prendersi cura del mondo d’oggi? Uno spirito che sia in grado di tro-vare nuove risposte alle molte sfide che la società oggi pone all’umanità? Siete in grado di incoraggiarli a non ignorare la realtà che li circonda? A non

DOSSIER: RIACCENDIAMOlI

ignorare ciò che succede intor-no? Siete capaci di stimolarli a questo? A questo scopo bi-sogna farli uscire dall’aula, la loro mente bisogna che esca dall’aula, il loro cuore bisogna che esca dall’aula. Come entra nei diversi programmi univer-sitari o nelle diverse aree di la-voro educativo la vita intorno a noi con le sue domande, i suoi interrogativi, le sue questioni? Come generiamo e accompa-gniamo il dibattito costruttivo, che nasce dal dialogo in vista di un mondo più umano? Il dialo-go, quella parola-ponte, quella parola che crea ponti. (…)

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Il complesso di Saul è una possibi-le malattia dello spirito dell’uomo.Quando prende l’anima umana, la imprigiona con l’invidia e con la gelosia, rendendola schiava di una smania egocentrica che pretende di rendere gli altri strumenti del proprio successo. Tutto viene tra-sformato come in una grande spec-chiera: in qualunque direzione si guardi, occorra che venga riflesso sempre lo stesso volto, il proprio.Gli altri esistono solo perché pos-sano rendere “gloria” o magnifica-re le proprie gesta. Diversamente, devono sparire dalla circolazione. Si comprende così perché chi è af-fetto dalla debolezza del comples-so di Saul si circonda di mediocri. I mediocri infatti sono legati a lui da un vincolo profondo, dipendo-no come schiavi dai suoi gesti di benevolenza e si eccitano per qual-che parola di consolazione o di ap-prezzamento che il saulino (=chi soffre del complesso di Saul) ogni tanto, più o meno distrattamente, elargisce. Poiché il mediocre non ha luce propria, come il pianeta ri-spetto al sole, riflette e vive dei ba-gliori del suo signore, a cui svende tutto, intelligenza, volontà e cuore, in una tensione di degradante ser-vilismo di corte.La malattia dell’animo, di cui par-liamo, prende il nome da primo re di Israele, Saul. Con la sua elezione a re accadde come una rivoluzione istituzionale nella storia del popolo israelita. Fino ad allora solo Jahwè aveva guidato il popolo attraverso

alcuni capi, i giudici, suscitati nel-le circostanze più difficili.L’introduzione della monarchia rischiava di far perdere a questo popolo la sua origine storica: gli Israeliti invocavano un re per non essere diversi da tutte le altre na-zioni. Ecco dunque Saul, signore e re di Israele, scelto per il popolo da Dio stesso. Saul è il primo, è il capo, è colui che esercita un pote-re vasto e totale. Sopra di lui c’è solo la volontà di Dio, che regge i destini della storia intera, di tutta l’umanità. Inoltre, la Scrittura ri-conosce Saul dotato di particolare bellezza: “Non c’era nessuno più bello di lui tra gl Israeliti; superava dalla spalla in su chiunque altro del popolo” (1Sam 9,2).Saul era dunque un uomo ricco a tutti i livelli, nella forza e nella prestanza fisica, nell’intelligenza e nella astuzia. Un uomo che non po-teva avere rivalità di nessun tipo. Eppure – ecco la sua malattia spi-rituale – teme la presenza di qual-cuno, del giovane Davide. Davide non ha altra passione che servire il suo re. Ma il re Saul, pur fruendo dei servigi del giovane (basti solo ricordare l’uccisione del filisteo Golia), avverte come una piaga dentro il suo cuore, che lo condi-ziona, lo irrita, lo affanna, non lo lascia in pace: ha invidia della cre-atività di Davide; teme che la sua luce venga adombrata dalla vici-nanza del giovane, perciò decide di estrometterlo (= di ucciderlo).(…)

il coMPlesso di saul

DOSSIER: RIACCENDIAMOlI

Il complesso di Saul può permet-terci di capire più profondamente alcuni fenomeni umani che spesso capitano nelle strutture di potere di ogni ordine e grado.Esiste un ricambio di generazione?La caduta dei vecchi politici, per esempio, sembra lasciare spazi vuoti. Quando un politico (o chiun-que altro gestisca qualsiasi forma di potere) non ha dietro le spalle “gente che egli ha fatto crescere”, allora la malattia del complesso di Saul è all’opera come una cancre-na per l’intera società. In tanti anni egli ha infatti pensato a rafforzare solo la propria immagine, a rende-re solidi i propri interessi particola-ri , lottizzando le amministrazioni. Non ha provveduto a formare gen-te capace di una sostituzione digni-tosa in momenti difficili: i giovani si lamentano di entrare nell’agone, se non per essere strumentalizzati in alcune occasioni. (…)

Don Antonio StaglianòCrotone

L’articolo, a firma dell’attuale Vescovo di Noto, fu pubblicato su

Krisis nel bimestreMARZO - APRILE 1996

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Esiste un aforisma secondo il quale Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai.E’ vero: la natura ha delle rego-le contro le quali non si può an-dare, anzi quando si sfugge alle regole si entra nel mondo della patologia.Da medico mi è sempre pia-ciuto osservare come la natura dell’uomo è sempre ordinata ad un fine. La fisiologia, che è il contrario della patologia, è teleologica, considerato che tut-to nel nostro organismo ha una finalità: così i villi intestinali sono delle digitazioni all’in-terno dell’intestino, che, come morbide pieghe, aumentano la superficie che è capace di as-sorbire le sostanze nutritive e la cosa sorprendente è che in poco spazio, per effetto di quelle pie-ghe, si raggiunge una superficie pari a quella di una grande stan-za.Altri esempi meravigliosi sono il cervello, la sua capacità di correlare dati la fa in barba ai nostri più perfetti computers, l’occhio, la capacità di procre-are.E’ anche vero, però, che c’è un ciclo vitale e che anche le cel-lule del nostro organismo han-no un loro ciclo, rispettano dei tempi. Così la conta follicolare

di una donna giovane non è la stessa di quella di una donna di 40/45 anni, quando la capa-cità di procreare diminuisce e sopravviene quella fase del ci-clo vitale che è la menopausa. Anche questo è fisiologico e teleologico perché avrebbe del patologico, con pesanti implica-zioni sociali, continuare a poter procreare in un’età avanzata.La natura ha perciò i suoi tem-pi e i tempi della natura vanno rispettati, A tutti fa un po’ sor-ridere, per esempio, il voler continuare a sembrare giovani quando non lo si è più, contraf-facendo la realtà.“Dietro Liceo, davanti Museo” si dice di alcune donne che, ab-bastanza in là negli anni, viste da dietro potrebbero passare per ragazze ma che a ben guardare sono assolutamente molto più avanti con l’età.Battuta a parte, ogni età, ogni fase della vita va vissuta a pie-no senza voler sconfinare in fasi più precoci o più tardive.Il rispetto dei tempi naturali va vissuto non solo rispetto all’e-voluzione corporea, all’età fisi-ca, all’invecchiamento ma an-che rispetto al ciclo lavorativo professionale.Vivere il momento presente e considerare che nella profes-sione c’è un certo percorso da

compiere facendo quel che si deve anche questo talvolta vie-ne perso di vista.Nella professione, come nel ci-clo vitale, si possono avere al-cune fasi di “scompenso”.L’inizio di un’attività professio-nale e la sua conclusione sono due momenti molto importanti e in entrambi il valore del lavo-ro deve acquistare le su giuste dimensioni.“L’uomo accorto controlla i propri passi” dice il Libro dei Proverbi.Meditare i passi dell’attività professionale è la riflessione attenta e ponderata della quale parla San Jose Maria Escrivà. Bisogna riflettere su dove stia-mo andando con il nostro la-voro e aggiustare l’intenzione. Chi è prudente è anche capace di individuare in ogni situazio-ne il modo migliore di dirigersi verso il proprio fine. E la nostra meta è il Signore, Quando le situazioni cambiano, conviene avere il cuore sveglio tanta da percepire le chiamate di Dio “in e attraverso” i cambiamenti nelle nuove situazioni venutesi a creare (…)

Termina una tappa, ne inizia un’altra.Un’altra fase della vita che ha le sue esigenze specifiche è la vec-

la natura si Fa da Parte

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chiaia, quando la diminuzione delle energie fisiche impedisce di svolgere la professione con la medesima intensità di prima, o quando, pur avendo ancora le forze per continuare a lavorare a pieno titolo arriva il momen-to del pensionamento, spesso obbligatorio. Qui si può vive-re, come per le forze fisiche, la stessa situazione di “Dietro Li-ceo, davanti Museo”.A volte il nostro io ingombrante ci vorrà far credere che quando saremo andati via noi, tutto an-drà male. Si insinueranno nella nostra mente pensieri illogici, potremo sentirci inutili, messi da parte.D’altra parte il lavoro oltre che una fonte di reddito è l’origi-ne di molte altre cose; fornisce innnanzitutto un ruolo socia-le riconosciuto dagli altri e un senso di identità personale. Non a caso quando ci si presenta a degli sconosciuti, una delle pri-me domande che ci scambia, fa riferimento proprio alla profes-sione: “Che fai nella vita?” e soprattutto, nel caso di mestieri prestigiosi, si viene presentati agli altri con un riferimento al proprio lavoro: “Ti presento il Dottor Rossi, l’Avvocato Bian-chi, ecc.ecc.”Si comincia credere che il la-voro è la chiave di inserimento nella società. Il lavoro è anche una fonte di rapporti interperso-nali, questi possono essere più o

meno gradevoli ma costituisco-no sempre, comunque, una rete sociale che dà sicurezza e pro-tegge dall’isolamento, perciò il pensionamento suscita reazioni diverse da un individuo all’altro in base a molteplici variabili. Chi ha un lavoro prestigioso e gratificante può vivere nega-tivamente a pensione che, co-munque, determina una perdita di considerazione, responsabili-tà, reddito. Le donne sembrano reagire più positivamente alla perdita del ruolo lavorativo, perché continuano a ricoprire un ruolo fondamentale in fami-glia e in casa. Anzi, dopo aver faticato per decenni su entrambi i fronti, casa e lavoro, può es-sere un sollievo dedicarsi ad un solo compito.Alla base del disagio del pen-sionato quindi ci sono tante mo-tivazioni ma anche qui bisogna sapersi fare da parte. Come la natura.Spesso ci giustifichiamo con falsi ragionamenti. San José Maria scriveva in “Solco” n. 701: “Un’impaziente e disor-dinata preoccupazione di emer-gere professionalmente può ma-scherare l’amor proprio sotto il mantello di “servire le anime”. Con falsità ci fabbrichiamo la giustificazione di non dover la-sciare cadere certe occasioni, certe circostanze favorevoli…”.O peggio ancora si potrà essere affetti da alcune malattie dell’a-

nima, come quelle descritte da Papa Francesco nel discorso degli auguri natalizi del 2014 alla Curia romana: la malattia del martalismo e la malattia dell’immortalità.La malattia del martalismo (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro trascu-rando inevitabilmente “la parte megliore”: il sedersi ai piedi di Gesù. Per questo Gesù ha chia-mato i suoi discepoli a “riposar-si un po’”, perché il trascurare il necessario riposo porta all’a-gitazione.Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria mis-sione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente. Occor-re imparare ciò che insegna il Quoelet e cioè che c’è un tempo per ogni cosa.

Tullia PranteraPrimario Oncologia

Ospedale “San Giovanni di Dio” di Crotone

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i Giovani d’oGGi

Oggi come in passato si incon-tra sempre una qualche diffi-coltà per decifrare i giovani di questa o quella stagione storica, ma forse oggi alle tradizionali difficoltà dovute alla complessi-tà e alla frammentazione sociale se ne aggiunge una nuova e del tutto singolare.Si tratta della iniziale consape-volezza che stiamo già vivendo negli anni di una transizione profonda e di una silenziosa ri-voluzione culturale. Abbiamo cioè tras-locato da un secolo all’altro, da un tempo ideolo-gico verso un tempo post-ideo-logico, dove le antiche certezze fanno fatica a resistere. È un tempo di inquietudine. In questo passaggio d’epoca e di paradig-ma culturale i giovani si trovano come incastrati tra l’incudine e il martello.Un ciclo della storia, quello del-la modernità, si è chiuso defini-tivamente, nel bene e nel male. Oggi ci stiamo attrezzando per rispondere alle sfide delle “res novae” che incalzano. Ma tale processo rimane invisibile poi-ché è d’ordine simbolico, co-gnitivo, immateriale e, dunque, non fa rumore.Di questo “spartiacque”, poi, non tutti sono consapevoli e continuano a sopravvivere per forza di inerzia, senza capacità di rinnovarsi.Ciò che più sorprende è che sia-

mo chiamati non tanto ad una mobilità nello spazio, quanto ad una mobilità della mente, a un esodo esistenziale, a un tras-lo-co culturale, ad una migrazione cognitiva, ad una vera e propria “metanoia”, per utilizzare una parola del Vangelo, ossia ad una conversione del cuore e della mente.Ebbene, questa prima conside-razione – alquanto ardita e sin-golare – si propone soltanto di rafforzare le ragioni dell’inde-cifrabilità dell’odierno mondo giovanile che è del tutto post-moderno e post-ideologico e, in questo senso, non più decifrabi-le con le categorie interpretati-ve del passato (lavoro, identità, religiosità, sessualità, politica, morale, ecc.).Voglio dire che quando oggi continuiamo a riproporre lin-guisticamente le vecchie ca-tegorie del passato, dobbiamo farlo sapendo che quelle stesse parole necessitano di una se-mantica nuova che tenga conto delle trasformazioni già realiz-zate a livello sociale anche se nel silenzio della nostra perso-nale consapevolezza.Globalizzazione, pluriverso, meticciamento, società delle reti, modernità liquida, indivi-dualismo radicale, età dell’in-certezza... sono espressioni che noi adulti abbiamo certamente avuto modo di orecchiare ma

che i nuovi giovani vivono già sulla propria pelle e forse an-che per questo sono per noi così diversi e indecifrabili, benché così contemporanei e in sincro-nia con lo spirito del tempo in cui viviamo.Cosa dunque, cercano i giovani di oggi?A tale interrogativo, che assume un ruolo di rilievo nella mia ri-flessione, preferisco rispondere enucleando alcune immagini si-gnificative che andrebbero con-siderate in modo complementa-re, circolare e interdipendente.a) Cercano un orecchio che sap-pia ascoltare.È l’ascolto che i giovani cer-cano ovunque. Non perché ab-biano un particolare racconto da fare, ma perché se un altro è disposto ad ascoltare, ciò signi-fica che esiste qualcuno che si è accorto di loro. È forte, infatti, nei giovani il bisogno di sentirsi accettati, riconosciuti per quel che sono, come persone, e quin-di di ricevere una risposta non generica o massificata ma per-sonalizzata.Ecco perché l’adulto non può ri-durre la missione educativa alla sola socializzazione. Educare oggi vuol dire assicurare ai ra-gazzi un accompagnamento ge-nerazionale nella vita e questo concretamente si fa percorren-do un tratto di strada insieme. Invece la proposta che oggi un

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giovane riceve nella realtà so-ciale in cui vive è che deve af-fermare se stesso in solitudine, cioè potendo contare solo sui propri mezzi, solo su se stesso. E questo è drammatico perché in tal modo il giovane cresce “senza l’altro”.b) Cercano un legame, sia come rapporto fatto di tenerezza, sia come tribù di appartenenza, che permetta il superamento della solitudine e dell’isolamento.È alla solitudine e all’isola-mento che ogni giovane cerca in tutti i modi di reagire. Nella nostra società individualizzata il giovane esprime una eviden-te voglia di comunità. Di qui il fenomeno delle tribù giovanili che si aggregano intorno ad un totem.c) Cercano visibilità, un flash su di sé come conferma di esistere.È il modo di sentirsi vivi e di essere presenti e incisivi nella società dello spettacolo e nel-la civiltà dell’immagine. Non è affatto un’esigenza di questa generazione. Anche in passato i giovani volevano essere pro-tagonisti, come ben sappiamo, ricorrendo ad ogni mezzo. Evi-tando allusioni (che sarebbero estreme) al fenomeno del terro-rismo si pensi invece ai “ragazzi di vita” raccontati, ad esempio, da Pasolini.d) Cercano una bussola per tro-vare la rotta.Questi giovani sono inquieti, insicuri, incerti, spaesati, diso-

rientati, smarriti. È per questo che cercano l’acqua come la terra arida del deserto, cercano una bussola come i naviganti dispersi in mezzo all’oceano.Come altre generazioni del pas-sato, anche i giovani d’oggi sono affascinati dall’esperienza del viaggio e dalla metafora del cammino, della strada e del tra-guardo.e) Cercano una risposta alla do-manda di identità.Non sapere quale sia la propria identità, non poter raccontare a quale comunità si appartiene come storia e come tradizione: è forse uno dei più importan-ti problemi dei nuovi giovani, sospesi in molti casi tra nichi-lismo, relativismo e fondamen-talismo.È inevitabile che in una socie-tà plurale, multiculturale, com-plessa e disorientata i giovani siano alle prese con le sfide dell’identità.Che fare, dunque, mentre siamo impegnati a fianco delle nuove generazioni come “accompa-gnatori educativi” nei tempi e nei luoghi in cui questo diventa possibile?Il suggerimento fondamentale è di esercitare la nostra responsa-bilità educativa nella consape-volezza che stiamo realizzando un compito profetico che, nel linguaggio biblico trova il suo modello in Maria che alle nozze di Cana si fa carico con premu-ra di un problema che la induce

a intervenire con discrezione: «Fate quello che Egli vi dirà».A partire da questa “icona” dell’educazione preventiva van-no poi sviluppate quelle propo-ste e quei percorsi educativi che danno concretezza e traducono operativamente le istanze dello spirito profetico e del metodo preventivo in riferimento ai no-stri giovani.Il monito di San Giovanni Bo-sco è valido ancora oggi: «Voi dovete amare le cose che piac-ciono ai giovani perché i giova-ni amino le cose che piacciono a voi».In questa direzione, un primo suggerimento che raccolgo da Mons. Domenico Sigalini – che di giovani ne sa qualcosa – e che volentieri rilancio è che «bisogna non far mai mancare il gruppo dei pari, un luogo dove il giovane possa vivere una vita bella, senza la necessità di di-fendersi con le unghie e con i denti. La possibilità di vivere in gruppo gli permette un confron-to, l’instaurarsi di amicizie».La strategia educativa da pri-vilegiare, dunque, non sta nell’inseguimento dei giovani nei luoghi che già abitualmente frequentano, ma nell’inventarsi e nel costruire un luogo di gio-vani intorno ad un centro di in-teresse comune che abbia anche caratteristiche di solidarietà e di cooperazione oltre che di diver-timento, di protagonismo e di autorealizzazione.

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Mentre si opera in tal senso ri-tengo opportuno sottolineare che è più importante valorizzare la prospettiva dello “stare con” i giovani che non quella del “fare per” i giovani. La presen-za dell’adulto che educa viene, infatti, ad essere decisiva anche quando rimane sullo sfondo come una figura simbolica che indica il carattere inter-genera-zionale su cui non è mai esage-rato insistere, soprattutto in un tempo di assenza di prossimità o impotenza della famiglia ri-dotta a pezzi.Un ulteriore suggerimento è di privilegiare la dimensione dell’affettività, dei sentimenti, della via del cuore più che della ragione, perché l’alfabeto delle emozioni ha un’efficacia non paragonabile all’alfabeto della razionalità, della progettualità politica e dell’impegno civico.Ciò induce a scegliere l’idea-zione di momenti aggregativi che passino attraverso la festa e l’espressività, lo spettacolo partecipato (più che fruito) e il linguaggio narrativo, musicale, teatrale, audiovisivo.In questa direzione assumono significato tutte le iniziative che valorizzano le esperienze di “edu-comunicazione” e di “me-dia education”.È tuttavia opportuno progetta-re questi momenti aggregati-vi, almeno per la fase in cui si concretizzano come “evento” coinvolgendo altre agenzie e

soggetti educativi come le fa-miglie, le associazioni, le par-rocchie, i docenti della scuola.In conclusione, ciò che rende “profetica” la presenza educa-tiva e segno di “amore preve-niente” possiamo sintetizzarlo in quattro connessioni tra loro complementari:a) Educazione e socialità: in una società individualizzata (Z. Bauman) come la nostra, sem-pre più disgregata e sfarinata, è chiaro che il legame educa-tivo diventa una scelta “con-trocorrente” perché svolge una funzione ri-socializzante e di ricostruzione del tessuto comu-nitario (dall’io al noi).b) Educazione e futuro: nella nostra società caratterizzata dal-la “dittatura del presente” (Marc Augé), l’oblio del passato si ag-giunge alla rimozione del futu-ro. La pubblicità rafforza tale presentismo: life is now! In tale contesto l’unica forza che con-trasta tale sistema riproponendo l’interrogativo sul futuro è l’e-ducazione (si pensi al compito di discernere le “res novae”).c) Educazione ed etica pubbli-ca: nella nostra società plurale e complessa abbiamo bisogno per poter coabitare e con-vivere di regole condivise di etica pubbli-ca. Questo vale per tutte le ge-nerazioni, giovani e adulti. Nes-suno ha il monopolio dell’etica, neanche i cattolici. Bisogna al-lora valorizzare il principio di “laicità” liberandolo dal retag-

gio illuministico e ridefinendolo secondo uno statuto più avanza-to che sia espressione di creden-ti, non credenti e diversamente credenti.d) Educazione e politica: da tempo si assiste in Italia al di-stacco della società e delle nuo-ve generazioni dalla politica. Negli ultimi mesi è cresciuta un’ondata di antipolitica che ha trovato voce negli schiamazzi del grillismo. A questa crisi di sistema anche il mondo catto-lico sta cercando di offrire un contributo orientato al “bene comune” come via di rinascita per il paese.Alla luce di queste (ma anche di altre...) connessioni socia-li dell’educazione acquistano maggiore chiarezza e signifi-cato le inquietudini e le incer-tezze che vivono i giovani di oggi. Ma ripartendo da queste connessioni diventa anche più ragionevole capire perché sia più opportuno privilegiare certe strategie educative invece che altre per orientare i giovani al futuro.

Don Francesco A. SpadolaTeologoCrotone

DOSSIER: RIACCENDIAMOlI

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In foto fusti in autunno di Tiziano Boscarato

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Moda e PedoPornoGraFia:lo scandalo voGue Paris

un qualche gusto estetico. Le accuse rivolte dalle associazio-ni a tutela dell’infanzia e dai media alla rivista e ai soggetti che hanno avuto un ruolo atti-vo in questo episodio sono state di istigazione alla pedofilia e di pedopornografia. Senza pretese di approfondimento in merito agli sviluppi e all’esito della vi-cenda né di comparazione con l’ordinamento giuridico fran-cese, in questa sede ci si vuole soltanto interrogare sul punto di equilibrio tra le libertà garantite dalla Costituzione italiana in un settore così “trafficato”, quale quello della moda. Il settimo comma dell’art 600 ter del co-dice penale stabilisce che <<Ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si inten-de ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappre-sentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali>>.Stante la defi-nizione legislativa e l’operati-vità del divieto di applicazione analogica delle norme penali, se la disposizione dovesse es-sere applicata testualmente, un episodio come quello appena descritto sarebbe sprovvisto, in Italia, dei requisiti della fatti-specie delittuosa di pedoporno-

grafia. Non essendo le bambine né nude né ritratte in attività sessuali esplicite, sembrerebbe non compromessa la loro libertà sessuale, oggetto della protezio-ne normativa e specificazione della liberta personale garantita dall’art. 13 della Costituzione e, conseguentemente, risulterebbe prevalente la libertà di espres-sione del fotografo e la libertà di manifestazione del pensiero a mezzo stampa di cui all’art. 21 della stessa Carta Costituziona-le.La Corte Costituzionale ha, tut-tavia, chiarito come neppure l’arte, alle cui logiche il foto-grafo aveva fatto appello per di-fendere il proprio operato, possa tradursi in una <<lesione di beni e interessi costituzionalmente rilevanti dei soggetti coinvol-ti>>, specie quando si tratti di minori, la cui personalità, an-cora in fieri, necessita di essere salvaguardata da forme di rap-presentazione inopportune per la maturità raggiunta e, comun-que, più adeguate a un pubblico adulto. La Costituzione e la giu-risprudenza della Corte Costi-tuzionale impongono, in verità, una interpretazione delle dispo-sizioni di legge che sia attuativa dei principi fondamentali su cui si erge l’ordinamento giuridico, primo tra tutti il personalismo. L’art. 2 della Costituzione, ri-

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Discutere di moda può, in al-cune circostanze, implicare osservazioni ulteriori e diver-se rispetto a quelle cui siamo tradizionalmente abituati. Se, infatti, il diritto è la struttura portante della società, risulta impossibile sottrarre un feno-meno dalla così accentuata va-lenza sociologica a considera-zioni di carattere giuridico. Lo scandalo Vogue Paris offre lo spunto per riflettere sulla sem-pre più frequente migrazione di elementi dal mondo della pro-stituzione a quello del glamour e, più dettagliatamente, sul la-bile confine tra la libertà di ma-nifestazione del pensiero e la libertà sessuale dei minori. Si fa riferimento alla bufera che, nel Dicembre 2011, ha travolto la nota rivista di moda francese e Carine Roitfeld, storica capo-redattrice di Vogue Paris. All’o-rigine dello scandalo che ha portato la Roitfeld ad anticipare le sue preannunciate dimissio-ni, un servizio fotografico con protagoniste baby modelle di età compresa tra i sei e i dieci anni. Immortalate da Tom Ford, le bambine si presentavano av-volte in abiti succinti e pellicce leopardate, nascoste dal rosset-to, issate su dodici centimetri di tacco e in pose così palesemen-te ammiccanti che risultava dif-ficile rinvenire nelle fotografie

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conoscendo l’inviolabilità dei diritti dell’uomo, pone la cura e lo sviluppo della personalità al centro del sistema; in forza di questa considerazione, non sarebbe forse opportuno esten-dere le maglie della tutela predi-sposta dall’art. 600 ter c.p. fino a ricomprendervi anche quegli atteggiamenti sottilmente ero-tizzanti imposti dalla moda alle bambine dei servizi fotografi-ci? Non si tratta, forse, anche in questo caso di una forma di manipolazione della minore e di alterazione della sua personalità ancora in formazione? La stru-mentalizzazione dell’immagine delle bambine, perpetrata dal mondo scintillante del fashion, richiede al legislatore e all’in-terprete la massima sollecitu-dine, essendo ormai diventato evanescente il confine tra la sfera di operatività della libertà di espressione artistica e quella dei delitti a sfondo sessuale in danno di minori. Resta, in ogni caso, ferma la considerazione in base alla quale se l’idea di ab-bigliare una bambina come una prostituta viene ritenuta vincen-te per la vendita di un abito, il problema affonda le proprie ra-dici nella società e nella pubbli-ca morale, prima ancora che nel diritto.

Luciana la BancaGiurista

Catanzaro

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una Buona oPPortunitàMi piace immaginare le lettere del nome PrendiParte fatte di fili di vimini che, come impaz-ziti di magia, si alzano e si in-trecciano. Creano la base, poi i bordi. S’impennano nell’arcata del manico. Il cesto finale è la nostra associazione: salda, in-clusiva, immaginativa.La prima possibilità che offre è quella dell’incontro: PrendiPar-te, costituita dai quattordici soci fondatori nel 2012, coinvolge una quarantina di volontari che

si riconoscono nella carta eti-ca e che condividono valori e obiettivi dell’associazione. Un cesto innanzitutto aggregativo, insomma, dentro cui non è im-probabile finire, quando si vo-glia provare non tanto, o non solo, a confrontarsi su cosa sia-no la Solidarietà o l’Integrazio-ne, quanto piuttosto a realizzare nella propria azione quotidiana un piccolo gesto che renda vero – che renda dato di fatto concre-to – quello che altrimenti reste-

rebbe un bel principio astratto scritto su una carta. Dall’incontro scaturisce la con-divisione: delle nostre esperien-ze e delle nostre aspettative. Più sopra ho dato come attributo la capacità immaginativa, e lo vo-glio sottolineare: lo è davvero. Perché magari in PrendiParte ci sei entrato un po’ per caso un po’ per finta, trascinati da un amico oppure da una bella voce sul suo conto, come “l’associazione che fa doposcuola”. Quel che è cer-

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noi, quale può essere il nostro contributo, affinché il vivere ci-vile che riconosciamo intorno a noi si renda più simile a quello che abbiamo in mente?Ecco, dunque, l’aspetto che ci tengo a chiarire subito, di Pren-diParte: se abbiamo il coraggio di immaginarla, una società con quei principi come pilastri, non abbiamo nemmeno paura di provare a realizzarla.Una volta compreso tutto ciò, si capisce come nasca l’esigenza di una formazione permanente per i soci; nessuna associazio-ne, infatti, può pensare di fare “promozione sociale” senza avere gli strumenti per muover-si nei settori che ha scelto. Nel nostro caso, si tratta del lavoro che ci porta ad essere educatori di ragazzi più giovani. Ci pre-sentiamo con la peculiarità di essere più grandi di loro, sì, ma nemmeno proprio adulti: una via di mezzo che avvantaggia

sul piano della comunicazione, della confidenza nel rapporto. Poi però si tratta anche, e forse soprattutto, di dare l’esempio: un ragazzo di quattordici anni che non ha voglia di studiare matematica si chiede come mai tu, con quattro, cinque anni di più, sei lì di fronte per aiutarlo nei compiti. “Non hai di meglio da fare del tuo pomeriggio?” Sembra dirti con gli occhi. Non pensi di essere stato a scuola ab-bastanza, che ci fai ancora qui? Forse quel ragazzo non si ren-derà conto ancora per un pezzo del “che cosa ci facciamo lì”, ma prima o poi ci arriverà e, al di là dei compiti, sta in questo il risultato più difficile di un edu-catore: nel riuscire ad essere un esempio tra i tanti. Ancora non basta, perché suc-cede che la formazione non sia limitata ai soci, bensì aperta a tutta la cittadinanza. Argomenti che hanno a che vedere con am-biti quali la storia degli anni più recenti, la politica, la memoria non potremmo non approfondir-li in occasioni che siano utili a chiunque desiderasse partecipa-re: oltre ad occuparci di confe-renze o di presentazioni di libri, abbiamo creato la “Scuola di Politica”, un progetto che mira ad informare su argomenti di at-tualità o che, insieme all’ANPI, organizza una fiaccolata per il 25 aprile.Eppure, quanto detto finora è solo il contorno, dopotutto. Per-ché il cuore pulsante dell’asso-

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to, però, è che una volta saltati dentro al cesto basta poco, po-chissimo, per rendersi conto che ci si ritrova insieme con ragazzi che hanno più o meno la tua età, ovvero più o meno il tuo stes-so tipo di (in)certezze sul futu-ro, ma soprattutto hanno le tue stesse domande. Siamo tutti lì, circondati dal muro di vimini, a chiederci com’è che il paese in cui siamo non ci sembri degno del paese che abbiamo in testa quando diciamo Italia. A do-mandarci cos’è che manca alla nostra società perché sia capace davvero di garantire quei valo-ri che condividiamo (ho scritto già Solidarietà e Integrazione, ora potrei aggiungere Sosteni-bilità ambientale e Antimafia sociale). Ad arrovellarci sul perché dia l’impressione di es-sere indietro proprio sui valori verso cui la vorremmo portare. Finché non arriva la domanda cruciale: cosa possiamo fare A

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ciazione nelle due o quattro ore settimanali che ciascun socio dedica in una delle scuole di Bo-logna. Il cuore pulsante è quello che impariamo ogni volta che torniamo da un doposcuola, è il rapporto che abbiamo coi bam-bini e i ragazzi. Ad oggi, i progetti cardine dell’associazione sono quattro e coinvolgono più di cinque istitu-ti scolastici: Oltrescuola, diviso in elementari e medie, nato non solo per offrire attività di dopo-scuola ma anche per mettere a disposizione degli alunni una realtà che vada, appunto, “oltre” la scuola, consentendo loro di trovare stimoli diversi sia attra-verso lo studio e il sostengo nei compiti, sia con attività ludiche. Il progetto WeSchool, invece,

si rivolge a studenti del primo anno del liceo che faticano, per i più svariati motivi (mancanza di un metodo di studio indivi-duale, difficoltà derivate dal non essere italofoni, problemi famigliari), a stare dietro a rit-mi ben diversi da quelli delle medie, dunque ragazzi che po-trebbero compromettere fin dai primi mesi la loro carriera sco-lastica; in questo caso, i volon-tari forniscono assistenza per lo svolgimento dei compiti e l’impostazione dello studio del-le materie più ostiche. Infine, il progetto Scu.Ter – “scuola e territorio” – prevede l’apertura di un punto di incontro in cui gli operatori di PrendiParte siano sempre visibili all’interno della scuola in cui operano. Il punto,

aperto una volta a settimana per tutta la mattina, funziona come centro di aggregazione e di pro-mozione di attività, di confronto coi ragazzi. Scu.Ter è un tenta-tivo di abituare gli studenti ad essere ‘cittadini della scuola’, così da prepararli e avvicinarli ai cittadini che saranno fuori, una volta usciti.Questo, a grandi linee, per rac-contare qualcosa di cosa sia PrendiParte: un cesto di ragazzi e di progetti, che aspetta solo di crescere. Un cesto che non ha paura, e anzi si propone, si ado-pera e smania di Prendere Parte al cambiamento.

Tania BergamelliStudentessa - Bologna

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Settembre: tempo di vendem-mia!E’ ancora così o i cambiamen-ti climatici hanno stravolto anche tale scadenza?

Il mese di settembre per la no-stra regione e per i nostri viti-gni è il mese della vendemmia. I cambiamenti climatici influi-scono in ragione di pochi gior-ni di anticipo o di ritardo sulla raccolta. Il periodo vendem-miale in generale si è però per noi allungato da Agosto a metà Ottobre perché sono stati intro-dotti da noi vitigni alloctoni o autoctoni diversi da quelli in genere usati in zona.Vendemmiare significava raccogliere solo il frutto della vite e trasformarlo in vino.Oggi significa raccogliere an-

che il frutto della tecnologia. In che misura?

Per il viticoltore la vendemmia rappresenta il culmine del lavo-ro di un anno, il momento più importante.L’operazione è sempre la stessa: si pigia l’uva per ottenere possi-bilmente un buon vino. La tec-nologia moderna, importantissi-ma, deve servire a preservare e ad esaltare quanto di buono si è fatto in vigna, perché la vigna è il luogo di produzione del gran-de vino.Lei è molto attento ad usa-re ancora strumenti naturali nelle sue coltivazioni: un rose-to apre un filare.Non Le pare un accorgimento anacronistico?

a ProPosito del vino

L’azienda Librandi è un’azienda eticamente corretta, particolar-mente rispettosa dell’ambiente e del territorio. La rosa a capo dei filari veniva usata una vol-ta come campanello d’allarme per l’oidio; attualmente ci sono sistemi migliori per individuare questa malattia.A noi quindi rimane oggi il fat-tore puramente estetico.Quanto è stato importante es-sere un’impresa familiare per il successo della Vostra produ-zione?

Il fattore “famiglia” è importan-te per la crescita aziendale se si ha la fortuna di avere in fami-glia gli elementi giusti.Penso che noi siamo stati fortu-nati in questo senso.Come si vive lo scarto genera-

In questa rubrica si parlerà dei prodotti, come il vino e il pane che vediamo sulle tavole eucaristiche; ce ne interesseremo secondo una prospettiva nuova, guardando loro dalla Calabria e secondo il linguaggio della laboriosità calabrese.I nostro viaggio parte da Cirò Marina e da una prestiggiosa azienda come quella “Librandi”.Ci accoglie garbatamente il signor Nicodemo Librandi.

I SEGNI IN “tAVOlA”

Vigneti Librandi

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zionale nell’Impresa Libran-di?

Da noi il ricambio generaziona-le è stato preparato in largo an-ticipo, con spirito collaborativo, facendo convivere l’esperienza della generazione precedente con le nuove idee delle genera-zioni successive, per cui lo scar-to, se di scarto si può parlare, è veramente minimo.Come è vissuto dai suoi operai il senso di appartenenza ad un’azienda così importante?

Bisognerebbe chiederlo ai no-stri collaboratori. Dal mio pun-to di vista posso dire che nella nostra azienda il turn over è pra-ticamente inesistente: si entra ragazzi e si esce quando si va in pensione e questo mi sembra un

buon segnale.Come si coltiva la risorsa dei lavoratori?

Facendoli sentire parte inte-

I SEGNI IN “tAVOlA”

grante dell’azienda, aiutandoli a crescere dando loro responsa-bilità e quindi tollerando anche eventuali errori, veicolo princi-pale della crescita professionale stessa.

I vini Librandi fin dove arri-vano nel mondo? Dove sono apprezzati in modo partico-lare? Hanno aperto la strada ad altri prodotti tipici della nostra terra?

I nostri vini, distribuiti in tutta Italia, sono poi esportati in 38 paesi diversi: dall’America al Giappone, dal Brasile alla Cina ed in tutti i paesi europei. La Germania è il paese che da sola assorbe il 20% del fatturato.

A cura della redazioneIn foto Nicodemo Librandi

In foto cantina Librandi

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Istituto Paritario

Benedetto XVI

PA R I TA R I OI S T I T U T OB E N E D E T T O X V IScuola Media e L iceo Scientif ico

Crotone

SCUOLA MEDIA

LICEO SCIENTIFICO

AD INTEGRAZIONE CLASSICA

Un mondo da conoscere.Un modo per conoscere il mondo!

Il Coordinatore DidatticoProf. d. Serafino Parini

Il Presidente della Coop. Benedetto XVIDott.ssa Teresa Mezzotero

COOPERATIVA BENEDETTO XVI Onlus

Via P. Raimondi n. 20 - 88900 Crotone

Tel. e Fax 0962.23959

e.mail: [email protected]

sito internet: www.istitutobenedettosedicesimo.it

La segreteria studenti riceve tutti i giorni dalle ore 10:30 alle ore 12:30

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kAlOS FOR kAIROS

Pini silani di Giuseppe Bellassai

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Dopo Roma (1976), Loreto (1985), Palermo (1995), Verona (2006), la Chiesa italiana si ritrova a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015 per il suo 5° Convegno Nazionale. Ap-puntamento importante anche per la società in Italia dove le varie Chiese diocesane operano in modo capillare. Il tema è impegnativo e va al cuore della pretesa cristiana: «In Gesù Cristo il nuovo umane-simo». L’evento ecclesiale sarà un mo-mento di preghiera, condivisione e di riflessione per affrontare «il tra-passo culturale e sociale che carat-terizza il nostro tempo e che incide sempre più nella mentalità e nel costume delle persone, sradicando a volte principi e valori fondamen-tali per l’esistenza personale, fami-liare e sociale», così il l’Arcivesco-vo di Torino Mons. Nosiglia nella presentazione dell’Invito a Firenze 2015 nell’ottobre del 2013.La formula dell’Invito che solleci-tava di “intraprendere insieme un cammino” si è rivelata in qualche modo proficua. I contributi giunti al comitato preparatorio, infatti, hanno offerto un ricco materia-le fatto di esperienze provenienti dalle varie diocesi italiane, dall’as-sociazionismo cattolico e dai vari movimenti ecclesiali, confluite poi in “Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale” reperibile in www.fi-renze2015.it . Con Firenze la Chiesa italiana, così pare, punta ad uno stile eccle-siale decisamente più sinodale, più comunionalmente partecipativo,

con un protagonismo dal basso, cioè dal vissuto delle nostre comu-nità ecclesiali. In fondo si procede nel flusso della grande lezione che proviene dal Vaticano II: ogni cre-dente è chiamato a fare la sua parte nella missione che Gesù ha dato alla Chiesa.A Verona nel 2006 la Chiesa si è soffermata su cinque ambiti esi-stenziali del vissuto umano (affet-tività, lavoro-festa, fragilità, tra-dizione e cittadinanza) illuminato dal Vangelo. Questi ambiti, tipici di ogni uomo e per ogni uomo, vengono come rilanciati e riletti, per Firenze 2015, alla luce del re-cente magistero di papa Francesco e sintetizzate nelle vie, cinque ver-bi che ritmano la vocazione mis-sionaria della Chiesa “en salida”: uscire, annunciare, abitare, educa-re, trasfigurare. Sono verbi – vie che si richiamano sostanzialmente allo stile di Gesù che deve essere sempre più il medesimo stile della Sua chiesa. Evidente la distanza tra il Maestro e i suoi discepoli nei 21 secoli di vicende cristiane ed ec-clesiali. La Chiesa non è Gesù Cri-sto, pur essendo il Suo sacramento in questa storia. Ugualmente è evi-dente la testimonianza di tantissi-mi credenti, uomini e donne, che hanno onorato il Vangelo con la loro vita, anzi molti di loro hanno dato la propria vita senza rubarla agli altri, facendo così risplendere in loro l’umanità bella e vera di Gesù. D’altra parte la Chiesa nei suoi membri è sempre in sequela, sempre dietro al Maestro, sempre sottoposta alla Sua parola di vita,

sempre in conversione, in continua riforma, aperta e in dialogo con tutti gli uomini che abitano questa terra, “casa comune”. A tutti gli uomini, a tutte le donne la Chiesa “deve” annunciare Gesù poiché, essi hanno il diritto di ascoltare e, possibilmente vedere, almeno per una volta sola che in Gesù di Na-zaret si incontra l’uomo perché si realizza il vero desiderio umano: avere vita piena e duratura.Quale umanesimo? Certamente non quello che sca-turisce da stili di vita e di pensie-ro che fanno di una buona parte dell’umanità uno “scarto” socia-le, economico, culturale e mora-le (papa Francesco) da cestinare negli agglomerati della miseria e della disperazione. L’annuncio del Vangelo è anche denuncia dell’u-manesimo negato nella dignità cal-pestata dell’essere persona di ogni individuo umano con violenza fi-sica, psicologica, culturale, ideo-logica. È quell’umanesimo negato nella sottile, a volte soft, dittatura del pensiero unico e globalizza-to, denunciata da papa Francesco, che non permette, per egemonia finanziaria-economica e politica-culturale dei cosiddetti poteri for-ti sovranazionali, la possibilità di dialogo a tutto campo per una vi-sione condivisa della persona su questioni vitali e sensibili dell’esi-stenza umana. Pensiamo solo alla problematica drammatica dell’im-migrazione o ai tanti temi della bioetica.L’ideale dell’umanesimo che dal rinascimento è giunto fino a noi,

nel caMMino della chiesa italiana verso il conveGno ecclesiale nazionale di Firenze 2015

APPUNtAMENtI AUtUNNAlI DEllA CHIESA

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APPUNtAMENtI AUtUNNAlI DEllA CHIESA

pur ispirato alla soggettività di radice cristiana, si è arenato sul-le secche dell’antropocentrismo e dello scientismo, della cosiddetta modernità che negando la struttu-rale creaturalità si è reso responsa-bile, tra l’altro, delle tragedie con-sumate nel secolo scorso appena trascorso. Gli esiti post-moderni o post-umani di una tale ideolo-gia, pur reagendo al così designato pensiero forte, rischiano di consu-marsi in un relativismo etico tipi-camente occidentale. Pertanto un umanesimo latore di un benessere fondato sulla tecnocrazia, paradig-ma di felicità diventato oggi pen-siero dominante (cfr. Francesco, Laudato Sì, 108) ma che da fine rende la persona mezzo, è disuma-no. Si tratta di un umanesimo che ha smarrito ogni riferimento alla Trascendenza che si pone come autoreferenziale, già segnalato dal Concilio Vaticano II nella Gau-dium et Spes al n. 7.I cinque verbi (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) su cui si sta lavorando nella diocesi italiane in vista del Convegno, pre-tendono annunciare un umano che trova consistenza nella Trascen-denza. Con i cinque verbi si inten-de rilanciare il gusto dell’umano autenticato da Gesù nella sua bre-ve ma intensissima vicenda di vero figlio dell’uomo, perché egli si ri-conosce radicalmente “figlio” di Dio: “da me stesso non posso fare nulla” (Gv 8,28).Si tratta ancora una volta, e in modo sempre nuovo, di proclama-re che il Vangelo è per l’uomo, lo salva, gli offre la vita piena e ab-bondante già qui e oltre ogni morte e fallimento, lo strappa dall’infer-no della disumanità e lo ridona a se stesso. E tutto questo dentro le sfide e le opportunità, le miserie

e le bellezze, le atrocità e la tanta generosità che gorgoglia nel cuore degli uomini di oggi. Da qui l’ascolto attento di tutte le istanze provenienti dalle varie pe-riferie umane che provocano i cre-denti della Chiesa italiana ad una risposta di ampio orizzonte in cui ogni persona possa respirare uma-namente e ritrovarsi come a casa. La Chiesa sa mettere in comune le sua unica e vera risorsa: il Vangelo. Ma l’annuncio di Gesù nella mil-lenaria esperienza della Chiesa ha generato risorse culturali, sociali, economiche spirituali a vantaggio di intere generazioni. Oggi il medesimo annuncio evan-gelico già dischiude percorsi di un’umanità nuova all’interno de-gli ambienti che quotidianamen-te sono abitati: la persona, i vari poveri ed emarginati, la famiglia e i giovani, la scuola, il lavoro, la città, il creato, il web. Sono “fron-tiere”, brevemente delineate dalla “Traccia ... verso Firenze”, dentro cui le comunità cristiane sono chia-mate ad esercitare discernimento e conseguente scelte evangeliche, certo di non facile attuazione, ma che permettono di affrontare, con serena fiducia nella presenza dello Spirito, l’uscita missionaria del-le nostre comunità verso i luoghi popolati dagli uomini per promuo-verne un’umanità bella e autentica a misura di Gesù. Con una pacifica ma chiara pretesa: “Chi segue Cri-sto, uomo perfetto, diventa anche lui più uomo” (Gaudium et Spes 41).

Don Fortunato MorroneTeologo - Crotone

Scorcio autunno silano di Tiziano Boscarato

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Perché è nato il progetto “Il Filo e la rete”?

“Il Filo e la Rete” è un servizio del Forum nazionale delle Asso-ciazioni Familiari, nato un anno fa per far fronte alle esigenze di numerosi genitori e docenti, da soli o organizzatisi in piccoli gruppi, comitati o associazioni, ai cui figli erano stati proposti a scuola corsi ispirati alla teoria gender. La nostra iniziativa è nata per aiutare genitori, docenti , edu-catori a riprendere piena con-sapevolezza del proprio com-pito educativo, fondamentale per ogni bambino, adolescente o giovane, ed a farlo in modo positivo, accompagnando il ra-gazzo alla scoperta della bellez-za della differenza sessuale, del maschile e del femminile, nella costante ricerca del significato dell’amore e della sessualità umane.

A cosa serve?

Su richiesta dei Forum regio-nali, dei comitati di genitori e delle associazioni familiari, di chi cioè era impegnato a conte-nere la diffusione nelle scuole della ideologia gender, abbia-

mo iniziato a mettere insieme, a collegare ed a far conoscere alcune delle proposte di buo-na educazione dell’affettività e della sessualità presenti in Ita-lia, a cominciare da quelle più consolidate , con più esperienza alle spalle , più valide scientifi-camente e sul piano antropolo-gico e pedagogico. “Il Filo e la Rete” è un modo per condividere e sostenere il ritrovato desiderio di protago-nismo educativo di genitori e docenti che, superando la dif-fusissima tendenza a delegare a figure “tecniche” di “esperti” l’educazione dell’affettività e della sessualità dei loro figli ed alunni, e volendo andare oltre i pur necessari “no al gender”, sta cercando di costruire dialo-go e collaborazione fra scuola e famiglia anche attraverso la proposta di percorsi educati-vi collaudati ed efficaci. Così, piano piano, “Il Filo e la Rete” sta raccogliendo queste “buone prassi”, le sta collegando fra loro e con chi desidera portare nelle scuole, ma anche in fami-glia, in parrocchia o all’orato-rio, percorsi educativi dedicati all’affettività ed alla sessualità.

Come viene rivolto pratica-

mente ai fruitori dello stesso?

Da “Il Filo e la Rete” è nata una omonima Newsletter periodica che collega quanti sono interes-sati a portare una forte proposta educativa nelle scuole. La new-sletter approfondisce la bellez-za dell’affettività, del maschile e del femminile, della sessualità e della fecondità umane, rac-conta storie, dà giudizi, presenta progetti ed esperienze, pubblica articoli, diffonde informazioni ,indica strumenti, connette per-sone, gruppi ed iniziative e pre-senta via via le diverse proposte di buona educazione sessuale presenti nella nostra rete: tutto questo per contrastare il gender, certo, ma soprattutto per risco-prire il positivo, la bellezza che si cela nella sessualità umana, troppo spesso misconosciuta, o nascosta sotto il tappeto.

Come viene divulgato?

Per posta elettronica, attraverso la mailing list che si è costruita durante questo anno di lavoro.

Come si comunica la volontà di aderirvi?

Basta scrivere una mail a:

APPUNtAMENtI AUtUNNAlI DEllA CHIESA

a ProPosito del sinodosulla FaMiGlia Pubblichiamo qui di seguito l’intervista gentilmente rilasciataci dalla responsabileper la Regione Puglia, Dottoressa Lodovica Carli, del Forum delle famiglie.

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APPUNtAMENtI AUtUNNAlI DEllA CHIESA

[email protected] esprimendo il desiderio di rice-vere la Newsletter. Il suo invio è gratuito.

Cosa è il progetto “La luna nel pozzo”?

“ La luna nel pozzo” è uno dei progetti di educazione dell’af-fettività e della sessualità della rete di “FER”. E’ nato in Puglia, dalla collaborazione fra sezione appulo-lucana dell’Associazio-ne “La Bottega dell’Orefice”, Uffico Scolastico regionale pu-gliese e Cattedra di Sociologia dell’aEducazione dell’Univer-sità degli Studi di Bari.E’ pensato per ragazzi di scuo-la media inferiore e superiore,e si articola in almeno 5 incontri proposti a i singoli gruppi clas-se , con modalità laboratoriale. Le equipes sono composte da due persone, sempre compre-senti, di cui una con competen-ze antropologico- pedagogiche, l’altra esperta in campo biome-dico. Come educatori de “La luna nel pozzo”,prima di inizia-re a lavorare con i ragazzi, te-niamo moltissimo a presentare a genitori e docenti il percorso che proporremo ai loro giovani, per coinvolgerli in una comune responsabilità educativa. Non si può pensare, infatti, che cinque incontri, per quanto ben fatti, possano esaurire le esigenze educative dei ragazzi. C’è biso-gno di continuità, di coerenza, di costanza nell’accompagna-

mento educativo: sicchè, come sono nate scuole genitori e per-corsi formativi per i docenti, così cerchiamo di continuare la presenza educativa durante gli anni di scuola media inferiore o superiore, eventualmente anche la creazione , ove possibile, di sportelli d’ascolto.Il percorso offre, attraverso il metodo narrativo autobiogra-fico, la possibilità di accompa-gnare i ragazzi a porsi, a pren-dere sul serio ed a cercare una risposta alle domande sulla propria identità , sulle loro rela-zioni, sul significato di limiti e contraddizioni che spesso sono presenti nella vita dei ragazzi . SI esplorano poi il mondo emo-zionale, si impara a distinguere ed riconoscere la differenza fra emozione e sentimento, fra in-namoramento ed amore; si im-para a conoscere il maschile ed il femminile, per come la natu-ra li plasma, e per come cultu-ra e relazioni ne permettono( o meno) la crescita in noi, al di là di ruoli e di preconcetti. E fi-nalmente si scopre di dover im-parare ad amare, a costruire , a progettare insieme; si impara la differenza fra fare sesso e fare l’amore e si scopre la bellezza del dono totale di sé e dell’ac-coglienza della vita.Siamo abituati a considerare i giovani di questa generazio-ne superficiali, egoici, incapaci di dedizione e di progettualità generosa. Non è vero: essi cer-cano testimoni credibili di una

vita carica di significato e spesa con generosità. E questo vale a maggior ragione per le relazioni affettive.

Con quali motivazioni l’Uf-ficio scolastico della regione Puglia lo ha adottato?L’USR pugliese ha sostenuto questo progetto in tutte le scuo-le che lo volevano realizzare per diversi motivi.Era stata appena condotta in 100 scuole statali pugliesi, a cura della sezione appulo-luca-na dell’Associazione “La Bot-tega dell’Orefice”,dell’ Ufficio Scolastico regionale pugliese e della Cattedra di Sociologia dell’Educazione dell’Università degli Studi di Bari, sotto la di-rezione scientifica della prof.ssa Mongelli, una ricerca sullo sta-to dell’arte dell’educazione ses-suale a scuola, nella nostra Re-gione. La ricerca aveva messo in evidenza la forbice esistente fra i bisogni educativi degli adolescenti ed i progetti effetti-vamente messi in atto . Sappia-mo che la maggior parte delle proposte di educazione sessua-le presenti nelle scuole italiane sono in realtà caratterizzate da un approccio tecnico-informa-tivo, per cui professionisti del mondo medico e/o psicologico parlano a grandi quantità di ra-gazzi, informandoli prevalente-mente su anatomia e fisiologia degli apparati riproduttivi e sul-la contraccezione. Gli obiettivi di chi porta avanti questo tipo

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di approccio sono per lo più co-stituti dalla prevenzione di gra-vidanze, aborti e malattie ses-sualmente trasmesse fra i teen agers: in realtà, proprio dove è più diffusa l’informazione con-traccettiva risulta più frequen-te un inizio precoce dell’attività sessuale ed il ricorso alla pillola del giorno dopo.Credo che ciò debba indur-re noi adulti a considerare or-mai improcrastinabile il tempo di una reale EDUCAZIONE dell’affettività e della sessuali-tà, che veda la famiglia,primo e fondamentale soggetto educan-te, impegnata in un patto di cor-responsabilità assieme a scuola, Chiesa ed agenzie educative.Qualunque “NO” al gender sarà inutile se prescinderà da questa assunzione di responsabilità, che ci deve mobilitare come adulti a riscoprire in cosa cre-diamo veramente.

A cura della redazione

su “instrumentum laboris” A proposito del Sinodo sulla famiglia pubblichiamo uno stralcio del dibattito svoltosi sul tema delle unioni stabili tra omosessuali presso una comunità par-rocchiale della diocesi di Noto, guidata dal suo parroco e raccolta da Carmelo Stornello, presidente diocesano del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (MEIC).

“Siete d’accordo che le unio-ni stabili di omosessuali, an-che se per loro stessa natura non possono essere un vero matrimonio-sacramento, non siano da considerare luoghi di peccato ma una cosa buona e onesta?”

Un passo storico per la chiesa: passare dalla condanna all’ac-coglienza. Nel passato l’omo-sessualità è stata considerata una malattia e un disordine gra-ve della natura. Ancor oggi in alcune nazioni gli omosessuali sono messi in carcere e addirit-tura vengono uccisi per il solo fatto di esserlo.- La scienza odierna li ritiene persone normalissime le cui inclinazioni sessuali non van-no corrette ma armonizzate con l’intera personalità. Alcu-ni scienziati ritengono che essi abbiano tale inclinazione sin dalla nascita (origine biologi-ca, la stessa di cui parlava Gesù distinguendo gli eunuchi nati dal seno materno da quelli resi tali da altri e da quelli che lo facevano per servire Dio), altri ritengono che la acquisiscano nella prima infanzia dal po-tenziamento di alcuni squilibri ormonali, uno dei quali troppo

prevalente rispetto all’altro (ori-gine biologica e psicologica). In ogni caso tutti concordano sul fatto che il giovane (o la ragaz-za) ritrova in sé tale tendenza, indipendentemente dalla sua li-bera scelta.- La Chiesa, “esperta in umani-tà” dovrebbe saper cogliere le acquisizioni della scienza e la maturazione in atto del senso comune della gente. Il Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2014 ha già fatto un passo importante quando, confermando il Cate-chismo della Chiesa Cattolica , ha affermato (a maggioranza assoluta) che “gli uomini e le donne con tendenze omoses-suali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. A loro ri-guardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione.” (n.55). Opportuno quindi non consi-derare più peccaminose le loro unioni stabili. Tanti credenti si auspicano che il prossimo Si-nodo dei Vescovi, in unità col Papa, faccia un ulteriore pas-so che porti a compimento tali importanti affermazioni. Ac-cogliere con “rispetto e delica-tezza” è segno che già i Padri sinodali ritengono rispettabili tali inclinazioni; se sono rispet-

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tabili saranno pur diverse, ma non certamente peccaminose. Non si può considerare degna di rispetto, ad esempio, l’incli-nazione a uccidere o a rubare, perché tali gesti sono peccato e basta. Il passo avanti, vera-mente decisivo, che tanti chie-dono alla Chiesa sarebbe quindi quello di non ritenere le unioni di omosessuali, in quanto tali, come uno “stato oggettivo di peccato”. Così essa verrebbe ad eliminare una “ingiusta discri-minazione” religiosa che ge-nera o acuisce ulteriormente la discriminazione sociale spesso ancora in atto. Il rapporto tra omosessuali è stato sino ad ora considerato peccato dalla dottrina morale della Chiesa perché “contro na-tura” e quindi contro Dio. Ma le ricerche teologiche su quale sia la natura dell’uomo creato da Dio ci dicono che in fondo essa consiste nella sua capaci-tà di aprirsi con tutto se stesso (anima e corpo, spirito e sessua-lità) all’altro, di amare e di es-sere amato. Il bisogno di amore e il diritto all’amore, ecco ciò che costituisce il nucleo più profondo della persona umana e la rende aperta all’accoglienza dell’amore assoluto che è Dio. Poiché la persona omosessuale ritrova in se stesso, come unica forma di amare, l’inclinazione verso persone del proprio sesso, bloccare tale istinto, imponendo a nome di Dio una improbabile castità, costituisce una violenza

psicologica tale da compromet-tere il suo equilibrio psico-fisi-co, un’arbitraria forzatura della sua natura. Certamente così sa-rebbe vissuta. La morale cristia-na dovrebbe educare all’amore, non alla repressione. Non ci riferiamo a quelli che ci provano ad assumere compor-tamenti da gay, o si esibiscono come tali solo per la ricerca del piacere nella perversione, né a chi avanza teorie sull’assenza della differenza tra i sessi (vedi teoria gender), ma a persone concrete che ritrovano in sé tale tendenza, senza averla scelta, e desiderano viverla davanti a Dio. Oggi alcuni omosessuali chie-dono che le loro unioni venga-no considerate veri matrimoni. Se si parla di sostanza e non di nomi, tali unioni non potranno avere, per loro stessa natura, le caratteristiche proprie del matri-monio cristiano, che consistono nell’incontro tra un uomo e una donna, simbolo dello sposalizio di Dio con l’umanità, incontro aperto alla nascita di una nuova vita umana, secondo il disegno creativo di Dio. Se si parla di sostanza, né i gay potranno mai chiedere ciò, né la Chiesa può temere che le unioni tra omo-sessuali possano attentare al matrimonio cristiano. E’ quindi solo “questione di nomi” e di significati eccedenti che da una parte e dall’altra si attribuisco-no a tali nomi. La Chiesa allora, più che oppor-

si frontalmente a tali richieste (come h fatto anche in un re-cente passato) ritenendole pro-vocatorie dovrebbe accogliere con amore e discernimento la domanda profonda, non detta, che sottostà ad esse, che è l’e-sigenza profonda di accoglienza nella famiglia degli uomini e di cittadinanza nel Popolo di Dio. La risposta positiva a questa cruciale domanda significa quindi chiedere alla Chiesa che, anche se non può riconoscere le unioni stabili di omosessuali come veri matrimoni, le ricono-sca come il modo proprio che tali persone hanno di amare e di essere amati, e conceda loro la possibilità di ricevere i sacra-menti della Confessione e della Comunione. L’adozione di bambini da cop-pie di omosessuali è un proble-ma non affrontato dal Sinodo. Evidentemente il Papa ritiene che il suo approfondimento e la sua soluzione non tocchino alla Chiesa in quanto tale ma alla scienza psico-pedagogica e allo Stato.

“Come proporre agli omoses-suali le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?”.

A questa domanda non c’è altra risposta che l’amore.Cosa dirà, la mamma (o il papà) credente, al figlio(a) che confida di essere omosessuale, cosa dirà il parroco o il catechista al gio-vane o alla ragazza che chiede

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consiglio? Che egli è uno sbaglio della na-tura o un errore di Dio? Che non può amare ed essere amato anche col suo corpo?Che, se desidera ricevere la comunione, deve bloccare un istinto che si ritrova in sè per natura o per acquisizione dall’infanzia?Che deve curarsi, e se non gua-risce non c’è speranza per lui?Che lo stesso Dio che l’ha così creato o ha permesso che così venisse da piccolo formato, ora si ricrede e si ritorce contro di lui? Che è dannato allo squilibrio psicologico o all’orfanezza reli-giosa? A stare con Dio, ma sen-za sé, oppure a stare con sé, ma senza Dio? (Evidentemente questo sarebbe “un Dio spietato e ringhioso” come disse in una trasmissione televisi va Mons. Parolin, Se-gretario di Stato Vaticano, non quel Dio-Misericordia che Gesù Cristo ci ha fatto conoscere e che Papa Francesco sta ripetu-tamente presentando.)

La mamma (o il papà, o il parro-co) credente, spinti dall’amore saranno in grado di dirgli: “fi-glio mio, tu non sei malato, ma solo diverso, non sei uno sgor-bio ma una varietà della natura!Tu non sei un nostro errore, ma frutto del nostro amore. Noi ti abbiamo amato, e quindi sei buono. Dio ti ha amato, e quindi sei buono.

Ha pensato dall’eternità anche a te, anche te ha benedetto quan-do le forze del male volevano travolgere gli antenati e l’uma-nità con essi. Il serpente antico, il male antico che seduce gli uomini, non è la tua inclinazione verso lo stesso sesso, ma l’inclinazione a sof-focare l’altro, ad ergersi a suo padrone, a padrone dell’univer-so. Questo è il male, questo è il

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In foto percorso a Capocolonna di Tiziano Boscarato

peccato!” “Cammina, figlio mio, davanti a Dio e alla tua coscienza con occhi liberi e puri. Il resto cadrà da sè.”Quando un genitore potrà dire queste cose al proprio figlio e sentirsi anche in ciò unito pie-namente alla Chiesa e sostenuto da essa, allora la Chiesa appari-rà come il bacio di Dio su di lui, la sua grande famiglia.

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Ci sono luoghi, nella terra dove viviamo, la cui vocazione è im-mediatamente colta dalla nostra capacità di entrare in sintonia con ciò che essi sono e rappre-sentano e ci sono luoghi che invece chiedono un riconosci-mento che neghiamo, sordi e in-differenti nel nostro andare.Luoghi fortunati sono stati i po-chi metri di strada sul promon-torio di Capocolonna, diventati questa estate laboratorio nottur-no per entrare nel mondo degli astri e dei miti collegati alle luminarie del cielo, grazie alla competenza e alla buona volon-tà di qualche associazione e di qualche bravo professionista del nostro territorio.Luoghi sfortunati invece i metri di battigia che restano antistanti il Cimitero, luogo sacro, spazio

lA CONtRORA

monumentale, area dedicata al culto dei nostri defunti: tante potrebbero essere, a seconda della nostra religione, della no-stra cultura, della nostra espe-rienza di vita, le definizioni con cui identificare quello spazio antistante il Cimitero cittadino, che meriterebbe, comunque, proprio per la sua destinazione d’uso, un silenzio, una sobrietà, una riservatezza negati e sosti-tuiti con pratiche e condotte che ben si riferirebbero ad uno spa-zio solo turistico.Le situazioni non sono mai eter-ne, se non proprio la morte; tutto può mutare e quindi perché non cogliere l’occasione di sfruttare altri metri di costa cittadina?Un po’ più in là per non intrec-ciare la nostra onda di vita, co-lorata e ruggente, con i silenzi di

storie di Mare e cielo a crotone

chi ha chiuso per sempre sogni, aspettative, passioni terreni.Avremmo meno imbarazzo a strombettare, a ballare, a man-giare davanti a chi non è più e chiede il rispetto dovutogli.Avremmo meno richiami, se poi vogliamo essere anche un tanti-no egoisti, ad un mondo dell’al-dilà, attaccati come siamo a “questa valle di lacrime”…Così preghiamo ma quanto ci piace il diluvio delle lacrime su questa terra! Suvvia, spostia-moci di qualche centinaio di metri e lasciamo a ciascun posto la sua destinazione …Signori amministratori, Ve ne saranno grati vivi e morti.Così insegna il grande Foscolo.

Lucia Bellassai

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