SERGEY GALAKTIONOV MAESTRO CONCERTATORE · 2018-03-30 · musica corale il suo nome circola...

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I C O N C E R T I 2 0 1 7 - 2 0 1 8 SERGEY GALAKTIONOV MAESTRO CONCERTATORE ORCHESTRA DEL TEATRO REGIO GIOVEDÌ 5 APRILE 2018 – ORE 20.30 TEATRO REGIO

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I C O N C E R T I 2 0 1 7 - 2 0 1 8

SERGEY GALAKTIONOV MAESTRO CONCERTATORE

ORCHESTRADEL TEATRO REGIO

GIOVEDÌ 5 APRILE 2018 – ORE 20.30TEATRO REGIO

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Sergey Galaktionov

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Restate in contatto con il Teatro Regio: f T Y p

Sergey Galaktionov violino e maestro concertatoreOrchestra del Teatro Regio

Bruno Bettinelli (1913-2004)

Due invenzioni per orchestra d’archi (1939)

I. Calmo II. Allegro energico e ritmato

Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847)

Concerto in re minore per violino e orchestra d’archi (1822)

I. [Allegro] II. Andante III. Allegro

Franz Schubert (1797-1828) - Gustav Mahler (1860-1911)

Quartetto n. 14 in re minore Der Tod und das Mädchen (La morte e la fanciulla) d 810 (1826)

Trascrizione per orchestra d’archi di Gustav Mahler (1896)

I. Allegro II. Andante con moto III. Scherzo: Allegro molto - Trio IV. Presto - Prestissimo

PROGETTI SCHUBERT E MAHLER

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Bruno BettinelliDue invenzioni per orchestra d’archi

Della musica del milanese Bruno Bettinelli, compositore assai prolifico e au-torevole insegnante di composizione presso il conservatorio della sua città, oggi non rimane molta traccia nei repertori correnti. È pur vero che nel mondo della musica corale il suo nome circola parecchio, e le sue numerose partiture, scritte con grande attenzione per le necessità e le risorse del contrappunto vocale, sono eseguite regolarmente e fanno parte della vita musicale; ma il grosso della produ-zione di Bettinelli, che tocca anche il mondo della musica teatrale, è da cercarsi nella sua produzione strumentale, e in particolare in quella sinfonica, in cui il temperamento portato al drammatismo del compositore e la sua predilezione per la ricerca timbrica ad ampio spettro trovano il mezzo d’espressione ideale. Così, chi conoscesse solo le sue limpide composizioni corali, rimarrà certamente colpito nel trovarsi davanti un autore sinfonico molto più corrusco e tormentato.

Bettinelli, infatti, come altri della sua generazione seguì il cammino già prepa-rato da Casella e Malipiero all’inizio del Novecento verso l’affermazione di una nuova civiltà strumentale italiana che, liberatasi dall’egemonia dell’opera e anche dalle convenzioni del romanticismo ottocentesco, potesse proporsi sulla scena eu-ropea senza complessi ed essere protagonista di un messaggio attuale. Non deve quindi stupire che la colonna portante della sua lunga e diversificata carriera di compositore sia costituita dalle sue sette Sinfonie, dai quattro Concerti e dalle altre numerose forme libere per orchestra che lo collocano sulla scia di Goffredo Petrassi, di pochi anni più vecchio di lui e grande sperimentatore sinfonico. A Petrassi lo avvicinano sia il carattere oscuro e l’irrequietezza ritmica della sua musica, sia la comune filiazione dalla musica di Hindemith e Bartók, nonché la predilezione per una scrittura il cui nucleo ispiratore è l’intrecciarsi delle varie linee musicali, ovvero il contrappunto.

Le Due invenzioni per orchestra d’archi sono un’opera giovanile, del 1939, e se per alcuni aspetti già individuano i due poli su cui si muoverà la ricerca sinfonica del Bettinelli futuro – oasi di mistero e attesa con sonorità notturne alla Bartók da un lato, dinamismo pulsante e ritmico alla Hindemith, dall’altro – l’incedere delle due composizioni è piuttosto tradizionale e non ha quei caratteri di speri-mentalismo timbrico che la musica di Bettinelli, influenzata dalle avanguardie del dopoguerra, avrà in seguito, dando alla sua musica un andamento pur sempre di-scorsivo, ma più oggettivo ed enigmatico. Qui invece, il filo del discorso si dipana secondo una parabola emotiva molto evidente e riuscita: nella prima invenzione, non così dissimile dal contemporaneo e altrettanto giovanile Adagio di Samuel Barber, un’atmosfera dolente gravata di inquieti presentimenti è animata da un

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disegno ostinato fino a un culmine di disperazione, per poi ripiegarsi in un clima di rassegnato stupore; nella seconda, un movimento continuo delle varie voci è scandito da energici accenti fuori tempo ed è interrotto solo da una contrastante parentesi statica, che serve a riprendere il fiato in vista del ritorno del movimento iniziale, ora ancora più trascinante.

Felix Mendelssohn-Bartholdy Concerto in re minore per violino e orchestra d’archi

Il Concerto in re minore per violino e orchestra d’archi di Mendelssohn – ri-scoperto solo a metà Novecento per iniziativa di Yehudi Menuhin, che ne diede la prima esecuzione nel 1952 – fa parte di quelle numerose opere d’apprendistato compositivo che Mendelssohn scrisse dagli undici ai sedici anni, dimostrando una facilità creativa e una sicurezza tecnica davvero sbalorditive, tali da superare anche i più illustri precedenti e possibili futuri paragoni. Oltre a numerosi brani per pia-noforte, ad alcuni Lieder e brani corali, il terreno privilegiato da Mendelssohn per i suoi primi passi fu quello dell’ensemble di archi, con numerose fughe per quartet-to, e ben dodici sinfonie per orchestra d’archi, delineando un percorso culminato nel suo primo capolavoro a tutto tondo, originale e compiuto, che è l’Ottetto per archi, composto nel 1825. Dietro a questa predilezione c’erano sicuramente que-stioni pratiche, poiché nelle serate musicali organizzate regolarmente nella ricca casa dei Mendelssohn a Berlino, quello era l’organico a disposizione.

Scritto nel 1822, il Concerto in re minore per violino è, insieme a un coevo Concerto per pianoforte e archi, il primo tentativo di Mendelssohn nella forma concertante con strumento solista. Anche in questo caso si resta stupiti dalla sicu-rezza con cui il tredicenne compositore ha saputo assimilare i procedimenti forma-li della forma concertante, cioè il modo in cui il solista primeggia pur dialogando con gli altri strumenti che lo sostengono e gli preparano il terreno. Inoltre, nella parte solistica è sintetizzato tutto il bagaglio della tradizione violinistica, per cui il concerto non è scolastico o astratto, ma tagliato a misura dello strumento, di cui riesce a riprodurre lo spirito così come i grandi suoi predecessori lo avevano definito. Il modello è chiaramente Mozart, come il finale all’ungherese lascia in-tendere (il Rondò del Quinto Concerto per violino di Mozart ha un celebre epi-sodio all’ungherese), ma almeno nel primo movimento è forte anche la presenza del modello vivaldiano e della forma a ritornelli e terrazze del concerto barocco. Oltre a questa assimilazione dei gesti violinistici e dei caratteri della tradizione, Mendelssohn ci mette già del suo e arricchisce questa sua base di partenza con frasi cantabili che portano la sua firma inconfondibile, divagazioni e modulazioni improvvise che testimoniano di una natura romantica e liberamente introspettiva,

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nonché alcune situazioni chiaramente ispirate alla musica teatrale – il che ci ricor-da che un altro dei territori affrontati sin da subito dal giovane compositore era stato quello dell’opera comica in lingua tedesca.

Il primo movimento del Concerto è forse quello formalmente più ambiguo, perché pur iniziando con un tipico ritornello orchestrale alla Vivaldi, sembra poi promettere un allegro in forma classica (in forma-sonata), con un primo tema in cui il violino oscilla tra ripiegamenti elegiaci e scatti drammatici, un secondo tema cantabile che si snoda con la naturalezza del Mendelssohn maturo, e infine un tema di ricapitolazione che sembra preso da un Divertimento o una Serenata di Mozart. Quando, dopo un paio di virate a sorpresa si giunge allo sviluppo, ecco che al modello sonatistico si sostituisce quello del concerto barocco, con la riap-parizione continua del ritornello iniziale e grandi catene di progressioni, che però danno l’impressione che si stia un po’ girando a vuoto. Finché la riapparizione del tema cantabile risolleva le sorti del movimento e ci regala un autentico colpo di teatro nella trasformazione miracolosa del tema, ora accompagnato da tremoli in pianissimo, in una voce ultraterrena. Solo dopo questo episodio si ha un vero e proprio ritorno del primo tema, che si trasforma subito in una coda conclusiva piena di anticipazioni del futuro e assai più celebre Concerto in mi minore per violino. Il secondo e il terzo movimento sono molto più lineari – l’Andante nella forma di una mozartiana romanza e l’Allegro in quella di un accattivante rondò ricco di passi ad effetto –, pur presentando curiose interruzioni nel discorso mu-sicale, sotto forma di cadenze che strizzano volentieri l’occhio alla vocalità ope-ristica (nel finale, come non sentire un’eco della cavatina di Figaro dal Barbiere).

Franz Schubert - Gustav MahlerDer Tod und das Mädchen (La morte e la fanciulla)

Non si può capire a fondo buona parte degli ultimi capolavori di Schubert senza tenere a mente che il nucleo da cui prendono forma è il senso di morte incombente che gravava sul compositore, affetto sin dall’età di venticinque anni dalla sifilide, male incurabile a quei tempi. La consapevolezza di avere i giorni contati, il timore di non poter portare a compimento la propria “missione storica” di compositore e, forse, anche il tormento di essere andato incontro a una fine così precoce per gli eccessi di una vita sregolata sono pensieri che con le opere dei suoi ultimi anni Schubert cerca di esorcizzare, assimilare, inutilmente ignorare e poi combattere, ma che alla fine accetterà, in un processo di progressivo ampliamento dei propri orizzonti e della portata espressiva della sua musica, che arriverà nelle ultimissime opere (Quintetto per archi, Messa in mi bemolle, Trio op. 100, Sonata per pianoforte in si bemolle) a conquistare una dimensione di superiore serenità.

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Da un lato, infatti, si trattava di una croce ben più gravosa di quella che era toccata a Beethoven con la sua sordità, poiché il male di Schubert non era pio-vuto dall’esterno, e soprattutto non era conciliabile con la vita, per cui era assai più difficile da contrastare moralmente. Inoltre, si ha l’impressione di un destino sproporzionato, di un peso che incombe crudelmente su di una natura amabile e per niente combattiva. Eppure, come sembra succeda con tutti i grandi artisti, la vita con i suoi accidenti fornì a Schubert proprio quello che la sua vocazione ne-cessitava, sicché la sua prematura e fatale condanna lo portò non solo a gettarsi a capofitto nella composizione, ma a scoprire un modo alternativo a quello beetho-veniano di trattare le grandi forme musicali, un modo anti-eroico, che diventerà poi attuale nella seconda metà dell’Ottocento, quando infatti la via inaugurata da Schubert sarà riconosciuta come altrettanto valida di quella aperta da Beethoven e persino più adatta al clima spirituale dei tempi.

E proprio uno dei protagonisti musicali del tardo Ottocento, Gustav Mahler, ebbe l’idea di arrangiare per orchestra d’archi il quartetto più celebre di Schubert, finito nel 1826 e conosciuto con il sottotitolo La morte e la fanciulla, dal Lied giovanile dello stesso Schubert che fornisce il tema per le variazioni del secondo movimento: un Lied del 1817, sinistramente profetico, in cui una fanciulla im-plora la morte di lasciarla vivere, ma quest’ultima si presenta con un volto amico, seducendola con la promessa di un dolce riposo. Mahler riuscì a completare la trascrizione solo del secondo movimento, ma grazie ai suoi appunti sulla par-titura del quartetto ritrovata dalla figlia Anna, due musicologi inglesi (Donald Mitchell e David Matthews) sono riusciti a completare il lavoro, che è oggi in repertorio. E con buone ragioni perché, come doveva aver intuito Mahler, nella versione orchestrale salta subito agli occhi la grandezza di ambizioni di questo quartetto, che non è altro che la risposta schubertiana alla più beethoveniana di tutte le sinfonie di Beethoven, la Quinta.

L’Allegro iniziale ne ricalca infatti il primo movimento, con le stesse scudisciate del destino, gli stessi sgomenti, gli stessi propositi di rivolta, ed è la cosa più dram-matica che Schubert abbia mai scritto; tant’è che anche nei suoi tipici momenti di abbandono lirico, sotto pulsa sempre il ritmo inquietante dell’inizio, a ricordare al compositore che è vano illudersi di dimenticare. Anche la coda ripete lo stesso gesto con cui finisce il primo movimento della Quinta, con un ultimo scatto d’orgoglio, subito troncato; ma qui non è il tema del destino a chiudere temporaneamente la partita, lasciando spazio per il capovolgimento positivo dell’ultimo movimento: è un improvviso ripiegamento, un senso di stanchezza interiore che smentisce tutto quel che s’è sentito finora e apre uno scenario tutto nuovo, quella marcia funebre che si potrebbe definire “per la morte di un anti-eroe”, cioè se stesso, che Schubert mette al seguito. Questo secondo movimento è il nucleo di tutta l’opera, una me-ditazione nella forma di tema con variazioni, sulla morte, declinata nei suoi risvolti

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agrodolci e tragici, fino alla rassegnazione serena della coda. Il passaggio più emo-zionante è alla fine della variazione in maggiore (la quarta), quando l’illusione di poter ritornare alla felice spensieratezza di un tempo è smentita dal ritorno al modo minore, pieno d’angoscia, dell’ultima variazione.

Dopo questa confessione disarmante, la violenza con cui attacca lo Scherzo (che segue in spirito quello della Quinta, ma nei temi si rifà a quello di un’altra Sinfo-nia beethoveniana, la Nona) suona inutilmente crudele; tant’è che Schubert nel Trio gli oppone il più ingenuo e candido dei valzer, come a sventolare bandiera bianca. Così nel Finale – una tarantella dai risvolti beffardi e sinistri di una danza macabra – non si può scacciare la sensazione che i giochi siano ormai fatti, nono-stante l’inaspettata apparizione di un tema dal carattere eroico, che si rivela una pia illusione. L’interesse formale del movimento è quindi quello di capire come si uscirà da questo girotondo infernale, tanto più che nell’implacabile incedere della musica non c’è posto per una vera sezione di sviluppo; al suo posto, invece, c’è un’incredibile momento di sospensione, che anticipa le atmosfere della Notte sul Monte Calvo di Musorgskij e delle transizioni sinfoniche di Wagner. Il colpo di genio della conclusione sarà un improvviso e vorticoso accelerarsi della musica, verso una coda frenetica, alla Čajkovskij, che suona come una fuga disperata e inutile di fronte a un destino troppo ingiusto per essere guardato in faccia.

Alberto Bosco

Alberto Bosco è nato a Torino, dove ha completato gli studi di Composizione, Pianoforte e Sto-ria della musica all’Università e al Conservatorio. Ha frequentato per periodi prolungati anche l’Università di Vienna, l’Università Complutense di Madrid, il Conservatorio Superiore di Lione, l’Università di Oxford e la Columbia di New York. Tra le istituzioni che gli hanno conferito borse di studio ci sono il Ministero degli Esteri spagnolo, l’Università di Torino, la Commissione Fulbright, la Fondazione Paul Sacher di Basilea e l’Accademia Nazionale dei Lincei. Attualmente insegna a Madrid, nelle sedi distaccate dell’Università di Saint Louis e di Stanford, e collabora regolarmente con riviste specializzate, società di concerti ed enti lirici.

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Nato a Samara, in Russia, Sergey Galaktionov ha iniziato lo studio del violino a soli quattro anni frequentando la Scuola Speciale di Musica del Con-servatorio di Mosca. Ha proseguito gli studi al Con-servatorio Superiore della capitale russa con Andrej Korsakov, diplomandosi nel 1994. Due anni più tar-di, nello stesso Istituto, ha compiuto il tirocinio di-dattico, conseguendo il titolo di Dottore in musica.

È primo violino stabile dell’Orchestra del Teatro Regio dal 2003, solista della Filarmonica di Mosca e tra i fondatori della Mahler Chamber Orchestra. Come primo violino collabora anche con la Filar-monica della Scala, l’Orchestra Nazionale Russa (Rno), l’Orchestra Sinfonica di Gran Canaria (Las Palmas), la Real Orquesta Sinfónica di Siviglia, la Melbourne Simphony, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

In qualità di solista ha partecipato a numerosi concerti – con l’Orchestra Filarmonica di Mosca, l’Orchestra da Camera di Stato Russa, l’Orchestra Guido Cantelli di Milano, la Sinfonica di Bari, la Sinfonica Siciliana, la Filarmonica di Torino e I Po-meriggi Musicali di Milano – collaborando a fian-co di musicisti quali Claudio Abbado, Gianandrea Noseda, Lü Jia, Vladimir Ponkin, Michail Pletnev, Vladimir Jurovskij, Giuliano Carmignola, Bruno Aprea e Mario Perusso. Sempre come solista si è esibito in prestigiose sale da concerto d’Italia e del mondo: Salle Gaveau di Parigi, Cancelleria del Va-ticano, Teatro Politeama di Palermo, Teatro Cari-gnano di Torino, Odeon di Catania, Teatro Valli di Reggio Emilia, Sala Čajkovskij della Filarmonica di Mosca, Suntory Hall di Tokyo, Kyoto Music Cen-ter, Teatro Coliseo di Buenos Aires.

In occasione dell’esecuzione del Concerto n. 2 “La Campanella” di Paganini a Milano ha suonato il pre-stigiosissimo violino Stradivari “Il Cremonese 1715” concesso dalla Fondazione Negri e dal Comune di Cremona. In quell’occasione il «Corriere della Sera» ha scritto di lui: «ha risolto brillantemente una parte che da sempre fa tremare le vene ai polsi a qualsiasi violinista… ha ricreato quelle sensazioni che furono alla base del mito Paganini». Su «L’Adige» gli è sta-to invece riconosciuto «un violinismo lontano dallo stereotipo “russo”, di indole squisitamente cameristi-ca, segnato da una grande finezza di fraseggio».

Sergey Galaktionov ha concertato e diretto diver-si programmi con musiche di Bach, Mozart, Vivaldi, Mendelssohn e altri. Il suo repertorio spazia da Bach fino ai più importanti compositori del Novecento. Inoltre esegue regolarmente lavori di alcuni dei più rappresentativi compositori italiani: Azio Corghi, Giacomo Manzoni, Armando Gentilucci, Adriano Guarnieri, Luca Mosca, Alberto Colla.

È ospite di numerosi festival nazionali e internazionali: Lucerne Festival, Autunno di Mosca, Festival Echos e Settimane Musicali di Stre-sa. Ha inciso per Limen Music un disco con musi-che di Stravinskij, Bartók e Berg.

Nel 2000 ha vinto il Concorso Internazionale Viotti - Valsesia Musica, mentre nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Protagonisti nella Musica dalla Città di Acqui Terme.

Suona un violino Giovanni Battista Guadagnini (Torino, 1772) della Fondazione Pro Canale di Mi-lano.

L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Artu-ro Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo de-gli dèi di Wagner e della Salome di Strauss, nonché le prime assolute di Manon Lescaut e La bohème di Puccini. Nel corso della sua lunga storia ha dimo-strato una spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio così come molti titoli del Novecento, an-che in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda di Solbiati.

L’Orchestra si è esibita con i solisti più celebri e alla guida del complesso si sono alternati diret-tori di fama internazionale come Roberto Abba-do, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella, Dantone, Gelmetti, Gergiev, Hogwood, Luisi, Luisotti, Oren, Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo.

Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; negli ultimi anni è stata ospite, sempre con la di-rezione del maestro Noseda, in Germania, Spagna, Austria, Francia e Svizzera. Nell’estate del 2010 ha tenuto una trionfale tournée in Giappone e in Cina con La traviata e La bohème, un successo ampia-mente bissato nel 2013 con il “Regio Japan Tour”. Nel 2014, dopo le tournée a San Pietroburgo ed Edimburgo, si è tenuto a dicembre il primo tour negli Stati Uniti e in Canada. Tre gli importanti appuntamenti internazionali nel 2016: i complessi artistici del Teatro sono stati ospiti d’onore al 44° Hong Kong Arts Festival, poi a Parigi e a Essen, infine allo storico Savonlinna Opera Festival. La scorsa stagione, dopo le tappe a Ginevra e a Luga-no, ha visto l’Orchestra impegnata in un concerto a Buenos Aires e il Regio ospite per la seconda volta al Festival di Edimburgo con quattro recite di Bohème,

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tre di Macbeth (riproposto in forma di concerto a Parigi) e la Messa da Requiem di Verdi. Nel set-tembre 2017 si è infine tenuta la prima tournée in Medioriente, con tre rappresentazioni di Aida alla Royal Opera House di Muscat, in Oman.

L’Orchestra e il Coro del Teatro hanno una in-tensa attività discografica, nell’ambito della quale si segnalano diverse produzioni video di particolare interesse: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur, Boris Godunov, Un ballo in maschera, I Vespri sicilia-ni, Leggenda Don Carlo, Faust, Aida, La bohème e L’incoronazione di Dario. Tra le incisioni discogra-

fiche più recenti, tutte dirette da Gianandrea Nose-da, figurano la Seconda Sinfonia di Mahler (Fonè), il cd Fiamma del Belcanto con Diana Damrau (Warner-Classics/Erato), recensito dal «New York Times» come uno dei 25 migliori dischi di musica classica del 2015, due cd verdiani con Rolando Vil-lazón e Anna Netrebko e uno mozartiano con Il-debrando D’Arcangelo (Deutsche Grammophon); Chandos ha pubblicato Quattro pezzi sacri di Verdi e, nell’ambito della collana «Musica Italiana», due album dedicati a composizioni sinfonico-corali di Petrassi.

Il barbiere di SivigliaArgomento

Atto IQuadro I. In una piazza di Siviglia.Il conte di Almaviva ha seguito a Siviglia da Madrid – dove l’aveva intravista casualmente, innamoran-dosene – la bella Rosina: sotto le finestre della casa dove la ragazza vive sotto l’occhiuta protezione di Don Bartolo, canta una serenata. Giunge l’intraprendente barbiere Figaro, «factotum della città», che in passato aveva già incontrato il conte. Figaro spiega che Bartolo, suo cliente, è il tutore e non il padre della ragazza. Rosina si affaccia per gettare un biglietto al giovane ma Bartolo, notandone il comporta-mento circospetto, si allarma: decide di dar corso al proprio progetto di sposarla, ed esce ordinando alla servitù di impedire l’ingresso a chicchessia. Accompagnato alla chitarra da Figaro, Almaviva risponde alle domande di Rosina con un’altra serenata, dichiarando di chiamarsi Lindoro e di essere povero. Ma come incontrarla? L’astuzia di Figaro, esaltata dalla prospettiva di una ricompensa, partorisce su due piedi un piano: Almaviva fingerà di appartenere al reggimento appena giunto in città, ed entrerà per mezzo di un biglietto di alloggio.

Quadro II. Una camera nella casa di Don Bartolo.Figaro entra in casa di Bartolo per sondare i sentimenti di Rosina, che gli affida una lettera per il giovane sconosciuto, di cui si sta innamorando. Giunge Basilio, maestro di musica e faccendiere di famiglia, che riferisce allo sgomento Bartolo la voce della presenza in città del conte di Almaviva, e sug-gerisce che solo una calunnia potrà mettere fuori gioco il potente aristocratico. Sempre più inquieto, Bartolo affronta Rosina rimproverandole il comportamento sospetto. Infine si presenta Almaviva, fingendosi per di più ubriaco, e crea un tale scompiglio da provocare l’intervento della forza pubblica. Ma Almaviva, furtivamente, rivela la propria identità all’ufficiale: le guardie si allontanano senza arre-starlo, lasciando tutti stupiti e disorientati.

INTERVALLO

Atto IIQuadro I. In casa di Don Bartolo.Almaviva si ripresenta a casa di Bartolo, questa volta spacciandosi per Don Alonso, maestro di musica inviato dal malato Basilio per sostituirlo. Per vincere i sospetti dell’anziano tutore gli conse-gna un biglietto del conte, che sostiene di aver trovato sotto la sua locanda; gli propone di sottoporlo a Rosina, dicendole di averlo avuto da un amante del conte, per provarle che Almaviva si prende gioco di lei. Dunque Bartolo acconsente allo svolgimento della lezione di musica, durante la quale giunge Figaro, che convince il padrone di casa a farsi radere, e ne approfitta per sottrargli la chiave del balcone. All’arrivo inaspettato di Basilio, i tre cospiratori lo convincono con una ricca borsa ad allontanarsi, dando seguito alla storia della presunta malattia: i due giovani possono finalmente accordarsi per fuggire insieme, ma una parola imprudente richiama l’attenzione di Bartolo, che scaccia tutti.

Quadro II. La stessa scena.Rosina si fa convincere da Don Bartolo che Lindoro è un impostore, inviato dal subdolo Almaviva, e per ripicca accetta di sposare l’anziano tutore, cui svela il piano concordato con Figaro per fuggire a mezzanotte. Mentre Don Bartolo si allontana per trovare i gendarmi che arrestino Figaro e Almaviva, questi ultimi si recano, entrando dal balcone, all’appuntamento fissato con la ragazza; le chiariscono l’equivoco – Lindoro è in realtà lo stesso conte di Almaviva – e quando arriva Basilio con il notaio convocato da Bartolo per il contratto nuziale, Figaro, con un’ulteriore astuzia, fa sì che le nozze a essere ratificate siano quelle tra i due giovani. A Bartolo, giunto troppo tardi, non resta che far buon viso a cattivo gioco.

Prima rappresentazione assoluta: Roma, Teatro Argentina, 20 febbraio 1816.

Questa scheda di sala è scaricabile dal sito del Regio all’indirizzo www.teatroregio.torino.it/node/6820.

Se ritieni che la cultura musicale sia un valore irrinunciabile e pensi che sia importante dare direttamente il tuo appoggio, puoi f irmare a favore del tuo Teatro, destinando il 5 per mille dell’IRPEF. È suf f iciente scrivere il codice f iscale del Regio (00505900019) nell’apposito riquadro della dichiarazione dei redditi.La destinazione del 5 per mille non comporta nessuna spesa e non è alternativa all’8 per mille né al 2 per mille.

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Orchestra

Violini primiSergey Galaktionov *Marina Bertolo *Francesco GilardiElio LercaraEnrico Luxardo Miriam Maltagliati Alessio MurgiaIvana Nicoletta

Violini secondiMarco Polidori *Tomoka OsakabeMassimo Bairo Paola Bettella Fation HoxholliPaola Pradotto

VioloncelliAmedeo Cicchese *Davide Eusebietti Armando Matacena

ContrabbassiDavide Ghio *Michele Lipani

VioleEnrico Carraro *Alessandro Cipolletta Rita BracciRoberto Musso

* Prime parti

Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei pro-fessori Sergey Galaktionov (violino Giovanni Battista Guadagnini, Torino 1772), Marco Polidori (violino Alessandro Gagliano, Napoli 1725 ca.), Enrico Carraro (viola Giovanni Paolo Maggini, Brescia 1600 ca.), Marina Bertolo (violino Carlo Ferdinando Landolfi, Milano 1751) e Amedeo Cicchese (violoncello Giovanni Grancino, Milano 1712).

Si ringrazia inoltre la Fondazione Zegna per il contributo dato al vincitore del Concorso per Prima viola.

Teatro RegioWalter Vergnano, Sovrintendente

Gastón Fournier-Facio, Direttore artistico Gianandrea Noseda, Direttore musicale

© Fondazione Teatro Regio di Torino Prezzo: € 1

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