SEttEMbrE-DiCEMbrE 2014- Numero 36 -...

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I PPOGRIFO SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 - Numero 36 - Rivista in distribuzione gratuita B IMESTRALE DI L ETTERE E C ULTURA DEL G RUPPO S CRITTORI F ERRARESI EBE MARTELLI l

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IPPOGRIFOSEttEMbrE-DiCEMbrE 2014 - Numero 36 - Rivista in distribuzione gratuita

B IMESTRALE DI L ETTERE E C ULTURA DEL G RUPPO S CRITTORI F ERRARESI

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EDITORIALE di Gianna Vancini p. 2PREMIO nAzIOnALE GIAnFRAnCO ROSSI p. 3

RECEnSIOnIROBERTO PAZZI - la traSParENza DEl buiO di Claudio Cazzola p. 4VINCENZO PATANÉ - l’EStatE Di uN GhirO di Gianna Vancini p. 5ERIDANO BATTAGLIOLI - uN aquilONE PEr aMiCO di Gina Nalini p. 6

nARRATIVAaNtiCa CaSa aD aGuSCEllO di Antonio Breveglieri p. 7quaNDO Si SuPEra il SOlStiziO D’EStatE di Luciano Montanari p. 8OriElE - raCCONtO CaMPEStrE di Stefano Muroni p. 10

STORIAraPPOrti FErrarESi-MONaChESi NEl trECENtO di Wilhelm Blum p. 14

PERSOnAGGIFraNCO GiOVaNElli. uN MaEStrO Di Cultura E Vita di Paolo Fabbri p. 16riCOrDaNDO GiuSEPPE iNzErillO G.S.F. p. 17

ARTEGuiDO MazzONi SCultOrE DEi... di Antonio Pandolfi p. 18

LETTERATURAalFrEDO PaNziNi. uNa DEllE iNGiuStiziE... di Fausta Boldrini p. 20Dal latiNO al VOlGarE (prima parte) di Riccardo Roversi p. 21

MUSICAuN CD D’aMOrE FratErNO di Gianna Vancini p. 23

POESIAil VECChiO OlMO di Claudio Gamberoni p. 24MaMMa di Mario Del Genioil POStO DEGli aNGEli di Luca Grigoli FErrara di Giuseppe Ferrara il tEMPO Va VElOCE di Marco CaracalloDi luCE riFlESSa di Gabriella Veroni p. 25GuarDaNDO la NEVE ChE CaDE di Gian Franco Menegatti

AL DIALèTaMMOrE PErDutO di Mario Del Genio p. 26turNar zuVaN di Eridano Battaglioli

MEMORAnDUMaPPuNtaMENti CON la Cultura p. 27

l’IPPOGRIFObimestrale di lettere e Cultura dell’associazione GruPPO SCrittOri FErrarESi

registrato al n. 3 del 2000 nel registro Stampa di Ferrara - Numero 36

ASSOCIAzIOnEGRUPPO SCRITTORI FERRARESIvia Mazzini, 47 - 44121 Ferrara

Segreteria:martedì 10,30-12,00 - venerdì 15,30-17,00tel. 339 6556266 (orario di segreteria)

[email protected]

PRESIDEnTEGianna Vancini

DIRETTORE RESPOnSABILERiccardo Roversi

COORDInAMEnTO E CURA EDITORIALELuciano MontanariGianna Vancini

COMITATO EDITORIALENicola LombardiAlessandro Moretti

Gina NaliniEleonora Rossi

PROGETTAzIOnE E REALIzzAzIOnE GRAFICAPiera Pregrasso

([email protected])

TIPOGRAFIA & STAMPATipolitografia SIVIERI

- Ferrara -

l’iPPOGriFO è DiSEGNatO DaVito Tumiati

l’apparato iconografico in questo numeroè di Ebe Martelli

EDITORIALE

Con la distribuzione del numero 36de l’ippogrifo, la rivista di lettere ecultura del Gruppo Scrittori Ferra-resi, inizia il sedicesimo anno di at-tività.il 2014 si è chiuso con la prestigiosaVi Edizione del “Premio Nazionaleletterario Gianfranco rossi” (SalaEstense, 18 ottobre), di cui in cittàancora si parla; il 2015 è iniziato conun evento culturale importante,l’Omaggio a Fabio Pittorru nel ven-tennale della morte.all’intellettuale ferrarese, scrittore-saggista e soggettista e sceneggiato-re cinematografico e televisivo, so-no stati dedicati due libri pubblicatidal Comune di Ferrara - assessora-to alle Politiche e istituzioni Cultu-rali: Fabio Pittorru romanziere e saggi-sta a cura di Gianna Vancini e FabioPittorru. Uno scrittore per il cinema eper la televisione a cura del criticocinematografico Paolo Micalizzi.al primo volume citato hanno colla-borato con saggi critici 12 soci delG.S.F.: Paola Cuneo, Dario Deserri,Sandro Ferranti, Jessica Franchini,Camilla Ghedini, Federica Grazia-dei, Davide Guandalini, Nicolalombardi, Matteo Pazzi, Eleonorarossi, Piergiorgio rossi, Valentinotartari.Per il 2015, da me giunga un augu-rio di prosperità al G.S.F., alla rivi-sta l’ippogrifo e ai fedeli lettori.

Gianna Vancini

S O M M A R I O

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EDITORI

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una grande festa della cultura letteraria è stata la ceri-monia di premiazione del concorso “Premio NazionaleGianfranco rossi” (Vi Edizione 2014), svoltasi sabato 18ottobre in Sala Estense. Presenti autorità civili, militari,religiose: il Prefetto Vicario, dott. Carlo torlontano; ilVice Sindaco di Ferrara, dott. Massimo Maisto; la dott.ssaClelia Gravina in rappresentanza del questore; DonFranco in rappresentanza dell’arcivescovo di Ferrara,Mons. luigi Negri; il tenente Colonnello Vittoriobartemuci in rappresentanza del Comando Provincialedei Carabinieri di Ferrara; il Sindaco di broni, luigiParoni; gli assessori del Comune di broni, Ernesto bon-giorni (Cultura) e Mario Fugazza (ambiente); il profes-sor Ottorino bacilieri, archeologo; l’avvocato Guidoreggio per Fondazione Carife; il prof. Davide luigi Man-tovani, Presidente dell’istituto di Storia risorgimentale;la dott.ssa Paola bassani, figlia del grande scrittore Gior-gio bassani; il ten. Col. Claudio baldini, Presidentedell’istituto del Nastro azzurro; la dott.ssa Patrizia ricci,Direttrice della libreria ibS; la dott.ssa angioletta Ma-siero, massima operatrice culturale del Polesine; i rappre-sentanti dei lions “Ferrara Diamanti” e Ferrara EuropaPoggio renatico”, Daniela Furiani, Presidente aDO.Presenti gli artisti che hanno donato loro opere: MarioPiva, Francesco Pasini per Marco zoli, Mirella GuidettiGiacomelli, Costanza Feligiotti, Paola braglia Scarpa,Carla Sautto Malfatto, Vito tumiati, annamaria Guidi,alberta Silvana Grilanda.la scuola ferrarese è stata rappresentata dalla iii adell’istituto Einaudi, con la presenza delle docenti CarlaCupellini e Francesca Farneti.il Premio, nato dalla collaborazione del Comune diFerrara - assessorato alle Politiche e istituzioni Culturalicon il “Gruppo Scrittori Ferraresi”, è dedicato a Gian-franco rossi, come afferma Elettra testi nel bando “affin-ché rimanga viva l’eredità che la sua terrena esperienzadi poeta ha proiettato oltre il tempo. Della breve giorna-ta egli ha sublimato in canto asprezze e crudeltà affidan-dole al primato dell’arte”.un’edizione, la sesta, con poesia a tema, nella sezione a(amore e difesa degli animali), sezione per la prima voltaaperta ai maggiorenni.una sezione, per i soci del “Gruppo Scrittori Ferraresi”(per la prima volta). tra le novità anche il ricordo, contarghe speciali titolate di 14 soci che non sono più tra noima che, con l’impegno di scrittori e persone, hannolasciato un segno che tuttora vive: Giorgio zanardi, ugoVeronesi, laura De Joanna, leda trombini improta,arnaldo benatti, alberto ridolfi, antonia Franchini, Donumberto Pasini, learco Maietti, antonio Caggiano,Marta Malagutti Domeneghetti, Carla Calessi, WilmaCastaldi Comitini, Maria Grazia D’amico Mariotti.Corposo il numero dei vincitori (tra vincitori assoluti esegnalati): ben 47. Distribuiti contributi in denaro percirca 4.000,00 Euro, 19 targhe, 14 medaglie, 3 buoni-libro,circa 200 libri, di cui un centinaio distribuito al pubblico.Dietro tanto lavoro - lavoro di mesi e mesi - in primisGianna Vancini, Presidente del “G.S.F.”, che ancora una

volta non ha lesinato forze per lo scopo prefisso.Competente l’impegno della Giuria, presieduta daGianni Cerioli, coadiuvato da Dalia bighinati, luigi bosi,Gina Nalini Montanari, Valentino tartari. Presente ilPresidente onorario del Premio, Gian Pietro testa.Meticoloso il lavoro della Segreteria del Premio: GiannaVancini (coordinatrice), Carla Sansoni, adelaide MarisaVancini. la mattinata, condotta da Gianna Vancini, èstata allietata da esecuzioni all’arpa, magistralmente ese-guite da irene De bartolo.questi i risultati:Sezione A:i - Matteo Pazzi (Voghiera - FE);ii - Vanes Ferlini (imola - bO) ex-equo con barbaraCannetti (Corlo - FE);iii Mauro barbetti (Osimo - aN); iV - Carla baroni(Ferrara) ex equo con Corrado Guzzon (lissone - Mb).Segnalati: Giorgio baro (torino); Valeria Groppelli(Crema - Cr); alessandra Goberti (Ferrara); umbertoScopa (Ferrara).Sezione B:i - Maria Dell’anno (Ferrara);ii - Gennaro De Falco (Milano);iii - Elena Sandri (Ferrara).Segnalati: Elena Migliari (Montesanto - FE); MorenaMartina Pedriali (Gherardi - FE).Sezione C:i - Eleonora rossi (Ferrara);ii - Claudio Cazzola (Ferrara) ex equo con Carla baroni(Ferrara);iii - Sandro Ferranti (Ferrara); iV - Nicola lombardi(Voghiera - FE) ex equo con alessandro Moretti (Porotto- FE).Segnalato: raimondo Galante (Ferrara).Sezione Soci “Gruppo Scrittori Ferraresi”. Menzione d’o-nore, a pari merito, per la poesia (premiati con targa):annamaria Guidi, roberto Marescotti, GiuseppeGottardo, Mara Novelli, Carla Sautto Malfatto, Silviatrabanelli, anna Costorella, Gabriella braglia luciani,Paola Cuneo.Menzione d’onore, a pari merito, per la narrativa: MarcoCanella e Jessica Franchini.la “Medaglia del Premio” è stata attribuita a DarioDeserri, anna Mazzoli, arnita Filardi, Emilia Manzoliborsetti, beatrice Sandonati, Giuseppina Muraca, adarossi, renato Veronesi, Eridano battaglioli, ada Negri,uta regoli, anna bondani, Enrica Pedrazzi, Vittorinabindini.un momento toccante è stato il ricordo di lorenzaGiberti, scomparsa di recente, figlia della socia DinaCasoni, il cui generoso contributo al Premio è stato inparte attribuito alla giovane pittrice comacchiese anna-maria Guidi, come incoraggiamento ad un grande talen-to che necessita di essere meglio valorizzato.a tutti i Sostenitori dell’iniziativa è stata offerta una per-gamena come attestato di benemerenza; a Dina Casoniun trofeo dedicato alla figlia lorenza.

CERIMOnIA DI PREMIAzIOnE DELPREMIO nAzIOnALE GIAnFRAnCO ROSSI

(VI EDIzIOnE 2014)

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«Chi entra in città si imbatte nella tombacomune dei soldati di tebe morti in bat-taglia contro Filippo. Nessuna epigrafesul monumento, sovrastato solo da unleone, che potrebbe valere come simbolodel loro valore militare. al quale il desti-no rifiutò di concedere un risultato ade-guato: ecco il perché, secondo me, del-l’assenza di iscrizione». queste parole –qui, come nel prosieguo, in traduzioneitaliana – appartengono al greco Pausa-nia, autore, nel secondo secolo dellanostra era, di una Periesegi della Grecia,laddove nel capitolo decimo del nonolibro sta descrivendo la regione della beozia. Ci trovia-mo dunque a Cheronea, luogo dello scontro finale fraFilippo di Macedonia e gli eserciti delle città greche alui ancora ostili: il leone menzionato dal Periegeta,ritrovato negli scavi archeologici compiuti nel 1879, fabella mostra di sé, erto sui suoi cinque metri e mezzo dialtezza, presso il sito tuttora visitabile sulla piana delluogo. insieme alla suddetta scultura vengono scoper-ti 254 scheletri: a chi appartengano codesti venerandiresti ci viene svelato da Plutarco, coevo del viaggiatoreappena nominato e nativo del luogo medesimo: «(alessandro) fu presente a Cheronea, avendo parte atti-va nello scontro con i Greci, e, si tramanda, fu il primoa dare l’assalto al battaglione sacro dei tebani. anche lamia generazione ha potuto vedere la vecchia querciavicino al fiume Cefiso, chiamata “di alessandro”, neipressi della quale egli collocò allora il proprio quartie-re, e non distante vi è tuttora la tomba comune deiMacedoni». la nota battaglia (2 agosto del 338 a.C.),che marca la fine della libertà delle poleis greche, vede ilgiovanissimo figlio del re macedone alla testa dell’alasinistra dell’esercito, con la quale abbatte, sbaraglian-dola – scrive Plutarco appunto nel capitolo nono dellaVita di Alessandro – la legione sacra tebana. è codesto uncorpo scelto di trecento uomini, formatosi circa cin-quant’anni prima, mantenuto a spese pubbliche e costi-tuito, sempre secondo la tradizione consolidata, dacoppie di amanti. Ne offre testimonianza di nuovo ilsapiente di Cheronea, allorché, scrivendo la biografiadel tebano Pelopida, celebre stratega e comandantedello speciale reparto, nel capitolo diciottesimo citaesplicitamente, parafrasandolo alla lettera, un passoplatonico, il cui tenore è il seguente: «Se dunque unmarchingegno costruito apposta fosse in grado di pro-durre una città o un esercito composti da amanti e daamati, non sarebbe ipotizzabile un miglior modello diconvivenza sociale, considerato che elementi di tal fattarinuncerebbero ad ogni turpitudine e, gareggiandoreciprocamente, combatterebbero in campo aperto fian-co a fianco, e, pur pochi, sconfiggerebbero – lo affermosenza esitazione – tutti i nemici per quanti essi fossero».Ci troviamo in pieno Simposio (178d-179a), ad ascoltareil primo dei discorsi sull’amore, quello pronunciato daFedro, che richiama, volutamente, l’alto modello dello

schieramento militare i cui ranghi vedo-no solo ed esclusivamente coppie uniteda Eros: proseguendo poi, ivi, in talmodo: «Ma lo immagineresti un uomomaschio che, proprio perché ama, vengavisto, dall’oggetto del suo amore più cheda tutti gli altri, mentre o se la svignadalle schiere o si spoglia dell’armatura?Piuttosto preferirebbe essere morto, più epiù volte. E lasciare solo, abbandonato, ilproprio bello, non prestargli soccorso nelmomento del pericolo? Ma non esiste almondo nessun vile che il dio Eros in per-sona non renda ispirato a compiere atti di

valore, tale da essere alla pari con l’eccellenza per natu-ra». Non apparirà esagerato, a questo punto, suggerireche codesto terreno qui solo appena dissodato sia l’hu-mus generativa dell’ultimo, per ora, parto di robertoPazzi, La trasparenza del buio (bompiani, Milano, 2014),un vero e proprio poema in prosa di quasi trecentopagine – l’accostamento con il numero dei membri delbattaglione sacro è da considerarsi puramente casuale,ma non dovuto al caso. appena varcata la soglia classi-ca della senectus, l’eroe del racconto è un professoreuniversitario di letteratura comparata da poco divor-ziato, che, grazie al recupero, narrativamente variato enon solo rispetto alla bevanda, della proustiana petitemadelaine (con nonna Giovanna gloriosamente assurtaora al ruolo ricoperto allora da tante Léonie) fa il puntodel bivio cui è giunto di sua vita: «Sorseggiata lenta-mente una cioccolata calda al tavolo d’angolo, lo stessodi quando era entrato al caffè da bambino, era uscitoinvaso a poco a poco dai malinconici ricordi dellanonna e della sua vita mancata di artista. Ma all’analo-go sentimento di una vita inadeguata a quella deside-rata, accarezzando invano da tempo il sogno di scrive-re un libro, sapeva almeno di poter opporre, per risol-levarsi, un momentaneo piacevole rimedio. E da tantonon se lo concedeva…» (p. 18). il motore dell’avventu-ra si rivela essere quello della nostra condizione umanagravata da insoddisfazione continua, dovuta al nostroessere metà di un intero (è sempre il Simposio che inse-gna), e che quindi ci sia inesausto, negli spiriti eletti, ilbisogno interiore di non smettere mai la ricerca dell’al-tra parte esatta. Di fronte al citato bivio GiovanniCaonero, tale il nome del protagonista, sceglie diimboccare la direzione omoerotica, che – di nuovo pertestimonianza platonica – risulta di gran lunga lamigliore. Di qui il dipanarsi strutturale anche del testostesso, che si squaderna, in un modo che più classiconon si può, tripartito, collegato come esso si dimostraad altrettanti deuteragonisti: luca, il giovane rappre-sentante girovago esuberante, poca cultura e moltaenergia sessuale (pp. 15-85); Pierre, lo stilista franceseraffinato lontano mille miglia dal piccolo provincialeferrarese in precedenza incontrato a Padova (pp. 87-181); e, infine, lo studente universitario dal nome par-lante, Eros (pp. 183-245). l’andirivieni labirintico di

ROBERTO PAzzI

LA TRASPAREnzA DEL BUIOdi Claudio Cazzola

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Giovanni fra la triplice epifania dell’amore segnamomenti di esaltazione e depressione, scoramento esperanza, in un girare a vuoto fra Padova, Ferrara,bologna e Parigi che pian piano rischia di sfiancare deltutto l’eroe cercatore. Perché la verità gli viene ricorda-ta dalle parole, al telefono, della sua già donna: «lo hacapito bene Milena: “tu non ami una persona, ma lavita, sei fedele solo a lei”. quando gli apparirà, per l’ul-tima volta, questa errabonda felicità, lui sarà in gradodi capirlo e afferrarla per i capelli? E avrà il nome diPierre? O di luca? O di Eros?» (p. 245). Chi scrive que-sta nota intende lasciare intatto alla lettrice ed allettore il piacere della curiosità, per quali traversiepassi il protagonista nel compiere l’itinerario di cono-

scenza dl sé attraverso le tre esperienze narrate: quipreme segnalare, fra altre istanze, la sapiente aemulatiomessa in campo dall’autore con il mostro sacro delflusso di coscienza joyciano – titolare dell’esperienzaMilena medesima in due momenti del romanzo (capi-toli 16 e 18), laddove il primo reca il termine dormiveglianel titolo, mentre il secondo, pur stampato pure esso incorsivo, resta sospeso in una autentica ambiguità delfi-ca, in attesa di una soluzione lasciata, et pour cause, nel-l’indeterminatezza. Perché, se scioglimento deve esser-ci per aderire alle attese della comunità dei lettori,ebbene, esso appartenga a buon diritto alla sfera oniri-ca, come da titolo del ventesimo capitolo, ed estremo.

in Atti e Memorie della Deputazione Pro-vinciale Ferrarese di Storia Patria (Seriequarta, Volume ii), nel 1990, venne pub-blicato un interessante saggio di lucioScardino, Alcune lettere di Lord Byron suFerrara (pp. 257-274), che misero in evi-denza l’amore del poeta inglese per lacittà estense, vissuta soprattutto neglianni ravennati, come un rifugio dellospirito, il luogo in cui byron ricercò “lereliquie di un passato mitico, in cuiquasi volersi identificare”, un amore inparticolare per i “fantasmi dei letteratidel passato”.Nell’opera Parisina, scritta nel 1815, byron proponeuna Ferrara più di fantasia che storica ma più tardi,nel 1817, visitati i luoghi reali della tragica vicenda diugo e Parisina, egli fa ammenda per gli errori filolo-gico-storici in cui era caduto e della Ferrara visitatatraccierà un ritratto significativo nelle Lettere, di cuiScardino, in appendice, pubblica i brani ferraraesi.i luoghi visitati di cui parla byron sono la bibliotecapubblica con la tomba dell’ariosto ed i manoscritti diariosto, tasso e Guarini; il Castello Estense, la Certo-sa trasformata in pubblico cimitero dal 1813 e, in par-ticolare la cella del tasso. è la coinvolgente visita allapresunta Cella del poeta sorrentino che di essa byroncrea il “perfetto topos del romanticismo”.Ciò di cui brevemente si è detto, è un contributo ine-dito su byron e Ferrara di cui lucio Scardino ha rela-zionato a ravenna nel Convegno “il teatro di byron”(teatro alighieri, 7-8 febbraio 1989).Di recente, sul tema, Vincenzo Patané (giornalista, cri-tico cinematografico e attivista gay, dal 2004 respon-sabile del settore cinema e video del mensile “Pride”,

nonché docente a Venezia) ha pubblica-to il corposo ed esaustivo volumeL’estate di un ghiro. Il mito di Lord Byronattraverso la vita, i viaggi, gli amori, le opere(Cicero Editore, Venezia, 2013).Si tratta di un volume di ben 569 pagine,diviso in sedici parti: i byron e i Gordon;il bel tenebroso; lo spartano sibarita; ilribelle e l’esule; le donne. augusta,Caro e teresa; annabella Milbankebyron; le figlie. ada, Medora e allegra;i ragazzi. John, Nicolò e lucas; lo scrit-tore; il romanticismo. il “Childe

harold’s Pilgrimage”; l’ironia e la satira. il “DonJuan”; i diari, i pensieri sparsi e le lettere; le memorie;l’amore per la libertà; il “mito byroniano”; una trac-cia luminosa.le sedici parti sopra citate analizzano tutti gli aspettidella personalità di byron, uomo, poeta, scrittore,combattente. Da pagina 479, nel volume, segue unacorposa appendice sul “Don leon” e successivamen-te l’importante “Cronologia della vita” (p. 497 sgg.),l’elenco delle “Opere di lord byron” (p. 501 sgg.), le“Fonti” (p. 507 sgg.), la bibliografia (p. 547 sgg.) e gliutili “indici delle opere” e “indice dei nomi”, checompletano l’opera.Che dire di questo volume monumentale che il“Gruppo Scrittori Ferraresi”, in collaborazione conl’istituto di Storia Contemporanea, ha presentato aFerrara il 10 ottobre 2014? “il libro di Vincenzo Patanéè un libro insolito e importante, perché fa il punto sulcaso byron riannodandone tutte, davvero tutte!, le filacon pazienza e competenza, e non senza umorismo” -così afferma Masolino d’amico nell’introduzione alvolume.

VInCEnzO PATAné

L’ESTATE DI Un GhIRO.IL MITO DI LORD ByROn ATTRAVERSO LA VITA,

I VIAGGI, GLI AMORI, LE OPEREdi Gianna Vancini

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l’amore che byron espresse per l’italia non è attual-mente ricambiato con traduzione delle sue opere esaggi su di lui, ma il personaggio seduce per “l’ener-gia vitale, il coraggio, il narcisismo, il mettersi conti-nuamente in discussione, la forza di sfidare l’opinionepubblica e soprattutto la sua personalità schietta e maiincline all’ipocrisia, lacerata da contraddizioni talorastridenti ma anche incredibilmemente umane”.

l’opera di Patané rende a byron giustizia.il libro che, grazie alle varie sezioni contenutistiche,può essere letto secondo le esigenze del lettore, è oggiuna pietra miliare nello studio di lord byron, un’ope-ra di cui non si può non tenere conto per eventualiulteriori studi sull’affascinante personaggio. è un pre-zioso volume che dovrebbe trovar spazio nella biblio-teca di ogni lettore colto.

leggendo questa raccolta di lirichealternate a fotografie di Eridano batta-glioli, mi sono venute alla mente alcu-ne considerazioni che Franco loi espri-meva sulla poesia: “quando la poesianon è gioco intellettuale o banale ripe-tizione di luoghi comuni, c’è in essaqualcosa di indicibile… qualcosa cheinveste tutto il nostro stare lì, davantialle parole di una persona sconosciuta,e sentirla amica, sentirla vibrare davan-ti a noi.” Perché la poesia è un canto a più voci incui ogni voce racconta dell’uomo e della sua vicendaesistenziale nello scorrere del tempo. a questo coroattiene anche la voce di battaglioli; una voce penso-sa, striata di rasserenante malinconia che sentiamorisuonare in noi come fosse nostra.Consapevole della precarietà creaturale propria e diogni essere vivente, egli guarda con pacata pensosi-tà il progressivo stratificarsi del passato nel fluire deltempo: tempo che scandisce i ritmi di un individuonel suo ineluttabile andare verso la vecchiaia e lafinale vittoria nella silenziosa quiete della “vita eter-na”. (il testamento). agognato approdo “in un posto remoto” (ultimorespiro) ove terminare la corsa - auspica il poeta-quando la vita non ha ancora perso il suo fascino di“un dono grande, / prezioso” (la vita). invecchiando, con intensità Eridano ”sfoglia”(invecchiando) i ricordi del tempo passato, fissando-li nella loro diafana, struggente presenza; i luoghidei giochi infantili, i cieli tersi o lattiginosi della vallePadana, i tramonti infuocati nelle acque del Po, per-sone care ora non più tra noi rivivono nella magicaluce della rimembranza di affetti e di amore.Egli ottiene così un tempo sospeso, trasfigurato insimultaneità perché “di ricordi / l’anima si veste” (amia madre Selene) e ieri come oggi“ di amore / sinutre il cuore” (ad anna teresa), e intanto si lasciarapire dal canto del creato, o da un concerto di cica-

le, sogna di volare nel silenzio con l’a-quilone, si commuove al gaio sorrisovitale del nipotino, piange il suo doloreper le tante tragedie umane (un’imm-ane tragedia).la continua intensa partecipazione allavita, anche nel suo malinconico tra-monto, trova risposta nel discorso poe-tico, vibrante di quotidiana affabilità edi segrete suggestioni nei versi dallostile prevalentemente nominale; in essiil frequente uso del verbo all’infinito, alposto del sostantivo corrispettivo,

accresce il valore suggestivo e musicale del sintagmache si riveste di un magico alone di acronico presen-te.Eridano battaglioli non è poeta solamente dellaparola, ma anche di scatti fotografici in cui cristal-lizza i suoi pensieri e i suoi stati d’animo: una storiadi sguardi sulla bellezza della natura stupefacente eonnipossente accompagna e scandisce il susseguirsidelle liriche; un connubio ben riuscito che fermaattimi speciali, sottraendoli al tempo.

ERIDAnO BATTAGLIOLI

Un AqUILOnE PER AMICOdi Gina Nalini

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io, nato e vissuto, entro mura, a Ferrara, alla finedegli anni '80 ebbi l'occasione di comperare casa adaguscello. la prima reazione e consiglio dell’archi-tetto mio amico, fu quella di demolirla e ricostruirlanuova, tanto era in degrado. Ma quella casa ormaidesolatamente segnata dalle ingiurie dei “secoli”,non meritava simile sorte, in quanto in essa trovavoancora segni di grande dignità.questa decisione, del restauro conservativo, dischiu-se un mondo a me sino ad allora sconosciuto. iniziaiuna ricerca storica a tutto campo passando interemattinate, nei giorni liberi dal mio lavoro diFarmacista, alla ricerca di notizie che mi proiettasse-ro sempre più indietro nel tempo, o meglio dire neisecoli, su quella costruzione. questa mia attività, miportò a fare nuove conoscenze in campo storico earcheologico della città, fornendomi notizie preziose.a questo proposito, conobbi Ottorino bacilieri, ilquale gentilmente venne a casa mia dandomi utili equalificate indicazioni. ricordo il compianto MaestroDino tebaldi, che spesso incontravo alla bibliotecaariostea, nell’ambito delle mie ricerche. il Dott.ravalli del consorzio di bonifica: presso quegli ufficigiace il Catasto Carafa. Ebbi modo tramite lui di con-sultarlo.un ulteriore impulso mi fu dato, come spesso accade,un giorno per caso, quando assieme a mia moglieDaniela, che ha condiviso con me ogni attimo di quelprogetto, stavamo mettendo a dimora diverse piantenell'antistante ampio giardino.Fummo colpiti dai cocci di ceramica graffita, con iclassici colori “ramina e ferraccia”, tipici dellaGraffita Ferrarese, che apparivano, riemergendodopo secoli di oblio, durante lo scavo, provocando innoi stupore ed emozione: sembrava che la “Casa”volesse parlarci del suo passato, chissà, forse anchedi pregio. Mi documentai su vari testi, approdandocosì alla conoscenza con l'autore stesso di uno di essi.ricordo l'emozione nel recarmi, con i preziosi repertia casa di romolo Magnani, che gentilmentemi fornì la sua autorevole consulenza. Devodire che la sorte premiò la mia caparbietànella ricerca di scoprire il più possibile delpassato della mia casa.in quei giorni, una mattina di maggio percor-rendo la meravigliosa via Coperta, la miaattenzione fu attratta da una porticina aperta,su un alto muro di cinta, che immetteva in ungrande ed antico giardino, mi fermai perguardare quella meraviglia nel cuore medie-vale della città. Vidi una signora, la proprieta-ria intenta a curare alcune piante; alla vistadella mia presenza mi invitò ad entrare.iniziammo a conversare. inutile dire quanticomplimenti le feci per il magnifico giardino,non perdendo l’occasione di raccontarle

quanto mi stavo anch’io impegnando nel mio e cosavi avessi trovato. incredibile! Si trattava di una miaProfe di disegno che avevo avuto, inizio anni '60, allamedia D. alighieri: era la Prof. Volta. Ma ancora piùincredibile quando essa capì di quale casa diaguscello stessi parlando. Mi disse che aveva dellefoto scattate proprio a quella casa, prima che essasubisse gli ultimi degradi in quanto, come espertad’arte girando per la meravigliosa campagna diaguscello, (lo è, ma ancor più in passato) munita dimacchina fotografica, fissava i suoi scatti su quelli chea lei parevano i più meritevoli dal punto di vista arti-stico. in effetti, come appare evidente dalle foto,vierano tratti architettonici che ad occhi non solo esper-ti ma sensibili alle memorie storiche dovevano appa-rire degni di nota. Si possono notare gli archi conbasamenti di marmo, sormontati da capitelli semprein marmo finemente scolpiti.all’indomani dei crolli di quella parte ad archi ecolonne, che doveva essere ben più lunga di comeappare, come si vede dal disegno sul CatastoGregoriano che si trova in archivio Storico, e che ter-minava con una torre Colombaia, i “preziosi” capi-telli stazionarono a terra, dimenticati: nessuno ricor-da più la fine che fecero.un ritrovamento interessante avvenne all'interno diuna cassa che si trovava in una delle stanze. lì getta-ti alla rinfusa vari documenti, riguardavano copie dirogiti ed altre stime per i passaggi di proprietà. unoapparve subito degno di nota.Si trattava di una perizia dettagliata, a cura di unPerito agrimensore, che corrisponde, da quanto mifu detto, a quello che oggi è un geometra. in essa vi èriportata, il documento ha circa 130 anni, la seguentenota: “... la casa, anticamente chiamata lE Chiari-NE malgrado le condizioni di vetustà appare ancorain buone condizioni...”, così via di seguito continua laperizia. a questo proposito, all’epoca del ritrovamen-to, uno degli esperti avanzò l’ipotesi che potesse esse-

AnTICA CASA AD AGUSCELLOdi Antonio Breveglieri

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re una residenza di stampo religioso, magari di suoredi Santa Chiara, un luogo, un dosso su un territoriopaludoso per il soccorso di malati o viandanti, unodei luoghi comuni nelle campagne secoli fa.Esternamente, l’unico, o meglio uno dei pochi trattisuperstiti di antico è il pozzo, che trovammo comple-tamente raso al suolo, esso è stato da me ripristinato,recuperando ad una ad una le pietre originali, fortu-natamente rimaste a terra sepolte, ma in buono stato.Vorrei concludere, a conferma di quanto sia statoavvincente tutto ciò che ha riguardato questo lavo-ro,con una nota curiosa. una sera mentre mi trovavoin una saletta della bella Chiesa di aguscello intento

a consultare il “libro delle anime”, notai che, conbuona approssimazione di date, una delle personeche circa due secoli fa abitava la mia casa, si chiama-va breveglieri, proprio come è il mio cognome! è veramente un peccato che tante case antiche sianostate demolite per fare posto a costruzioni anonime;sarebbe bastato, con maggiore buon senso e sensibi-lità di chi ci amministra, sostenere chi si impegna alrecupero di quello che è un “patrimonio” storico eculturale del nostro territorio.

in quei già brevi pomeriggi dei primi giorni d'otto-bre, nell'ora dove la terra e il cielo si annientavanocon la lentezza di una pace suprema, io lasciavo lacittà e guadagnavo i campi, magari un angolo sper-duto tra le vaste colline, tiepide degli abbracci delmezzogiorno, vasti terreni gialli e rossastri, alberidai rami magri e vigne che lasciavano cascare alsuolo i loro ceppi aggrovigliati. Povere terre dissec-cate, fiammeggianti al sole, grige e nude! Ma d'im-provviso, quasi miracolosamente, quelle terre sigonfiavano di verde, l'erba cresceva smisuratamen-te, i fossi si riempivano d'acqua cristallina e l'erbastessa si bagnava di mille goccioline di rugiada.Come un'improvvisa primavera!un tardo pomeriggio mi ero appena coricato suquell'immenso verde, perduto in quella pace chepiombava dalle profondità del cielo, e ti trovai,girando la testa, mollemente coricata alla mia destra,pensosa, il mento nelle mani. Mi guardavi coi tuoigrandi occhi. Eri l'angelo delle mie solitudini, legge-vi nel mio cuore i miei segreti desideri. Senza maivederti arrivare, non avevo in ogni caso di che stu-pirmi nel rincontrare senza posa i tuoi luminosisguardi. avevi la bellezza desolata delle colline piùlontane ma ancora ben visibili, il loro pallore dimarmo che improvvisamente rosseggiava agli ultimibaci del sole. Esistevano, fra te e l'orizzonte, dellesegrete armonie che mi facevano amare le pietre deifacili sentieri. D'improvviso, così come eri apparsa, scomparivi, edio ritornavo, o meglio, rientravo, e dopo un po' dicammino, alzando gli occhi, potevo di nuovo ammi-rare gli alberi, i cui rami debordavano in una voltaspessa di verde. Nel giro di pochi minuti mi ritrova-vo di fronte ad un vecchio cancello, al di là del qualesi vedeva un ampio prato rasato all'inglese, dovespiccavano due querce secolari, i cui rami, come lar-ghe tovaglie, ombreggiavano tutt'intorno. E qualcheminuto più avanti ancora, un altro cancello srotola-va davanti a me una piana immensa, un larghissimo

corridoio di tenebre, in fondo al quale il sole pene-trava come una macchia viva di una stella. Sentivo che la felicità è possibile e impossibile, vive-vo quell'abbagliante mancanza di certezza e coglie-vo la dolcezza di quei secondi così puri dove iltempo subito si dissolve. Giusto dopo un sospiro cisi sente veramente bene, tutto il corpo placato nelsuo guscio profondo. Esistevo nell'assoluto, peròsenza idee, senza progetti. la polvere d'oro che volava sui tetti delle case piùlontane, quelle della città vecchia, quasi svaniva. ilfiume passava nei pressi, rotolando le sue fresche elimpide acque, verdi ed azzurre, fin sotto l'anticoponte a schiena d'asino, costruito ovviamente neltratto più stretto del corso d'acqua. quello stessofiume sembrava a tratti emanare scintille che imme-diatamente cadevano, con l'aria ostinata del fluttotraboccato che nulla ostacola. Sembravano tante pic-cole aurore, tanti nembi nascenti ed invadenti chefinivano per bagnare l'intero orizzonte. il fiume cala-va poi in una gola profonda, una sorta di intaglio,dove si gonfiava, quasi scomparendo, tra gli arbusti.Ma, talvolta, se ne rivedeva una cascatella chiara,simile all'argento. Più lontano, dopo una bruscasvolta, lo si ritrovava allargato in una piana, espo-nendosi come lenzuola vive che dovevano cambiaresovente di letto, poiché il suolo di sabbia e di sassiera stato precedentemente eroso da tutte le parti. ilsole cominciava ad essere bruciante, già alto nelvasto cielo, il cui blu limpido si scuriva da un bordoall'altro dell'immenso circo di colline. Gustai l'affascinante solitudine, quella dolcezza chepenetrava adagio adagio nell’anima. Mi invase unalenta ebbrezza, un annullamento crescente di tutto ilmio essere. Ed ebbi soprattutto la sensazione divinadi essere lontano dal mondo vivente, nell’impene-trabile dell'incredibile e del sovrumano, come se ilsemplice cancello di ferro fosse divenuto la barrierastessa dell'infinito.Come fondo a quel quadro delizioso, a quelle fre-

qUAnDO SI SUPERAIL SOLSTIzIO D’ESTATE

di Luciano Montanari

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sche acque, a quella vecchia città, si ergevano duevoluminose rocce nude e d'erba rasa, che, nell'ombraportata dove esse erano a bagno, prendevano delletinte delicate, una malva e un verde pallido che anda-vano poi a morire nel rosa. rimasi impietrito da quel-lo spettacolo e restai fino all'arrivo dell’immensanotte. un temporale lontano aveva intanto lavato ilcielo, e sembrava che il blu dell'aria fosse tutto nuovo,di una freschezza d'infanzia. larghe zone stellate siriflettevano su quel velluto scuro che era il cielo,rischiarato soltanto da misteriose luci dirette suicampi freschi e muti, i quali moltiplicavano comeall'infinito la nera solitudine del loro sonno nel mezzodi quella notte augusta, così bella e così dolce. unanotte che annegava nel mistero delle foglie e chelasciava intravvedere, per qualche istante, i dolci pen-

dii in quella leggerezza di sogno. Mi abbandonavo inquell'estasi ed uscivo dal mondo reale attraversando-lo come correndo veloce. tu mi avevi parlato, ma ionon ricordavo più le tue parole pur appena pronun-ciate. Percepivo soltanto - vagamente - il tuo pallidosorriso, il tuo viso di giovinezza, però tutto andava aconfondersi ed a sbiadire lentamente. avevo superato già da tempo il solstizio d'estate. Cisarebbero state ancora delle serate piacevoli, degliamici, delle infanzie, delle cose in cui sperare. Ma eracosì: avevo superato il solstizio d'estate! Era forse unbuon momento per provare di custodire la cosamigliore: una goccia di nostalgia s’infiltrava al cuoredi ciascuna sensazione per renderla più durevole. Eallora bisognava restare leggero negli istanti, con leparole. Ma con la speranza di continuare il sogno!

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A mia bisnonna Lina.A tutti i contadini morti in campagna.

Solo quel campo, dove io volga lentol’occhio, biondeggia di pannocchie ancora,e il solicello vi si trascolora.

Fragile passa fra’ cartocci il vento:uno stormo di passeri s’invola:nel cielo è un gran pallore di viola.

Canta una sfogliatrice a piena gola:amor comincia con cànti e con suonie poi finisce con lacrime al cuore.

(Giovanni Pascoli, ultimo canto, le “Myricae”).

C’è un punto preciso della campagna di Gherardidove non cresce più il grano. Non è questione di fertilizzanti, concimi chimici oroba del genere. il fatto è che, vuoi o non vuoi, lì ilgrano non ci cresce più. E’ dal dopoguerra che ciprovano, ma nulla. Ci tentò la bonifica durante imesi della faticosa ricostruzione per più di vent’an-ni, poi i vari fattori, ancora la lunga sfilza dei pro-prietari terrieri che si sono susseguiti, infine i conta-dini extracomunitari negli ultimi decenni. Non c’èniente da fare. la terra non sputa fuori niente. Soloacqua e sangue. il grano, a Gherardi e nella vicinaJolanda, cresce dappertutto, pure bello, ma lì, in quelpunto preciso – di fronte alla vecchia villa del dott.bartimmo, un po’ più in là del canale, dove untempo stava il borghetto del Dosso (tre cascine rusti-che con una stalla colma di vacche) – in quel puntopreciso dicevo, no! tu ci vai e c’è un pezzo di terra -ci stanno, stretti, due, al massimo tre cristiani - dovepuoi pregare tutti i santi, ma il grano non vienefuori, l’erba men che meno. tutto piatto. Solo acquae sangue. terra fertile, è fuor di dubbio, ma che noncaccia roba buona nemmeno a pagarla. Molti dicono che lì c’era il borghetto del Dosso –quelle tre cascine rustiche con la stalla colma di vac-che – distrutto decenni fa, e quindi sostengono chedove prima c’erano le case adesso è impossibile checresca qualcosa. altri, storcendo il naso, logicamen-te rispondono che se fosse così, allora in tutta la zonadove prima era ubicato il borgo non dovrebbe cre-scere mezza pianta di grano, mentre no, mentre èmorto solo quel punto preciso della campagna.alcuni dicono che è un problema di falde acquiferee da quella parte l’acqua non passa; alcuni altri ribat-tono – dicendo poi la stessa cosa – che lì sotto c’è una

zona pietrosa, e il grano non attacca, non prende.Pochi altri – sottovoce – dicono, invece, che lì non cicresce più il grano perchè lì c’è morta Oriele. Di questo triste fatto, anche la bonifica, i fattori, iproprietari terrieri e i contadini extracomunitarisapevano e sanno, ma ci hanno sempre riso sopra,non ci hanno dato mai importanza. tutte baggiana-te. “Se davvero non dovesse crescere più il granodove muoiono le persone, allora mezza campagnaemiliana sarebbe deserta!”, ridacchiano. “E poi, forseuna volta, ma oggi non si può più credere ai fanta-smi”, concludono. Così, bonifica, fattori, proprietarie contadini extracomunitari hanno tirato diritto:“Grano o non grano, non ci importa, va bene così”. Enessuno più si è interessato. “amen”.Eppure, in quella notte d’estate – c’era la luna pienaed era da poco finita la guerra – il vecchio baroni (unomaccio forte tanto da alzare le trebbie da solo,buono come il pane, non avrebbe fatto male ad unamosca ) stava tornando a casa dalla borgata Giotto,dove si era appena conclusa una festa dei lavoratori,dato che il raccolto era andato benone. in cielo laluna era così tonda che illuminava come se fossegiorno e tutte le risaie erano d’argento e il granod’oro splendeva di blu, mentre i tetti in cotto dellecascine erano coperti dalle ombre dei cipressi e, là infondo, dai lunghi filari neri. il vecchio baroni, con lasua bicicletta, forse un po’ avvinazzato – è il caso didirlo – faceva ritorno, a pedalata lenta e sbilenca, alPalladio, un podere che stava un po’ più in là, dopoil ponte, vicino alla cabina elettrica, prima del cana-le Cisi, dove abitava con la sua famiglia. insomma,arrivato di fronte alla villetta del dott. bartimmo, ilvecchio baroni frena di colpo, sgrana gli occhi lucidiin quel suo volto sudato e, di soppiatto, il sangue gliva alle tempie: dal nulla, una donna vestita di nero,col volto coperto da un fazzoletto scuro, sbuca dalfosso vicino alla villa del bartimmo, cammina a passifelpati fino al centro della strada, si ferma, si volta indirezione del baroni, poi si gira e riprende fino adandare al di là della strada, verso borgo Dosso,scomparendo nel grano d’argento. il baroni, impie-trito, solo dopo che la donna si è dispersa nell’ar-gento della campagna, ha iniziato a balbettare:“Ori... e… le...”. “O… rie… ele...”. bagnato in viso,ha rimesso come poteva le sue grandi zattere suipedali ed è tornato a casa spedito come mai avessefatto.“ho visto l’Oriele! ho visto l’Oriele!, sbraitando,mentre entrava in casa sudicio. “Venite giù, ho vistol’Oriele!”, urlando e ruttando. la moglie Pina,impaurita, ha sceso le scale in vestaglia con in manouna candela, accesa pochi istanti prima, di fretta, gri-dando chi fosse. Poi, accortasi che non si trattava diun malintenzionato, ha illuminato il viso del suo

ORIELERACCOnTO CAMPESTRE

di Stefano Muroni

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uomo. Vistolo mezzo sbronzo, gli ha cacciato duesberloni in faccia apostrofandolo come un brutscreanzà, e l’ha portato su, verso la stanza, a calci epugni. “ti pare questa l’ora di arrivare!” continuava,sbracciandosi, la Pina, in abito da notte, sopra quellescale cigolanti di legno vecchio, mentre lui cercava didifendersi e coprirsi. “andate a letto fiò, che non c’èniente da vedere”, ha mugugnato la Pina, arrivatasu, alla piccola anna e al primogenito, che eranousciti, assonnati, dalla camera loro per capire il per-ché di tanto fracasso. “Sempre a bere con i tuoi altribriganti, e poi vedi i morti per strada.”, piagnucola-va, la Pina, ormai sotto le coperte, dopo aver soffiatosulla fiamma della mezza candela. “hai spaventatopure i bambini, bestia!”, concluse la donna, sbadi-gliando. E nella casa si fece silenzio. i bambini tornarono aletto, sbadigliarono e si addormentarono, così comefece la Pina poco dopo. il baroni no. quello non sba-digliava e il sonno sembrava ancora lontano. ilbaroni, sotto alle coperte, nizzo in volto e con gliocchi inspirtati verso il nulla, invece, ripensava, forsepiù lucido che mai, a quella donna vestita di nerovista pochi minuti prima, di fronte alla villa del dott.bartimmo. E ci ripensava, aggrottando la fronte. Equella donna gli sembrava sempre di più proprio lapovera Oriele. Morta però anni prima, proprio ad inizio estate.Si era ai principi di luglio, infatti, ed era tempo dimietitura. Da qualche tempo era scoppiata la guerra, ma inqueste campagne ancora era percepita come unabazza lontana. roba da radio o da giornale. Merce dacarta stampata o da manopole da girare. Nulla più.qualcuno – è vero – era già partito: già qualcheragazzo aveva lasciato la campagna per presentarsiin qualche ufficio d’arruolamento o in qualche acca-demia militare. Facevano chilometri per arruolarsi,sti ragazzi, perché andavano prima a Ferrara, poi aModena e da lì chissà dove. Ma erano felici, oltre chegiovani: la guerra sarebbe durata un pugno di mesi,presto sarebbero tornati a casa, a vagonate sui treni avapore, ancora giovani, ancora festanti e vittoriosi. Eavrebbero fatto il tragitto inverso: da chissà dove lirispedivano a Modena, dove c’era l’accademia mili-tare, poi a Ferrara e da lì, con l’aiuto di qualcheanima pia che ti faceva un po’ di posto in qualchecalesse trainato da un paio di neri ronzini, dispersinelle campagne. Nel luglio del ’41, mentre i giovani erano da poco alfronte, le campagne fiorivano di grano buono, quel-l’anno come da millenni. Ma quell’anno sembravadorato: i suoi fasci sembravano seta, con quelle fibreattorcigliate che nascondevano spighe grosse e satu-re come bomboloni. la guerra doveva durare pochimesi, è vero, ma i contadini più anziani, nel novem-bre prima, avevano messo ancora più attenzione nelpiantare la semenza. “le guerre non sono maibrevi”, si dicevano l’un l’altro, nel novembre dell’an-no prima, mentre accovacciati coprivano i semi nellaterra ghiacciata e fertile. “l’anno prossimo serviràtanto grano per sfornare pane buono, il più possibi-le, perché ce ne sarà sempre meno”, e continuavano,lungimiranti, su e giù per i campi bianchi, in mezzoalla nebbia, mentre lavoravano e gufavano. E ogni

giorno, quei gufi, lo controllavano, il grano. Ognigiorno lo curavano e lo accudivano. Come un figlio.E come un bimbo, è nato. Poco prima dei nove mesi.ai primi di luglio. bello come il sole. Forte e robusto.Più del baroni. Pronto per essere svezzato. il grano,non il baroni! E adesso – dopo quasi nove mesi - eragiunto il momento del parto.Si partiva la mattina presto, quando ancora c’era lafoschia per terra e i cuculi si sentivano tra gli alberi.i contadini si armavano del “ferro”, quella specie dicoltellaccio a mezza luna, più un fiasco di vino e unasacca per il pane. E così facevano le donne, portan-dosi con loro un fazzoletto per la testa e un cappel-laccio di paglia per il marito. E riempivano le stradedel paese, sti contadini, prima di svuotarlo comple-tamente. tutti cantavano prima di andare al lavoro,tutti erano felici, tutti a braccetto. a chilometri didistanza i loro figli morivano per una guerra ancoragiusta, il grano quell’anno era d’annata e avrebbedato da mangiare a tutte le genti di quelle parti; c’eramiseria ma tutti si conoscevano, tutti abitavano vici-no, tutti si davano una mano per sopravvivere aquelle giornate tristi dell’umanità. E cantavano, asquarciagola, col ferro in mano e la sacca del pane atracolla, sempre più forte, per scacciare i fantasmidell’estate. C’era, in una delle ultime file di questo tenero eserci-to di lavoratori, una donna mora sulla trentina, pic-cola e indifesa, guardata strana, in passato, da metàdel paese perché, anni prima, se la filava con un certoMarangoni, un fattore della bonifica di quasi ven-t’anni più grande, bugiardo e ricco come pochi. Sidice che una notte ci sia stato fra loro il patatrac edopo quasi nove mesi stava per nascere – come ilgrano - una creatura che lei voleva chiamare Oneidecome la sua mamma, morta anni prima, quando leiancora era bambina. Si era già fatta fare la culla, inlegno grezzo, ma bella. Stringendo: si dice che ilMarangoni – uomo sposato e di rispetto – avessepaura, con ‘sta nuova bastarda tra le scatole, che larelazione segreta con questa donna fuori dal matri-monio potesse provocare scandalo e vergogna. Sidice poi che, una notte – pochi giorni prima che l’in-felice partorisse – il Marangoni si sia presentato acasa di lei – dell’amante, non della moglie – con ilferro in mano, tutto svuotato e con gli occhi fuori disé, con l’intento di sgozzarla. Scannarla non c’èriuscito, ma tra strattoni e botte in faccia e al pancio-ne, la povera ha iniziato a sanguinare da sotto, men-tre piangeva e guardava la culla di legno grezzo chesi sporcava, ai piedi, di sangue, come di sangue sisporcavano i piedi del Marangoni, e i suoi, tesi daldolore. “Non dire niente a nessuno, io non sono maivenuto qui, non dire niente a nessuno!”, digrignavail Marangoni, mentre, coi piedi bisunti, sbatteva laporta di casa e usciva nel gelo. Per tutta la notte, a gattoni, la donna si è trascinatada casa sua alla casa del dott. bartimmo, senza chenessuno la potesse vedere o aiutare – era gennaio enevicava forte -, strisciando e vomitando, mentrepure la neve si sporcava di unto. Stette tre giorni –giorni clandestini – a casa del dottore. “Non dicaniente a nessuno, la prego” implorava la donna abartimmo. E lui annuiva sempre, rassicurandola,promettendo il silenzio. E così ha fatto per il resto del

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suo tempo: quei giorni se li è portati nella bara. Poi lei è tornata casa, si è ripresa, il Marangoni l’havisto qualche volta, ma sempre di sguincio: leiabbassava lo sguardo e tirava dritto, e poi era tuttofinito. Non per il paese, però, che aveva iniziato arumoreggiare, a dire che quella era una poco dibuono, una senza Dio, una che faceva l’amore contutti. E tutti la guardavano storto. andava in botte-ga – quella nella via principale, gestita dai cuginiPescara – e tutti la squadravano: lei abbassava gliocchi, comprava le sue miserie e scompariva. Si ver-gognava senza avere colpe. Ma gli anni passano e gli animi si spengono, si inte-neriscono: per tutti, da svergognata, era diventatauna donna da guardare con comprensione e tristez-za, quasi da aiutare, dopo che la verità era saltatafuori e il Marangoni fu pure preso a botte da ignoti,una sera. E hanno incominciato a salutarla tutti, avolerle dare una mano tutti. lei ringraziava, marimaneva sempre piccola, sempre livida, come se ipeccati non si potessero estirpare con nessun ferro. la povera Oriele – così si chiamava questa predesti-nata – aveva trovato da un po’ di tempo un ragaz-zetto buono buono senza diavolerie per la testa. Sichiamava rimedio, era un De Giuli – famiglia pove-ra ma per bene che stava alla borgata leonardo,verso i Dossetti, sulla strada ghiaiata che porta atresigallo – e non conosceva la storia del Marangonie forse nemmeno era interessato a saperla. Sta difatto che i due si sposarono ed erano andati a viverealla Cascina, in fondo alla strada dove iniziano i fila-ri alti, vicino al ponte d’assi, in una casetta piccolapiccola – una vecchia bugadara, una specie dimagazzino per gli attrezzi agricoli adibito ad unasorta di abitazione per cristiani – ma accogliente. Epoi loro ci stavano bene. E fu in quel novembre –mentre i vecchi contadini, coperti di nebbia, porta-vano, nei campi freddi, la semenza – che quei due siritrovarono sotto le coperte di lana, a fare l’amore,mentre il letto cigolava dolcemente e fuori la nevebagnava i fossati coi primi fiocchi. a volte, nell’ab-braccio, Oriele tirava fuori dalle coperte pesanti ilsuo musetto, spostando un po’ il capo di lui – che lestava sopra – per guardare la culla di legno grezzoche si era portata dalla vecchia casa e che stava ades-so vicino al loro letto cigolante, con ancora i piedisporchi di sangue secco, e lei guardava, con un visocosì eccitato, con uno sguardo tanto pieno di speran-za e di orrore.

Poi la neve si è sciolta ed è ritornata a rivedersi l’er-ba, i pioppi hanno incominciato a spargere i lorosemi ovunque, sono ricomparse le cicale di pomerig-gio e i cuculi di mattina, mentre i soliti contadini sisono messi a svegliarsi presto per andare a mietere.Come sempre. Oggi come da millenni. quel giorno dei primi di luglio rimedio non c’era –anche lui era uno dei tanti giovani festanti che parti-rono col sorriso stampato in faccia. Era partito nelgennaio del ’41 - due mesi dopo aver fatto l’amorenella bugadara - coi fiumi gelati. “torno a luglio peraspettare Oneide” le aveva sussurrato nell’orecchiorimedio la sera prima di partire per il fronte. Orieleaveva deciso così per il nome: Oneide come suamamma, come la figlia che non aveva mai avuto. E

se fosse stato maschio ci si sarebbe pensato. E cam-minava, la donna, quel giorno di luglio, dietro tuttele altre contadine, affaticata da un nuovo pancioneche sembrava un vitello. Ormai era ora: ancora unamanciata di settimane e avrebbe sgravato. la suaprima figlia senza vergogna. E cantava pure lei,quella mattina, perché le lettere dal fronte le riceve-va, perché il grano era bello come non se ne vedevada anni e perché nel pomeriggio sarebbe arrivato inlicenza rimedio per un po’ di tempo, nella speranzadi rimanere per vedere il nascituro. usciti dal paese, come quando le formiche esconodal formicaio, i contadini occuparono la loro terra, laloro campagna coltivata a grano. Ognuno una fila,ognuno un ferro in mano, e Dio che sorvegliava.tutti accucciati a sgozzare il gambo della pianta colferro – quel coltellaccio a mezza luna –, tutti rivoltiverso terra, tutti giù, come struzzi impauriti. Finitauna fila si passava a quella successiva. Sempre infila, pure loro, come il grano. Sempre col ferro inmano. tutti accovacciati. Per ore. Come salici. Finoalla sera. Fino al tramonto. Fino a perdere la vogliadi cantare ancora. anche la povera Oriele lavorava accucciata, quasi agattoni per il pancione, e sudava e piangeva, mentrele gambe le tremavano, e l’ultima pianta da tagliarestava ancora là in fondo. “quando arriva rimedio?”,si chiedeva, mentre là dentro s’agitava e scalciavaanzitempo la sua ultima speranza di felicità. la povera Oriele, assieme alle altre contadine, stavalavorando nella possessione Dosso – quelle tre casci-ne rustiche con la solita stalla zeppa di manzi – pro-prio di fronte alla casa del dott. bartimmo, dove anniprima si era recata a gattoni, in fin di vita. Da questapossessione sembra che non si vedesse la parte delcielo verso ovest, quella verso Jolanda, e nessuno siera accorto che, dal comune vicino, si stavano avvi-cinando, come un uomo svuotato e con gli occhifuori di sè, dei nuvoloni scuri che portavano morte.tutti, nelle altre possessioni, già si erano messi alriparo, nelle stalle o sotto i tetti delle cascine. ancheal Fienilino, che stava a due passi, non c’era piùanima viva a mietere. al Dosso sì. una ventina dicontadine, incurvate, continuavano a strappare ecamminare, uccidere per mangiare. il vento tra ilgrano, quello sì che l’hanno sentito tutte, ma il cielo,al Dosso, non l’ha visto nessuno. Certo, si sentivanotuoni rabbiosi in lontananza, ma dalla loro partel’azzurro era bello, il temporale sembrava lontanissi-mo. l’estate, in questa fetta d’Emilia, è così: c’è belloma il temporale è sempre in agguato, la gente cantama dentro muore. E quel giorno iniziò a piovere cheDio la mandava, con fulmini che si sprigionavanonel nero per scaricarsi a terra, mentre quelle venticontadine cercavano di ripararsi alla meglio, nellastalla del Dosso, mentre fuori esplodeva il finimon-do. Fu allora – una volta entrate nella stalla - che sisentirono urla stridenti, da cavernicolo, arrivare dalà in fondo, dalla terza fila di grano: la povera Oriele,schiacciata a terra con le mani che scavavano nelfango, bagnata dal violento temporale, urlava, pre-gava e chiedeva aiuto, mentre era lì lì per buttarefuori tutto. una sola contadina è corsa nella bufera,mentre le vacche nella stalla muggivano e si agitava-no impazzite.

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NAR

RATIVA

“lina, aiutami!”, implorava la poveretta infangata,già sporca di sangue. la contadina le tirò su la vesta-glia, mentre tuoni e fulmini le circondavano e le altreguardavano assieme alle mucche il tutto dalla stallasenza fiatare. “Ora spingi!” diceva la lina, sudata inviso, e quell’altra spingeva, piangendo, mentre leradici del grano si impregnavano di sangue. “Spingiancora” calcava la lina, e quella pregava e urlava,spingeva e chiamava rimedio. Oneide e rimedio,chiamava. rimedio e Oneide. tutta la campagna si era ormai allagata, al Dossotutti pregavano, inginocchiati, mentre fuori la terraera sudicia di acqua e sangue, e quello non volevavenir fuori, lei non riusciva proprio a scodellarlo.“Spingi più forte!”, ha urlato, stavolta, la lina rab-biosa, mentre i fulmini le sfioravano. E quella ha rac-colto tutte le energie dei fiumi e dei campi, i cantidelle cicale e dei cuculi estivi, tutto il nero dellenuvole e gli occhi rossi del Marangoni, la culla dilegno e rimedio, la neve unta di viscere e i calciall’addome, tanto da scoperchiare fuori di sé ungrido primordiale così orribile che Oneide è sguscia-ta dal sotto ventre come un soffio, e ha iniziato apiangere la creatura, bagnata e insanguinata pure lei,come la mamma e come la lina, come le radici delgrano lì vicino, mentre quelle là al Dosso non prega-vano più. “è bellissima!”, piangeva la lina, a terra, nel fangorosso. Sorridendo, l’Oriele ha teso le braccia versoquel cielo ancora nero, verso quella figlia, con lasmania di portarsela a sé, per stringerla al pettosudato, per chiederle perdono. Ma il sangue era trop-po, e la donna ha iniziato a perdere le forze e con latesta si è accasciata a terra, mentre digrignava i dentidalla disperazione. la lina, di scatto, ha provato adarle la figlia tra le braccia, ma quelle non avevanopiù forza: la povera Oriele, sfinita e svuotata, haguardato sbilenca la piccola Oneide, ha sussurrato“lina”, poi è morta, con lo sguardo storto al cielo,che era meno scuro.

Poi c’è stato il raccolto dell’anno successivo. Poi è finita la guerra. E il tempo è passato. Si dice che rimedio non sia mai arrivato quel giornoa casa e non abbia mai visto sua figlia. anzi, da que-ste parti rimedio non si è più visto. Disperso, dicevala gente, ma non c’erano certezze. la piccola Oneidemorì dopo pochi giorni, stroncata da un male incu-rabile, pare una polmonite. Fu la lina che se ne presecura, fino alla sua prematura scomparsa. E fu il dott.bartimmo che, fino alla fine, provò qualsiasi cosa purdi salvarla. Ma gli sforzi non servirono a niente.alcuni, ancora, dicono che bartimmo pianse tantissi-mo al funerale della bambina, sepolta vicino allamadre, al cimitero di Jolanda.Per lunghi anni, il dott. bartimmo, finché è stato invita, per tutto il mese di luglio teneva la luce dellasua stanza accesa, per ricordare la fine di quelladisperata. Si dice che, negli ultimi anni, in vecchiaia,forse non più lucido, il dott. bartimmo vedesse, nelmese di luglio, Oriele vestita di nero con un fazzolet-to scuro in volto, che da casa sua andava al di là dellaborgata Dosso, in quel punto preciso dove avevasgravato. “ritorna lì perché non è riuscita ad abbrac-ciare la sua bambina”, raccontava agli amici fidati,

nel salotto di casa sua. E tutti annuivano, ma dietrogli davano del rincoglionito. Eppure, ogni sera diluglio, lui si metteva alla finestra di camera sua aguardare di fronte: il Dosso, la campagna, i campid’argento, la luna tonda. E a volte la vedeva: oltre-passava la strada e si perdeva nel grano blu, là doveaveva dato alla luce il suo unico amore, la sua ultimafelicità. “ritorna perché non è riuscita ad abbraccia-re la sua bambina”, sussurrava bartimmo, quando ladonna si disperdeva nei campi. E così l’ha vista ilbaroni quella sera in bici, quando tornava a casadalla festa, che sua moglie lo linciò come se fosse unladro di polli. Ma anche il Marangoni, più avanti, hagiurato di averla vista in quelle zone, mentre oltre-passava la strada, coi piedi sporchi di sangue. Eanche la lina, prima di morire, ha confessato almenouna volta, ai suoi nipoti, di averla vista. E altri anco-ra, negli anni, giurano di avere visto, nelle notti diluglio, con la luna piena, una donna di nero passarela strada e scomparire nel grano.

Ora lì, non c’è più nulla. Solo desolazione. il borgodel Dosso non esiste più – demolite le tre case rusti-che con la stalla -, scomparso anche il Fienilino, mapure il Giotto, il leonardo e mezza Gherardi. anchela casetta misera e accogliente dove erano andati avivere Oriele e rimedio dopo il matrimonio non esi-ste più, e i vecchi già faticano a ricordarsi dove stava. qua non c’è più nessuno. E’ rimasta in piedi solo lavilletta del dott. bartimmo, ma è circondata da unnastro rosso e al muro c’è scritto, in vernice bianca,“Pericolo di crollo”. Spariti pure i ferri, le sacche delpane, i fiaschi di vino. Neppure i canti dei contadinici sono più. E se i nuovi contadini cantano, non sicapiscono, perché sono dell’est. Nemmeno le cicalesono forti come anni fa. Solo un cane, in lontananza,ogni tanto, accompagna questo nulla con la suacagnara spenta. E’ rimasto solo il grano, da questeparti. E questo punto preciso della campagna. Nientepiù. Solo un punto vuoto dell’universo nel granodella campagna. Mentre qui sotto, ancora, ribolle ilsangue e l’acqua. qua, dove il grano non crescerà più.

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RAPPORTI FERRARESI-MOnAChESInEL TRECEnTO

di Wilhem Blum

Premessa: nel 2009 c’è stato lo scambio scolasticoFerrara-Monaco (liceo Classico ludovico ariosto-Maximiliansgymnasium München), in verità un rap-porto ferrarese-monachese: ecco lo stimolo all’artico-lo presente nel quale ci muoviamo nel quattordicesi-mo secolo.

i

a) Dal 16 febbraio 1264 Ferrara fu la – prima! –Signoria sul territorio dell’italia, e il primo Signorefu Obizzo della famiglia degli Estensi.Ciononostante ludovico “il bavarese” investì dinuovo gli Estensi del potere di Ferrara: come maiquesto fu necessario?b) Da tanti secoli Ferrara essendo una diocesi dellaChiesa era lieta di un vescovo, ma il 1° maggio 1328l’imperatore ludovico nominò Giovanni di Gen-duno (Jean de Jandun) vescovo della città di Ferrara:Come mai questa nomina fu necessaria? Oppure sipermise ludovico magari una nomina che non erastato un suo diritto?

iii PErSONaGGi PriNCiPali

a) ludovico il bavarese: ludovico nacque a Monaconel 1281 o 1282, egli fu membro della famiglia deiWittelsbach che regnava sui bavaresi dal 1180 (eregnerà fino al 1918!), nel 1294, dopo la morte di suopadre, fu Duca della baviera e poi, nell’ottobre del1314, fu eletto re a Francoforte (“rex romanorum”).Durante il suo corteo attraverso l’italia fu incorona-to imperatore a roma; siccome questa incoronazionefu fatta da quattro rappresentanti della Città diroma tra cui Sciarra Colonna, si capisce che si rivol-se contro il Papa ad avignone. il 28 ottobre 1322ludovico avendo riportato la vittoria decisiva nellabattaglia di ampfing (o Mühldorf) era riuscito arimanere Duca della baviera mentre Federigo diasburgo era vinto: dunque la baviera rimase bava-rese – e non diventò austriaca. Dal 1324 al 1328, inrealtà fino alla sua morte, ci furono contrasti con ilPapa: il 18 aprile 1328 ludovico volle deporreGiovanni XXii dopo che quel Papa l’aveva scomuni-cato, e il 12 maggio 1328 insediò un nuovo Papa,Nicolò V. Dal 1330 restò a Monaco e morì a Puch neidintorni di Monaco l’11 ottobre 1347.b) il Papa Giovanni XXii: Giacomo (Jacques) Duèzenacque a Cahors nel Sud della Francia nel 1244 o1245, nel 1300 diventò vescovo di Fréjus, ma dal 1308al 1313 fu Cancelliere dei re angiovini a Napoli. Dal1313 fu Vescovo Cardinale di Ostia presso roma, edè a lione in Francia che fu eletto Papa il 7 agosto1316. Per 18 anni, fino alla sua morte del 4 dicembre1334, diresse la Chiesa e si fece tanti nemici, soprat-

tutto in baviera, scomunicò non solo l’imperatoreludovico, ma anche i consiglieri imperiali comeMarsilio da Padova, Giovanni di Genduno e tantialtri. Sebbene avesse voluto trasferire la Sede Papalea roma, restò tutti gli anni del suo Pontificato adavignone ove morì nel 1334.c) Marsilio da Padova: Nacque a Padova verso il1290 e fece i suoi studi – artes liberales e Medicina– a Parigi, ivi fu preside dell’università negli anni1312 e 1313. il suo capolavoro, il “Defensor Pacis”, loterminò il 24 giugno 1324 come dice l’autore alla finedella sua opera in due (cattivi) esametri leonini:

anno trecenteno milleno quarto vigenoDefensor est iste perfectus festo baptistae.

Dopo esser scomunicato, fuggì alla corte di Monacoove godette della protezione di ludovico.Ciononostante lo accompagnò nel corteo italiano efu testimone dell’incoronazione di ludovico aroma. Dopo il 1330 restò, anche lui, a Monaco, scris-se tante opere e lavorò come medico personale diludovico, morì a Monaco qualche mese prima del-l’aprile 1343.d) Giovanni di Genduno: Nacque a Jandun nella dio-cesi di reims in un anno da 1280 a 1285. DiventòMagister artium a Parigi nel 1310, ed è a Parigi cheincontrò Marsilio da Padova, loro due diventaronoamici e si aiutarono, ma finora non si può provareche Giovanni abbia sostenuto Marsilio nell’operaDefensor Pacis. tutt’e due furono scomunicati daPapa Giovanni XXii e fuggirono a Monaco; maGenduno che accompagnò ludovico per l’incorona-zione a roma fu nominato vescovo di Ferrara il 1°maggio 1328. Ma veramente non poté godere il suovescovato perché morì già in quell’anno, in un gior-no dal 10 al 15 settembre 1328 a Montalto, non lon-tana da Pisa.

iii

a) il 14 ottobre 1323 “nel palazzo del Signor Margra-vio rinaldo a Ferrara si erano riuniti rinaldo,Obizzo e Niccolò, i fratelli che erano per grazia divi-na margravi degli Estensi e degli anconitani” emolti notari, tanti testi e molta gente. questi tutti siresero conto della nuova donazione di Ferrara agliEstensi fatta dal re ludovico il bavarese (non ancoraimperatore): Gli Estensi dovettero avere tutti i dirittidi cui avevano già goduto Obizzo i e azzo nelDuecento, cioè “dei feudi che avevano i predecesso-ri… ed anche delle terre e acque, delle valli e paludi,dei pascoli e delle case…”. Si capisce che i treEstensi, anche loro, promisero di conservare tutti idiritti del re o dell’amministratore di quel reludovico, soprattutto Obizzo iii.b) il primo maggio 1328 ludovico “per grazia divi-

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na imperatore dei romani e sempre augusto dà isuoi saluti e i suoi ottimi auguri al venerando mae-stro Giovanni di Genduno che proviene dalla dioce-si di reims, dottore della sacra teologia e il mio con-sigliere”. questa lunghissima lettera è in realtà unatto di nomina di Giovanni al vescovo di Ferrara.Nel primo articolo l’imperatore depone il vescovoattuale, il frate domenicano Guido da Capello, sia“per la malignità e ribellione” di questo vescovo che“per il delitto di lesa maestà” - letteralmente: crimenlaesae maiestatis! -, e nomina Giovanni di Genduno“pastore e amministratore della chiesa e del vesco-vato di Ferrara”. Dal secondo articolo apprendiamouna cosa importantissima: la nomina del vescovosarebbe compito dell’imperatore, ma nel futurosarebbero il clero ed anche il popolo (!) fedele adeleggere i personaggi delle cariche ecclesiastiche.Nel terzo e nel quarto articolo leggiamo quasi tuttele pene che sono previste per tutti i malfattori, e ilsesto articolo ci mostra un’altra cosa importante:ludovico si riserva esplicitamente il diritto di revo-care una tale nomina, e questo non solo a se stesso,ma anche ai suoi successori ed al clero e a tutto ilpopolo – non quello di Ferrara, bensì quello diroma! Con questo documento ludovico volle isti-tuire Giovanni di Genduno vescovo di Ferrara, maquel Giovanni non sarà mai vescovo …

iV

a) Perché ludovico il bavarese volle istituire gliEstensi a Ferrara sebbene fossero stati i Signori giàdal 1264? Per una sola ragione: il Papa avignoneseaveva scomunicato gli Estensi nel 1322 (come anchei Visconti di Milano e i Cangrande di Verona) vistoche tutti quei duchi erano Ghibellini: Mentre i Guelfisostennero il Papa ed il clero della Chiesa, i Ghibel-lini del trecento furono i nobili che aspirarono alpotere temporale. Così si capisce benissimo perchénella primavera del 1323 i Visconti e gli Estensi chia-marono il re ludovico in aiuto: ludovico gli diede ilvicario bertoldo di Neuffen che li aiutò non solo conun esercito, ma di più con la propaganda. l’8 otto-bre 1323 il Papa dichiarò pubblicamente che il reavesse il suo titolo al di fuori della legalità e il 14ottobre lo stesso re istituisce gli Estensi: si vedebenissimo che il re non è tanto interessato agliEstensi, ma vuole agire contro il Papa e contro i rap-presentanti della Chiesa. Poi, naturalmente il re nonè capace di istituire un duca che già esiste, Obizzo iiiin realtà non viene istituito dal re ludovico, bensìconfermato.b) quasi lo stesso motivo lo si vede dall’istituzionedi Giovanni di Genduno come vescovo di Ferrara.l’imperatore – il 17 gennaio di quest’anno di 1328era stato incoronato a roma! – volle agire contro ilPapa, per questo solo motivo istituì Giovanni il 1°maggio 1328. Certo possiamo indicare un altro moti-vo: ludovico venerò Giovanni e lo considerò unvero intellettuale, ludovico aveva conosciuto quelGiovanni nella sua “accademia Monachese” nellaquale lavorarono e scrissero – contro il Papa e con-tro gli interessi della Chiesa – personaggi comeMarsilio da Padova, Guglielmo di Occam e proprioGiovanni di Genduno. Evidentemente Giovanni non

fu mai vescovo, per svariate ragioni: la città diFerrara e i duchi Estensi non tollerarono l’intromis-sione degli altri, né del Papa né dell’imperatore, equelli tutti furono a conoscenza del loro potere: stan-do così le cose gli Estensi vollero istituire loro stessiil loro vescovo. E quanto riguarda la persona diGiovanni possiamo dare due ragioni: l’imperatoreseppe certamente che fu impossibile istituire ilvescovo, così nominò Giovanni il suo consigliere il14 luglio 1328 – una nomina che in realtà fu inutileperché Giovanni era già stato consigliere del re daparecchi anni. Poi questo Giovanni morì a Montaltoin settembre 1328, e non poté celebrare la festa del-l’inaugurazione del vescovato di Ferrara…

le due fonti latine:Monumenta Germaniae Historica (MGH): Constitutio-nes et Acta Publica Imperatorum et Regum, tomus Vedidit Jacobus Schwalm, 1909-1913tomus Vi edidit Jacobus Schwalm, 1914-1927(14 ottobre 1323: tomus V, Nr. 806, pp. 629-631;1° maggio 1328: tomus Vi, N r. 444, pp.366 -368)

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Come usava fare talvolta, entrò il professor Gio-vanelli, nostro insegnante di lettere all’istituto tecni-co Vincenzo Monti di Ferrara sezione b, agitando ungiornale sopra la testa, come se intendesse colpirequalcuno. il giornale era “il mondo” di Pannunzio epoco dopo eravamo immersi nella religio libertatis cheanimava i suoi scritti e arrivava a noi nei preziosimomenti in cui si veniva coinvolti dalla vivacità tra-volgente del nostro professore. la classe si trasfor-mava allora in una Scuola di Atene in formato mignon,dove gruppi animati discutevano sulla libertà, sulfascismo, delle magnifiche sorti e progressive, mentreabilmente le discussioni erano pilotate verso l’appro-fondimento, all’evitare le facili conclusioni, a scavarei concetti fino alle loro ultime implicazioni.Piacevano al nostro professore queste entrate teatrali,forse perché amava la recitazione ed aveva ancherecitato talvolta nel teatro greco. in quel beato perio-do in cui tutti avevano studiato il latino alle scuolemedie, si potevano capire le citazioni- mai troppocomplesse- del professore e andare anche versoimprevisti lidi della filosofia platonica o aristotelica,stimolando il piacere della cultura. una cultura che civeniva trasmessa nelle lezioni, ognuna delle quali erauna lectio magistralis, durante la quale il silenzioregnava assoluto e calava verso di noi il pensiero delgrande storico adolfo Omodeo oppure la concezionedell’arte come rappresentazione di benedetto Croce,ancore più viva perché arricchita dalle schegge divita del professore, come quando si recò a roma, perascoltare il filosofo ormai avanti negli anni e, trovan-dosi nella prima fila della sala in cui si teneva la con-ferenza, incontrò lo sguardo del pensatore mentrescendeva con difficoltà la scaletta e questi gli dissesemplicemente: Guagliò vien’accà, lasciandolo per unattimo impietrito dall’emozione di poter fornireappoggio a una leggenda vivente. la storia diventa-va cosa viva anche con la visita –chissà se si usa anco-ra oggi?- alla stele di Succi, Malagutti e Parmeggiani,i tre martiri ferraresi del risorgimento, spiegandociche la nascita dell’italia dopo i grandi stati europeiera stata l’ultimo slancio del romanticismo. amavacondurci a vedere le cose importanti e belle diFerrara, come quando ci alzammo tutti in piedi, ram-mentando il giorno in cui ci aveva raccontato dell’ul-tima guerra, spiegandoci come era stato ferito scam-pando a una probabile morte e lui, commosso, ciportò davanti alla facciata del duomo spiegandocianaliticamente gli stili succedutisi nel tempo. il suocomportamento era di una semplicità raffinata:entrava immancabilmente, portando in mano un pic-colo diffusore di deodorante profumato; vestito sem-pre con giacca e cravatta in perfetto ordine ma senzaostentazione di alcun lusso, salvo quando lo vidi,unica volta, nel cortile di Palazzo dei Diamanti alla

rappresentazione dell’aminta con un perfetto smo-king bianco adatto alla stagione estiva. a propositodi stagione estiva, una tantum , tempo permettendo,organizzava una passeggiata in bicicletta alloSpuntino Campagnolo a Cocomaro di Focomorto(credo esista ancora adesso) oppure, con la propriavettura, il rinforzo della prof.ssa righi e l’appoggiodel prof. ancona più motorini e motociclette varie, allido di Volano con tappa all’abbazia di Pomposaillustrazione degli splendidi affreschi e grigliata dipesce alla baracca -all’epoca una vera e propriabaracca- mentre le chiacchere, i racconti di aneddoti,gli scambi di vedute, le risate volavano nell’aria comefarfalle. Si cementava così un senso di appartenenzaalla classe che faceva di noi un gruppo con legamisopravvissuti, per molti di noi, al passare del tempo.Volevamo bene al professor Giovanelli e, quando lasorte maligna gli tolse il primogenito per un inciden-te in motocicletta, eravamo tutti al suo funerale conpartecipazione e commozione.arrivati all’ultimo anno con l’esame di stato cheincombeva, la preparazione si fece particolarmenteintensa; il professore pretendeva da noi il meglio.ricordo perfettamente e non dimenticherò mai legiornate trascorse nel giardino della sua bella casa inVia brasavola, nella Ferrara medioevale, per averepiù tempo a disposizione a commentare La ginestra dileopardi. Parecchi anni dopo, leggendo il bel volumedi Emanuele Severino Il nulla e la poesia, dedicato alpoeta di recanati, mi resi conto ancor più di quantoprofonde fossero le sue lezioni di allora. l’anno sco-lastico si chiuse brillantemente per tutta la classe conl’esame di stato nel 1956 e ognuno di noi prese la suastrada, chi avviandosi ad una attività lavorativa, chiproseguendo l’università a bologna, chi trasferendo-si per motivi familiari in altra città ma non finirono irapporti personali. un gruppo di una dozzina o piùdi ex compagni di classe continuò a vedersi almenouna volta all’anno per una cena; più tardi, cessataquesta usanza, alcuni altri si accordarono per tra-scorrere una settimana in montagna nello stessoalbergo, aggiungendo al gruppo anche altri delVincenzo Monti. Ora, alcuni di noi si trovano ancorain occasioni particolari, a volte create appositamente,per stare insieme in una cena e un dopo cena fattonon solo di ricordi ma anche del piacere di stareinsieme.Chiudo questa breve nota con la consapevolezza dinon essere riuscito a rappresentare la ricchezza e laprofondità dell’insegnamento di Franco Giovanelli,che ci fu maestro nel senso più alto del termine. Nonposso chiudere senza menzionare la splendida occa-sione che ho avuto molti anni dopo, dalla metà del1992 all’agosto del 1993, quando, essendomi avvici-nato al gruppo milanese della rivista Milano Poesia,

FRAnCO GIOVAnELLI:Un MAESTRO DI CULTURA E DI VITA

di Paolo Fabbri

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maturai l’esigenza di scrivere versi e avendo scrittoun numero di poesie sufficiente a formare la miaprima silloge, avvertii l’esigenza, prima della pubbli-cazione, di avere uno scambio di idee col mio profes-sore, che, lo ricordavo bene, si cimentava pure con lapoesia. Ne emerse una intensa corrispondenza, cuiseguì un incontro a Ferrara(io vivevo e vivo tutt’oraa Milano)con la pubblicazione del mio primo libro dipoesie Un giorno dice all’altro nel 1992. la presenta-zione a Ferrara nella Sala agnelli della bibliotecaariostea avvenne nel novembre 1992, mentre la cor-rispondenza continuava e preparavo la mia secondaraccolta. ricevetti la sua ultima lettera ricca di note ecommenti alle mie nuove poesie nel mese di luglio1993: lo avevo delicatamente rimproverato nella mia

precedente missiva di avermi lasciato lungo temposenza risposta e lui chiudeva con questi suoi saluti,gli ultimi per me:” Non credere che t’abbia dimenti-cato: per nulla. Solo un veramente terribile e lungoassalto di asma bronchiale mi ha trascinato due mesidi seguito fra casa e ospedale con straordinari disagie sofferenze (lunga serie di commenti e note alle miepoesie, che sarebbero state pubblicate poco tempodopo)Ecco dunque, caro Fabbri, come non ti dimen-tico. affettuosamente, tuo Franco Giovanelli”. Glirisposi nell’agosto successivo e qui si concluse lanostra splendida vicenda umana. il suo ricordo reste-rà sempre con me.

RICORDAnDO GIUSEPPE InzERILLOG.S.F.

l’estate 2014 è stata contrassegnata da turbolenzemetereologiche che ne hanno alterato l’identità tra-dizionale. in una giornata cupa, tra freddo e pioggia,ci ha lasciati il professor Giuseppe inzerillo, coluiche per tutti, a Ferrara, per lunghi anni, è stato il“Provveditore agli Studi”.Non solo il mondo della scuola ferrarese gli devericonoscenza per le idee innovative che talora hannocaratterizzato il suo mandato professionale ma, a piùvasto raggio, il mondo della cultura.Giuseppe inzerillo, uomo di profonda preparazionestorico-letteraria, autore di numerose pubblicazioni,noto per la raffinata eloquenza, è stato pure un affe-zionato collaboratore del “Gruppo ScrittoriFerraresi”, sulla cui rivista (unPoDiVersi, poil’ippogrifo) ha pubblicato numerosi saggi, alcuni deiquali vogliamo ricordare. i precisi riferimenti biblio-grafici riportati offrono al lettore interessato la pos-sibilità di rileggerli dal momento che sono cataloga-ti nella nostra prestigiosa biblioteca Comunaleariostea.Sulla rivista unPoDiVersi:- il fantasma di italo balbo (novembre-dicembre2000, pag. 11)- in riva all’adriatico. Gente e luoghi di ClaudioMarabini (marzo-aprile 2001, pag. 19)- la maestra, il professore, i socialismi (maggio-giu-gno 2001, pag. 12)- Garibaldi e le lapidi (luglio-ottobre 2001, pag. 13)- le lapidi di Francesco Viviani (novembre-dicembre2001, pag. 27)- antonio Piromalli e a. buda, amici “corrosi dalmalore civile” (gennaio-febbraio 2004, pagg. 10-11)- Mario roffi oggi, tra nostalgia e oblio (maggio-giu-gno 2004, n. 22, pagg. 10-11)- Gazzella o leonessa? la nebbia nella Modena diGiuseppe Pederiali, Folco quilici e il mistero del Diohelqart (luglio-ottobre 2004, n. 23, pagg. 15-16)

- bruno Cavallini: un intellettuale senza missione(novembre-dicembre 2004, n. 24, pag. 19)- italo balbo, Mokarta e la lapide ballerina (marzo-aprile 2005, n. 26, pag. 9)

Sulla rivista l’ippogrifo:- Sopra e dentro il lago bajcol con i fantasmi diMussolini e Stalin (n. 1 - 2006, pagg. 9-10)- Da San Cassiano agli alunni di ieri e di oggi(novembre-dicembre 2008, n. 13, pagg. 18-19)- Da ruggero il Normanno a... (luglio-dicembre2012, n. 31, pag. 20)- Francesco Viviani in Sicilia (gennaio-marzo 2013, n.32, pag. 14)- il barone Francesco amorelli visita Ferrara (aprile-settembre 2013, n. 33, pag. 13).

Ciao Provveditore! ti ricorderemo con affetto.

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Guido Mazzoni (Modena circa 1450-1518) fu il maggior interprete duran-te il rinascimento dell’arte dei“Compianti” o “Mortori” in terra-cotta policroma che rappresentava-no teatralmente il dolore dei perso-naggi evangelici che avevano assi-stito all’agonia e alla morte di Cristosulla Croce e ne avevano poi raccol-to e onorato il Corpo prima di de-porlo nel sepolcro. questi erano:Giuseppe di arimatea, membro delSinedrio, che non aveva aderito allacondanna a morte di Gesù e neaveva poi richiesto il corpo a Pilatodopo la morte sulla croce, da cui l’a-veva poi deposto, per cui viene rap-presentato con i chiodi in mano e le tenaglie.Nicodemo, fariseo e dottore di legge segretamentediscepolo di Cristo, che dopo la deposizione portò ibalsami profumati per il sudario. le donne presential martirio erano Maria moglie di Cleofa cognatadella Madonna, Maria di Magdala identificata tradi-zionalmente con la Maddalena, Salome moglie dizebedeo e Giovanni evangelista discepolo predilettodi Gesù (Notizie di don armando blanzieri).questi personaggi erano diventati durante il MedioEvo i protagonisti delle sacre rappresentazioni, in-terpreti del dolore universale dell’uomo di frontealla morte di Cristo, ma anche espressione delladevozione dei fedeli che dovevano essere coinvoltiin quel dramma. il perfezionamento dell’arte inepoca rinascimentale permise di rappresentare idiversi accenti del dolore e della pietà, soprattuttoattraverso la scultura in terracotta dipinta che ripro-duceva fedelmente le sembianze umane, gareggian-do con la pittura, arte privilegiata da leon battistaalberti e da altri umanisti. in questo ambito si impo-se il plasticatore modenese, con una tecnica che trae-va ispirazione dai “volti modenesi”, maschere rica-vate da calchi di gesso “dal vivo”, cioè dall’impron-ta del volto e completate da capelli e barba veri cheavevano molta richiesta nei principati italiani eanche oltralpe, prodotte anche dal Mazzoni cheaveva iniziato la sua attività come orafo e “mascha-raro”. la sua abilità nella scultura prese vigore nelconfronto con la pittura del suo tempo e soprattuttocon l’officina ferrarese composta da Cosmè tura,Francesco del Cossa ed Ercole de’ roberti che sierano formati sugli insegnamenti o le opere di gran-di esponenti dell’arte (Piero della Francesca vennealla corte di borso d’Este, Donatello fu a Padova maanche a Modena per il progetto, poi sfumato, delmonumento cittadino a borso, il grande maestrofiammingo roger Van der Weiden, inventore delle

lacrime dei compianti, la novità e lameraviglia del suo tempo, da cuianche il Mazzoni trasse ispirazioneconsegnò al marchese leonello unadrammatica Deposizione che diven-ne la perla della collezione estense).l’abilità dell’artista stava dunquenel trasformare un’impronta ine-spressiva ottenuta dal calco delvolto umano (spesso del commit-tente) in ritratto personalizzato ecarico di pathos, agendo con la sgor-bia sulla morbida argilla e costruen-do la massa corporea imitando poi ilvariegato abbigliamento rinasci-mentale: velluti, sete broccati, copri-capi che in quel periodo erano into-

nati alla moda borgognona, ma anche ruvidi abitimonacali come quello della Madonna. Guido,soprannominato il Paganino, dal nome dello zionotaio e tutore realizzò nel 1475-76 per i marchesiPallavicino il compianto della chiesa di Santa Mariadegli angeli a busseto e trionfò poi nella sua cittàcon il Mortorio per l’Oratorio dell’ arciconfraternitadella buona Morte e con la Sacra Famiglia per la cap-pella della famiglia Porrini posta nella chiesa diSanta Cecilia poi distrutta e attualmente espostanella cripta del duomo di Modena. Nel maggio-giu-gno 1476 lo scultore organizzò per conto dell’artedella lana le “Feste di Ercole” in onore dei duchi diFerrara e da quel momento la duchessa Eleonoradivenne la sua protettrice. Nel 1481 Guido ottennel’esenzione dalle tasse come particolare privilegio.risale probabilmente al 1483 la committenza delladuchessa Eleonora d’aragona per il Compiantodella chiesa di Santa Maria della rosa, localmentenoto come “Pianzùn dla rosa”. la principessa napo-letana il 5 maggio 1485 fece consegnare stoffe pre-giate alla moglie del Paganino, Pellegrina agazzi,sua collaboratrice (nota di spesa pubblicata daadolfo Venturi nel 1894). Per Ferrara e per gliEstensi fu un periodo particolarmente drammatico:la devastante guerra con Venezia, l’assedio dell’eser-cito nemico guidato da roberto Sanseverino cheminacciava il borgo dei leoni, la grave malattia delduca Ercole che costrinse Eleonora a prendere ilgoverno dello stato, con l’angoscia di perdere l’ap-poggio dei sudditi. Finalmente si arrivò alla pace equindi la collocazione del Compianto nella chiesadella rosa ebbe il valore di un ex voto. Nel gruppodei tradizionali personaggi evangelici emergono conla loro personalità e il loro rango il duca Ercole inella parte di Giuseppe di arimatea, o di Nicodemoper la lugli, e la duchessa Eleonora nella parte diMaria di Cleofa, da identifcarsi secondo don

GUIDO MAzzOnI SCULTORE DEI“PIAnzÙn DLA ROSA”

di Antonio Pandolfi

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armando blanzieri con Maria di Salome. la statuadel duca si presenta come un ritratto di stato da esi-bire al popolo al quale va comunque mostrata rico-noscenza per la fedeltà dimostrata, un atto devozio-nale verso il Cristo espressione della religiosità giàdimostrata dal principe con sacre rappresentazionidi tipo teatrale e con l’ormai tradizionale lavanda deipiedi e relativa cena offerta ai poveri in occasionedella Pasqua. la chiesa della rosa, danneggiata nel1943 e demolita nel dopoguerra, sorgeva ai limitidella fortificazione costruita da alfonso di Calabria,fratello di Eleonora, a difesa di Ferrara e primonucleo della futura addizione Erculea. il duca èrivestito di un ricco soprabito invernale bordato dipelliccia di lupo ed agnello, un cappello forse di fog-gia francese con relativa cuffia ed è identificato dal-l’impresa del’anello con diamante graffita sullaborsa che tiene alla cintura. la duchessa è identifica-bile, oltre che dal tipico velo sotto il quale si intrave-de un nastro dorato, da alcune lettere nel bordo dellascollatura : E a (D) E, EliONOra araGONENSiS(DuCiSSa) EStENSiS secondo la trascrizione diromolo Magnani. l’ultimo restauro ha evidenziato iveri colori e la finezza dell’abbigliamento di unadelle Marie secondo la moda rinascimentale che pre-vedeva sbuffi e stringhe nelle maniche, e del presun-to Nicodemo dal largo turbante. Secondo il Medripotrebbe essere un ritratto del segretario ducaleSiviero Sivieri che nel 1500 si fece costruire unadimora nelle vicinanze della chiesa della rosa. ilrestauro ha evidenziato la ricca veste a losanghe equindi la ricercatezza “fiamminga” del Mazzoni. lefigure hanno dimensioni canoniche, cioè m. 1,70 lemaschili, m. 1,60 le femminili, mentre il Cristo misu-ra circa due metri, come personaggio centrale domi-nante la scena. alla mostra di Modena del 2009 fuesposto il presunto prototipo del nostro Compianto,da identificare con quello indicato in un inventariodi spese ducali del 1491 come “sepolcro uno de teralo quale fa maestro Paganino in una caseta dorata”,proveniente dal museo fiorentino di Palazzo Mozzibardini. le statuine del modello in miniatura hannoun’altezza di circa cm. 53. il Cristo è posto su uncatafalco rinascimentale e curiosamente il ducaErcole indossa un cappello di paglia primaverile. ilMazzoni si trasferì poi a Venezia per eseguire unCompianto per la chiesa di Sant’ antonio in Castello(1485-89), di cui restano frammenti conservati alMuseo Civico di Padova che evidenziano l’influenzadi Giovanni bellini. alla fine del 1489 egli si trasferìcon la famiglia alla corte di Napoli, su richiesta delfratello della duchessa Eleonora, poi re di Napoli colnome di alfonso ii. Nella capitale partenopea realiz-zò un mortorio per la chiesa di Sant’anna ailombardi di Monteoliveto, dove figura un intenso edrammatico ritratto del duca di Calabria che imper-sona Giuseppe d’arimatea. in quel periodo il regnoaragonese fu conquistato dal re di Francia Carlo Viii,il sovrano fu colpito dal talento del modenese e lonominò cavaliere, assumendolo come pittore.Mazzoni si trasferì a Parigi con la moglie e la figlia,dove realizzò il monumento funebre di Carlo Viiiper la chiesa dell’abbazia reale di Saint Denis, altreopere in bronzo per il nuovo sovrano luigi Xii,padre di renata di Francia. queste sculture furono

distrutte durante la rivoluzione Francese. Nel 1498il re d’inghilterra Enrico Vii tudor chiamò a londrail Paganino per eseguire la sua tomba reale nell’ab-bazia di Westminster. l’artista presentò un modelloin legno, ma l’opera non ebbe seguito. tuttavia nellecollezioni reali del castello di Windsor è conservatoun busto in terracotta policroma di un bambino paf-futo dal sorriso beffardo, presunto ritratto del futuroEnrico Viii, che all’epoca aveva sette anni, operaattribuita al Mazzoni. Dopo venti anni trascorsi inFrancia il cavalier conte Guido Mazzoni, avendoperso la moglie e la figlia, tornò in patria, si risposòe morì ricco e onorato nel 1518. in mancanza didocumenti il Compianto di Santa Maria della rosafu ritenuto di alfonso lombardi a partire dalbaruffaldi fino al tardo Ottocento, epoca del ritrova-mento del documento del 1485. il gruppo scultoreofu ricoperto per molto tempo da una vernice colorbronzo per nobilitarlo ( !) uscì dall’ oblio con la gran-de Esposizione dell’arte ferrarese del 1933 allestita alPalazzo dei Diamanti da Nino barbantini, dallaquale fu poi trasferito nella più prestigiosa chiesa delGesù, dove nel 1944 fu danneggiato dai bombarda-menti alleati. l’intervento di restauro del 2001-2002ha reintegrato le parti mutilate, riportando alla lucei colori originali.

bibliOGraFia

adalgisa lugli - Guido Mazzoni e la rinascita della ter-racotta nel Quattrocento - u. allemandi & c. 1990aa.VV. - Guido Mazzoni. Il Compianto sul Cristo mortonella chiesa del Gesù a Ferrara - Centro Di - 2003aa.VV. - Emozioni in terracotta. Guido Mazzoni /Antonio Begarelli - Cosimo Panini Editore - 2009romolo Magnani - La ceramica ferrarese fra Medioevo eRinascimento - vol. ii - Ed. belriguardo - 1982

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Sono reduce da un convegno, abellaria-igea Marina, sulla rivieraromagnola.il programma prevedeva anchemomenti di relax con visite guidatea luoghi d’interesse culturale.Viaggiavamo sul trenino che duran-te l’estate accompagna turisti e vil-leggianti nel giro della zona.«Ecco, là in alto, la Casa rossa!»ammonì quella mattina nel microfo-no la voce della guida.Scendemmo curiosi e ci fermammoa osservare il villino rosso che sorgea monte della ferrovia, con ampiavista sul mare, immerso nel verde, talmente modestoda sembrare un casello ferroviario.«è la casa dello scrittore alfredo Panzini. la fececostruire all’inizio del Novecento, quando la bor-ghesia cittadina faceva edificare i famosi “Villini”sulle riviere romagnole, allora deserte, per dar vita a“città giardino” dove passare serenamente le ferie”.lo scrittore, innamorato del mare, del luogo, dellasua vita paesana semplice e genuina, vi trascorreimmancabilmente tutte le vacanze con la famigliadal 1906 al 1938».Figlio di padre romagnolo e di madre marchigiana,alfredo Panzini (1863-1939) nasce a Senigallia, matrascorre poi la giovinezza a rimini, città alla qualerimane sempre legato.Nel 1886 si laurea a bologna in lettere e Filosofia,allievo del Carducci, e inizia subito la carriera d’in-segnante nei ginnasi di Castellamare di Stabbia, diimola e, via via, di Milano e di roma.Vive isolato nel mondo della scuola, appartato daldibattito culturale dell’epoca, dedito alla lettura eallo studio, specialmente dei Classici. i suoi primiscritti sono saggi e traduzioni. Saggi su Carducci,suo maestro all’ateneo bolognese, da lui amato comel’ultimo degli umanisti, ma anche sul boiardo,ammirato per la freschezza e semplicità, per “quelsapore di primitivo che sa trasmettere”, e su alcuniscrittori dell’Ottocento e del primo Novecento qualiDe Marchi, Emilio Praga, Pascoli, Porta. Panzini è narratore, storico e lessicologo, e a questoultimo proposito va ricordato il suo impegno tren-tennale nella cura delle riedizioni del “Dizionariomoderno”. Complessivamente l’opera dello scrittoresi compone di 50 volumi, pubblicati, a suo tempo,quasi esclusivamente da treves e da Mondadori.la narrativa panziniana vive di contrasti fra il vec-chio mondo e la cultura nascente, fra il mondo otto-centesco, ordinato e borghese, in cui lo scrittore ènato e vissuto fino ai quarant’anni, e il Novecento,ricco di novità, di fermenti, con la sua fede nellamodernità, nel Socialismo.

un autore di transizione il Panzini,che vive in ultima analisi, nellanostalgia di un passato che nonritorna mentre il presente incalzacon le nuove teorie sociali e politi-che, descritte e criticate, nelle sueopere, alla luce di un moralismoassiduo e ironico.la prosa del nostro autore, tuttavia,è ricca e sapiente, vi prevalgono l’e-spressione lirica, la descrizione pre-ziosa, l’elegia dei sentimenti, il giocodell’ironia come divertimento delletterato, gli artifici, il gusto di unlinguaggio ricercato, costruito

sapientemente, levigato.Emerge, a prima vista, nella narrativa dell’autoreromagnolo, l’inconsistenza strutturale del romanzo,in quanto lo schema narrativo è un pretesto che ridu-ce il lavoro a una raccolta di frammenti lirici, descrit-tivi, di capricci eruditi che spezzano la continuitàdella vicenda. Ed è questa, in ultima analisi, la criti-ca, a suo tempo, da più parti rivoltagli. Fra i suoi scritti, più degni di nota, vanno ricordatiViaggio di un povero letterato e La lanterna di Diogenesimili nell’ideazione, e nella composizione,“la lanterna” è il racconto di un viaggio in biciclettada Milano a bellaria, un esempio ante litteram diquella scrittura moderna che va sotto il nome di”Elzeviro” con la descrizione vivace, affettuosa dellanatura, del paesaggio, dei luoghi artistici, dei perso-naggi incontrati sul percorso.un’altra opera da sottolineare è Il padrone sono me del1922 il cui successo apre all’autore, le porte alla col-laborazione al “Corriere della sera”, a “il resto delCarlino”, a ”il Giornale d’italia”.E’ la storia di una famiglia di ricchi proprietari ter-rieri che va in rovina e di una famiglia di contadiniche ne prende il posto. un racconto agile, divertente,non scevro della tipica polemica panziniana sul“Vecchio” e il “Nuovo”.Va ricordato anche il romanzo Io cerco moglie la cuitrasposizione teatrale va in scena a Parigi nel 1929con grande successo. questo fatto conquista aPanzini il favore della critica straniera con la tradu-zione delle sue opere in varie lingue, mentre da noi,in Patria, gli viene conferita la nomina di “accade-mico d’italia”.Come ha potuto il nostro autore rendere interessan-te per i lettori lo scontro fra il mondo antico e quel-lo moderno? ha trovato una formula semplice: trat-tare la materia con un ammiccante umorismo coin-volgendovi la donna come simbolo di quel contra-sto.la critica nostrana tuttavia continuò sempre a consi-derarlo un autore minore.

ALFREDO PAnzInI, UnA DELLEInGIUSTIzIE LETTERARIE ITALIAnE

di Fausta Boldrini

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Oggi il vento è cambiato e i critici sono più attenti epiù propensi a rivalutare lo scrittore.Scrive Carlo bo: «Panzini non può essere considera-to uno scrittore minore, sono stati portati sugli altaridelle nostre piccole cappelle letterarie scrittori certa-mente inferiori a Panzini per intrinseco valore e perimportanza storica».E dal canto suo, luigi russo definisce lo scrittoreromagnolo come uno degli ultimi grandi della lette-ratura italiana, insieme a Carducci, Pascoli, Verga,Pirandello. a suo modo di vedere Panzini “rappre-senta una delle ingiustizie letterarie italiane: spesso italenti nostrani non vengono riconosciuti in patriama vengono onorati all’estero”.Così è stato per il nostro autore che fra il 1920 e il1930 viene celebrato in america, sul New Yorktimes e sul Vanity Fair, come il miglior scrittore di

prose italiano e il suo romanzo Io cerco moglie vienemenzionato come il miglior libro comico dopo ilDecamerone di baccaccio.Ci chiediamo: «Perché la critica italiana non l’hacapito?»lo scrittore era stato stroncato dal Croce come “buf-foncello” per l’umorismo e le arguzie tutte letterarieche pervadono la sua pagina ed era stato altresì criti-cato da Gramsci, acerrimo nemico del Cattolicesimo,come uno dei nipotini di padre bresciani (1798-1862),personaggio di grande fama e di grande cultura,dedito alla propaganda cattolica, sul quale il Panziniaveva scritto a suo tempo, un saggio. Oggi, a ragion veduta, emerge la richiesta di rivalu-tare lo scrittore, cominciando col rivisitare la suaopera e col rimettere in circolazione i suoi libri.

DAL LATInO AL VOLGAREALIGhIERI, PETRARCA, BOCCACCIO

(Prima parte)

di Riccardo RoversiDal latino al volgareFra il decadere della letteratura latina (fine V secolo)e l’apparire di quella italiana (inizio Xiii secolo)intercorrono circa sette secoli, tale lasso di tempoviene com’è noto definito dagli storici “medioevo”,quasi a rappresentare una parentesi nello sviluppodel pensiero umano. questo periodo costituì perl’italia un’epoca di inquietudine socio-politica, didevastazioni e lotte sanguinose, ma è pure ritenutodagli studiosi un crogiuolo interessantissimo in cuiconfluiscono sia la cultura classica antica che il pen-siero cristiano. alla conservazione del latino contri-buì fondamentalmente la Chiesa, adottandolo comesua lingua ufficiale, ma la discesa in italia deilongobardi (568), con le conseguenti terribili guerre,affievolì notevolmente l’ardore del sapere fra l’Viii eil iX secolo, anche se l’editto di rotari (643), scritto inlatino, dimostra quanto il popolo longobardo ricorseabbondantemente alla legislazione romana, a suavolta conquistato dalla cultura antica.quasi agli albori del X secolo si fecero strada i primisegni di risveglio dell’attività letteraria, esempi illu-stri furono quelli di lotario, figlio di Carlo Magno,con il suo Capitolare, e di liutprando di Pavia, vesco-vo di Cremona e autore dell’Antapodosis; successiva-mente, durante l’Xi secolo, riprese a fiorire il com-mercio dando vita sulla scena socio-politica ad unaclasse nuova, la borghesia, principale fautrice diquell’esplosione artistica che più avanti portò alrinascimento. in breve il libero comune soppiantò ilsistema feudale e, in quell’epoca, una vera e propriaesigenza di conoscenza pervase con iniziative cultu-rali e intellettuali l’intera penisola. autori e letteratidi tale periodo sono: leone Marsicano, Guglielmo

Pugliese, Enrico Pisano, anselmo d’aosta, San PierDamiani; i monasteri e le abbazie gareggiavano traloro nel raccogliere importanti biblioteche, accomu-nando ai testi sacri quelli antichi e spesso quellinuovi. la lingua della gente cominciò a diffondersi ead affermarsi, nel “parlato”, sul latino malgrado l’in-transigente opposizione di taluni dotti tradizionali-sti., sicché, superando gli ostacoli fonetici, gramma-ticali e sintattici, il popolo stesso diede vita a quelliche vengono definiti “linguaggi neolatini”.E sono proprio tali linguaggi ad offrire stimolantemateria di studio della lingua più diffusa e parlatadel “medioevo”: il latino volgare, peraltro di originiin realtà antichissime, con vocaboli addirittura giàpresenti nelle commedie di Plauto; laddove la domi-nazione romana era stata di breve durata esso scom-parve senza lasciare tracce, ma le regioni che benefi-ciarono più a lungo della permanenza della civiltàromana videro presto riaffiorare elementi linguisticilaceri, che agirono come germi corruttori sul latino,agevolandone il disfacimento fonetico e grammati-cale e consentendo il diffondersi d’una molteplicitàdi idiomi nuovi. questi ultimi possono essere rias-suntivamente divisi in due gruppi: quello orientale(linguaggi italiani e romeni) e quello occidentale(linguaggi portoghesi, spagnoli, provenzali e france-si: il provenzale e il francese sono detti rispettiva-mente lingua d’oil e lingua d’oc).Soltanto verso l’anno Mille, in italia, s’incominciaro-no a scrivere documenti in volgare, sebbene ancoranessun letterato osasse adoperare tale lingua nelleproprie opere. risale al iX secolo il più antico perio-do completo volgare in versi giunto sino a noi, congià ben definita la caratteristica della rima: Boves se

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pareba / et albo versorio teneba / alba pratalia araba / etnegro semen seminaba. E occorse una lite fra il mona-stero di Montecassino e un contadino, per il posses-so di un terreno, perché il giudice incaricato ripro-ducesse testualmente, nel raccogliere le deposizionidei testimoni, le dichiarazioni nell’unico linguaggioa loro conosciuto, il volgare (carta capuana, 960): Saoke kelle terre per kelli fini que ki contene, trenta anni lepossette parte Santi Benedicti. Dal Duecento in poi lescritture volgari, pubbliche e private, si moltiplicaro-no incontrollatamente: i testi in latino si fecero sem-pre più rari mentre quelli in volgare e soprattuttonella cosiddetta “lingua intermedia” divennerod’uso comune. Fra i dotti e i letterati dell’epocavanno ricordati: il frate minorista Salimbene daParma, il notaio Pietro Cantinelli, tommasod’aquino, bonaventura da bagnoreggio, Pier dellaVigna, Paolo Diacono, rustichello da Pisa, Guittonedel Viva d’arezzo, Chiaro Davanzati, CompiutaDonzella, brunetto latini; nell’ambito della poesiareligiosa: San Francesco d’assisi, Jacopone da todi,uguccione da lodi, Gerardo Patecchio, Pietro dabescapè, bonvesin da la riva, Giacomino da Verona;e nella poesia popolare e comico-realistica: Cielod’alcamo, rustico di Filippo, Folgore da SanGeminiano, Cecco angiolieri, Cene de la Chitarra;tra gli stilnovisti: Guido Guinizzelli e GuidoCavalcanti; nella prosa in volgare Marco Polo.tuttavia, impegnata com’era a consolidare l’ordineinterno economico e politico, l’italia non produssenel Duecento una letteratura davvero originale,mentre al contrario in Spagna era già sorta la leg-genda del Cid Campeador, in Germania il poema deiNibelunghi, in Francia la Chanson de Roland; tutticapolavori che influenzarono profondamente la let-teratura italica, così come le opere epiche Tristano eIsotta, la Storia del Graal con lancillotto, artù,Ginevra e Merlino, il Romanzo di Troia e tutta la liricaprovenzale. Ma è dall’inizio del trecento, grazie aitrattati e al capolavoro di Dante, alla poesia delPetrarca e alla prosa di bocaccio, che anche struttu-ralmente la lingua italiana acquistò credibilità, uffi-cialità e consistenza. anche se la famosa diatribariguardo la “questione della lingua”, le sue motiva-zioni, la sua origine e sviluppo, ha scatenato polemi-ci dibattiti per secoli, quantomeno sino alla finedell’Ottocento.

Dante Alighieriil risveglio letterario verificatosi verso la fine delDuecento, che aveva portato alla diffusione dellapoesia e della cultura in genere, particolarmente intoscana, si impennò ulteriormente con la comparsadi uno dei più grandi geni di tutti i tempi: Durantealighieri (1265-1321) detto Dante. in lui si sintetizzal’intera civiltà medievale, la maturazione del pensie-ro filosofico, l’aspirazione al rinnovamento interiore,la coscienza politica, il riconoscimento dei valoriumani soffocati dal medioevo, la concezione diun’arte autonoma da pregiudizi morali o intellettua-li. Momento capitale della sua vita, a parte il suomatrimonio con Gemma di Manetto Donati dallaquale ebbe tre figli, fu l’incontro con la celebrebeatrice, identificata storicamente in bice di FolcoPortinari (ma per altri studiosi in tale antonia, che

entrando nel convento monacale di Santo Stefanodegli ulivi in ravenna mutò il suo nome in beatrice),morta giovanissima e musa ispiratrice della forma-zione artistica del poeta nonché della sua prima veraopera: La vita nova. il suo inarrivabile capolavoro è lageniale Divina commedia, composta forse a partire dal1307 e cioè non appena interrotto il Convivio, la qualenon apre ma chiude un genere che fin dall’antichitàspinse numerosi autori alla descrizione di viaggi nel-l’aldilà. altre sue opere sono le Rime, il De vulgari elo-quentia, la Monarchia, le Epistole, le Egloghe e laQuaestio de acqua et terra.quando nel Firenze, si stabilì che per introdursinella vita politica era sufficiente per i nobili l’imma-tricolazione ad un’“arte” (nel senso di professione),Dante si iscrisse a quella dei medici e degli speziali,così gli fu possibile partecipare ai Consigli delPopolo, dei Savi, dei Cento e alle ambasciate delcomune di Firenze. Egli proclamava l’indipendenzadell’autorità politica da quella religiosa, in pienoaccordo con i Guelfi bianchi, contrastati dai Guelfineri, favorevoli all’asservimento papale. questi ulti-mi invitarono in italia Carlo di Valois e gli affidaro-no il compito di aver ragione dei “bianchi” con ognimezzo, anche violento. Dante venne accusato di traf-fico illecito in pubblici uffici e condannato in contu-macia all’esilio (più tardi alla pena di morte), ad unamulta, all’interdizione dalle cariche pubbliche e allaconfisca dei beni; da quel momento iniziarono le suetristi peregrinazioni: a Verona, a Sarzana, a lucca, aGarda, in liguria, a ravenna, dove morì all’età dicinquantasei anni senza aver mai rimesso piede nel-l’amata Firenze.la succitata Vita nova è l’opera più complessa ditutta la scuola del dolce stil novo, i venticinque sonet-ti, le quattro canzoni, la stanza e la ballata che lacompongono emanano la mistica contemplazione dibeatrice, che appare “distruggitrice di tutti i vizi eregina de le virtudi”, nella descrizione d’un amorecortese, tutto eleganza e gentilezza di vita e di costu-mi. le quattordici trattazioni contenute nell’incom-pleto Convivio sono scritte per la prima volta in vol-gare anziché in latino, definito “al tramonto” nelfinale del libro introduttivo all’opera. il problemalinguistico, affrontato genericamente nel primovolume del Convivio, diviene oggetto di trattazionespecifica nel De vulgari eloquentia.Solo quando la vita pubblica lo sottrasse all’isola-mento stilnovistico e lo immerse nelle lotte politiche,quando l’esilio lo convinse della necessità di unmondo riparatore alle sopraffazioni terrene, quandocomprese che il superamento di travagli interiori edelle passionalità erano esclusivamente materiadivina, Dante concepì la Commedia (definita “divina”per la prima volta da boccaccio) che lo rese immor-tale nei secoli. il pellegrinaggio nel regno dei morti,affinché questi fungessero da guida ai vivi, si tra-sforma in una continua lezione di vita, in una costan-te ricerca della felicità, premessa indispensabile perquella eterna. Morale, religione, politica e filosofiasono i motivi fondamentali della concezione che dàvita ai tre regni nei quali si articola il capolavoro.

(continua)

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MUSICA

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendodi gente in gente, mi vedrai sedutosu la tua pietra, o fratel mio, gemendoil fior de’ tuoi gentili anni caduto(ugo Foscolo, In morte del fratello Giovanni)

Nella poesia di Eraldo Vergnani (cinque raccoltepoetiche pubblicate), il valore della famiglia, degliaffetti familiari, è uno dei temi dominanti,.Numerose sono le poesie che Vergnani dedica al fra-tello italo, con il quale il destino non fu generosobenché egli seppe vivere la sua sofferenza con il sor-riso sulle labbra, offrendo un esempio di ammirevo-le accettazione della vita che, in qualunque situazio-ne, è un dono che va accolto con gioia.Eraldo Vergnani, a differenza dell’amato fratello,non accetta quel destino crudele e lo traduce in poe-sia attraverso versi toccanti.l’ultimo omaggio che Vergnani offre ad italo è unoriginale CD in cui cinque poesie, lette dall’attriceGiovanna avena, si alternano a cinque canzoni deldiletto cantante Claudio Villa (Voglio vivere così, AveMaria di Schubert, Un amore così grande, Sempre,Mamma).il CD è un dono d’amore fraterno che non può nonriportare alla mente i versi capolavoro del Foscolo.

Un CD D’AMORE FRATERnOdi Gianna Vancini

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di Claudio Gamberoni

Il vecchio olmo

Dalla rabbia di zeus in due spaccato,alto sopra la valle ancor germogliail vecchio olmo, inanellando anelli attorno ad anelli spezzati.

è l’ora di un vesproquasi di primaveralo ricorda una lontana campanacol rintocco che si perde nell’aria

dove vola una farfalla a raccoglierel’ultimo tepore che il giorno emanadal confine che sfuma nella notte.

Domani i germogli saran già foglie

di Mario Del Genio(dedicata a Sabrina)

Mamma

Mamma,sei come la notte che si allontanae la luce dell’alba mi appare.

Mamma,a pronunciare il tuo nomeil mio cuore si ferma ad ascoltare.

Mamma,il profumo dei fiori si espandee rivivo la mia gioventù.

Mamma,il mio pensiero è per tee il sorriso sorge tra le mie labbra.

di Luca Grigoli

Il posto degli angeli

aspetta, un altro giorno.quando stai da solo.ti perderai in te stesso.C’è un cielo di colori e sogni.Vedrai un cielo, è blu e amaranto.lassù in alto, vola il tuo spirito.quando tu cerchi il silenzio, in posti invisibili.reciterai le tue preghiere.Chiamerai questo posto, il posto degli angeli.Dove tutto è quieto e sereno.Gli angeli ti parlano, ascolta la voce silenziosa.“aspetta un altro giorno.”“Non cadere nel mondo reale.”“O il mondo della confusione.”“Ci sono milioni di persone,”“ti porteranno incertezza, rabbia e paura.”“il tuo spirito brucerà, correrà per sempre.”“Stai ancora nel posto che tu chiami.”“il posto degli angeli.”

di Giuseppe Ferrara

Ferrara

appare bella anche a occhi senza sguardoquesta città di faticose brume e nebbie premurose Non ha difesa, debole giace, nel miraggio sospesalenta e quieta scivola lungo argini polverosi di rosso è un passato di acque, Ferrara, un futuro di muraFinché pietra resterà a ricordare cosa indossò l’ariostoE per chi il Dosso ebbe occhi e memoria.

di Marco Caracallo

Il tempo va veloce

il tempo va veloce / come minuti passano gli anni / è tutto un ricordo / vi saluto amici.la nave scorre lenta, come in un mare di quiete, la vita come a un filo l’aquilone.Solcando il cammino delle nuvole nel cielo, la luce rincorre a balzelli i ruvidi anfratti colpiti dallaspuma, che si ritrae borbottando tra i guizzi e le scaglie e cade a frammenti sull’acqua che riflettela lucente scorza che freme aldiquà di questi luoghi ostili, fuggevoli allo sguardo, ma il viso scendee sospira tra le acque fragorose. Pertanto resto qui ad aspettare, chi mi ricorderà di ritornare.il tempo va veloce / come minuti passano gli anni / è tutto un ricordo / vi saluto amici.

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POES

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di Gabriella Veroni

Di luce riflessa

E sapete perché sono quiperché tutti voi avetequalcosa da dirmi ed ioda dirvi popolo solitarioche passa fra la gentenessuno guarda, ascoltala finestra avvolta disilenzio, il vento apre echiude nel giardino lavetrata luminosa con leluci accese del mattinonessuno visita, nessunoosserva, solo l’ascoltonel silenzio passainosservato e tutto parlasenza voci e passi vannosulla ghiaia, piccoli sassibianchi e grigi plagiatidi rugiada scricchiolano alsole timido di luce riflessa.

di Gian Franco Menegatti

Guardando la neve che cadefiocchi di neve

Silenti, lievi, impalpabilicadono i cristallini batuffoli:a volte con candide spirali,altre pungenti come aghi,così i pensieri si accavallanonei tortuosi e interni meandri.Poche letizie, ma lacrime,sacrifici continui.Ma per chi? Per molti sì,per altri, casta privilegiata,decurtazioni effimeresui ricchi emolumenti!E ancora grassi profittiper esosi speculatori!è giustizia questa?è equità questa?Si dirà: così vanno le cose,maledette cose del mondo.E la neve cade...tutto ricopre col bianco mantello:bianco appare, ma subitoil fango, nero fangola sporca e la insudicia!E il candore si dissolve,bianco, innocente,da come era venuto.

Di Ebe Martelli, autrice delle immagini dell’apparato iconografico, il critico d’arte FranchinoFalsetti afferma che «nell’artista, l’informale è il traguardo linguistico-comunicativo per esternare ilsuo silenzio interiore, per sublimare le sue “intime figurazioni”. le opere, così realizzate, sono deli-cate forme di una visibilità immaginaria: tutto si sviluppa in un problematico intreccio tra “spazio etempo”. le tonalità dei colori sembrano dialogare con le linee che ne improvvisano impronte di ideeo di stati d’animo o di ricercata serenità».

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AL D

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di Mario Del Genio

Ammore perduto

t’aggio aspettato con tanto sentimentoe sotto a finestra toje mi sò fermatoma tu, numm’e guardato nu mumentoe chius’amposta e nun ti si affacciata.

Mo stò aspettanno che c’a mano e Ddiosarape n’ata vota ‘sta finestrae quanno aizo a capa sultant’ionun te ne vai, amore, ma tu riesti.

Nun saccio niente j te, tu si partutae me lassato o core chin’e peneda votomobile u rumore aggio sentutoe aggio capito: nun mi vò cchiù bbene.

ti sò venuto arreto passo passosin’a quanno a luce rossa nun è sparutae quanno, amore mio, tu si scomparsa‘na lacrima da l’uocchio m’è caruta.

di Eridano Battaglioli

Turnar zovanSa stag so uant dìsenza vedrall'am sembra zà carsù,quand a curenl'è sempar lu cal vinz,a son vec,ma s'lam fa un abrazl'è propria alorache tut i mal i sparis.

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MEMORAnDUM: appuntamenti con la Cultura EVEnTILunedì 2 febbraio ore 17,Sala agnelli (biblioteca ariostea),lettura a più voci di Confessioni di unitaliano, capolavoro di ippolitoNievo, maestro di ritratti.introduce Gianna Vancini.letture di Sandro Ferranti, Oriettarosatti, ada rossi.

COnSIGLI DI LETTURAIl ferrarese per tutti, traduzione indialetto ferrarese di Josè Peverati,Minerva Ed., 2014

Giancarlo Dall’Olio,La generazione imperfetta,Este Edition, 2014

loredana Grossi Mirella,Odore di sambuco, Cartografica, 2014

Edoardo Penoncini,Piccola strenna natalizia,Cromografica, roma, 2014

Fausta boldrini Schiavi,Messaggi nella bottiglia,il Convivio, 2014

Gian Pietro testa,Interviste infedeli, Este Edition, 2014

COMUnICAzIOnIla rivista l’iPPOGriFO è un organodell’associazione Gruppo ScrittoriFerraresi ed è perciò tenuta alla pub-blicazione dei testi degli associati, pur-ché questi rispondano ai principi sta-tutari.tutte le collaborazioni alla rivista sonogratuite. i testi proposti al comitatoeditoriale devono essere inediti, incaso contrario la responsabilità ricadesull’autore.

Per ricevere le notizie e gli appunta-menti direttamente sulla tua casella diposta elettronica, puoi iscriverti allanewsletter “scrittori ferraresi” gestitadal Gruppo Scrittori Ferraresi.

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la rivista, distribuita gratuitamentefino ad esaurimento copie, è reperibilepresso:• biblioteca ariostea;• Cartolibreria Sociale

(Piazza della repubblica);• libreria Feltrinelli;• libreria ibS;• libreria Sognalibro (via Saraceno, 43);• Este Edition (via Mazzini, 47);• associazione Gruppo Scrittori

Ferraresi (via Mazzini, 47);• Club amici dell’arte

(via baruffaldi, 6);• Fioreria alloni (viale Cavour, 82);• la bottega del Pane (via arianuova,

58/a; c.so isonzo, 115; via borgodei leoni 55 (ang. piazza tasso);via Mazzini, 106; via bersaglieri delPo, 18).

• Sul sito del Comune di Ferraraall’indirizzo:www.comune.fe.it/associa/scrittori_ferraresi/index.htm

testi informatizzati e comunica-zioni possono essere inviati, oltreche su supporto CD (preferibil-mente), anche in cartaceo, allasegreteria dell’associazione, viaMazzini 47, 44121 Ferrara, e via e-mail al seguente indirizzo:[email protected].

I S C R I z I O n I 2 0 1 5Si ricorda che la quota d’iscrizioneper l’anno sociale 2015 è di € 40,00(€ 20,00 per minorenni); la suddettapuò essere erogata:1. direttamente in Segreteria(via Mazzini, 47);2. mediante versamento su c/c ban-cario n. 13105-4 della Cassa di ri-sparmio di Ferrara, agenzia 5, viabarriere 12-26, intestato a “ass.Gruppo Scrittori Ferraresi”, ibaNit48G0615513005000000013105;3. presso la Casa Editrice Este Edi-tion, via Mazzini 47;4. presso libreria Sognalibro(via Saraceno, 43);5. durante le manifestazioni pro-grammate dall’associazione.

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MARTEDì 10,30-12,00 & VEnERDì 15,30-17,00

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quivi parendo a lei d’esser sicurae lontana a Rinaldo mille miglia,da la via stanca e da l’estiva arsura,di riposare alquanto si consiglia:tra’ fiori smonta, e lascia alla pasturaandare il palafren senza la briglia;e quel va errando intorno alle chiare onde,che di fresca erba avean piene le sponde.

L. ARIOSTO, Orlando Furioso, canto I, XXXVI