SERIE TIMONE GRAMMATICA ITALIANA · 2018-04-12 · La Grammatica italiana, suddivisa nelle tre...

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202/1 Grammatica italiana202/2 Letteratura italiana202/2A Letteratura italiana dall’Ottocento a oggi202/3 Storia: dalle origini al XXI secolo202/3A Storia contemporanea202/3B Storia d’Italia dal 1861202/4 Educazione civica202/5 Geografia d’Italia e d’Europa202/5A Geografia fisica e Scienze della Terra202/6 Aritmetica e Geometria202/7 Scienze (Fisica, Chimica, Biologia)202/8 Informatica202/9 Grammatica inglese202/10 Attualità

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.(art. 64 D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Questa collana costituisce una valida alternativa per quanti non intendonoacquistare i libri comprensivi di tutte le materie per uno specifico concorso

Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.itove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

Edizione a cura della Redazione umanistica

Finito di stampare nel mese di giugno 2009dall’Officina Grafica Iride - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)

per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - (Na)

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Strumenti essenziali per chi si appresta a sostenere concorsi, esami ocolloqui di lavoro, i volumetti della collana O-Key consentono lo studio e ilripasso di diverse materie, dalla Grammatica italiana alla Letteratura, dallaStoria alla Geografia, dall’Inglese all’Informatica e all’Attualità, attraversotrattazioni che, pur nella snellezza tipica delle sintesi, garantiscono esausti-vità e precisione. La struttura, improntata alla massima funzionalità, con-sente di apprendere rapidamente concetti e contenuti indispensabili a unaconoscenza generale ma non lacunosa degli argomenti. Semplicità del lin-guaggio, aggiornamento dei contenuti e un’estrema praticità d’uso comple-tano le caratteristiche di ogni volumetto.

La Grammatica italiana, suddivisa nelle tre parti fondamentali in cuitradizionalmente si articola la materia – fonologia, morfologia e sintassi –ne consente uno studio rapido e sistematico, agevolando chi abbia l’esigen-za di apprendere in tempi brevi una disciplina tanto vasta e complessa. Puressendo una sintesi, infatti, questo agile volumetto non tralascia nulla diquanto necessario per fissare le norme di base che regolano l’utilizzo scrittoe parlato della nostra lingua.

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PARTE PRIMA

FONOLOGIA

Capitolo Primo: L’alfabeto ..................................................... Pag. 5Capitolo Secondo: L’accento .................................................. » 14Capitolo Terzo: L’apostrofo .................................................... » 17Capitolo Quarto: Punteggiatura e abbreviazioni .................. » 19

CAPITOLO PRIMO

L’ALFABETO

Sommario: 1. Grafemi e fonemi. - 2. Uso delle maiuscole. - 3. Le vocali. - 4. Leconsonanti. - 5. Le sillabe.

1. GRAFEMI E FONEMI

L’elenco di tutte le lettere che compongono una lingua si chiama alfabe-to, parola derivante dall’unione delle prime due lettere dell’alfabeto greco(alfa e beta). Quello usato per la lingua italiana, in particolare, è formato daventuno lettere, a cui se ne aggiungono altre cinque (j, k, w, x, y) impiegateper la trascrizione di vocaboli stranieri o di origine antica (greca o latina).

La disposizione delle lettere nell’alfabeto segue un preciso ordine disuccessione:

A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z,

la conoscenza del quale è indispensabile per poter consultare le opere(enciclopedie, vocabolari etc.) in cui le parole che danno accesso ai conte-nuti si susseguono appunto in ordine alfabetico.

Le lettere (o grafemi) sono i segni scritti che rappresentano i suoni (ofonemi) delle parole. Le unità minime della lingua sono costituite proprio

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Parte Prima - Fonologia6

da grafemi e fonemi, fra i quali, però, non esiste una corrispondenza perfet-ta, poiché, in diversi casi, ad una stessa lettera corrispondono due suonidiversi.

Più frequentemente ciò avviene con:

c: dolce (cedro) o dura (cocco);e: chiusa (péso) o aperta (cènto);g: dolce (gelso) o dura (gallo);o: chiusa (tónno) o aperta (còtto);s: dolce (isola) o aspra (sole);z: dolce (azoto) o aspra (zaino).

2. USO DELLE MAIUSCOLE

Le lettere dell’alfabeto possono essere minuscole o maiuscole. Questeultime si usano, di solito, nei seguenti casi:

— all’inizio di una frase e dopo il punto fermo;— con tutti i nomi propri, in particolare di persona, di animale e di cose

personificate (la Giustizia), oltre che con quelli di prodotti commercialie marchi registrati (Pepsi-Cola), società (Telecom), anche sportive (l’In-ter), nonché con i cognomi e i soprannomi (Tarquinio il Superbo);

— con i nomi geografici e topografici (la Francia, il fiume Tevere, la cittàdi Firenze), di vie e di piazze (nel qual caso si possono trovare in maiu-scolo pure Via o Piazza). Inoltre con quelli relativi ai punti cardinali,qualora indichino un territorio (il Sud-Est asiatico) o una realtà socio-economica (il divario tra il Nord e il Sud del mondo);

— all’inizio di un discorso diretto (Le chiese: «Mi ami?»);— dopo il punto esclamativo o interrogativo, se conclusivi di un discorso

(Hai aperto la porta? Sei proprio bravo!), altrimenti, se la frase chesegue rappresenta la continuazione del pensiero precedente, si può usa-re la minuscola (Dove avrò lasciato il soprabito? forse in ufficio?);

— con i nomi di popoli che non siano aggettivi (gli Inglesi, ma i calciatoriinglesi);

— nei titoli di opere letterarie, brani musicali, film, giornali (I Malavoglia,Via col vento, Corriere della Sera);

— con i nomi attinenti alla sfera religiosa (il Padre, la Madonna, il Verbo) econ quelli indicanti festività religiose o civili (Natale, la festa della Li-

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7Capitolo Primo - L’alfabeto

berazione). A tale proposito si tenga presente che i nomi dei mesi e deigiorni della settimana (come pure quelli delle stagioni) si scrivono inminuscolo, a meno che indichino, per l’appunto, una festività, nel qualcaso si ricorre alla maiuscola (il Lunedì dell’Angelo, il Primo Maggio);

— con i nomi di secoli, di periodi o di avvenimenti storici (il Settecento, ilRinascimento, la Resistenza);

— con i nomi di istituzioni, enti e simili (la Camera dei deputati, il Mini-stero dei Trasporti, la Chiesa di Roma);

— nei titoli onorifici e con i nomi indicanti particolari cariche (il Presiden-te della Repubblica, Sua Santità), a meno che siano seguiti dal nomeproprio di persona, nel qual caso si usa la minuscola (papa BenedettoXVI, il presidente Napolitano);

— per i segni zodiacali (Cancro, Leone) e con i nomi di pianeti (Mercurio),astri (Sole), costellazioni (Andromeda). Tuttavia, Terra, Sole e Luna siscrivono in maiuscolo quando prevale il riferimento astronomico (la di-stanza Terra-Luna), in minuscolo negli altri casi (prendere il sole; pas-seggiare al chiaro di luna);

— nelle sigle (FIAT, ENEL) e con i numeri romani (C = 100).

3. LE VOCALI

Le lettere che si possono pronunciare da sole, senza bisogno di appog-giarsi ad altre, sono dette vocali, ciascuna delle quali può anche formareuna sillaba. Nell’alfabeto italiano ne esistono cinque (a, e, i, o, u), alle qualicorrispondono sette fonemi, in quanto la e e la o possono avere un suonoaperto (gènte, bòsco) o chiuso (légno, onóre), che si indica con due accentifonici: grave (`) per i suoni aperti, acuto (´) per quelli chiusi. A seconda delloro suono le vocali si distinguono, inoltre, in:

— deboli o dolci (i, u);— forti o aspre (a, e, o).

Due vocali che si pronunciano con una sola emissione di fiato (e dunquecostituiscono un’unica sillaba) formano un dittongo. Se l’associazione ri-guarda tre vocali si ha un trittongo. Quando è possibile separare le vocali siha, invece, uno iato.

Si viene a creare un dittongo quando s’incontrano le due vocali deboli(fiu-me, sui-no), oppure una vocale forte e una debole non accentata (fuo-co, dai-no). Se ad essere accentata è la seconda delle due vocali che lo com-

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Parte Prima - Fonologia8

pongono il dittongo si dice ascendente (giòco), altrimenti viene detto di-scendente (zàino). Nel caso di uo e ie si parla di dittonghi mobili perchénelle parole derivate e nella coniugazione dei verbi essi si possono anchetrasformare in vocali semplici (scuotere → scosso; cielo → celeste).

Il trittongo, a sua volta, è determinato dall’incontro di una vocale fortecon le due deboli (guai, buoi).

Lo iato, infine, è formato dall’unione di due vocali forti (po-e-ta, ma-e-stro), oppure di una forte con una debole accentata (mi-o, pa-u-ra). Inoltrelo s’incontra dopo i prefissi ri-, bi- e tri- (ri-u-ti-liz-zo, bi-en-nio, tri-en-nio).

4. LE CONSONANTI

Si tratta delle lettere che, pur avendo un suono proprio, possono formareuna sillaba solo appoggiandosi a una vocale. Nell’alfabeto italiano ne esi-stono quindici, le quali, a seconda degli organi fonatori che ne consentonola pronuncia, si dividono in:

labiali (b, p, f, v, m) → con le labbra;linguali (l, r, n) → con la punta della lingua;dentali (t, d, s, z) → con la lingua appoggiata ai denti anteriori;palatali (c e g dolci) → con la lingua appoggiata al palato;gutturali (c e g dure, q) → articolate nella gola.

Nel novero delle consonanti si distinguono poi le sonore (b, d, g, v) dallesorde (c, f, p, t), a seconda che, rispettivamente, la loro pronuncia sia ac-compagnata o meno dalla vibrazione delle corde vocali.

C, G

La c e la g hanno un suono:

— dolce, davanti alle vocali e ed i (cera, giro);— duro, davanti alle rimanenti vocali (casa, cubo, gola), oppure davanti a

consonante (cromo, glicine), o in fine di parola (gong). Inoltre hannosuono duro anche davanti ad e ed i quando tra la consonante e la vocales’interpone un’acca (ghetto, chimica).

H

Oltre a costituire l’iniziale di diversi vocaboli latini o stranieri utilizzatinel linguaggio comune (habitat, hangar), la h trova impiego in alcune voci

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9Capitolo Primo - L’alfabeto

del verbo avere (ho, hai, ha, hanno) e in varie forme esclamative (oh, ahi,ehi). Inoltre, essendo priva di suono, è detta «lettera muta» e generalmentenon viene compresa tra le consonanti. Pertanto non si pronuncia, ma è usatasolo come segno grafico nei casi prima elencati.

Q

È sempre seguita da u + altra vocale (quercia, quota).

S, Z

Possono avere due suoni: dolce (o sonoro) e aspro (o sordo). Di regolala s è sempre sonora quando è seguita da una consonante sonora (sguardo),mentre è sorda quando è doppia (asso), si trova in principio di parola davan-ti a una vocale (sale), è preceduta da una consonante (borsa), è finale diparola (caos), oppure è seguita da una consonante sorda (asfittico). In ognicaso viene detta s impura quando è seguita da un’altra consonante. Per quantoriguarda invece la z, in generale si può dire che la sonora, rispetto alla sorda,è assai meno frequente, soprattutto se preceduta da l (alzare) oppure se se-guita da i + altra vocale (azione). Comunque, in caso di dubbio sull’effettivavalenza dei suoni di s e z, è bene consultare il vocabolario.

GRUPPI CONSONANTICI

Le consonanti unite in gruppi di due o tre per volta formano i cosiddettinessi consonantici, in cui ciascuna consonante mantiene il proprio suono.

Davanti a b o p si trova sempre m, non n (impostare, imbiancare). I nomipropri composti ammettono entrambe le consonanti in forme del tipo Giam-battista o Gian Battista, mentre altre eccezioni si hanno con taluni compostidi bene (benpensante, benparlante, benportante).

CONSONANTI DOPPIE

Tutte le consonanti, ad eccezione dell’acca, possono raddoppiare in unaparola, a patto che siano precedute da una vocale (mamma, tetto). Le princi-pali regole da rispettare sono le seguenti:

— g e z non raddoppiano nelle parole terminanti in -ione (ragione, nazio-ne);

— b non raddoppia davanti a -ile (amabile);

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Parte Prima - Fonologia10

— q si raddoppia nella forma cq (acqua). L’unico caso di parola con due qè soqquadro.

Taluni prefissi richiedono il raddoppiamento della consonante inizialedella parola che segue (es.: da - capo → daccapo; su - porre → supporre; se- pure → seppure; contra - colpo → contraccolpo; fra - misto → frammistoetc.).

DIGRAMMI E TRIGRAMMI

Alcuni suoni dell’italiano non possono essere rappresentati con una sin-gola lettera, cosicché per trascriverli si usano gruppi di due lettere: i di-grammi. Essi sono:

— ch seguito da e o da i (mosche, chilo);— gh seguito da e o da i (beghe, ghiro);— gn (lavagna). Occorre stare attenti a non inserire mai la i tra questo di-

gramma e le vocali a, e, o, u, ad eccezione dei verbi con l’infinito in -gnare che escano in -iamo o in -iate, poiché in questi casi la i fa partedella desinenza (noi sogniamo; che voi sogniate);

— gl seguito da i (figli). Fanno eccezione termini come glicine, gangli etc.,in cui la g e la l, sebbene seguite dalla i, si pronunciano separatamente,per cui non costituiscono un digramma;

— sc seguito da e o da i (scena, scivolo).

Si tenga presente che ci e gi seguiti da vocali (a, o, u) costituisconoanch’essi dei digrammi, poiché la i viene intesa semplicemente come segnografico per addolcire i suoni duri di c e g (ciao, giostra, giunco). Sono,invece, veri e propri trigrammi i gruppi gli, sci, chi, ghi seguiti da vocale(foglia, sciatore, chiamata, ghiera).

5. LE SILLABE

Si definisce sillaba ogni gruppo di lettere che viene pronunciato con unasola emissione di fiato e che contiene almeno una vocale (ca-sa, stra-no),fermo restando che anche una singola vocale può corrispondere a una sillaba(o-ra). A seconda che siano composte da una, due, tre o quattro sillabe, leparole si dicono monosillabe, bisillabe, trisillabe, quadrisillabe. In generequelle con più di tre sillabe vengono dette polisillabe. Si dicono aperte lesillabe che terminano per vocale; chiuse quelle che finiscono per consonante.

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11Capitolo Primo - L’alfabeto

Può capitare che un vocabolo perda una delle proprie sillabe. In partico-lare si parla di:

— aferesi, per indicare la caduta di una vocale o di una sillaba ad inizio diparola;

— sincope, per indicare la caduta di una vocale, e quindi di una sillaba,all’interno di una parola;

— apocope, per indicare la caduta di una vocale o di una sillaba in fine diparola.

Vi sono, però, anche casi di accrescimento delle parole, mediante l’ag-giunta di una sillaba o anche di una singola lettera. L’esempio più noto èquello della cosiddetta d eufonica, alla quale si ricorre per rendere più ar-moniosa la pronuncia. Ciò avviene, in particolare, con la preposizione a econ la congiunzione e seguite da una parola che inizi con la medesima voca-le (Andrò ad Amsterdam; leoni ed elefanti), altrimenti, in caso contrario, èpreferibile omettere la d (Ada e Alessandra; parlare a oltranza). Più desue-to, nel linguaggio comune, l’uso della d eufonica con la congiunzione oseguita da vocale identica (agevolare od ostacolare).

LA DIVISIONE IN SILLABE

Volendo dividere una parola in sillabe occorre attenersi ad alcune regolebasilari.

— Per le vocali si ricordi che:

• la vocale iniziale di una parola, seguita da una o più consonanti (cheperò non siano doppie), può formare una sillaba a sé (a-stro; o-ro);

• si possono dividere le vocali di uno iato, ma non quelle di dittonghi etrittonghi.

— Per le consonanti si ricordi che:

• bisogna sempre dividere le doppie (mam-ma; cas-set-to);• una consonante semplice può creare una sillaba con la vocale o il

dittongo da cui è seguita (la-na; pie-de);• più consonanti formano una sillaba con la vocale che segue a patto

che la stessa sillaba possa costituire l’iniziale di un’altra parola ita-liana (na-scon-der-si → scon-to), altrimenti devono essere divise(es. cam-po, in quanto nessun termine italiano inizia per mp).

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Parte Prima - Fonologia12

Taluni prefissi (dis-, ben-, in- etc.) possono rimanere invariati oppureessere divisi secondo le suddette regole (dis-a-mo-ra-to o di-sa-mo-ra-to),ma è bene attenersi al principio consuetudinario di non andare mai a capocon una vocale (ad esempio, meglio i-na-dat-to anziché in-ad-at-to).

L’ALFABETO FONETICO INTERNAZIONALE

L’apparato fonatorio umano è in grado di produrre moltissimi suoni, maciascuna lingua, utilizzandone soltanto un numero ridotto, si differenzia datutte le altre. L’Alfabeto fonetico internazionale (AFI) è il sistema di segnigrafici che, per convenzione internazionale, viene adoperato per indicare isuoni linguistici nelle varie lingue. Composto da lettere dell’alfabeto latinoo greco e da altri segni, viene riportato nei dizionari per suggerire al lettorela corretta pronuncia delle parole. Eccone alcuni esempi.

Simboli Suoni Esempi

/ a / a alba

/ b / b banco

/ tʃ / c + e, i cera

/ k / c + a, o, u casach + e, i china

qu + ua, ue, ui, uo quadro, questione

/ d / d danno

/ e / é (chiusa) sera

/ εεεεε / è (aperta) bene

/ f / f festa

/ g / g + a, o, u gattogh + e, i ghetto, ghiro

/ d� / g (palatale) + e, i gesto, giro

/ i / i rima

/ j / i semiconsonantica fiore

/ l / l luna

/ʎ / gl + i gligli + a, e, o, u paglia

/ m / m mare

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13Capitolo Primo - L’alfabeto

/ n / n nome

/ ŋ / gn bagno

/ o / ó (chiusa) volo

/ ɔ / ò (aperta) nove

/ p / p pasta

/ r / r rame

/ s / s (sorda) sasso

/ z / s (sonora) mese

/ʃ / sc + e, i scena, scivolosci + a, o, u sciame

/ t / t terra

/ u / u uva

/ v / v vita

/ w / u semiconsonantica uomo

/ ts / z (sorda) zio

/ dz / z (sonora) zero

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CAPITOLO SECONDO

L’ACCENTO

Sommario: 1. Forme e utilizzo dell’accento grafico. - 2. Accentazione delle parole.

1. FORME E UTILIZZO DELL’ACCENTO GRAFICO

In tutte le parole c’è sempre una sillaba che viene pronunciata con untono più intenso: è la sillaba tonica, così detta perché sulla sua vocale (vo-cale tonica) cade l’accento tonico. Le altre sillabe della stessa parola, privedi accento, si chiamano, invece, àtone.

Di solito l’accento tonico non si scrive. Quando ciò avviene esso prendela denominazione di accento grafico (o semplicemente accento) e può as-sumere tre forme:

1. grave (`), usato su a, i, u, nonché su e ed o aperte (bontà, così, virtù,cioè, falò);

2. acuto (´), usato su e ed o chiuse (perché, vólgo). Si ricordi, come giàosservato nel paragrafo sulle vocali, che l’accento utilizzato per distin-guere il suono aperto o chiuso di e ed o viene detto anche accento foni-co;

3. circonflesso (ˆ), adoperato per indicare, nel plurale di alcuni nomi oaggettivi terminanti in -io, la contrazione di due i in una sola (omicidii→ omicidî; principii → principî). Tale accento viene oggi impiegatomolto più raramente rispetto al passato, quando si scriveva per indicareanche la contrazione di alcuni termini (togliere → tôrre) o la caduta ditalune lettere (furono → furô).

È obbligatorio usare l’accento grafico:

— sulle parole tronche con due o più sillabe;— sui monosillabi ciò, può, già, più, giù, piè;— sui monosillabi di seguito specificati, per non confonderli con altre pa-

role uguali nella pronuncia, ma diverse per significato e per valenza gram-maticale:

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15Capitolo Secondo - L’accento

dà (verbo) / da (preposizione);dì (= giorno) / di (preposizione);è (verbo) / e (congiunzione);ché(= perché) / che (pronome relativo, congiunzione);là (avverbio) / la (articolo, pronome, nota musicale);lì (avverbio) / li (pronome);né (congiunzione) / ne (pronome, avverbio);sé (pronome) / se (congiunzione);sì (avverbio) / si (pronome, nota musicale);tè (nome) / te (pronome).

Al contrario, l’accento grafico non si usa sui monosillabi qui, qua, so,sa, sto, sta, va, tra, fra, fu, fa, tre, blu, no, re, i cui composti, invece, vannosempre accentati (rossoblù, ristà, strafà etc.). Il pronome sé, seguito da stesso,si può scrivere anche senza accento (se stesso).

2. ACCENTAZIONE DELLE PAROLE

A seconda della sillaba su cui cade l’accento, le parole si distinguono in:

— tronche, se l’accento cade sull’ultima sillaba (ar-ri-vò, bon-tà);— piane, se cade sulla penultima (la-vo-ro, mu-ra-to-re);— sdrucciole, se cade sulla terzultima (fi-lan-tro-po, lu-ci-do);— bisdrucciole, se cade sulla quartultima (a-bi-ta-no, vi-gi-la-no).

Alcune parole monosillabe sono di per sé atone, cosicché nella pronun-cia si uniscono alle parole che le accompagnano. In particolare si dicono:

— proclitiche, se nella pronuncia si uniscono alla parola che segue;— enclitiche, se nella pronuncia (e generalmente anche nella scrittura) si

uniscono alla parola che le precede.

Le proclitiche più diffuse sono costituite da articoli determinativi (il, lo,la, le, gli), preposizioni (di, a, da) etc., mentre sono sia proclitiche che en-clitiche le particelle pronominali e avverbiali mi, ti, ci, si, vi, ne. Se precedu-ta da una parola monosillabica, l’enclitica raddoppia la propria consonanteiniziale (dammi, dicci).

In caso di dubbio circa l’esatta accentazione di una parola è sempre beneconsultare il vocabolario. Esistono anche vocaboli, denominati omonimi, iquali, pur avendo la stessa grafia e/o lo stesso suono, hanno, però, significa-ti diversi.

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Parte Prima - Fonologia16

Più specificatamente si chiamano:

— omofoni, quelli che, pur essendo dotati di significato diverso, hanno lastessa pronuncia ed eventualmente anche la stessa grafia. Ad esempio:anno/hanno; collega (nome) / collega (verbo);

— omografi, quelli che si scrivono allo stesso modo, ma hanno una pro-nuncia e un significato diversi. Ad esempio: àncora (nome) / ancóra(avverbio).

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CAPITOLO TERZO

L’APOSTROFO

Sommario: 1. L’elisione. - 2. Il troncamento.

1. L’ELISIONE

La caduta della vocale finale di una parola davanti ad un’altra parola checominci per vocale determina l’elisione, facilmente individuabile in virtùdella presenza dell’apostrofo, l’apposito segno che si mette al posto dellavocale soppressa, per indicarne appunto la caduta.

L’elisione è obbligatoria:

— con gli articoli lo, la, una e con le preposizioni articolate costruite con loe la (l’orologio; l’erba; un’amica; all’interno; nell’aria);

— con ci seguito dalle voci del verbo essere comincianti per e (c’erano);— dopo bello, quello e santo seguiti da nomi che inizino per vocale (bel-

l’aria, quell’uomo, sant’Antonio).

L’elisione è, invece, facoltativa:

— con le particelle pronominali mi, ti, si, vi, ne (m’invitò o mi invitò; se neandò o se n’andò; etc.);

— con la preposizione semplice di (finse di essere o finse d’essere);— con ci, vi e gli davanti a i (c’incamminammo o ci incamminammo; v’in-

vidiano o vi invidiano; gl’insegnò o gli insegnò);— con ciascuna, nessuna, alcuna, buona (ciascun’epoca o ciascuna epo-

ca; alcun’assenza o alcuna assenza; etc.);— con questo/questa, tutto/tutta, quando, grande, povero (quest’anno o

questo anno; tutt’a un tratto o tutto a un tratto; quand’ecco o quandoecco; grand’uomo o grande uomo; pover’uomo o povero uomo).

Non si usa l’apostrofo dopo la preposizione da, fatta eccezione per locu-zioni come d’altronde, d’altra parte e simili.

Estratto della pubblicazione

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Parte Prima - Fonologia18

ALTRI USI DELL’APOSTROFO

Il ricorso all’apostrofo è previsto anche in caso di apocope, dunque aprescindere dall’incontro con un altro termine. Ciò avviene, ad esempio,con parole come modo (a mo’ di), poco (un po’ di), oppure con gli imperati-vi di’ (dici), da’ (dai), sta’ (stai), fa’ (fai), va’ (vai).

Un ulteriore utilizzo dell’apostrofo si ha davanti ai numeri che comin-ciano per vocale (l’undici giugno, l’otto settembre) e per indicare un deter-minato anno in forma abbreviata (nel ’90; dal ’70 in poi etc.).

2. IL TRONCAMENTO

La soppressione della vocale o della sillaba finale di una parola dinanzia un’altra che cominci per consonante o per vocale determina il troncamen-to, che non richiede mai l’apostrofo ed è possibile solo con i vocaboli cheabbiano, immediatamente prima della vocale finale, una delle seguenti con-sonanti: l, m, n, r.

Il troncamento è obbligatorio:

— con buono e con uno e i suoi composti dinanzi a parole maschili checomincino per vocale o per consonante (buon anno; un atleta; ciascunuomo);

— con bello e quello davanti a parole maschili che inizino per consonante(bel tipo; quel cane);

— con suora davanti a tutti i nomi propri (suor Lucia; suor Angela);— con santo e frate davanti ai nomi propri che comincino per consonante

(fra Dario; san Donato).

Il troncamento è, invece, facoltativo:

— con tale e quale davanti a vocale o consonante (tal genere o tale genere;qual sorpresa o quale sorpresa). In ogni caso, si ricordi che tale e qualenon vogliono mai l’apostrofo davanti a vocale (tal altro; qual è);

— con grande davanti a parole che inizino per consonante (grande gioia ogran gioia; grande fastidio o gran fastidio).

Di solito non c’è troncamento davanti alle parole comincianti per x, z,ps, gn, s impura (quello xilofono; uno zaino etc.), anche se taluni sostengo-no che in qualche caso il troncamento sarebbe utile per ottenere un suonopiù gradevole (es. un buon psicologo).

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CAPITOLO QUARTO

PUNTEGGIATURA E ABBREVIAZIONI

Sommario: 1. I segni di interpunzione. - 2. Abbreviazioni e sigle.

1. I SEGNI DI INTERPUNZIONE

Per rappresentare graficamente le pause che si fanno nel discorso parla-to si ricorre ai segni di punteggiatura (o di interpunzione), utili anche perindicare sia le diverse intonazioni della voce (interrogative o esclamative),sia l’alternarsi degli interlocutori in un dialogo.

Sono segni d’interpunzione:

— il punto fermo, o semplicemente punto ( . ): indica una pausa prolungatae viene posto sempre a conclusione di una frase di senso compiuto. Persegnalare lo stacco tra due concetti diversi si va a capo (punto a capo), inmodo da iniziare un nuovo capoverso. Il punto si usa anche nelle abbre-viazioni (Sig.), ma non dopo simboli o sigle (ONU, km);

— il punto interrogativo ( ? ) e il punto esclamativo ( ! ): si adoperano,rispettivamente, dopo una frase interrogativa e una esclamativa, per spe-cificare l’intonazione con cui va letta una frase (O mia cara!; Scusa,dove vai?);

— il punto e virgola ( ; ): equivale a una pausa intermedia tra il punto e lavirgola. Serve a dividere frasi di senso compiuto, ma fortemente corre-late tra loro per significato (Lucia preparava il pranzo; in cucina c’eraun bel sole; la tavola era già apparecchiata). Inoltre può essere usatoper separare gli elementi di un elenco, quando ciascuno di essi è costituitoda un’intera frase o da un gruppo di parole (L’arbitro invitò i giocatoriad entrare in campo; la squadra di casa indossava una maglietta rossa;gli ospiti avevano una casacca bianca; tutti gli atleti portavano in manoun pallone);

— i due punti ( : ): indicano una pausa breve del discorso e svolgono trefunzioni principali:

• introdurre un elenco (Nella sala c’erano tutti: amici, parenti, sem-plici curiosi);

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Parte Prima - Fonologia20

• segnalare che il prosieguo del discorso è la causa, la conseguenza, ola spiegazione di quanto detto subito prima (Nessuno osava contrad-dirlo: tutti avevano paura di lui);

• introdurre un discorso diretto (Mario mi disse: «Lascia perdere, nonne vale la pena»);

— la virgola ( , ): indica una pausa breve e serve per separare parole o frasi.È il segno d’interpunzione più frequente, poiché assolve numerose fun-zioni. In particolare:

• separa gli elementi di un elenco (Bianchi, rossi, gialli, azzurri: cen’erano davvero di tutti i colori);

• divide una frase principale da una subordinata (Guardava fisso di-nanzi a sé, come se non vedesse nient’altro), oppure collega frasicoordinate, dando luogo alla cosiddetta «coordinazione per asinde-to» (I ragazzi correvano, agitavano le braccia dalla gioia, urlavanoa squarciagola);

• evidenzia gli incisi (La cosa, come si vede, è estremamente chiara);• si colloca dopo un vocativo, un richiamo, o un’esclamazione (O Ita-

lia, mia patria!), i quali, se inseriti tra altre parole, vengono anchepreceduti dalla virgola (Presto, Angela, altrimenti perdiamo l’auto-bus);

• è consigliabile metterla dopo locuzioni del tipo d’altra parte, con-cludendo, in breve, al contrario etc.

La virgola non deve mai interrompere l’unità del discorso (per cui non sipossono separare, ad esempio, soggetto e predicato, nome e aggettivo,predicato e complemento oggetto), né è possibile usarla quando una pro-posizione principale è seguita da subordinate che ne completino il signi-ficato (Mi piacerebbe sapere chi ha vinto la gara);

— i puntini sospensivi ( … ): indicano una pausa o un’interruzione deldiscorso e possono trovare impiego anche nel discorso diretto, per se-gnalare eventuali esitazioni nel parlato (Mi pare di vedere…);

— le virgolette («» o “ ”): si utilizzano in apertura e chiusura del discorsodiretto (Pensavo: «Chi me l’ha fatto fare?»), ma anche per riportare untitolo o una citazione (Ricordo ancora l’inizio dei “Promessi sposi”:«Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catenenon interrotte di monti…»), o per evidenziare il significato particolare diuna parola o di un’espressione (Un rumore li mise tutti sul “chi va là”);

Estratto della pubblicazione

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21Capitolo Quarto - Punteggiatura e abbreviazioni

— le parentesi tonde ( ): racchiudono parole o frasi non indispensabili aldiscorso, oppure che possono chiarire un concetto o fornire ulteriori spie-gazioni. Es.: Quando si accorse che mentiva (e anche spudoratamente)lo interruppe subito; Le regioni settentrionali (Lombardia, Piemonte,Liguria etc.) sono più forti, economicamente, di quelle meridionali;

— le parentesi quadre [ ]: contengono parole o frasi che non fanno partedel testo, ma servono a chiarirlo. Es.: Il suo migliore amico [Carlo] loaveva tradito. Se racchiudono i punti sospensivi indicano che una partedel testo è stata tagliata (Disse frasi irripetibili, come […]. Poi si cal-mò);

— la lineetta ( — ): può delimitare un inciso (Se anche loro ci aiutano — eso che possono farlo — sarà tutto più facile), oppure introdurre o rac-chiudere un discorso diretto (Il soldato rispose: — Eseguo solo gli ordi-ni; — Chi bussa? — Chiesero dopo aver sentito il campanello);

— il trattino ( - ): più corto della lineetta, si usa per la divisione in sillabedelle parole (fe-li-ce), specie negli «a capo», oppure per unire due termi-ni legati da una determinata correlazione (Il dizionario latino-italiano);

— l’asterisco ( * ): viene spesso impiegato come richiamo di nota, ma siusa anche al posto di parole che si vogliono omettere (Si è nascosto a*** per non farsi trovare), o per indicare eventuali lacune nei testi anti-chi.

2. ABBREVIAZIONI E SIGLE

Molto spesso capita di scrivere o leggere parole abbreviate, al terminedelle quali si mette un puntino. Ciò avviene, ad esempio:

— per taluni termini indicanti una carica o una professione (avvocato →avv.; ingegnere → ing.; professore → prof.);

— per alcuni titoli onorifici (Sua Eccellenza → S.E.; Santo → S.);— nelle date (avanti Cristo → a.C.; dopo Cristo → d.C.; corrente mese →

c.m.);— nelle intestazioni (signore → sig.; signora → sig.ra; spettabile → Spett.;

gentilissimo → Gent.mo);— per esprimere indicazioni editoriali (pagina → pag.; capitolo → cap.;

volume → vol.).

Dalle abbreviazioni vanno distinte le sigle, che invece costituiscono leiniziali di una o più parole (nord → N; nord-est → NE), senza che tra le

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Parte Prima - Fonologia22

varie lettere della sigla debba essere necessariamente messo il puntino (RAI,Radio Audizioni Italiane; ONU, Organizzazione delle Nazioni Unite). Lesigle vanno intese come veri e propri nomi, sicché conservano il genere(maschile o femminile) della parola da cui derivano (la FIAT, Fabbrica Ita-liana Automobili Torino; gli USA, Stati Uniti d’America). Sono sigle anchele targhe automobilistiche (Milano → MI). Si ricordi che in tutti i vocabola-ri c’è sempre un elenco delle abbreviazioni e delle sigle più comuni.

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PARTE SECONDA

MORFOLOGIA

Capitolo Primo: Le parti del discorso ................................... Pag. 23Capitolo Secondo: L’articolo .................................................. » 26Capitolo Terzo: Il nome .......................................................... » 29Capitolo Quarto: L’aggettivo .................................................. » 36Capitolo Quinto: Il pronome .................................................. » 46Capitolo Sesto: Il verbo .......................................................... » 52Capitolo Settimo: L’avverbio ................................................. » 89Capitolo Ottavo: La preposizione .......................................... » 92Capitolo Nono: La congiunzione ........................................... » 94Capitolo Decimo: L’interiezione (o esclamazione) ............... » 96

CAPITOLO PRIMO

LE PARTI DEL DISCORSO

Sommario: 1. Parti variabili e invariabili. - 2. La flessione delle parole.

1. PARTI VARIABILI E INVARIABILI

Fare l’analisi grammaticale di un testo significa precisare la forma delleparole che lo compongono e determinarne l’appartenenza a una delle noveparti del discorso, le quali si dividono in:

— VARIABILI (articolo, nome, aggettivo, pronome, verbo), così dette per-ché sono soggette a una flessione, intesa come coniugazione per i verbie come declinazione per nomi, articoli, aggettivi, pronomi;

— INVARIABILI (avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione), cosìdette perché non cambiano mai la loro forma.

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Parte Seconda - Morfologia24

2. LA FLESSIONE DELLE PAROLE

In caso di declinazione o coniugazione, la parte di parola che resta inva-riata prende il nome di radice, mentre quella che cambia (secondo genere,numero, o persona) si dice desinenza (o morfema). Tutte le parole costituiteda radice + desinenza si dicono parole primitive. Sta di fatto che la radice diuna parola primitiva si può anche trasformare mediante l’aggiunta di unprefisso (prima della radice; es.: sotto-veste) o di un suffisso (dopo la radi-ce; es.: giornal-aio), dando vita alle cosiddette parole derivate, le quali sipossono formare anche con l’aggiunta di un suffisso e di un prefisso con-temporaneamente (ultra-viol-etto). Sia nelle parole primitive che in quellederivate la parte invariabile corrisponde al tema, che dunque coinciderà:

— con la radice, nelle parole primitive;— con radice + suffisso e/o prefisso, nelle parole derivate.

Prefissi e suffissi, molti dei quali derivano dal latino o dal greco, sonolargamente adoperati nella lingua italiana.

I suffissi, in particolare, possono essere distinti a seconda che contribu-iscano a formare:

— avverbi. Es.: -mente (dolcemente); -oni (penzoloni);— aggettivi. Es.: -abile (indecifrabile); -ale (letale); -ano (castano); -ibile

(incredibile); -ivo (nativo); -oso (permaloso) etc.;— sostantivi, per i quali esistono, ad esempio, suffissi indicanti:

• mestieri e professioni: -aio (notaio); -iere/-iera (barbiere, infermie-ra); -ore (professore); -ante (cantante); -ino (postino) etc.;

• luoghi: -aia (colombaia); -eto/-eta (vigneto, pineta); -orio (dormi-torio) etc.;

• qualità: -aggine (testardaggine); -anza/-enza (prestanza, pazienza);-ezza (bellezza); -izia (pigrizia).

Riguardo ai prefissi, invece, si ricordi che alcuni di essi, unendosi allaradice, comportano il raddoppiamento della consonante iniziale della radi-ce stessa (es.: sovra- → sovrappeso; ma anche a[d]-, con relativa cadutadella d → avvicinarsi, affollare), mentre altri subiscono un mutamento fo-netico. Es.: in- → im- (impiantare), ir- (irresoluto) etc.

Estratto della pubblicazione