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    Patrick Ness

    da un soggetto di Siobhan Dowd

    SETTE MINUTIDOPO LA MEZZANOTTE

    Traduzione di Giuseppe Iacobaci

  • 8/18/2019 sette minuti dopo mezzanotte

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    ISBN 978-88-04-62539-1

    Per la citazione tratta da “An Experiment in Love” di Hillary Mantel:© 1995 Hillary Mantel. Riprodotta per accordo con A.M. Heath & Co Ltd

    Un ringraziamento a Kate Wheeler

    Text © 2011 Patrick NessFrom an original idea by Siobhan Dowd

    Published by arrangement with Walker Books Limited,

    London SE11 5HJ.All rights reserved.No part of this book may be reproduced, transmitted, broadcast or

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    recording, without prior written permission from the publisher.

    For the Italian edition© 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

    I edizione Ragazzi marzo 2012

    © 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., MilanoTitolo dell’opera originale

     A Monster CallsI edizione Libellule gennaio 2013

    Il traduttore ringrazia V. Barbagallo, A.V. Pace, A.M. Giuffrida, D. Cosentino eG. Criscione, allievi del corso di traduzione Griò di Catania, per la traduzionedel primo racconto.

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    Non ho mai avuto la possibilità di conoscere SiobhanDowd. La conosco soltanto, come la maggior parte di voi,attraverso i suoi splendidi libri: quattro avvincenti roman-zi per ragazzi, due pubblicati in vita e due dopo la sua pre-

    matura scomparsa. Qualora non li aveste ancora letti, vi

    esorto a colmare subito la lacuna.Questo doveva essere il suo quinto romanzo. Aveva già

    abbozzato i personaggi, l’idea centrale e un inizio. Quelloche le è mancato, purtroppo, è stato il tempo.

    Quando mi è stato chiesto se me la sentivo di portare acompimento il suo lavoro e farne un romanzo compiuto,ho esitato. Quello che non volevo fare – e che non avrei po-tuto fare – era scrivere un libro imitando la sua voce. Avrei

    reso un pessimo servigio alla scrittrice, al lettore e, cosa piùgrave di tutte, alla narrazione. Non credo che la letteratura

    di qualità possa mai funzionare a quel modo.Ma il bello delle buone idee è che sanno dar vita ad al-

    Nota dell’autore

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    tre idee. Quasi più rapidi di quanto non potessi gestirli, glispunti di Siobhan mi suggerivano nuovi stimoli, e ho co-

    minciato a provare quella smania che ogni scrittore aspet-ta come una manna dal cielo: la smania di buttar giù le pa-role, di raccontare una storia.

    Mi sentivo – e mi sento ancora – come se mi fosse statopassato un testimone. Una scrittrice di grande talento midonava la sua storia e mi diceva: “Va’. Corri, portala con

    te. Sconvolgi tutto”. Ed è questo che ho cercato di fare. Inquesto percorso ho seguito una sola regola: quella di scri-vere un libro che, nelle mie speranze, sarebbe piaciuto a

    Siobhan. Nient’altro contava davvero.E adesso è tempo che il testimone passi nelle vostre mani.

    Quale che sia l’inizio della corsa, le storie non si conclu-dono mai con gli scrittori. Ecco quel che io e Siobhan ab- biamo prodotto. Adesso andate. Correte, portatelo con voi.

    Sconvolgete tutto.

    Patrick Ness

    Londra, febbraio 2011

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    Mante

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    Si è giovani una volta sola, dicono, ma nondura tantissimo? Più anni di quanti non sene riescano a sopportare.

    HILARY MANTEL, An Experiment in Love

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    Il mostro si presentò poco dopo la mezzanotte. È così chefanno.

    Conor era sveglio quando arrivò.Aveva avuto un incubo. Be’, non un incubo: l’incubo.

    Quello ricorrente che da qualche tempo l’ossessionava.

    Quello con il buio e il vento e le urla. Quello con le maniche gli scivolavano dalla presa, per quanto cercasse di trat-

    tenerle. Quello che ogni volta si concludeva con…«Va’ via» sussurrò il ragazzo all’oscurità della sua came-

    ra, cercando di respingere l’incubo, di impedirgli di seguir-

    lo nel mondo della veglia. «Va’ via adesso.»Diede uno sguardo all’orologio che sua madre aveva

    messo sul comodino. 12.07. Sette minuti dopo la mezza-

    notte. Tardi, con la scuola il giorno dopo, di certo tardi peruna domenica. Si mise a sedere sul letto.

    Non aveva mai detto a nessuno dell’incubo. Non a sua

    madre, ovvio, ma neanche ad altri, neppure al padre du-rante le telefonate che gli faceva (più o meno) ogni duesettimane, decisamente non alla nonna, né ai compagni discuola. Assolutamente no.

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    Quello che accadeva nell’incubo era qualcosa che nes-sun altro avrebbe mai dovuto sapere.

    Conor batté le palpebre, frastornato, rivolse un’occhiataalla stanza, e si accigliò. Mancava qualcosa. Si mise a sede-re, ora un po’ più sveglio. L’incubo stava ormai dissolven-dosi, ma c’era qualcosa che non sapeva identificare, qual-cosa di diverso, qualcosa che…

    Restò in ascolto, proteso verso il silenzio, ma non c’era

    null’altro che la casa silenziosa, tutt’intorno a lui, qualchesporadico scricchiolio dal piano di sotto, dove non c’eraanima viva, o un frusciare di lenzuola dalla camera accan-to, quella di sua madre.

    Nulla.Poi, d’un tratto, qualcosa. Qualcosa che, comprese, era

    ciò che l’aveva svegliato.

    Qualcuno stava chiamando il suo nome.Conor.

    Per un attimo, fu colto da un’ondata di panico, sentì le budella che si contorcevano. L’aveva seguito? Era uscito

    dall’incubo e…?

    “Non essere sciocco” si disse. “Sei troppo grande percredere ai mostri.”

    Lo era davvero. Aveva compiuto tredici anni il mese pri-ma. I mostri erano roba da bambini. Roba da piscialletto.

    Roba da…Conor.

    Eccolo ancora. Il ragazzo deglutì. Era stato un ottobreeccezionalmente caldo, e aveva ancora la finestra aperta.Forse il fruscio delle tende che sbatacchiavano per la brez-za poteva aver dato l’impressione di…

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    Conor.

    D’accordo, non era il vento. Era decisamente una voce,

    ma non una voce che riconosceva. Non quella di sua ma-dre, poco ma sicuro. Non era di certo femminile, e per unattimo il ragazzo si domandò persino se non fosse spunta-to a sorpresa suo padre dagli Stati Uniti, magari era arri-vato troppo tardi per telefonare e…

    Conor.

    No. Non era suo padre. Quella voce aveva qualcosa diinsolito, qualcosa di mostruoso, di selvatico e indocile.Poi udì un pesante cigolio di legno, come se qualcosa di

    enorme camminasse sulle assi del pavimento.Non voleva andare a controllare. E, al tempo stesso, c’era

    una parte di lui che non desiderava altro.Ormai del tutto sveglio, scalciò via le lenzuola, scese

    dal letto e andò alla finestra. Alla pallida luce incerta dellaluna si stagliava netto il campanile, in cima alla collinettadietro casa sua, accanto alla quale curvavano i binari dellaferrovia, due strisce di duro acciaio che scintillavano nellanotte. E la luna risplendeva sul camposanto di fianco allachiesa, pieno di lapidi ormai quasi illeggibili.

    Conor vedeva anche il grande tasso che si ergeva al cen-tro del camposanto, un albero così antico che pareva esserfatto della stessa pietra della chiesa. Sapeva che era un tas-so solo perché l’aveva sentito dire a sua madre, una pri-ma volta da bambino, quando lei gli aveva spiegato che

    non doveva mangiarne le bacche, che erano velenose, e di

    nuovo quell’ultimo anno, quando le era presa l’abitudinedi guardare dalla finestra della cucina con una faccia stra-na dicendogli: «Quello lì è un tasso, sai?».

    Ed ecco che risentì il suo nome.

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    Conor.

    Come se qualcuno glielo sussurrasse nelle orecchie.

    «Cos’è?» disse, il cuore che gli martellava in petto, d’untratto impaziente di scoprire cosa stesse per accadere.

    Una nuvola si spostò davanti alla luna, ammantando di

    oscurità l’intero paesaggio. Una raffica di vento – ssssssssh –

    sfrecciò giù dalla collina dentro la sua stanza, gonfiandole tende. Il ragazzo sentì di nuovo il crocchiare e scric-

    chiolare del legno, come il gemito di una creatura viven-te, come lo stomaco affamato del mondo che ringhia incerca di un pasto.

    E allora la nuvola si scostò, e la luna riprese a splendere.Sopra il tasso.Che ora spiccava massiccio in mezzo al giardino sul retro.E fu allora che il mostro parlò.Conor O’Malley, disse, mentre un poderoso alito caldo

    odoroso di terriccio entrava dalla finestra e gli soffiava in-dietro i capelli. La voce tuonava potente, gutturale, così

    forte che Conor la sentì vibrare nel petto.Sono venuto a prenderti, Conor O’Malley, disse il mostro,

    spingendosi contro la casa, mentre i quadri sul muro tre-

    mavano, libri e giochini elettronici cadevano e un vecchiorinoceronte di peluche ruzzolò per terra.

    Un mostro, pensò il ragazzo. Un mostro vero in tutto e per

    tutto. Vivo e reale. Non in un sogno, ma lì, alla sua finestra.

    Ed era venuto a prenderlo.Ma Conor non scappò via.

    In realtà, si rese conto di non essere neppure spaventato.La sola cosa che riusciva a provare, la sola cosa che ave-

    va davvero provato sin dal momento in cui il mostro s’erarivelato era una crescente delusione.

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    Perché quello non era il mostro che si sarebbe aspet-

    tato.

    «E allora vieni a prendermi» disse.

    Si fece uno strano silenzio.Che hai detto? chiese il mostro.Conor incrociò le braccia. «Ho detto: allora vieni a

    prendermi.»

    Il mostro tacque un istante, poi con un ruggito batté duepugni sulla casa. Il soffitto si curvò sotto i colpi, ed enormicrepe apparvero sui muri. Il vento invase la stanza, l’ariarimbombò di muggiti furenti.

    «Sbraita quanto ti pare» fece Conor, stringendosi nellespalle e alzando appena un po’ la voce. «Ho visto di peggio.»

    Il mostro ruggì ancora più forte e spaccò con un braccio

    la finestra, fracassando vetro, legno e mattoni. Una manodi rami mastodontica, serpeggiante e contorta, ghermì il ra-

    gazzo per la vita e lo alzò da terra. Lo strappò fuori dallasua stanza, nella notte, in alto sopra il giardino, stagliando-

    lo contro il cerchio della luna, le dita così serrate alle costo-

    le che il ragazzo quasi non respirava. Conor vide le zanne

    irregolari, di legno duro e nodoso, e sentì l’alito caldo chegli soffiava addosso.

    Poi il mostro si fermò di nuovo.Proprio non hai paura, vero?

    «No. Non di te, comunque.»Il mostro strinse gli occhi.

    Ne avrai, disse. Prima della fine.E l’ultima cosa che Conor vide fu la bocca che si spalan-cava con un boato per divorarselo vivo.