Seminario promosso e da Inshibboleth - partitodemocratico.it · Fausto Raciti e Rosy Bindi 247...

401
Le parole e le cose dei democratici Seminario promosso dal Centro Studi del PD dal Coordinamento territoriale del PD di Pisa, dai Giovani Democratici di Pisa e da Inshibboleth 5 atti Pisa, 4-7 marzo 2011

Transcript of Seminario promosso e da Inshibboleth - partitodemocratico.it · Fausto Raciti e Rosy Bindi 247...

Le parole e le cosedei democratici

Seminario promossodal Centro Studi del PDdal Coordinamento territorialedel PD di Pisa,dai Giovani Democratici di Pisae da Inshibboleth

55

att

i

Le p

aro

le e

le co

se d

ei d

em

ocra

tici

5

Pisa, 4-7 marzo 2011

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 1

Collana coordinata dalForum Centro Studi Pd

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 2

Le parole e le cosedei democratici

Seminario promossodal Centro Studi del PD

dal Coordinamento territoriale del PDdi Pisa, dai Giovani Democratici di Pisa

e da Inshibboleth

Pisa, 4-7 marzo 2011

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 3

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 4

PresentazioneGianni CuperloPresidente del Centro studi PD 11

PrefazioneFrancesco NocchiSegretario provinciale PD Pisa 23

IntroduzioneComitato editoriale della rivista Inschibboleth 27

PLENARIA D’APERTURA

Annamaria Parente Responsabile Formazione, Segreteria nazionale PD 33

Andrea Giorgio Segretario regionale GD Toscana 37

Elio Matassi Professore di Filosofia della Storia, Università Roma Tre, membro del comitato direttivo di Inschibboleth 41

Marco FilippeschiSindaco di Pisa 47

Enrico Letta Vicesegretario nazionale PD 53

PANEL II democratici e il lavoro della memoria.Cosa ereditare del Novecento?

Vittoria FrancoSenatrice PD 71

Claudia Mancina Professore di Etica, Università La Sapienza di Roma 77

Michele Battini Professore di Storia Contemporanea, Università di Pisa 87

INDICE

5

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 5

Vannino ChitiVicepresidente del Senato della Repubblica 97

PANEL IILe figure e le forme dei democratici dopo il Novecento.Cosa possiamo e dobbiamo dire di centro-sinistra nell’epoca della Rete?

Gianluca Giansante Ricercatore, formatore e consulente di comunicazione 107

Francesco VerducciViceresponsabile vicarioDipartimento Cultura e Informazione PD nazionale 121

Adriano Fabris Professore di Filosofia morale e di Etica della comunicazione, Università di Pisa 133

Giuseppe Civati Consigliere regionale PD Lombardia 139

Mario RodriguezProfessore di Comunicazione Politica, Università di Padova 149

PANEL III Le grandi biografie della politica italiana.Chi comprende l’album dei democratici e chi esclude?

Giovanni Bachelet Presidente del Forum PD per le politiche dell’Istruzione 161

Luigi Covatta Direttore di Mondoperaio 177

Paolo FontanelliDeputato PD 191

PANEL IV Fenomenologia dei vizi e delle virtù della sinistra:patologie antiche e moderne, virtù volontarie e involontarie

Alfonso Maurizio Iacono Professore di Storia della filosofia, Università di Pisa 207

Michele CilibertoProfessore di Storia della filosofia moderna e contemporanea,Scuola Normale Superiore di Pisa 215

Susanna Cenni Deputata PD 223

Roberto CerretoConsigliere parlamentare 235

6

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 6

PLENARIALa politica dei giovani, le politiche per i giovani:il Partito Democratico alle prese con il futuro

Chiara Geloni intervistaFausto Raciti e Rosy Bindi 247

PANEL VQuale europeismo per i democraticinella crisi dell’idea di Europa?

Piero Graglia Docente di Storia dell’integrazione europea,Università degli Studi di Milano 283

Francesco GuiProfessore di Storia dell’Europa,Università La Sapienza di Roma 299

Guido Montani Professore di Economia Politica Internazionale, Università di Pavia,Vicepresidente dell’Unione dei Federalisti Europei 313

Leonardo DomeniciEuroparlamentare PD 325

Ivana Bartoletti Manager e specialista di diritti umani 333

Silvano Andriani Presidente CeSPI, Centro Studi Politica Internazionale 341

PLENARIA CONCLUSIVA

Roberto Bernabòintervista Massimo D’Alema e Andrea Manciulli 353

PostfazioneMatteo TrapaniSegretario Provinciale GD di Pisa 397

7

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 7

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 8

9

Gli atti contenuti in questo volume sono stati curati daDavid Ragazzoni.Si ringraziano inoltre Maria Accarino per la sbobinaturadelle registrazioni dei panel e delle plenarie e MicheleMorandi per aver seguito il lavoro nelle sue prime fasi.E ancora, Giorgio Malet per l’editing dei testi del II pa-nel e Matteo Trapani per l’editing della relazione diPiero Graglia. Un ringraziamento, infine, a Marco dePascale e alla rivista Inschibboleth per la registrazioneintegrale delle quattro giornate di Seminario.I testi sbobinati sono stati poi editati, inviati agli autoriper modifiche e riletture e infine nuovamente rivisti. Siè volutamente mantenuto il tono colloquiale della mag-gior parte degli interventi, anche per preservare nel vo-lume il ricordo dell’occasione e del contesto nel qualequesti sono nati.

Un grazie particolare a Maria Grazia Gatti, Giorgio Ma-let, Giulio Nardinelli, Cristian Pardossi, David Ragazzonied Ermete Realacci per come hanno introdotto e coordi-nato le diverse sessioni di lavoro arricchendo la discus-sione di stimoli e spunti sempre vivi e interessanti.

Nota editoriale

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 9

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 10

11

Mi piace introdurre questa raccolta partendo un po’ dalontano, ricordando qualcuno che le parole le sapevausare molto bene. Nel pomeriggio del 25 marzo del 1945debuttò quello che forse è il capolavoro di Eduardo De Fi-lippo, Napoli Milionaria. Accadeva un mese esatto primadella Liberazione. Quella prima rappresentazione si tenneal San Carlo di Napoli e nonostante i tempi complicatis-simi il teatro era esaurito e stipato. La trama è quella chemolti conoscono: Gennaro Iovine è un uomo perbene, èandato in guerra e quando torna a casa trova la moglieAmalia che ha fatto un po’ di denaro con la borsa nera,la figlia maggiore incinta di un soldato americano, il figliotentato dalla malavita. Non riconosce più il proprio mondo perché, prima ditutto, non riconosce più la propria famiglia. Il terzo atto è un po’ una storia a sé: l’ultima figlia, la bam-bina, è malata e ha bisogno di una medicina che non sitrova in tutta Napoli. Il medico già dispera quando, al-l’improvviso, entra in scena il vicino del ‘basso’ accanto– un uomo che Amalia ha praticamente rovinato attra-verso l’usura – con la medicina in mano. Il dialogo tra ladonna e il vicino è durissimo: lei gli chiede cosa vuole incambio del farmaco; lui le risponde che non potrà resti-tuirle nulla della vita che gli ha rubato e le apre gli occhi

Presentazione

Gianni Cuperlo Presidente Centro studi PD

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 11

12

sulla oscenità di quella ricchezza accumulata. Poi conse-gna la medicina al dottore e se ne va. Per Amalia è la finedi un mondo, il crollo di un’impalcatura. Quando riman-gono soli, marito e moglie, finalmente Eduardo-Gen-naro parla e le dice quello che pensa di quella brama diricchezza, di quei biglietti da mille accumulati sulle di-sgrazie altrui. C’è del moralismo? Direi quanto può starne nel teatro diEduardo. Però il talento è talento e stupisce sempre.Quindi, anche in quel passaggio così drammatico, è Ama-lia che reagisce in un modo imprevisto. È come se, sve-gliandosi dal suo sonno, si liberasse di tutto ciò che hadentro, in uno sfogo che è uno dei momenti più intensidella commedia. O forse, a quel punto, del dramma. A me piacerebbe essere napoletano in questo tempo diimperante leghismo, ma non lo sono e non posso leggervile battute con cui Amalia, rivolta al marito, gli chiede echiede a se stessa: ‘Ma cosa è successo? Che cosa è ac-caduto nella nostra vita che ha stravolto a questo modoi nostri valori, i nostri principi? Erano anche cose sempliciche però ci hanno consentito una vita dignitosa per tantotempo’, e ripete: ‘Ma cosa è successo?’. Sono le battutefinali. Il figlio torna a casa, non è andato a rubare, la fi-glia maggiore viene abbracciata dal padre, e il medicodice che bisogna aspettare qualche ora, anzi l’interanotte, per sapere se la bambina ce la farà.Quella bambina – è lo stesso Gennaro a dircelo – infondo è il simbolo del paese e questo gli consente di con-segnare alla storia quella battuta immortale sulla notteche deve passare. Eduardo, rievocando quella prima, hadetto di aver recitato il terzo atto in un silenzio assoluto.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 12

13

Poi, una volta calato il sipario, quel silenzio anomalo peril teatro è durato ancora qualche secondo sino a quandosono esplosi «un applauso furioso e un pianto irrefrena-bile». Piangevano tutti: attori, comparse, il pubblico, gliorchestrali del San Carlo stipati nel golfo mistico perchénon c’erano posti; e piangeva Raffaele Viviani che salì sulpalco ad abbracciare il maestro perché lui solo aveva sa-puto raccontare del dolore di tutti. E allora la domanda più banale che viene da farsi è:‘come sarebbe oggi avere uno del talento di Eduardo tradi noi – lui o qualcuno come lui – capace di mettere inprosa la stessa domanda?’. Perché guardando agli ultimiquindici, vent’anni, della vicenda del nostro paese, è ilcaso di chiederci: ‘ma cosa è successo?’. Forse è la stessadomanda che sta alla base delle quattro giornate di in-contri, discussioni, riflessioni che abbiamo voluto orga-nizzare a Pisa e di cui raccogliamo gli atti in questo vo-lume. Cosa è accaduto a questo paese che fatica tanto a libe-rarsi da un peso insopportabile? Gennaro-Eduardo parladella bambina malata nella stanza accanto come delpaese nostro: e forse è un po’ lo stesso anche per noi.Certo c’è molto di stonato in un Parlamento umiliato,chiamato a discutere e a vagliare reati come quelli chesono stati imputati al capo del Governo. La questione,però, non riguarda il decoro. Il punto è nel contesto, nelcorredo, cioè in un’idea del potere che è finito piegato aldesiderio, alla proiezione di un io spinto oltre i confini sto-rici che questo paese, pure segnato da una storia tor-mentata, non aveva mai conosciuto. L’interesse privatoche si fa improvvisamente interesse dello Stato con una

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 13

14

regressione politica e civile di un paio di secoli. Alla basevi è l’idea di una politica spogliata, dominata dall’interessepersonale in una deriva dalla quale, secondo me, senzatroppe lacrime, è scomparso ogni carisma collettivo. Il lin-guaggio – voi lo sapete – rivela sempre il pensiero: noi inquesti anni, forse non per caso, abbiamo sempre utilizzatol’aggettivo al singolare, parlando di una ‘personalità ca-rismatica’, di una ‘leadership carismatica’. Da anni quasinessuno parla di un ‘movimento carismatico’, di un ‘par-tito carismatico’, quasi che la dimensione collettiva abbiaperduto quella forza di attrazione che a lungo avevapreservato. Gli effetti sono quelli che abbiamo sotto gli occhi: utiliz-zare lo Stato a proprio vantaggio, dettare leggi, blindareil consenso o addirittura acquistarlo per accentuare finoallo spasimo la misura di sé e del proprio desiderio, a tuttii livelli. A destra tutto questo si è tradotto in istituzioni chenon sono più sovrane: oggi in Italia il primo cerchio deicollaboratori del Premier coincide, letteralmente par-lando, con il suo collegio di difesa, in una logica che dav-vero corrisponde a una privatizzazione dello Stato: ‘Lamattina mi difendono nelle aule dei tribunali, il pomerig-gio mi tutelano nelle commissioni parlamentari dove scri-vono le regole che serviranno la mattina dopo a difen-dermi meglio nelle aule dei tribunali’. A destra c’èesattamente questa paurosa regressione della dimen-sione pubblica – che non ha paragoni in Europa o nelledemocrazie avanzate – con un uomo solo, ancora al co-mando, destinato a comandare fino all’ultimo istanteutile. Eppure – se ne può star certi – non appena spro-fonderà, un attimo dopo, secondo il drammatico co-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 14

15

stume di questo paese, verrà seppellito dal discreditonon solo e non tanto delle opposizioni, ma soprattutto dimolti dei suoi adulatori di oggi.Questa è la destra. Ma di qua, dall’altra parte – ed è la ra-gione delle giornate pisane – in quella dimensione cultu-rale e politica che è stata la sinistra italiana, il centro-si-nistra italiano, la domanda, anche scomoda, che credo cisi debba porre è: ‘Noi possiamo dirci del tutto inno-centi?’. Possiamo credere di non avere delle responsabi-lità nella discesa del paese verso un costume confuso,verso un linguaggio così impoverito? E non dovremmochiederci anche noi, un po’ come fa Amalia nel terzo atto:‘Ma cosa è successo?’? In fondo l’Italia è stata ed è ungrande, un grandissimo paese, uno dei più grandi del-l’Europa e del mondo, dal punto di vista della propria tra-dizione, della propria cultura, delle proprie radici. Dadove arriva, allora, questa ondata di cinismo che troppospesso ha spinto la politica a pensare che tutto si potesseridurre alla tattica o all’efficientismo? Abbiamo assistito alla presentificazione del tempo e dellapolitica, mentre il senso comune del paese sotto i nostriocchi cambiava natura, e perdeva persino alcuni dei trattiprofondi della sua storia e del suo civismo. Quando è stato, se c’è stato, il momento in cui ci siamocome assopiti? Io lo chiedo anche alla mia parte, alla miaesperienza politica precedente. L’onda, la risacca si èspinta fino a portarci via i vestiti, che magari non eranotroppo eleganti ma erano i nostri, lasciandoci a sperare diindossare gli abiti di altri. Lo dico perché se, tra tantecolpe, ce n’è una che la destra non ha, è di aver sugge-rito a tutti di imitarla, perché quella in fondo era la sua

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 15

16

missione. A volte lo ha fatto con uno stile più presenta-bile, ma i suoi valori di fondo negli ultimi trent’annic’erano e si sono visti. Lo si capisce bene, almeno io l’ho capito in maniera ab-bastanza illuminante, leggendo il testo dell’audizione cheAlan Greenspan – il potentissimo capo della FED ameri-cana – ha rilasciato ai deputati del Congresso. È un’audi-zione del 2008, quando la peggiore crisi del secolo ora-mai era un tratto manifesto, e l’uomo che era tra imaggiori responsabili di quella situazione – a fronte diun’economia saltata per aria e con una situazione gra-vissima delle banche e degli istituti di credito – dice sin-ceramente quello che pensa. Lo fa con queste parole:«Ho trovato una falla, non so quanto grave o duratura,ma il solo fatto che esista mi ha sconvolto». Allora un de-putato democratico gli chiede: «In altre parole, Lei ha sco-perto che la sua visione del mondo, la sua ideologia nonera giusta, che non funzionava», e Greenspan risponde:«Proprio così, è esattamente questo che mi ha colpito,perché sono andato avanti per più di quarant’anni nellacertezza assoluta che funzionasse benissimo». Viva la sincerità! Ma questo è accaduto: è crollato un mo-dello economico, finanziario, politico e sociale fondato suvalori solidissimi, e in quel modello per tanto tempo le fi-gure centrali sono state consumatori e proprietari. Si rac-conta – non so se l’aneddoto è vero – che la signora That-cher brindò la mattina in cui le comunicarono che ilnumero degli azionisti aveva superato il numero degliiscritti ai sindacati. Dal suo punto di vista si trattava di unavittoria, non c’è dubbio. Poiché, però, la maggior partedella popolazione non era in grado di giocare quella par-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 16

17

tita, le diseguaglianze aumentarono, e noi oggi facciamoi conti con società che sono più ingiuste, più insicure e,nel complesso, anche più infelici. Questo non è stato unfenomeno banale: in fondo, se ci pensiamo un istante, piùo meno dalla fine del XIX secolo fino agli anni Settanta delNovecento le società avanzate dell’Occidente sono pro-gressivamente diventate, tutte – qualcuna più, qualcunameno – meno diseguali. Molto lo si deve alle culture diquesta parte del campo, grazie alla tassazione progres-siva, ai sussidi pubblici, al welfare: le democrazie mo-derne, cioè, hanno operato per liberarsi dal problema de-gli eccessi di ricchezza e di povertà. Negli ultimi trent’anni questa tendenza si è invertita, enon solo nei fatti, negli indicatori economici, ma, per laprima volta dopo decenni, si è invertita culturalmente: ladiseguaglianza, con il correlato di società sempre più di-seguali, non è più stata considerata un disvalore. In-somma, di là c’è stato un pensiero e in quell’impostazioneelementi come l’etica pubblica e uno Stato regolatorecontavano molto meno o finivano addirittura per noncontare affatto.Noi – e credo che i contributi qui raccolti siano preziosi perragionare anche di questo – forse abbiamo sottovalutatoper una fase il bisogno di contrapporre a quel pensiero,che era un pensiero solido, storicamente forte, un im-pianto diverso e non per forza meno ambizioso. Il PD –almeno così l’ho inteso io – lo abbiamo voluto esatta-mente per colmare questo ritardo. Intendiamoci: in parteha pesato anche la forza degli eventi ma la riflessione deLe parole e le cose dei democratici, può aiutarci a scavareun po’ più a fondo anche sui limiti della cultura politica e

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 17

18

di governo della nostra parte. Lo dico con un esempio cheè parziale, come tutti gli esempi, ma secondo me indica-tivo e che si trova nel bellissimo ‘testamento’ di Tony Judt,Guasto è il mondo, pubblicato in Italia da Laterza. L’esem-pio parla del nostro campo: alla metà degli anni Novanta,nel 1996 per l’esattezza, l’amministrazione Clinton varòuna legge sulla responsabilità personale e sulle opportu-nità lavorative: lo scopo era ridurre il numero degli indi-vidui a carico dell’assistenza pubblica negando le presta-zioni sociali a tutti quelli che non avevano accettatoun’occupazione retribuita. Considerando che in questomodo un datore di lavoro poteva trovare un lavoratorea qualsiasi salario, perché c’era un elemento oggettivo diricatto, oltre a sgravare l’assistenza pubblica si ottenne an-che di ridurre i salari e i costi delle imprese; inoltre il wel-fare, o, meglio, quel modello particolare di welfare cheesiste anche negli Stati Uniti, acquistò un esplicito mar-chio negativo: era un po’ un segno di fallimento perso-nale, la prova che si era precipitati ai margini della società. Tony Judt, provocatoriamente, fa un paragone: quellalegge – afferma – ricorda un’altra legge, assai più antica,approvata in Inghilterra quasi due secoli prima, la NewPoor Law, del 1834, descritta compiutamente da Dickensin Oliver Twist. Quella legge obbligava gli indigenti deltempo a scegliere tra un lavoro a qualsiasi salario oppurel’umiliazione dell’ospizio per i poveri. Ma per il successivosecolo e mezzo i riformatori hanno cercato con ognimezzo di abolire queste pratiche degradanti: quel tipo dilegge è stato sostituito da una rete di assistenza da partedello Stato che è stata concepita per la prima volta nelledemocrazie come una forma di cittadinanza, come un di-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 18

19

ritto, e noi siamo esattamente i portatori di quella cultura.Chi non aveva un lavoro non era più considerato re-sponsabile della propria sventura, ma più di ogni altracosa gli Stati sociali del XX secolo hanno decretato che de-finire lo status civico di una persona in ragione della for-tuna o della sfortuna, del censo o della famiglia in cui siè nati, era un’autentica indecenza. Precisamente da qui veniamo noi. La destra in questianni ha tentato di riportarci invece a quell’approcciotardo-vittoriano, e anche il nostro vocabolario ne ha ri-sentito. Dal momento che noi non solo pensiamo in una lingua,ma la lingua, come è stato detto autorevolmente, pensacon noi e a volte pensa per noi, abbiamo finito conl’usare più frequentemente le parole degli altri, rinun-ciando talvolta a cogliere la radice di umanità, l’umane-simo profondo che era contenuto nel nostro vocabolario,a partire da quella straordinaria parola di cui discuteretein questi giorni, ‘uguaglianza’ e, con essa, le espressioni‘libertà’ e ‘responsabilità’.Affrontare questi temi non è qualcosa di molto distantedalla miccia che ha incendiato il Mediterraneo con mo-vimenti prevalentemente di giovani, dove in manieramolto stretta si saldano bisogno di libertà, rivolta socialee domanda di futuro. È l’idea, tutto sommato antica, chei diritti non siano un bene astratto ma il risultato storicodi traguardi e anche di conflitti. Se però si affida al mer-cato e solo al mercato questo enorme capitolo della de-mocrazia, si corre il rischio di perdere lungo la via sia lapolitica sia la cultura: la conseguenza sarà una societàconsapevole di quanto costino le cose, ma meno consa-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 19

20

pevole di quanto esse valgano. Prima o poi, allora, penso che dovremo fare quello che fe-cero le forze politiche e i grandi intellettuali in Italia dopoil fascismo. A lungo ci si è interrogati su che cosa fossestata la cultura al tempo del fascismo e se si potesse par-lare di una cultura fascista in senso proprio. Tre grandi in-tellettuali come Bobbio, Garin e Del Noce, diedero ri-sposte diverse. Bobbio, ad esempio, ha sempre negatorisolutamente l’esistenza di una cultura fascista. Ma, in-dipendentemente dalle risposte, io credo che, forse conminori ambizioni, una domanda analoga dovremmo por-cela anche noi. Dovremmo chiederci se c’è stata, e checosa ha prodotto, una cultura negli anni della destra e inparticolare di questa destra berlusconiana. In fondo, ab-biamo voluto e pensato in questa logica l’appuntamentodi Pisa. Penso alle dichiarazioni di intenti di Vittorini sul primo nu-mero del Politecnico, dove scriveva: «vogliamo far sor-gere una nuova cultura che aiuti a eliminare lo sfrutta-mento e a vincere il bisogno, la cultura italiana deldopoguerra». Era un programma molto ambizioso, forsetroppo. Tuttavia, tra quel traguardo così elevato e un ri-piegamento culturale, credo che debba esserci una viamediana, anche dotata del coraggio di andare contro lospirito del tempo e contro il sentimento prevalente. Iopenso che lo avesse capito benissimo un uomo comeTommaso Padoa-Schioppa quando, in controtendenzarispetto allo spirito del tempo, andò in televisione a dire,col sorriso sulle labbra, che pagare le tasse è una cosabella in una democrazia, perché serve a garantire lescuole pubbliche, i teatri, gli spazi civici dove la demo-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 20

21

crazia si manifesta e si esprime. Per quella battuta venne crocifisso. Tutti noi, forse,avremmo dovuto difenderlo di più, perché il suo era unmodo di introdurre nel dibattito pubblico di questo paesela reazione giusta a un clima. A quella domanda – ‘che è successo?’ – noi dobbiamodare una risposta. E allora, in assenza di un genio comeEduardo De Filippo che ci suggerisca le battute finali,l’unico modo, secondo me, è tornare a fidarci di noi e ri-cucire la trama di coerenze e buone pratiche, fuori dallalogica della retorica dei palchi e degli studi televisivi; infondo si tratta soltanto di ripartire dal paese che c’è, cheesiste, che è vitale, che è ricco, che è bello e che tutto cichiede meno che un’alternativa grossolana tra la povertàe le paillettes. E allora ha da passà ‘a nuttata anche pernoi, ma prima tocca a questo paese svegliarsi: noi lostiamo spronando in questa direzione. Stiamo cercandodi spiegare che senza PD questo risveglio non ci sarà osarà molto più complicato, perché oggi questo partito èla sola vera speranza di rinascita e di riscossa, di risorgi-mento verrebbe da dire, se non fosse un termine troppoambizioso, per un paese segnato da un degrado civile emorale che non trova riscontri nella nostra storia recente. Ecco: di questo e altro ancora abbiamo discusso a Pisa conl’auspicio di aiutare il PD non solo a vincere le elezioni,quando saranno – speriamo presto – ma soprattutto amotivare il senso profondo e la prospettiva della nostraesistenza. Un senso e una prospettiva che davvero, comesi diceva una volta, vengono da lontano. In questo sensoho sempre apprezzato molto la citazione di Adam Smithche tanti, tanti anni fa diceva testualmente: «nessuna so-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 21

22

cietà può essere florida e felice se la grande maggioranzadei suoi membri è povera e miserabile». Lo diceva il pa-dre dell’economia moderna, un uomo che non per casoè stato, prima di tutto, un filosofo morale e poi un eco-nomista. A noi tocca incamminarci su quella strada.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 22

23

I partiti della Prima Repubblica avevano pregi e difetti, an-che se la storiografia recente tende a enfatizzare soprat-tutto i secondi. Tra i pregi c’era sicuramente l’attenzionededicata alla formazione politica. Era un impegno one-roso, in termini sia di tempo che di risorse. Ma dava i suoifrutti. Come spesso accade, il valore delle cose risaltamaggiormente quando non ci sono più. E questa è unamancanza che si fa sentire, oggi che la politica italiana at-traversa una delle stagioni più difficili, in termini anzituttodi credibilità.È anche per questo che siamo orgogliosi di quello che ab-biamo organizzato a Pisa. Se avete tra le mani questapubblicazione significa che il Seminario di formazionepolitica Le parole e le cose dei democratici è stato un suc-cesso. Lo testimoniano i numeri, anzitutto: 250 parteci-panti, per la maggior parte ragazzi, provenienti da tuttaItalia. Otto ‘lezioni’ in tre giorni, durante le quali si sonoconfrontati decine di docenti universitari, politici, giorna-listi e analisti, tutti a vario titolo autorevoli protagonistidella storia recente del nostro paese. Ne è emersa una ri-flessione approfondita, connotata da un respiro più am-pio di quello permesso dall’attualità mediatica, troppocondizionata da spazi ristretti e ritmi serrati. Nell’era dellacomunicazione istantanea, abbiamo provato a riappro-

Prefazione

Francesco NocchiSegretario provinciale PD Pisa

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 23

priarci di un certo modo di ragionare, caratterizzato datempi più lunghi. Quelli che sono propri, per l’appunto,dei momenti formativi. E non sta a me dire quanto, inquesto momento, ci sia bisogno di incidere sulla culturapolitica, la base valoriale, i modelli di riferimento. So-prattutto delle giovani generazioni. In ballo c’è un’iden-tità forse ancora da costruire, certamente da rafforzare.Uno dei pregi del Seminario è stato quello di far conviverela riflessione sul passato con lo sguardo gettato sul futuro.E così a discussioni sulla memoria del Novecento e sullegrandi biografie della politica italiana si sono affiancati in-contri sull’Europa e la Rete. Sempre mantenendo fisso ilPartito Democratico come orizzonte di riferimento. Tuttala tre giorni pisana può essere intesa come un contributoal rafforzamento del PD e di quella cultura riformista cheè propria del centrosinistra, italiano ed europeo.Quando abbiamo deciso di organizzarlo, questo eventoci entusiasmava ma ci incuteva anche un certo timore. APisa – città che pure vanta una tradizione politica con po-chi eguali – non c’era mai stato nulla del genere. Oggipossiamo dire con un certo orgoglio che il risultato è an-dato perfino oltre le nostre aspettative. Questo ci inco-raggia a riprovarci. Pisa ha dimostrato di possedere forza,competenze e capacità sufficienti per ripetersi. Vorremmotrasformare il Seminario 2011 in un appuntamento fisso,e fare di Pisa la sede permanente di uno spazio formativodedicato soprattutto ai giovani.Se però il successo ottenuto ci spinge a pensare già allaseconda edizione, non possiamo dimenticare chi ha resopossibile lo svolgimento della prima. Con impegno e pas-sione. A partire ovviamente dai relatori e da tutti coloro

24

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 24

25

che hanno partecipato alle lezioni. Poi gli organismi diri-genti e il personale del PD di Pisa, e soprattutto i GiovaniDemocratici. Senza di loro probabilmente non ci sa-remmo neanche avventurati in questo progetto. Infine unringraziamento particolare ad un relatore che...non c’era:Miriam Mafai. È inutile dire quanto ci avrebbe onorato lasua presenza. L’abbiamo invitata, non ci ha potuto rag-giungere. Ma l’interesse che ha mostrato e la gentilezzacon cui ha risposto ci impone anzitutto di ringraziarla, maci fa anche sperare di poterla avere con noi in futuro. In-sieme a tutti gli altri.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 25

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 26

27

L’espressione «Schibboleth», in cui si riconoscono ungruppo di intellettuali che guarda con grande attenzioneal Partito Democratico, è sicuramente molto di più di unasemplice suggestione letterario-filosofica. L’origine-co-stellazione semantico-concettuale si può ritrovare nella sil-loge dedicata da Jacques Derrida al grande poeta di lin-gua tedesca Paul Celan, Schibboleth-pour Paul Celan, incui viene ad indicare in primo luogo il valore della con-di-visione, un valore che esprime contestualmente «la dif-ferenza, la linea di demarcazione o lo spartiacque, lascissione, la cesura, quanto, d’altra parte, la partecipa-zione…». Si tratta di un paradigma prezioso per il legameindissolubile istituito tra differenza, linea di demarca-zione e partecipazione/con-divisione e può essere utiliz-zato utilmente per una riformulazione del concetto di lai-cità che sia in grado, senza avventurarsi in semplificatoried impraticabili eclettismi, di rinnovare categorie e lin-guaggio del Partito Democratico.Rinnovamento che non potrà prescindere da questa strut-tura aperta di con-divisione e partecipazione; lo spaziopolitico riempito da tale con-divisione non dovrà mai es-sere alternativo alla realizzazione dell’individuo quantopiuttosto il luogo del confronto e del riconoscimento re-ciproco.

Introduzione

Per una rifondazione del concetto di laicitàll Comitato editoriale della rivista Inschibboleth

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 27

28

Le parole e le cose dei democratici

Ovviamente per una revisione-approfondimento del con-cetto di laicità non possono essere ignorati i problemiemersi nell’ultima parte del secolo XX, la sfida della glo-balizzazione e delle società multiculturali. Sono in pro-posito interessanti le risposte fornite in primo luogo daHabermas. Per il filosofo tedesco la società contempora-nea è una società «postsecolare», ossia una società che«deve prevedere il persistere di comunità religiose entroun orizzonte sempre più secolarizzato». Una società com-piutamente secolarizzata nella quale, tuttavia sia venutameno la collisione fra una forma mentis laico-militante(laicista) e la forma mentis religiosa. L’auspicio conclusivodi Habermas, che si può largamente condividere è, dun-que, quello della formazione di una «sfera pubblica po-lifonica» (l’aggettivazione musicale risulta in propositomolto pregnante), in cui le ragioni religiose e quelle se-colari possano coesistere ascoltandosi reciprocamente.Una sfera pubblica, concepita come inclusiva e non esclu-siva, che ponga fine all’ingiustizia di richiedere dallo Statoliberaldemocratico ai suoi cittadini credenti una suddivi-sione d’identità (in una parte pubblica ed in una pri-vata). Un’interpretazione critica del paradigma francesedi laicità, di cui rappresenta una versione alternativa im-portante, quando recita che «la generalizzazione politicadi una concezione del mondo di tipo secolare non ècompatibile con la neutralità ideologica del potere statale,che garantisce eguali libertà etiche per tutti i cittadini».Abbiamo scelto intenzionalmente Habermas e la sua pro-posta di una rifondata ed allargata nozione di laicità inquanto crediamo fermamente nella funzione di una rin-novata ‘teoria critica’ che sappia leggere nel profondo efiltrare criticamente l’idea di ibridazione che ha governato

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 28

29

il destino della modernità occidentale. Anche in questocaso il Partito Democratico è riuscito ad esprimere unaproposta, interessante sul piano teorico, e costruttiva suquello politico. Si può consultare in proposito il recentis-simo libro di Vannino Chiti, Religioni e politica nel mondoglobale. Le ragioni di un dialogo (Firenze, Giunti, 2011).

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 29

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 30

31

PLENARIA D’APERTURA

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 31

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 32

33

Nel tempo a mia disposizione, vorrei riflettere sul rapportotra cultura politica e formazione, sullo stato della demo-crazia nel nostro paese in rapporto al ruolo dei partiti e suicompiti della formazione politica. Infine, mi eserciterò acondividere, insieme a voi, le parole e le cose del nostroPD, come recita il bel titolo del Seminario. In questi giorni, come Dipartimento Nazionale Forma-zione, stiamo completando una ricerca, che diffonderemoa breve, sulla formazione politica nei principali partiti eu-ropei, con un excursus anche su Stati Uniti e Brasile.Una delle cause di crisi della democrazia consiste, a no-stro avviso, nella rottura del circolo virtuoso tra culturapolitica, organizzazione e formazione delle classi diri-genti. È significativo che su questo versante l’ultima ri-cerca strutturata risalga agli anni Novanta del secoloscorso, a vent’anni fa. I curatori di questa ricerca riflette-vano sulla crisi dei partiti di massa e sulle problematichedella democrazia rappresentativa e individuavano nel-l’aggiornamento e nel rilancio dell’attività formativa, nelcuore degli anni Novanta, un possibile rimedio alla crisistessa. In questa ricerca la formazione veniva vista comeuna necessità per i partiti, non tanto per conservare il lororuolo, quanto per mantenere la caratteristica di partiti de-mocratici e popolari.

Annamaria Parente Responsabile Formazione, Segreteria nazionale PD

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 33

34

Credo che questo sia ancora molto attuale nel 2011. Loè sicuramente per la costruzione del nostro giovane PD,dove la formazione politica può contribuire allo sviluppodi un partito democratico e popolare.Gustavo Zagrebelsky sostiene che in questo momentostorico bisogna ridare anima alla democrazia. E non ba-stano le Carte costituzionali, non basta neppure la nostra,che è bellissima: per rianimare la democrazia è fonda-mentale un ethos diffuso. Quando Zagrebelsky definiscel’art. 1 della Costituzione – «L’Italia è una Repubblica de-mocratica» – egli scrive che, da una parte, si tratta di unadescrizione della forma politica del nostro paese, ma che,dall’altra, è una norma programmatica, che invita adun’azione per la democrazia. Pensate, ad esempio, alla scuola pubblica, al tentativo delsuo smantellamento da parte di questo governo:avremmo immaginato fino a qualche anno fa di dover di-fendere e precisare il carattere pubblico della scuola? Lascuola pubblica è un diritto del cittadino, costituzional-mente previsto, è un diritto dei cittadini! Eppure la normanon è sufficiente a metterci al riparo, è necessario sem-pre ‘agire’ per la democrazia, stimolare costantementeuna ‘passione’ diffusa per essa.Ancora Zagrebelsky afferma che «due sono i modi perprosciugare la democrazia: chiuderne le condotte o spe-gnerne il desiderio». Probabilmente in Italia corriamotutti e due questi rischi. Per riaccenderne il desiderio – qui vengo al compito delpartito e della formazione politica – bisogna riscoprire ilsenso del ‘noi’ nella politica, la partecipazione dei citta-dini e delle cittadine alle scelte.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 34

35

È necessario inoltre porsi la domanda: dove e come siforma l’opinione pubblica? Molto spesso attraverso il ca-nale televisivo. Prima i partiti venivano definiti ‘facilitatori’della formazione dell’opinione pubblica: adesso, invece,in questo mondo in cui siamo bombardati da immagini einformazioni, è molto difficile per le persone costruirsiun’opinione basata su una profondità di analisi.È molto importante per il Partito Democratico creare luo-ghi come questo e come tanti altri in cui si sviluppa‘senso critico’. Hannah Arendt scriveva, riferendosi al-l’avvento della società di massa, che noi viviamo in unasorta di ‘fabbricazione di immagini’. Dobbiamo romperequesto muro. Come i grandi partiti di massa, anche attraverso le scuoledi politica, hanno contribuito fortemente alla partecipa-zione allo spazio pubblico di intere generazioni e al-l’emancipazione stessa di molte persone, i partiti odiernidevono impegnarsi per una nuova ‘alfabetizzazione de-mocratica’.Per questo i principali terreni di impegno del Diparti-mento sono essenzialmente tre:la formazione per gli amministratori, con un portale de-dicato in cui raccogliamo esempi di buone pratiche localie una piattaforma di Formazione a Distanza. La nostraparte politica storicamente fa ‘scuola’ di governo del ter-ritorio. Vi propongo di aprire anche qui, come in altrezone del paese, un Laboratorio di politica sulle prassi dibuon governo locale;la scuola estiva di Cortona, cui molti di voi partecipano.Il tema per il 2011 è Democrazia e Crescita Economica;Officina Politica, un percorso di formazione ‘lungo’ di un

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 35

36

anno per quaranta ragazzi e ragazze sotto i trent’anni,provenienti da tutte le Regioni italiane.Chiudo con un esercizio sul titolo: Le parole e le cose deidemocratici. Le nostre parole, le nostre cose, devono na-scere, crescere, coltivarsi, in un ambiente ‘caldo’, in un al-veo di comunità: quando si fa formazione, si sta insieme,ci si esercita a stare nell’agorà della politica. La formazioneè anche ‘affettività’ perché la politica, per ritrovare quelsenso del ‘noi’, deve accompagnarci in percorsi collettiviper compiere azioni per la democrazia e condividere pas-sione politica. Il nostro partito sta compiendo da qualche mese un per-corso programmatico, iniziato «quasi in clandestinità», se-condo l’espressione del Segretario Bersani. Percorso cheha alla base valori e idee forti, ‘le nostre parole e le no-stre cose’: comunità, solidarietà, coesione sociale, ugua-glianza nel rispetto delle differenze, il lavoro come nostraidentità fondante, lo sviluppo sostenibile. Quindi da que-ste parole forti, da queste cose forti stanno discendendole nostre proposte. Il punto adesso è approfondirle, organizzarle, diffonderlenei Circoli. Accogliendo anche le proposte dei cittadini edelle cittadine per fare democrazia, praticarla, costruiresempre di più il nostro partito, perché il PD ha tutte lecarte in regola per essere sempre più forte in Italia e in Eu-ropa.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 36

37

Come Segretario dei Giovani Democratici regionali, dapoco eletto peraltro, voglio ringraziare l’organizzazionepisana, il partito pisano, e tutti i livelli del partito chehanno permesso di essere qui oggi e per tutto il weekenda parlare e a praticare qualcosa che spesso sembra esserscaduto e relegato alle prassi del secolo passato: la for-mazione politica. Viviamo il serio rischio, infatti, attraverso la televisione,che tutto sia banalizzato e trasformato in comunicazione:rischiamo di approdare a una concezione della politica percui tutto è semplice, tutto è fattibile, e in questo quadrola formazione diventa démodé, un argomento di cui nonparlare e un’attività da non praticare. Io credo invece che la formazione debba essere, e sem-pre di più, elemento centrale della vita del Partito De-mocratico e dei Giovani Democratici. È la formazionel’unico strumento attraverso cui provare a ricostruire unanuova classe dirigente, quella che dovrà prendere il Par-tito Democratico in mano: la prima generazione demo-cratica per davvero non potrà essere costruita né attra-verso il trucco né attraverso la propria capacità di stare sulpalcoscenico televisivo. Dovrà essere costruita, al contrario, con la preparazione,con la capacità di affrontare e risolvere i problemi: qua-

Andrea Giorgio Segretario regionale GD Toscana

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 37

38

lità che ci renderanno la generazione in grado di prenderee di farci consegnare da altri le responsabilità di governoche a tutti i livelli ci spettano. Nel 2011 e nel Partito Democratico la formazione di par-tito sicuramente non basta: ai giovani di oggi, a chi faràpolitica domani, servirà aver fatto anche altro: aver viag-giato, essersi confrontati con i giovani europei, aver fattol’Erasmus. Servirà, insomma, riuscire a portare, anchecostruendolo con le proprie esperienze all’estero, unosguardo sul futuro. In questo dobbiamo riuscire a metterea confronto nuove e vecchie leve della politica, nuove evecchie idee e visioni, nuove e vecchie culture politiche.Dobbiamo ricordarci che il Partito Democratico non vienedal nulla, non lo abbiamo trovato sotto i cavoli: ha radiciprofonde e occorre riconoscerglielo per garantirgli unfuturo lungo. Quattro giorni di formazione e cultura politica sul temaLe parole e le cose dei democratici. «Le parole sono im-portanti», diceva Nanni Moretti qualche anno fa, ed èdello stesso parere anche un nostro parlamentare, Caro-figlio, in un suo recente libro. È indubbio che noi abbiamo bisogno di avviare un ragio-namento serio sulle parole: viviamo una condizione in cuila Repubblica, il futuro, i diritti, la dignità sembrano nonavere più nessun senso oltre la retorica. Da qui dob-biamo ripartire nella nostra discussione per provare a ri-dare un senso e un peso a tutto questo. In merito alle cose, invece, abbiamo seriamente rischiatodi costruire la sinistra del 2011 e quella del futuro sullabase di una pura rincorsa della destra. Io credo invece chesia possibile organizzare e pensare la sinistra del terzo mil-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 38

39

lennio senza inseguire alcuna forza politica ma mettendoal centro le nostre idee, reinterpretando i nostri valori erendendoli vivi nell’oggi. Rischiamo invece di lasciare di-sorientato un pezzo consistente di società quando ribal-tiamo tutto il nostro lavoro e diciamo che quanto fatto edetto fino a ieri è da buttare via del tutto. Dobbiamo tornare a dire le nostre parole: giustizia, la-voro, uguaglianza, pace, libertà, ambiente, sviluppo, Eu-ropa. La vera sfida è riuscire a far vivere questi valori oggi,senza andare a cercarne di altri; farli rivivere con nuovimezzi, nuovi strumenti, adattarli alla società che ci tro-viamo davanti oggi. Credo che le nuove generazioni – iGiovani Democratici ma anche tutti coloro che ancoranon fanno politica e vorranno venire a farla con noi av-vicinandosi al PD – siano il vero strumento per portare ilPartito Democratico nel futuro. Ne sono convinto sem-plicemente perché le nuove generazioni hanno le antennesul presente e possono essere maggiormente in grado didare una lettura del futuro, e penso che sia un loro do-vere mettersi a disposizione in questo senso. Un dovereperché saremo noi le generazioni che il futuro lo vi-vranno e che ci si dovranno confrontare e anche scon-trare. Noi siamo una generazione fatta di precari, di stu-denti fuori sede che non hanno più diritto allo studio; unagenerazione di stagisti, una generazione che ha coetaneidi colori della pelle diversi, che provengono da paesi di-versi, con cui oggi non riusciamo a relazionarci a causa diun sistema che li rende lontani da noi per tutele e diritti,per le prassi di cittadinanza nel nostro paese. Noi siamouna generazione che viaggia e che studia. Io credo che il Partito Democratico abbia un grande bi-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 39

40

sogno di momenti di confronto e discussione come quellodi oggi, e abbia anche un grande bisogno di noi tutti, deigiovani e dei grandi, per essere all’altezza della sfida cheabbiamo davanti.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 40

41

Comincio partendo da una mia esperienza specifica, av-viata nel giugno 2007 assieme a un gruppo di amici e col-leghi dell’area italiana di filosofia morale e politica. Con al-cuni politici e alcuni professori universitari, che si sonoriconosciuti in questo progetto comune, abbiamo fondatola rivista Inschibboleth: una rivista che non ha ancorauna veste cartacea, ma che si serve principalmente dellaRete. Abbiamo calcolato tutti i rischi che un’operazione diquesto di questo tipo poteva comportare, ci siamo misu-rati con le difficoltà della cosiddetta ‘democrazia infor-matica’: ciò nonostante, abbiamo ritenuto che questafosse alla fine la scelta migliore. Non bisogna dimenticareche abbiamo avuto nel 2008 l’esperienza delle elezionipresidenziali degli Stati Uniti: la vittoria di Obama è statacostruita proprio sulla Rete, con la partecipazione di tan-tissimi giovani, con donazioni online di persone della so-cietà civile. Le ultime elezioni statunitensi, cioè, hanno di-mostrato in maniera inequivocabile che il primato della‘spettatorialità’ televisiva che ancora domina nel nostromondo politico è già, negli Stati Uniti, un’esperienza mar-ginale, ormai alle nostre spalle. Abbiamo scelto, dunque, questo strumento perché cisembrava il più democratico, nonostante tutti i rischi chequesta operazione potesse comportare. Ci siamo poi in-

Elio Matassi Professore di Filosofia della Storia,Università Roma Tre, membro del comitato direttivo di Inschibboleth

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 41

42

terrogati sul ruolo degli intellettuali nella società contem-poranea: non possiamo non costatare che l’esperienza del-l’intellettuale organico rappresenta un’esperienza moltoimportante ma ormai datata. Nella contemporaneità gli in-tellettuali sono stati attraversati da una contraddizione difondo: o si sono rifugiati nello specialismo iper-accade-mico, totalmente autoreferenziale e avulso dai problemi,dalla società in cui vivono, oppure si sono resi correspon-sabili del circuito mediatico spettacolare, diventando aquesto funzionali. Gli intellettuali che si riconoscono nelprogetto di Inschibboleth, invece, hanno cercato, e cer-cano, di tenersi egualmente distanti da queste due visionidell’intellettuale, fuorvianti allo stesso modo. È stato sollevato negli interventi precedenti il tema fon-damentale della formazione politica: diventa sempre piùimprescindibile e necessaria una formazione politica dellaclasse dirigente. Una formazione politica di cui ha bisogno,certo, il nostro partito ma anche l’intera futura dirigenza,nei vari campi, di questo paese. Manca sempre di più inchi guida l’Italia quella dimensione progettuale che noistiamo tentando di restituire alla politica: non si può con-cepire l’attività politica esclusivamente come politiqued’abord, come amministrazione dei problemi del pre-sente, come pura efficienza amministrativa o tecnocratica.Quella che io con una brutta espressione letteraria defi-nisco la ‘presentificazione della politica’, che si manifestain maniera estrema, per esempio, negli amministratoridella Lega e nella loro demonizzazione della parola ‘fu-turo’, non ci appartiene e non deve sedurci. Sembra, invece, che ci sia un totale ostracismo della pro-gettualità: sembra quasi che il politico, o la politica, pos-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 42

43

sano rimanere schiacciati sulla dimensione del presente enon debbano configurare all’interno di questa anche unaprospettiva che sia rivolta al futuro. Badate bene: questoè un vizio gravissimo. Basti citare uno dei più grandi clas-sici del pensiero, Immanuel Kant, che fondava tutta la suafilosofia sulla distinzione tra presente e futuro, tra esseree dover essere. Chi non accetta in linea di principio una di-stinzione di questo tipo ovviamente non può che distrug-gere l’etica e la stessa democrazia. La distruzione dell’eticae la distruzione della democrazia nascono proprio dallamancata messa a fuoco della differenza tra la dimensionedel presente e quella del futuro che l’attuale classe poli-tica dirigente del paese non riesce in alcun modo a realiz-zare. Per venire poi al merito dei due problemi che vorrei solle-vare in questo intervento, noi prendiamo molto sul seriol’aggettivo che ci siamo scelti per il nostro partito, ‘De-mocratico’. Noi intendiamo questo aggettivo nel modo piùforte e pregnante perché abbiamo una visione non mini-malistica ma integralistica della democrazia: riteniamo,cioè, che la democrazia sia non il meno peggiore, ma il mi-gliore tra i sistemi possibili. Ovviamente, perché sia il mi-gliore, la democrazia deve recuperare anche il suo spiritooriginario: non può essere solo una democrazia pura-mente rappresentativa ma deve saper essere anche, esempre più, una democrazia partecipativa. Il nostro par-tito, come dire, sta già tentando di mettersi all’interno diquesto progetto, con l’istituzione, per esempio, delle pri-marie, che danno luogo a un momento di grande parte-cipazione: basti pensare alle recentissime primarie di To-rino per la scelta del candidato sindaco per la coalizione di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 43

44

centro-sinistra, che hanno mostrato un successo crescentedi partecipazione. Il momento della partecipazione è unmomento costitutivo, altrettanto quanto quello della rap-presentanza, per l’affermarsi dello spirito democratico. Altro tema che io ritengo decisivo per la nostra discussionee per la piena realizzazione della democrazia: non pos-siamo chiudere gli occhi di fronte alla crisi finanziaria de-gli ultimi anni, che a un certo punto abbiamo subito e chesta minacciando seriamente le premesse stesse del viveredemocratico. Io credo che la versione estrema del capita-lismo, che sta nella sua odierna declinazione finanziaria, siala più seria minaccia per l’ideale democratico, non solonella sua versione partecipativa ma anche sotto il profiloliberal-rappresentativo. Oggi, paradossalmente, la mi-naccia maggiore viene proprio dalla funzione delle oli-garchie tecnocratico-economiche che hanno progressiva-mente svuotato ed estenuato l’ideale della democrazia, alivello tanto rappresentativo quanto partecipativo. In riferimento alle nuove culture politiche di cui si parlavanegli interventi precedenti, io credo che noi con questa esi-genza dobbiamo misurarci seriamente. Non è necessarioscomodare uno dei nostri più grandi classici, Karl Marx, percapirlo; basta leggere, in modo serio e approfondito, unautore che non ha fatto mai parte del nostro vocabolarioideale della politica, Adam Smith. Basti pensare a un bel-lissimo libro, scritto recentemente da un professore uni-versitario, Giovanni Arrighi, scomparso poco fa: si intitolaAdam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo se-colo e ci aiuta a capire che in Smith non c’è assolutamente,come invece alcuni presumono in maniera del tutto fuor-viante, l’idea di un mercato fine a se stesso, alimentato da

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 44

45

un processo incessante e sorto sulle basi di uno Stato con-cepito come sempre più residuale e minimale fino ad es-sere completamente inesistente. È un’idea, questa, total-mente infondata ed errata, che non regge affatto ilconfronto con i testi. Dobbiamo quindi inserire nel nostrovocabolario ideale della politica proprio questo autore, per-ché già Adam Smith basta per farci capire quanto sia im-portante il ruolo dello Stato all’interno del mercato: di unmercato che non venga concepito come fine a se stessoperché, in tal caso, indebolisce fino a distruggere l’ideastessa della democrazia. Credo che questa sia una delle pregiudiziali su cui negli ul-timi due anni si è interrogata la nostra rivista. Altri due pre-supposti importanti del nostro lavoro che mi piace richia-mare, data anche la loro vibrante attualità in questi mesi:la difesa dell’unità nazionale e la prospettiva europeista.Il nostro partito ha una funzione per la quale non può cherecuperare lo spirito dell’autentico Risorgimento di fronteall’attacco ormai massiccio che viene da più parti e chemina le basi dell’identità del paese, come d’altra partedeve farsi interprete e paladino di un’ottica non retorica-mente ma autenticamente europeista e internazionale. Peraffrontare questi due temi in modo serio, credibile e lun-gimirante, occorrono attenzione, riflessione e approfon-dimento. Da questo punto di vista, ‘democratico’ è pro-prio l’aggettivo che io credo sia più adatto a esprimere lavocazione, la progettualità, la pratica politica del nostropartito: noi vogliamo che il nostro partito sia sempre piùdemocratico, nel senso e nella direzione che ho tentato inquesto breve spazio di restituirvi.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 45

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 46

47

Sono molto contento che si sia organizzato questo Se-minario. Credo che la formazione, quindi l’impegno adare spessore culturale e profondità all’impegno politicodei più giovani, sia un segno importante da dare alla co-struzione, ancora in gran parte da fare, o alla ricostruzionedel Partito Democratico, laddove si è costruito male, lad-dove questo partito è venuto ‘storto’. Sono contentoche si possa fare anche con una rivista telematica comeInschibboleth che abbiamo fondato solo pochi anni fa eche è un fiore raro perché una delle poche cose nuoveche sono state messe in campo. Se sfogliate su Internetle annate, si vede la fioritura di contributi davvero inte-ressanti e importanti di tanti intellettuali che in un mo-mento in cui ci si allontanava, si sono avvicinati ad un di-scorso pubblico, molto chiaramente orientato: è stato unsegnale in controtendenza del quale far tesoro. Credo che dare questo spessore alla politica sia impor-tante. Io vengo da questa tradizione: io ed Enrico Lettaci siamo formati in campi diversi, ma è comune la for-mazione di chi ha dovuto fare una scuola esigente di po-litica, nell’esperienza e nel confronto con quelli che avevavicino. Dimostrare di aver letto un certo libro, di stare alpasso con il dibattito politico-culturale, anche nella solu-zione di problemi concreti quando si guarda al governo

Marco FilippeschiSindaco di Pisa

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 47

48

di una città, di un territorio, avere un orizzonte più am-pio, porsi il problema del confronto, dell’ispirazione e nonsoltanto della semplice amministrazione. Sono i contenutidelle tradizioni vitali che sono la ragione della nascita delPD. Noi dobbiamo avere la capacità, la forza di non per-dere il filo iniziale: quando lo perdiamo, noi perdiamo l’es-senziale, perdiamo insieme l’anima e anche un po’ la mis-sione di un partito nuovo, di un’offerta nuova per ilpaese. Ora, io credo che ci sia di che riflettere: se si guarda al-l’impegno dei più giovani, noi non possiamo astrarlo daimutamenti profondissimi che sono avvenuti in questianni. Mutamenti culturali, di scenario globale, del mododi intendere l’individualità di ognuno nel rapporto con glialtri. Ma anche alcune contraddizioni che sono più evi-denti e più vicine. Qualche mese fa, ad esempio, abbiamoavuto un ampio movimento contro la riforma Gelmini cheha portato in campo tanti giovani, tanti ragazzi e ragazzecon motivazioni forti, ma non abbiamo in campo un mo-vimento altrettanto forte e ampio per la difesa della de-mocrazia, per contestare la deriva sempre più grave checorre il nostro paese. Non è una contraddizione da poco:è anche la contraddizione del PD. Io credo che noi dobbiamo riflettere su come siamo statiin campo. Ritengo che non ci sia contrapposizione tra ladichiarata ispirazione riformista del progetto del PartitoDemocratico anche come progetto di partito maggiori-tario, di partito che fa le alleanze, la sua natura di essereriferimento in un campo, una forza attrattiva per superarela frammentazione dell’offerta politica del nostro paese,e l’intransigenza necessaria nel fare una battaglia per la

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 48

49

democrazia a sostegno di principi e valori forti, che hannodistinto nella storia dell’Italia repubblicana quanto haportato al progetto del Partito Democratico e che adessodevono tornare a distinguerci. C’è poco da fare, non sisfugge a questa necessità di ritrovare un filo: tutte le volteche ci si è discostati da questo imperativo (perché per meè tale) e si è perso il filo, siamo stati molto più vulnera-bili, disponibili a chi vuole la politica meno autonoma, achi ha in mente un ruolo assai debole dei partiti politici e,in fondo, a chi non frena ma, anzi, contribuisce alla de-riva democratica che stiamo vivendo e per la quale il no-stro paese è diventato paradigmatico. È quindi fonda-mentale la capacità di pensare, di guidare e di governareil cambiamento da riformisti, di avere un’agenda per il fu-turo, e di avere anche un’agenda particolare che si atta-glia a questo paese particolare, ai nostri ritardi, anche aquelli del riformismo italiano, alle mancanze di coraggioche hanno pesato e pesano ancora, all’indulgenza per unaparte vecchia e non riproponibile del modo d’essere dellasinistra.Tutto questo, che deve poi tramutarsi in contenuto, pro-posta, agenda, non può essere contrapposto alla neces-sità di far valere principi che sono anche spartiacque e la-cerazione: la lacerazione viene prodotta dalla deriva chedicevo, e a questa bisogna rispondere con intransigenza.La democrazia come idea guida è grande tema del con-flitto tra i poteri che snatura la democrazia nel nostropaese, dell’aggressione agli arbitri, quindi di una torsionein senso populista della democrazia, che costringe la pos-sibilità di un’alternativa in termini più angusti. C’è pocoda fare: su questo terreno bisogna essere intransigenti

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 49

50

perché altrimenti si rischia di subire passivamente.Quando si hanno le corazzate mediatiche, i telegiornali al-l’unisono e magari anche il fuoco amico contro, diventamolto più difficile affermare una leadership riformista inquesto paese. Per di più si va anche a fare la tara a chicerca con fatica di costituire una guida. C’è un difetto,connaturato, sistemico, che è un difetto di democrazia, enoi non possiamo eludere questo grande tema. In pas-sato, quando non ci siamo fatti capire da una partegrande degli italiani che ci ha inteso come sempre protesiverso il compromesso, come indecisi su principi chiave,abbiamo aperto enormi spazi a forze che non meritavanoe non meritano di averli. Noi dobbiamo essere insieme ri-formisti e intransigenti. Noi siamo di fronte ad una situa-zione grave, dove l’esempio italiano ha la sua particola-rità: abbiamo Berlusconi con il suo ‘impero’ mediatico,economico, finanziario, ma può essere la punta di un ice-berg molto più profondo che parla di una crisi della de-mocrazia, di una crisi in cui il potere dei grandi aggregatieconomici e mediatici soppianta il potere delle regole,della partecipazione dal basso che viene irretita e mani-polata in partenza. Tutto ciò avrebbe bisogno di maggioricontrappesi, di una politica più forte e più legittimata.Non c’è alternativa: la ruota gira o in un senso o nell’al-tro. Allo stato attuale gira nel senso a noi contrario e que-sto è un grande problema che va affrontato, dal mo-mento che rischia di tramutare le nostre ambizioni inprogetti minoritari sin dall’inizio. Credo che questo sia un punto decisivo: la personalizza-zione deteriore della politica, la crisi del partito politico,una certa idea di resa a questa deriva, sono temi su cui

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 50

51

noi dobbiamo riprendere una discussione, a tutti i livellia cui questa difficoltà si manifesta. Consiglio la rilettura(dato che si tratta della seconda edizione) del libro diMauro Calise Il partito personale, che ora si presenta conil sottotitolo I due corpi del leader. Negli ultimi, nuovi ca-pitoli approfondisce il tema, già affiorato nelle pagine pre-cedenti, della deriva della politica tramite la sua perso-nalizzazione estrema. Parla di macro-personalizzazione –l’esempio è Berlusconi – e di micro-personalizzazione. Ba-date bene: anche il correntismo estremo, il mito della pre-ferenza, un certo mito delle primarie non regolate, chenon fanno base politica di un partito e che a volte sonoanche manipolabili, l’incapacità di strutturare regole peruna partecipazione molto più ampia, tramite lo stru-mento di primarie regolate da una legge sui partiti poli-tici, sono questioni che noi dobbiamo affrontare. Se nonrottamiamo la politica cattiva e degenere, lasciamo campolibero a chi, magari, ha intenzione di rottamare anche labuona politica sulla scia della macro-personalizzazione. Su questo io penso che noi dobbiamo avere la capacitàdi portare un nostro pensiero e anche di condurre una no-stra battaglia politica molto aperta. Questo è anche lospazio in cui noi riconquistiamo una autonomia del nostropartito non in termini angusti, di mero mantenimento diun ceto dirigente ristretto, ma dentro a una certa idea dipolitica e di partito. Su temi che sono emersi, ad esem-pio, anche nella nostra discussione – le primarie, l’albo de-gli elettori, una regolazione dei partiti politici che ri-sponda a democrazia e che costruisca il partito senzadecostruirlo continuamente – serve il coraggio di dire conchiarezza quello che sta accadendo e di proporre soluzioni

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 51

52

chiare e condivise. Altrimenti noi per strada perdiamo an-che le buone idee, le intuizioni, le innovazioni, la capacitàdi pensare con orizzonti più ampi. Dobbiamo fare tesorodi un mondo che è in ebollizione, che pone problemi didemocrazia, di partecipazione, di rinnovamento, assiemea grandi possibilità di cambiare geometrie politiche e di ri-lanciare idee fondamentali: l’idea dell’Europa, l’idea diuna politica in questa dimensione che noi abbiamo im-miserito e perso, le bandiere che noi dobbiamo poter agi-tare. Serve coraggio per preparare qualcosa di meglio eservono i partiti, costruiti assieme partendo dalla societàe da alcuni idee forti e coraggiose.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 52

53

Voglio partire dal titolo che ci siamo dati, parlando pro-prio delle parole, le parole dei democratici. Vorrei portarenella riflessione di oggi alcune delle idee che, come par-tito, stiamo cercando di definire all’interno di un percorsoimpegnativo. Nelle nostre ultime tre Assemblee nazionaliabbiamo discusso, con i mille componenti, del nostroprogetto per l’Italia. L’Italia che vogliamo dopo Berlusconi,la nostra idea d’Italia per batterlo. Una discussione par-tecipata che sta già dando risultati importanti. La nostra quattro giorni cade all’inizio di un decennio.Siamo nel 2011 ed entriamo in un decennio cruciale. NelNovecento, il nostro paese è stato protagonista nel benee nel male, un grande paese secondo i criteri classicidella Storia. L’Italia è stata membro permanente del Con-siglio di Sicurezza della Società delle Nazioni, prima dellacostituzione delle Nazioni Unite. L’Italia porta anchegrandi responsabilità relativamente alla tragedia dellaSeconda Guerra Mondiale. Siamo tra i fondatori primadella Comunità Europea e poi dell’Unione Europea, ab-biamo contribuito alla nascita dell’euro e del G7.Vorrei soffermarmi sugli ultimi decenni. Proverei a de-scriverli così: gli anni Ottanta sono stati gli anni dell’eu-foria, una parola che può avere accezioni tanto positivequanto negative; gli anni Novanta sono stati il decennio

Enrico Letta Vicesegretario nazionale PD

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 53

54

del rigore, in cui il nostro paese è sembrato trasformarsiper comportamenti e regole; infine, questi ultimi diecianni, che definirei il decennio perduto. Perduto sotto di-versi punti di vista. L’accezione che voglio sottolineare èquella economica: si è trattato di un decennio perdutoperché è stato l’unico della nostra storia unitaria nelquale, tolte ovviamente le esperienze delle guerre, siamotornati indietro anziché compiere passi in avanti. È statol’unico decennio nel quale la ricchezza di ognuno di noi,il reddito pro-capite, è andata arretrando invece cheavanzando. Il reddito pro-capite degli italiani del 2009 èpiù basso del loro reddito pro-capite dell’anno 2000, enessun altro paese si è trovato nelle nostre condizioni.Possiamo declinare questo dato da un altro punto di vi-sta. Nel decennio che abbiamo alle spalle l’Italia, se-condo una classifica del Fondo Monetario Internazionaleche raccoglie tutti i centottanta paesi del Fondo, e cheguarda alla crescita accumulata nel corso del decennio, siclassifica 179°, con Haiti 180° a causa del terremoto chel’ha colpita. L’Italia, con il suo 2,4 per cento di crescita inun decennio, è il paese con la crescita più bassa. Se adot-tiamo uno sguardo comparativo, la Cina (che ovvia-mente non è metro di paragone per capire gli ordini digrandezza) in un decennio è cresciuta del 170 per cento,gli Stati Uniti del 18 per cento, la Spagna del 22 per cento,la Francia del 12 per cento. L’Italia, ripeto, del 2,4 percento. È stato un decennio perduto, non ci sono molte al-tre definizioni. Perduto perché, con queste cifre, l’Italia èdi gran lunga l’ultimo dei paesi occidentali. Oggi en-triamo in un decennio in cui abbiamo un’alternativasecca: questo può essere il decennio del risveglio o il de-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 54

55

cennio della decadenza. Sono sicuro che non sarà il de-cennio della decadenza, ma soltanto se non lo interpre-teremo e non lo vivremo in continuità con quello che ab-biamo dietro le spalle. Se oggi c’è una categoria sulla quale il tempo che stiamovivendo ci porta a riflettere, questa è l’accelerazione, e,in particolare, l’accelerazione dell’accelerazione. Tutto ciòche prevediamo possa accadere accade più rapidamenterispetto alle attese. L’Economist a metà dell’anno scorsoprevedeva che nell’arco dei successivi cinque anni sareb-bero esplosi il Nord Africa e il Medio Oriente. Trascorronoappena sei mesi e quella previsione si realizza.Faccio un esempio di cosa vuol dire decadenza. Nel se-colo scorso un pezzo di Italia stava sotto due città, Viennae Budapest, capitali tra le più importanti del mondo. A untratto è cominciato il declino politico di quel mondo. Ladecadenza dell’impero austroungarico è durata qualchedecennio. Vienna e Budapest sono diventate per lo piùdue mete turistiche, perdendo il loro ruolo di capitali delmondo contemporaneo.Oggi percorsi di decadenza simili non avvengono in de-cenni, ma sono molto più accelerati. Il concetto che vo-glio qui esprimere è che noi siamo un partito politico cherappresenta, o almeno ambisce a rappresentare, metà delpaese, quella metà del nostro paese che oggi sta all’op-posizione e che vuole governare, che vuole far sì che ilprossimo decennio, questo decennio, non venga ricor-dato dalla Storia come quello in cui l’Italia ha vissuto unpercorso simile a quello dell’impero austroungarico. Do-vrà essere, invece, il decennio nel quale vivremo il risve-glio del nostro paese. Il ragionamento che faccio in que-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 55

56

sta sede ha anche un altro grande caveat. Non dob-biamo né possiamo permetterci di pensare: ‘Tutto questonon mi riguarda: in fondo i miei genitori hanno qualcheproprietà immobiliare che poi mi cederanno, faccio un la-voretto, vado avanti; si tratta di un problema che magaririguarderà le prossime generazioni…’. Nient’affatto: que-sto è un tema che ci riguarda direttamente, perché l’ac-celerazione del cambiamento è tale che, oggi, non cisono certezze che possano sollevarci dall’impegno che noitutti dobbiamo mettere in direzione del risveglio. Lo dob-biamo a noi stessi, lo dobbiamo al nome del nostro paese,lo dobbiamo alle generazioni presenti e future, lo dob-biamo ai nostri figli. Questo deve essere l’impegno dellapolitica di oggi. Se abbiamo un difetto come Democra-tici è che talvolta diamo l’idea di essere quelli che fannopolitica in qualunque condizione e circostanza, rischiandodi apparire talvolta come gli ‘amministratori del condo-minio’. Qualunque cosa accada nel condominio, noisiamo qui pronti ad amministrarlo. Non è quello che ci ri-chiede questo tempo! Dobbiamo avere in testa una missione, dobbiamo saperlaraccontare per farne partecipi gli altri. Se gli altri ci per-cepiscono come gli ‘amministratori del condominio’ po-tranno riporre in noi una parte della loro fiducia, ma nonmetteranno mai l’Italia nelle nostre mani per permettercidi dare un futuro a questo paese. Soltanto se viviamo laconsapevolezza di questa missione, possiamo affrontareuna sfida davvero epocale. Io credo che l’Italia non ab-bia mai vissuto un bivio come quello che abbiamo da-vanti: o il risveglio o la decadenza. Il risveglio è possibile,e oggi un modello di risveglio ci è offerto da un paese che

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 56

57

tutti davano per perduto vent’anni fa e che oggi, invece,sta scrivendo, assieme ad altri, la storia del mondo mo-derno dal punto di vista della crescita e delle opportunità.Chi avrebbe mai scommesso un euro quindici anni fa sulBrasile, un paese perduto come si considerava perdutal’America Latina? Oggi il Brasile, dopo dieci anni di sceltelungimiranti sotto la presidenza di Lula, è uno dei paesiche hanno in mano le carte del futuro del mondo. Citoquesto esempio perché non esistono fatti scontati nelloscenario odierno, ma scelte da determinare per il nostropaese, per il nostro futuro e per quello dei nostri figli. Sequesta è la premessa del ragionamento, quale deve es-sere il nostro ruolo oggi, avendo verificato lo stato dellenostre istituzioni e della nostra società civile?Per qualche verso, ciò che accade oggi all’Italia mi fa ve-nire in mente un libro pubblicato recentemente sul golpespagnolo del 1981: Anatomia di un istante. Ne consigliola lettura. Il libro racconta agli spagnoli di oggi, ai giovanispagnoli che non hanno idea di cosa fosse la dittatura,come la situazione più drammatica di quella notte dell’81fu che la società spagnola tutta si fermò in attesa di ca-pire l’esito dello scontro in atto. Nessuno scese in piazza,nessuno occupò le università, nessuno mise in campocontro-manifestazioni. Quella notte la Spagna si fermò inattesa di capire se avevano vinto gli uni o gli altri. Per lestrade della Spagna il solo movimento era quello a Va-lencia dei carri armati di Jaime Milans del Bosch. Il restodel paese si era rinchiuso e aspettava un messaggio tele-visivo che arrivò da parte del Re alle tre del mattino. Unariflessione che in un certo senso vale anche per l’Italia dioggi e per noi. Dobbiamo far svegliare la società italiana,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 57

58

dobbiamo essere insieme alla società italiana che si sve-glia. La nostra lotta politico-istituzionale passerà attraverso lanostra capacità di far voltare pagina alle istituzioni e alpaese. Rispetto alla crisi che oggi stiamo vivendo la so-cietà italiana sta dimostrando una permeabilità sulla qualedobbiamo riflettere. A mio avviso le condizioni necessarie perché il decennioche abbiamo cominciato sia il decennio del risveglio, pos-sono essere declinate con quattro verbi, con quattro pa-role che, secondo me, dovremmo mettere a fuoco per de-scrivere l’Italia che il PD vuole e, quindi, per spiegare cosail Partito Democratico è. È un lavoro necessario. Se nonlo facciamo ognuno di noi continuerà a declinare i temidi oggi e le relative soluzioni con parole attinte dalle sto-rie dalle quali proveniamo. Il Partito Democratico èun’esperienza nuova, originale, nella quale abbiamo vo-luto lanciarci proprio perché le storie che ognuno ha allespalle non si sono rivelate sufficienti a dare al nostropaese un esito diverso dal berlusconismo. Male faremmo,dunque, se non ci impegnassimo tutti insieme a declinarele parole e le cose dei democratici, le nostre parole del-l’oggi. Dobbiamo fare tutti insieme questo esercizio, tenendoconto del fatto che, per ovvi motivi anagrafici, molti de-mocratici non vengono da storie politiche precedenti. Èquesta la forza del lavoro che i Giovani Democraticistanno facendo. Le nostre storie, quelle da cui prove-niamo, sono storie fondanti della Costituzione del nostropaese, ma la cesura rappresentata dal berlusconismo ri-spetto agli anni in cui quelle storie erano vive e protago-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 58

59

niste è troppo profonda per non essere affrontata, con unnuovo sforzo oserei dire ‘costituente’, anche tra di noi. Il primo verbo sul quale voglio riflettere è ‘allargare’. Noidemocratici dobbiamo essere coloro che allargano le op-portunità, lavorano sul tema degli squilibri, sulla capacitàper il nostro paese, per le nostre comunità e per le nostrecittà di allargare gli orizzonti nel tempo della globalizza-zione.Partiamo da qui, da Pisa, che è anche la mia città. Un cit-tadino al momento di decidere dove andare in vacanza,si collega a Internet e, sulla mappa d’Europa della Ryanair,decide se andare a Fuerteventura, a Rodi o a Helsinki.Questa oggi è la quotidianità. Si decide la destinazione ilgiorno prima della partenza e poi si cerca di conoscere piùa fondo il luogo prescelto, di capire dov’è, qual è la suastoria, quali le sue tradizioni. Vivere all’interno di unmondo globalizzato significa comprendere che globaliz-zazione equivale a opportunità, anche in riferimento al-l’orizzonte politico, sociale e culturale. Oggi il sindaco diuna nostra città deve essere in grado di parlare l’inglese,l’italiano e anche il dialetto locale, nel nostro caso il ver-nacolo. È necessaria una maggiore apertura mentale percapire la dimensione nuova dell’Italia. Ho fatto riferimento in apertura al tema dell’Italia comegrande paese del Novecento. L’Italia era un grande paesein un mondo piccolo; oggi il mondo è divenuto assai piùgrande e l’Italia si è fatta un medio-piccolo paese in unoscenario globale molto più ampio. Non è un gioco di pa-role quello che sto facendo. Dentro il mondo novecen-tesco, prevalentemente occidentale, i sessanta milioni diitaliani erano numericamente consistenti. Quello di oggi,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 59

60

invece, è un mondo immensamente più vasto, a frontedel quale la nostra popolazione è rimasta pressoché sta-bile. L’unico modo perché, all’interno di un mondo tantoampio, si mantenga un ruolo di primo piano è quello diessere europei. Allargamento vuol dire Europa: l’Europaè nel DNA di noi democratici e questo ci differenzia dallealtre forze politiche. Sappiamo che l’Europa è l’unicomodo per l’Italia di essere rilevante nel mondo. Nel 1975il G7 fu creato sulla base di una classifica meramentequantitativo-economica fondata sul PIL. Riuscendo arientrare fra i primi sette paesi del mondo, l’Italia per tren-tacinque anni è stata protagonista degli eventi e dellescelte internazionali. Se dovessimo rifondare il G7 tracinque anni secondo lo stesso criterio, nessun paese eu-ropeo vi verrebbe ammesso.La cartina geografica che ancora è affissa nelle nostrescuole o nelle nostre case è la cartina del Novecento, unsecolo in cui l’Europa era al centro, con l’America da unaparte e l’Asia dall’altra. Non è più questo lo scenario at-tuale. In Italia abbiamo assistito ad una accelerazione deglisquilibri sociali impressionante. Occorre agire per allargarela fascia di coloro che riescono a stare nelle opportunità.Pensiamo ad esempio all’istruzione, alla scuola pubblica.Una battaglia in questo caso culturale che sta nel nostroDNA.Il problema di fondo è che oggi, attraverso i meccanismidi educazione e di istruzione, o si riesce a stare all’internodelle dinamiche della globalizzazione o non si riesce piùa competere in modo adeguato.La riflessione più interessante su questa crisi e sugli squi-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 60

61

libri da cui nasce l’ho trovata nell’enciclica Caritas in ve-ritate, nella quale si rinvengono parole durissime. Pur-troppo una certa parte del nostro paese ha con la Chiesaun rapporto ‘mercantile’, di puro scambio, ragione per cuile parole scomode vengono volutamente ignorate. Comesi legge in quell’enciclica, vi sono due grandi questioni allabase degli squilibri che stiamo vivendo, due fratture da ri-comporre. In primo luogo quella tra le dimensioni eco-nomica e sociale. Nell’ultimo scorcio del Novecento siamocresciuti con l’idea che l’economia fosse responsabiledella crescita mentre la politica della redistribuzione.Questa ‘politica dei due tempi’ è fallita miseramente e hacondotto alla crisi finanziaria della quale ancora adessostiamo vivendo le drammatiche conseguenze. La secondafrattura da ricomporre – anche questa sottolineata nel-l’enciclica secondo me in modo molto vigoroso, forse ladenuncia più forte avvenuta in questi anni – riguarda ilprincipio che la ricchezza si crea con il lavoro e non,come si è pensato finora, con la ricchezza. In fondo quista l’epicentro della crisi: la ricchezza si produce con il la-voro e il lavoro, per questo, è centrale. È chiaro in que-sto senso perché la nostra Costituzione affermi che la no-stra è una Repubblica fondata sul lavoro. Il lavoro è ilcentro di tutto, dà dignità alla persona, non può essereconsiderato una merce come le altre. Su questo terrenoemerge in modo evidente l’abisso che separa la nostraconcezione del diritto del lavoro da quella dell’attualemaggioranza. Il governo in carica vuole fare del diritto dellavoro una branca del diritto commerciale, mentre per noii due ambiti devono restare assolutamente distinti.Il secondo verbo che propongo è ‘correre’: verbo difficile

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 61

62

da declinare. Se è valido, però, tutto il ragionamento cheho provato a tracciare fino a qui, noi certo non possiamoessere coloro che si fermano al verbo ‘camminare’. Noidobbiamo correre; questo paese deve correre. Occorreinnovare, cambiare, e dobbiamo mettercela tutta, perchése stiamo fermi non ce la faremo. Oggi siamo tenutifermi da mille questioni ma soprattutto dalla nostra pauradi cambiare. Qui risiede la questione chiave di tutto il ra-gionamento che sto cercando di sviluppare: il cambia-mento. Noi siamo forza di cambiamento ed è per questoparadossale che dai cittadini italiani veniamo percepiti, se-condo una recente ricerca, come la parte politica più vi-cina alla polarità statica, mentre il centro-destra è avver-tito come più prossimo alla polarità dinamica. Noi chevogliamo il progresso della nostra società siamo visti, alcontrario, come quelli delle conservazione e del freno. Sevogliamo che il decennio appena avviato sia quello del ri-sveglio e non più della decadenza, dobbiamo riuscire a di-stinguere la difesa dei grandi principi costituzionali dallanecessità di cambiare. Per produrre il cambiamento dob-biamo mettere in campo l’innovazione. ‘Innovazione’,però, è parola che va praticata. Da parola deve farsicosa, se vogliamo cercare di sfatare quella frase moltobella di Cipolletta secondo cui «l’Italia è un paese di in-novatori, ma un paese che rifugge l’innovazione». Gli ita-liani sono innovatori e l’Italia teme l’innovazione, oggicome ai tempi di Leonardo. Racconto questo aneddotoche molti di voi avranno già sentito ma che trovo moltoefficace. Il Presidente di una Regione italiana, nel tentativo di re-plicare il successo americano delle grandi aziende di in-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 62

63

novazione, invia una delegazione di funzionari della pro-pria Regione in California, nella Silicon Valley, per com-prendere cosa unifichi tutti questi grandi successi. La de-legazione di funzionari parte e incontra i diversi soggetti.Quelli di Amazon gli riferiscono la propria storia, di dueragazzi conosciutisi a scuola, partiti da un garage e arri-vati a quotare la propria creazione in borsa; passano poia quelli di Google, i quali riportano la propria storia di ra-gazzi che hanno cominciato a sperimentare e a crearenello spazio angusto di un garage; così riferiscono anchegli altri gruppi che la delegazione incontra. Alla fine, tor-nati dal proprio Presidente di Regione, i funzionari gli di-cono: «Bisogna creare un incentivo fiscale perché nascanopiù garage nella nostra Regione: questo è il segreto delsuccesso che unifica tutto». Ecco, a volte sembra che noisiamo fermi a un concetto di questo tipo. Il tema dell’in-novazione comporta che non ci siano sacche di resi-stenza, di conservazione, di corporativismo; noi, invece,siamo invasi da sacche di privilegi che manteniamo e chemantengono fermo il nostro paese.Arrivo così al terzo verbo che voglio utilizzare, un verboparticolare: ‘shakerare’. La nostra è una società ferma neiprivilegi che ha costruito e deve essere shakerata. Esat-tamente il contrario di ciò che Berlusconi da Arcore haraccontato all’Italia. Le notti di Arcore sono l’esatto op-posto, una scorciatoia per uscire dall’immobilismo sociale.Le intercettazioni a mio avviso sono interessanti per tantimotivi, ma soprattutto perché raccontano lo spaccato diun’Italia che ricerca solo la scorciatoia.L’ascensore sociale, invece, alla fine deve essere mossodallo studio, dalla fatica, dal sacrificio. Quando dico che

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 63

64

la nostra società va shakerata, intendo dire che vanno su-perate le posizioni di rendita. Vi rendete conto, ad esem-pio, di quello che è successo su una questione circo-scritta ma molto importante come quella delle quoterosa nei Consigli di amministrazione delle società quotatein borsa? Si tratta di una proposta sacrosanta, oggetto diun’iniziativa di legge bipartisan che noi abbiamo sposatoe portato avanti. Da dove nasce questa idea? Parte dallaconsapevolezza che in Italia spicca l’assenza di donnenelle società per azioni. La percentuale delle donne tra iconsiglieri di amministrazione delle società quotate inborsa è pari al 3 per cento. Essendo l’Italia l’unico paesein queste condizioni, abbiamo provato a creare le condi-zioni per immettere persone in grado di cambiare la si-tuazione smuovendo un quadro fin troppo statico. Con-siderato anche che nel restante 97 per cento di consiglieriuomini vi sono tanti, troppi nomi che ricorrono in dieci,venti, trenta Consigli di amministrazione. Purtroppo, poi,quel 3 per cento di donne è composto spesso da cognominoti: magari si tratta della figlia del fondatore o del pro-prietario dell’azienda stessa. Non appena si è fatta que-sta proposta di legge, è arrivato il diktat di buona partedel mondo economico – compresa Confindustria, guidatada una donna – che chiede al governo di affossarla. An-diamo allora a vedere nel concreto cosa comporterebbel’approvazione di una simile proposta. Le società quotate in borsa in Italia oggi sono quattro-cento, i Consigli di amministrazione variano mediamentedai dieci ai venti consiglieri circa per società. Passare dal3 per cento al 30 per cento vuol dire numericamente tro-vare cento donne nel nostro paese in grado di sedere nei

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 64

65

Consigli di amministrazione delle società quotate in borsa.Non ho detto centomila: ho detto cento e si tratta, comeovvio, di un numero realistico. La cosa incredibile è cheil nostro paese ha reagito negativamente a questa pro-posta, che prevede un obiettivo minimo raggiungibilis-simo, e l’ha bloccata. È per questo che la nostra societàva shakerata, anche con le maniere forti se e quando ne-cessario.Shakerare significa anche essere consapevoli che il temadell’integrazione degli immigrati – parlo in una città comePisa che vive questo tema da tempo e in modo molto ri-levante – è fondamentale. Eppure continuiamo ad af-frontarlo con la mentalità di venti anni fa. Io vorrei che suquesto tema facessimo tutti un grande passo in avanti, apartire proprio dai numeri del nostro paese. Sappiamobene che senza l’apporto dell’immigrazione in Italia nonsi potrebbe andare avanti. La situazione attuale è davveroparadossale: mentre affidiamo agli immigrati ciò che ab-biamo di più caro – i nostri bimbi e i nostri anziani – l’im-migrazione viene letta e vissuta come un tema scomodo,una minaccia. A questo proposito voglio leggervi unpasso secondo me straordinario, che dovremmo raccon-tare ogni volta che ne abbiamo la possibilità:

Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, moltidi loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si co-struiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono,vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caroprezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano unastanza con uso cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Moltibambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti allechiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, contoni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sonoassai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 65

66

Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma per-ché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade peri-feriche quando le donne tornano dal lavoro.

Questa citazione è tratta da una relazione dell’Ispettoratoper l’Immigrazione del Congresso americano sugli immi-grati italiani negli Stati Uniti nel 1912. È una citazione im-pressionante. Credo che soltanto leggere queste parole,situarle nel tempo e nello spazio, dia l’idea di cosa signi-fichi per il nostro paese l’arretratezza culturale nell’af-frontare l’immigrazione.L’ultimo verbo che richiamo per indicare l’Italia che noi de-mocratici vogliamo è ‘scaldare’. Noi dobbiamo esserecoloro che scaldano la nostra società, che usano la parola‘comunità’, che riescono a uscire dal freddo dell’indivi-dualismo di questo tempo. Noi dobbiamo avere chiaro ilcambiamento demografico in corso. Un grande demo-grafo, Massimo Livi Bacci, invita a riflettere sul fatto chequest’anno i nonni hanno superato i nipoti: ciò significache la classe degli over-65, quelli che vogliono la pre-scrizione breve, come abbiamo letto sui giornali di oggi,è più numerosa degli under-15. I nonni hanno superatoi nipoti; tra dieci anni i bisnonni supereranno i bisnipoti,vale a dire che coloro che avranno più di ottant’anni sa-ranno in numero maggiore di quanti avranno meno didieci anni. Tra i bambini che nascono oggi, uno su due vi-vrà più di cent’anni. Quando vedo i miei figli piccoli epenso che uno di loro vivrà più di cent’anni, a me vienein mente quell’aneddoto che raccontava sempre il Can-celliere tedesco. In Germania è tradizione che, in occa-sione del compleanno di un centenario, il Cancelliere inpersona vada a casa del festeggiato e gli consegni unamedaglia. Quel Cancelliere raccontava però anche che,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 66

67

ad un certo punto del suo mandato, dovette smettere,poiché i compleanni dei centenari erano passati da dodicia duemilatrecento all’anno. Quello della demografia è ungrande tema, che porta a chiederci quale cambiamentosi stia determinando nelle nostre società. È indubbio cheviviamo tutti più a lungo, ma riflettiamoci un po’ più at-tentamente. Io penso alla famiglia dei miei genitori: ottofigli, una nonna e due genitori, tutti nella stessa casa. Aquell’epoca il rischio era la condizione essenziale dell’esi-stenza dei figli che venivano messi al mondo e ai quali ve-niva dato quel che si poteva. Pensiamo invece alle fami-glie di oggi, composte da bisnonni, nonni, genitori, tuttiattorno normalmente ad un figlio che è coccolato in ogniaspetto della sua esistenza. Il bambino di oggi tende anon avere neppure un quarto d’ora libero perché ognimomento è organizzato da qualcuno dei bisnonni, deinonni o dei genitori. Quale sarà la sua propensione al ri-schio, se già da piccolo ogni aspetto della sua vita è or-ganizzato e programmato? Si tratta di un cambiamentoche dobbiamo saper affrontare perché attorno a questotema si gioca anche la sfida di cosa siamo e di cosa pro-poniamo. Alle volte avanziamo un modello di politica edi leadership civile che convince noi, ma che non piaceagli altri. Quando questo modello non piace o non scalda,alla fine anche le proposte che avanziamo non passanoo passano male e distorte. Alle volte credo che diamol’impressione di seguire il modello cinematografico diForrest Gump. Certo, non si tratta di un modello nega-tivo, ma ho l’impressione che la gente ci chieda di esserepiuttosto Jack Sparrow. Credo che a volte il nostro poli-tically correct abbia i suoi limiti.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 67

68

Voglio lasciarvi proprio con questa idea. Dobbiamo osaredi più, perché le nostre idee sono quelle giuste per il paesema i mezzi con cui le veicoliamo non sono sufficienti, nonarrivano a tutti. Sono convinto che le nostre parole, le pa-role dei democratici, sono quelle giuste per affrontareun’Italia dai problemi così complessi. Forse, però, do-vremmo riuscire noi stessi a capire fino in fondo il valoredell’impegno che occorre per costruire, quello che GianniRodari racconta ne Il paese senza errori, probabilmenteuna delle sue fiabe più belle. Non la racconto tutta per-ché è lunga, ma narra di un brav’uomo che girava per ilmondo alla ricerca del paese senza errori. Si recava in unpaese, lo visitava, e appena trovava l’errore passava alpaese successivo. Cercava il paese senza errori e ognivolta rimaneva deluso. Rodari termina chiedendosi echiedendoci: non era forse meglio se quest’uomo, di no-bile animo, si fosse fermato a correggere una parte diquegli errori? Questo, secondo me, dobbiamo avere chiaro noi, i de-mocratici.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 68

69

PANEL II democratici e il lavoro della memoria.

Cosa ereditare del Novecento?

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 69

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 70

71

Cercherò di essere essenziale, con il rischio di ricorrere aqualche schematismo. Una delle eredità più importanti edi più ampia portata del Novecento consiste, a mio av-viso, nell’acquisizione della possibilità della libertà fem-minile. Mi piace ricordare sempre alle ragazze che in-contro che le donne non sono sempre state libere: lo sonodiventate. Occorre però anche aggiungere che l’aver ac-quisito la possibilità di essere libere non significa che losiano automaticamente nella realtà. Sostengo poi un’altra cosa: è innegabile che un complessorilevante di diritti sia stato acquisito negli anni Settanta,che hanno rappresentato per l’Italia un’esplosione di con-quiste e di diritti per le donne. Ma la vera conquistaviene da molto più lontano: la libertà non si esaurisce nelmettere insieme, uno in fila all’altro, tanti diritti acquisiti:c’è un di più rispetto a questi diritti che ci porta a parlaredi libertà. Di questo concetto è difficile dare una definizione esatta:libertà è la possibilità di dare realtà ai propri progetti divita. Questa, però, è una definizione insufficiente, datoche illumina soltanto uno degli aspetti della libertà. Libertàè anche autonomia, che etimologicamente significa ‘darsida sé la legge’: finalmente l’acquisizione di libertà rico-nosce alle donne la possibilità di stabilire da sé la legge e

Vittoria FrancoSenatrice PD

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 71

72

non di riceverla da qualcun altro. Libertà è anche sog-gettività: essere soggetto e non soltanto oggetto del di-scorso di altri. Libertà è reciprocità: riconoscimento reci-proco della propria libertà e della libertà di ciascuno.Libertà è, soprattutto, responsabilità: ad esempio, nel-l’esercitare un potere decisionale. Al termine ‘responsa-bilità’ io attribuisco la parte più importante nella defini-zione di cosa sia la libertà per le donne.Responsabilità significa rispondere a qualcuno di qualcosa,e per farlo occorre essere titolari di una possibilità di fare,di decidere. Occorre essere soggetti. Nel dar conto agli al-tri, inoltre, si riconosce almeno un altro a cui dare conto.Nella responsabilità, quindi, è insita anche la relazione, enella relazione c’è anche un limite. Vedete, dunque,quante cose chiama in causa il termine ‘libertà’, quandosi parla di libertà in generale ma specialmente quando siparla di libertà rispetto al soggetto femminile! Una belladefinizione di ‘libertà’ viene da una pensatrice femmini-sta che ha dato un grande contributo alla elaborazione delconcetto di ‘differenza di genere’, della differenza ses-suale: Luce Irigaray. Il suo ragionamento, che vi riporto insintesi, è il seguente: la donna è libera quando può di-ventare soggetto e quando è riconosciuta nella sua dif-ferenza, quando può disporre di un luogo per sé e non èsoltanto involucro per l’altro, quando può organizzare unsuo ethos (che etimologicamente significa ‘dimora’) e, diconseguenza, disporre di una sua ‘dimora’ in senso lato.Una donna è libera, in sostanza, quando dispone dellapropria territorialità con i suoi simboli e le sue leggi:quando può disporre di una dimora nel mondo. Ciò non era possibile prima che la donna acquisisse la di-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 72

73

mensione della possibilità della propria libertà: questo è,a mio avviso, il punto saliente nel momento in cui si ra-giona intorno al concetto di ‘libertà’. In questo concettorientra una dimensione filosofica – quella, appunto, trat-tata da Luce Irigaray e che si esplica nel momento in cuila possibilità di esercizio della libertà compie un saltoqualitativo – ma anche un momento più strettamente sto-rico, legato alla scienza che ha consentito alle donne diprogredire verso la libertà reale. È il momento, questo, incui è stato possibile controllare la fecondità, la fertilità, ri-correre alla contraccezione: possibilità e scelte che hannosignificato libertà di autodeterminarsi nella maternità enella sessualità. Non è qui il momento e il caso di richia-mare quanto il controllo oppressivo dell’uomo sulladonna o l’assoggettamento all’uomo della donna si siasempre realizzato, nei secoli, attraverso il controllo delcorpo femminile come luogo della sessualità – si pensi allagravidanza, ad esempio. La possibilità di sottrarsi a un si-mile controllo ha dischiuso alle donne un nuovo mondo,quello della possibilità della libertà. La maternità a un tratto non era più legata al destino bio-logico. La donna si sottrae a questo destino e finalmentesi appropria della maternità come oggetto di scelta: puòscegliere se e quando diventare madre. Questa è stata lagrande rivoluzione che ha aperto alle donne la possibilitàdella libertà. Traducendo questo percorso in termini filo-sofici, possiamo affermare che è proprio in questo mo-mento che la donna può diventare soggetto morale, re-sponsabile fino al punto di poter decidere anche suquestioni sulle quali prima non aveva né possibilità, népotere di decidere. Ora può scegliere in autonomia, re-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 73

74

sponsabile di se stessa e della propria vita.La libertà – vedete – è sempre legata all’idea di respon-sabilità, rispetto alla vita, a se stessa, al dare la nascita, allostabilire nuove relazioni, a cancellarle, a interromperle:questo è sicuramente uno degli aspetti più rilevanti da evi-denziare.Ci sono due parole – che riprendo da Luce Irigaray – checi aiutano a definire meglio il concetto di ‘responsabilità’come possibilità di decidere, di dare conto e, al tempostesso, di porsi dei limiti: ‘irriducibilità’ e ‘parzialità’. Nelmomento in cui la donna si appropria del suo destino, unadiversa relazione si configura tra uomo e donna, una re-lazione improntata alla irriducibilità della donna al genereumano nella sua neutralità. Questo termine ‘irriducibilità’– afferma Luce Irigaray – segna lo spazio dell’autonomiasoggettiva perché definisce soprattutto il limite dell’altrorispetto a me: circoscrive una distanza che deve semprepermanere fra l’uomo e la donna perché ci sia rispettodella libertà di ciascuno. La Irigaray, sulla scia di HannahArendt, si riferisce a questo spazio per mezzo del termine‘infra’. La Arendt, riferendosi alla libertà nella sua gene-ralità (non soltanto a quella femminile), scriveva che tragli individui ci deve essere come un tavolo, che unisce esepara: quando questo tavolo scompare, gli individui ca-scano gli uni sugli altri e lo spazio che li tiene separati siconsuma. Quello è esattamente il momento del totalita-rismo, della cancellazione delle individualità. Un discorsoanalogo fa Luce Irigaray quando introduce il termine ‘in-fra’ nella relazione tra gli uomini e le donne, sottolineandol’importanza dell’irriducibilità delle seconde ai primi. Lo silegge anche in un suo bellissimo libro, scritto prima in ita-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 74

75

liano e poi tradotto in francese, dal titolo Amo a te(1993): naturalmente l’errore di trasformare in senso in-transitivo un verbo transitivo è voluto, proprio per trovareil linguaggio più consono a restituire l’idea della distanzache è necessario ci sia. L’amore non è possesso, non è fu-sione totale, deve sempre mantenere e rispettare questadistanza che per lei corrisponde alla libertà: è essenziale,a suo avviso, concepirsi come parziali e ricordare semprequesta propria parzialità per arrivare a stabilire una rela-zione senza dominio. Io credo che ogni giorno venga messa in discussionequesta relazione senza dominio tra uomo e donna che at-tenui e possibilmente cancelli la violenza. Ne troviamoconferma quotidianamente nei fenomeni di stalking, so-prattutto quando, dopo ripetute insistenze da parte de-gli stalkers, la vicenda si conclude con l’uccisione della vit-tima. Lo stalker-assassino argomenta che la vittima,essendosi sottratta a lui, non era più sua e, dunque, nondoveva essere di nessun altro. Emerge chiaramente unaconcezione della relazione e dell’amore come possesso:a quel punto, però, è chiaro che non si tratta più diamore, ma di malattia. Oggi, dunque, il vero problema ri-siede nel chiedersi cosa sia la libertà femminile, in cosaconsista, come la si concepisce nella convivenza reale trauomini e donne. Io credo che questo sia un tema politico,relativo alla cultura politica, estremamente importante:come stabiliamo una nuova forma del convivere, del vi-vere insieme fra uomini e donne? Non stiamo più par-lando solo di filosofia: stiamo trattando di politica. A mioavviso, questi temi devono entrare con maggiore deci-sone e diffusione nella cultura politica del nostro PD per

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 75

76

poter attuare politiche che vengano davvero incontro aquesta grande aspirazione che è la libertà femminile. Non arriveremo mai a una democrazia paritaria se non ciappropriamo del tema del con-vivere e del con-dividere.La violenza sessuale non si riduce se non condividiamouna cultura del rispetto reciproco e della reciproca li-bertà. Il fatto che a questo Seminario stasera ci siano tantiuomini fa molto piacere proprio perché dobbiamo discu-tere insieme di tali questioni. Quando parliamo dei temidelle donne, la discussione non deve avvenire – come an-cora, purtroppo, noi stesse tendiamo a fare – soltanto tradonne e per un pubblico femminile. È importante riunirsitra donne ma poi è altrettanto importante portare le no-stre elaborazioni nelle sedi comuni. Soltanto in questomodo è possibile costruire un mondo comune basato sullaconvivenza e sulla condivisione.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 76

77

Indubbiamente l’eredità del Novecento è un’eredità com-plessa: è stato il secolo dei totalitarismi e, al tempo stesso,dei diritti, di una grande crescita della democrazia che sol-tanto nel Novecento ha raggiunto la pienezza del suoconcetto. Se seguiamo la vicenda della democrazia no-vecentesca, vediamo che si tratta di una vicenda con-traddittoria, come contraddittorio è appunto il secoloXX: nella prima metà, almeno in Europa, abbiamo unagrande sconfitta, quasi un’eclissi, della democrazia, inve-stita da una forte critica sul piano politico e intellettuale;il secolo prosegue poi con l’insorgere dei due totalitarismi,nazi-fascista e comunista, basati sulla convinzione che lademocrazia abbia fallito, che appartenga al mondo an-tecedente la Prima Guerra Mondiale, al mondo del per-benismo borghese ottocentesco, e che altre siano le sfidedel nuovo secolo. Per il totalitarismo di destra la base diquesta critica della democrazia è di tipo etno-nazionali-stico; è una critica all’universalismo dei diritti e all’ideastessa di eguaglianza. Per i comunisti, invece, piena-mente seguaci, in questo, di Marx, si tratta essenzial-mente di una critica al formalismo: l’idea è che la demo-crazia sia un guscio vuoto, i diritti parole illusorie, e chela condizione reale di vita delle persone, e in particolaredei lavoratori, non subisca miglioramenti sostanziali sotto

Claudia Mancina Professore di Etica,Università La Sapienza di Roma

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 77

78

forme di governo democratiche. Si tratta, come si vede, di critiche assai diverse ma coin-cidenti nel rifiuto della democrazia. Sembra quasi affer-marsi, almeno in Europa, un’eclissi di questa forma poli-tica nel periodo tra le due guerre. Tuttavia, gli Statidemocratici escono vittoriosi dal secondo conflitto mon-diale; nel dopoguerra le democrazie si rafforzano (nono-stante non manchino fenomeni involutivi come il mac-cartismo negli Stati Uniti) finché, nell’Ottantanove, siverifica la grande vittoria pacifica della democrazia sul co-munismo: un evento i cui effetti ancora danno forma allanostra vita. Questa è, schematicamente, la vicenda storica della de-mocrazia novecentesca. Non intendo, però, analizzarla sulpiano storico, anche perché non è questo il mio me-stiere. Vorrei piuttosto sottolineare che, parallelamente al-l’evoluzione storica, si sviluppano anche nuove teoriedella democrazia, incentrate su una nuova declinazionedi questo concetto tanto complesso. Nella seconda metàdel Novecento hanno luogo importanti eventi politiciche cambiano i lineamenti dei paesi democratici: l’affer-mazione dei diritti civili e la fine della segregazione negliStati Uniti, ad esempio, che si realizza soltanto nel 1964,un secolo dopo la fine della Guerra Civile, con la presi-denza di Lyndon Johnson e l’approvazione, da parte delCongresso, del Civil Rights Act. Questa, naturalmente,non rappresenta la fine del razzismo, ma certo la fine dellasegregazione e di un modo conseguente di pensare la de-mocrazia. Siamo nel cuore degli anni Sessanta e propriosull’onda di una simile vittoria si sviluppa un’epoca di fio-ritura democratica e di movimenti non solo politici ma an-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 78

79

che di costume: il Sessantotto. Quella importante sta-gione – nella quale affondano le loro radici sia il movi-mento femminista sia quello omosessuale – nasce inAmerica in stretta relazione con il movimento dei diritti ci-vili. A seguito di rivoluzioni così radicali sul terreno dei di-ritti nascono anche teorie democratiche che mutano pro-fondamente il concetto di ‘democrazia’ e che, a mioavviso, costituiscono per noi un’eredità centrale del No-vecento. Penso a filosofi come John Rawls e RonaldDworkin o a uno scienziato della politica come RobertDahl1. Ci sono numerosi altri studiosi che si sono imposti nel di-battito pubblico dopo Rawls, Dworkin e Dahl – due nomiper tutti: Amartya Sen e Martha Nussbaum – ma faccioriferimento esplicito a questi tre perché sono i padri delmodo di intendere la democrazia che voglio presentarvi.La concezione di democrazia che essi maturano non è cir-coscritta al piano metodologico e procedurale: la demo-crazia, cioè, come metodo e insieme di regole e procedureper la costituzione del governo e per l’elaborazione delledecisioni politiche. Questa è la definizione che di demo-crazia fornisce Norberto Bobbio nel suo Dizionario di po-litica2. Non c’è alcun dubbio che questo sia un aspetto co-stitutivo e indispensabile della democrazia, ma Rawls,Dworkin e Dahl insegnano anche che le stesse regole pro-cedurali hanno una base normativa, cioè di legittima-zione, che le fonda e le rende accettabili, dando loro, ap-punto, legittimità, cioè rendendo possibile che esseabbiano il consenso dei cittadini. Ciò equivale a dire che la democrazia non è soltanto unmetodo o una procedura di governo: alla base della sua

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 79

architettura normativa vi è un nucleo morale, dato daconcetti quali l’eguaglianza intrinseca degli esseri umanie l’eguale rispetto che è dovuto a tutti. Concetti comequesti sono concetti morali. Se affermiamo che la demo-crazia prevede regole procedurali per cui tutti i cittadinihanno gli stessi diritti di voto e di partecipazione, questoè perché tutti i cittadini sono pensati come intrinseca-mente eguali. Cosa significa ‘intrinsecamente eguali’?Mi riferisco a dibattiti che sono stati fondamentali nel-l’Ottocento in merito al suffragio universale o nel Nove-cento riguardo al riconoscimento del diritto di voto alledonne: significa per l’appunto che tutti gli individui checostituiscono il demos della cittadinanza hanno le capa-cità necessarie per prendere decisioni politiche. Non per-ché alcuni hanno strumenti culturali limitati, o dipen-dono da altri per la loro sussistenza, o versano incondizioni di indigenza, o non si sono mai occupati di po-litica ma soltanto di lavori manuali, allora per questo nonhanno la capacità di esprimere giudizio politico. È proprioquesto il cuore pulsante della democrazia: partecipare at-tivamente alla vita democratica non è un problema dicompetenza, ma un diritto intrinseco, una qualità che noiriconosciamo presente in tutti i cittadini in quanto citta-dini, qualunque sia il loro livello mentale o culturale o laloro indipendenza sociale.L’intera battaglia per il suffragio universale si è confron-tata con un simile problema: per parecchio tempo, fin daquando nel dibattito politico è apparso l’orizzonte dellademocrazia, molti conservatori hanno sostenuto che nonsi poteva concedere il voto a tutti, che non era pensabileche la sovranità effettivamente risiedesse nel popolo,

80

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 80

81

proprio perché è bene che a governare siano le personepiù competenti. Questa è un’idea che risale a Platone eal suo celebre argomento del governo dei custodi, spessoutilizzato da chi intende conservare un certo assetto dipotere. È curioso, però, che Dahl sostenga che anchel’idea leninista sia, in realtà, aristocratica e antidemocra-tica perché fondata sulla convinzione che a governaredebba essere il partito che è avanguardia e che ha sullapolitica quella competenza che al popolo manca. È un ri-lievo interessante, che ci dice che una simile idea della de-mocrazia come governo dei competenti, degli esperti, deitecnici ritorna spesso e non è necessariamente limitata alleposizioni conservatrici. Quest’idea elitistica contraddiceil concetto di democrazia e deve essere respinta in nomedi una concezione ampia della vita politica democratica. Eguale rispetto è il secondo concetto morale che Rawls,Dworkin e Dahl pongono alla base della democrazia.Eguale rispetto significa che tutti gli individui sono titolaridi diritti: prima ancora che si costituisca il sistema giuri-dico, gli individui sono intrinsecamente ed egualmente ti-tolari di diritti. La titolarità è posseduta da tutti allo stessomodo. Eguale rispetto ed eguaglianza sono evidente-mente collegati tra loro, ma si differenziano nella misurain cui, come ha sostenuto la filosofa politica Anna Elisa-betta Galeotti, l’eguale rispetto rappresenta il principioche conferisce all’accordo politico un valore morale3. Inaltre parole: l’eguale rispetto implica che l’accordo poli-tico, cioè il rapporto di cittadinanza, escluda la possibilitàche una parte, seppur maggioritaria, imponga agli altri leproprie scelte e opinioni, i propri valori e principi, il pro-prio modo di vedere. L’eguale rispetto, dunque, è colle-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 81

82

gato alla tolleranza, alla laicità. Con ‘laicità’ – si badibene – non s’intende l’esclusione della religione dallasfera pubblica, ma l’idea per cui nessuno può pensare ditradurre la sua convinzione religiosa o morale in leggedello Stato. Questo significa ‘laicità’ e questo io credo noidovremmo valorizzare oggi.C’è poi la questione del rapporto democrazia-individui:in un’epoca in cui si è fortemente sviluppato il principioindividuale, quale significato acquisisce il termine ‘de-mocrazia’? La democrazia è storicamente legata all’indi-vidualismo e allo sviluppo degli individui, poiché l’idealedemocratico nasce insieme all’idea per cui gli individuisono titolari dei diritti da cui poi deriva l’istituzione delloStato politico. Ma la convinzione che tra individuo eStato non ci sia mediazione alcuna appartiene più ai to-talitarismi che alle democrazie; al contrario, le teorie de-mocratiche sono ben consapevoli del fatto che fra gli in-dividui e lo Stato ci sono associazioni, società private eanche società che hanno valenza pubblica come, adesempio, la famiglia, i partiti, i cosiddetti ‘corpi intermedi’.È stato Robert Dahl, in particolare, a elaborare una teo-ria della democrazia che utilizza l’idea di ‘poliarchia’,dove, con questo termine, s’intende esattamente chenegli Stati democratici si dà una molteplicità di istituzionie non esiste soltanto lo Stato. Se l’idea originaria della mo-dernità, l’idea hobbesiana e poi rousseauiana, vuole chegli individui costituiscano lo Stato, Dahl ha una visione, sevogliamo, più sofisticata: ritiene che nella società esista unventaglio ampio e variegato di istituzioni, alcune dellequali possono anche derivare da epoche premoderne. Èil caso, per esempio, della rappresentanza, che è un

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 82

83

aspetto tipico della democrazia moderna: per i moderninon c’è democrazia senza sistema rappresentativo, men-tre per gli antichi l’aspetto rappresentativo era assai piùmarginale. Ma la rappresentanza democratica è l’evolu-zione di un istituto premoderno, quello dei corpi rappre-sentativi – inizialmente privi di potere legislativo – con iquali i ceti manifestavano i loro bisogni e le loro richiesteal sovrano. Vi sono poi altre istituzioni, proprie della realtà moderna.Quello, però, che per Dahl è rilevante è che la realtà dellademocrazia non è identificabile semplicemente con lacentralità dello Stato. Lo Stato è importantissimo ma lasua presenza è equilibrata da altre istituzioni non menorilevanti che, nella loro interazione reciproca e con lo Statostesso, ridefiniscono poi il proprio essere entro il conte-sto di una democrazia. Oggi viviamo in un’epoca di sfide per la democrazia, le-gate alla trasformazione delle nostre società su vari livelli:trasformazioni che spesso fanno pensare a qualcuno chela democrazia sia destinata a soccombere. Una di questeè senza dubbio la trasformazione delle nostre società insocietà multiculturali. Queste non sono semplicementesocietà pluraliste: il pluralismo è un tratto proprio delle so-cietà europee già da secoli. Si tratta, piuttosto, di un plu-ralismo nuovo che porta alla convivenza, sullo stesso ter-ritorio e sul medesimo terreno politico, di cultureprofondamente diverse nel modo in cui intendono, adesempio, il rapporto tra Stato e religione, tra pubblico eprivato. Le odierne società multiculturali fronteggiano,dunque, problemi di convivenza ma anche domandeforti e bisogni di riconoscimento da parte delle culture mi-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 83

84

noritarie. Si tratta di una delle sfide più serie per la de-mocrazia, e non a caso costituisce uno dei filoni di studioe di elaborazione maggiori della filosofia politica e dellascienza politica negli ultimi decenni, dalla fine del Nove-cento ad oggi. È una sfida certo difficile da vincere nellapratica ma non impossibile sul piano della concezionedella democrazia. Occorre trovare soluzioni per ricom-porre tra loro le esigenze di riconoscimento dei diversigruppi e una cultura democratica che ha una sua originestorica e geografica precisa. La democrazia è nata in Oc-cidente, per quanto, come ci insegna Amartya Sen, nonpossa essere interpretata come un’idea puramente occi-dentale, dato che anche altre culture hanno sviluppato,in epoche anche remote, una propria concezione della li-bertà e della tolleranza. La democrazia, inoltre, ha dimo-strato di sapersi adattare anche ad aree del mondo assaidiverse dall’Occidente: basti pensare all’India, che è unagrande democrazia, sicuramente difficile e con grossiproblemi, ma avviata da più di cinquant’anni. Proprio ilsuo essere una democrazia consente all’India di averestandard di vita più elevati che in Cina, dove pure la ric-chezza è maggiore. Tra le altre sfide che la democrazia oggi è chiamata a fron-teggiare, infine, voglio ricordare la crisi di identità che laglobalizzazione produce, con il conseguente rafforza-mento delle identità religiose; il problema, strettamenteconnesso, della laicità, cui ho fatto riferimento prima. Daultimo vorrei citare l’emergere delle questioni bioetiche:anche questa è una sfida alla democrazia. Le questionibioetiche infatti, nelle attuali condizioni della vita umana,sono uscite dalla sfera privata e richiedono decisioni pub-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 84

85

bliche4. È una sfida che in Italia viviamo con particolaredrammaticità e che non trova risposte facili nella nostrademocrazia. La via da percorrere è quella di identificare ivalori che le istituzioni pubbliche devono tutelare – anchese sono conflittuali tra loro – e cercare un equilibrio, ne-cessariamente instabile e provvisorio, ma accettabile, senon per tutti i cittadini, per quelli che sono disponibili alpluralismo ragionevole, e dunque al compromesso. Biso-gna dunque essere in grado di definire un terreno dimediazione, sul quale cercare insieme delle soluzioni le-gislative che siano almeno in parte accettabili per i diversipunti di vista morali. È una ricerca che non parte da zero,ma ha alla sua base i principi fondamentali di cui ho par-lato: l’eguaglianza di tutti gli esseri umani; il rispetto che,in conseguenza di questa eguaglianza, si deve a tutti nellostesso modo; il valore della libertà individuale e dell’au-tonomia delle scelte dei soggetti coinvolti. La nostra democrazia avrà serie difficoltà se non riusciràad affrontare positivamente queste sfide.

Le parole e le cose dei democratici

1 Di Rawls vedi Una teoria della giustizia (1971), Milano, Feltrinelli, 1982 e Liberalismopolitico (1993), Milano, Comunità, 1994; di Dworkin I diritti presi sul serio (1977), Bo-logna, il Mulino, 1982, e Virtù sovrana. Teoria dell’eguaglianza (2000), Milano, Feltrinelli,2002; di Dahl La democrazia e i suoi critici (1989), Roma, Editori Riuniti, 1990.

2 Dizionario di Politica, diretto da N. Bobbio, N. Matteucci e G. Pasquino, Torino, Utet,1983.

3 A.E. Galeotti, La politica del rispetto, Roma-Bari, Laterza, 2010.

4 Vedi C. Mancina, La laicità al tempo della bioetica, Bologna, il Mulino, 2009.

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 85

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 86

87

Comincerò col dire che, oltre ad aver lavorato per moltianni alla Scuola Normale Superiore di questa città, ho an-che io qualche ‘peccato di giovinezza’, essendo stato an-che un militante. Quanto dirò presuppone, dunque, lostudio ma anche il pregiudizio nel senso positivo del ter-mine, perché non posso che denunciare la mia parzialitànel riflettere, come già hanno fatto gli altri relatori, anchesulla mia esperienza personale. Sul piano strutturale procederò per tesi, come si usavafare nel quarto decennio dell’Ottocento, quando si pro-ducevano tesi su progetti politici e filosofici. La mia prima tesi prende le mosse da un articolo apparsosul New Yorker di febbraio che mi ha colpito moltissimo:s’intitola Twitter non fa la rivoluzione ed è firmato dalgiornalista Malcolm Gladwell, che de-costruisce intelli-gentemente il luogo comune secondo cui i social networkavrebbero consentito straordinarie esperienze politiche:dalla primavera in Moldavia del 2009 ai movimenti di Te-heran alle rivoluzioni degli ultimi mesi in Nord Africa. Ma,al di là della diffusione globale dei social network, esisteun rapporto così stretto tra le informazioni che circolanograzie a queste nuove piattaforme di comunicazione e di-scussione e il prodursi di movimenti socio-politici? Gladwell istituisce un confronto interessante con espe-

Michele Battini Professore di Storia Contemporanea,Università di Pisa

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 87

88

rienze che prima Claudia Mancina ha richiamato: i mo-vimenti americani per i diritti civili a metà degli anni Ses-santa, la preparazione del Sessantotto negli Stati Uniti,l’azione del movimento per l’affermazione e la registra-zione dei neri negli uffici elettorali. Famoso episodio èquello del movimento di Greensboro: nel 1960 quattrostudenti neri entrano nel bar di un supermercato e chie-dono da bere. Naturalmente viene loro risposto che inquel locale non si serve ai neri. I quattro studenti riman-gono in attesa, fermi, fino alla chiusura del locale. Ritor-nano il giorno seguente, quello successivo ancora e cosìvia: pian piano si uniscono a loro anche altri studenti,prima soltanto neri, poi anche qualche bianco. Le primebianche ad aderire al sit-in sono due compagne di collegee nell’arco di poche settimane il movimento esplodeprima nell’intera Carolina del Nord e poi in ben quindicicittà di cinque Stati del Sud. Gladwell prende le mosse daquesto episodio per argomentare che i grandi movimentidi protesta e rivendicazione si producevano già prima del-l’avvento dei social network. I ragazzi di Greensboro nonavevano certo mezzi di informazione e comunicazionecosì rapidi ed efficaci, ma disponevano di una risorsanon meno importante: sapevano organizzarsi, come di-mostra la realtà della National Association for the Ad-vancement of Colored People, vale a dire l’Associazionenazionale per la promozione della gente di colore, chegiocò un ruolo rilevante nella cancellazione delle leggi se-gregazioniste assieme alle Chiese battiste e ai collegeuniversitari. Esisteva, quindi, una comunicazione che im-plicava anche una organizzazione, cioè un rapporto di fi-ducia. L’articolo di Gladwell, infatti, si chiude con la se-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 88

89

guente argomentazione: per fare la rivoluzione non ba-sta Twitter: occorrono progetti chiari, fondati su analisirealistiche, occorrono compagni e amici fidati. Mi sembrauna bellissima conclusione, soprattutto perché de-co-struisce il pensiero che si sta affermando anche nelle uni-versità americane: un professore di New York, Clay Shirky,ha pubblicato nel 2008 un libro dal titolo Uno per uno,tutti per tutti. Il potere di organizzare senza organizza-zione, in cui si evidenziano le potenzialità politiche (ac-canto alle possibili degenerazioni) dei social network. È interessante notare che uno storico americano dell’Illu-minismo e dell’organizzazione delle culture, Robert Dar-nton, ha proposto un confronto a mio avviso straordina-rio, paragonando l’esaltazione odierna dellacomunicazione a una situazione molto lontana nel tempo,che risale addirittura al Settecento. Darnton invita a te-nere presente che si è sempre posto il problema della or-ganizzazione culturale di un’azione politica: l’Encyclopé-die cos’altro era se non un intelligente tentativo diorganizzare, con i mezzi dell’epoca, una comunicazionesulle innovazioni culturali e politiche più importanti? Eraun tentativo di formare un senso comune diverso daquello prodotto dalla tradizione cristiana dell’Antico Re-gime, per produrre riforme: fu diffusa in grandi copienelle Accademie, nei club, nelle società massoniche, neisalotti, con l’obiettivo di produrre una nuova visione delmondo in funzione delle riforme che si auspicavano, inprimo luogo sul terreno giurisdizionale contro lo strapo-tere della Chiesa e contro i privilegi aristocratici. Altre ipo-tesi di riforme radicali si diffusero grazie a questo poten-tissimo veicolo, al tempo stesso culturale e di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 89

90

organizzazione, di costruzione, di associazione. Seconda tesi: non è vero che l’Italia – qui veniamo al No-vecento – dal punto di vista della storia dei progetti po-litici e della loro organizzazione non abbia prodotto espe-rienze importanti. Io credo che noi, individualmente eanche collettivamente, siamo nani sulle spalle di gigantie che l’esperienza delle generazioni precedenti vada va-lutata molto attentamente, in quanto assai complicata ein parte contraddittoria. Il problema dell’organizzazionepolitica e culturale da questo punto di vista in Italia haavuto soluzioni originali. Voglio richiamarmi ancora auno studioso anglosassone, poiché gli anglosassoni sonoparticolarmente bravi ad osservarci e a proporci soluzioni.Si chiama Perry Anderson, è stato ed è uno storico im-portante per le indicazioni interessanti che ha saputofornire al nostro paese sul piano della riflessione politica.Nel suo libro The New Old World troviamo un capitolosull’Italia, una parte del quale è uscito qualche mese fa an-che sulla stampa italiana con il titolo La sinistra inverte-brata. Si tratta di un atto di accusa clamoroso contro «ladilapidazione» – testuali parole dell’autore – «della sini-stra». Due partiti organizzati, sindacato, un’estesa pre-senza elettorale, una ramificata rete di associazioni, ilmondo delle cooperazioni: questo straordinario patri-monio e un grande prestigio culturale – argomenta An-derson – oggi è, se non azzerato, di certo fortementecompromesso. La situazione italiana, che era la più bril-lante per la sinistra nel corso del Novecento, è oggi forsela più critica anche rispetto ad altri paesi della sinistra eu-ropea. Non so se il giudizio sia giusto e neppure mi inte-ressa. Ritengo, però, che la provocazione sia molto inte-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 90

91

ressante per l’interrogativo che pone: cos’era, dunque, laspecificità italiana della sinistra di allora? Anderson toccaqui il problema della comunicazione, dei valori culturali,dell’organizzazione della cultura: la sua risposta è che èesistito un modello sicuramente originale da questo puntodi vista, proprio della nostra realtà storico-politica. In unpaese come il nostro, in cui, fino a centocinquanta annifa, non è mai esistita una struttura statale unificante e uni-ficata ma in cui si sono date frammentate realtà statua-rie diverse, disarticolate corporazioni e reti di interessi co-munitari locali fortemente identitari, l’arte del governo deipopoli e delle coscienze è stata elaborata dalla strutturaecclesiastica. Questa specificità abnorme del nostro paese – dobbiamorendercene conto – è un problema ancora oggi presente:l’egemonia della Chiesa cattolica nelle crisi storiche ita-liane si rinnova grazie a una tradizione di presenza orga-nizzata sul territorio e di capacità di penetrare nelle co-scienze anche là dove non sembra. Pensate alla SecondaGuerra Mondiale, quando alla Chiesa si rivolsero masseintere di popolazione dopo il crollo dello Stato e durantel’occupazione nazionale. In assenza, per secoli, di unoStato unitario e in presenza di una Chiesa tridentina or-ganizzata capillarmente in modo assai diverso che nel re-sto d’Europa, il nostro paese, ancor prima che fosse na-zione, maturò i germi di un’anomalia che ancora oggiperdura. La peculiarità della politica e della storia italianevanno sempre ricondotte a queste lunghe radici. La sini-stra ha rappresentato un modello originale di costru-zione di un corpo collettivo organizzato: la cultura, cheper secoli era l’unica sfera in cui gli umanisti si oppone-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 91

92

vano all’invadenza della Chiesa, è diventata con la sini-stra cultura organizzata. Anderson scrive di un grande pa-trimonio perduto perché sembrerebbe che questa realtàoggi si sia disgregata; in realtà quella organizzazione fu,come hanno rilevato alcuni studiosi in modo interes-sante, una grande risorsa scarsamente utilizzata sia per unrovesciamento dei rapporti di forza che la condizionenazionale non consentiva sia per avviare una stagione diriforme che subì forti condizionamenti dall’esterno, in annicruciali quali gli anni Sessanta e Settanta. Vi fu allora quasiuna sorta di immobilismo prodotto da questa forza or-ganizzata che accumulava risorse ma non riusciva a en-trare veramente nei meccanismi decisionali. Se è vero che quella del nostro paese è una situazionetutta particolare, quando ci poniamo il problema del No-vecento dobbiamo certo farlo dal punto di vista di unaprospettiva europea, ma non possiamo perdere di vistal’eccezionalità italiana. Un panorama politico come quelloitaliano non esiste nel resto di Europa: l’azzeramentodelle culture politiche e la fine dei corpi organizzati ai qualiabbiamo assistito in Italia non è un fenomeno analogo allogoramento della social-democrazia, del socialismo, allacrisi della sinistra che registriamo nel resto d’Europa. C’èsempre una particolarità nazionale di cui dobbiamo tenerconto, anche se l’Europa è una risorsa per una rispostastrategica. Da questo punto di vista è chiaro che molto del Nove-cento, nonostante quegli aspetti positivi e non piena-mente utilizzati che abbiamo richiamato, è inevitabil-mente alla nostre spalle. Il Novecento è stato fortementesegnato nelle sue culture politiche dall’orizzonte della

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 92

93

guerra, e non è scontato ricordarlo: il socialismo – io diquesto ho parlato fino ad oggi – e il comunismo nove-centeschi sono profondamente diversi dal socialismo e dalcomunismo dei decenni precedenti perché l’orizzontedella guerra, a partire proprio dal primo conflitto mon-diale, ha ristrutturato la politica. La guerra significò nonsolo militarizzazione del territorio europeo ma soprattuttoeconomia di guerra, abolizione delle libertà, conforma-zione delle coscienze, abolizione del dissenso, corporati-vizzazione dell’azione sociale con i sindacati: questo mo-dello, sia a sinistra sia a destra, segnò fortemente letrasformazioni delle culture politiche. Claudia Mancina hafatto un interessante accenno in questo senso quando haparlato di due opposte critiche della democrazia. Questa,però, è stata una realtà tanto a sinistra quanto a destra:una scarsa popolarità della democrazia dopo la PrimaGuerra Mondiale fino alla Seconda: questo è stato in ef-fetti l’orizzonte del Novecento. Tuttavia, ciò non significa che dal Novecento e dalle sueradici illuministiche e socialiste ottocentesche non vi sianolezioni da recuperare. Chiudo allora su un tema che è perme formidabile, quello della giustizia sociale. Da questopunto di vista c’è chi ha scritto che la cultura socialista ecomunista, sin dalle sue origini – quindi dall’inizio del-l’Ottocento – ha sofferto di una contraddizione: da unparte, infatti, è stata un’utopia di completamento della Ri-voluzione delle libertà – tema, questo, che ha trattato al-l’inizio Vittoria Franco. Le libertà sono quelle conquistatecon la Rivoluzione dei diritti dell’uomo, il costituzionali-smo politico, l’emancipazione giuridica, il lavoro libero:battaglie certo circoscritte a metà dell’universo ma pre-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 93

94

supposto ineludibile per l’estensione universale delle li-bertà. Questa tradizione attraversa tutto il secolo e vedeimpregnata di sé una parte importante della cultura so-cialista: si pensi, ad esempio, al rapporto tra libertà e giu-stizia sociale. Vi è, però, una parte del socialismo che sindall’inizio vede nella ricostruzione di corpi organizzati e dicorporazioni nello Stato la soluzione della giustizia sociale,contrapposta alle libertà. Tutte le famiglie politiche, ad essere sinceri, dovrebberoessere de-costruite e disaggregate nel momento in cui leripensiamo. Esistono tradizioni cristiane e cattoliche de-mocratiche ma esistono anche cristianesimi sociali, cor-porativi, autoritari, e così via. Nel Novecento abbiamoavuto una visione democratica della nazione conciliabilecon la federazione delle nazioni – i polacchi che combat-tevano a Roma nel 1849, la prima Internazionale nata perla libertà della Polonia ecc. – ma anche il nazionalismo re-gressivo ed etnico. Recuperare questi aspetti è impor-tante, così come è fondamentale tenere presente che poinel corso del secolo scorso questa biforcazione si è persa.Da questo punto di vista non c’è dubbio che la chiusura,la costrizione dentro una cultura della guerra tra Stato eforze organizzate, di una visione militare della lotta poli-tica, per quanto ispirata ai più nobili ideali, ha segnatotutte le generazioni almeno fino agli anni Sessanta-Set-tanta. Persino la mia generazione è stata toccata dal-l’eredità di questa cultura novecentesca. Sul tema della giustizia e anche della reciprocità che Vit-toria Franco ha toccato vorrei chiudere davvero, perchécredo che vi sia un aspetto di questa tradizione di rifles-sione sul rapporto tra giustizia, universalismo politico e

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 94

95

democrazia politica che è ancora interessante e meritevoledi essere recuperato per la sua ricchezza. È stato citatoAmartya Sen, un economista, non a caso indiano, cha halavorato a stretto contatto con altri economisti di parti-colare rilievo per il loro contributo ad una riflessione mo-derna sulla giustizia economica, a partire da Albert OttoHirschman. Hirschman, ad esempio, si è formato anchein Italia negli anni Trenta a contatto con un’esperienza delsocialismo italiano di grande interesse, seppure minorita-ria. Ricordo le belle definizioni della libertà che ha rievo-cato in apertura Vittoria Franco: libertà come autonomia,come essere soggetto e non solo oggetto, come recipro-cità e responsabilità. Nell’ambito di una politica nove-centesca, quella parte del socialismo proponeva esatta-mente una visione autonomistica dell’articolazione delloStato, una democrazia economica articolata dal bassocontro la pianificazione sovietica. L’ultimo libro di Sen, L’idea di giustizia, avanza una criticainteressante alla teoria della giustizia di Rawls che a mesembra fornisca un contributo molto utile per questa no-stra storia delle culture politiche. In particolare, Sen sot-tolinea che la giustizia sia una forma che si realizza at-traverso le pratiche più che attraverso uno specificoassetto istituzionale della democrazia economica. Tutta-via, essa non può prescindere da un’idea della democra-zia economica che è e deve rimanere profondamente le-gata, al di là delle sue concrete realizzazioni, alla possibilitàdi conciliare due principi della distribuzione delle ric-chezze che nella tradizione novecentesca sono stati con-trapposti: da una parte, il principio del bisogno, della ne-cessità di soccorrere chi non ha; dall’altra, il principio dello

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 95

96

scambio e del libero mercato. Certamente è paradossaleuna sinistra che non si ponga il problema dei deboli, de-gli emarginati, degli sfruttati, dei bassi salari, soprattuttooggi che le conquiste italiane di venti-trenta anni fa sonofortemente a rischio. Che non ci si ponga il problema diun dialogo, oggi che le barriere nazionali sono sempre piùporose, fra i lavoratori cinesi e quelli italiani e di un mi-glioramento sostanziale delle loro condizioni, attualmenteassai lontane dall’orizzonte della giustizia, è indice di ungrave deficit culturale, ancor prima che politico.Il tema decisivo, dunque, è quello della democrazia eco-nomica come universalizzazione nell’economia della de-mocrazia politica. Lo ricordava giustamente Claudia Man-cina: non si devono contrapporre giustizia e democrazia.Il rischio, altrimenti, è di ritornare, per questa via, ad er-rori consumati nel tempo.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 96

97

1 - Vi sono molte, vecchie, parole che mantengono im-portanza per la sinistra del XXI secolo; altre, inedite, chedevono assumere ormai un rilievo fondamentale nel no-stro vocabolario. Anche le prime, quelle che continuanoa segnare l’orizzonte della nostra cultura politica, esigonotuttavia un rinnovamento – di contenuti, di relazioni conaltri termini, di strumenti – per poterle rendere efficaci, to-gliendole dal rischio di interessare strati sociali ristretti oaddirittura di essere destinate ad una collocazione nel mu-seo delle idee nobili, ma ormai incapaci di agire nella re-altà.È, tanto per fare un esempio, il caso di una parola irri-nunciabile quale ‘pace’: come si afferma, nel nostrotempo, dopo la caduta dell’Unione Sovietica e degli altriregimi del cosiddetto ‘socialismo reale’, cioè dopo il fal-limento di una speranza di liberazione umana universaleaffidata al marxismo e divenuta un sistema di oppressionedi donne e uomini, una sovranità limitata imposta a Statiche costellavano l’est dell’Europa? Come può vincere lapace in un tempo come il nostro, nel quale è ripresa la dif-fusione delle armi nucleari e di distruzione di massa, conle spese per gli armamenti che, nel disinteresse quasi ge-nerale, crescono nel nostro pianeta insieme alle disugua-glianze?

Vannino Chiti*

Vicepresidente del Senato della Repubblica

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 97

98

Per non restare un imperativo morale, ma costituire altempo stesso un obiettivo politico, la pace deve essereparte di un progetto che assume l’ambizione di dar vitaa strumenti di governance democratica mondiale, che larenda inseparabile dalla affermazione, ovunque, dei dirittiumani, che ne faccia un’occasione per una radicale revi-sione del concetto ottocentesco di non ingerenza all’in-terno dei confini nazionali degli Stati. E naturalmentenon si costruisce la pace – ma questo lo sapevamo dallegrandi lezioni del secolo precedente – senza o contro lagiustizia e l’uguaglianza, che fondano la libertà e la dignitàdella persona.Si colloca in questo quadro una riforma dell’ONU, che nefaccia l’istituzione protagonista della garanzia del rispettodei diritti umani e di uno sviluppo sostenibile, evitandoforme di crescita ormai in grado di mettere a rischio il fu-turo del pianeta e la vita dell’umanità. Certo l’ONU che diviene una forma, per quanto em-brionale, di governo del pianeta, su temi decisivi per laconvivenza dell’umanità, non può più essere rappresen-tata da un Consiglio di Sicurezza ordinato su membri per-manenti, dotati del diritto di veto, una fotografia oramaisbiadita degli esiti lontani del secondo conflitto mon-diale. La sovranità degli Stati e il suo rispetto rimangono senzadubbio un valore, ma non fino al punto di essere un as-soluto, che consenta a dittature di operare il massacro dipopoli, di minoranze culturali o religiose: si chiami inge-renza umanitaria o operazione di polizia internazionale,quello che è fondamentale è ridefinire un asse della no-stra cultura politica, che sia espressione di sensibilità e di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 98

99

azione, non di indifferenza, nei confronti di violazioni e re-pressioni dei diritti umani.Vi è dunque, da un lato, la necessità di impiegare su scalainternazionale, per garantire i diritti umani – seppurecome extrema ratio – la forza, decisa secondo criteri nonarbitrari, da un’unica autorità riconosciuta – cioè l’Onu –e per un tempo circoscritto, così che non vi sia spropor-zione tra mezzi utilizzati e fini; dall’altro, nell’azione pertrasformare la società viene bandita ogni strategia chenon sia fondata sulla non violenza.E qui si ha l’ingresso di una novità culturale e politica ra-dicale nell’orizzonte della sinistra del XXI secolo, cheviene per così dire – schematizzo per renderla più evi-dente – ad essere, riguardo alle forme di lotta, più gan-dhiana che marxista. Come ho premesso, si tratta di un esempio, ma non è ilsolo: si potrebbe continuare, riferendoci a pressoché tuttii capisaldi della nostra cultura politica.

2 - È che le parole del vocabolario politico si collocano inun contesto profondamente diverso dal passato: viviamonel cosiddetto mondo globale. È in corso la terza, granderivoluzione produttiva nella storia dell’umanità, dopoquelle agricola e industriale: la rivoluzione tecnologico-in-formatica. Sono già intervenuti cambiamenti epocali. Ac-cenno ai principali. Quello che forse ci riguarda più di-rettamente è il rapporto con la politica, che non si riferiscepiù alle masse, secondo una concezione ed una praticache si erano affermate a destra e a sinistra nel corso delNovecento, bensì agli individui, alle persone.Ed è stata la destra che meglio ha saputo cogliere la

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 99

100

spinta dei nuovi protagonismi individuali, inserendovi ilcuneo delle sue divisioni, quelle tra Nord e Sud, tra lavo-ratori del privato e del pubblico impiego, tra giovani e an-ziani, tra cittadini italiani – ed europei – e immigrati. È senza dubbio più complesso, partendo dalle soggetti-vità individuali, ricostruire nuovi e forti legami di solida-rietà, fratellanza, appartenenza, ma è altrettanto vero chela sinistra si è attardata nella difesa-conservazione di unpassato ormai tramontato, ha fissato le ancore in un uni-verso di valori annebbiato e spesso trascurato – basti pen-sare alla ridefinizione dei diritti, da coniugare con re-sponsabilità e doveri –, in un ubriacamento dipragmatismo, che ha lasciato spazi immensi alle culturedella destra, confinando così la sinistra in spazi sempre piùangusti, spesso subalterni.Altri cambiamenti, nel mondo globale, hanno divaricatoeconomia e sociale, mercato e democrazia.Nel nostro continente non esisterà più una sinistra capacedi porsi come protagonista, se non sapremo prenderenelle nostre mani la sfida per portare a compimento la co-struzione della dimensione politica dell’Europa: il nostrocompito principale è la realizzazione di una vera demo-crazia sovranazionale europea e, in questo quadro, neivari paesi, di un federalismo che renda le istituzioni più vi-cine ai cittadini e più efficaci nella qualità del governo.Democrazia sovranazionale e federalismo sono le rispo-ste per sconfiggere i populismi, che svuotano le nostreistituzioni e mortificano la partecipazione dei cittadini: aldi fuori di quegli obiettivi la stessa democrazia corre il ri-schio di un progressivo svuotamento e impoverimento.Questo rischio non riguarda solo l’Italia.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 100

101

Di fronte a noi vi è invece una sinistra imprigionata nei solipartiti, sindacati, Stati nazionali: incapace di proporsi perl’Europa, sorda alle grandi questioni di un cambiamentodegli assi dello sviluppo, attorno al quale nel Sud delmondo si costruiscono pensieri nuovi, si affacciano sog-getti plurali, tradizionali e inediti.

3 - Nel XX secolo concezioni guida per la sinistra, quellecapaci di aggregare le masse, di dar vita ad una egemo-nia culturale, ad un vero e proprio senso comune diffuso,sono state quelle di uguaglianza e di solidarietà.Oggi, nel nostro presente, in questo XXI secolo appenainiziato, tali impostazioni, per continuare a parlare con ef-ficacia alle persone, devono sapersi rinnovare, integrarecon altri contenuti.Sul tronco dell’uguaglianza deve sapersi innestare la dif-ferenza: la separazione tra uguaglianza e differenza, cioèla incapacità di una valorizzazione del merito, ha rappre-sentato la ragione fondamentale del fallimento delleesperienze politiche della sinistra, sia quando si è privile-giato il primo termine, proponendosi un’assurda omoge-neità e omologazione, sia quando si è posto l’accentoesclusivamente sul secondo. Uguaglianza-merito deve essere il binomio che nutreuna ridefinizione della cultura politica progressista eorienta la riforma del welfare.Da questo punto di vista viene ad essere centrale la crea-zione di una reale uguaglianza di opportunità di vita edunque costituiscono una priorità l’istruzione, la forma-zione, la salute, che non possono soggiacere all’ottica ri-stretta del profitto e del mercato. Altra cosa è la capacità

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 101

102

di inventare strumenti che concretizzino la sussidiarietà,cioè la presenza di forme sociali – e non esclusivamenteistituzionali – di offerta di servizi, finalizzate al bene col-lettivo.Questione cruciale è quella di non far diventare il mercatoprincipio egemone non solo dell’economia, ma dell’interasocietà, cioè Dio assoluto della vita dei cittadini.Sul tronco della solidarietà deve innestarsi un’idea nuovae più ampia: quella della cittadinanza.Nel XXI secolo il fondamento della cittadinanza non puòpiù essere rappresentato dal diritto di sangue (ius san-guinis): questa impostazione è diventata un approccioreazionario al configurarsi delle nazioni, all’espansionedella sfera dei diritti, al rispetto da parte di ognuno dei le-gittimi doveri. Viviamo in un’epoca di migrazioni, molti-tudini di persone si spostano verso paesi più ricchi, avan-zati ma caratterizzati da crollo demografico einvecchiamento delle popolazioni. Con questo fenomeno,certamente complesso, dobbiamo fare i conti: la demo-crazia stessa ne viene sfidata. Al diritto di sangue deve essere sostituito quello di suolo(ius soli), cioè la uguaglianza nei diritti e nei doveri perquanti risiedono nello stesso territorio, vi siano o menonati.Con il diritto di sangue deve essere superato quel lemmaantagonistico amico-nemico, che ha fino ad ora, nelcorso dei secoli, retto le sorti dell’umanità – nella politica,nella cultura come nelle religioni – motivando le nostrepaure, i nostri rifiuti del diverso. Del terzo innesto, quello dell’individuo sul tronco del-l’esperienza politica e civile di massa, ho già detto: è suf-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 102

103

ficiente ribadire che compito della sinistra è quello di pri-vilegiare nella persona gli aspetti della relazione con gli al-tri, il suo bisogno di relazionalità, che arricchisce il sensodella vita, sviluppa la virtù del senso civico.Rassegnarsi al prevalere di un isolamento egoistico, chesacrifica gli interessi collettivi e finisce per vanificare lastessa ricerca e affermazione della soggettività indivi-duale, equivale – come sta avvenendo – a lasciare enormispazi all’arrembaggio della destra.Vi è, infine, un altro aspetto, per me decisivo, da sottoli-neare, per quanto riguarda la sinistra, il movimento po-polare, democratico e riformatore che essa ha saputo or-ganizzare, rappresentare e dirigere nel corso del XXsecolo: mi riferisco all’autonomia politica, culturale e fi-losofica che essa aveva saputo costruire e che è stata ilpresupposto per quel suo ruolo da protagonista.Nel XX secolo – basti pensare in Italia alla lezione diGramsci – le forze del lavoro e del progresso sono usciteda una dimensione di subalternità, alla quale appartenevaper buona parte anche la tradizione socialista della culturapopolare, ed hanno elaborato un proprio punto di vista,in grado di leggere la realtà, nei suoi molteplici piani, lasua evoluzione storica, la sua struttura economico-pro-duttiva, la formazione intellettuale, le classi sociali ed ilruolo di quelle dirigenti. Su questa base venne elaboratoun progetto complessivo di riforma della società. Questa dimensione dell’autonomia, culturale e politica,deve essere tenuta ferma, deve restare un obiettivo per-manente: senza un proprio punto di vista sull’insiemedella realtà, senza una capacità di leggere il mondo e lasocietà, non è possibile costruire un progetto di cambia-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 103

104

mento. In fondo è questo ciò che chiamiamo ‘modernaidentità’: dei valori di riferimento, una autonomia critica,un progetto da far camminare nel concreto della società. Ed è ciò che più ci manca in questo inizio del XXI secolo.Il pragmatismo quotidiano è altra cosa: ci colloca su unpiano di navigazione a vista, nel quale restiamo sempresulla difensiva e subalterni, incapaci anche soltanto di im-postare – meno che mai di affermare – una rotta, unastrategia, un approdo.È l’autonomia culturale, come fondamento del suo agirepolitico, che la sinistra deve saper recuperare nel mondoglobale, e non solo in Italia.

* Si pubblica qui il testo gentilmente inviatoci dal Sena-tore Chiti, il quale non aveva potuto partecipare inprima persona ai lavori del panel per imprevisti motividi salute.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 104

105

PANEL IILe figure e le forme dei democratici

dopo il Novecento.Cosa possiamo e dobbiamo dire di centrosinistra

nell’epoca della Rete?

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 105

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 106

107

Nelle scuole di formazione politica si parla sempre di eco-nomia, di finanza, di relazioni internazionali, cioè di una se-rie di discipline che sono molto utili quando si sono vintele elezioni e si deve governare. Quasi mai, però, si parladi comunicazione, che è invece un sapere decisivo – in-sieme ad altri – per arrivare a raggiungere l’obiettivo divincere le elezioni. L’argomento di questo intervento in-tende andare controcorrente e rispondere alla domanda:come si fa a costruire consenso politico? In altre parole, perparafrasare il titolo di questo panel: ‘come dire qualcosadi centro-sinistra?’. Vorrei affrontare il tema in una maniera molto pratica,dandovi strumenti che possiate utilizzare fin da quandoavrete finito di ascoltarmi nella vostra attività politica quo-tidiana, durante la prossima campagna elettorale oppureper promuovere un’iniziativa di sensibilizzazione dell’opi-nione pubblica.Cominciamo dicendo che per costruire consenso politicoè necessario aumentare l’efficacia dei propri messaggi.Cosa vuol dire?Vuol dire innanzitutto ricordarsi che nel sostenere le vo-stre ragioni non è sufficiente dire ‘le cose come stanno’.Probabilmente vi sarà capitato di cercare di convincerequalcuno, per esempio un avversario politico o un amico

Gianluca Giansante Ricercatore, formatore e consulente di comunicazione

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 107

108

che aveva un’opinione diversa dalla vostra. Vi sarete ac-corti che, nonostante voi sosteneste la vostra tesi con unaserie di dati, di fatti e di statistiche, questa persona non siconvinceva. Questo accade perché i meccanismi mentalidella persuasione sono molto diversi dall’idea di persua-sione logico-razionale che naturalmente siamo portati aconsiderare validi. Per questo è importante utilizzare tec-niche che permettano di aumentare la nostra efficacia: diessere, cioè, innanzitutto compresi dalle persone; in se-condo luogo, di essere ascoltati, di non lasciare che le per-sone ‘spengano il cervello’ mentre parliamo; inoltre di farsì che il nostro interlocutore memorizzi ciò che stiamo di-cendo e, infine, ovviamente che sia convinto e d’accordocon noi. In questa prima parte dell’intervento parlerò proprio dicome questo sia possibile e, lo farò, come vi dicevo, for-nendovi tre strumenti utili. Cominciamo però con due veree proprie precondizioni della persuasione, che non inseri-sco fra i tre strumenti. La prima è la semplicità. Ricorda-tevi questo concetto: chi non vi capisce, non vi vota. Par-late sempre come se steste parlando a vostra nonna, alvostro meccanico, al vostro macellaio. Questo è unaspetto molto importante, ma, talvolta, dimenticato da chifa politica a sinistra (ma non solo). Talvolta si pensa che lapolitica debba parlare un lessico specifico, per ‘addetti ailavori’, ma si dimentica che così facendo si impedisce atanti – per esempio a chi si occupa di altro o a chi non haavuto la fortuna di studiare – di comprendere di cosastiamo parlando e di poter liberamente essere d’accordocon noi.La seconda precondizione è: dire cose interessanti per chi

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 108

109

ascolta. Se io avessi iniziato questo intervento parlandodelle tecniche di innesto della vite americana, molto pro-babilmente avreste smesso di ascoltarmi e vi sareste de-dicati ad altro, e giustamente, direi. Dunque è molto im-portante essere capaci di far percepire al nostro ascoltatorele ricadute sulla propria vita di quanto diciamo. In altre pa-role, se vi parlassi delle tecniche di innesto della vite comemetafora per la politica o per aumentare il vostro benes-sere fisico, forse continuereste ad ascoltare. Almeno perun po’.A questo punto, dopo aver delineato le precondizioni perla persuasione politica cominciamo a parlare dei tre stru-menti che ci permettono di aumentare l’efficacia dei no-stri messaggi. Ce ne sono tanti, ma questi tre hannoun’importanza particolare.Iniziamo dal primo: la narrazione. Se ne parla tanto e tal-volta senza troppa cognizione; in questa sede, però, nonvoglio essere teorico e addentrarmi in questioni tecniche1.Voglio invece partire da un esempio: la campagna di Ba-rack Obama nel 2008. Nelle fasi finali del confrontoObama annunciò che, tre giorni prima del voto, avrebbemesso in onda uno spot pubblicitario di trenta minuti, uninfomercial 2 dal titolo American Stories, American Solu-tions. C’era molta curiosità, anche perché non si sapevanulla di più. Molti pensavano all’ennesimo discorso di uncandidato che aveva infiammato le folle con la sua abilitàretorica. Niente di tutto ciò: dopo una brevissima introduzione,Obama cede la parola ai cittadini per raccontare le lorostorie, cinque storie di famiglie americane. Come quelladella signora Rebecca Johnston, madre di quattro figli, di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 109

110

Kansas City, Missouri. C’è una frase che colpisce molto inquesto documentario: la signora Johnston mostra il pro-prio frigorifero e dice: «ogni persona della famiglia ha unpiano: così, se sanno che quello che c’è in quel piano ètutto quello che hanno per la settimana, se lo faranno du-rare di più». Ecco: questa frase, pronunciata nel paese del-l’abbondanza e dello spreco, gli Stati Uniti, dice molto dipiù sulla crisi di qualsiasi statistica, di qualsiasi discorso.Mostra cosa significa la crisi veramente, nella quotidianitàdelle persone: una onesta famiglia americana si trovanella condizione di dover risparmiare perfino sul cibo.Questo fa capire quanto sia importante il tema econo-mico: se si fosse affermato il tema della sicurezza, McCainsarebbe stato chiaramente favorito e avrebbe avuto giocopiù facile. Sottolineare, invece, quanto fosse importante iltema economico era già un modo per far campagna a fa-vore del Partito Democratico e di Obama. In secondoluogo, questa storia prepara l’ascoltatore ad accettare lesoluzioni di Obama: permette di comprendere quanto siaurgente mettere in atto una serie di misure per contrastarela crisi.Facciamo un altro esempio, questa volta dall’Italia, permostrarvi come la narrazione possa essere usata non sol-tanto in un documentario ma anche in un discorso. Il pro-tagonista è Nichi Vendola3; durante la campagna per leelezioni regionali del 2010, nel corso di un comizio, a uncerto punto dice alla folla che lo ascolta: «Sapete quandoho sentito di aver governato bene? Un giorno che in Re-gione è venuto a trovarmi un ragazzo diversamente abile,uno dei diecimila a cui abbiamo portato un computer acasa per liberarli dalle loro prigioni civili...». Pausa. «Eb-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 110

111

bene, quel giorno, quando mi hanno detto che era venutomi sono preoccupato, pensavo che fosse accaduto qual-cosa. Invece – spiegava Vendola mentre in platea crescevala curiosità – era venuto perché voleva raccontarmi di per-sona che con il computer aveva trovato la fidanzata. La fi-danzata, capite?»4. Raccontando questa storia innanzitutto Vendola ottieneun risultato: comunicare in maniera semplice, diretta e fa-cilmente memorizzabile, uno dei progetti realizzati dallapropria amministrazione. Un altro politico, meno esperto,avrebbe detto: «Nella nostra amministrazione abbiamoposto grande attenzione alle questioni sociali finanziandol’acquisto di diecimila pc per ragazzi diversamente abili».Sarebbe stato come scrivere sull’acqua, perché le personese lo sarebbero dimenticato nel giro di pochi secondi. Inquesto modo, invece, Vendola fissa l’idea: permette a chilo ascolta di ricordare con facilità quanto lui afferma. In se-condo luogo, fa capire quanto sia stato importante distri-buire questi pc. Se io dico soltanto «ho dato dei compu-ter», qualcuno potrebbe pensare che non sia un temainteressante. Qualcun altro potrebbe considerare che sitratti perfino di uno spreco. Invece, presentando in que-sto modo l’iniziativa, Vendola fa capire a chi lo ascoltacome un piccolo gesto possa cambiare la vita di una per-sona.Iniziamo a capire, dunque, perché le storie funzionano inpolitica. Innanzitutto, perché ci permettono di passaredal livello astratto al livello concreto del discorso e, quindi,di essere compresi molto più facilmente. La politica è unargomento estremamente difficile, molto complesso, espesso poco interessante per le persone. La nostra epoca,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 111

112

l’epoca della Rete, è anche un’epoca di grande distacco ri-spetto alla politica, e noi, per essere veramente democra-tici, dobbiamo sforzarci di far capire alle persone quantosia importante nella loro quotidianità, quanto possa cam-biare le loro vite. La narrazione ci aiuta a ottenere questorisultato. In secondo luogo le storie ci consentono di catturare l’at-tenzione, svegliano chi ci ascolta perché le persone sonointeressate a sapere ‘come va a finire’. Il terzo vantaggiodella narrazione è la capacità di favorire la memorizza-zione. Se io vi racconto una storia, è molto più facile chevoi la ricordiate, come è più facile che ricordiate un filmpiuttosto che un trattato di teoria economica. Infine, lestorie creano un coinvolgimento emozionale. Io mi emo-ziono e mi sento coinvolto nel sentire il racconto del di-sabile, così come quello della signora Johnston: in qualchemodo, quindi, voglio partecipare, e questo è molto utilein politica perché stimola all’azione. Se voglio partecipareposso farlo in un modo semplice, votando la persona chemi sembra sia più capace di risolvere questi problemi.Abbiamo visto in azione una prima tecnica, che vi racco-mando di utilizzare quando vorrete far capire l’importanzadi un tema, quando vorrete sostenere un’opinione nellavostra attività quotidiana. Se riuscite a raccontare unaneddoto, un fatto, un episodio, la storia di una personache conoscete, potrete molto più facilmente catturarel’attenzione del vostro interlocutore e convincerlo rispettoa quanto fareste se cercaste di persuaderlo usando la lo-gica. Perché avviene questo?Rispondendo a questa domanda, iniziamo a trattare dellaseconda tecnica, che consiste nel parlare al livello concreto.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 112

113

Vediamo cosa significa. Termini come disoccupazione,economia verde, solidarietà sono molto belli e hanno ungrande valore, ma non sono in grado di catturare l’atten-zione delle persone perché sono astratti: riescono ad es-sere compresi da chi ha un livello culturale molto alto e uninteresse molto forte per il tema di cui si parla. Ma la mag-gior parte delle persone che votano ha un livello culturaleche non sempre è altissimo; così come non sempre gli elet-tori sono interessati a quello che state dicendo. Parlando,quindi, al livello concreto, è più facile far capire l’impor-tanza delle posizioni che vogliamo sostenere.Vi faccio un esempio di come possiamo fare. L’anno scorsoho seguito una campagna per un consigliere comunalenella mia città di origine, Chieti. Anziché parlare di granditemi in maniera generale e astratta (usando termini come‘disoccupazione giovanile’ o ‘disagio giovanile’), lo ab-biamo fatto focalizzandoci sul livello concreto, avanzandouna proposta realmente realizzabile e quindi un progettoche un consigliere comunale potesse effettivamente por-tare a compimento una volta eletto. In altre parole, nonpotevamo promettere di costruire un’autostrada, perchénon avremmo avuto l’autorità per farlo e sarebbe stataquindi una promessa che non avremmo potuto mante-nere. Tantomeno potevamo proporre di risolvere il pro-blema della disoccupazione in generale perché saremmorisultati poco convincenti e necessariamente fumosi. Po-tevamo, però, fare qualcosa per contribuire a risolverla.Poiché si trattava di un giovane abbiamo pensato di im-postare la campagna proprio sul tema del lavoro, di par-ticolare interesse fra il suo bacino di riferimento dei po-tenziali elettori. Abbiamo costruito la campagna su questa

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 113

114

proposta: l’organizzazione di corsi di formazione sull’usodi Internet per il commercio: il Comune avrebbe finanziatoe organizzato quest’attività per insegnare ai partecipanticome si fa a vendere i prodotti locali nel mondo, attraversoInternet, usando Google AdWords e Facebook Ads, peresempio. Questo avrebbe dato loro una professionalità, unmestiere, e avrebbe anche aiutato il commercio della città. Qualcuno potrebbe pensare che fosse una proposta im-possibile, avveniristica, futuribile. Per rafforzare l’idea chetutto questo fosse veramente realizzabile, abbiamo con-diviso attraverso i vari strumenti di comunicazione dellacampagna (Facebook in primis) un video che racconta unastoria bellissima. Quella di tre ragazzi di San Vito Chietino,un paese di tremila abitanti, a pochi chilometri da Chieti,che hanno creato un sito – www.lamiastampante.it – gra-zie al quale sono diventati leader in Italia nella vendita dicartucce per stampante5. Con questa storia abbiamo permesso di capire alle personeche ciò che noi proponevamo era assolutamente possibile,perché era stato già realizzato. Era possibile perché erastato fatto da ragazzi della loro età in un paese piccolis-simo e periferico.Passiamo ora all’ultimo strumento che vi voglio presentare:la metafora. A questo punto potreste pensare: «cosac’entra la metafora con la politica?». Non solo c’entra maè anche una figura retorica molto utile nella comunica-zione politica perché, per sua natura, semplifica i discorsie permette di comprenderli e ricordarli meglio. Vediamo cosa intendo con un esempio. Un ragazzo po-trebbe dire alla sua fidanzata: «la nostra relazione è a unbivio». Questa, anche se non sembra, è una metafora,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 114

115

perché non c’è un bivio reale nella loro relazione d’amore,non c’è un reale cammino che si divarica, ma un bivio fi-gurato, metaforico, appunto. Questa frase utilizza la me-tafora concettuale ‘l’amore è un viaggio’, molto diffusanella nostra cultura perché ci permette di parlare di unconcetto assolutamente astratto – l’amore – e renderloconcreto, tangibile, paragonandolo a qualcosa che tutticonoscono, un bivio appunto6.Questa è l’essenza della metafora: prendere un concettoastratto e renderlo concreto. Ma questa non è l’unica ca-ratteristica della metafora. La metafora è importante in po-litica perché, nel rendere concreto un concetto, ne sotto-linea alcuni elementi e ne nasconde altri. Nel nostroesempio, sottolinea il fatto che l’amore è una relazione fi-nalizzata a raggiungere un obiettivo: l’amore è come unviaggio, sottintende il pensiero «Noi stiamo insieme perandare da qualche parte, per sposarci, per avere un figlioo per stare tutta la vita insieme». Allo stesso tempo occultaaltri elementi: per esempio, il fatto che nell’amore c’è an-che un aspetto ludico, di conquista7. Cosa c’entra questo con la politica? Penso che voi abbiatesentito molte volte parlare di ‘pressione fiscale’. Questa èuna metafora perché mette insieme qualcosa di astrattocome le tasse con un concetto molto concreto che è lapressione, il peso. Questa espressione sottintende che letasse sono un peso che grava su di noi. In questo modosottolinea alcuni aspetti delle tasse – il fatto che pagarle èpesante, che sia un fardello. Ma ne occulta altri: peresempio la considerazione che se io, mentre sto parlando,mi sentissi male, arriverebbe un’ambulanza che mi porte-rebbe in ospedale e mi curerebbe e tutto questo gratui-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 115

116

tamente, proprio grazie alle tasse. Chiaramente la locuzione ‘pressione fiscale’ non èun’espressione neutra ma è portatrice di un punto di vi-sta molto chiaro sulle tasse, che è il punto di vista del cen-tro-destra. Ogni volta che un esponente di centro-sinistrala utilizza, rafforza inconsciamente in chi ascolta il puntodi vista della destra sulle tasse. Non è un’espressione cau-sale: è un’espressione che è stata studiata a tavolino.Ti faccio un esempio ancora più evidente: ‘scudo fiscale’.Anche questa è una metafora e qui è ancora più facile ca-pire che lo scudo è qualcosa che serve per proteggersi daun nemico, da un avversario, da un orco, da un drago cat-tivo: le tasse. Questa espressione, quindi, vuole sottoli-neare il fatto che questa misura proposta dal governo vo-glia difendere delle persone oneste, brave, da qualcosa dicattivo, le tasse. Occulta, invece, il fatto che sia un sem-plice condono fiscale: i cattivi, cioè, sono quei soggetti chequesta misura va a proteggere. Anche l’espressione ‘scudofiscale’, quindi, è portatrice del punto di vista del centro-destra e non dovrebbe essere mai usata da un politico dicentro-sinistra. Non è un’espressione nata per caso: infattiè un calco di un’espressione americana: ‘scudo spaziale’. Nel 1983 Reagan propone il finanziamento di un sistemadi protezione, lo scudo spaziale, e lo fa sostenendo cheserve per ‘proteggersi dai russi’. La metafora ‘scudo spa-ziale’, però, mentre sottolinea l’aspetto protettivo, occultail fatto che il sistema in questione era anche un sistema diattacco: un complesso sistema di missili, e i missili, si sa,possono essere usati per attaccare il nemico. Chiara-mente, se Reagan l’avesse chiamato ‘sistema missilistico dioffesa’, nessuno lo avrebbe voluto finanziare, mentre con

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 116

117

il nome prescelto la sua realizzazione era molto più con-divisibile dall’opinione pubblica.È evidente, quindi, che badare alla comunicazione, capirneil senso, studiarla, avere dei centri di ricerca, dei think tankche vi si dedicano, non è soltanto un’attività accademicama può essere molto utile per smascherare gli utilizzi ma-nipolatori del linguaggio. Gli americani sono arrivati aquesti risultati proprio perché hanno investito milioni didollari nei centri di ricerca sulla comunicazione.La metafora non è solo uno strumento linguistico ma puòessere impiegata anche attraverso le immagini. È quelloche fece Margaret Thatcher nel 1979 in una celebre fotoscattata nel corso della campagna elettorale che l’avrebbeportata al numero 10 di Downing Street. La candidataconservatrice mostra due buste, entrambe riempite con ilcontenuto della spesa fatta con una sterlina: soltanto chela prima, quella più grande, è stata riempita con la spesafatta nel 1974 e l’altra con lo stesso importo ai prezzi del1979, dopo cinque anni di amministrazione dei laburisti.In questo modo la Thatcher vuole mostrare come l’infla-zione causata dai laburisti abbia pesantemente influitosulla vita dei cittadini. Un altro esempio che riguarda ancora la Thatcher è legatoa un attacco dell’IRA in Irlanda del Nord, noto come ilmassacro di Warrenpoint, un agguato che costò la vita adiciotto soldati inglesi. In risposta all’episodio il Primo Mi-nistro britannico si reca sul luogo della strage indossandouna tuta mimetica e un elmetto; l’intento è quello di mo-strare che la sua risposta sarà inflessibile, dura, militare. Inquesto caso l’abbigliamento è una metafora di quanto laThatcher intenda fare ed è molto più efficace per espri-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 117

118

mere il suo punto di vista di qualsiasi discorso. Le foto, in-fatti, sono immediate e possono essere comprese dachiunque, anche da chi le guardi solo distrattamente.Ora abbiamo analizzato tre strumenti che possono essertiutili ad aumentare l’efficacia dei vostri messaggi nei con-testi politici, ma anche in quelli professionali o familiari.Adesso vorrei soltanto raccomandarvi una cosa: l’impe-gno. Dedicatevi a studiare la comunicazione. Per chi si oc-cupa di politica è importante avere una cultura in ambitogiuridico, economico, filosofico. Ma non si può sottova-lutate l’importanza della comunicazione. Vi raccomandoquindi, se siete interessati a questo argomento, di appro-fondirlo, con lo studio e la lettura. Soprattutto, però, vi in-vito a non pensare che sia necessario avere un tipo di lin-guaggio serio, di alto livello, che la comunicazione efficace,metaforica, narrativa sia una tecnica del centro-destramentre la sinistra debba parlare un lessico colto e forbito.Essere comprensibili, sforzarsi di essere chiari è, al contra-rio, un grande elemento di democrazia. La comunicazione efficace è una tecnica e come tale èneutra: se ne può fare un uso positivo o negativo, dipendeda voi. Ne è un esempio il libro di Roberto Saviano che haavuto un enorme successo nel sensibilizzare l’opinionepubblica sul tema della mafia perché usa uno stile narra-tivo, racconta delle storie, e le storie vengono seguite vo-lentieri dalle persone. È stato letto da milioni di personementre i grandi trattati sull’argomento rimangono confi-nati a una ristretta cerchia di addetti ai lavori.Un altro caso di questo genere è Blu Notte, il programmatv di Carlo Lucarelli che viene seguito da milioni di personegrazie allo stile narrativo del conduttore, che tiene avvinte

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 118

119

le persone. In questo modo è possibile parlare di argo-menti complessi, vicende politico-giudiziarie, passaggistorici controversi e allo stesso tempo permettere a tutti dicapire e di appassionarsi.A questo punto non mi rimane che lasciarvi con l’indica-zione di alcuni libri che credo vi possano essere utili per lavostra attività politica quotidiana. Si tratta di testi a cuicredo valga la pena di dare un’occhiata, magari com-prandoli e mettendoli a disposizione di tutti nel vostro Cir-colo o facendoli girare nel gruppo degli amici. Il primo è La mente politica di Drew Westen (Il Saggia-tore): parla di emozioni e di quanto sia importante susci-tarle in chi vi ascolta per essere convincente. Il secondo èNon pensare all’elefante, di George Lakoff (Fusi Orari), chetratta della metafora e dell’importanza di investire in co-municazione, di formare persone che sappiamo farlo conefficacia. Il terzo è Storytelling di Christian Salmon: parladi narrazione, nel contesto politico e in quello aziendale;infatti tutti gli strumenti che abbiamo visto possono essereutilizzati nella politica ma anche in un’attività commerciale,così come nella vostra vita quotidiana, per essere chiari edefficaci quando parlate con i vostri amici, con il vostro par-tner o con i vostri genitori. L’ultimo libro è un mio lavorouscito con l’editore Carocci. Il titolo è Le parole sono im-portanti e parla di come comunicano i politici italiani e diquali tecniche possono essere efficaci o, al contrario, con-troproducenti, per costruire consenso politico. Ci trovereteanche alcune delle cose di cui vi ho parlato in questo in-tervento, affrontate in maniera più approfondita.Concludo con un ultimo invito, pregandovi di considerarein modo nuovo tutti gli strumenti della comunicazione,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 119

120

perfino quelli che vi sembrano più distanti dalla politica. Ilgiornalista Peppino Impastato utilizzava l’ironia e la satiraper attaccare la mafia nel suo programma Onda Pazza, ilpiù seguito dell’intero palinsesto dell’emittente locale Ra-dio Aut. Le persone lo seguivano perché era divertente,ma allo stesso tempo Impastato riusciva a far passare il suomessaggio di denuncia contro la criminalità organizzata.La mafia ha capito quanto potesse essere potente que-st’arma, per questo ha reagito come tutti sappiamo, conun’arma molto meno sottile.

Le parole e le cose dei democratici

1 Per chi sia interessato ad approfondire l’argomento rimando a due testi: GIANSANTE, Leparole sono importanti. I politici italiani alla prova della comunicazione, Carocci, 2011, ea ID., La narrazione come strumento di Framing: le metastorie nel discorso politico di Ber-lusconi e Obama. Hologràmatica, 2009, Número 10, V2, pp.21-43.

2 La parola nasce dalla crasi dei termini information e commercial (spot pubblicitario).

3 Vi prego di dimenticare qualsiasi vostra opinione a proposito di Vendola e della sua po-litica.

4 Riportata in TELESE, Comizi d’amore, Aliberti editore, 2010, Roma, p. 64.

5 Il video è rinvenibile su YouTube con il titolo: AdWords Video Case: La mia stampante.

6 Altri esempi di utilizzo di questa metafora concettuale sono le espressioni: «la nostra re-lazione è a un vicolo cieco» oppure «il nostro matrimonio sta andando a picco». Per unapprofondimento si rimanda a G. LAKOFF, M. JOHNSON, Metafora e vita quotidiana, 1998(3a ed.), (Bompiani, Milano, dal quale abbiamo tratto questi e i successivi esempi relativialle metafore concettuali dell’amore.

7Questo aspetto è esaltato dalle espressioni «Egli è famoso per le sue numerose e rapideconquiste», «Lei ha lottato per lui ma alla fine ha vinto l’amante», «Lei è assediata dai cor-teggiatori».

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 120

121

Cercherò di tenere insieme due versanti: questo è uncorso di formazione e proverò ad attingere per quel cheposso alle competenze, agli studi, all’esperienza di do-cente universitario; certamente attingerò anche all’espe-rienza concreta di chi cerca di ragionare dal versante po-litico (della militanza e della direzione politica) sulrapporto, insieme teorico e pratico, nuovi media/politica.In questi anni, noi, come Partito Democratico, abbiamocercato di sperimentare alcuni strumenti innovativi sul ter-reno del rapporto tra partecipazione e tecnologie socialidella comunicazione legate al web.Ho avuto l’incarico e l’opportunità di seguire in prima per-sona alcune di queste sperimentazioni.In questo intervento, tuttavia, è mia intenzione soffer-

marmi in particolare sulle questioni legate alla costruzionedell’opinione pubblica (e del consenso) in Rete, come an-che mi è stato chiesto di fare: immagino poi ci sarà l’op-portunità per uno scambio di opinioni e per lo sviluppo dialcune questioni in sede di dibattito. A me piace partire da una citazione, da un’epigrafe, chedobbiamo a Manuel Castells, uno degli studiosi più im-portanti di questi temi. In un testo molto agevole intito-lato ‘Galassia Internet’ pubblicato nel 2007 nella Econo-mica di Feltrinelli, Castells scrive: «Internet è la trama delle

Francesco VerducciViceresponsabile vicario Dipartimento Culturae Informazione, PD nazionale

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 121

122

nostre vite». In questa frase c’è molta suggestione.Quando è stata scritta, Internet era qualcosa di molto di-verso rispetto a ciò che noi oggi conosciamo. Il panoramadei media sociali, come oggi lo vediamo e di cui poi par-leremo, era ancora di là da venire.Oggi Internet è effettivamente la trama delle nostre

vite: ognuno di noi è continuamente coinvolto in unatrama di relazioni dentro la Rete che condiziona il nostromodo di vivere, i nostri costumi, i tempi della nostraquotidianità. Insiste Castells: «se la tecnologia dell’informazione èl’equivalente odierno dell’elettricità nell’era industriale, In-ternet potrebbe essere paragonata alla rete elettrica». Comincio con questa affermazione per introdurre il temadella società dei network.Penso con convinzione che davvero noi oggi viviamo inquella che è definita ‘la società delle reti’ e ‘la società deinetwork’, e ritengo che questa sia una rivoluzione epo-cale, che va ad innestarsi sui mutamenti che hanno pro-fondamente rimodellato le società nelle quali viviamo: inparticolare, il passaggio dalla società di massa alla societàdegli individui dentro il grande contesto della globalizza-zione che tutto ha stravolto. La divisione internazionale del lavoro e la terziarizza-zione dei mercati del lavoro nei paesi occidentali ha por-tato per la prima volta al sorpasso dei lavori individuali eautonomi su quelli dipendenti: in questo cambio di pa-radigma è racchiusa una rivoluzione epocale dei costumi,del modo di pensare, del modo di vivere. Dentro questopassaggio c’è anche tanta parte di quella crisi delle de-mocrazie rappresentative che è innanzitutto crisi degli isti-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 122

123

tuti di rappresentanza, crisi di legittimità e di rappresen-tanza dei cosiddetti ‘corpi intermedi’ – in primo luogo ipartiti e i sindacati, che hanno svolto per lungo tempo unafondamentale funzione inclusiva, ma che a partire daglianni Ottanta dello scorso secolo, sull’onda di profondimutamenti sociali, vivono una grave sclerosi nel rap-porto con la società. La crisi dei soggetti della rappre-sentanza politica e sociale si lega profondamente allacrisi delle forme della democrazia rappresentativa, den-tro il contesto del tramonto delle funzioni degli Stati na-zionali e della insufficienza del tradizionale modello diwelfare, che, nato in Europa, era riuscito ad assicurare perlunghi decenni tenuta sociale, mobilità sociale, integra-zione sociale. In una parola: la possibilità per amplissimistrati sociali di far parte a pieno titolo della cittadinanza.Tutta questa complessa architettura a un certo punto sirompe, obbligando la sinistra a confrontarsi con la ne-cessità – non solo la possibilità – di ripensarsi.Tale rottura, inoltre, chiama in causa anche gli istitutidella democrazia, la sua capacità di rinnovarsi.Penso che tutto questo c’entri profondamente con la

Rete e con quella ‘società dei network’ nella quale siamoimmersi almeno sin dalla metà degli anni Novanta. Voglio dire anche che impressiona come la società deinetwork nella quale viviamo sia all’insegna di velocissimetrasformazioni: la rivoluzione tecnologica è incessante eriplasma continuamente la Rete ad un ritmo vertiginoso. Se prendiamo come riferimento la citazione di Castellsdella ‘Galassia Internet’, con la quale ci si riferisce al ri-baltamento dell’intero mondo che si aveva prima – quellodella Galassia Gutenberg e della produzione culturale le-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 123

124

gata al libro –, a me viene da pensare come tutti i mec-canismi di produzione, prima culturale e poi politica, le-gati alla rivoluzione del libro si siano sviluppati attraversosecoli. Prima di arrivare alla Rivoluzione francese, primadi arrivare all’età dell’Illuminismo, abbiamo impiegatosecoli. Internet non funziona così: in un’unica generazioneabbiamo vissuto rivoluzioni su rivoluzioni. Io sono natonell’ottobre del 1972: non sono quindi un nativo digitale,nel senso che ero già studente universitario nel ’92quando ci si iniziava a collegare alla Rete. Mi sono calatonel network con grande passione e curiosità, ma conser-vando le categorie di mediazione di chi sino ai vent’annisi è formato sui vecchi media e ha avuto imprinting bendiversi da quelli della Rete.Questo mi ha dato la possibilità di osservare lo stru-mento Internet. È sbalorditivo pensare che luoghi che ora-mai consideriamo parte del nostro vissuto quotidiano (intermini di relazioni sociali e culturali ampiamente intese)siano nati solo da qualche anno: YouTube nel 2005; Fa-cebook nel 2006 (e in Italia è esploso solamente a partiredall’autunno del 2008). Tutto è avvenuto velocissima-mente nel giro di cinque-sei anni, e ha significato tantis-simo per un’intera generazione. Questo mi porta a faread alta voce un’altra considerazione, che riguarda certa-mente il contesto, le cose con le quali noi abbiamo a chefare, ma riguarda anche e soprattutto la politica. Pen-siamo al tema del conflitto di interessi: una questione cer-tamente pertinente quando parliamo di comunicazione.Io parlerò di conflitto di interessi legato anche alla Rete,perché se è vero che noi oggi viviamo – io ne sono per-suaso – nella società dei network e della Rete (e noi cit-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 124

125

tadini, noi che vogliamo impegnarci in politica e nella so-cietà, dobbiamo farci i conti), è anche vero che grava suquesta società un macigno enorme, quello del cosid-detto ‘divario digitale’: un fenomeno che forse potremmodefinire meglio come ‘diseguaglianza digitale’. Questa di-suguaglianza ha varie componenti, di natura culturale,economica, sociale: le disuguaglianze digitali sono formedi esclusione pesantissima perché sempre più nelle nostresocietà la discriminante sarà tra chi è in condizione di ac-cedere alla Rete, e quindi avere conoscenza, un certo tipodi maturità e di cittadinanza, digitale certo, ma cittadi-nanza tout court, e chi, invece, ne è escluso. Si sta ragionando da un po’ di tempo, per quanto oggi sisia costretti a farlo dall’urto degli eventi, sulle nuove de-mocrazie: ad esempio, quelle nei paesi arabi. Abbiamoiniziato a ragionarci già qualche tempo fa, ma adessosiamo spronati a farlo dalle rivoluzioni che da gennaio inpoi hanno infiammato Tunisia, Egitto, Libia, Bahrein,Giordania. Bene: lo sapevamo anche prima ma adesso neabbiamo la conferma fattiva: ciò che alla fine permette aimovimenti di resistere al pugno della repressione è sem-pre costituito dalla Rete. La grande differenza che inter-corre a livello mondiale tra lo schieramento dei demo-cratici e quello dei conservatori (fino ai reazionari) è trachi si batte per la libertà e la neutralità della Rete e chi in-vece vuole piegare la Rete, vuole che la Rete non sia li-bera perché sa che è uno strumento formidabile per la de-mocrazia, per il suo perfezionamento, per la circolazionedelle idee. È stato così in Iran qualche anno fa: abbiamoancora negli occhi le immagini drammatiche, postate suYouTube, dei ragazzi che diedero vita alla rivolta, di Neda,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 125

126

la ragazza che in quegli scontri morì: immagini che feceroil giro del mondo e contribuirono a sensibilizzare l’opi-nione pubblica. Eppure, nonostante lo sdegno e la ripro-vazione internazionale che quelle immagini provocarono,oggi quei ragazzi in Iran sono sotto processo e rischianola pena di morte.Nei giorni della rivolta in Egitto, uno dei tentativi del go-verno che poi è stato travolto dai movimenti era quellodi togliere le concessioni alle reti telefoniche, per impe-dire ai telefonini e alla Rete di funzionare.A seguito di questa rivoluzione così veloce, l’intero sce-nario ha subito trasformazioni: non abbiamo più bisognodi avere una postazione con un computer per collegarcie relazionarci, per partecipare o fare politica: basta unoSmartphone che contiene tutte le applicazioni.Oggi ragioniamo sull’impatto di questa rivoluzione. Vor-rei porre un altro tema alla vostra attenzione: il fatto chela società della Rete abbia, in qualche modo, fornito uncontesto di socialità alla società degli individui: è il con-testo della Rete che in qualche modo induce l’individuo,protagonista nelle nostre società, ad un meccanismo so-ciale, connettivo, relazionale. I legami che nascono in Retedanno luogo a comunità virtuali che hanno una loro im-portanza perché sono sempre più delle forme sociali chesi aggregano su scelte comuni, molto diverse dalle vec-chie e tradizionali appartenenze. Per questo si parla an-che di ‘socialità elettive’: si tratta di persone e di gruppiche si scelgono tra di loro. In questo senso il meccanismodella Rete dà nuova linfa anche al meccanismo tradizio-nale dei movimenti sociali che, quando nascono, mettonoinsieme, di fronte a una certa questione, persone legate

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 126

127

da un dato bisogno: persone che, in qualche modo, siscelgono tra di loro e si riconoscono in base a questescelte. Penso che la Rete funzioni in modo analogo: allasua base non vi sono più le appartenenze tradizionali – ilcenso, il clan, l’etnia – ma appartenenze nuove, scelte co-muni, appartenenze ‘elettive’, potremmo dire con untermine classico, che richiama alla mente importanti let-ture. Queste ‘socialità elettive’ aumentano a dismisura un’al-tra grande agenzia che sappiamo importante per la so-cializzazione politica, per lo scambio dell’opinione, quindiper le scelte elettorali: il cosiddetto ‘gruppo di pari’ chein Rete trova una sua nuova dinamica. Inoltre questo pro-tagonismo dei singoli irrompe anche nel mondo dell’in-formazione – un mondo che sappiamo particolarmentepaludato e soggetto a ‘cattura’ da parte dei poteri forti,in un paese come il nostro gravato dal conflitto d’interessie in cui scarseggiano editori puri – e riscrive anche il rap-porto che intercorre tra media, potere e cittadinanza, inquanto permette maggiore indipendenza e maggiore di-scorso critico. Questa nuova cittadinanza possibile ri-chiede però lo sviluppo di una cultura della Rete checonsenta di superare divari e diseguaglianze: da questopunto di vista l’Italia è uno dei paesi più arretrati: ancoratra le nazioni più industrializzate del pianeta, ma all’incircaall’ottantesimo posto per investimenti nelle reti di nuovagenerazione e sviluppo delle potenzialità legate al digitale.L’altro versante su cui ragionare è il cosiddetto ‘web par-tecipativo’ – anche detto ‘web 2.0’ –, il cui avvento è unaformidabile tappa evolutiva dentro la rivoluzione di In-ternet, capace di mutare lo scenario del rapporto tra

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 127

128

Rete, società e partiti politici.Il web sociale nasce quando possiamo non solo scaricarema anche caricare dati: è l’era dell’uploading, dei singoliutenti che caricano in Rete contenuti prodotti in proprio.A me pare sia un passo in avanti di straordinaria portata:si tratta della possibilità, per ognuno di noi, di fare opi-nione, senza dover sottostare a mediatori. Un attento os-servatore, Giuseppe Granieri, descrive in un suo bel testodal titolo Umanità Accresciuta il meccanismo di socializ-zazione e crescita di un contenuto attraverso i nostricommenti e le nostre opinioni: contribuiamo a costruirecultura, significati, identità nuove, accresciute, ampliate.Nasce un nuovo senso comune, profondamente e inti-mamente legato all’etica dello scambio e della gratuità.Il web 2.0 porta poi con sé un altro importante concetto,che ha notevole rilevanza anche per la politica. Noi tutticonosciamo il panorama del web 2.0 soprattutto perl’impatto dei cosiddetti ‘media sociali’, il più famoso deiquali è sicuramente Facebook. Ebbene, Facebook ha cin-quecento milioni di iscritti in tutto il mondo, come recitail sottotitolo dell’ormai celebre pellicola di David Fincherdi qualche mese fa, perché la chiave del suo successo, lasua straordinaria formula, consiste nell’aver assommatoin un’unica piattaforma tutti i linguaggi della Rete e tuttele applicazioni. Non abbiamo più bisogno di creare e cu-rare un blog perché direttamente su Facebook, seppurecon un linguaggio più semplificato e sintetico, possiamointervenire nel dibattito pubblico ed essere connessi conle persone alle quali ci sentiamo legati. Questo inedito panorama porta con sé un nuovo con-cetto di comunicazione. Quante volte – e mi rivolgo a

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 128

129

Mario Rodriguez – io, tu, noi abbiamo detto che è fon-damentale, per saper comunicare, saper innanzituttoascoltare? Dal 2008 abbiamo a che fare con un cambiodi scenario – quello della conversazione – che è formida-bile anche per chi vuole comunicare la politica: conver-sare significa intrecciare linguaggi ed emozioni, significaun ingaggio emotivo e sentimentale, anche ascolto, con-divisione. La grammatica e il metodo della conversazionesono importanti per la politica, così come per il marketingcommerciale. In un testo della fine degli anni Novanta, ilCluetrain Manifesto (1999), l’autore prende le mosseproprio da questo concetto: i mercati sono conversazioni.Vi dice niente? Vi accennava in precedenza GianlucaGiansante: tutta la nostra pubblicità è un grande rac-conto, è la capacità di farci voler bene e di suscitare, in chici ascolta, il desiderio di un prodotto, di un obiettivo co-mune, di un orizzonte diverso: è, per l’appunto, per citareuna formula felice, il lovemark.Io penso che in qualche modo la Rete ci dia anche la pos-sibilità di rinsaldare dei meccanismi di solidarietà e delleidentità comuni: il fatto di passare dalla navigazione allaconversazione, il fatto che tutti noi abbiamo l’opportunitàdi trasformarci da spettatori a protagonisti, il fatto che at-traverso i blog e i media sociali ognuno di noi possaesprimere il proprio punto critico sulle cose che vede in-torno. C’è un bel libro di uno studioso olandese, ZeroComments di Geert Lovink, pubblicato in Italia da Mon-dadori, che vi suggerisco per l’acutezza della sua analisi:riferendosi ai blog prima che nascessero i social network,egli scrive che essi hanno colmato il divario tra Internet ela società. Si tratta del resto di un progresso recente: ra-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 129

130

gioniamo sul fatto che centinaia di migliaia di persone, so-prattutto quanti erano dotati di strumenti di conoscenzapiù deboli, hanno avuto la proprio alfabetizzazione ad In-ternet attraverso i media sociali, attraverso Facebook,attraverso i blog. Io penso che questo concetto si possaapplicare anche alla politica e alla società; penso che laRete sia uno strumento utile per colmare il divario che in-tercorre tra la società e la politica. In questi anni è domi-nante il tema, sul quale anche noi ci interroghiamo, sucome rinnovare la politica. Il Partito Democratico è natoper fare appunto questo: rinnovare la politica. Sentiamo,percepiamo che c’è una distanza molto ampia tra l’opi-nione pubblica e la politica, tra le istituzioni, i soggetti po-litici ed una società frammentata, inquieta, divenuta piùfragile: noi lo dobbiamo colmare, e possiamo farlo sol-tanto se riusciamo a rinnovare anche le forme della po-litica, se riusciamo a costruire nuove modalità del nostroessere democratici. Internet permette di ascoltare, di mo-bilitare, di riattivare ad uso dei partiti politici una demo-crazia di mobilitazione: per i partiti politici è molto im-portante che questo avvenga. A me non piace una societàin cui la democrazia della mobilitazione sia, in maniera tal-volta parossistica ed esagerata, realizzata dagli organi distampa: in Italia ormai i giornali, tanto cartacei quanto on-line, siano di destra o di sinistra, sono tutti un appello allamobilitazione. Questo, quando si presenta in formatroppo accentuata, porta a mio avviso a una radicalizza-zione del confronto, in cui, come talvolta vediamo in te-levisione, rischia di non esserci più informazione né og-gettività. A me piace pensare che il meccanismo dell’informazione

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 130

131

dovrebbe essere diverso, per poter contribuire al raffor-zamento delle democrazie.Per concludere, riprendo la domanda sollecitata dalla se-conda parte del titolo così ambizioso che questo panel re-cita: ‘cosa dobbiamo e possiamo dire’ noi democratici neltempo della società dei network?Per mobilitare non bastano gli strumenti: se Obama nonavesse avuto qualcosa di molto solido da dire, in tutto ri-spondente ad una grande aspettativa sociale, allora cer-tamente la Rete non lo avrebbe eletto proprio beniamino,prima che poi decidessero di farlo anche gli elettori nelleurne. Egli aveva da comunicare una nuova idea di mo-dello sociale, una nuova socialità fondata sull’inclusione,una critica forte al paesaggio desolante del neoliberismoche ha ridotto ai margini larghe fasce di ceto medio ecreato enorme sacche di vera indigenza negli Stati Uniti.Una missione fortemente simboleggiata dalla battagliaper la riforma della sanità e per i servizi pubblici: tantaparte della democrazia di mobilitazione messa in campograzie alla Rete è dovuta alla forza di un nuovo messag-gio di ricostruzione delle speranze collettive. A noi oggi compete uno sforzo analogo, non di minoreportata.La forza di un messaggio che faccia percepire che èpronta davvero un’alternativa per il nostro stremato e in-quieto paese. E intorno a questo progetto di cambia-mento chiamare a raccolta e cementare una nuova alle-anza sociale: un popolo che il Partito Democratico ha dallasua parte, e che in larga misura esiste, dice la propria e simobilita in Rete.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 131

132

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 132

133

Il mio intervento parte da alcune domande. Voglio chie-dermi, anzitutto: quali sono le forme di partecipazioneche risultano egemoni nella nostra epoca? Quale parte-cipazione è possibile in un contesto in cui l’egemonia cul-turale è definita attraverso forme di comunicazione tut-tora dominate dal modello televisivo? In che modo,concretamente, altri modelli comunicativi possono offrirepossibilità di tipo diverso? In altre parole: in che modo, nelnostro contesto, è possibile agire e comunicare politica-mente in maniera innovativa ed efficace?È abbastanza chiaro che in questa fase della storia dellacomunicazione, e della comunicazione politica in parti-colare, vi è un forte legame tra una determinata forma delcomunicare, quale è quella massmediatica (la forma cheviene soprattutto privilegiata), e un precipuo modo di ot-tenere e di conservare il consenso. Così com’è chiaro chechi per primo ha avuto l’idea di accaparrarsi il controllodegli strumenti di comunicazione radio-televisivi, e na-turalmente ha avuto i mezzi finanziari e l’opportunità po-litica per farlo, si trova anche nella condizione di pro-muovere un certo modello politico. Lo insegna la storiadella comunicazione. Le grandi dittature devono moltoalla radio (che risulta, come sappiamo, garanzia e luogodella loro propaganda). Quello che noi dobbiamo alla te-

Adriano Fabris Professore di Filosofia morale ed Etica della comunicazione,Università di Pisa

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 133

134

levisione, invece, è il modello della democrazia leaderi-stica. Tutto ciò comporta una particolare idea di partecipa-zione. Infatti partecipazione, in qualche modo, vi è anchenella democrazia leaderistica: posto che il termine ‘de-mocrazia’ (come accade per altri termini del nostro lessicopolitico: ‘libertà’, ‘responsabilità’ e per lo stesso concettodi ‘partecipazione’) possa essere trasformato nel suosenso, cioè radicalmente risemantizzato, conservandoperò un qualche legame, un qualche ricordo dei signifi-cati che esso aveva nel passato. Ma che cosa vuol dire inquesto contesto ‘partecipazione’? Significa tre cose: lapossibilità di seguire il leader (e chi più velocemente lo se-gue meglio viene ricompensato); possibilità di assistere inprima persona agli eventi che riguardano i protagonistidegli eventi politici (partecipazione allo spettacolo); pos-sibilità d’imitare il leader facendo nei contesti locali ciò cheegli fa nei contesti nazionali.Molto di questo lo abbiamo sotto gli occhi. Ma abbiamosotto gli occhi anche altro. Abbiamo rivolte democratichefatte da persone che, come in Maghreb, chiedono panee libertà, e preferiscono sacrificare la propria vita se nonli ottengono. Abbiamo sommovimenti resi possibili dal-l’utilizzo delle nuove tecnologie. Abbiamo una tendenzasempre più forte alla trasparenza e alla diffusione dellenotizie: si veda il controverso caso di Wikileaks. Le nuove tecnologie, ben lo sappiamo, rendono possibileun nuovo e diverso senso di ‘partecipazione’. La parteci-pazione del web 2.0 non è one-to-many, bensì many-to-many. Ha la struttura della Rete. Mette tutti quanti sullostesso piano. Non c’è un leader e un target (ovvero, una

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 134

135

massa che ascolta), ma vi sono veri e propri interlocutori.Proprio queste nuove possibilità, applicate all’ambito po-litico, hanno fatto nascere il mito del social network comeluogo in cui è possibile esercitare, finalmente, una de-mocrazia diretta (dove è possibile fare l’esperienza di un‘cybersoviet’, com’è stato detto). Ecco perché impaz-zano i blog degli uomini politici, è quasi d’obbligo la loropresenza su Facebook, si ripropone come modello lacampagna elettorale di Obama, considerata la madre ditutte le campagne elettorali vincenti.Ma è proprio così? Cerchiamo, almeno in questo caso, dinon mitizzare, né di ideologizzare l’uso della Rete. Te-niamo ben presenti alcune cose:Anzitutto, il pubblico del web 2.0 è un pubblico giovane.Non a caso giovani sono coloro che hanno dato il via allerivoluzioni nel Nord Africa. In Italia, però, i giovani sonouna minoranza, all’interno di una società che invecchiasempre più (e che sempre più si accontenta del mezzo dicomunicazione radiotelevisivo). Non basta, per superarequesto cultural divide, uno sforzo dettato dalla buona vo-lontà. Non basta perché le generazioni più giovani sonoquelle che sono cresciute, proprio, a pane e televisione.Il loro modo di ragionare è, appunto, per lo più per im-magini, non già per argomenti. Ecco perché questa stessafascia di età è suscettibile di essere contagiata da formedi populismo acritico, mediate anche da una sorta di mu-tazione genetica nell’uso del mezzo televisivo e della suacapacità di creare spettacolo. Il web 2.0, da questo puntodi vista, è proprio il luogo in cui l’individuo singolo, iso-lato, può dare spettacolo di sé. Facebook ne è l’esempiopiù chiaro. In esso si riafferma il primato dell’individuo iso-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 135

136

lato, che arbitrariamente si collega ad altri individui, senzala garanzia che venga creato un agire comune. Il pro-blema qui è dunque quello di mettere in opera una formadi partecipazione nella quale chi partecipa sente di con-tare davvero e di operare con altri alla realizzazione di unprogetto condiviso.Il web 2.0, poi, suscita ben precise perplessità perquanto riguarda le questioni collegate all’autorevolezza,la privacy, la mercantilizzazione dei dati acquisiti in unreciproco scambio. Basta far riferimento, come esempiper ciascuno di questi problemi, rispettivamente a Wi-kipedia, a Facebook, a Google. Il web 2.0, insomma,non è la panacea: proprio per questo – ecco il punto –ha bisogno di regole. Ci deve essere un’etica della par-tecipazione in Rete al fondo di queste pratiche, affinchéla Rete stessa possa svilupparsi davvero in forme parte-cipative.La comunicazione procede, nella sua storia, per accu-mulazione, non già per sostituzione. Il che vuol dire che,allo stesso modo in cui non muore né morirà la comu-nicazione giornalistica sulla carta stampata, e non muorené morirà la comunicazione radiofonica, non muore némorirà neppure la comunicazione televisiva, con la spe-cifica forma di partecipazione che essa richiede e pro-muove. Il web 2.0 si affianca a tutto ciò, offre unostrumento ulteriore, ma non garantisce, di per sé solo,l’egemonia culturale di una parte o l’imporsi diffuso diuna certa modalità di comportamento. Ciò che tuttaviava mantenuto, soprattutto nella prospettiva di una co-municazione politica, è il contatto diretto, faccia a fac-cia, con i cittadini. Posto che non lo si sia definitivamente

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 136

137

perso. Il problema è allora quello di unire, non già di so-stituire, nuove tecnologie e vecchie forme di intera-zione.L’uso di uno strumento non esime dall’elaborazione distrategie, prima ancora che politiche, di carattere cultu-rale. L’uso di uno strumento, di uno strumento comuni-cativo, è tattico. Diventa strategico se si comprende latrasformazione culturale che è insita nell’uso di unostrumento comunicativo e la si sfrutta. E soprattutto sesi comprende per primi questa trasformazione culturale.I secondi possono essere solo degli imitatori senza futuro(la storia recente lo ha insegnato ad abbondanza). Duesono dunque gli errori che è bene evitare: 1. Non com-prendere la mutazione antropologica che è insita nellenuove tecnologie e non saperla interpretare in chiavepolitica, ma considerare le nuove tecnologie come deisemplici strumenti da usare tatticamente; 2. Enfatiz-zare una sola modalità comunicativa a discapito di altre.Il problema di fondo, qui, è dunque quello di elaborareuna politica culturale capace di comprendere, sfruttaree integrare, accanto alle diverse forme di comunicazionedisponibili, anche quelle fornite dal web 2.0.In conclusione, le nuove tecnologie della comunica-zione rendono possibile, indubbiamente, nuove formedi partecipazione. Ma sarebbe un errore affidarsi sem-plicemente al mezzo, credendo che esso di per sé possadettare le regole per una partecipazione efficace. Ilmezzo va usato, e a usarlo siamo noi. A partire dai no-stri interessi, dai nostri sogni e dalle nostre aspirazioni.A partire dalle regole di fondo alle quali possiamo rife-rirci e allo sfondo etico che motiva al loro utilizzo. E, so-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 137

138

prattutto, movendo dall’idea che i vari mezzi di comu-nicazione devono essere integrati l’uno con l’altro: perevitare gli errori di prospettiva connessi alla mitizzazionedi una forma comunicativa; per rendere possibile, atutti i livelli e per tutti i cittadini, modalità autentiche dipartecipazione.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 138

139

Da dove partiamo? Partiamo dall’età di Berlusconi. Ècome se i nostri orologi si fossero fermati al 28 marzo del1994. Berlusconi è protagonista assoluto del dibattitopubblico, inevitabilmente anche del nostro. Io vorrei chefacessimo ripartire le lancette e lo facessimo guardandofinalmente avanti o almeno di fianco, guardando tuttoquello che succede nel mondo, tutto quello che succedenella Rete, nella comunicazione e anche nel vissuto dellapolitica a livello europeo e internazionale.C’è quella famosa raffigurazione di Susanna e i vecchioniche rappresenta un po’ l’epoca in cui viviamo. C’è ancheun po’ di Ruby dentro. Però c’è il fatto che Susanna è sal-vata da Daniele, che è piccolino e già profeta: questo ciindica che il compito del salvataggio è affidato a voi. Noisiamo una generazione a metà strada e c’è bisogno diun’energia secondo me nuova, di un punto di vista chefaccia saltare uno schema sul quale ci siamo soffermatitroppo a lungo. Pensate al fatto che io sono consideratoun giovane del PD. È bellissimo come slogan per la cam-pagna di tesseramento: ‘nel PD si è giovani fino a ses-sant’anni’. Mi chiedo se sia una fregatura, perché unopuò pensare che sia un trucco. Qualcuno può dire che io,la Serracchiani e gli altri del giro siamo sempre in primapagina perché siamo i giovani.

Giuseppe Civati Consigliere regionale PD Lombardia

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 139

In realtà è una grande fregatura sotto il profilo politicoperché noi non siamo più giovani. Come ha spiegato RosaRusso Iervolino, siamo dei ‘guagliuncelli’. È un trucco re-torico molto interessante: tutto il nostro discorso politicoè intessuto di questi trucchi e di queste fregature che ne-anche vediamo, e magari ce ne vantiamo pure.Il web è l’esempio più clamoroso. Io non vi faccio una le-zione perché non ne sono capace, ma ci sono alcune coseda evitare. Innanzitutto, il ‘popolo del web’. Spesso i no-stri politici dicono: ‘io sono molto apprezzato nei comizi,è il popolo del web che ho contro’. Ma il popolo del webnon esiste, non c’è nessuna separatezza tra i due tipi dipubblico. Ormai con i social network è un argomento ve-ramente ridicolo distinguere tra chi fa politica in un certomodo e chi sta sul web, soprattutto al di sotto di una certaetà. Vi segnalo, tra l’altro, che anche quest’ultimo è unluogo comune perché da qualche tempo ormai i socialnetwork e il web crescono moltissimo tra le persone diuna certa età, anche in Italia. Chi vi parla del ‘popolo delweb’, chi vi dice che c’è una separazione tra i due mondi,sta mentendo. C’è di più: questa separatezza provoca an-che incomprensioni straordinarie proprio sul tema cultu-rale che è stato benissimo descritto da Fabris in ultimo.Nel senso che noi, sul web, non abbiamo solo degli stru-menti a disposizione, ma anche un modo di comportarci:abbiamo una filosofia, se volete, una struttura delle rela-zioni che è molto diversa rispetto a quella a cui siamo abi-tuati. Noi, per esempio, siamo un partito molto gerar-chico: sul web ci sono relazioni e regole da seguire,un’etichetta, un’educazione, un comportamento consi-gliabile, schemi da rovesciare. Forse, però, ci si potrebbe

140

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 140

141

anche immaginare un mondo democratico in cui, a dellegerarchie un po’ piramidali, si sostituisca qualcosa di piùorizzontale, con regole definite nei momenti di decisione,qualcosa che sia fondato su un concetto fondamentale:la trasparenza. Chi decide che cosa, dove matura una po-sizione, quali sono le conseguenze a cui questa posi-zione porta. La parola più bella è una parola di sinistra:‘condivisione’. Una parola sulla quale si scrive molto mache in fin dei conti, forse, non è entrata ancora nella vitapolitica italiana. È un modo anche per correggere l’indi-vidualismo di ciascuno di noi. Il personalismo, in generale,è quell’atteggiamento per cui è importante che una cosala dica io. Io ho recentemente avanzato questa proposta:che noi sulle idee all’interno del PD non dovremmo met-tere i cognomi, come nelle buste dei concorsi. Perché ècerto che, se un’idea viene avanzata da Veltroni, ai dale-miani non piacerà, e viceversa. Il fattore culturale, anchesu questo terreno, è decisivo. Sul web troviamo poi un altro insegnamento che la po-litica italiana non sembra aver compreso del tutto: la po-litica sta tra le cose. Mario Rodriguez ha uno dei profili diFacebook più da psicosi – ormai è irrecuperabile – in cuisi trova un po’ di tutto, non solo articoli legati al suo la-voro: è un corso di idee, di associazioni, di intuizioni cheRodriguez colleziona e rendono il suo profilo più accatti-vante. Se parlasse sempre delle cose che studia o che fasarebbe una noia mortale. I politici tendono invece afare questo secondo errore: ci dicono, per esempio,quando vanno in tv. Ci sono degli status su Facebook fan-tastici: ‘sono a TeleLombardia alle nove’, tanto per citarneuno. Capite? Questa idea di stare tra le cose, di mostrare

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 141

142

anche una umanità, è un elemento decisivo sul quale noistessi dobbiamo sperimentare strategie concrete. Dob-biamo metterci a disposizione dell’elettorato, delle per-sone con cui noi lavoriamo. Questo io vorrei dire oggi:che la Rete è uno straordinario strumento leninista, se vo-lete un nuovo conio, per organizzare la partecipazione.Per organizzare una partecipazione e un consenso che al-trimenti ci scivolano via. Non credo che i circoli del PDsiano esaustivi nella costruzione di una proposta demo-cratica, e la Rete stessa non basta. Coniugando i due ele-menti si può costruire qualcosa. Pensate a tante iniziativeche anche voi promuovete tra la Rete e il territorio e acome le due dimensioni si tengano insieme. Io stesso unavolta scrissi: ‘Facebook è l’arte della manutenzione dei ga-zebo’. Facebook, infatti, può essere utilizzato anche perorganizzare il banchetto tradizionale, in uscita dal qualesi può anche fornire l’indicazione ‘seguici su Facebook!’.Altra questione da chiarire: noi parliamo spesso di ‘base’.La base è un luogo mitico che poi nessuno ascolta mai.Ma la base è anche base di dati. Noi siamo il partito nelmondo che ha più indirizzi, archivi, e-mail. Questa basedi dati, questi archivi delle primarie, se fossimo Obama,li avremmo già utilizzati in modo molto ampio. La cura diquegli indirizzari e l’utilizzo di una strategia che si chiamamicrotargeting ci può consentire questo. Proveremo afarlo con le firme raccolte per la richiesta di dimissioni diBerlusconi. Può consentire una serie di mosse che nessunoha mai provato e che in realtà Berlusconi mette in attocon altri mezzi economicamente più sostanziosi. Questopatrimonio di contatti lo vogliamo usare? È fondamentaleesattamente quanto lo è la base, quella con la B maiu-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 142

143

scola, che spesso evochiamo nei nostri discorsi.Penultimo esempio di questo approccio culturale. Noiabbiamo fatto un congresso di un anno, lunghissimo, ap-passionato: un congresso tanto lungo che alla fine non sene poteva più. In questo anno di dibattito congressualesi è sentito spesso richiamare il tema dell’identità, richia-mato prima da Francesco Verducci. In verità anche suquesto c’è un insegnamento che si percepisce attraversola Rete, e che riguarda il modo in cui l’identità può esserescomposta e in cui alcuni punti di vista della politica, so-prattutto quella nazionale, siano spesso limitati. Vi portol’esempio più semplice. Noi spesso parliamo dell’eletto-rato dell’UDC, però facciamo più fatica a parlare di gio-vani, donne, precari come elettori che magari sono tifosidi questa o di quella squadra di calcio. Anche la storiadella politica italiana ci insegna che aspetti più ludici en-trano nella decisione politica, e non solo per Berlusconi.C’è un assessore della Regione Lombardia, tra le varieamenità che compongono quell’Atene di Pericle in cuivivo, che è un capo-ultrà dell’Atalanta. Si chiama DanieleBelotti, è della Lega, ed è stato fermato perché aveva par-tecipato all’insurrezione contro la tessera del tifoso volutada Maroni, dal proprio Ministro. Ecco: questa è la scom-posizione dell’identità. Il web è una grande opportunità, un campo aperto cheBerlusconi sta iniziando ad occupare. Anche se in modoancora troppo frontale e commerciale, la destra è moltopresente sul web. Se voi aprite un video di Verducci, ma-gari sotto trovate la pubblicità che ti chiede se voti a de-stra e ti invita a cliccare su un link specifico: vieni rinviatoa un sito di approfondimento a favore di Berlusconi, e a

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 143

144

quel punto devi decidere tra Verducci e Berlusconi…Questo per dirvi che la questione è molto più semplice dicome spesso viene posta. Prendiamo il tema della narra-zione. La politica non è stata inventata da Vendola. Sic-come è Vendola, però, bisogna parlarne male: è un com-pito che ci siamo dati all’inizio dell’anno. Io ho sentito aBusto Arsizio, all’Assemblea nazionale, molti nostri diri-genti affermare che bisogna stare attenti, che la narra-zione è pericolosa. No, la narrazione serve, il problema èche deve essere molto controllata, deve essere anche eti-camente sostenibile. Questo è il problema di questopaese: ti viene raccontato un gran numero di storie, sitratta poi di vedere qual è verisimile. In più ci vuole un lea-der. Quando dico che dobbiamo trovare un leader dacandidare, lo faccio perché credo sia importante avere unriferimento. Per uscire dall’età di Bush, noi dovevamo po-ter raccontare l’età di qualcun altro. E se ci pensate, que-sto in Italia noi ancora non lo abbiamo. È importantissimo l’approccio, è importantissima la sceltadegli argomenti: come Rodriguez richiama spesso neisuoi articoli, c’è una parola che non si usa più: ‘topica’. Latopica è la scelta degli argomenti, l’individuazione di queiluoghi comuni che ritornano, la costruzione anche disimboli intorno ai quali far ruotare il discorso. Facciol’esempio monumentale per cui tutto l’universo si squa-derna: il Trota.Voi ridete ma fate attenzione, perché stanno costruendouna mitologia sul Trota: stanno preparando la successionecon il Trota. Gli stanno attribuendo delle qualità gio-cando proprio sul fatto che lui era l’uomo senza qualità,che è poi la classica fenomenologia di Mike Bongiorno,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 144

145

che tanti hanno studiato. Il Trota non riusciva a passarela maturità, hanno dovuto chiamare i caschi blu del-l’ONU perché, vi ricordate, è stato bocciato tre volte: unrecord mondiale. Adesso fa il Consigliere regionale, dopoaver incassato tantissime preferenze. È il leader. Io con-siglio di chiamarlo ‘il quota’ perché è quello che ha fattola mediazione sulle quote. Fa anche politica e gli intestanomolte iniziative di grande profilo: ad esempio, è stato ilrelatore della legge sulla formazione alla legalità controla mafia in Lombardia. Guardate che fra qualche tempolo ritroveremo tra i vari nomi che si faranno per la suc-cessione a Berlusconi. Zaia, Tosi, Cota e poi Trota. Lì, bi-sogna riconoscerlo, abbiamo dato anche noi il nostrocontributo alla formazione della mitologia.La prima intervista che ha fatto il Trota è stata da DariaBignardi, la sofisticatissima intellettuale della televisioneun po’ di sinistra, progressista. Gli abbiamo in qualchemodo attribuito una specie di biografia della nazioneperché, guardate, questi simboli agiscono anche quandonon ci pensiamo. Non è che non l’hanno votato. Certo,si chiama Bossi. Però è il simbolo di una tradizione fami-listica che in questo paese noi dovremmo contrastare condelle armi molto più aggressive e molto più convincentiche non siano soltanto quelle dell’ironia sul Trota, sullaMinetti e su tutta una serie di altri personaggi. Concludo proprio su questo punto con un appello a voie a Pier Luigi Bersani (sempre sia lodato!). Io lo stimo, houn culto della personalità, ma l’altra sera, al termine di An-nozero, Santoro gli domanda: ‘Con quale alleanza, Ber-sani, andrete alle elezioni e chi ne sarà il leader?’. Vi pregodi guardare la risposta di Bersani. Io non condivido alcune

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 145

146

cose nel merito ma lì ad essere completamente sbagliatisono il linguaggio, la scelta dei tempi e l’ordine delle cose.Bersani prima di tutto si difende. Ma – mi chiedo – noi checolpe abbiamo per doverci sempre giustificare? Perché ini-ziare difendendosi? ‘L’alleanza’ – ha risposto Bersani – ‘noila facciamo larghissima, ma non stiamo con quanti in-tendono ricostruire la destra’. E uno già pensa: ‘chi sonoquelli che devono ricostruire la destra?’, e si perde. PoiBersani torna indietro e dice: ‘con tutti quelli che cistanno, ma non con Ferrero e Diliberto’. Ragazzi: io fac-cio politica, so cosa sta dicendo, ma ho l’impressione cheun essere umano normodotato non abbia capito granché.E soprattutto si dava l’impressione di una clamorosa con-fusione, una confusione che Bersani non ha. Conclude di-cendo: ‘ho poi cinque cose sulle quali costruire questa al-leanza, cinque cose che vi diremo’. L’effetto, in definitiva,è completamente sbagliato. Deve partire dalle cinquecose e dirle subito, poi dire che si rivolgerà a Fini, Casini– utilizzando dei nomi comuni: Ferrero e Diliberto non liciterei, dato che già hanno già distrutto la sinistra italianain più occasioni. Bello, sereno e tonico, magari scegliendoargomenti che possano aprire un dialogo con quelli chenon ti aspetti.Non è questione di essere demagogici, narrativi, vendo-liani. Ci sono, però, temi che servono per riaprire un dia-logo. Sul web ce ne rendiamo conto, ma servono anchee soprattutto nella realtà. Per esempio, l’argomento dellacasta. Quando io dico, come ripeto sempre, ‘metà par-lamentari a metà prezzo’, la platea applaude. Allora lì c’èun problema che tu devi rappresentare, c’è una distanzada colmare. L’idea è banale, ne sono consapevole, ma è

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 146

147

un modo per prendere la parola e per avere un minimodi ascolto da parte delle persone. Questa è la mia urgenza: semplicità, ordine, chiarezza. Ilsenso etico. Nel libro Il narratore di Walter Benjamin, nellariflessione sulla narrazione emerge a un tratto il tema eticoper cui il narratore è il giusto, o comunque riconosce sestesso come il giusto. Allora noi dobbiamo chiedere a noistessi, a Vendola, a tutti quanti, un’altissima qualità del di-scorso pubblico e un’altissima verificabilità di questo di-scorso. Quello che manca anche a noi in questa grandeconfusione dei mezzi di informazione, che invade inevi-tabilmente anche il web, è un momento di confronto se-rio e puntuale. È un fatto di trasparenza e di democrazia. Io dico sempre di prendere il compagno Excel. Mettiamoin ordine i dati, spieghiamo. Per esempio, è in corso il di-battito sulle fonti rinnovabili. Spiegare quali sono le criti-cità in quel settore, spiegare bene perché non serve il nu-cleare, cosa sta facendo Romani, dove è meglio metterei pannelli: tutto questo si può fare, si può fare anchescherzandoci sopra, essendo avanzatissimi e innovativi.Bisogna saper dare delle spiegazioni realistiche che sianoverificabili anche la prossima settimana. Su questo, sullapiacevolezza del nostro discorso, sulla qualità delle nostreaffermazioni e sulla loro coerenza, secondo me, pos-siamo far ripartire le lancette dell’orologio. E Bersani puòfare il leader. Anzi, sarà l’età di Bersani.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 147

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 148

149

Due premesseIeri sera, in questa splendida città, facevo una passeggiataromantica con mia moglie, ed eravamo in piazza dei Mi-racoli. Stamattina mi è tornata in mente la solita storielladell’uomo del Rinascimento che passa per la piazza echiede allo scalpellino cosa stia facendo e lui risponde: ‘stoscalpellando una pietra’. E poi chiede ad un altro scal-pellino, che sta scalpellando una pietra come quello diprima, cosa stia facendo, e questi risponde: ‘sto co-struendo una cattedrale’. Poi chiede al terzo scalpellino,ma potrebbe essere il sessantesimo: ‘e tu cosa stai fa-cendo?’. Quello sta scalpellando la stessa pietra nellostesso modo, e risponde: ‘sto edificando la gloria del Si-gnore’.Io credo – e vi vorrei convincere di questo – che ragionaredi comunicazione significhi entrare nella mentalità, senon proprio di costruire la gloria del Signore, almeno dicostruire la gloria di un umanesimo di natura nuova. Ilconcetto fondamentale su cui vorrei insistere da un puntodi vista professionale, da professionista di comunica-zione, è quello dell’inadeguatezza o insufficienza del-l’approccio strumentale, trasmissivo, alla comunicazione,e della necessità di affrontare la comunicazione come unfenomeno culturale, simbolico, rituale. Uscendo dalla

Mario RodriguezProfessore di Comunicazione Politica,Università di Padova

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 149

150

metafora, vorrei evidenziare la differenza tra scalpellareuna pietra e contribuire alla costruzione di un edificio.La seconda premessa è relativa al rapporto tra il dire e ilvivere, tra le affermazioni e i comportamenti, tra l’agiree il vivere esperienze. Questo vale anche per i prodotti.Anzi, proprio la pubblicità commerciale ci ha aiutato amettere meglio a fuoco il meccanismo. I prodotti, pensatead una automobile, non si vendono perché si fa unabuona pubblicità. Le macchine si vendono perché labuona pubblicità corrisponde a una prestazione, ad unaesperienza (tangibile o intangibile): il prodotto soddisfa inmodo efficace le diverse esigenze connesse al desiderio.La buona comunicazione deve essere quindi a un livellodi equilibrio, una sorta di omeostasi, tra autenticità, ve-ridicità, credibilità, utilizzabilità, ed è strettamente colle-gata ai comportamenti, alle prestazioni.La mia professione vaga tra due estremi: da un lato, ilconsulente sconsolato, pieno di dubbi, consapevole dellacomplessità dei meccanismi di formazione delle reputa-zioni, e quella del consulente affetto da delirio di onni-potenza, convinto di poter fare apparire una persona ciòche vuole o che ritiene necessario, cioè di poter costruirela sua immagine. A me pare invece che il compito di unbuon consulente di comunicazione sia quello di dire: de-cidi tu quello che vuoi fare e io ti aiuto a farlo al meglio:non posso sostituirmi a te, posso aiutarti a dare il megliodi te, interagire con il tuo ambiente, ascoltare, compren-dere come gli altri si rappresentano la realtà, e trovare leparole e le metafore che valorizzano i connotati distintividella tua identità in funzione degli obiettivi che persegui.Bisogna delimitare il campo della comunicazione per non

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 150

151

soffrire di delirio di onnipotenza.Occorre soprattutto dare una motivazione alla ricercadella dimensione culturale della comunicazione, dell’uti-lizzo degli strumenti. Gli strumenti ci sono, sono di facileutilizzo. Chi non sa utilizzare quegli strumenti non è chenon sa come funzionino: è che ha deciso di non usarli,non ha chiaro i benefici che possono derivare dal loro uti-lizzo. Anche nel nostro recentissimo passato, ci sono lea-der politici che non hanno sentito il bisogno di sottoporsiad un media training professionale prima di parlare at-traverso la televisione per nove minuti a nove milioni dipersone. È sottovalutazione dello strumento o un pro-blema culturale? O meglio, la sottovalutazione dello stru-mento è frutto di una visione, di un’impostazione cultu-rale?La mia frustrazione nasce quando ti dicono: ‘noi ab-biamo i valori, abbiamo le competenze, ci manca soltantoil modo di far sapere quello che sappiamo fare’. Non ècosì. Non è vero che non abbiamo saputo dire. È che ab-biamo detto certe cose e gli altri non ci hanno scelto. Ab-biamo detto delle cose per cui una parte ci sceglie e unaparte non ci sceglie.

La dimensione antropologico-culturaleQuindi, la comunicazione ha soprattutto una dimensioneantropologico-culturale: è questo che dobbiamo condi-videre. È una rivoluzione culturale interna, è una modifi-cazione del rapporto con la vita, con l’altro. È la capacitàdi mettere al centro chi riceve e non chi emette il mes-saggio. Perché il significato che assumono le cose che sidicono o che si trasmettono attraverso l’azione è frutto di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 151

152

una ‘negoziazione’ tra emittente e ricevente. Comunicareè costruire significati e inizia dalla comprensione di comegli altri, gli interlocutori, attribuiscono significati (diversi)alle cose che viviamo (insieme).Allora: se approccio strumentale o delle tecniche e ap-proccio culturale devono procedere l’uno di fianco all’al-tro, occorre inserire queste tecniche in una visione dellecose. George Lakoff sostiene un concetto fondamen-tale: la metafora vincente – per esempio, ‘non metteremole mani nelle tasche degli italiani’ –, nasce da uno studioapprofondito e da una capacità di rappresentare e di in-terpretare la realtà, non è il frutto originale del creativodi turno. Non è scegliendo il bravo pubblicitario che si tro-vano le metafore con-vincenti, ma avendo una visionedella realtà, una capacità di interpretazione della realtà.Soltanto quando si hanno chiare le idee in testa (le ca-ratteristiche del prodotto, della proposta politica) na-scono gli slogan vincenti. Gli slogan memorabili nasconoda brief efficaci.Nella storia del movimento operaio, nella storia della si-nistra, nella storia della democrazia, ci sono state meta-fore vincenti, semplificazioni inaudite, ci sono stati jinglefantastici. Capisco che definire un inno del movimentooperaio un jingle può offendere qualcuno, ma la diffe-renza non è nella cosa in sé, nella sua funzione di cristal-lizzare un’emozione, ma nel significato che ha assunto.Tutto questo attiene alle logiche della persuasione, alla re-torica come arte del convincimento che accompagna dasempre la storia degli umani. Facciamo sempre le stessecose, cambiano gli oggetti che usiamo, le tecnologie e letecniche.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 152

153

C’è stata grande capacità retorica prima della tv– pensateai discorsi di D’Annunzio dal Pincio – ma anche prima deimezzi di comunicazione di massa; c’è stata personalizza-zione e leaderizzazione anche prima della televisione.Non è che i leader politici, i dittatori, i grandi condottierisiano un’invenzione della tv. Allora mettiamo bene a fuoco il problema fondamentaledi ogni approccio alla comunicazione politica (quella per-suasiva, quella che persegue l’obiettivo di indurre personea fare cose, agire, assumere comportamenti, condivi-dere, votare): se non capiamo perché le persone pensanoquello che pensano, non potremo mai parlare loro inmodo tale da far cambiare il modo in cui attribuiscono si-gnificati, interpretano la realtà.

La conversazioneUno dei pilastri fondamentali, dunque, di una buona co-municazione risiede nel capire i processi cognitivi, nelcomprendere perché uno pensa quello che pensa. Il pro-blema di questi vent’anni non è quanti votano Berlusconi,ma perché in Veneto continuano a votare in un certomodo e in Toscana a votare in un altro. A questa do-manda non abbiamo dato risposta: a questa domanda lamassmediologia non ha saputo ancora dare una rispostadefinitiva. Manca una spiegazione della permanenza,della lunga durata. C’è qualcosa che non capiamo nel-l’interazione tra influenza dei media e ruolo dell’intera-zione nella vita quotidiana. La chiacchiera alla macchi-netta del caffè, così come la conversazione web, filtra ilmessaggio televisivo; rimpasta nel vissuto, nell’esperienzadella vita quotidiana, le cose che ci hanno colpito. Le in-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 153

154

formazioni che abbiamo ricevuto diventano significato inquesto processo di rielaborazione e di interpretazione. Perquesto le conversazioni sono fondamentali.

L’ascoltoRitorno a un concetto: l’ascolto. Faccio riferimento ad al-cuni autori come Paul Watzlawick o Marianella Sclavi: nelmomento in cui siete pronti a mettere le mani al collo allapersona che amate, perché vi sta dicendo una cosa chenon condividete, avete una sola strategia, una sola pos-sibilità dirle: ‘mi fai capire perché la pensi così?’. Mi storiferendo non a una persona che non amate, ma a qual-cuno che è parte della vostra vita, che ha vissuto la stessaesperienza che avete vissuto voi e la racconta in una ma-niera completamente diversa. A quel punto nasce il con-trasto e una sola via d’uscita è possibile: ‘mi spieghi per-ché la pensi così?’. Soltanto se vi predisponete a pensarecome l’altra persona, a capire perché la pensa in quellamaniera, riuscite a mettere in comune significati, o al-meno i significati che permettono di costruire mondicondivisi, penultime verità, approssimazioni. L’ascolto, per comunicare efficacemente, è fondamentale.Dovete saper ascoltare, dovete strutturare l’ascolto, mo-dificare i processi organizzativi in funzione dell’ascolto. Bi-sogna ascoltare soprattutto per una questione tecnica: senon si riesce a capire come l’altro rappresenta la realtà,non è possibile entrarci in contatto. L’agire politico èagire comunicativo, con una finalità intimamente per-suasiva. Che lo si voglia fare con l’argomentazione ra-zionale piuttosto che sollecitando emozioni, in ogni casolo si fa sollecitando il sentire, il sentimento, il feeling.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 154

155

Le sensazioni, i sentimenti, i feelingAntonio Damasio ha scritto cose molto importanti sul-l’importanza del feeling, del provare sensazioni. È attra-verso i sentimenti che noi prendiamo posizione. Siamoquello che siamo, pensiamo quello che pensiamo, cisiamo schierati in politica, non perché ci siamo convintileggendo libri o paragonando programmi, ma perchéabbiamo provato sensazioni. È per ‘questione di feeling’– se vogliamo adottare la moda del tempo di riferirsi ai ti-toli delle canzoni – che ci siamo schierati da una parte. Poidopo abbiamo letto, cercato giustificazioni e sostegni, co-struito la nostra identità. Da queste considerazioni, molto parziali, vorrei affrontareanche il tema del ruolo della personalizzazione nella co-municazione del nostro tempo. Se le interazioni personalisono fondamentali anche nella società dominata dalle tec-nologie dell’informazione, se il web ci ripropone la con-versazione in una veste del tutto nuova, sarà ancora im-portante la costruzione del patto fiduciario che si sviluppanel momento in cui ci si guarda negli occhi. Certo la per-sonalizzazione del nostro tempo, dalla quale non pos-siamo sfuggire, sarà una personalizzazione diversa. Ci po-tranno essere diversi tipi di personalizzazione: populistica,autoritaria, auto-centrata, frutto di un’elaborazione col-lettiva. Ma le persone hanno bisogno di credere e diavere fiducia in altre persone, e il rapporto di fiducia si sta-bilisce guardandosi negli occhi, attraverso quella scorcia-toia emotiva che attribuisce carisma.

Persone, non targetUn’altra parola cruciale per la comunicazione efficace,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 155

156

questa volta in negativo, è ‘target’. Bisogna smettere dipensare che abbiamo dei target. Noi non dobbiamo ber-sagliare nessuno: abbiamo persone con cui entrare in re-lazione, con cui costruire speranze ragionevoli: questo èil punto. Devo avere capacità di focalizzare ma non di col-pire. Devo legare, non conficcare chiodi. In parole semplici dobbiamo, per esempio, cancellarel’idea che l’altro che non la pensa come noi sia stupido.Quante volte ci si fa carico della ragionevolezza dell’altro?Poche. L’altro ragiona, non è che sbaglia, ha il suo mododi ragionare. E allora io devo capire il suo modo di ragio-nare per entrare in comunicazione con lui. Per questo la mia parola è ‘ascolto’, non ‘feedback’. Noinon ci occupiamo di bit trasmessi e ricevuti, non ci occu-piamo di un fatto meccanico, ma di un fatto culturale,della costruzione di significati. Non mi interessa soltantose l’impulso è stato ricevuto e se devo rimandarlo – mo-dem, modulazione, demodulazione –: mi interessa che si-gnificato ha assunto il mio input. Come dicevamo, il si-gnificato lo determina il ricevente in una negoziazione conl’emittente. È per questo che l’ascolto è fondamentale. Ionon posso determinare la mia immagine, ma solo comu-nicare i tratti distintivi della mia identità: l’identità si co-struisce affrontando e risolvendo i problemi dell’oggi.L’identità non consiste nel cercare di essere identici a unpassato rappresentato sempre meglio di quello che èstato, un passato che è diventato auto-narrazione, no-stalgia, zavorra, paura di lasciare la costa e di andareavanti. L’identità è ciò che mi distingue, che mi fa identi-ficare, e io mi identifico attraverso la comunicazione,consapevole dei tratti distintivi della mia personalità.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 156

157

L’esperienza, la prassiDue altre parole su cui richiamare l’attenzione sono ‘espe-rienza’ e ‘relazione’. Una campagna elettorale è soprat-tutto la capacità di far vivere un’esperienza: è soltanto at-traverso l’esperienza che gli umani apprendono emodificano le proprie conoscenze. L’altra è ‘relazione’, dunque dialogo, parola. Ma la parolaesiste se è detta, se è relazione dialogante. Stamattina conFabris ricordavamo un’intervista di Gadamer che trovateanche su Rai Educational in cui il filosofo spiega la nascitadel linguaggio e della parola. La parola è perché è detta:per questo, senza sottovalutare gli strumenti tecnici, valepiù di mille immagini. La parola è alla base della costru-zione del significato, è dialogo, conversazione.Lo abbiamo accennato: il web permette il recupero dellaconversazione. Voglio sottolineare questo tratto dellenuove tecnologie, che ci permettono di rivivere vecchieesperienze (di nuovo, si fanno all’incirca le stesse cose macambiano tecniche e tecnologie): le nuove tecnologie cipotrebbero permettere di far (ri)vivere le tradizionali esi-genze associative o organizzative (dai Circoli del PD alleCase del popolo) all’altezza del nostro tempo: luoghidove, invece che andare soltanto al bar, si possa peresempio fare esperienza ampia del fenomeno Internet edei social network.

Le parole democratiche.Quindi le parole democratiche – che rappresentano un in-sieme più ampio, più capace di interpretare e più inclu-sivo di quelle di sinistra – per me sono: ‘ascolto’, ‘dialogo’,‘parola’, ‘comportamento’, ‘esperienza’. ‘Esperienza’, ‘ef-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 157

158

ficacia’, ‘autenticità’. Questo splendido equilibrio, questomomento magico che rende efficaci è un rapporto tra ciòche si dice e ciò che si fa. Ciò che si ascolta e ciò che sivive.I comportamenti comunicano più delle affermazioni. Unsoggetto che comunica è efficace quando è credibile, le-gittimato ed empatico. Capace di governare la dimen-sione del ‘personale’ e della generazione di sensazioni. La fatica che sempre emerge nel trattare la dimensionedella personalizzazione è la fatica nel comprendere iltempo che viviamo. Non possiamo non personalizzare lacomunicazione, non possiamo non governare la dimen-sione affettivo-sentimentale della comunicazione, perchégli umani hanno bisogno di costruire significati attra-verso il sentire. Per questo non è la lunghezza del pro-gramma a convincere come spiega Lakoff: è quello statodi grazia che si crea quando la gente crede che tu sapre-sti cosa fare, si fida, e tu riesci a proporti non come unscalpellino ma come uno che costruisce la gloria del Si-gnore.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 158

159

PANEL III Le grandi biografie della politica italiana.Chi comprende l’album dei democratici

e chi esclude?

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 159

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 160

161

Premessa Correva l’anno 1995 quando Prodi propose che tradizionipolitico-culturali fino a quel punto in competizione fraloro confluissero in un soggetto politico democraticochiamato l’Ulivo. Eravamo nel secolo scorso. Finivaun’epoca sconosciuta ai ventenni di oggi. Erano appenacrollati, fragorosamente, partiti che per cinquant’anniavevano rappresentato l’ossatura democratica dell’Italia.In quegli anni democrazia cristiana, socialdemocrazia,comunismo, liberalismo, rappresentavano ideologie, par-titi e volti sul viale del tramonto, ma ancora riconoscibilisui media e sul territorio. Per quei tempi era una novitàpromuovere la confluenza e la contaminazione di questeculture politiche in un unico contenitore, distillando e ri-lanciando ciò che di buono avevano ancora da dire alpaese; era una sfida inedita provare a buttar via l’acquasporca dei vecchi partiti senza buttare il bambino deiloro ideali repubblicani, democratici e costituzionali; sem-brava impervio e temerario portare in un’unica squadragiocatori che nei precedenti cinquant’anni erano stati, perla maggior parte del tempo, avversari.

Radici dell’UlivoDalle elezioni vinte nel 1996 ad oggi, malgrado resi-

Giovanni Bachelet Presidente del Forum PD per le politiche dell’Istruzione

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 161

162

stenze, ritardi ed errori, il progetto di Prodi, sotto diversinomi, è andato avanti al punto tale che, a distanza diquindici anni, ci troviamo a riflettere su le parole e le cosedei democratici. Il motivo è, a mio avviso, che già nel1995 questo progetto aveva basi solide, in quanto inter-cettava e dava sbocco a esperienze, idee e speranze ma-turate nella società italiana fin dagli anni Sessanta e Set-tanta del secolo scorso. Le esperienze, le idee e lesperanze che venivano naturalmente attratte nell’orbitadi Prodi nascevano nell’alveo delle tradizioni democrati-che repubblicane: appartenevano tutte a quell’arco co-stituzionale che era visto come fumo negli occhi (insiemealla Trimurti sindacale) dai reazionari degli anni Settanta,incluso il mitico Indro Montanelli, la cui successiva ripulsadel berlusconismo risultò, proprio per questo, particolar-mente significativa. Queste esperienze erano maturate franuova scuola media e liberalizzazione degli accessi del-l’università, fra Concilio Vaticano II e rivoluzione ses-suale. Fra lotte operaie e studentesche, mobilitazioni gio-vanili per alluvioni e terremoti e decreti delegati. Franuova autonomia delle Regioni e Statuto dei lavoratori,fra nuovo diritto di famiglia e Servizio Sanitario Nazionale.Erano maturate, anche, fra presidenti e leader democra-tici ammazzati negli Stati Uniti, tra colpi di Stato in Gre-cia, Cecoslovacchia e Cile; e, a casa nostra, fra bombe didestra e pistole di sinistra, mafie e tangenti, logge segretee servizi deviati.

Non un semplice bisGià allora, venti o trent’anni prima dell’Ulivo, l’incontrodi queste tradizioni non rappresentava un semplice bis

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 162

163

della Resistenza o dell’Assemblea Costituente. Oltre almaggior respiro internazionale, oltre alla crescente insof-ferenza verso un mondo diviso in blocchi, c’erano novitàradicali come l’ambientalismo e i diritti civili, riesumazionidi filoni antichi come l’azionismo o il pacifismo, e per i cat-tolici il progressivo tramonto del cortocircuito fra appar-tenenza religiosa e appartenenza politica o sindacale. Eche dire della televisione e di trent’anni di egemoniaamericana? Ma c’è di più: quarant’anni fa, almeno nellamia percezione, ragazzi e ragazze provenienti da diversestorie e appartenenze democratiche si trovarono a darvita (nel linguaggio, nel modo di vestirsi, nella musica: piùper istinto e passione che per ragionamento) ad una ine-dita ecumene un po’ democratica e un po’ hippie, un po’boy-scout e un po’ gruppettara, un po’ cristiana e un po’socialista: ad un nuovo frullatore culturale nel quale, alconfronto fra diversi, cominciavano a subentrare reci-proca curiosità, contaminazione, meticciato.

In una parte più, e meno altroveQuesto vento non era, naturalmente, uniforme. Soffiavapiù nelle grandi città e meno nei paesi; più in alcune pro-vince e meno in altre; più in alcuni partiti e sindacati emeno in altri; più fra i giovani (giovani di allora, oggi al-meno cinquantenni) e meno fra i vecchi (oggi ultraot-tantenni). Pur soffiando a diverse velocità, faceva scric-chiolare ovunque vecchie ideologie e contenitori politicie spargeva ovunque semi di una unità democratica, di unnuovo assetto politico capace di coagulare i progressistie portarli al governo del paese sulla base di programmi,schieramenti e candidati più che di appartenenze politi-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 163

164

che identitarie, immutabili, anagrafiche; un po’ comenegli Stati Uniti o in qualche paese europeo meno ideo-logico del nostro. A questa evoluzione politico-culturaleun’improvvisa e drammatica accelerazione fu impostadall’assassinio di Aldo Moro. L’urgenza di nuove alle-anze democratiche e un rinnovato patriottismo costitu-zionale parvero ulteriormente aumentare con l’irrom-pere, di poco successivo, di una televisione commercialemonopolista e di una politica spregiudicata, le quali abraccetto, in nome della modernizzazione, tendevano atravolgere, insieme a tabù e ipocrisie, valori e principi del-l’Italia democratica; e mentre a parole dichiaravanoguerra a statalismo e burocrazia, sfondavano gli argini deiconti pubblici, ponendo le premesse di un colossale de-bito. Già allora il sistema dei vecchi partiti appariva a moltiuna gabbia, un tappo, una comunità storicamente bene-merita ma ormai incapace di svolgere il ruolo affidato dal-l’articolo 49 della Costituzione («tutti i cittadini hanno di-ritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere conmetodo democratico a determinare la politica nazio-nale»).

La DC, in una grande cittàFarò un esempio personale. Quarant’anni fa da genitori,professori, preti, capi scout – da tutti quelli che hannoprovato a educarmi – ho ricevuto l’unanime input che lapartecipazione politica sia non solo un diritto, ma ancheun dovere del cittadino e del cristiano; che per partecipareoccorra informarsi, imparare a leggere i giornali, avere «ilcoraggio di alzarsi e parlare, e anche il coraggio di sedersie ascoltare», come disse una volta Churchill. Ma già al-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 164

165

lora, nel decennio 1965-’75, a Roma, non solo nel mioambiente familiare e associativo, cattolico e democratico,ma anche nella mia scuola statale, dove era rappresentatotutto lo spettro politico-culturale del paese, ben pochi deimiei educatori erano iscritti ad un partito. Erano cittadiniattivi, attenti, partecipi, fedeli ad ogni appuntamentoelettorale; ma non erano iscritti a un partito. O meglio:qualcuno era magari iscritto al PCI, ma praticamentenessuno ai partiti di governo, assorbiti da decenni di am-ministrazione, fatalmente più lontani dai cittadini.Quando nel 1975 Benigno Zaccagnini fu eletto segreta-rio dal Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, el’anno dopo confermato dal Congresso (con un nuovo si-stema di elezione diretta voluto da Segni e Ciccardini),amici e parenti, giovani e vecchi affezionati alla demo-crazia e impegnati in parrocchia, tifavano quasi tutti perlui e per Moro; ma di loro quasi nessuno era iscritto allaDC e neanche a me l’idea di iscrivermi al partito per ilquale votavo passava per la testa. Non mi era, peraltro,molto chiaro come si facesse a iscriversi. Non lontano dacasa mia c’era la sezione DC del mio quartiere. Contavacentinaia di iscritti, ma era quasi sempre chiusa, e io nonne conoscevo nemmeno uno. Quarant’anni fa, almeno inuna grande città come Roma, a scuola e nei luoghi di la-voro c’era ancora una presenza capillare e organizzata delPCI, ma DC e PSI (per non parlare di socialdemocratici,repubblicani e liberali) erano ormai visibili solo sui media.Sul territorio svolgevano una limitatissima animazionepolitico-culturale, in genere con iniziative di corrente enon di partito, in genere sotto elezioni. Eppure, con qual-che oscillazione, quei partiti e la loro coalizione che si chia-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 165

166

mava anche allora ‘di centro-sinistra’ (ne restavano fuoril’estrema sinistra di allora, il PCI, e l’estrema destra, il MSI)conquistavano, elezione dopo elezione, la maggioranzadei consensi, incluso il mio. Partiti liquidi ante litteram?Capacità di dialogare con i «corpi intermedi» della societàriconoscendone l’autonomia? O macchine elettorali, uf-fici di collocamento che, in anni di sviluppo e grande in-cidenza del settore pubblico nell’economia nazionale,avevano smarrito gran parte delle originarie idealità?Certo è che, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso,le parole dell’ultimo discorso di Moro – «devo riconoscereche qualche cosa da anni è guasto, è arrugginito nelnormale meccanismo della vita politica italiana» – suo-navano chiare per molti.

Sturzo, De Gasperi, Concilio: agli antipodi del patto Gen-tiloniIn quell’epoca anche chi fra noi, in campagna elettorale,si spendeva per la DC, era al più un simpatizzante. An-che la formazione politico-culturale dei giovani che gra-vitavano nell’area cattolico-democratica non era curatadal partito della Democrazia Cristiana. Le idee e i progettidi alcuni leader nazionali DC di allora, così come le ideee i progetti di alcuni padri fondatori della DC, esuli o per-seguitati sotto il fascismo (Luigi Sturzo e Alcide De Ga-speri, Giuseppe Donati, Francesco Luigi Ferrari...), le hoapprese frequentando un circolo culturale assolutamenteautonomo ed autoreferenziale, intitolato appunto a Fran-cesco Luigi Ferrari, fondato da Paolo Giuntella, che primaera stato mio capo scout in parrocchia. Paolo ci fece leg-gere anche abbondanti testi di Jacques Maritain e di Em-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 166

167

manuel Mounier, nonché documenti e costituzioni delConcilio Vaticano II, allora da poco concluso e in via di at-tuazione nella Chiesa cattolica italiana. Ci fece inoltre in-contrare, invitandoli nel nostro circolo, personaggi chiavedella politica e della cultura democratico-cristiana, a co-minciare da Aldo Moro. In anni nei quali il marxismo an-dava per la maggiore nelle scuole e nelle fabbriche, il no-stro circoletto aveva una spiccata simpatia versol’impegno dei democratici cristiani, ma un rapporto or-ganico con il partito nominalmente riconducibile a quellaispirazione non c’era. In quegli anni, per merito del Con-cilio Vaticano II, nel mondo cattolico si andavano poi riaf-fermando la distinzione fra impegno politico e attivitàdella Chiesa, la legittimità per i cristiani di una pluralità diopzioni politiche, il divieto di rivendicare esclusivamentea favore proprio o del partito di appartenenza l’autoritàdella Chiesa. Il Concilio, in un certo senso, riprendeva eabbracciava ufficialmente l’idea di politica che aveva donSturzo (prete, fondatore del Partito Popolare), il quale nel1905, a Caltagirone, aveva pronunciato uno storico di-scorso nel quale, tra le altre cose, aveva detto: «è pene-trato il concetto ormai generale che i cattolici, più che ap-partarsi in forme proprie, sentano con tutti gli altri partitimoderni la vita nelle sue svariate forme per assimilarle etrasformarle, e il moderno, più che sfiducia e ripulsa, de-sta per loro il bisogno della critica, del contatto e della ri-forma». In quella stessa occasione aveva invitato i catto-lici ad essere «o sinceramente conservatori, osinceramente democratici», contro tutti i «beghini del-l’armonia dell’unione dei cattolici» che «tendono a sop-primere la vita comunitaria perché vogliono sopprimere

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 167

168

la discussione, l’opinione, la tendenza diversa», tratteg-giando un progetto politico fatto di libertà e partecipa-zione politica, di giustizia sociale, di lotta al latifondo, divalorizzazione delle autonomie regionali e cittadine: ilprogetto complessivo di un grande partito popolare, nonconfessionale, il cui orizzonte è il bene del paese; un par-tito al quale chiunque ne condivida il programma puòaderire, anche se non fosse credente; e al quale, vice-versa, un cattolico «sinceramente conservatore» non po-trebbe aderire. Questa visione dell’impegno politico delcristiano secondo Sturzo è, come si vede, agli antipodidell’idea clericale di partito e di politico cattolico, teleco-mandati dall’autorità ecclesiastica, vincolati ai temi cheessa via via pone come prioritari, impegnati nella difesao nella promozione di interessi e privilegi della Chiesa nelcampo dell’istruzione, della sanità o dell’edilizia. È quindiimportante ricordare che nelle elezioni del 1913, pochianni dopo il discorso di Caltagirone, l’impostazione cle-ricale, antitetica all’idea sturziana di partito popolare,aveva trovato puntuale applicazione nel cosiddetto ‘pattoGentiloni’: un accordo raggiunto da Giolitti in vista delleelezioni politiche italiane del 1913, che impegnava i cat-tolici a sostenere, nelle elezioni politiche, i candidati libe-rali contrari a misure anticlericali. Benché nel frattempo cisia stato il fascismo, la guerra, la resistenza, la Costitu-zione Repubblicana e la lunga e feconda esperienza dellaDemocrazia Cristiana, e benché, soprattutto, ci sia statodi mezzo un Concilio ecumenico che per la Chiesa cat-tolica ha proposto con chiarezza un nuovo stile di libertàe responsabilità nei rapporti fra comunità civile e comu-nità ecclesiale, alle elezioni del 2006, quasi cento anni

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 168

169

dopo, abbiamo avuto l’impressione (speriamo errata) diun déjà-vu: l’elezione di una pattuglia di deputati e se-natori che su alcuni temi, che si trattasse di interessi eco-nomici, simboli religiosi nei luoghi pubblici, temi legati allafamiglia o alla vita in fase iniziale o terminale, sembravagarantire nel voto parlamentare diretta dipendenza dal-l’autorità della Chiesa. Il che, se fosse vero, come a suotempo fece garbatamente osservare Oscar Luigi Scalfaro,rappresenterebbe un bel problemino anche dal punto divista costituzionale, dato l’articolo 67 («ogni membro delParlamento rappresenta la Nazione ed esercita le suefunzioni senza vincolo di mandato»).In breve, quella di intervenire in prima persona come isti-tuzione religiosa nella politica dei singoli Stati (anziché la-sciare che i cristiani si impegnino sotto la propria respon-sabilità, partecipando alla cosa pubblica insieme a tutti glialtri cittadini) è una tentazione ricorrente per la Chiesa.Questa tentazione è agli antipodi dell’idea di partito po-polare di Sturzo e in larga misura (vedi sotto) anche dellacinquantennale esperienza storica del partito della De-mocrazia Cristiana in Italia dopo l’ultima guerra mondiale.È anche agli antipodi di quanto il Concilio Vaticano II dicea proposito del rapporto fra Chiesa e politica. La Chiesacattolica in carne e ossa, però, ha per molti secoli puntatoad un rapporto privilegiato con il potere politico, e non c’èda meravigliarsi se l’ottemperanza e la piena interioriz-zazione dei dettati conciliari non sia ancora (per usare uneufemismo) completa, e richieda altro tempo per arrivarea regime. Gramsci scriveva: «il Vaticano rappresenta la piùgrande forza reazionaria esistente in Italia. Per la Chiesa,sono dispotici i governi che intaccano i suoi privilegi e

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 169

170

provvidenziali quelli che, come il fascismo, li accrescono».In questo modo non faceva che descrivere ciò che avevasotto i propri occhi. In quegli anni la Chiesa non seguivacerto l’approccio di Sturzo: precedentemente alla PrimaGuerra Mondiale provò a condizionare il liberalismo conuna pattuglia di eletti concordata con Giolitti, poi nel par-lamento successivo incoraggiò una parte dei popolari avotare a favore del gabinetto Mussolini, e infine, dopominacce, botte e preti antifascisti come don Minzoni as-sassinati, dichiarò che Mussolini era l’uomo della Provvi-denza (Gramsci usa parole non casuali) e ci fece il Con-cordato.

DC: molte anime, un disegno per il paese, un argine alladestra e al clericalismoDopo quel che si è detto è evidente che il partito popo-lare di Sturzo, nella sua impostazione originaria, assomi-glia al nostro Partito Democratico più di quanto non as-somigli ai partitini post-democristiani di oggi. Matrovandoci qui a parlare di parole e cose dei democratici,sarebbe assurdo saltare l’esperienza politica democraticapiù importante dei cattolici italiani: la Democrazia Cri-stiana. Esperienza importantissima, con elementi di con-tinuità e di rottura con l’impostazione di Sturzo. Da unlato, dopo la guerra, la Democrazia Cristiana si presentacome esplicita erede del Partito Popolare. Dall’altro, giànel nome, diversamente dal PPI, richiama l’appartenenzareligiosa (Democrazia Cristiana era però una sigla gloriosache coraggiosamente richiamava l’esperienza di RomoloMurri); ma soprattutto, nella sostanza, punta ad attrarrenella propria orbita tutti i cattolici, non solo la metà de-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 170

171

mocratica e progressista: nel primo decennio di vita si ap-poggia pesantemente alle strutture parrocchiali e alle as-sociazioni cattoliche per la propria propaganda. Ancheperché nel frattempo c’è stata Yalta e la divisione delmondo in blocchi, la Chiesa teme il comunismo e il vec-chio De Gasperi, popolare prima della guerra e capodella nuova Democrazia Cristiana dopo la guerra, è con-vinto che se non si ‘imbriglia’ la Chiesa nella democraziail rischio di un rigurgito fascista è elevato. A dimostrazioneche questi timori sono fondati, il suo rifiuto di fare alle am-ministrative del 1952 liste comuni con i neofascisti aRoma pone perfino lui, trionfatore elettorale sui comuni-sti, nella ‘black list’ del Papa, che non lo riceverà più finoalla morte. Se fossi uno storico anziché un fisico teoricoavrei raccontato molto meglio questa storia, ma qui,dato il tempo a disposizione, mi preme solo aggiungereche, malgrado le contraddizioni dell’esperienza democri-stiana (non solo rispetto al rapporto con la Chiesa),quando per esempio sentiamo quel che dice Berlusconisulla scuola, o quel che fa Formigoni con il voucher perle scuole private, ci rendiamo conto che la Falcucci e la DCrappresentavano un argine democratico. Ricordo che ametà degli anni Ottanta del secolo scorso, in un dibattitotelevisivo, Martelli, che allora mi pare fosse vicesegreta-rio del PSI, descrisse e lodò un’idea molto innovativa – ilbuono scuola – appena appresa ad uno dei primi meetingdi CL a Rimini dove, come politico, era stato ospite. LaFalcucci, allora Ministro dell’Istruzione, rispose a musoduro: «finché su questa poltrona siederà un democraticocristiano, ci occuperemo prioritariamente delle scuolestatali», o qualcosa di simile. E va notato che la Falcucci

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 171

172

non era della ‘sinistra democristiana’: era democristianae basta! Come, del resto, anche il presidente Scalfaro, chepure agli occhi di Berlusconi è un pericoloso bolscevico.Altri esempi si potrebbero fare sulla riforma agraria, sulloStato sociale, sulla giustizia, sui trasporti: la DC aveva undisegno per il paese e ha rappresentato un argine de-mocratico a destra, forse più che a sinistra.

In campo democristiano la forma partito era già in di-scussione quarant’anni faLe contraddizioni dell’esperienza democristiana, non solorispetto al rapporto con la Chiesa, sono emerse neltempo, essenzialmente a causa della mancanza di alter-nanza per un periodo troppo lungo. Quando uno stessopartito si trova a governare ininterrottamente un paeseper una cinquantina d’anni è difficile indovinare tutto. An-che qui ci vorrebbe uno storico e mi scuso per l’inevita-bile superficialità. Un fisico come me, che fin da giovaneleggeva i giornali e partecipava con attenzione alle sca-denze elettorali, ma non studiava storia né faceva politica,ha l’impressione di aver visto democristiani capaci e in-capaci, onesti e disonesti, commoventi e ridicoli, lungi-miranti e miopi; anche alcuni martiri, straordinariamenteonesti e intelligenti; anche alcuni delinquenti, straordi-nariamente pericolosi. Rispetto al tema di oggi, fin da gio-vane, trent’anni fa, avevo dubbi che sarebbero durati an-cora molto a lungo la formula della Democrazia Cristianain particolare, e l’intero assetto dei partiti italiani in ge-nerale: mi pareva di vedere appartenenze ideologichesempre più sbiadite rispetto al comune sentire, etichetteatte più a giustificare la sopravvivenza politica di chi le in-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 172

173

dossa che a rappresentare pezzi di società, manuali Cen-celli, crescente ricatto dei partiti piccoli e conseguente di-storsione della rappresentanza popolare nella formazionedei governi. Le esperienze di ecumene citate all’inizio misuggerivano come naturale sbocco (e sblocco!) la com-petizione fra un gruppo progressista e democratico e unaltro più o meno dichiaratamente conservatore o reazio-nario. In altre parole, ciò che è stato poi chiamato PartitoDemocratico alcuni di noi l’avevano nel cuore da parec-chio tempo; forse chi faceva parte di partiti più efficientie rappresentativi e soprattutto, in quegli anni, meno go-vernativi, riusciva ancora ad entusiasmarsi di identità e ap-partenenze novecentesche. Ma, per esempio, già nel1972 il qui presente Gigi Covatta insieme ad altri aclisti,sotto la guida di Livio Labor che da poco aveva lasciatola presidenza delle ACLI, diede vita al Movimento Politicodei Lavoratori” (MPL): alle elezioni prese pochissimi votie come partito abortì, confluendo subito nel PSI. Ma fuuno dei primi segnali dello scardinamento del sistema deivecchi partiti e dell’attesa, in campo cattolico, di nuoverappresentanze capaci di sbloccare il sistema politico ita-liano conquistando finalmente la possibilità di un’alter-nanza democratica. E infatti, ormai anziano, Livio Labor,cristiano post-conciliare, abbracciò con entusiasmo l’Ulivodi Prodi e fece a tempo a fare campagna elettorale per mequando nel 1996, in qualità di kamikaze, sfidai Fini nel suocollegio storico, dove abitavamo sia io che lui.

Abbiamo mancato il momento magico, ma meglio tardiche maiQuindi confermo l’affermazione iniziale: già molti anni fa,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 173

174

almeno nella parte di mondo cattolico e democratico dame meglio conosciuta, c’erano esperienze e idee chepreparavano il Partito Democratico di oggi. Che segna-lavano già l’esaurimento della partecipazione in formepartitiche tradizionali e della rappresentanza fatta di de-mocristiani, comunisti, socialisti, liberali, eccetera, chepure avevano ricostruito l’Italia dopo la guerra. Secondome (mi concedo in chiusura un’opinione personale comequelle che si esprimono al bar sul campionato di calcio) ilmomento propizio per la transizione ad un nuovo sog-getto politico di centro-sinistra era proprio il 1996. La per-sona che poteva guidarlo era Prodi. Non era un demo-cristiano doc, non era nemmeno iscritto alla DC, era un‘tecnico di area’ democristiana che vedeva lontano ed erastimato in casa e fuori. Forse potrà far sorridere, ma perme il concetto di ‘tecnico di area’ era e resta un concettomolto civile: siamo già un pezzo avanti quando nellascelta di governanti e alti dirigenti prima viene la com-petenza e poi l’appartenenza politica. Prodi rappresentavaplasticamente il passaggio morbido da un passato ormaiscricchiolante a un futuro europeo. Non avendo pro-dotto il PD o qualcosa che ci somigliasse in quel mo-mento, il progetto ha via via perso velocità e le cose sisono di nuovo ingarbugliate. Il fisico Andrej Sacharov, al-l’epoca della Perestrojka, disse che se un carro va troppopiano in salita, ad un certo punto si ferma e torna indie-tro. Ho la stessa percezione per il Partito Democratico. Nel1996, grazie all’effetto-novità, alla prima vittoria controBerlusconi, all’euro, al rintontimento dei partiti vecchidopo la botta di Tangentopoli e il recente crollo del Murodi Berlino, potevamo forse mettere tutti insieme in modo

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 174

175

definitivo. In fondo allora, escluso Bertinotti, tutto il cen-tro-sinistra aveva accettato di mettersi sotto il simbolodell’Ulivo, complice il Mattarellum. Dieci anni dopo, nel2006, la legge elettorale era cambiata e intanto avevamoperso per strada socialisti, ambientalisti, dipietristi e unsacco di altri pezzi e pezzetti, praticamente tutti deflagratitranne gli ex democristiani e gli ex comunisti; anche la co-siddetta ‘società civile’ fuggiva a gambe levate, intrave-dendo, al di là delle parole dei leader DS e Margherita,una tenaglia che si andava chiudendo. Cambiare di nuovotutto, diceva Tomasi di Lampedusa, affinché nulla cambi:nel nostro caso, affinché due nomenklature riescano afare un altro giro di giostra anziché scendere e passare fi-nalmente la mano. L’impulso dell’Ulivo di Prodi è statosprecato e col PD ci siamo trovati a ripartire quasi da capo.Poiché, come ho cercato di dire fin dall’inizio, il progettoaveva una profonda corrispondenza con attese e svi-luppi culturali e politici della società italiana, credo che,pur con molta fatica, sia ancora possibile farlo ripartire ecrescere, ed è quel che stiamo facendo anche adesso, conBersani. Però, e concludo, se è sempre bello raccontare lenostre storie davanti al caminetto, è anche vero che qua-rant’anni fa etichette e sigle dei partiti di allora, contrab-bandate come appartenenze e identità irrinunciabili, adalcuni di noi apparivano già obsolete; che il mescola-mento dei diversi filoni democratici è partito quindicianni fa con Prodi; che per i miei figli, allora piccolini e oraelettori, DC, PCI e PSI sono argomenti di storia, non piùdi politica. Forse è venuto il momento di smetterla con leappartenenze passate, di caratterizzarci con la scelta dicampo fra democratici o conservatori e con una rinnovata

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 175

176

capacità di leggere la società e di rilanciare uno sviluppoequo e sostenibile: insomma con un buon programma,proprio come diceva Sturzo nel 1905. Con un ampioschieramento, con candidati di qualità. Alimentando, rin-novando e credibilmente traducendo in progetto lo stra-ordinario patrimonio di ideali sociali e civili e di compe-tenze personali e risorse umane che il nostro partitopossiede, a tutti i livelli. Valorizzando (attenzione, è temainscindibile da un buon programma, da buoni candidati,dallo sviluppo del proprio patrimonio ideale) il pluralismointerno, compreso e gestito come ricchezza e non comepatologia, legato ai tanti ‘mondi vitali’ che un grande par-tito deve rappresentare con ragionevole articolazione in-terna, certo armonica e non cacofonica, ma neppure to-talitaria e totalizzante.Le diverse radici del PD sembrano robuste e sufficiente-mente intrecciate. Possiamo stare tranquilli, non servecontinuare a rimirarle. Basta innaffiarle. La sfida di domaniriguarda i frutti.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 176

177

La peculiarità del socialismo italianoPer capire la peculiarità del socialismo italiano è il caso di par-tire da un’osservazione che Giovanni Sabbatucci ha lasciatoscivolare in un saggio pubblicato l’anno scorso su Mondo-peraio in occasione del trentesimo anniversario della mortedi Nenni riferendosi alla battaglia da lui condotta fra il 1922e il 1923 per difendere l’autonomia del PSI. «Che cosa sa-rebbe successo» – si chiede Sabbatucci – «se Nenni e i suoiamici avessero perso e la maggioranza del vecchio PSI sifosse trasferita armi e bagagli sotto le bandiere del Comin-tern? Molto semplicemente il nome e il simbolo del PSI sa-rebbero stati ripresi dal PSU di Matteotti […] lasciando cheil tempo si incaricasse di riequilibrare i rapporti di forza fra ledue componenti (come sarebbe avvenuto in Francia e inGermania)»1. In effetti, se non si ricorda che la scissione diLivorno del 1921 non aveva separato i riformisti dai massi-malisti ma i leninisti dai non leninisti, e che i riformisti eranocomunque stati espulsi dal partito l’anno dopo, non si capi-sce quel carattere peculiare dell’autonomia del socialismo ita-liano che, nel mio piccolo, mi ha indotto a intitolare Men-scevichi un saggio sui riformisti nella storia repubblicana2. Imenscevichi, infatti, sono indissolubilmente legati ai bolsce-vichi: non solo perché si distinguono da essi per i mezzi e nonper i fini, ma anche perché, benché da essi perseguitati, non

Luigi Covatta Direttore di Mondoperaio

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 177

178

li perseguitano a loro volta.La figura che meglio incarna questa peculiarità è ap-punto quella di Nenni: il quale, specialmente dopo la Li-berazione, si trova alla guida di un partito in cui ci sonoSaragat e Morandi, Mondolfo e i trotzkisti; e che, per ot-tenere la confluenza di Lelio Basso e del suo minuscoloMovimento di unità proletaria, è costretto addirittura acambiare nome al partito (che diventa PSIUP, per ridi-ventare PSI – ironia degli acronimi – dopo la scissione sa-ragattiana del 1947). Dopo la vittoria repubblicana, di cuifu protagonista, Nenni avrebbe potuto essere «il roma-gnolo di turno», e cioè, secondo Luciano Cafagna, «il lea-der ‘populista’, o popolar-democratico, della nuova de-mocrazia italiana»3. Ma rinunciò a quel ruolo perchéconsapevole della fragilità non solo del suo partito, maanche degli altri due partiti di massa, fragilità che avrebbepotuto essere superata solo con una comune esperienzacostituente (come non si è fatto con l’avvento della se-conda Repubblica)4.È così che, dopo la scissione saragattiana e il disastro del18 aprile, il PSI di Nenni e di Morandi identifica ancora dipiù se stesso in relazione al PCI (accentua, cioè, la sua vo-cazione ‘menscevica’). È una condizione talmente inef-fabile che l’unico che l’abbia saputa descrivere compiu-tamente è stato un poeta, Franco Fortini, che scrisseallora: «Il PSI è la sede naturale non solo di quegli ele-menti della classe proletaria e delle classi medie che nonpossono ancora accettare i termini organizzativo-disci-plinari della lotta comunista, ma anche di coloro che nonpossono più accettare quei termini: non come transfughima come continuatori o superatori che non vogliono

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 178

179

porsi in atteggiamento tale da favorire gli avversari»16.In politica, peraltro, l’ineffabile non è previsto. Perciò,dopo il 18 aprile, il PSI sarà piuttosto «la sede naturale[…] di coloro che non possono più accettare» l’immobi-lismo di quello che poi verrà definito ‘bipartitismo im-perfetto’6. Il primo è Riccardo Lombardi, l’ultimo segre-tario del Partito d’Azione, che insieme con Vittorio Foa eFernando Santi, dopo la disfatta del 18 aprile, vince il con-gresso del 1948 sostenendo che «la sconfitta del PSIcome forza politica efficiente ed autonoma sarebbe lasconfitta delle istanze democratiche e liberali prima ancorache di quelle socialiste»7. Lombardi non era marxista (an-che per questo, mi raccontava, Saragat non lo aveva vo-luto nel suo partito), ma, come dice Lanaro, «parlava undialetto marxista più che altro per non farsi sconfessaredai suoi compagni»8. Così come non erano marxisti Tri-stano Codignola, Vittorio Foa, Paolo Vittorelli e gli altriazionisti che erano confluiti nel PSI, e che nel 1956 sa-rebbero stati raggiunti da Antonio Giolitti e dai molti in-tellettuali comunisti che non avevano giustificato né i carrisovietici a Budapest, né il minimalismo di Togliatti dopoil XX congresso del PCUS. Sono questi meticci che, a cavallo fra gli anni Cinquantae Sessanta, preparano l’apertura a sinistra dialogando conla ‘terza forza’ rappresentata dagli ‘Amici del Mondo’, esoprattutto con la migliore cultura cattolica dell’epoca:Pasquale Saraceno, Siro Lombardini, Achille Ardigò e tuttigli altri intellettuali che, dopo l’avventura tambroniana, siraccolgono attorno a Fanfani e alla sinistra democristianad’allora9.Si è molto polemizzato, dopo il ridimensionamento di quel

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 179

180

progetto, sul suo carattere velleitario e illuministico, im-putato principalmente a Lombardi e a Giolitti. Si dimen-tica però che ad esso, come ho detto, diedero un contri-buto sostanziale La Malfa e la cultura cattolica. E sidimentica, soprattutto, che esso venne sacrificato sull’al-tare della ‘centralità democristiana’. Luciano Cafagna,che pure non è stato tenero col ‘riformismo illuminista’ diLombardi e Giolitti10, nel 1980 ha magistralmente spie-gato quale «stravolgimento dell’idea originaria del cen-tro-sinistra» abbia rappresentato la rivolta dorotea con-tro Fanfani, che aveva dato luogo ad «un bel circolovizioso» in cui «la DC chiamava dentro i socialisti non of-frendo una politica riformatrice contro un sostegno, bensì,più prosaicamente, vendendo posti di governo contro unsostegno»11. Anche per questo, osserverà Guido Crainz,«a sfumare progressivamente, dopo i primi esordi del cen-tro-sinistra, non furono solo le singole riforme», che perla verità ci furono, ma «fu il riformismo come modello aperdere fascino»12.Poco fascino, del resto, ebbe anche l’unificazione socia-lista del 1966: sia perché si realizzò attraverso la fusionea freddo di due apparati, quello del PSI e quello del PSDI;sia perché, nonostante l’adesione delle migliori intelli-genze liberalsocialiste – da Norberto Bobbio a FrancoVenturi, da Guido Calogero a Manlio Rossi Doria ed a LeoValiani – fu troppo poco ambiziosa nel contestare gliequilibri immutabili del ‘bipartitismo imperfetto’. Cosìl’unificazione socialista non riuscì ad essere attraente néverso quelle aree del mondo cattolico che, ormai libere dalcollateralismo verso la DC, erano state a loro volta scon-fitte dai dorotei; né verso quelle aree del PCI che, nel

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 180

181

1964, avevano immaginato, con Amendola, il partitounico dei lavoratori, e che erano state messe a tacere daBerlinguer. Non a caso, quindi, ai lavoratori cattolici e ailavoratori comunisti si rivolse invece un socialista che erastato critico dell’unificazione, e cioè Fernando Santi (unodei rari riformisti autoctoni restato nel PSI, a lungo leaderdei socialisti della CGIL). Santi scelse l’annuale convegnoaclista di Vallombrosa, nel 1968, per pronunciare quelloche sarebbe stato il suo ultimo discorso, col quale pro-poneva di creare a sinistra «una forza politica non ege-monizzata da parte di chiunque, garante e fedele ai prin-cipi della democrazia e della libertà nel rispetto dellacoscienza di ciascuno e di tutti, capace di offrire un’al-ternativa alla guida e alla gestione moderata del potere»,attraverso la confluenza di «forze che si muovono intutti i campi, in quello cattolico, in quello socialista, inquello comunista»13.Inutile dire che in seno al mondo cattolico la gerarchiaoptò per sostenere ancora la DC. Meno inutile sottoli-neare l’opinione di Tonino Tatò, che nell’autunno del1970 poneva a Berlinguer una domanda retorica: «Stac-care dalle ACLI una porzione di quadri e di voti per darlia una formazione di ‘terza forza socialista’non disturba noi(non è oggettivamente anticomunista) e non disturba, nelsenso che indebolisce, le sinistre interne alla DC?»14. Nonvoglio fare dell’autobiografia e men che meno soprav-valutare il peso dell’iniziativa che, con Labor e Carniti, pre-sero allora alcuni di noi. Voglio solo sottolineare che inquelle reazioni vanno probabilmente individuate le causeprime del successivo blocco del sistema politico e dellacrisi della sinistra. Ed anche ricordare che in quegli anni il

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 181

182

meticciato socialista si arricchì di una nuova etnia, quellacattolico-sociale, che non fu ininfluente nell’evoluzionedella cultura e della politica del PSI.E veniamo all’osso più duro, Craxi. Craxi non era «un av-venturiero, anzi un avventurista, uno spregiudicato cal-colatore del proprio esclusivo tornaconto, un abile e ma-neggione ricattatore, un figuro moralmente miserevole esquallido, del tutto estraneo alla classe operaia», comescriveva Tatò a Berlinguer il 18 luglio 197815. E non eraneanche «il leader che manca alla sinistra», come hascritto di recente Piero Craveri16. Invece, come ha scrittoLuciano Cafagna, «capì cose che se sei un genio, ma deviproprio esserlo, fai una di quelle rivoluzioni che sfondanoe creano un vero mondo nuovo, ma se non lo sei, il solofatto di averle capite non basta e finisce per ucciderti. ECraxi finì ucciso»17.Fra le cose che capì ce n’erano due di particolare rilievo.Innanzitutto, che occorreva correggere l’anomalia delsocialismo italiano di cui ho parlato all’inizio, e in cui luistesso, con buona pace di Tatò, si era formato (i suoi amicie i suoi nemici più cari li aveva conosciuti a Praga al Fe-stival mondiale della gioventù18; la sua militanza politicaera cominciata con la segreteria di zona di Sesto San Gio-vanni a fianco del suo omologo comunista ArmandoCossutta; con Occhetto aveva rotto l’isolamento deglistudenti socialcomunisti nella politica universitaria fa-cendo confluire il CUDI nell’UGI di Pannella)19. La se-conda, che il sistema politico italiano, in seno al quale ilPSI aveva peraltro svolto un ruolo rilevantissimo, oltre adessere bloccato era troppo condizionato da equilibri in-ternazionali destinati a crollare. Questa duplice consape-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 182

183

volezza lo indusse ad accentuare il legame con il sociali-smo europeo, e specialmente con le sue componenti piùscettiche rispetto all’Ostpolitik, rappresentate in partico-lare dal cancelliere Schmidt, del quale condivise l’inizia-tiva sugli euromissili. E lo indusse anche a collocare il ri-lancio del PSI nella prospettiva di una «grande riforma»del sistema politico italiano20. Questo, peraltro, andava incontrotendenza. Come ha scritto Biagio de Giovanni, «iltentativo di stabilizzazione del compromesso storico pre-tendeva di rafforzare e rimotivare il vecchio equilibrioquando intorno tutto cambiava», e «DC e PCI pensa-vano, ideologicamente, a una stabilizzazione del bipola-rismo e a una democratizzazione dell’URSS» proprio allavigilia del crollo del comunismo21. Per questo, ed ancheper l’opportunismo con cui l’esperimento venne gestitodalla DC, il compromesso storico determinò, più che unastabilizzazione, un definitivo blocco del sistema politico.Ed è in questo contesto che nasce il craxismo, che è lacontinuazione con altri mezzi dell’esercizio del ruolo si-stemico del PSI. Secondo Gianfranco Pasquino, che scrive nel 1982, il ro-vesciamento operato da Craxi della tendenza seguita«un po’ impoliticamente» da Nenni e Lombardi, i qualiavevano «sempre anteposto le preoccupazioni per il fun-zionamento e l’evoluzione del sistema politico a quelle re-lative ai vantaggi del partito», nasce dalla consapevolezzache «senza ambizioni partigiane il PSI condanna se stessoa un ruolo subalterno che è altresì nocivo per tutto il si-stema»22. Craxi, del resto, proprio nel 1982 cerca di sot-trarsi a questa alternativa del diavolo, e nel dibattito sullafiducia al secondo governo Spadolini lancia un ultimo ap-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 183

184

pello al sistema politico perché sia possibile formare «o unvero centro-sinistra o una vera alternativa». Ma l’ap-pello cade nel vuoto, per cui non resta che l’iniziativa par-tigiana, volta da un lato ad accentuare il profilo identita-rio del PSI, dall’altro a forzare il sistema attraverso unfranco esercizio del principio di maggioranza23. L’identità del PSI non poteva essere sic et simpliciterquella della socialdemocrazia europea. Lo impediva ilruolo minoritario effettivamente svolto. E lo sconsigliaval’opportunità di valorizzare il felice meticciato che nel PSIsi era realizzato. Perciò il PSI approdò prima di altri par-titi socialisti al socialismo liberale, che si espresse piena-mente con il discorso di Martelli alla conferenza di Riminidel 1982, con il quale il PSI si pose oltre «la pietrificata so-ciologia delle classi ereditata dal marxismo», scartò «ilcompito di produrre una rivoluzione che non c’è» invece«di rappresentare politicamente e di governare con l’ef-ficienza della politica democratica la rivoluzione che è inatto», e propose l’alleanza fra «le donne e gli uomini dimerito, di talento, di capacità» e «le donne e gli uominiimmersi nel bisogno»: i primi, «persone utili a sé e agli al-tri», che «progrediscono e fanno progredire l’intera so-cietà con il loro lavoro, con la loro immaginazione, con laloro creatività, con il produrre più conoscenze», e sonoquindi «coloro che possono agire»; mentre i secondi,«persone che non sono poste in grado di essere utili a sée agli altri, emarginati o dal lavoro, o dalla conoscenza odagli affetti o dalla salute», e sono quindi coloro che «de-vono agire»24. Quanto all’iniziativa per la riforma del sistema politico,essa non si ridusse alla proposta di riforme istituzionali, ma

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 184

185

si ispirò anche alla politique d’abord di nenniana memo-ria25. Non va dimenticato, per esempio, che ancora alla vi-gilia delle elezioni del 1983 (quelle che gli avrebberoaperto le porte di Palazzo Chigi) Craxi si incontrò con Ber-linguer alle Frattocchie per cercare di definire obiettivi co-muni, nonostante «l’assoluta incomprensione» di que-st’ultimo «delle ragioni che spingevano Craxi sulla scena»,che «nascevano dalle spinte di nuovi ceti e da un bisognooggettivo di modernizzazione del paese», secondo la te-stimonianza di Alfredo Reichlin26.Non è questa la sede per illustrare la performance del go-verno Craxi27. È il caso, invece, di riportare brani del ne-crologio che a Craxi dedicò Stefano Folli. «Nel maggio del1987» – scriveva Folli – «giusto all’indomani del lungogoverno Craxi, L’Espresso pubblicò un interessante son-daggio. Conteneva, quasi per caso, la chiave per capiregli anni Ottanta, e più ancora per leggere nell’immediatofuturo, nel quinquennio che coinciderà con il declino delcraxismo e sfocerà infine in Tangentopoli. Diceva, quelsondaggio, che il sessantacinque percento degli italianidava un giudizio positivo di Bettino Craxi come statista euomo politico affidabile; la maggioranza si esprimeva al-tresì contro la formula del pentapartito». Secondo Folli,però, Craxi «non seppe o non volle capire che la sua fi-gura aveva già spezzato i vincoli e le gabbie di un sistemapartitico (o francamente partitocratico) ormai logoro» e«non fu abbastanza coraggioso o semplicemente inno-vatore»28. Folli giustificava questa «prudenza istituzio-nale» di Craxi con «la sua tempra di democratico». Menoindulgente era stato, nel 1994, Gianni Baget Bozzo, cheaveva imputato a Craxi, «ormai guidato solo da un or-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 185

186

ganigramma», la colpa di non avere sfruttato l’occasionestorica che gli veniva offerta dalle ‘picconate’ di Cossiga;per cui «l’involuzione dell’unico leader italiano che avessela statura per guidare un salto costituzionale disperdevala possibilità di un’autoriforma della politica»29.Se fosse ancora di moda Karl Marx, della vicenda craxianasi potrebbe dire che «il morto ha acchiappato il vivo». Main politica, come insegnava Talleyrand, un errore è peg-gio di un crimine, e comunque chi perde ha sempretorto. Che Craxi abbia perso non c’è dubbio. Resta peròda stabilire – e non è questione di poco conto – se haperso per avere osato troppo o per avere osato troppopoco30.

Le parole e le cose dei democratici

1Mondoperaio, dicembre 2009.

2 L. COVATTA, Menscevichi. I riformisti nella storia dell’Italia repubblicana, Marsilio, Ve-nezia 2005.

3 L. CAFAGNA, Una strana disfatta, Marsilio, Venezia 1996, p. 43.

4Un approccio non oleografico allo stato nascente della Repubblica può essere utile percomprendere meglio le caratteristiche che venne assumendo il nostro sistema politicodopo la Liberazione. Dei socialisti si è già detto. In seno al mondo cattolico il ruolo dellaDC non era affatto scontato. Subito dopo il 25 luglio 1943 il presidente della GIAC, LuigiGedda, aveva scritto a Badoglio proponendogli puramente e semplicemente di sostituireil personale politico fascista con quello dell’Azione cattolica, senza modificare il regime(T. SALA, Un’offerta di collaborazione al governo Badoglio (agosto 1943), in Rivista di sto-ria contemporanea, n. 4/1972). Sul tema si veda P. SCOPPOLA, La proposta politica di DeGasperi, il Mulino, 1977; A. RICCARDI, Il ‘partito romano’ nel secondo dopoguerra, Mor-celliana, 1983. Quanto ai comunisti, un volume recente di storia diplomatica ricostrui-sce le vicende (un po’ rocambolesche) attraverso cui si giunse al riconoscimento del go-verno Badoglio da parte dell’URSS ben prima dello sbarco di Togliatti a Napoli e della‘svolta di Salerno’ (E. DI NOLFO, M. SERRA, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943al 1945, Laterza, 2010). Un ruolo importante per la formazione dei tre partiti di massaa base ideologica lo ebbe anche il precedente fascista, come ha sottolineato Cafagna,che dopo avere ricordato, nel brano citato, la rinuncia di Nenni a perseguire «l’unica al-ternativa concreta alla partitocrazia», indica come DC e PCI si spartirono il «lascito fa-scista»: il PCI aderendo «alla attesa sociologica di una ‘successione’ totalitaria al fasci-smo», alla «funzione di manipolazione ideologica della incertezza sul futuro prodotta dalmutamento», alla «disponibilità di massa agli appelli di piazza e ad ampi inquadramenti,a una partecipazione mobilitata, a uno statalismo che però – ed è la tradizione sociali-sta, che anche il fascismo, comunque, aveva parzialmente interinato – si auspica più so-

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 186

187

Le parole e le cose dei democratici

ciale, più generale, possibilmente non favoritistico»; la DC ereditando «le attese di as-sistenza in senso stretto, e inoltre la funzione di mediazione generale verso lo Stato (unafunzione formatasi, o comunque dilatatasi col fascismo) presso il notabilato economicoe sociale […] nonché i mezzi e la tecnica per la strumentalizzazione del diffuso parastatodi fascistica origine» (L. CAFAGNA, La grande slavina, Venezia, 1993, p. 64). Può essereinteressante ricordare che a questa analisi si riferì implicitamente Giuliano Amato nel mo-tivare in Parlamento le dimissioni del proprio governo nel 1993. Sull’avvento della par-titocrazia si veda anche G. QUAGLIARIELLO, La sconfitta del ‘moderno Principe’, Bibliotecadell’immagine, 1993; S. LUPO, Partito e antipartito, Donzelli, 2004.

5 F. FORTINI, Dieci inverni (1947-1957). Contributo a un discorso socialista, Feltrinelli, Mi-lano 1957.

6 G. GALLI, Il bipartitismo imperfetto, Il Mulino, Bologna 1966.

7 S. LANARO, Storia dell’Italia repubblicana, Marsilio, Venezia 1992, p. 87.

8 Ivi, p. 314.

9 Secondo Lanaro il centro-sinistra fu, nella storia unitaria, «l’unico esperimento pro-gettato con qualche chiaroveggenza, provvisto di input strategico e preceduto da unadiscussione di ragguardevole dignità culturale» (ivi, pp. 307-314).

10 CAFAGNA, cit., pp.99-114.

11 Problemi del socialismo, settembre-dicembre 1980.

12 G. CRAINZ, Storia del miracolo italiano, Donzelli, Roma 2003, p. XIV.

13 F. SANTI, L’ora dell’unità, La Nuova Italia, 1969, p.330.

14Caro Berlinguer, a cura di F. BARBAGALLO, Einaudi, 2003, p. 20.

15Ivi, p. 74.

16 Mondoperaio, gennaio 2010.

17 L. CAFAGNA, prefazione a Menscevichi, cit., p. 11.

18 Fra i primi Carlo Ripa di Meana e Jiri Pelikan, tra i secondi Enrico Berlinguer.

19Proprio per questa sua appartenenza alla sinistra del dopoguerra, però, Craxi non eracinico rispetto al confronto ideologico come lo erano stati i leader della generazione pre-cedente, che mentre trescava con Rumor poteva tranquillamente firmare la Carta del-l’unificazione socialista in cui si fissava come obiettivo del nuovo partito il superamentodel capitalismo. Craxi invece non le mandava a dire a Berlinguer quando questi, a tre mesidall’assassinio di Moro, rivendicava «la permanente validità della lezione leninista»(l’intervista di Berlinguer su La Repubblica del 2 agosto 1978; la replica di Craxi sul-l’Espresso del 28 agosto). La vulgata identifica lo scritto di Craxi (Il Vangelo socialista)con la riesumazione di Proudhon. Invece Craxi citava tutte le posizioni antileniniste delmovimento socialista, da KautKautski alla Luxemburg, da Bernstein ai socialisti premar-xisti (fra i quali, appunto, Proudhon). Qualche mese dopo (il 30 novembre) il tema venneripreso in un convegno internazionale organizzato a Roma da Paolo Flores d’Arcais edal quale, oltre a Craxi, intervennero fra gli altri Massimo L. Salvadori, Vittorio Strada, Ales-sandro Pizzorno, Luciano Cafagna, Rossana Rossanda, Giuseppe Vacca, Fabio Mussi,Giorgio Ruffolo, Cornelius Castoriadis, Alain Touraine, Leszek Kolakowski, Jiri Pelikan, Gil-

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 187

188

Le parole e le cose dei democratici

les Martinet, Pierre Rosanvallon, Krisztof Pomian (Marxismo, leninismo, socialismo, ed.Avanti!, 1978). A testimonianza della diversa sensibilità della vecchia generazione so-cialista mi piace citare un piccolo episodio. Flores, che non aveva dimenticato le sue ori-gini trotzkiste, aveva preteso che ciascuno degli ospiti stranieri, insieme con un dirigentedel PSI, tenesse una lezione serale in una sezione. A me era toccato il compito di ac-compagnare Pomian nella storica sezione della Garbatella (non proprio una fucina di gio-vani talenti). Quando me ne andai, il segretario mi apostrofò: «Noi a te ti rispettiamo,ma non ti azzardare più a portarci un fascista!».

20 Sul tema si veda ora La ‘Grande riforma’ di Craxi, a cura di G. ACQUAVIVA e L. COVATTA,Marsilio, 2010.

21 Da un secolo all’altro, a cura di R. RACINARO, Rubbettino, 2004, p. 161.

22Il Mulino, maggio-giugno 1982.

23 Il ‘decisionismo’ imputato a Craxi dalla propaganda comunista prendendo a prestitoi concetti di Carl Schmitt effettivamente ridimensionava il ruolo svolto dal PCI in senoalla «democrazia consociativa» degli anni Settanta. Aveva però per obiettivo anche quellodi fare uscire il PCI da quella «strategia dell’obesità» denunciata da Luciano Cafagna (L.CAFAGNA, C’era una volta. Riflessioni sul comunismo italiano, Marsilio, 1991).

24Governare il cambiamento, Atti della Conferenza programmatica del PSI (Rimini, 31marzo-4 aprile 1982), ed. Avanti!, 1982. La riscossa culturale del PSI, del resto, avevapreso le mosse, nel 1975, dai saggi di Norberto Bobbio pubblicati su Mondoperaio e daldibattito che ne era seguito (Il marxismo e lo Stato, Quaderni di Mondoperaio, 1976).

25 Craxi, come tutti i politici della sua generazione, era di cultura ‘sostantiva’ piuttostoche ‘procedurale’, per usare i termini di Michele Salvati (M. SALVATI, Introduzione a V. PE-REZ-DIAZ, La Spagna dalla transizione democratica ad oggi, Il Mulino, 2003).

26V. FOA, M. MAFAI, A. REICHLIN, Il silenzio dei comunisti, Einaudi, 2002, p. 57.

27Si vedano, a questo proposito, i volumi della collana Gli anni di Craxi, curata da Gen-naro Acquaviva ed edita da Marsilio, che riportano gli atti dei numerosi convegni dedi-cati al tema a partire dal 1998.

28Il Corriere della Sera, 20 gennaio 2000.

29G. BAGET BOZZO, Cattolici e democristiani, Rizzoli, 1994, p. 124.

30 Al termine della sessione in cui è stata tenuta questa lezione si è sviluppato un brevedibattito del quale è corretto dare conto anche per fornire risposte più approfondite diquelle inevitabilmente sintetiche che sono state possibili nella sede del seminario. Diffi-cile peraltro, da parte mia, rispondere a chi ha affermato che Craxi è stato puramente esemplicemente «un delinquente». In questo caso la risposta spetta a chi ha scelto i re-latori, fra i quali appunto uno come me, del quale sono note le opinioni. Comunque sulrifiuto da parte di Craxi di sottoporsi all’autorità giudiziaria può essere utile leggere il sag-gio di Mario Ricciardi sul diritto di difendersi dal processo del resto già esercitato da Gio-vanni Giolitti dopo lo scandalo della Banca Romana (in Mondoperaio del gennaio 2010).Sulla questione dell’aumento del debito pubblico, imputata genericamente al governoCraxi, la risposta è necessariamente più complessa. Il debito pubblico comincia a crescerecoi primi governi di centro-sinistra, si impenna coi governi di unità nazionale, non vieneridotto dal governo Craxi nonostante il beneficio che il taglio della scala mobile producesull’entità degli interessi, diventa più percepibile negli anni Ottanta anche grazie al ‘di-vorzio’ fra Tesoro e Banca d’Italia voluto dal Ministro Andreatta, diventa insostenibile

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 188

189

Le parole e le cose dei democratici

dopo l’adesione allo SME e soprattutto la firma del trattato di Maastricht da parte diGuido Carli e Gianni De Michelis. Secondo quest’ultimo, Ministro del Lavoro del governoCraxi, a Craxi può essere imputato di non aver voluto procedere, nel 1984, alla riformadelle pensioni (G. DE MICHELIS, La lunga ombra di Yalta, Marsilio, 2003). Ma se si pensaal putiferio scatenato, anche in seno a Confindustria ed alla maggioranza di governo, daldecreto sulla scala mobile, la tesi è opinabile. Sul debito pubblico italiano, comunque, èutile consultare M. SALVATI, Occasioni mancate, il Mulino, 2000; La politica economicaitaliana negli anni Ottanta, a cura di G. ACQUAVIVA, Marsilio, 2005; I. MUSU, Il debito pub-blico, il Mulino, 2006. Infine all’ultimo paragrafo della mia lezione è stato contestato uneccesso di storicismo, o addirittura di hegelismo. Se si voleva intendere realismo politicola contestazione è corretta. Ma, senza risalire a Machiavelli, è bene ricordare che l’at-tribuzione alla politica dell’etica della responsabilità (e non dell’etica dell’intenzione) èdi Max Weber, che non era un hegeliano.

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 189

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 190

191

Vorrei innanzitutto fare una precisazione rispetto al titolo,molto ambizioso, di questo panel: penso che l’interesseprimario per noi sia quello di capire in che modo l’espe-rienza storica e i personaggi che hanno caratterizzato dipiù quelle grandi forze politiche che erano il PCI, il PSI ela DC, sono oggi un possibile riferimento di riflessione ri-spetto al compito e al ruolo del Partito Democraticoodierno. Lo dico in modo molto chiaro fin da subito: non credo chela cosa si risolva con un elenco di chi deve starci dentroe chi invece ne è escluso. Un Pantheon dei ‘padri’ e delle‘madri’ democratici non avrebbe, a parer mio, alcunsenso: se si procedesse in questo senso, avremmo unagalleria di figure sezionate o monche, in cui di ciascunasi seleziona il lascito positivo e si sceglie di tagliare viaquanto non risulterebbe elemento utile al nostro pro-getto. Credo, però, che sia giusto riflettere su quelle per-sonalità della storia politica italiana che hanno contribuitoquanto meno a costruire quel passaggio, tuttora uno deipiù importanti e fondamentali per il Partito Democratico,per la costruzione della democrazia del nostro paese.Noi diciamo a piè sospinto che siamo – ovviamente nonsolo noi – il partito della Costituzione italiana, per ribadirecon forza che nella nostra Carta costituzionale noi ve-

Paolo FontanelliDeputato PD

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 191

192

diamo i riferimenti e i valori fondamentali dell’agire po-litico nel nostro paese. La Costituzione è stata fatta dalleforze politiche e dalle persone che allora si sono battute,hanno lavorato perché l’Italia prima combattesse il fasci-smo, poi scegliesse la repubblica e, infine, si dotasse diquesta Carta. Già un’affermazione di questo tipo porta incampo tutta una serie di ipotesi di nomi: tra i costituentitroviamo De Gasperi come Togliatti: credo che senzal’apporto di entrambi non avremmo avuto la Costituzioneche ancora oggi rispettiamo e amiamo. Troviamo Dossetti,Moro, Terracini, Nenni, Pertini; ci si trovano nomi chefanno capo a queste tradizioni e a queste storie politico-culturali. Includerei anche azionisti come Parri, uomini distraordinario valore come Vittorio Foa, o di rarissima lun-gimiranza come Altiero Spinelli, che ci ha aperto unastrada importantissima battendosi, spesso da solo, perun’Europa unita, con uno sforzo grande per portare leforze politiche italiane di allora a ragionare sull’importanzache aveva la prospettiva europea per l’Italia. Questi sonosicuramente alcuni dei nomi che farei, per quanto sarebbeinteressante, nei singoli casi, valutare quale parte del loropatrimonio di idee e battaglie mantiene ancora oggi unapropria validità e su quali fronti ideali e pratici, invece, essisono stati poi sconfitti. Credo però che più che un Pantheon sia opportuno im-maginare un discorso politico dinamico rispetto a quelleche sono oggi la prova e la sfida del Partito Democratico.La prima domanda che naturalmente si pone riguarda laragione che ha portato all’idea di un incontro di questetre forze: quella derivante dalla storia del Partito Comu-nista Italiano, quella che viene dal cattolicesimo demo-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 192

193

cratico, che con la prima si è incontrata, e infine quella cheviene dalla storia del Partito Socialista. Io credo che laprima ragione di questa prospettiva vada cercata ancorapiù lontano ed è per questo che a mio avviso è partico-larmente importante oggi ragionare seriamente sull’in-contro di queste tre grandi tendenze. Perché i valori su cuici muoviamo e i grandi obiettivi che perseguiamo – la vo-glia di creare condizioni per un’emancipazione politica,sociale e civile del paese su una base di maggiore giusti-zia ed eguaglianza – provengono proprio da queste forze:tanto dal cattolicesimo democratico quanto, in modo di-verso ed elaborato ma con gli stessi riferimenti essenziali,dal movimento socialista, già a partire dal XIX secolo, nonsoltanto dal XX.Se dovessi indicare le figure di riferimento del progettopolitico del Partito Democratico, penso che non potreb-bero rimanerne fuori né Sturzo né Gramsci. Credo, adesempio, che Gramsci, che ancora oggi continua ad es-sere un autore molto seguito, letto e studiato dagli StatiUniti ai paesi asiatici e non soltanto nella ‘vecchia’ Europa,abbia prodotto, con i suoi Quaderni, un’analisi della so-cietà e della realtà italiane che mantiene una vivacità stra-ordinaria; in quelle pagine si sviluppano una riflessione eun senso critico che fatichiamo a trovare in altri pensatori.Come possiamo non ragionare sul contributo che vieneda una figura di questo genere? Sarebbe difficile imma-ginare un Partito Democratico che ha l’ambizione di rap-presentare quell’ansia di riscatto e di eguaglianza senzaconfrontarsi, riattualizzandolo, con questo pensiero.Come vedete, il quadro di riferimento che ho in menteper il nostro Partito Democratico ha sicuramente radici

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 193

194

lontane, anche se sappiamo che la motivazione politicache ha portato alla nascita del PD si lega molto stretta-mente anche all’evoluzione della storia politica del nostropaese e alla crisi economica e istituzionale italiana del-l’ultimo ventennio. Ieri Enrico Letta, nella plenaria diapertura a questo Seminario, ha ricordato che noi ab-biamo voluto l’incontro di queste culture perché ci era-vamo resi conto che quelle organizzate nei partiti prece-denti erano insufficienti ad affrontare la fase di oggi;perché volevamo creare un’alternativa forte e credibile alcentro-destra e desideravamo aprire una strada di rinno-vamento del e per il paese. Questo è stato senza dubbio il ragionamento che haportato a questa fusione tra forze politiche che proveni-vano anche da un’esperienza importante come quella del-l’Ulivo. Era stata quella una vicenda che, tra tante diffi-coltà, aveva anche vinto in alcune elezioni,rappresentando in maniera faticosa, con molte difficoltàe contraddizioni, un passaggio di governo importante,prima per un’intera legislatura (anche se travagliata) dal’96 al 2001 e poi con quella, ben più breve, dal 2006 al2008. Già allora si era individuato nell’Ulivo un percorsoper cercare di far coesistere e dialogare meglio queste no-stre culture. Esattamente questa è la sfida di oggi. Ba-chelet ha espresso una posizione che io condivido fino aun certo punto ma che nelle sue parole rivelava uno spi-rito molto costruttivo e positivo: per lui la sfida che oggisi apre a questo nuovo partito è quella di guardare avantie di non farsi tirare la giacca da quelle esperienze passate,dai tanti, tra noi, che provengono da storie e tradizioniprecedenti al PD. Io sinceramente non credo che si possa

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 194

195

dire che tutto quello che c’era prima non c’è più, che sipossa fare finta che non sia mai accaduto. Ha affermatolo stesso pensiero di Bachelet, seppure con toni molto di-versi, Mario Rodriguez questa mattina, quando ha fattoriferimento alla parte finale del libro di Reichlin per con-testarlo. Reichlin fa l’esempio di Enea che prende sullespalle il vecchio padre Anchise, si lascia dietro di sé la città,va in cerca di un luogo nuovo ma sa di portarsi dietro unpezzo della storia passata. Questa mattina Rodriguez hasostenuto che fare questo, comportarci come Enea conAnchise, sarebbe sbagliato; che non dobbiamo portarcidietro nulla di ciò che c’era prima, che ora si è aperto uncampo del tutto nuovo. Io ritengo discutibile, oltre cheimpossibile, sul piano della cultura politica, un ragiona-mento di questo genere, anche se dobbiamo saper va-gliare, analizzare, superare, rielaborare le tradizioni e lestorie che abbiamo alle spalle e dalle quali proveniamo.Ma come può un gruppo dirigente, o una sua parte, di-menticare, fare finta che non ha avuto un passato? La po-litica non è fatta solo di testi e di documenti: in quel casosarebbe un’operazione facile da realizzare: si archivie-rebbe e si aprirebbe un’altra pagina. Ma la storia politicaè fatta anche di esperienze concrete, di relazioni, di rap-porti di vita vissuta, di formazione che matura ed evolvenel tempo e che fa parte della memoria individuale e col-lettiva degli individui e dei partiti. Io stesso cerco, nella mia esperienza, di innovare, capire,misurarmi. So bene, però, qual è stata la mia formazionepolitica negli anni e non posso cancellarla e metterla daparte. Devo avere la capacità di rifletterci sopra in modocritico per capire cosa non è più valido, ma so anche che

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 195

196

quella formazione ha una sua origine precisa. È questoche mi ha fatto aderire al Partito Democratico e che mi fasentire tutt’oggi parte di questa battaglia. Per questocredo che non sia un ragionamento produttivo oggi pre-tendere di astrarre del tutto da ciò che è stato e che cia-scuno di noi ha vissuto. Sappiamo bene che la sfida delPD dovrà essere, ora e nei prossimi anni, quella di far cre-scere una generazione nuova, che nasce come una ge-nerazione che si iscrive, milita, cresce con il Partito De-mocratico – coloro che ne vengono chiamati i nativi – eche bisogna dare forza a questo progetto, con la speranzae l’impegno, perché maturi e faccia del PD quello che noivogliamo. Il PD deve essere un grande punto di riferi-mento della società italiana e motore centrale di un’alle-anza che governa il paese e riesce a dare risposte ai pro-blemi che abbiamo dinanzi. L’incontro delle culture politiche di centro-sinistra nel PDavviene dunque per dare una risposta a inadeguatezze einsufficienze su un progetto politico che vuole porsi il pro-blema di rispondere, o almeno tentare di rispondere, allacrisi italiana, alla crisi anche democratica dell’Italia, cheoramai si trascina da più di un ventennio e che finora nonha trovato soluzioni. Si è passati dalla Prima alla SecondaRepubblica: abbiamo visto la fine dei vecchi partiti e unprocesso di ri-articolazione del panorama politico nazio-nale. Ma i mali che avevano caratterizzato la decadenzadi quella fase del nostro paese restano tuttora in granparte irrisolti. Nella risposta a quei mali risiede per l’ap-punto, oggi, la nostra sfida, che consiste nel costruire, nelfare davvero il Partito Democratico, così come l’abbiamoimmaginato. Noi siamo ancora in fase di costruzione: non

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 196

197

direi che è già tutto risolto, che il PD è riuscito fin da su-bito a mettere nel paese le radici per portare avanti conforza e decisione quei progetti. Esiste ancora qualchenodo da sciogliere che non è solo quello dei nomi, dei pa-dri nobili. Si tratta, più che altro, di chiederci se è possi-bile immaginare oggi un Partito Democratico che proponeagli italiani quello specifico progetto di esercitare una fun-zione nazionale in direzione del rinnovamento, esclusi-vamente sulla base di una visione programmatica. Lasfida non è facile perché oggi sosteniamo il progetto difare e dare sostanza a un partito nel momento in cui inItalia la credibilità della politica e dei partiti nella perce-zione dei cittadini è scesa al punto più basso che mai cisia stato.Tutti i sondaggi che vengono fatti oggi, alla domanda sucosa sia la cosa peggiore attualmente presente in Italia,conoscono prevalentemente una sola risposta: la politica,i partiti. Ecco, nel fare nel 2007 il Partito Democratico noici siamo tuffati in un fiume in cui nuotiamo decisamentecontro corrente: da qui anche molti dei grandi elementidi difficoltà che tuttora riscontriamo e che talvolta nonsappiamo contrastare. Qualcuno di noi a volte fa il giocofacile di mettersi a nuotare nell’altra direzione, secondocorrente. Civati, ad esempio, stamattina ha fatto unabattuta su cui ho riflettuto: «quando dico che abbiamo bi-sogno di un Parlamento con meno parlamentari e stipendidimezzati, la gente applaude». Ma una proposta di que-sto tipo è coerente con l’idea di fare politica in un partito?In questo modo si dà un contributo al recupero di credi-bilità della politica? Io credo che, ferme restando le no-stre proposte per superare il bicameralismo e dimezzare

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 197

198

il numero dei parlamentari, certe semplificazioni biso-gnerebbe evitarle: non dobbiamo avanzare proposte chenon ragionano, o che lo fanno in modo semplificato, suldisagio e sul malessere che esistono, come sulla politica,ma non possiamo mandare messaggi contraddittori. Noiabbiamo scelto di fare un partito perché faccia politica,perché sia organizzato, presente sul territorio, in grado diportare impegno, competenze e partecipazione. Ma perfare tutto questo non basta un programma né è suffi-ciente piegarsi a ragionare secondo la mera logica del lea-der. È un punto su cui voglio insistere.Nel 2008 noi abbiamo fatto una notevole campagnaelettorale con un leader che da solo, per scelta, è stato intutte le piazze d’Italia, con grande visibilità e con gran-dissime manifestazioni: era l’atto di debutto del PartitoDemocratico. Nonostante questa innovazione e questagrande risposta da parte dei cittadini, non abbiamo vinto;e nel PD c’è stato un riflusso, una situazione di eccessivaframmentazione e anche di marcata correntizzazione.Per buona parte la personalizzazione che è entrata nellapolitica italiana in modo maldestro e negativo ha intac-cato anche noi. Una personalizzazione che dai rami alti ar-riva fino a quelli bassi, frammentando e spezzettando iltronco e togliendo credibilità a un intero progetto. Se iooggi vado, come mi è capitato spesso anche recente-mente, nelle assemblee dei Circoli del PD e discuto congli iscritti, le critiche che sento muovere più di frequentesono due: da una parte, ci viene chiesto di smettere di li-tigare, perché, se ogni volta che c’è un’uscita del Segre-tario, vengono immediatamente dichiarate alla stampa al-tre dieci posizioni diverse, è chiaro che non solo non si sa

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 198

199

Le parole e le cose dei democratici

cosa si comunica ma, soprattutto, si dà un’immagine diforte divisione del gruppo dirigente. Dall’altra parte, civiene rimproverata la mancanza di un leader, spesso sol-lecitata da osservatori esterni, quasi come se l’alternativaal centro-destra si limitasse soltanto al problema di avereun leader: certo, si tratta di un problema presente anchenel nostro partito ma che non possiamo permettere mo-nopolizzi il nostro dibattito interno assumendo dimensionie toni assolutamente fuori dal ragionevole. Io credo allora che oggi, per dare senso alla domanda sucosa tenere e cosa lasciare per costruire il Partito Demo-cratico, più che a un ideale Pantheon e a una galleria dipersone, dovremmo pensare a quali principi e valori met-tiamo nel progetto di questo PD. Questi, infatti, devonoessere il punto di riferimento fondamentale attraverso cuidefinire la nostra politica nel paese e le azioni concrete daintraprendere: è necessaria non un’identità ideologica, maun insieme di valori fondamentali e condivisi alla basedella nostra azione politica, perché il programma da solonon basta. Quali sono allora questi valori? Questa deveessere la domanda da cui partire. Sicuramente quelli co-stituzionali: il valore, da difendere con spirito critico e lu-cida consapevolezza, della Costituzione; il lavoro (comericordava anche ieri Enrico Letta nella plenaria d’aper-tura); l’uguaglianza come istanza da portare avanti ri-spetto a una società che ha visto, anche in questi anni, di-varicarsi la condizione di vita di ampi strati sociali eaccrescere i livelli di diseguaglianza; la democrazia, ilsenso della partecipazione e della discussione ampie al-l’interno della cittadinanza. Questi sono principi e valoriche devono esserci, ma sono anche contenuti e obiettivi

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 199

200

che non nascono oggi. Certamente vanno rielaborati e aggiornati ma hanno ra-dici che affondano in profondità: se togliamo loro radici,diventa anche difficile comprenderli, dare loro forza ed ef-ficacia nelle battaglie che abbiamo davanti, soprattutto suun piano, come quello della cultura politica, su cui oggisiamo spesso molto fragili. Il tema del leader che io ri-chiamavo è esemplificativo di come noi spesso siamosubalterni a impostazioni altrui che non ci appartengono,e di come non di rado subiamo fascinazioni che ci con-ducono a un’impostazione del lavoro e del ragionamentoche non è quella più corretta, giusta ed efficace per darecorpo a un partito che noi vogliamo radicato sul territo-rio, fondato sulla partecipazione, che fa partecipare iscrittie elettori. Un partito così non può essere un partito ‘ta-gliato’ sulle persone intese come singoli leader. Lo dicomolto chiaramente. Ieri giustamente il Sindaco di Pisa ha ricordato proprio illibro di Calise sul partito personale. Ecco: il nostro pro-getto e la nostra idea di partito sono di gran lunga diversedalla ricerca estenuante del leaderismo di oggi, dalla con-vinzione che un partito si fonda, si costruisce e si reggesolo sulla figura del leader e non su un progetto definitoe robusto di principi, valori e obiettivi programmatici ingrado di parlare alla società e di indicare la strada per ri-solvere i problemi. Io credo sia questo il punto. Finora, tra i nomi che ho rammentato, ne ho tralasciatidue che, rispetto alla mia formazione, hanno lasciato unsegno particolarmente profondo nella vicenda politica ita-liana: Berlinguer e Moro. Penso sarebbe difficile pensareoggi al Partito Democratico se cancellassimo il peso e il ri-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 200

201

cordo del ruolo che queste due figure hanno svolto, delcontributo che hanno portato nella storia del paese e diciò che hanno rappresentato per molti di noi. Non da ul-timo, per la ricerca di una strada indirizzata a sbloccare ilpaese, a salvaguardare la democrazia italiana in un mo-mento difficilissimo e drammatico come furono gli anniSettanta, in un mondo bipolare dalle caratteristiche chevenivano richiamate anche da Bachelet e da Covatta.Quella fase fu drammaticamente interrotta dall’assassiniodi Moro, che ha segnato una battuta d’arresto e un ar-retramento rispetto alla situazione che si era determinatain quegli anni. Io credo che del lavoro e delle idee di Ber-linguer vada sicuramente ricordato il suo rapporto, nel-l’arco della sua intera storia umana e politica, con il cat-tolicesimo democratico, su cui lavorò in modo costante,e che ebbe un passaggio di grande rilevanza con la pro-posta del ‘compromesso storico’. I progetti principali diBerlinguer furono poi, in quella fase, sconfitti politica-mente; ma ritengo si debba riconoscere che, nonostantei suoi limiti e le sue sconfitte, e nonostante l’irrisolta que-stione del legame con l’Unione Sovietica, senza volercreare miti o sacralizzare una parte della nostra storia co-mune, quella fu un’esperienza storica e politica caratte-rizzata da profonde e importanti intuizioni, alcune dellequali ancora oggi mantengono, a mio avviso, una certavitalità.Ho letto con grande interesse il libretto postumo di Ed-mondo Berselli L’economia giusta, che consiglio perché èuna lettura suggestiva. Il sottotitolo recita: «Dopo l’im-broglio liberista, il ritorno di un mercato orientato alla so-cietà. Una via cristiana per uscire dalla grande crisi». In

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 201

202

quelle pagine si parla della crisi, della situazione in cuisiamo, e si conclude con la tesi che sarà necessario avereun tenore di vita diverso, più basso, a fronte dell’incapa-cità di mantenere il livello di sviluppo che abbiamo co-nosciuto in questi anni. I temi dello sviluppo economicosostenibile e del rispetto ambientale sono al centro delleriflessioni di Berselli, ma l’indicazione che ci viene daquesto testo è anche quella di abituarci a costruire unacultura, se non della povertà, certo della minore ric-chezza. Se andiamo a rileggere il discorso del ’77-’78 diBerlinguer sull’austerità – una linea che in quella fase po-litica uscì sconfitta, dato che la società andò poi da tut-t’altra parte (come dimostrò in quegli anni la cosiddetta‘Milano da bere’ con la sua esaltazione del consumismo)– noi ritroviamo tanti dei concetti che Berselli sviluppa inqueste potenti pagine. Allora Berlinguer evocava, evi-dentemente sbagliando, il rischio di una crisi strutturale,che richiedeva di essere affrontata, a suo avviso, con unavisione di largo respiro e con una politica dell’austerità; inrealtà, come sappiamo, né l’Italia né l’Occidente, global-mente, conobbero una simile crisi. Ci fu, invece, unafase economica ancora di crescita, sostenuta però da ungrande indebitamento pubblico. Politicamente persel’idea dell’austerità e prevalse la convinzione che lo svi-luppo potesse andare avanti senza alcun limite. Si po-trebbe obiettare che anche Berlinguer arrivò tardi a sti-molare il dibattito politico su questi temi; nel PCI ci fu, adesempio, una discussione molto intensa quando Pasoliniper primo pose tali questioni dalle colonne del Corrieredella Sera. Pasolini vedeva più il problema del rischio e deipericoli della degenerazione di una società consumistica

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 202

203

come quella che si sviluppava, e pure anche a sinistra cifu chi lo accusò troppo frettolosamente di sbagliarsi.Oggi quei veleni ritornano perché noi abbiamo sullespalle un debito enorme, ci troviamo immersi in una si-tuazione di crisi acuta e, di fatto, esposta al rischio di undeclino competitivo – noi e l’Europa – nello scenariodella globalizzazione. Il ragionamento di Berselli parteproprio da qui: la difficoltà è immaginare che noi si possacontinuare a vivere con gli stessi livelli di reddito e di con-sumo che abbiamo avuto nella realtà ‘occidentale’ delglobo fino ad oggi. Su tali questioni io credo che sia fon-damentale recuperare una capacità seria di riflessione edi azione politica, riprendendo e innovando il discorsosulla qualità dello sviluppo che negli anni Ottanta nontrovò lo spazio che era necessario. Ed è su questo che, sedevo dare un giudizio, Craxi sbagliò. Egli anzi pensò cheil modello economico e sociale in essere fosse il migliorepossibile. Semmai Craxi aveva forse ragione nel sottoli-neare l’urgenza di una grande riforma istituzionale chemettesse la democrazia e le sue istituzioni in condizionedi essere più efficienti e più rapide nelle decisioni.Noi, oggi, siamo ancora a parlare di questo, delle riformeistituzionali. Non siamo riusciti ad affrontare quei temi, osolo marginalmente lo abbiamo fatto. Su questo terrenoio credo sinceramente che ci fu allora un ritardo da partedel PCI, e forse anche delle altre forze politiche, nel co-gliere l’elemento innovativo che lì si poteva avere. Ilpunto fondamentale resta che il Partito Democratico,anche nel rileggere e rilanciare con serietà e spirito co-struttivamente critico quei dibattiti, non può operare unacesura tout-court rispetto a quelle storie e a quelle culture

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 203

204

politiche. Non credo che sia una strada praticabile. Credo,piuttosto, che si debba recuperare un ragionamento suivalori di fondo, sugli obiettivi, sulle intuizioni program-matiche dei possibili cambiamenti che avevano animatoanche le esperienze precedenti e che oggi, con la neces-saria rielaborazione, possono essere un punto impor-tante della battaglia che dobbiamo fare per portare avantiquello che, senza retorica ma con grande realismo, noichiamiamo ‘il progetto per l’Italia’. L’unico modo vero perportarlo avanti consiste nell’avere una visione della poli-tica che sia ancorata ai principi e ai valori. Io mi trovaimolto d’accordo con Vittorio Foa quando scrisse che i va-lori politici non li si può inseguire ma che è necessario vi-verli. C’è quindi un richiamo a recuperarli per farli diven-tare elemento concreto dell’agire di una forza politicacapace di rappresentare gli interessi generali, di pensaree costruire una visione in cui si pensi a se stessi insiemeagli altri. Questo progetto è esattamente il contrario di ciòche è oggi la cultura predominante, quella su cui si ap-poggia il centro-destra: gli egoismi, i particolarismi, i lo-calismi. I valori e i principi ai quali invece si ancora il no-stro ‘progetto per l’Italia’, io credo che abbiano radicilontane, e che da lì noi si debba avviare il nostro lavoroper radicare ancora di più e rafforzare la progettualità delPartito Democratico oggi.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 204

205

PANEL IVFenomenologia dei vizi e delle virtù della sinistra:

patologie antiche e moderne,virtù volontarie e involontarie

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 205

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 206

207

Cosa resta di sinistra nella sinistraCosa resta di sinistra nei partiti della sinistra? A vedere lecose astraendo dalla quotidianità di uno scontro politicoche spesso, dietro l’emergenza, nasconde limiti e rimo-zioni, direi purtroppo niente o quasi niente. A me sembra che si sia persa l’abitudine a una riflessionecritica e collettiva, spregiudicata e di lungo periodo, e sisia dissolta la capacità, e forse la volontà, di visione ge-nerale della società e della storia. Dietro l’apparente rea-lismo politico, che dovrebbe essere rassicurante e invecenon lo è, si cela la paura di pensare e di agire. Temo chesi sia affermato ovunque ciò che Leonardo Sciascia attri-buiva allo scetticismo dei siciliani, il non credere alle idee. Da tempo la sinistra non ha più l’egemonia culturale e su-bisce fondamentalmente la visione del mondo di destrache oscilla tra un plebeismo plebiscitario e mediatico e ungiustizialismo conservatore. Avendo quasi del tutto ab-bandonato la presenza territoriale, la sinistra italiana si èillusa e si illude di poter contrastare il regime da terzo mil-lennio, espresso attualmente da Berlusconi, che stiamosubendo e che opera all’interno di regole democratiche,opponendovi una lotta mediatica del tutto perdente per-ché contraddittoria con l’essenza stessa della sinistra. Si èlasciato libero terreno o alla tentazione mediatica di so-

Alfonso Maurizio Iacono Professore di Storia della filosofia, Università di Pisa

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 207

208

Le parole e le cose dei democratici

stituire la politica con la giustizia, oppure, al Nord, a unaforza come la Lega che, nell’epoca del dominio dei massmedia, non ha perso affatto territorialità, avendola para-dossalmente ereditata, rovesciandola, dalla tradizione disinistra.Temo che per riaprire un discorso di sinistra occorra az-zerare molte cose dell’attuale sinistra. Temo che non ci siamolto ormai da salvare. Temo che assumere la finzione diuna continuità con il passato, con una tradizione, con unacultura sia soltanto, appunto, assumere una finzione cheforse ci rassicura nell’immediato sulla nostra identità po-litica, ma che ci lascia nello sconforto e nella depressionedopo che ci si rende conto di essere caduti nel peggioredei conformismi e nella più disastrosa assenza di fantasiae di ampia visione. Non si può né si deve delegare la pro-pria partecipazione a quelle trasmissioni che oppongonoal potere mediatico di Berlusconi un altro potere media-tico. Non si può e non si deve esaurire la propria cono-scenza e cultura nella lettura dei giornali che allo svili-mento della politica operato da quelli berlusconianicontrappongono una politica scandalistica, moralistica,padronale. È un segno di debolezza il dovere sperare inuna giustizia che di fatto si sostituisce alla politica. È scon-volgente come si chiuda troppo facilmente un occhio, anzitutt’e due gli occhi, sulle connivenze, i piccoli e grandi pri-vilegi, le ipocrisie che hanno certamente favorito l’ege-monia e il potere di Berlusconi. La voglia grande sarebbequella di ritirarsi a vita privata, ma la politica, si sa, con-tiene una legge alla quale non si può sfuggire: se non vipartecipi tu direttamente, gli altri la faranno per te. Maoggi è la politica, supervisibile e superpresente nei mass

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 208

209

media, che tiene lontano, spinge nell’isolamento della vitaprivata, perché, a dispetto di un senso comune fin troppostolidamente radicato, non è vero che la scarsa o mancatapartecipazione sia considerata un male. È vero purtroppoil contrario. Più spettatori ci sono, i quali rimangono in-chiodati davanti allo schermo, meno cittadini sono di-sposti a muoversi e a occupare le piazze, meglio è per unapolitica fatta da professionisti che possono così decideresenza vincoli; professionisti in gran parte più o meno in-capaci, perché, a differenza di un tempo, spesso, troppospesso, si avvicina alla politica come professione chi lapensa come una carriera, talvolta purtroppo perché in-capace di fare altro. Sto esagerando? Non nego natural-mente che vi siano per fortuna donne e uomini che lofanno perché ci credono, ma sono loro a caratterizzare ea determinare oggi la politica dei partiti di sinistra? Credoche dovremmo avere il coraggio di farci questa domanda.Vi sono due modi di concepire la politica: o come ammi-nistrazione del potere oppure come attività di partecipa-zione al potere. Nel primo caso la politica è dei pochi, co-loro che i molti hanno delegato ad amministrare; nelsecondo caso è dei molti, i quali delegano sì ai pochi, masenza una delega in bianco, bensì con dei vincoli e atempo determinato. In entrambi i casi, come detto, vigeuna legge non scritta che è senza eccezioni. Alla politicanon si sfugge. O te ne interessi tu direttamente oppuresono gli altri che la fanno per te, anche se non sono statidelegati da nessuno a farlo. O sei tu a farla oppure sonogli altri che la fanno per te. Per questo il consenso non puòessere il solo e dominante metro di misura di una demo-crazia. O meglio: non è il metro di misura che distingue

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 209

210

la democrazia da un regime totalitario. Sono le modalitàcon cui si ottiene il consenso a creare la distinzione. E unamodalità decisiva è costituita dal senso della partecipa-zione.Come ebbe a osservare Primo Levi: «A contrasto con unacerta stilizzazione agiografica e retorica, quanto più è dural’oppressione, tanto più è diffusa tra gli oppressi la di-sponibilità a collaborare col potere». Egli fa un elencodelle forme di disponibilità: terrore, adescamento ideo-logico, imitazione pedissequa del vincitore, voglia miopedi un qualsiasi potere, anche assai circoscritto, viltà, cal-colo finalizzato a eludere gli ordini. In modo variegato esfumato la vittima si identifica con il carnefice, il sudditocon il re. L’oppressione stimola il potere mimetico che èin noi. La domanda è: tutto questo è scomparso in de-mocrazia? Seguendo la lezione di Primo Levi che analiz-zava i Lager anche come momento di riflessione più ge-nerale sul potere e le sue forme, mi devo chiedere, cidobbiamo chiedere: cosa in un sistema democratico puòportare (sta portando) a una nuova forma di regimedove al gioco del consenso non corrisponde la parteci-pazione?Allora, è necessario indagare su ciò che ci ha portati a unregime che, pur mantenendo le forme e le pratiche dellademocrazia, è diventato appunto un regime. Il potere suimass media. D’accordo. Ma vi è anche, a mio parere, del-l’altro. Per esempio, la condizione del precariato, quandodiventa una condizione esistenziale permanente, finiscecon lo svuotare la persona fino a renderla psicologica-mente disponibile ai voleri del padrone. Qualche anno fa fu esaltata la precarietà, chiamata però,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 210

211

soprattutto a sinistra, con un nome ipocrita e allettante,flessibilità. La critica al posto fisso ha fatto perdere di vi-sta la necessità e il diritto di tutti a un posto sicuro, a par-tire dal quale sarebbe bello pensare alla flessibilità, laquale ha senso se è scelta da chi lavora, laddove la pre-carietà è invece imposta da chi comanda. Di certo non au-guro a nessuno di essere tutta la vita un precario. La pre-carietà non rende flessibili; al contrario irrigidisce il corpoe la mente e fa diventare gli uomini più disponibili al con-senso senza partecipazione. Un tempo la sinistra aveva la capacità di unire rifles-sione, ricerca e azione collettiva. Oggi non è più così. Lasinistra, negli ultimi anni, è stata connivente sia con l’ideadi politica come amministrazione, sia con l’angoscia me-diatica del consenso, sia con la condizione sociale dellaprecarietà. Nella patetica ansia di non sembrare passati-sta e arretrata, si è data una pallida visione della società,osservata con occhi da miope, senza uno sguardo lon-tano. L’impallidimento degli ideali e l’offuscarsi di una vi-sione egualitaria ha spinto fin quasi a idolatrare i mana-ger e gli imprenditori, e ad accettare o subire deltatcherismo l’idea che una divaricazione economica eculturale fra dirigenti e diretti avrebbe aiutato l’organiz-zazione sociale; purtroppo, invece, ha favorito soltanto lasperequazione e la corruzione. A proposito di imprenditori, lo scorso anno è stata ricor-data dal Comune di Pisa e dall’Università la figura diAdriano Olivetti, di cui Luciano Gallino recentemente hasottolineato quel senso di responsabilità sociale che ormaigli imprenditori hanno deliberatamente perso. Gli utili,che la Olivetti sapeva ben realizzare, erano ripartiti fra i

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 211

212

dipendenti e nel territorio. L’organizzazione del lavorofece epoca. Adriano seguì sempre il suggerimento del pa-dre Camillo: «Tu puoi fare qualunque cosa, tranne licen-ziare qualcuno per motivo dei nuovi metodi, perché la di-soccupazione involontaria è il male più terribile cheaffligge la classe operaia». Strana e meravigliosa affer-mazione da parte di un imprenditore che sembrava avereletto le considerazioni di Marx sugli effetti devastantiper gli operai e le loro famiglie delle rivoluzioni tecnolo-giche del capitalismo. Ma non c’era bisogno di esseremarxisti. Bastava avere quel senso etico-sociale, laico o re-ligioso che sia, oggi dissolto. Stride la contrapposizione fraquesto modo di pensare la produzione e le teorie attual-mente dominanti, le quali affermano che lo scopo del-l’impresa è unicamente quella di fare buoni affari. Oggitutti o quasi, chi per cinismo, chi per ignavia, accettanola fine della responsabilità sociale. Si obietta che il mondoè cambiato, che siamo nell’epoca della globalizzazione.Una buona scusa per tutti i filistei. La parola sociale untempo, ora non più, qualificava il termine responsabilità.Una parola che nessuno vorrebbe più fra i piedi, visto cheviviamo in un mondo dove le relazioni sociali sono tornatead essere sempre più e quasi esclusivamente dei mezzi peri fini privati degli individui. Sì, il mondo è cambiato, ma,da questo punto di vista, in peggio. Non dovremmo ri-prendere, a sinistra, il discorso sulla responsabilità socialedelle imprese?Recentemente è stato pubblicato un libro di due sociologibritannici, Richard Wilkinson e Kate Pickett, il cui titolo ita-liano è a dir poco improprio, La misura dell’anima (Feltri-nelli 2009). In realtà il titolo originale fa riferimento alla

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 212

213

livelletta, quella dei muratori e di Totò, ed è un’interes-sante analisi delle società occidentali che dimostra comenei paesi ricchi ma caratterizzati da un maggiore livellodelle diseguaglianze aumentano i malesseri sociali, cre-scono la violenza, il disagio psichico, lo sfruttamento dellavoro, le malattie, le dipendenze. Essi sfatano il pregiu-dizio diffuso e più o meno condiviso secondo cui la cre-scita economica rende automaticamente una nazionepiù sana e più soddisfatta di sé. «Nelle società moderne»– essi scrivono – «si osserva uno straordinario paradosso:pur avendo raggiunto l’apice del progresso tecnico emateriale dell’umanità, siamo affetti da ansia, portati alladepressione, preoccupati di come ci vedono gli altri, in-sicuri delle nostre amicizie, spinti a consumare in conti-nuazione e privi di una vita di comunità degna di questonome. In assenza del contatto sociale rilassato e della gra-tificazione emotiva di cui abbiamo bisogno, cerchiamoconforto negli eccessi alimentari, nello shopping e negliacquisti ossessivi, oppure ci lasciamo andare all’abuso dialcol, psicofarmaci e sostanze stupefacenti. Com’è pos-sibile che abbiamo creato tanta sofferenza mentale edemotiva, nonostante livelli di ricchezza e di agio che nonhanno precedenti nella storia umana?».Wilkinson e Pickett sostengono, dati comparativi allamano, che questa situazione paradossale è causata dal di-varicarsi delle diseguaglianze che, tra l’altro, ha spinto gliindividui a ridurre i risparmi, ad aumentare gli scopertibancari e i saldi delle carte di credito, nonché ad avviareun secondo mutuo per finanziare i consumi. Gli autori insostanza anticipavano (il libro è del 2009) le conclusionia cui è giunto Obama nel valutare l’attuale crisi econo-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 213

214

mica. «Sappiamo anche, scrivono gli autori, che la crescitaeconomica non è il metro con cui si misura tutto il resto…Non dobbiamo neppure lasciarci convincere che i ricchisono la rara e preziosa espressione di una razza superioredi individui più intelligenti, dai quali dipende la vita di tuttinoi. Questa è una semplice illusione creata dalla ric-chezza. Piuttosto che assumere un atteggiamento di gra-titudine verso i ricchi, dobbiamo riconoscere gli effettidannosi che essi hanno sul tessuto sociale».Forse, perché vi sia qualcosa di sinistra nella sinistra, do-vremmo ripartire da qui, dal problema dell’eguaglianza,che, ben lungi dall’essere un uguagliamento plebeo dasudditi verso un capo, deve caratterizzarsi come un’aspi-razione legittima di cittadini, nella consapevolezza chenon vi può mai essere libertà piena per tutti nello stato didiseguaglianza.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 214

215

Assumo che siamo in una Scuola: farò quindi delle os-servazioni come se fossimo in un seminario per costruireuna discussione. Credo che il punto dal quale bisogna par-tire è quello che richiamava Iacono quando alludeva aduna crisi generale della democrazia, quando poneva la di-stinzione fra eguaglianza ed eguagliamento, assumendoappunto l’eguagliamento come obbedienza passiva aduna forma di dominio, e l’eguaglianza, invece, come ele-mento positivo di emancipazione e di libertà. Nel mio ul-timo libro pubblicato da Laterza, La democrazia dispotica,ho cercato di dire che anche il problema dell’Italia è la crisidella democrazia in generale. Credo che questo sia ilprimo punto sul quale noi dobbiamo ragionare: le pato-logie in generale della democrazia, e il fatto che, all’in-terno della democrazia, possono fermentare e determi-narsi anche inclinazioni dispotiche. All’interno dellademocrazia, cioè, ci possono essere elementi propria-mente dispotici: il che significa, come avviene appunto inItalia, rottura dei rapporti fra esecutivo e legislativo, do-minio dell’arbitrio del potere, rottura con i corpi intermedi,e via discorrendo. È dalla stessa democrazia che possono emergere ele-menti di carattere dispotico. Questo è il primo punto chedobbiamo aver presente. È sbagliato pensare che Berlu-

Michele CilibertoProfessore di Storia della filosofia modernae contemporanea, Scuola Normale Superiore di Pisa

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 215

216

sconi sia, come tante volte si dice, la ripresa del fascismoo una forma di autoritarismo di tipo tradizionale: Berlu-sconi sta tutto all’interno di una lunga crisi delle demo-crazie dei moderni, su cui già Tocqueville nell’Ottocentoscrisse una serie di osservazioni molto importanti. All’in-terno dell’eguaglianza su cui insisteva prima Iacono pos-sono emergere dei processi di rottura dei vincoli tra indi-vidui, processi di isolamento e di separazione degliindividui fra di loro sui quali si costituisce e si impone unpotere dispotico. La questione fondamentale alla quale ar-riverò alla fine del ragionamento è quella, appunto, deivincoli necessari a rimettere in moto un processo demo-cratico. Questo è un problema che riguarda anche la sinistra inmodo particolarmente intenso e che è legato, nella fatti-specie, alla crisi delle forme e delle politiche di massa delNovecento. Credo che questo debba essere un secondopunto sul quale dobbiamo provare a ragionare. Se noipensiamo alle forme della democrazia o alle forme dellapolitica nel Novecento, vediamo che si tratta sempre dipolitiche di massa e di democrazie di massa. La dimen-sione di massa era costitutiva di queste forme politiche edi queste forme democratiche. Anche il Partito Comuni-sta e la Democrazia Cristiana erano partiti che si muove-vano all’interno di una dimensione di democrazia dimassa. Quando si rompe questa dimensione di massa, siproduce una rottura delle identità collettive quali si da-vano nel Partito Comunista o nella Democrazia Cristiana,nei grandi sindacati, nelle organizzazioni del dopolavoro:vengono meno le organizzazioni politiche e sociali dimassa e avanzano, soprattutto a partire dagli anni Set-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 216

217

tanta, forme di individualismo e di cultura radicale – ter-mine che, in questo caso, utilizzo in senso positivo – an-che per la pesante responsabilità del Partito Comunista dinon esservisi confrontato, allora, in modo intenso. Que-ste culture di carattere radicale ponevano in modo nuovola questione dell’individuo, dell’individualità, dell’indivi-dualismo. Si determina, di conseguenza, una crisi gene-rale della democrazia, non solo in Italia e non solo in Eu-ropa. Forme di un potere dispotico quale abbiamo noioggi in Italia, basato sul consenso – questo è il punto difondo che non va mai dimenticato –, patologie demo-cratiche anche a sinistra, che nascono dalla crisi delleforme di politica di massa proprie del Novecento: il PDvuole nascere da qui, come un superamento delle formedei partiti e delle politiche di massa. Questa è la suasfida: come costruire un partito nell’epoca in cui non c’èpiù la politica di massa, in cui la politica ha cambiatoforma e non è più nella forma della massa. Noi siamo nella fase della post-politica di massa: questoè il problema del PD. Il PD – vengo a quella che io con-sidero una patologia di questo partito – si è trovato in unasituazione di difficoltà perché sono andate in crisi le se-zioni e le vecchie forme della politica di massa. Il PD haavvertito il problema di tenere stretto un rapporto fra go-vernanti e governati, come direbbe Gramsci, tra eletti edelettori, fra vertici e base; ha avvertito, cioè, un problemadi democrazia e a questo ha dato una risposta con le pri-marie. Io credo che su questo tema noi ci si debba inter-rogare molto, perché è un problema estremamente de-licato. Intanto dovremmo chiederci: primarie di coalizioneo primarie di partito? Sono, infatti, due cose abissal-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 217

218

mente diverse. Io ho ritenuto – questa è, però, una con-siderazione di carattere personale –, almeno in una primafase, che le primarie fossero uno strumento assoluta-mente positivo e innovativo nella vita politica del PartitoDemocratico proprio perché si ponevano il problema diricostituire forme di democrazia nel periodo della post-po-litica di massa, quando non erano più attive o possibiliforme di politica di massa. Ho ritenuto che questo fosseun punto di notevole interesse e innovazione. Sottoli-neerei però qui con voi che le primarie sono poi pro-gressivamente diventate, a mio giudizio, un dato della pa-tologia della democrazia a sinistra. Perché, appunto, nonsi è distinto tra primarie di coalizione e primarie di partito.Perché le primarie suppongono un partito fortemente or-ganizzato. Perché, nell’esperienza che abbiamo fattodelle primarie, abbiamo visto come siano diventate ancheterreno di lotta fra dirigenti nazionali e boss locali, oltreche lo strumento attraverso cui personalità politiche estra-nee al PD sono entrate nella dialettica politica del PD e visi sono imposte. Le primarie meritano una riflessioneprofonda: io non credo che debbano essere eliminate, macertamente devono essere ripensate e riorganizzate, siadal punto di vista politico sia dal punto di vista teorico.Dato che siamo nella sede di un Seminario allargato,vorrei appunto porre anche il problema teorico: le pri-marie nascono da una corrente che è propria della sini-stra ed è propria della cultura marxista; nascono, cioè, dauna corrente che ha fortemente valorizzato la democra-zia diretta. Le primarie sono una forma di democrazia di-retta, sono il modo in cui i militanti vengono portati a de-cidere direttamente, come è giusto che sia, sui capi del

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 218

219

partito e sulla rappresentanza: sono, cioè, un pezzo dellalunga storia della democrazia diretta che è propria dei par-titi di sinistra, specialmente di quelli comunisti, ma nonsolo. Qual è il problema che si pone, a mio giudizio,quando si parla delle primarie? Il problema, anche di or-dine teorico, è quale tipo di rapporto stabiliamo fra de-mocrazia diretta e democrazia rappresentativa nel casospecifico delle primarie. Io voglio esprimere la mia posi-zione con estrema nettezza: sono persuaso che la de-mocrazia diretta, abbandonata a se stessa, produca esitidispotici. Lo sosteneva già Kant prima di me. Il problemaè come stringere insieme l’esigenza della democrazia di-retta con le modalità proprie di una democrazia rappre-sentativa che deve essere il punto di riferimento e dicompimento delle forme di democrazia dirette. Su que-sto io credo che dobbiamo fare una riflessione; altri-menti ci troviamo di fronte a quella deriva plebiscitaria eleaderistica che attualmente corre all’interno delle pri-marie del PD e che ne fa, come dicevo prima, una formapatologica della democrazia piuttosto che un suo ele-mento di sviluppo. Io sono meridionale, sono napoletano: basta che pensialle primarie di Napoli perché mi sorgano molti interro-gativi sulla potenza democratica delle primarie. Credo chenoi dobbiamo pervenire a quello che è il tema propriodella nostra conversazione e riflettere anche sulle moda-lità proprie della crisi generale della società italiana. Comenon possiamo parlare solo del PD, ma lo dobbiamo inse-rire nel contesto generale della politica, così dobbiamo ra-gionare della nostra crisi nell’ambito della crisi generaledella società italiana. Io credo che su questo dobbiamo ca-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 219

220

pire a fondo quali sono le modalità di una forma di do-minio che è basata sul programmatico rovesciamento diapparenza e realtà. Noi ci troviamo in una situazione nellaquale le forme di sfruttamento sono diventate ancora piùdure e perverse e in cui, come diceva Iacono, il problemadell’eguaglianza emerge sempre di più come il problemafondamentale. Eguaglianza dei nativi, eguaglianza degliimmigrati, eguaglianza in senso generale: penso non ci siamai stato un tempo della politica italiana e della storia re-pubblicana in cui le diseguaglianze fossero così profonde.Un altro elemento sul quale si è imposta una forma dipropaganda, dalla quale dovremmo prendere le distanze,è quello del merito, ma non mi ci soffermo in questa sede.Riflettere a fondo sulle modalità in cui si costituisce il ro-vesciamento fra apparenza e realtà nella situazione ita-liana, individuando le forme in cui funziona il dominio diquesta specifica patologia delle democrazia che è il ber-lusconismo: questo deve essere il fuoco del nostro ra-gionamento. In altre parole, a mio giudizio, dobbiamo ri-mettere al centro del nostro lavoro quella che una voltasi chiamava la ‘critica dell’ideologia’: credo che sia un pas-saggio decisivo per chi si muove all’interno di un partitocome quello Democratico e abbia ambizione di andareprima o dopo al governo. ‘Critica dell’ideologia’ significariprendere Marx, ma non genericamente. Quando pensoa questi temi, io ho in mente soprattutto il Marx de Laquestione ebraica, cioè il Marx che individua la differenzatra il livello politico e il livello sociale, fra l’astrattezza del-l’eguaglianza politica e la concretezza della disegua-glianza sociale; il Marx per il quale è vero che, da unpunto di vista politico, gli individui sono uguali, ma che

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 220

221

evidenzia anche come, da un punto di vista reale, nellasocietà civile ci sia profondità e radicalità di disegua-glianza. Riafferrare la critica di Marx ai diritti umani, ai di-ritti della Rivoluzione francese, mostrare come dietro alquadro dell’eguaglianza politica o giuridica fermentino esi siano rafforzate e potenziate forme di sfruttamento edi diseguaglianza: la critica dell’ideologia deve diventareoggi critica dei rapporti materiali di sfruttamento. Il Par-tito Democratico deve andare, io credo, in quella dire-zione. Badate, però: ci sono fasi, almeno io penso, nellequali è fondamentale anzitutto la critica strutturale, efasi nelle quali invece è fondamentale la critica dell’ideo-logia, la critica dell’universo dei valori, la critica della di-mensione della cultura nell’accezione generale. Io credoche questo sia uno di quei momenti in cui il PD deve as-sumere come prioritarie, accanto alla critica dei rapportimateriali, la critica dell’ideologia e la messa in questionedel rapporto rovesciato di apparenza e realtà. Prendiamo la questione del linguaggio: se voi andate avedere il lessico politico di Berlusconi, vi accorgete che leparole sono gusci vuoti senza niente dentro. Il problemadel PD, allora, dovrebbe essere quello di rinominare le pa-role, di ridare senso alle parole, perché le parole oggi nonhanno più senso. Questo significa che oggi il problemadel linguaggio è un problema propriamente politico, undecisivo problema politico: si tratta di ridare consistenzaalle parole e di smascherare il lessico di Berlusconi, cheagisce sempre, da un lato, come lessico della violenza,dall’altro come lessico rugiadoso dell’amore. Su tutto questo dobbiamo lavorare, ma credo anche checi siano alcuni punti che noi dobbiamo mettere al centro

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 221

del nostro lavoro come Partito Democratico. Ad esempio:quando ragioniamo di critica dei rapporti materiali, pensoche noi dobbiamo, se vogliamo dare sostanza alla de-mocrazia, rimettere al centro il grande tema del conflitto.Io non entro nel merito se a Torino si sia fatta la scelta giu-sta: non ragiono di questo. Dico però che, quando c’èconflitto, è sempre una battaglia per la libertà: il conflittopone sempre una battaglia in nome della libertà. Quandonoi assumiamo che il conflitto è negativo, ci stiamo po-nendo su un terreno che è conservatore-reazionario:sono i conservatori a dire che il conflitto produce disag-gregazione. Quando il conflitto è organizzato e gover-nato, come sapeva Machiavelli, diviene condizione edelemento di potenziamento della libertà. I metalmecca-nici, al di là della loro battaglia specifica, come il movi-mento delle donne o degli studenti, ponendo elementi diconflitto, pongono elementi di libertà e di democrazia.Perché non c’è democrazia, cioè eguaglianza, senza li-bertà. Noi abbiamo fatto storicamente nelle nostre filal’esperimento di che cosa sia un movimento che si con-centra sull’eguaglianza tralasciando la libertà: quandonon c’è libertà, l’eguaglianza diventa eguagliamento, di-venta subordinazione passiva. È sul nesso tra libertà edeguaglianza che dobbiamo mettere l’accento, ricordandoche non c’è libertà senza conflitto. Se vogliamo tenere in-sieme libertà e democrazia, è fondamentale assumere iltema del conflitto. Perciò, a coloro i quali costituiscono unlessico e delle forme di comunicazione che assumono ilconflitto come un dato negativo, dobbiamo saper dire chestanno facendo il loro lavoro di reazionari e di conserva-tori, ma che il nostro è un lavoro diverso.

222

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 222

223

Mi sono chiesta quale contributo potessi dare a questasessione. Ma dalle donne ho imparato due cose pre-ziose: la mia parzialità e il senso del limite, che mi conducea partire da me e dalla mia personale esperienza. Provoquindi ad usare questo approccio.Giunta in Parlamento nel 2008, arrivata da una esperienzamolto concreta – otto anni di governo regionale ad oc-cuparmi di materie economiche, di sviluppo, di pro-grammazione: di temi reali, con giornate a gestire tavolicon imprese – ho pensato che portare un simile bagagliodi attività nel mio nuovo impegno come deputataavrebbe potuto essere utile. La realtà è stata, ed è, bendiversa. Forse anche per questa ragione sono convinta divivere una delle fasi più buie della storia del nostro Par-lamento.Non mi riferisco solo al lunghissimo elenco dei voti di fi-ducia, dei decreti legge, dell’impossibilità di giungere inaula con iniziative di legge parlamentari, ma a un venta-glio molto più ampio di questioni:

- lo stravolgimento in essere delle fondamenta della no-stra democrazia parlamentare in modo più o meno di-retto;- l’attacco sistematico del governo nei confronti degli al-

Susanna Cenni Deputata PD

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 223

224

tri poteri dello Stato;

- il continuo richiamo all’investitura popolare del Premier;

- le recenti ed inquietanti vicende di compravendita, o co-munque di ‘salto della quaglia’, di singoli parlamentari;

- la violazione di consuetudini, iter di costruzione delle de-cisioni (penso alla vicenda sul federalismo municipale).

Per non parlare di uno stile politico assolutamente discu-tibile, che sembra invece essere diventato costume diffusoe praticato.Non sono suggestioni, ovviamente. Il recente Rapportosullo stato della Legislazione, edito dalla Camera dei De-putati, ci consegna dati certi: solo il 18 per cento delleleggi approvate dal Parlamento è costituito da leggi di ini-ziativa parlamentare; il resto è relativo a conversioni,leggi di ratifica, ecc. Il dato è aggravato dalla pratica deimaxi emendamenti e dal costante ricorso alla fiducia.Eppure nel nostro disegno costituzionale il Parlamento èancora oggi l’unico organo dello Stato eletto a suffragiouniversale, quindi lo strumento diretto della rappresen-tanza popolare su base territoriale. Non sta a me ragio-nare sui cambiamenti che in questi quindici/venti anni ireferendum e le varie riforme delle leggi elettorali hannoapportato a quell’originale disegno: oggi il Parlamento as-somiglia sempre di più ad un Consiglio Comunale.Purtroppo questa complessa situazione è accresciuta an-che da una pessima considerazione da parte dell’opi-nione pubblica, abbondantemente indotta dal populi-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 224

225

smo cresciuto nel nostro paese: il Parlamento che non la-vora, il Parlamento dei nominati, la Casta ecc. Sappiamoche esistono alcune ragioni, ma oramai siamo di fronte aun’ondata pericolosa che non distingue più merito e ra-gioni effettive, che semplifica e non analizza più nulla eche spesso rende invisibili anche importanti momenti dibattaglia parlamentare.Noi, quindi, viviamo una difficilissima situazione di crisi delParlamento e di crisi di legittimazione diffusa, che ten-denzialmente non fa eccezione. Questo tema ci riguarda,riguarda il PD, riguarda la nostra capacità di fare oppo-sizione dentro ad un sistema democratico, riguarda la per-cezione del nostro lavoro di opposizione non solo nel-l’opinione pubblica più generale, ma nel nostro stessopartito.Nadia Urbinati, in una intervista rilasciata a Liberazionequalche settimana fa, parla della rappresentanza politicanel nostro paese, della separazione tra i poteri dello Statoe della nostra Costituzione, e dice due cose che mi sonomolto piaciute: «Le istituzioni servono ad un popolo chevuole proteggere se stesso e le sue libertà dagli errori chelui stesso può compiere». E ancora:

[…] la democrazia rappresentativa, che non è racchiudibile solo nell’espressionedel voto popolare, vive solo se c’è un rapporto continuo con il mondo attivodella società, vale a dire le associazioni, i partiti, i singoli cittadini, attraverso pe-tizioni, referendum, leggi di iniziativa popolare. Il fatto è che, con la crisi deivecchi partiti ideologici, si avverte anche il declino di questo dialogo tra le isti-tuzioni e i cittadini, con il rischio che chi anima le istituzioni si ritrovi a giocareun ruolo pressoché assoluto nel gioco democratico. Per evitare questo rischiosi dovrebbe intervenire sia modificando le leggi che lavorando ad una ripresadelle forme associative di tipo politico.

Urbinati indica strade nette, ma ovviamente non semplici

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 225

226

né lineari. Ad esempio, qui si apre l’interrogativo, sulquale lo stesso Prof. Ciliberto ci invitava a riflettere, sucome si fa politica oggi.Concetti molto chiari ed utili al nostro ragionamento,quelli di Urbinati: una politica debole non aiuta le istitu-zioni a funzionare e può favorire forme di personalizza-zione ed uso improprio delle istituzioni. Personalizza-zione, uso del potere, populismo, sfiducia indifferenziata,distanza.Scrive ancora Urbinati:

I populismi sono l’equivalente per le democrazie rappresentative odierne di ciòche hanno rappresentato le tirannie per le democrazie antiche. Il populismopropone un azzeramento della rappresentanza perché indica un’autoafferma-zione di rappresentatività di chi è leader che si proclama ‘espressione dell’in-tero popolo’. L’uso continuo dei sondaggi per calibrare di volta in volta l’atti-vità dei politici serve proprio a far questo.

Si parla dei sondaggi come dell’opinione dei cittadini, maè cosa ben diversa. A questo proposito, mi piace ricordareun intervento del 1996 di Zagrebelsky:

Abbiamo visto svilupparsi, negli ultimi tempi, una serie di pratiche politiche ba-sate su tecniche apparentemente democratiche, forse sotto certi aspetti‘troppo’ democratiche. Il sondaggio sembra uno strumento democratico, per-ché consente di percepire in tempo reale l’orientamento, i desideri, le aspira-zioni dei cittadini. Il sondaggio dovrebbe dunque servire a mettere in contattoquotidiano gli uomini del potere con coloro che sono sottoposti al potere stesso.Il Presidente della Repubblica [allora, 1996, era Scalfaro] parlando di tali que-stioni ha invece definito la ‘sondocrazia’ uno strumento politico immorale, per-ché esonera la classe politica dal compito di elaborare progetti e di proporreprogrammi di cui si assume la responsabilità. In una ‘sondocrazia’ perfetta i go-vernanti possono presentarsi come coloro che si limitano a seguire l’orienta-mento che proviene da coloro che hanno risposto al sondaggio. Questo è unmodo per far sparire completamente una categoria fondamentale della de-mocrazia rappresentativa, che è quella della responsabilità dell’uomo politico.Insomma la ‘sondocrazia’ potrebbe fondarsi sullo slogan: ‘Viva la gente, ab-basso le istituzioni!’.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 226

227

Era il 1996, ma il contesto, a quindici anni di distanza, misembra ancora molto attuale.Noi ci troviamo, oggi, in un contesto segnato da una crisidelle istituzioni e da una profonda crisi economica (allaquale non si dà risposta), del sistema del welfare, del la-voro, dell’architettura dello Stato, nonché da un continuorichiamo alla investitura popolare quale alibi per ‘bypas-sare’ i passaggi parlamentari, per evitare il controllo co-stituzionale del Quirinale (troppo puntiglioso), della Corte(chiaramente orientata), per rigettare l’autonomia dellamagistratura (chiaramente comunista), un Parlamentoche fa perdere tempo...al Premier, che si dice legittimatodal popolo.Siamo con chiarezza all’epilogo di una lunga fase politicacaratterizzata non solo dalla persona Berlusconi, ma da unmodello culturale, da un humus che è stato capace di coa-lizzare attorno ad un individuo e al suo sistema poteri, af-fari, clientele e milioni di italiani che hanno creduto in unsogno. A sinistra, nonostante questo epilogo, facciamomolta fatica a delineare e a comunicare una nuova ideadi nazione, di sistema, di società, di paese. Non è pertantoscontata l’evoluzione di questo passaggio politico, non siconosce con chiarezza quale ne sarà lo sbocco.Del resto questi lunghi anni di governo del centrodestrae della Lega hanno modificato il paese e, forse, lo stessoterreno del confronto politico. Non mi riferisco solo allacaduta dei partiti ideologici, allo svuotamento istituzio-nale, alla crescita esponenziale della competizione per-sonalizzata piuttosto che dei progetti alternativi, ma an-che all’enorme crescita delle divergenze sociali,all’allargamento della forbice nell’accesso ai diritti e al red-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 227

228

dito e alla crescita delle rendite e delle speculazioni fi-nanziarie. Lo dico perché la televisione è stata ed è tut-tora uno strumento fondamentale per il consenso del Pre-mier, ma un pezzo enorme dello spostamento elettoraleè avvenuto per ragioni molto più concrete e più legate allastrada che il neoliberismo e la finanza hanno consentitodi aprire.Poteri enormi sono oramai fuori del controllo dello Statoe del fisco. I dati Mediobanca ci dicono che la quota dellavoro sul valore aggiunto è passata dal 70 per cento al53 per cento, quella dei dividendi dal 2 per cento all’8 percento. Dentro la crisi si fanno ancora più acute le diffe-renze tra lavoratori tradizionali con un minimo di am-mortizzatori e di protezione nel sistema del welfare, enuovi lavoratori, senza diritti e coperture. A questo si ag-giunge lo scenario, estremamente preoccupante, che ri-guarda le giovani generazioni under-25: un terzo senzalavoro.Il centro-destra e la Lega hanno dato voce, amplifican-dole, a paure, incertezze, bisogni tuttora in essere den-tro a un sistema traballante (garanzie dello Stato, vecchidiritti di cittadinanza, immigrazione, scontro fra culture).Noi facciamo fatica a mettere in campo un’idea di societàche spieghi come si risolvono quelle paure nell’epocache stiamo vivendo, e non riusciremo a farlo se non ri-componiamo, tutti assieme, una lettura che parta dallecondizioni materiali e sociali dei cittadini e che si leghi allapolitica, dentro e fuori le istituzioni.Occorre, quindi, delineare con chiarezza programmi,contenuti, idee.Eppure, a proposito di vizi e virtù della sinistra, la capa-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 228

229

cità programmatica e l’esperienza dei governi ombrasono stati banco di prova concreta della sinistra e delleforze riformiste. Andando più indietro mi piace ricordarecome le amministrazioni locali di sinistra siano state capacidi varare un sistema di welfare e una rete di servizi inno-vativi all’avanguardia ben prima che leggi-quadro nazio-nali prevedessero asili nido, scuole materne, consultori e,più avanti, la sperimentazione di nuovi tempi e spazinelle città, le banche del tempo ecc. Era chiaro quale mo-dello di società ‘altra’ si proponeva e si praticava. Erachiaro cosa una ‘comunità politica’ condivideva, elabo-rava e affidava a coloro che venivano eletti per governare.Si parlava di ‘modello emiliano’ e di ‘modello toscano’, in-dicando un’idea di organizzazione sociale, istituzionale,dei distretti produttivi. Oggi tutto ciò è molto aleatorio ediventa difficile un processo di riconoscimento profondo,come sottolineavano anche i relatori che mi hanno pre-ceduta.Sui temi, ad esempio, dello sviluppo e della crescita: pernoi si apre un versante enorme di proposta ed elabora-zione politica che ci chiede di ragionare sui cambiamentiin atto nei consumi, sulla consapevolezza che non basteràqualche aggiustamento finalizzato alla cosiddetta ‘ripresadei consumi’ e che, forse, occorrerà modificare profon-damente qualche paradigma del nostro modello di svi-luppo. Chi, se non noi, può provarci? Chi se non la sini-stra può investire su questo cambiamento?Ho trovato molti spunti utili di riflessione nel libro diGianni Cuperlo Basta Zercar. Gianni si interroga e ci in-terroga (noi che abbiamo creduto e scelto il progetto delPD) su quanto la nascita del PD abbia visto un lavoro di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 229

230

Le parole e le cose dei democratici

cura e di costruzione di un’identità comune e collettiva,e si domanda:

[…] che ruolo immaginiamo per l’Italia nei prossimi anni? Che modello di de-mocrazia immaginiamo per l’Italia dei prossimi anni? Che modello di demo-crazia scegliamo di difendere o promuovere, a partire dal ‘nostro’ federalismo?Come pensiamo di affrontare il tema della crescita: quali terapie d’urto percreare nuova occupazione, per una più equa distribuzione dei redditi, per ri-dare dignità al lavoro? Che concezione abbiamo di sicurezza e legalità, dellacittadinanza, del dialogo sulla pace e sui diritti umani? E come pensiamo di rap-portarci a quelle domande di senso che ovunque investono le coscienze e re-sponsabilizzano i parlamenti, a partire dalla difesa del principio della laicità nel-l’epoca dei fondamentalismi e di temi etici inediti? Insomma la vera domandaè come una politica ‘autonoma’ intende rinnovare quella trama di diritti e do-veri, quella comune responsabilità che distingue una società libera e consa-pevole.

Siamo all’anno zero? No, non credo. Oggi, dopo circa unanno di lavoro dell’Assemblea nazionale del PD e dei Fo-rum, possediamo una ricca e qualificata elaborazioneprogrammatica, un pacchetto di proposte di legge che nediscendono, iniziative diffuse. Non riusciamo, però, atrasformare tutto questo in terreno e patrimonio condi-viso e consapevole della nostra comunità politica e delnostro elettorato, a farlo vivere, come diceva Urbinati,mantenendo attiva la relazione tra partiti, elettori e so-cietà civile. Perché?Me lo chiedo di continuo e temo che, nonostante i grandisforzi del nostro Segretario e dei gruppi dirigenti, il PDfaccia ancora molta fatica a trovare quel terreno innova-tivo di pratica politica e di comunicazione necessaria a rin-novare una relazione con gli italiani.Noi abbiamo un popolo democratico. C’è. Lo vediamonelle mobilitazioni (11 dicembre) e lo abbiamo visto inqueste settimane con la raccolta delle firme, ma c’è an-

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 230

231

cora qualcosa che non fa sentire la stessa sintonia tra i se-gnali importanti e sani che vanno colti nelle piazze dellegiovani generazioni (studenti, donne, precari), nella ma-nifestazione del Palavobis di Milano, nel ‘popolo viola’,nell’impegno a difesa della Costituzione e della libertà distampa, nella meravigliosa mobilitazione delle donne del13 febbraio che non si è fermata.C’è un’analisi in quelle mobilitazioni che condividiamo,che spesso nasce spontaneamente, auto-organizzata.C’è una critica al governo, al modello di sviluppo, al Pre-mier; c’è una consapevolezza dei rischi per la nostra de-mocrazia, per il futuro di intere generazioni; c’è un sus-sulto, una ribellione di fronte all’annullamento dellaricchezza che le donne rappresentano in questo paese,banalizzate, offese con la rappresentazione attraversoun modello culturale medievale. E credo ci sia un segnaleimportante anche nel dato che le primarie di Torino ciconsegnano.Mi soffermo in particolare sulla mobilitazione delle donne.Non vorrei che considerassimo il 13 febbraio un evento,che pensassimo ‘nostre’ quelle piazze. Non lo sono, e seci fosse stato il sospetto di un ‘cappello’ politico non sa-rebbe stato possibile avere duecentocinquanta piazze intutta Italia. Eppure quei temi sono anche nostri e pos-siamo, con rispetto, farli tali. Non c’erano sondaggi in me-rito ai possibili risultati della mobilitazione, ma c’era unclima, una tensione grande. Personalmente ne ho anchescritto su Europa. C’era un processo straordinario di ri-conoscimento e identificazione di centinaia di migliaia didonne e ragazze italiane in quel ‘Se non ora quando?’,nelle parole d’ordine che parlavano di lavoro, di talenti,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 231

232

di futuro. Lo stesso è accaduto a Siena il 25 febbraio alconvegno promosso dalla Fondazione ‘Nilde Jotti’, orga-nizzato come confronto intergenerazionale tra donne:tantissime le ragazze venute a dibattere su modelli cul-turali, diritti, politica. In quella occasione erano tangibilil’entusiasmo, la voglia di continuare, il progetto di unascuola di politica per le giovani donne... Perché – si sonochieste alcune – la potenza delle donne non si fa potere?Eppure oggi siamo più formate, scolarizzate, capaci di farequalsiasi cosa. Perché si diffida della politica tradizionale,dei partiti, del nostro partito? Noi (PD) abbiamo bisognodi quelle energie o moriremo delle nostre divisioni.Ieri sera ero in un Circolo della mia città. Età media deipresenti: sessant’anni. Volti stanchi, attenti, voglia di di-scutere, ma pessimismo cosmico. Mi è stato chiesto per-ché ci fossero assenze tra i nostri parlamentari. Come hadetto Camilleri: ‘Perché non facciamo qualcosa di cla-moroso?’. Perché, come ci chiede Micromega, non bloc-chiamo l’attività parlamentare? Perché non abbiamo vo-tato la mozione Borghesi che chiedeva la cancellazionedella pensione ai parlamentari? Certo, abbiamo parlatoanche di altro, ma l’interrogativo per me resta. Come èpossibile – mi chiedo – che noi veicoliamo così un nostromodello di società? Come dare un messaggio diverso,raggiungere con i nostri contenuti i singoli, le intelli-genze?La mia risposta è simile a quella che ho letto in Nadia Ur-binati, così come in tante lucidissime riflessioni di AlfredoReichlin, o ancora nelle parole che Sandra Bonsanti hausato a Milano. Possiamo farlo solo con «un surplus dipolitica, con la società», «riempiendo le strade della de-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 232

233

mocrazia di parole e pensieri che comunque arricchi-scano il cittadino che le abita. Andando nelle città e neipaesi a cercare contatti diversi da quelli che l’informazionetelevisiva offre». Oppure ‘rimboccandosi le maniche’,come il nostro Segretario ama dire. C’è molto da fare enoi non possiamo pensare di competere partecipando aqualche trasmissione televisiva. Dobbiamo portar la sfidasu un altro terreno.La distanza tra i cittadini e le istituzioni, la sfiducia, il po-pulismo ci dicono che c’è un paese da cambiare. I segnalidi questi mesi ci dicono che c’è bisogno di più politica, dirappresentanza, di ascolto, di relazione. Io vedo qui loscatto da compiere. Lo dico con la consapevolezza che c’èun contesto internazionale difficile, non favorevole alla si-nistra, ma con un forte bisogno di sinistra, di riforme, dicambiamento: i sondaggi in Francia danno Le Pen sopraSarkozy. La crisi è tutt’altro che superata. Il nostro paese vivrà an-cora anni difficili soprattutto sul versante occupazionale.Noi siamo chiamati a ragionare non solo sull’insufficienzadelle risposte del governo, sullo scarto tra noi, la Germa-nia, gli USA, ma anche a dire che forse dobbiamo indivi-duare nuovi paradigmi di sviluppo e di crescita. Che dob-biamo occuparci di una ‘ricostruzione’ dello Stato, di unarinnovata dignità e autorevolezza della rappresentanza,di riforme che vivano in Parlamento e nel paese. Siamo chiamati a costruire le condizioni per raccogliere lesfide che tanta società civile ci sta lanciando; siamo chia-mati a scegliere e a rendere chiare le nostre scelte perconsentire riconoscibilità in un progetto per il paese chenon sia espressione di un solo ceto politico.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 233

234

Da Carofiglio ci vengono osservazioni importanti sui pe-ricoli che derivano dalla manomissione delle parole, e diuna in particolare: ‘scelta’.

[…] scegliere e dire implica il passaggio da ciò che è indistinto a qualcosa cuipossiamo dare un nome. Dall’ignoto alla conoscenza, dalla sofferenza indeci-frabile alla possibile salvezza. Scelta significa progetto, promessa e tentativo dicontrollo sul futuro e sul caso. Come ha scritto Hannah Arendt: «Rimedio allaimprevedibilità, alla caotica incertezza del futuro, è la facoltà di fare e di man-tenere le promesse..cioè di progettare coraggiosamente il futuro».

E mi viene da dire: ‘Se non ora, quando?’.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 234

235

L’idea intorno alla quale ruota il mio intervento è che – perrestare al titolo della sessione – il parlamentarismo può es-sere letto come ‘virtù’, spesso involontaria, della sinistrae l’antiparlamentarismo, invece, come ‘vizio’ o ‘patologia’ricorrente nella storia (anche) della sinistra. Dato chetutti, o quasi, hanno citato Marx, voglio ricordare che al-l’origine di questo atteggiamento ambivalente c’è, natu-ralmente, la critica marxiana della repubblica parlamen-tare come forma specifica della dominazione borghese (inparticolare, K. Marx, Le 18 Brumaire de Louis Bonaparte,1851). È, questo, un giudizio che ha pesato nel pensierodella sinistra comunista e socialista, anche se ha lasciatopresto il posto a un approccio realistico che vedeva,quantomeno, nei Parlamenti uno strumento tattico perl’affermazione della classe operaia. Si sosteneva, in par-ticolare, che i Parlamenti possono diventare uno deglistrumenti più potenti per la lotta della classe operaia e chela socialdemocrazia aveva il compito di salvare il Parla-mento dalla borghesia e contro la borghesia. Il punto diarrivo di un simile percorso può essere considerato Lenin,che aveva una concezione fondamentalmente strumen-tale della battaglia elettorale per la rappresentanza, al-meno negli Stati liberali europei. Proprio nei Paesi europei, tuttavia, la socialdemocrazia, in

Roberto CerretoConsigliere parlamentare

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 235

236

particolare quella tedesca, incominciò ben presto a guar-dare ai Parlamenti in modo diverso, determinando ancheuna revisione teorica. Quando Friedrich Engels, nel 1895,scrive la sua prefazione a Le lotte di classe in Francia dal1848 al 1850 di Marx, ha davanti a sé la socialdemocra-zia tedesca, divenuta partito, e parla del parlamentarismocome strumento reale di transizione al socialismo. Non viè più, quindi, soltanto una visione tattica: il parlamenta-rismo diventa strumento vero delle masse popolari. È interessante notare che in Italia, negli stessi anni, si svi-luppa un forte antiparlamentarismo, ma si tratta di un an-tiparlamentarismo di destra. Per meglio dire: al di là de-gli anarchici e della sinistra radicale, che ovviamentecriticano il Parlamento, vi è una critica liberale del parla-mentarismo che utilizza l’argomento della corruzione deiparlamentari e delle clientele e che si fa forte dell’accusaalle monarchie parlamentari di essere sostanzialmenteimbelli, incapaci, cioè, di dare al paese quella politica dipotenza di cui avrebbe bisogno. Essa rovescia così, dalpunto di vista assiologico, l’argomento kantiano per cuile democrazie sono meno propense alla guerra; al fondodi questa critica liberale c’è però, ben chiara, la paura perl’avanzata delle masse, per l’allargamento del suffragio.Si assiste a un fiorire straordinario di letteratura antipar-lamentare in Italia alla fine dell’Ottocento, anche a livellodi romanzi e racconti. Un compianto studioso dell’Uni-versità di Pisa, Carlo Alberto Madrignani, ha raccolto inun volume assai interessante ma ormai di difficile reperi-bilità, dal titolo Il rosso e il nero a Montecitorio, un’anto-logia del romanzo antiparlamentare italiano di fine Ot-tocento. Persino gli psichiatri si occupano e si

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 236

237

preoccupano dei Parlamenti, di quello che accade nelleassemblee parlamentari: è abbastanza noto che gli ultimidue capitoli della Psychologie des foules di Gustave LeBon (1895) sono dedicati alle assemblee parlamentari eai processi elettorali; forse è meno noto, invece, chenello stesso 1895, in Italia, Scipio Sighele, autore quattroanni prima de La folla delinquente: studio di psicologiacollettiva, pubblica per l’editore Treves di Milano un brevesaggio dal titolo: Contro il parlamentarismo: saggio di psi-cologia collettiva. Questo, però, è un antiparlamentarismoche potremmo definire ‘di destra’. Quello che a noi inte-ressa più da vicino in questa sede è la critica ‘da sinistra’,cioè una critica dei Parlamenti come luoghi non abba-stanza democratici, in cui non si dà sufficientementeespressione alle istanze delle classi popolari, nonostanteil progressivo allargamento del suffragio.Tra le due Guerre, in un periodo che fu un po’ lo spar-tiacque tra parlamentarismo e antiparlamentarismo inEuropa, uno dei tanti motivi di frattura tra la socialde-mocrazia tedesca, da una parte, e gli spartachisti e i co-munisti, dall’altra, fu proprio la diversa valutazione dellarepubblica parlamentare (e di quella semipresidenziale),nel contesto di un’aspra e, col senno di poi, esiziale po-lemica contro le degenerazioni del parlamentarismo.Tornando, ancora una volta, in Italia, è obbligatorio unbreve riferimento ad Antonio Gramsci e, in particolare, adalmeno due aspetti che emergono con forza nei Quadernidel carcere. Il primo è la richiesta dell’elezione di una Co-stituente per uscire dal fascismo: una proposta che – oc-corre ricordarlo, ricorrendo quest’anno il centocinquan-tesimo anniversario dell’Unità d’Italia – è anche il frutto

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 237

238

della memoria della mancata Costituente risorgimentale,che avrebbe consentito di radicare il Risorgimento nel po-polo, nelle masse. È l’idea di un’assemblea, che potremmoben dire ‘parlamentare’, che dia espressione alle massepopolari nella costruzione dello Stato nuovo dopo la finedel fascismo. L’altro aspetto interessante è che Gramsci re-cepisce una parte delle critiche all’inefficienza e alla cor-ruzione del parlamentarismo italiano: c’è un passo moltobello, che per ragioni di tempo non cito estesamente, sulla‘forza’, intesa come violenza, sul ‘consenso’ e sulla ‘cor-ruzione-frode’ come via intermedia tra la prima e il se-condo, corruzione che, nei momenti di emergenza, in«certe situazioni di difficile esercizio della funzione ege-monica», diventa nei Parlamenti scoperta e dichiarata (siveda il Quaderno 13, 1932-1934, vol. III, p. 1638 del-l’edizione del 1977). C’è anche, però, un capovolgi-mento delle critiche liberali, perché vi è l’idea che il maledel parlamentarismo italiano risieda nella costante para-lisi del Parlamento ad opera del Senato, di nomina regia,e che il vulnus strutturale del Parlamento italiano sia l’as-senza di partiti di massa. La visione di Gramsci, insomma,è che, senza la nascita dei grandi partiti di massa, non sipossa affermare quel «nuovo tipo di regime rappresen-tativo» di cui l’Italia avrebbe bisogno (Quaderno 14,1932-1935, vol. III, p. 1708). Questo ragionamento ciconduce abbastanza direttamente al ruolo che ebbe il Par-tito Comunista nella costruzione della Repubblica ita-liana come repubblica parlamentare. Qui mi concederete una piccola citazione: l’11 marzo del1947 il PCI è, ancora per poco, al governo insieme allaDemocrazia Cristiana e al Partito Socialista. Togliatti

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 238

239

prende la parola all’Assemblea Costituente ed esalta ilruolo del Parlamento, per il fatto di essere, questo,l’espressione più diretta della sovranità popolare. Vi è, inquesto celebre discorso di Togliatti, un’insofferenza di-chiarata verso tutti quegli istituti di garanzia che potreb-bero bilanciare il peso del Parlamento. La questione va,ovviamente, storicizzata: il PCI sente di aver dietro di séle masse popolari, vede aperta una prospettiva di grandeaffermazione. E, al tempo stesso, ha ben viva la memo-ria della repressione fascista e del ruolo che vi ebbe la ma-gistratura.

Tutte queste norme sono state ispirate dal timore. Si teme che domani vi possaessere una maggioranza, che sia espressione libera e diretta di quelle classi la-voratrici, le quali vogliono profondamente innovare la struttura politica, eco-nomica, sociale del Paese; e per questa eventualità si vogliono prendere ga-ranzie, si vogliono mettere delle remore: […] e di qui anche quella bizzarriadella Corte Costituzionale, organo che non si sa che cosa sia e grazie alla isti-tuzione del quale degli illustri cittadini verrebbero ad essere collocati al di so-pra di tutte le Assemblee e di tutto il sistema del Parlamento e della democra-zia, per esserne giudici. Ma chi sono costoro? Da che parte trarrebbero essi illoro potere se il popolo non è chiamato a sceglierli? Tutto questo, ripeto, è det-tato da quel timore che ho detto. […] La mia opinione è che nell’ordinamentodella Magistratura avremmo dovuto affermare in modo molto più energico latendenza alla elettività dei magistrati, il che ci avrebbe fatto fare un grandepasso avanti per togliere il magistrato dalla situazione penosa in cui oggi sitrova, di essere un sovrano senza corona e senza autorità. Soltanto quando saràstabilito un contatto diretto tra il popolo, depositario della sovranità, e il ma-gistrato, questi potrà sentirsi partecipe di un potere effettivo, e quindi goderedella fiducia completa del popolo nella società democratica.

Vi è poi, e per ragioni analoghe, la diffidenza nei confrontidelle Regioni e del decentramento. È da notare che que-sto giudizio sulle Regioni si rovescerà rapidamente all’in-domani di due passaggi politici piuttosto significativi,cioè l’estromissione di comunisti e socialisti dal governo

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 239

240

nel maggio del ’47, nel clima della incipiente Guerrafredda, e la pesantissima sconfitta elettorale dell’aprile del’48, con il Fronte Democratico Popolare al 31 per centocirca e con la Democrazia Cristiana al 48,5 per cento. SulleRegioni si opera, così, un rapido rovesciamento di fronti:saranno, cioè, le forze di governo a lasciare inattuato, pervent’anni, il regionalismo, nonostante le pressanti richie-ste del PCI.Sul sistema delle garanzie e dei contropoteri, invece, la‘maturazione’ del PCI sarà più lenta: il mito della sovra-nità che si esprime nel Parlamento, possibilmente in modopoco controllato, sopravvive più a lungo e occorreràtutta la prima legislatura repubblicana, la battaglia con-tro la cosiddetta ‘legge truffa’ nel ’53, ecc., per indurre ilPCI a riconsiderare la questione. Comunque, tutto si puòdire, ma non che il PCI non avesse posto al centro dellasua riflessione il ruolo del Parlamento. Non si trovò, per-ciò, impreparato quando, nel ’56, Krusciov legittimò la viaparlamentare al socialismo, aprendo la strada al pro-gramma di Bad Godesberg in Germania (1959), con cuisi abbandona definitivamente il marxismo e si accettal’economia di mercato, ma anche alla stessa idea togliat-tiana della democrazia progressiva. Anche in tempi molto più recenti si è sviluppata una cri-tica della rappresentanza che, pur con molta cautela, de-finirei ‘da sinistra’: mi riferisco al dibattito sulla democra-zia partecipativa o deliberativa, che, in fondo, muovedalle insufficienze della rappresentanza e, quindi, deiParlamenti. Rinvio, a questo proposito, a un saggio delProf. Raffale Bifulco (La teoria della democrazia delibera-tiva e la realtà della democrazia rappresentativa), conte-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 240

241

Le parole e le cose dei democratici

nuto nel volume edito nel 2010 da Italianieuropei La de-mocrazia italiana: forme, limiti, garanzie, dove si propone,appunto, un bilancio del dibattito sulla democrazia par-tecipativa: Bifulco sostiene, in modo a mio avviso con-vincente, che il modo migliore di interpretarla consiste nelvederla come uno strumento volto a rivitalizzare la de-mocrazia rappresentativa, non come un’alternativa adessa.Il periodo della centralità parlamentare è comunementeconsiderato quello degli anni Settanta, dalla riforma deiregolamenti del ’71 fino, convenzionalmente, all’omici-dio Moro nel ’78: il PCI, che non partecipa al governo delpaese, trova però nel Parlamento un luogo di co-legisla-zione, di coinvolgimento diretto nella politica nazionale,e, perciò, è portato naturalmente a esaltare il ruolo delParlamento.Se tutto questo, e molto altro che purtroppo non hoadesso il tempo di richiamare, fa parte della storia politicae culturale della sinistra, va notato che, dalla fine deglianni Settanta e, ancor di più, a partire dagli anni Ottantadel secolo scorso, sembra crearsi un’egemonia della cri-tica ‘di destra’ al Parlamento: utilizzo non a caso il termine‘egemonia’, perché ho l’impressione che anche la sinistraabbia risentito, almeno in parte, dei motivi e degli argo-menti di questa critica, in modo piuttosto passivo e senzarielaborarli in modo originale. Si afferma quello che qual-cuno ha chiamato la ‘dromocrazia’, il dominio, cioè, dellavelocità, l’idea che i Parlamenti siano sistemi inefficienti,che lo Stato debba essere ridotto al minimo perché l’eco-nomia funziona meglio in sua assenza e che, se propriouno Stato deve esserci, questo debba caratterizzarsi per

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 241

242

la spiccata efficacia e rapidità delle decisioni: i tempi delleassemblee sarebbero, invece, troppo lunghi per stare alpasso con quelli imposti dalla finanziarizzazione dell’eco-nomia e dalla rapida evoluzione degli scenari internazio-nali.Si sviluppano, quindi, teorie della forma di governo piut-tosto rozze, improntate unilateralmente al mito dell’effi-cienza; non casualmente, questo si accompagna, come ri-cordava l’On. Cenni, al dilagare del populismo. Nellibretto di Yves Mény e Yves Surel, Par le peuple, pour lepeuple. Le populisme et les démocraties (2000), chetanta fortuna ha avuto anche in Italia, si mostra come ele-mento imprescindibile di ogni forma di populismo – diquello europeo come di quello sudamericano – sia la cri-tica della rappresentanza e l’idea della leadership cari-smatica. Non si può dire che tutto questo non abbia tro-vato terreno fertile anche in una parte della cultura disinistra: in questo ragionamento mi sentirei di includere,se volete anche in modo provocatorio, il dibattito no-strano sul presidenzialismo. Il presidenzialismo ovvia-mente è una forma pienamente legittima di organizza-zione democratica del potere. La sinistra italiana hadimostrato attenzione e apertura su questo versante:penso, ad esempio, alla Commissione bicamerale presie-duta dall’On. D’Alema nella seconda metà degli anniNovanta.Si tratta, lo ribadisco, di un’opzione perfettamente legit-tima e pienamente democratica, ma, a volte, essa vienesostenuta con argomenti che sono fattualmente falsi:l’argomento dominante è, ovviamente, la lentezza el’inefficienza del processo legislativo decisionale in Italia.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 242

243

Ora, come è noto, noi siamo l’unico paese in cui il go-verno può fare in una notte un decreto che la mattinadopo, con la pubblicazione, è legge dello Stato a tutti glieffetti; né accade quasi più, ormai, che il Parlamentofaccia decadere un decreto-legge (a meno che non sia lostesso governo ad ‘abbandonarlo’), rifiutandone la con-versione in legge entro sessanta giorni: si tratta di un’eve-nienza rarissima, verificatasi due sole volte in questa le-gislatura, e sempre con il tacito assenso del governo. Nonsolo: quando la maggioranza parlamentare è compatta,disegni di legge anche molto controversi – si pensi al co-siddetto ‘Lodo Alfano’ – vengono approvati dalle Camerenel giro di una ventina di giorni. Non mi è chiarissimo, al-lora, cosa si intenda per efficienza decisionale. Vorrei ricordare, invece, che in Italia abbiamo già un mo-dello di presidenzialismo praticato: non mi riferisco tantoai Comuni, perché nella dimensione cittadina, ovvia-mente, la questione è un po’ diversa. Penso però alle Re-gioni: credo di non essere il solo a ritenere che la formadi governo regionale non abbia finora dato, mediamente,una grande prova di sé. Sappiamo che il core businessdelle Regioni è la sanità, e il numero di Regioni commis-sariate sulla sanità fa spavento. Naturalmente esistonomolte Regioni virtuose; ma, a onor del vero, dobbiamo ri-conoscere che lo erano anche prima della modifica dellaforma di governo regionale nel corso degli anni Novanta.Per non parlare dello svilimento delle assemblee rappre-sentative in tutti i livelli istituzionali in cui si sono speri-mentate forme di governo presidenzialistiche (Comuni,Province, Regioni); anche se, forse, ciò è dipeso più dal-l’aver adottato il principio del simul stabunt, simul cadent,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 243

244

che non dal presidenzialismo in sé. Insomma, credo chesull’introduzione del presidenzialismo in Italia bisogne-rebbe riflettere bene, come peraltro, più in generale, sul-l’idea di una revisione radicale della Costituzione. Proba-bilmente, dovremmo tenere presente che, in un paesecome l’Italia, quando vanno in crisi le assemblee rappre-sentative – pur con tutti i loro limiti e i loro difetti – di-fendere i valori del pluralismo, della libertà, dell’ugua-glianza, della solidarietà rischia di diventare molto piùdifficile.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 244

245

PLENARIALa politica dei giovani, le politiche per i giovani:

il Partito Democratico alle prese con il futuro

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 245

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 246

247

Chiara Geloni Direttrice di YouDem Ringrazio il PD di Pisa, i Giovani Democratici, il Centrostudi del PD, la rivista Inschibboleth e tutti per l’invito inquesta città dove fui studentessa. È un piacere essere quicon voi, assieme a Fausto Raciti e a Rosy Bindi che natu-ralmente conoscete quanto li conosco io. Entro in puntadi piedi come si deve fare quando si partecipa a una ses-sione plenaria in cui il nucleo dei partecipanti è costituitoda persone che da diversi giorni stanno seguendo i lavoridi un Seminario, che ha una sua logica e segue un pro-prio ragionamento culturale e politico. Spero vivamentedi non discostarmi troppo dal filo delle vostre riflessionicon le domande tra attualità e cultura politica che farò aFausto e a Rosy. Cominciamo da Fausto, con una do-manda che penso non gli abbia mai fatto nessuno in vitasua… Chi te lo fa fare di fare politica? Che cosa diresti aun tuo quasi coetaneo che si chiede se valga la pena diimpegnarsi in politica oppure no?

Fausto RacitiSegretario nazionale Giovani Democratici In effetti è molto originale come domanda! Un solo pic-colo inciso istituzionale che non è solo di ringraziamento

Chiara Geloni intervista Fausto Raciti e Rosy Bindi

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 247

248

per l’invito ma è di ringraziamento ai ragazzi dei GiovaniDemocratici di Pisa e al Partito Democratico della Fede-razione di Pisa per aver organizzato questo momento che,non a caso, ha riscosso un grande successo e un’ampiapartecipazione nazionale. Tutto ciò testimonia una vita-lità, un interesse, dimostra che in Italia ci sono più di qual-che decina di ragazzi che non semplicemente credononella politica, ma credono nel Partito Democratico comesoggetto capace di offrire una risposta alla domande chela società ci pone, domande che attraversano la quoti-dianità di ciascuno di noi. Veniamo da una fase lunghis-sima nella quale il fare politica è stato considerato ocome una scelta dettata da furbizia, la ricerca di unascorciatoia, di un piccolo posto al sole per ciascuno, op-pure, quando era fatta con una spinta ideale appena piùforte, più nitida, come una scelta quasi contro la storia.Perché la storia degli ultimi venti anni di questo paese èla storia della sfiducia nei confronti della politica, soprat-tutto della politica organizzata. E, permettetemi di ag-giungere una riflessione: si tratta di una sfiducia che nonè maturata a caso, perché quando la politica non c’è,quando è più debole e c’è meno fiducia nei partiti, gli al-tri poteri organizzati in una società trovano più spazio, rie-scono a strutturarsi su basi più solide e a tutelare meglioi propri interessi. Penso che il messaggio più difficile da farpassare, ma che sta alla base di tutto, quindi anche dellascelta di fare politica, sia proprio questo. Ed è un mes-saggio in forte controtendenza rispetto allo spirito del no-stro tempo. Lo spirito del nostro tempo, infatti, è quello che individuala soluzione migliore, più semplice, più rapida, molto

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 248

249

spesso più efficace ai propri problemi, nella ricerca di unascorciatoia individuale. La politica, invece, è la ricercapiù difficile, ma più appassionante, di una strada collet-tiva alla soluzione dei problemi. Se noi non abbiamo laforza di ripartire da questo, allora il perché uno possa sce-gliere di fare politica resta avvolto in un velo di mistero,di incomprensibilità. Ed è da qui che noi e la nostra generazione dobbiamo ri-partire. Attenzione: non perché l’Italia sia in qualche mi-sura assimilabile al Maghreb, dove uomini e donne, pre-valentemente nostri coetanei, si stanno riappropriando,spesso pagando un alto prezzo di sangue, della propria li-bertà. L’Italia non è quello. Tuttavia, il nostro paese ha bi-sogno di riscoprirsi, oggi più che mai. Nel momento dimassima debolezza delle sue istituzioni, con un Parla-mento svuotato di significato, in un tempo in cui i partitisono molto spesso nient’altro che cartelli e sigle, l’Italiadeve riscoprire se stessa, a partire da una generazione piùgiovane, apprendendo il significato della partecipazionecollettiva e imparando, in questo senso, la lezione che inostri coetanei maghrebini ci offrono e ci consegnano. È questo, a mio parere, l’unico tema in base al quale sipuò giustificare una scelta che altrimenti rischierebbe diessere incomprensibile. Se non si parte dall’idea della possibilità di ricostruireuna storia collettiva, una democrazia nel nostro paese,una democrazia diversa, capace di vivere della parteci-pazione attiva e civile dei cittadini, è difficile spiegare ilperché, oggi, un giovane scelga l’impegno politico comestrada, come modo di guardare ai propri coetanei, alproprio futuro, al proprio paese.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 249

250

C. G.: Grazie, Fausto Raciti. Rosy Bindi, continuerei il ra-gionamento di Fausto sulla scelta dell’attività politicacome scelta di partecipazione, come opposizione all’in-dividualismo quale via di uscita dai problemi. Sono paroleche in effetti evocano, oltre alla scelta della politica, an-che una scelta di campo precisa. So che la presenza diquesto sottotitolo per il Seminario – Domande e ipotesisulla sinistra italiana ed europea – ha fatto un po’ discu-tere alla vigilia di questa quattro giorni. È un dibattito diquelli che vanno avanti a lungo, e che forse ancora nonabbiamo del tutto risolto nel Partito Democratico, quellosu quanto alcune parole del passato possano ancora rap-presentare e quanto riescano a rappresentare tutto il PDe tutto quello che il PD vuole essere oggi. Qual è il tuorapporto con questa parola: ‘sinistra’?

Rosy Bindi Presidente dell’Assemblea nazionale del PD Un rapporto laico: è una parola che non mi spaventa. Do-vremmo innanzitutto ricordarci che la storia della sinistraitaliana è sempre stata una storia plurale. Per quanto so-litamente con questa parola si rinvii alla tradizione co-munista e socialista, è pur vero che in questo paese è esi-stita una sinistra cattolica, una sinistra liberale e la stessastoria della sinistra è stata, appunto, un incontro di tanteculture e di tante sensibilità. Questa mattina ero ad Ar-core invitata dall’ANPI per unire insieme la Festa delladonna e il ricordo della Resistenza dal 1943 al 2011. Eproprio alla Resistenza, per esempio, momento che co-munemente si ritiene di grande partecipazione popolarema prevalentemente guidato dalla sinistra, partecipa-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 250

251

rono molti cattolici, molti liberali, tantissime persone cheforse non necessariamente si riconoscevano in una singolaidentità culturale, in una mono-identità. Io mi considerouna persona di sinistra, però ho la mia tradizione e Chiaralo sa, ho sempre pensato che La Pira fosse più a sinistradi Togliatti in alcuni momenti della vita del nostro paese.Una volta chiesi a D’Alema chi tra i due fosse più a sini-stra, mi disse che non conosceva la risposta ma ammet-teva che io lo fossi più di lui. Questo è già un passo chiaro,e spiega perché questa parola non mi spaventa affatto. È anche vero, però, che non sempre siamo capaci di ri-cordarci che la storia della sinistra italiana è anch’essa unastoria plurale, anche se ha avuto una cultura egemone. Il Partito Democratico non può semplicemente definirsipartito di sinistra, perché è la casa anche di culture cheforse non intendono automaticamente identificarsi conquesta tradizione, con questa parola. Penso che noi do-vremmo, se posso avere questa ambizione, provare a ve-dere se ci basta la parola ‘democratici’. Penso che do-vremmo fare questo sforzo tutti insieme, perché in fondociascuno di noi viene da una storia doppiamente agget-tivata: cattolici democratici, socialdemocratici, liberal-democratici. Vogliamo togliere una parte di questi ag-gettivi? Accontentiamoci di uno e cerchiamo di capireche la vera sfida risiede esattamente in questo: noi ab-biamo scommesso sulla possibilità di dare al termine‘democratico’ la funzione di sintesi delle culture riformi-ste del nostro paese. Mi spingo oltre e dico anche delle culture progressiste.Penso che questa ambizione non solo ci aiuterebbe ad al-largare i confini del nostro partito, ma che sia la sfida che

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 251

252

dobbiamo accogliere. L’altro giorno mi ha telefonato una giornalista australianachiedendomi: ‘Come si sente, Lei, in questa storia PC-PDS-DS-Partito Democratico?’. La mia risposta è stata chenon mi ci sento, perché non è la mia storia. Se il Partito Democratico fosse l’evoluzione di PC-PDS-DS, non sarebbe il PD. Se avessi voluto far parte di quellastoria, ci sarei entrata dalla porta principale e non da qual-che finestra, all’ultimo momento. E forse me la sarei ca-vata anche bene, senza neppure fare l’indipendente di si-nistra, e non avrei avuto nessun timore. Non ho maifatto parte, però, di quella storia e oggi sto nel Partito De-mocratico perché voglio costruire una storia nuova. Lovoglio fare con le persone che vengono da lì, anche ac-cogliendo quella tradizione ma avendo l’ambizione diunirla ad altre tradizioni e soprattutto con la convinzioneche insieme si debba diventare interpreti di una nuovacultura politica, che si manifesta nel nostro paese e chenon ha aggettivi antichi ma che può ritrovarsi nei valoriantichi di questa storia. Sono convinta che il Partito Democratico o vince questasfida o non ce la fa! Se noi siamo destinati a rimanere ilpartito del Centro Italia, non andremo da nessuna parte!Se vogliamo essere un partito nazionale, italiano e degliitaliani dobbiamo essere consapevoli di questa sfida. Qui, in questa parte di Italia, c’è sicuramente una com-ponente fondamentale del Partito Democratico che èforte e che ci consente ancora di vincere, ma anche in To-scana vorrei vincere da democratica e non in continuitàcon il passato, più o meno recente. Anche in questa fettadel paese non ci possiamo accontentare. Nel resto del-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 252

253

l’Italia, al Nord come al Sud, abbiamo una sfida più im-pegnativa e noi la dobbiamo vincere lo stesso, e la vin-ceremo se il Partito Democratico non sarà la mera conti-nuità di un pezzo di storia italiana: una storia certonobilissima, con e dentro la quale io stessa ho deciso dicamminare, ma con l’ambizione di puntare alla sintesidelle culture progressiste, riformiste, democratiche del no-stro. Il berlusconismo ci consente di allargare la nostrametà campo, in nome magari della condivisione di prin-cipi che noi consideriamo quasi scontati ma che, non es-sendolo per molti, oggi diventano una necessità nella vitadel nostro paese. Abbiamo la possibilità di allargare il no-stro campo e lo possiamo fare, ma è necessaria unagrande disponibilità ad accettare una contaminazionepiù ampia e più profonda anche da parte di chi dentroquesto partito si sente ed è più forte. Questa è la nostrasfida. A me piacerebbe molto leggere questo titolo: ‘do-mande e ipotesi sui democratici italiani ed europei’. Que-sto sarebbe il mio titolo preferito.

C. G.: Forse, Fausto, uno dei motivi per cui ci rifugiamoin altre parole anziché nella parola ‘democratici’ è chenon abbiamo ancora riempito abbastanza di significatoquesto termine. Immagino che come Segretario nazio-nale dei Giovani Democratici ti capiti spesso di parlaredella proposta del PD ai giovani.Ti chiedo dunque se condividi quella che è un po’ la miaimpressione a volte, e cioè che siamo più affascinanti ap-punto se parliamo di Resistenza, di Costituzione, anchedi lotta al terrorismo se vogliamo, della democrazianella storia della Prima Repubblica, che non quando

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 253

254

proviamo a descriverci per quello che siamo oggi.

F. R.: Probabilmente è vero, e in parte è anche com-prensibile. So che è curioso che a dirlo sia un ragazzo diventisette anni, ma capisco che il livello e la qualità del di-battito politico e della partecipazione democratica, in al-tri periodi della storia di questo paese fossero indiscuti-bilmente più alti. Si fa un gran dire dei miti e dei fasti dellaSeconda Repubblica, ma pochi ricordano che l’unica tra-sformazione degna di questo nome che ha prodotto èstata l’ingresso nell’Euro: cosa non da poco, per carità, maè evidente che l’ultima stagione di grandi riforme in Ita-lia coincide con la fine degli anni Settanta. Un dato, que-sto, fisiologico: in qualche modo è il derivato della qua-lità della vita pubblica del nostro paese. La cosa che mispaventa, però, è un’altra. A mio avviso, il problema cheabbiamo davanti non è tanto quello di rinverdire i fasti diuna stagione che si è chiusa, ma di provare a capirecome superare un giro di boa della storia italiana nel qualecoincidono sostanzialmente la fine del ciclo lungo di Ber-lusconi e la conseguente, o profondamente collegata, finedella Seconda Repubblica così come l’abbiamo cono-sciuta. Si tratta, cioè, di oltrepassare un sistema incentratosu fortissime leadership, sull’accentramento dei poterida parte degli esecutivi, sullo svuotamento di fatto delleprerogative del Parlamento e, quindi, sulla radicale ridu-zione del ruolo dei partiti politici. Questo è il giro di boa:rispetto a tale obiettivo penso che il nostro compito siaquello di provare a dare un contributo. Ed è la cifra diquesto contributo che farà la cifra del Partito Democra-tico.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 254

255

Dobbiamo dirlo con molta onestà, fino ad oggi, dentro leparole ‘Partito Democratico’ ognuno ha voluto vederci unpo’ ciò che gli pareva. Un esempio, che faccio sempre, ri-guarda la campagna elettorale del 2008. In quell’occa-sione, il programma del PD riportava le seguenti parole,che sono da scolpire nel marmo come cose da non diremai più: ‘non c’è redistribuzione senza crescita’, questoall’alba di una crisi che avrebbe dimostrato l’esatto op-posto. Si sosteneva, cioè, che senza una redistribuzionedella ricchezza verso il basso fosse impossibile pensare allacrescita del paese. Dico questo non per gettare la croceaddosso a qualcuno, ma perché è un elemento che con-tribuisce a sottolineare come, dentro le parole ‘Partito De-mocratico’, finora, c’è stata una tendenza a proiettarvi piùle proprie aspettative, che non la cifra identitaria vera, au-tentica del PD. E credo che su questo ci sia un supple-mento di riflessione da fare. In ogni caso, davanti a noi vedo alcuni grandi ostacoli suiquali dobbiamo avere la capacità di intervenire con forza,se davvero vogliamo una volta per tutte invertire il cicloe uscire da questa stagione. Una stagione che, onesta-mente, ci vede stretti in una duplice morsa. Da una parte,infatti, abbiamo il populismo plebiscitario di Berlusconiche non incontra il favore della maggioranza degli italiani.Perché, attenzione!, la maggioranza parlamentare di Ber-lusconi è una proiezione, deriva da una cosa che si chiama‘premio di maggioranza’. Gli italiani che si riconoscono inquel modello sono decisamente meno della metà deinostri elettori. Dall’altra parte, invece, siamo stretti dal-l’idea che il tema principale sia quello di costruire una nar-razione. Lo dico con molta onestà: a me questa storia

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 255

256

della narrazione sembra un modo per vestire i problemidi parole e a parole risolverli. Noi, piuttosto, dobbiamo riuscire a incastrare Berlusconie coinvolgere gli italiani in un ragionamento di merito sulfuturo di questo paese. Abbiamo bisogno di tornare aporci con forza il tema, che è una premessa per noi, del-l’unità sindacale. Le stagioni a cui facevi riferimento tu,Chiara, sono state possibili grazie a un ruolo fortissimo edi avanguardia giocato dall’unità delle forze sindacali: unaprospettiva, oggi, estremamente lontana. È questo ilprimo tema che abbiamo all’ordine del giorno, e che in-veste l’unità del mondo del lavoro. Non c’è dubbio che isindacati abbiano un problema di rappresentanzaenorme, ma senza quel presupposto vedo difficoltàenormi per il Partito Democratico. Un altro grande pro-blema che dovremo affrontare, riguarda la necessità di ri-vitalizzare la funzione dei partiti e delle istituzioni demo-cratiche di questo paese. Su questo, a mio avviso, si deveimporre un dibattito radicale che esca dall’insopportabileluogo comune secondo cui il problema della politica ita-liana, e della simmetria del confronto tra centro-destra ecentro-sinistra, risieda nel tema della leadership del cen-tro-sinistra. Quello è l’ultimo dei problemi che abbiamo,non certo il primo. In terzo luogo, occorre ridefinire un progetto che tengainsieme i due veri temi del nostro paese: anche su que-sto credo si giochi una capacità di innovazione vera delPartito Democratico. Mi riferisco alla qualità della nostrademocrazia, cui ho fatto brevemente cenno prima, allaqualità del lavoro e al livello di diritti che all’interno dellasocietà italiana vengono offerti a chi entra nel mondo del

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 256

257

lavoro. Possono apparire come due temi diversi, ma l’ina-ridimento della politica ha contribuito in maniera deter-minante all’impoverimento delle fasce più deboli della no-stra società. Il Partito Democratico deve ridare voce a quelpezzo di società, che sono tanto gli operai della metal-lurgia, della siderurgia, quanto quei precari, quel 30 percento di giovani disoccupati che non sanno come sbar-care il lunario. L’assenza di rappresentanza di quel pezzod’Italia è la cifra vera della questione democratica di que-sto paese. È solo tenendo insieme queste due temi che,probabilmente, troveremo la forza, la capacità per af-frontare il giro di boa, per chiudere definitivamente unastagione della storia del nostro paese e – permettetemi diaggiungere – per dare definitivamente un senso alla pa-rola ‘democratico’. Una parola che, altrimenti, rischia diessere semplicemente un principio, pur pregevole, di vitainterna al partito, ma che non dice nulla a quegli italianiche potrebbero guardare a noi ma i quali, ancora oggi,magari non sono convinti fino in fondo.

C. G.: Mi pare che siamo andati dritti all’obiettivo di de-finire questa parola ‘democratico’ e di riempirla di signi-ficato, e sono sicura che Rosy Bindi avrà molto altro daaggiungere su questo. Io volevo però ricordare un’altraparola sulla quale sollecitarti dopo la parola ‘sinistra’, cheè la parola ‘valori’. Prima Fausto ha detto che l’indivi-dualismo non può essere una risposta per noi. Le persone,Rosy, che vengono dalla storia che condividiamo prefe-riscono riferirsi alla parola ‘persona’, intendendo come‘persona’ l’uomo in relazione con gli altri e nelle sue re-lazioni anche spirituali. Bersani parla spesso di un uma-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 257

258

nesimo che i democratici possono condividere. Su questoforse c’è ancora da discutere, ma io sinceramente penso– non so se sei d’accordo – che si sia in realtà più avantidi quanto pensiamo di essere. Qualche volta, se sapes-simo discutere con un metodo più sincero e meno legatoa bandierine e a rendite di posizione, ci renderemmoconto di essere più vicini di quanto pensiamo, anche inquesto campo, alla soluzione del problema identitario delPD.

R. B.: Non ho dubbi. Infatti io penso che noi dobbiamofare di tutto per scrollarci di dosso questa caricatura checi hanno cucito addosso per cui non avremmo progetto,non avremmo programma, non avremmo identità. Cari-catura che qualche volta noi stessi alimentiamo, perchéqualcuno, professionista nel marcare la propria posizioneall’interno del PD, descrive un partito che non c’è. Noi,però, non possiamo accettarlo, così come non accetto glieditoriali di quei commentatori settimanali che sui grandigiornali ripetono che Berlusconi il 14 dicembre non è an-dato a casa perché non c’era e non c’è un’alternativa. AScilipoti, infatti, dell’alternativa importava molto, non èvero? Si leggono e si sentono cose che non stanno né incielo né in terra, eppure su di noi ormai si è costruita que-sta caricatura: Berlusconi resta in sella perché il Partito De-mocratico non avrebbe leadership, progetto, programma,parole chiare per questo paese. E questo è anche ciò checi diciamo tra di noi in modo spesso strumentale. Ma lacosa che davvero più mi preoccupa è il comune sentiredella nostra gente nei circoli sul territorio, secondo cui noinon abbiamo una posizione netta e univoca su questo o

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 258

259

quel problema. Questo mi preoccupa davvero e ci torneròalla fine. Ma per tornare alla domanda di Chiara, dico che noi sap-piamo chi siamo, e lo sa anche l’Italia. Se si ha il corag-gio di accettare di fare insieme questo pezzo di strada,dobbiamo essere consapevoli che il nostro compito, la no-stra sfida, non è solo quella di mandare a casa Berlusconima di provare a ripensare questo paese in maniera diversada come lui lo lascia e l’ha costruito. Arrivando qui sta-sera mi è stato chiesto: ‘Ma ce la facciamo? Ma quandolo mandate a casa? Questione di settimane o di mesi?Sarà questione ancora di un annetto?’. Non lo so: ancheGheddafi è lì che resiste. Questi signori hanno una capa-cità straordinaria di barricarsi, nel momento della dispe-razione esprimono il peggio e il meglio di sé, quindi nonc’è da farsi illusioni: la soluzione del problema non è die-tro l’angolo, ogni giorno. Tuttavia, noi ci dobbiamo attrezzare, perché la possibilitàdi una nostra vittoria elettorale arriva. Ha ragione Fausto: Berlusconi non ha più una maggio-ranza nel paese, sta barricato dentro il Parlamento con isuoi parlamentari comprati perché sa bene che se si va avotare non ha più la maggioranza. Non sprechiamo que-sto tempo, è preziosissimo. È un tempo nel quale dob-biamo mettere a fuoco meglio la nostra idea di Italia e lanostra capacità di comunicarla agli italiani. Un temponel quale ci dobbiamo anche irrobustire, perché – sia benchiaro – tornare a governare questo paese nelle condi-zioni in cui lo lasceranno non sarà una passeggiata. Pro-vate a immaginare, ad esempio, cosa vorrà dire combat-tere l’enorme massa di evasione fiscale e varare

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 259

260

provvedimenti per far pagare a tutti le tasse! Ci dobbiamopreparare a una stagione che non sarà non semplice. Fau-sto anche in questo ha ragione: siamo entrati in Europae abbiamo fatto alcune riforme, abbiamo provato a farlenegli ultimi quindici, sedici, diciassette anni, ma è dallafine degli anni Settanta che l’Italia non conosce vere ri-forme. Se torniamo al governo noi dovremo farle e do-vremo mettere mano a cambiamenti profondi se vo-gliamo dare una risposta alla vostra generazione, pernon farvi essere precari oggi e indigenti domani. E lo dob-biamo fare sapendo che i fari di orientamento sono sem-pre quelli della nostra Carta costituzionale, che consideroancora tutta intatta e tutta bella, e so che non saremmoin grado di riscriverla in quel modo. Non la voglio toccare:certo c’è da fare qualche piccolo intervento, le riforme mi-nime che peraltro abbiamo presentato, ma nulla di più,perché i fari sono ancora tutti lì. Il nostro problema è un impianto legislativo e organizza-tivo pensato in un tempo profondamente diverso daquello che stiamo vivendo. Il nostro problema è che cistiamo dividendo tra quanti pensano di continuare ad ap-plicare quell’impianto normativo e legislativo al presente– vedi, ad esempio, il grande tema del lavoro, della con-trattazione, dell’ unità sindacale – e quanti invece riten-gono che, non essendo più adeguato, sia opportuno ri-nunciare anche ai principi che lo avevano ispirato. Larealtà è più complessa, e penso che i principi e i valori cheorientarono le scelte del passato siano ancora validi:tocca a noi coniugarli e declinarli nella sfida del tempopresente, della globalizzazione nella quale ci troviamo. Non posso difendere lo Statuto dei lavoratori degli anni

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 260

261

Settanta come se fosse una pagina intoccabile, ma nonposso neppure svendere, per modificare quella pagina, iprincipi che hanno ispirato quelle scelte. Ed è esatta-mente il rischio di questo momento. Qui c’è un lavoroenorme che dobbiamo fare per preparare l’Italia a risol-levarsi. Se il welfare pensato negli anni Settanta non è piùadeguato, abbiamo il dovere di ripensarlo e di creare, in-torno alle innovazioni necessarie, il consenso e non il con-flitto sociale. Fare politica significa pensare alle propostegiuste e costruire la condivisione indispensabile a realiz-zarle: è questa la nostra sfida perché noi siamo un par-tito politico, non siamo né una narrazione né un movi-mento. Questo, però, significa convincere gli italiani cheesiste la possibilità di vivere insieme in una maniera di-versa da come questi signori hanno fatto loro credere inquesti anni. Una maniera diversa esiste e conviene. È questo il nostrolavoro di questo tempo. Possiamo passare in rassegnatutti i temi che ci stanno particolarmente a cuore – i va-lori, l’umanesimo, la persona – e verificare che nel PartitoDemocratico noi abbiamo fatto grandi passi avanti suitemi programmatici. Non è vero, ad esempio, che non ab-biamo tenuto sulla FIAT una stessa, identica posizione:abbiamo avuto una sensibilità diversa, approcci diversi,consentitecelo! A me, quando parlava Marchionne, ve-niva in mente La Pira con la nuova Pignone; a qualcun al-tro venivano in mente altri riferimenti: è inevitabile. Mala nostra posizione è stata una posizione chiara e ferma.Articolata, non semplificata, perché noi non stavamo nécon Marchionne né con la FIOM: stavamo con i lavora-tori e con l’azienda, e ci stiamo ancora. Dato che gli

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 261

262

operai, con quel contratto, si sono assunti la responsabi-lità di salvare la FIAT, adesso gli altri si devono assumerele proprie. Non mi piace l’idea che Mirafiori diventi unadelocalizzata della Chrysler! La Fiat si fa in Italia non per-ché ci rimangono gli uffici, ma perché ci rimane il pen-siero, la struttura, la tecnologia, il lavoro: per questi fat-tori si sono assunti le responsabilità. Se noi fossimo statial governo, non avremmo lasciato Marchionne da soloquando andava a incontrare Obama e la Merkel e nonavremmo lasciato gli operai da soli quando dovevano sce-gliere cosa fare. Questo governo ha lasciato soli gli uni egli altri perché è stato funzionale al modello di società chehanno in testa loro, ma non noi!I programmi approvati dall’Assemblea nazionale sonopronti per arrivare nei Circoli. Per questo io vi chiedo ditrasformare i nostri Circoli in scuole di formazione per-manente. Iniziative come queste sono straordinarie! A mesembra di essere nell’Azione Cattolica quando i campiscuola riuscivano bene, ma poi non si sapeva cosa far fareai gruppi tutto il resto dell’anno. Così siamo anche noi: civengono bene le Feste, le manifestazioni con i nostri lea-der, le scuole di formazione. Ma bisogna che noi impa-riamo a vivere nella vita quotidiana dei nostri Circoli unafesta ed una scuola permanenti. I Circoli dovrebbero es-sere i luoghi nei quali si cresce insieme sui valori e sui puntiprogrammatici fondamentali del nostro partito. Galli dellaLoggia può anche non sapere chi siamo; un democraticoiscritto ad un Circolo lo deve sapere, e bisogna che noiimpariamo a crescere su questo terreno. Sull’ insieme delle questioni che ho sollevato finora, èfalso affermare che non c’è una risposta. Si tratta di una

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 262

263

risposta completa? No, per questo è necessario il vostrocontributo. Dopo il lavoro dell’Assemblea e della Segre-teria nazionale, di tutti gli uffici e di tutti i Forum, c’è bi-sogno del lavoro dei Circoli. C’è bisogno del contributodi chi vive quotidianamente la vita delle persone, perchépoi diventi carne della nostra carne, pensiero dei nostripensieri: così noi riusciamo anche a incontrare le personedi questo paese. Sono d’accordo con Bersani: abbiamo fatto dei passiavanti anche sulle questioni fondamentali. Non è vero cheil partito non ha una posizione sul testamento biologico.Nella Commissione Affari Sociali alla Camera abbiamosottoscritto tutti insieme gli stessi emendamenti. Dalla Co-scioni alla persona più vicina a Giuseppe Fioroni che sichiama Luciana Pedoto, abbiamo presentato gli stessiemendamenti firmati da tutti, e con quelli noi ci presen-teremo per correggere una legge che riteniamo sba-gliata. Andremo però oltre: chiederemo al centro-destradi fermarsi. Perché a colpi di maggioranza in Parlamentonon si impone al paese una visione etica della vita. La dif-ferenza profonda tra noi e loro – questa è un’ altra cifradell’essere democratici oggi – è che sui temi che toccanoil vivere, il morire, il volersi bene, non c’è una maggio-ranza politica che si impone su una minoranza. Non èquesto il compito della politica. Noi dobbiamo cercare diunire, la politica deve creare unione intorno a questitemi, non spaccare il paese tra il partito della vita e il par-tito della morte, tra il partito dell’amore e il partito del-l’odio, come invece stanno facendo loro.Anche a casa loro c’è qualche mente pensante che ha co-minciato a capire che il legislatore non può entrare nei

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 263

264

rapporti più intimi tra le persone, nei momenti più deli-cati della vita, e si chiede: ‘È proprio necessaria una leggesu questi argomenti? Perché il mondo è andato avantifino adesso e non c’era una legge?’. Noi chiediamo di fer-marci e di provare a riflettere: vogliamo vedere se, anzi-ché fare una violenza al paese, si riesce a offrire una le-gislazione mite che orienta e provoca delle responsabilità.Essere arrivati a condivisione su questi temi significa averfatto insieme un cammino molto importante. Questo si-gnifica che la pensiamo tutti nello stesso modo? No, ènon è uno scandalo. Nel PD, del resto, non ci sarà mai unadisciplina di partito su questi temi: ci sarà una posizionepolitica, maggioritaria, prevalente ma non una disciplinadi partito, guai se questo fosse! Questa impostazione si-gnifica anche un’altra cosa: è il Partito Democratico chesu queste cose parla al paese, e si rivolge a tutti gli italianicon una sintesi culturale. E dobbiamo avere lo stesso approccio con la nostra sin-tesi economico-sociale, perché voglio essere in grado diriscattare i precari e la condizione operaia portando dallamia parte gli imprenditori. Dobbiamo far capire che se siumilia il lavoro non c’è neppure la crescita economica!Mi pare un ragionamento assurdo, quello che a voltesento nel partito quando si dice che sulle grandi questionietiche si deve avere la posizione dei cattolici e quella deipiù radicali che si distinguono in modo che ciascuno parliai rispettivi pezzi di società. Io penso invece che noi nonpossiamo lasciare il mondo cattolico alla destra, poi al-l’UDC, poi all’API. Dentro il Partito Democratico ci si assume tutti insieme laresponsabilità delle posizioni che poi si difendono davanti

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 264

265

al Papa e davanti a Pannella: questo è il punto! Da cat-tolica e da persona che pensa di essere credente, misento di affermare che non può essere una legge a re-golare il momento della mia morte. E da appartenente aun partito nel quale c’è una componente laica moltoforte, sento di poter dire che la cultura del limite, della re-sponsabilità e non dell’individualismo e della libertà fuoridalla responsabilità, è una cultura democratica da difen-dere nel nome della libertà e della laicità, con altrettantaforza. Questo siamo noi, questo è quello che unisce que-sto paese e non lo divide.

C. G.: Grazie. Ho una domanda che sarà uguale per en-trambi, perché mi interessa sapere se la pensate allostesso modo. Rispetto a quelle che vi ho fatto finora, ri-guarda più da vicino l’attualità politica. Noi, come PartitoDemocratico – uso un ‘noi’ di cui mi approprio: come di-rettore della televisione del partito posso dirlo – siamo vit-time di una narrazione che non sempre ci aiuta: lo aveteripetuto entrambi. Ho letto in questi giorni sui giornali chestanno riprendendo le polemiche perché, poiché sembrache non si vada a votare in tempi brevissimi per le elezionipolitiche, si dice che la strategia di costruire una grandealleanza il più larga possibile per far fronte a Berlusconi sa-rebbe superata dai fatti. Si dice anche che la strategia delPD, alla luce di tutti questi fatti, sarebbe troppo movi-mentista: tutte queste mobilitazioni, lo stare dentro lepiazze della società civile, la raccolta delle firme, ecc. Iosono molto curiosa di sapere se il Segretario dei GiovaniDemocratici e la Presidente del partito hanno un’opi-nione su questo, e se è la stessa.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 265

266

F. R.: Sospetto che la mia posizione sia simile a quella dellaBindi, la sua risposta ce lo confermerà. Dobbiamo dirci laverità. E la verità è che questa non è una narrazione chefanno altri, ma c’è qualcuno all’interno del nostro partitoche, certo legittimamente, dice più o meno le stessecose, e sarebbe bene che si assumesse fino in fondo la re-sponsabilità della propria posizione. Quelle che hai elen-cato sono posizioni assunte non da un editorialista, ma dadirigenti del Partito Democratico, ai quali, intanto, an-drebbe rivolta una domanda: chi ha detto che la strate-gia di costruzione di alleanze fosse una strategia di emer-genza, legata all’imminenza della crisi di Berlusconi edella crisi di governo? A me risulta che il Partito Democratico su questo abbiaaperto un dibattito e abbia anche trovato un’unità moltolarga, che ricomprendeva anche quanti oggi si sono ri-svegliati a dire che è passata la fase di emergenza e chebisogna ridiscutere tutto. Nessuno, però, faceva riferi-mento esclusivo all’emergenza derivata dall’imminenzadella crisi del governo Berlusconi. Del resto, non possiamonasconderci che il tema di come non semplicemente vin-cere le elezioni, ma affrontare alcuni dei problemi che dasoli abbiamo scarsissima speranza di risolvere, rimane inpiedi anche al netto dell’imminenza della crisi del go-verno. Non possiamo non riconoscere il fatto che, quandoci saranno le prossime elezioni politiche, i problemi sultappeto, che già sono molti, e ai quali se ne aggiunge-ranno probabilmente altri, realisticamente resterannoquelli: come riformare le istituzioni del paese, come af-frontare, almeno in via embrionale, alcuni dei problemi dimodernizzazione che ha ancora sulle spalle, come chiu-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 266

267

dere il ciclo lungo della Secondo Repubblica sotto laguida e l’egemonia del berlusconismo. Che le elezioni siano ora o tra due anni, il problema re-sta. Ragione per cui penso sia comunque interesse delPartito Democratico provare a tessere un’alleanza cheparta dal suo programma, dai progetti che abbiamo ela-borato nel corso di questi mesi, ma che si rivolga a un arcodi forze ampio, il più largo possibile. Seconda questione: ma c’è davvero qualcuno tra noiconvinto che ora possiamo sederci e fare un ennesimocongresso del Partito Democratico, un’ulteriore contasulla leadership? Se qualcuno lo pensa abbia il coraggiodi alzarsi e dirlo in maniera esplicita. Capiamoci bene: ab-biamo del tempo, forse uno o due anni, per lavorare sullacostruzione del PD, sulla costruzione di quell’identità dicui abbiamo parlato tanto, del suo profilo politico, e ab-biamo l’occasione di allargare i nostri consensi, di ritornarea parlare degli italiani e delle questioni di merito. E pro-prio in questo momento ci vogliamo rinchiudere in unadiscussione congressuale? Infine, credo che la cosa più estenuante del modo in cuisi affronta questo dibattito, oggettivamente la più fasti-diosa, è che si accusa di politicismo chi pone il tema dellacostruzione delle alleanze e del lavoro sul partito, per poiproporre una soluzione che più politicista si muore. Noiabbiamo davanti il compito di ritornare a parlare dell’Ita-lia e dei problemi degli italiani, che è quanto questo go-verno non è strutturalmente capace di fare, perché siregge soltanto su un perenne stato di emergenza. Do-vremmo provare ad affrontare quelle questioni nel tempoche ci separa dalla elezioni politiche, e parlare delle stesse

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 267

268

con la società italiana. Il resto, in questa fase, è davverosolo politicismo, rincorsa a qualche sprazzo di visibilitàpersonale e alla speranza di poter riaprire a partiti di lea-dership, che in questo momento mi sembrano ovunquetranne che nella mente degli italiani. Penso che su que-sto abbiamo il compito di tenere la barra dritta, orientareil dibattito sui problemi che riguardano gli italiani, provarea superare quel tasso di politicismo asfittico che sembravavicino ad essere archiviato, ma che oggi ritorna prepo-tentemente come forma del nostro dibattito politico.Certo, è un politicismo sobillato da alcuni media, da chipuò avere l’interesse a mettere il Partito Democratico inuna condizione di difficoltà, ma è un politicismo di cui iprotagonisti per una volta farebbero bene ad assumersifino in fondo la responsabilità.

C. G.: La domanda per Rosy Bindi è la stessa, e le chiedoanche: visto che martedì consegnerai le prime ‘milio-nate’ di firme per le dimissioni di Berlusconi, ti sentirai difare una cosa troppo movimentista?

R. B.: Un partito politico vive di strategie di lungo e me-dio periodo, e anche di tattiche o strategie del breve pe-riodo o del momento immediato. È evidente che se il 14dicembre Scilipoti si fosse dimenticato di alcuni suoi pro-blemi e fosse rimasto coerente al proprio elettorato – Sci-lipoti assieme a qualcun altro – la storia ora sarebbe di-versa e forse qui saremmo a discutere di altro. Invece èandata come andata. È normale che una forza politica sichieda cosa fare adesso. Ma fa parte della caricatura ladrammatizzazione che, a condizioni cambiate, bisogne-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 268

269

rebbe anche ricalibrare la strategia Mi meraviglierei se unpartito continuasse a vivere come se il 14 dicembre nonci fosse stato, come se non fosse nato il gruppo dei ‘re-sponsabili’, come se Fini non avesse perso qualche pezzo,come se Casini... Insomma, è chiaro ed evidente che ècambiata una situazione e di conseguenza al navigatoredella macchina si dà l’indicazione che vale per quel mo-mento: mi pare sia una cosa scontata..Questo significa che si era sbagliato prima? No: significache eravamo dentro un percorso che ha avuto un esito di-verso da quello che volevamo perché abbiamo a chefare con questo personaggio.Adesso, quindi, la prima risposta che nella prossima As-semblea e nell’incontro con i Segretari regionali si devedare al partito è che intanto ci sono le elezioni ammini-strative: Berlusconi non può sospenderle. Sono la primaoccasione nella quale gli italiani possono trasformare lefirme in voti e sarà il caso di vivere questo appunta-mento non con l’attitudine ‘beh, adesso non abbiamo lepolitiche, facciamoci le amministrative’. Le amministrativele abbiamo sempre fatte sul serio e normalmente ab-biamo ricominciato a vincere proprio dalle amministrative.Allora, diamoci questo obiettivo che non è di poco conto.Come ci andiamo? Sono elezioni amministrative, certo,ma un po’ di politica io ce la metterei dentro. Tutto il la-voro che si è fatto in questi mesi è da buttare via? Le am-ministrative si fanno con il doppio turno e forse è lalegge elettorale ideale per provare a verificare se è rea-lizzabile la strategia di medio e di lungo periodo che ab-biamo lanciato. Una strategia che non prevede, come ba-nalmente si dice, una alleanza da Fini a Vendola: anche

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 269

270

questa è una banalizzazione! Noi abbiamo sempre dettoun’altra cosa. In questo momento della vita del paese, sevogliamo mandare a casa Berlusconi ma soprattutto sevogliamo scrivere una nuova pagina nel nostro paese,serve una nuova alleanza tra progressisti e moderati. E difatto in Italia le cose hanno marciato in avanti quando imoderati sono rimasti legati al riformismo e non si sonofatti catturare dalle degenerazioni populiste autoritarie. LaCostituzione è stata un grande accordo tra moderati eprogressisti; la costruzione della Repubblica italiana èstata un grande accordo, perché la DC aveva fatto un mi-racolo, tenendo su posizioni riformiste i moderati di que-sto paese e persino la destra, per mezzo di politiche so-ciali avanzate e progressiste. È questa la storia d’Italia. Il grande miracolo blasfemo di Berlusconi è stato invecequello di aver catturato i moderati dentro il suo populi-smo. Ma adesso questa fascia di italiani comincia a capire.Casini stava con lui, adesso non ci sta più e ripete tutti igiorni che deve andare a casa. Che facciamo? Lo la-sciamo lì a bagnomaria? No! Su Fini si dice che noi del PDlo abbiamo inseguito… Sarà stato lui che si sarà un po’spostato, o no? Io non ho votato la Bossi-Fini, lui ci miseil nome. Ora sugli immigrati gli sento fare discorsi chequasi mi pare di leggere Famiglia Cristiana, e io registro.Sento parlare di valore del Parlamento, sento parlare diconflitto di interessi, sento parlare di rispetto della magi-stratura. Cosa vogliamo fare di tutto questo? Si dice: ma quella èuna nuova destra! Certo, e – aggiungo – meglio nuovae buona che balorda e vecchia come quella che abbiamoadesso, o no? Questo allora è un nostro obiettivo?

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 270

271

Avremo le elezioni amministrative, sono a doppio turno,che si fa? Se per caso si materializza questo terzo polo, loignoriamo? Non è piuttosto il caso di verificare, intanto,a partire dalle amministrative, se questa alleanza è pos-sibile e ha un senso per il governo delle nostre città? A chiargomenta che la legge elettorale nazionale è un’altracosa, rispondo: vedremo. Intanto l’obiettivo di cambiarela legge elettorale non lo abbiamo dimenticato. In ognicaso penso che questa strategia di lungo periodo, al di làdelle alleanze elettorali, non possiamo archiviarla: se vo-gliamo fare le riforme non possiamo farcela da soli. Se si va a votare con questa legge elettorale e con tre poli,è sufficiente il 34 per cento per vincere. Magari noi vin-ciamo anche con il 38-40 per cento, ma col 40 per centodei voti, anche se prendiamo la maggioranza assolutanelle Camere, riusciamo a fare le riforme profonde di cuiquesto paese ha bisogno o è necessario allargare il con-senso? Non sto dicendo che ci vuole una ‘grande coali-zione’ o un ‘inciucio’ con gli altri. Sto semplicemente di-cendo che noi abbiamo il dovere di tenere ancorati a unprogetto di cambiamento del paese anche quei pezzi disocietà politica che hanno capito che cosa sta avvenendo.Questa strategia io la vedo ancora piena di valore. Sedobbiamo lavorarci di più, siamo tutti disponibili a farlo.L’abbiamo detto prima rispondendo a Chiara: serve unPartito Democratico più forte, con un profilo identitariopiù evidente, con una capacità di comunicare al paese lasua forza. Su questo siamo d’accordo, nessuno l’ha mainegato. Dopodiché, dicono che siamo movimentisti: firme, nonfirme, piazze, non piazze. Ci vogliamo mettere d’accordo

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 271

272

anche su questo? Questo paese, con queste televisioni,con questa stampa, con questa situazione, vogliamo la-sciarlo narcotizzato o vogliamo provare a creare prima ditutto un punto di resistenza culturale? Il giudizio più dif-fuso fuori dei nostri confini un tempo era: ‘quanto ègrullo Berlusconi!’; oggi comincia a essere: ‘quanto sonogrulli gli italiani che se lo tengono!’. Siamo consapevoli diquesto? E chi deve creare dei momenti di riflessione? Sipolemizza sul fatto che abbiamo lanciato la raccolta dellefirme. È stata un’iniziativa che ha permesso di interloquirecon milioni di cittadini che, mentre firmavano, hanno tro-vato chi si confrontava con loro e con le loro idee. Andatea vedere al Nord quanti leghisti hanno firmato: sì, proprioi leghisti, perché sono stufi del loro partito che continuaa reggere la palla a Berlusconi. Sarà un segnale impor-tante questo, o no? Si chiede quante firme siano, se ab-bia firmato anche Gesù Cristo… Eh, magari sarebbe statod’accordo! E comunque sono piccole provocazioni e po-lemiche che nulla tolgono al valore di questa mobilita-zione. Le donne il 13 febbraio hanno riempito le piazze d’Italia,le riempiranno l’8 marzo, le riempirà il 12 il movimentoper la Costituzione. Dovremo fare qualche cosa il 17marzo, festa nazionale, per dire alla Lega che noi teniamoall’Unità d’ Italia: sì o no? È movimentismo questo? E seanche fosse? Dove deve stare un partito? Sta in Parla-mento, sta nelle sue sedi a elaborare, a crescere, ma poidovrà stare anche a contatto e in ascolto con il resto delmondo: avrà mille strumenti per farlo, si tratterà di ag-giustare anche qui un po’ le strategie di comunicazione,abbiamo il direttore della nostra televisione, abbiamo i

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 272

273

giornali, ci sono tante cose da pensare, non dico che tuttosia perfetto allo stato attuale… Ma come si fa a pensareche un partito come il nostro, radicato, popolare, debbastare fuori dalla ripresa di un dialogo con il paese e con-tinuare a dire tutti i giorni che il Premier deve andare acasa? Ci viene risposto che Berlusconi tanto non ci sente.Ma noi vogliamo che ci sentano gli italiani, e che gli ita-liani si convincano che deve andare a casa, perché arri-verà un momento nel quale potranno mettere nell’urnaquesto loro convincimento. O possiamo continuare asopportare che in Germania un ministro si dimette per-ché l’hanno beccato che aveva copiato un pezzo della tesidi dottorato mentre noi ci teniamo un Presidente delConsiglio imputato di prostituzione minorile? Ma cosadobbiamo fare? Movimentismo? Ma io non ci dormo! Elo dico: su questo tema qui non c’è modo che si passi alsecondo punto all’ordine del giorno! Tutti i giorni, men-tre si parla di lavoro, di pensioni, di crescita, d’ambiente,di scuola, di giustizia, di tutto, gli dobbiamo ricordare cheBerlusconi deve andare a casa, perché non è degno distare lì, perché, anche se noi non esistessimo, non ci do-vrebbe stare! È chiaro questo? Perché uno nelle sue con-dizioni non occupa quel posto! E chi dice che noi non cisiamo ancora, che non siamo un’alternativa, forse nonvuole ammettere che preferisce Berlusconi, e allora se lotenga! Ma una forza come la nostra deve ricordare agliitaliani in che razza di anomalia ci troviamo in questopaese. Con la crisi che infiamma l’altra sponda del Mediterraneo,chi ci prende sul serio? Una volta nulla – venisse dalla Ger-mania, dall’Oriente o dall’America – passava dal Medi-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 273

274

terraneo se prima non si parlava con Roma. L’Italia eral’interlocutore principale delle politiche del Mediterra-neo. Adesso invece Maroni dice: ‘gli americani si dianouna calmata’. Chi si deve calmare? Chi si deve svegliare?Ci rendiamo conto che in Libia c’è una carneficina, men-tre ci sono possibilità di democratizzare l’ altra sponda delMediterraneo? Riconosciamolo che noi abbiamo accet-tato di parlare con dei dittatori in questi anni. È accadutocome col comunismo: pur di combatterlo abbiamo sop-portato tutto. È successo lo stesso: pur di evitare altri pe-ricoli, abbiamo sopportato i dittatori. Adesso è arrivato ilmomento di mandarli a casa. Ma se l’Italia fosse stataquella che è sempre stata nella sua politica estera – ba-date, Craxi compreso – non saremmo in questa situa-zione. Una situazione che paghiamo a ogni livello: nellanostra dignità, sul piano internazionale, nell’economia. Edobbiamo tacere? Si dice che tanto non ci sente. Ma cosasignifica? Noi lo dobbiamo gridare tutti i giorni che lui lìnon ci può stare!

C. G.: Ci avviamo a concludere. Siamo in Toscana, terradi ‘rottamatori’: sarebbe troppo facile, dato che ci cono-sciamo, Fausto, provocarti chiedendoti se ‘rottamazione’dovrà essere una parola dei democratici. Effettivamente,però, perché non dovrebbe il Segretario nazionale deiGiovani Democratici interessarsi anche alla questione delrinnovamento generazionale dentro il Partito Democra-tico? Una delle cose che ho letto in questi giorni è che,se abbiamo fatto qualche errore di comunicazione (am-messo e non concesso!) nella questione delle gestionedelle firme online per la campagna ‘Berlusconi dimettiti!’,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 274

275

il motivo è che abbiamo troppi dirigenti sessantenni chenon sanno usare la Rete.

F. R.: Mettiamola così: quelli che sanno usare la Rete, nonpiù di un mese e mezzo fa, hanno preso il treno per an-dare ad Arcore e non mi sembra che abbiano avuto ri-sultati sul piano della comunicazione particolarmente piùinteressanti e produttivi. Personalmente resto convinto delfatto che il nostro problema sia un altro e vada un po’ piùin profondità. La questione vera è cosa vogliamo comu-nicare, poi il come farlo viene dopo, anche se natural-mente si potrebbe migliorare anche in quello. Non misono intestato battaglie di rinnovamento generazionale eonestamente non intendo farlo, perché non credo che siaquello il tema. Dietro l’espressione, pur bella, ‘rinnova-mento generazionale’, spesso si nasconde una cultura, unmodo di vedere il Partito Democratico e alcuni suoi limitiche sono troppo simili a quelli della generazione che ser-virebbe a sostituire. È questa la ragione per cui la battaglia del rinnovamentogenerazionale mi interessa il giusto. Innanzitutto, sono in-teressato a contribuire a costruire il Partito Democratico,perché credo sia questo il primo nodo da sciogliere. In se-condo luogo, ho la sensazione che quelli che dicono ‘la-sciateci spazio!’, lo dicano perché, in realtà, lo spazionon hanno la forza politica di prenderselo. Ma in un par-tito democratico è il consenso che permette di aprirestagioni di cambiamento: se non si ha la forza, è troppofacile fare appello a che qualcuno ti possa lasciar passare.Intanto, perché questo non avviene: mi sembra che inquesto partito ormai ci conosciamo tutti a sufficienza da

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 275

276

Le parole e le cose dei democratici

saperlo. In secondo luogo, perché l’età anagrafica pro-babilmente non basta a giustificare la richiesta di uncambio di passo. Terzo, ed è la cosa che onestamente mista più a cuore, io sono uno di quelli che è andato all’as-semblea dei ‘rottamatori’ di ‘Prossima Fermata Italia’ allaStazione Leopolda a Firenze; sono intervenuto, e ho fattoanche fatto discutere, ma dopo, non a caso, è sceso il si-lenzio. In quell’occasione sono andato a dire alcune dellecose che ho detto anche qui, cioè che penso che il pro-blema principale, se davvero vogliamo parlare di rinno-vamento della politica, è tornare a coniugare il tema dellavoro con quello della democrazia. Erano i giorni di Po-migliano, e mi diedero anche ragione. Un paio di mesidopo si apre il caso di Mirafiori, e il sindaco di Firenze in-terviene dicendo: ‘io sto con Marchionne’. Se quello è ilrinnovamento, lasciatemi dire: ‘non mi tengo i sessan-tenni, rivoglio indietro quelli di novant’anni!’.Se non è un tema politico generale che riguardi intantola sfera della cultura politica e del progetto politico delPartito Democratico e che, anzi, mi riporta con le lancettedell’orologio indietro alla stessa cultura liberista e delneoliberismo che il PD nasce per superare, allora è un tipodi rinnovamento di cui me ne faccio ben poco. Se il rin-novamento è semplicemente una modalità di costru-zione di carriere personali, fatto da narcisi, papaveri chehanno la pretesa di alzarsi sul podio e fare la lezione aglialtri, come se necessariamente l’età anagrafica significasseche ne sanno di più, ne faccio volentieri a meno. Al con-trario, il rinnovamento è battaglia collettiva. Nel mo-mento in cui abbiamo come Presidente del Consiglio unuomo di settantaquattro anni, è ben complicato lamen-

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 276

277

Le parole e le cose dei democratici

tarsi solo del PD. È vero che c’è un tema. Ma è anche veroche chi illude gli altri, ma non se stesso, di poterlo risol-vere per l’ennesima volta in chiave personalistica e di lea-dership – perché questa è la cultura sottesa a un certomodo di concepire il rinnovamento – non prova a fare ilrinnovamento, ma tenta esclusivamente di affermare lapropria presenza, il proprio peso, il proprio potere politico.Ma per chi è capo di un’organizzazione collettiva, per chi,quindi, pensa, lavora e costruisce percorsi in un altromodo, cioè mettendo il problema di chi è il capo semprealla fine, e il problema di qual è la politica sempre all’ini-zio, questa è una strada che non può accontentare. È unastrada che io, necessariamente, per cultura e per funzione,rifiuto. Penso che sia la riproposizione di un modo sba-gliato con cui abbiamo costruito il PD, un modo che noncontribuisce a costruirlo, ma soltanto a riportarlo su unastrada vecchia, che speravo, con questa stagione nuovadel PD, noi iniziassimo definitivamente a superare. Inquesto modo, anziché guardare avanti, si riportano in-dietro le lancette dell’orologio. Ecco, io le lancette del-l’orologio preferirei lasciarle continuare a correre. Quandoarriverà il tempo, quando avremo la capacità, la forza,quando saremo in grado di farlo sulla base di un progettopolitico chiaramente alternativo, allora sarà il caso di bus-sare e dire: ‘guardate, è stato bello, ma una fase si èchiusa: ora è arrivato il momento di aprire una stagionediversa’.

C. G.: Mi sembra proprio che l’ultima parola la debbaavere la Presidente del partito, e allora faccio una picco-lissima domanda, altrettanto poco originale di quella che

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 277

278

ho fatto a Fausto all’inizio, suggerita proprio dalle coseche lui diceva adesso. Perché un giovane che vuole farepolitica dovrebbe scegliere questo strano partito bistrattoda molti, qualche volta anche dai suoi stessi dirigenti, eche pretende anche di parlare un linguaggio diverso dallapolitica alla quale siamo abituati, di non avere un mec-canismo personalistico, di non avere il nome del suo lea-der nel simbolo e di non essere il partito di qualcuno?

R. B.: Per cominciare, a un giovane direi che se vuole unpaese che non sia organizzato contro i giovani deve de-cidersi a impegnarsi direttamente. Siamo un paese divecchi e i numeri contano in democrazia: quando ero gio-vane, la demografia italiana era rappresentata da una pi-ramide; adesso è una cipolla spostata verso una piramiderovesciata. Per noi era facile essere al centro; per voi èmolto complicato, e dovete esserci anche in manieracreativa, senza avere paura di disturbare. Ve lo dico: cisono dei modi assolutamente pacifici per far sentire lapropria voce, ma bisogna farla sentire, perché il mega-fono non ve lo regala nessuno. E se qualcuno ve lo regalaè per farvi dire le cose che vuol sentirsi dire. Un impegnopolitico diretto è quindi una strada obbligata in questomomento per capovolgere la situazione. Anche per ledonne è un po’ così: noi siamo un po’ di più ma siamorassegnate da troppo tempo. Anche per noi, però, vale lostesso ragionamento: nessuno ci regala nulla e dubitatedi chi vi fa regali. Non vi dico una cosa originale ma ve ladico con sincerità: irrompete e fate la vostra parte perchéresterà un paese organizzato contro di voi se non c’è unapresenza forte che afferma le vostre esigenze. A me la

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 278

279

stagione delle contestazioni nelle università era piaciuta:vi invito a non fermarvi perché le scelte che sta facendoquesto governo nel settore formativo e anche per il lavorosono devastanti. Abbiamo il numero più alto di giovaniche né studiano né lavorano, né cercano un luogo perstudiare né cercano un luogo per lavorare. A questi gio-vani qualcuno deve pensare, e i più fortunati tra di voi de-vono andare a scovare questi ormai tre milioni di persone.Una società che pensa di poter fare a meno di tre milionidi persone è una società malata. Dato, però, che proba-bilmente la testa non si cambia, non c’è altro modo senon la vostra presenza. Poi perché scegliere il PD? Perché, paradossalmente, è ilprogetto più incompiuto nel quale potete dare di più. Noinon vi proponiamo una cosa già confezionata. Non sto di-cendo il contrario di quello che ho detto prima: il progettoc’è, il programma c’è, ma è in progress, ed è lì che potetecontare e fare qualcosa di davvero utile. Non vi si chiededi entrare in un luogo in cui tutto è già messo a posto: èuna casa da finire di costruire, di arredare, da presentareall’esterno, un luogo nel quale il cantiere è aperto. Chimeglio di voi può dare un contributo importante? Qualesituazione migliore di questa per poter fare la vostraparte? Io credo davvero che per il futuro di questa societàvoi possiate e dobbiate giocare un ruolo da protagonisti,per contribuire a organizzarla in modo che sia amica deigiovani e non loro avversaria.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 279

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 280

281

PANEL VQuale europeismo per i democratici

nella crisi dell’idea di Europa?

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 281

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 282

283

Insegno Storia dell’integrazione europea alla Statale diMilano e sono un federalista europeo: sono iscritto al Mo-vimento Federalista Europeo dal 1987 e, nello stessotempo, sono iscritto al PD per il quale sono stato anchecandidato alle europee nella circoscrizione Nord-Ovest.Posso dire, dunque, di avere speso una vita per promuo-vere l’unificazione dell’Europa – una mezza vita, dato cheancora non sono tanto vecchio. Ma quello che mi premepiù di dirvi in via introduttiva è che insieme ad altri col-leghi abbiamo costituito, il 29 aprile 2010, la ‘Rete 29aprile’ che ha guidato e animato le proteste dei ricerca-tori strutturati e precari contro la riforma Gelmini. Da unanno a questa parte ho accantonato in parte l’impegnodella ricerca per occuparmi quasi a tempo pieno della Rete29 Aprile, della dimensione europea di una possibile ri-forma universitaria e della legge forse più discussa e con-trastata degli ultimi anni; questo almeno fino a dicembre(quando la legge purtroppo è passata). Non per questoritengo che l’esperienza della ‘Rete 29 aprile’ sia andataperduta: ogni fenomeno di aggregazione politica, chespinga a parlare di problemi concreti e porti persone di di-versa provenienza ed esperienza a confrontarsi fattiva-mente su progetti alternativi di governo di un sistemacomplesso come quello universitario, rappresenta un ca-

Piero Graglia Docente di Storia dell’integrazione europea,Università degli Studi di Milano

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 283

284

pitale eccezionalmente importante. Questo soprattuttoper un partito come il PD, che dimostra alla base una no-tevole vivacità intellettuale, spesso purtroppo non di-sgiunta da un certo conformismo in alcuni dei suoi ver-tici. Far politica – ce lo insegna con angoscia la vasta seriedi rivolte popolari nell’Africa del Nord – non deve esseremai un’esperienza legata solo alla propria soddisfazionepersonale, ma deve essere esperienza collettiva, condi-visa, partecipata. E l’Europa e la sua costruzione, declinataanche come trasformazione della società italiana e dellesue dinamiche politiche, è la politica che più amo e chefaccio più volentieri. Per questo ho accettato molto vo-lentieri l’invito a partecipare a questo incontro. Ho pensato di cominciare il mio intervento facendo unpiccolo divertissement, un piccolo gioco, partendo propriodalla parola «Europa». Visto il tema di questo panel, hovoluto fare una cosa che non si fa molto spesso: verificaresu vari dizionari europei come viene interpretata la parola«europeismo». L’esercizio è stato divertente perché, peresempio, in inglese, l’Oxford Dictionary parla di «Euro-peanism» come derivazione di «Europe» senza fornire al-cuna spiegazione aggiuntiva (anche se l’aggettivo «Eu-ropean» viene usato anche per indicare una persona«committed with the European Union»). Il dizionariofrancese Larousse è molto più accurato e ricco di sfuma-ture: comincia a parlare di «européanisme» e apporta va-rie classificazioni: «tendenza a considerare le cose a livelloeuropeo, a dare un carattere europeo; più particolar-mente, tendenza favorevole all’unificazione dell’Europa».Aggiunge poi che «la prima comparsa di un termine ana-logo, [«europeisme», non «européanisme»] è del 1807,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 284

285

grazie a Tayllerand che lo usava parlando di Napoleone».Già si sente profumo di storia e di complessità in una de-finizione come questa. I tedeschi, come gli inglesi, non sispendono in molti discorsi: «Europagedanke», «pensierosull’Europa», senza fornire alcuna spiegazione su cosa sial’europeismo per il senso comune della lingua tedesca esu quale livello di coinvolgimento ci si pone quando si usaquesta parola: è semplicemente una mutazione, un’alte-razione morfologica della parola «Europa» con questosuffisso importante, «Gedanke», cioè «pensiero», «idea».In italiano, sul dizionario Treccani, trovo invece una defi-nizione che potremmo definire tra l’hegeliano e il mili-tante: «movimento politico e di idee che, sulla base dellefondamentali affinità culturali e storiche che legano fraloro i popoli d’Europa» – quali esse siano non è specifi-cato – «tende a promuovere un progressivo avvicina-mento tra i vari Stati nazionali europei fino alla costru-zione di un’Europa spiritualmente e politicamente unitacon radici lontane nella componente cosmopolita della Ri-voluzione Francese». Da notare che «spiritualmente» e«politicamente» sono termini che indicano due dimen-sioni che non stanno così facilmente insieme. La defini-zione continua: «È stato variamente sostenuto per tuttoil secolo XIX e buona parte del XX, ma solo dopo la Se-conda Guerra Mondiale ha perduto il suo carattere elita-rio per dar vita alla costruzione di organismi politico-giu-ridici: Consiglio d’Europa, CEE» – qui andrebbe messa indiscussione l’affinità fra un Consiglio d’Europa e una CEEche sono realizzazioni estremamente differenti – «chehanno avviato un processo di integrazione economica epolitica fra i maggiori paesi dell’Europa Occidentale».

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 285

286

Ecco: se uno studente mi dà una spiegazione di questotipo ad un esame, io lo boccio senza pensarci due volte,perché espone fattori magari reali e credibili ma sommainsieme quantità diverse senza criterio: la spiritualità, l’in-tegrazione politica, il Consiglio d’Europa (organismo dipura consultazione tra gli Stati europei) e la CEE (organi-smo con funzioni sovranazionali). Tutti elementi che nonpossono assolutamente stare insieme a meno di accom-pagnare una definizione simile con un centinaio di paginedi esplicazioni e di puntualizzazioni. Senza contare un par-ticolare che dovrebbe essere sottolineato ai signori dellaTreccani: dal 1992 abbiamo l’Unione Europea che rap-presenta il massimo ‘avvicinamento politico’ (sullo «spi-rituale» ci sarà da tornar sopra), ma dal 2007, con ilTrattato di Lisbona, dobbiamo imparare a dimenticare illemma «Comunità Europea», che scompare, per usaresempre e solo «Unione Europea». Dunque la definizionedi «europeismo» che il bravo studente trova sul diziona-rio Treccani lo porta totalmente fuori strada, è incompleta,inserisce nell’elaborata sequenza di elementi fondatividell’europeismo anche un ambiguo afflato «spirituale»nei confronti del quale ogni persona che voglia fondarela sua azione politica su basi concrete e non su sentimentio gridolini o palpiti dell’animo dovrebbe mantenere unacerta guardinga diffidenza. Proviamo a descrivere un percorso storico-ideale convin-cente. Se vogliamo individuare una data di nascita dellaparola «europeismo», intesa non come afflato filosofico-spirituale ma come movimento che opera nel campo po-litico, bisogna guardare agli anni tra le due Guerre Mon-diali. Qui la definizione della Treccani non ci aiuta, dato

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 286

287

che parla di «movimento politico o di idee». Occorre in-vece operare una distinzione. Richard Nikolaus Couden-hove-Kalergi era un diplomatico ungherese, figlio di ma-dre giapponese e di padre ungherese; non sapeva ilfrancese (anche se le sue idee hanno avuto un grandesuccesso in Francia) ed è il padre del movimento cosid-detto di ‘Paneuropa’, esempio di quell’europeismo elita-rio di cui parlava la nostra definizione del dizionario.Coudenhove-Kalergi nel 1926 organizza il primo Con-gresso di questo movimento: un movimento che non èstrutturalmente votato alla pace universale ma parla aper-tamente di difesa dell’Europa dai possibili pericoli che lacircondano e che minacciano di aggredirla. Una sorta, di-ciamo, di leghista di incommensurabile levatura e intelli-genza… Apro una parentesi: se parlo a Calderoli o a Bossidi Coudenhove-Kalergi, probabilmente mi rispondonoche sono due calciatori stranieri dell’Atalanta; di sicuronon saprebbero dire chi sia questo maggiore che ha par-lato di federazione europea e di unità europea. Si tratta,invece, di un personaggio estremamente importante,perché per la prima volta richiama l’attenzione sui peri-coli e sulle minacce, anche di tipo economico, che l’Eu-ropa deve affrontare, dando un senso e una forma or-ganizzata a un inquieto stato d’animo che aveva presopiede nelle classi dirigenti europee dopo la fine dellaPrima Guerra Mondiale e della connessa centralità euro-pea nel mondo. Coudenhove-Kalergi è parte attiva diquella ‘coscienza della crisi europea’ diffusa dopo il 1919e descrive la situazione di un continente assediato: parladi ‘pericolo giallo’ – il Giappone, in prospettiva la Cina –e di ‘pericolo rosso’ – l’Unione Sovietica. Da ultimo,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 287

288

evoca un pericolo più commerciale e meno aggressivo,che potremmo definire il pericolo ‘a stelle e strisce’: lacompetizione, in prospettiva, degli Stati Uniti nei confrontidell’Europa. L’unica via dell’Europa per difendersi è con-trastare la Pan-America organizzata dagli Stati Uniti, laPan-Asia rappresentata dal complesso sino-giapponese,l’impero britannico che è Pan- anche se gli manca il suf-fisso geografico. In tali condizioni, una forma non megliodefinita di unità europea (possedimenti coloniali inclusi)è un imperativo che gli Stati europei non possono eludere,pena il reciproco annientamento e la colonizzazione daparte dei potenti vicini, presenti e futuri. Le premesse diCoudenhove-Kalergi sono ancora oggi impressionantiper il carattere profetico e per la lucidità con cui il fon-datore di Pan-Europa disegna le diverse alternative per ilcontinente, soprattutto pensando a ciò che avverrà dal1939 al 1945; ciò che manca nel suo disegno è, però, ilcoraggio di andare fino in fondo al ragionamento che staalla base del suo progetto. Coudenhove-Kalergi infattiparla di unità europea ma esclude esplicitamente che sidebba limitare la sovranità degli Stati partecipi di questaunità. Se i venticinque Stati europei vivono in una condi-zione di anarchia internazionale (come dice Kalergi), nonè certo sostenendo il mantenimento di tale sovranità chel’Europa potrà raggiungere la sperata unità e realizzare gli‘Stati Uniti d’Europa’. A meno che parlare di ‘unità’ nonsignifichi semplicemente il perseguimento di un generico‘bene comune’, l’evidente convenienza della coopera-zione europea in molti campi, ma senza dare agli ‘StatiUniti d’Europa’ la forma istituzionale di una vera e pro-pria federazione, con un governo unico, una moneta

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 288

289

unica, un’unica politica estera e di difesa. Dagli anni Venti in poi Coudenhove-Kalergi porta co-munque avanti un’ampia propaganda, organizzando unasorta di grande Rotary europeista e diffondendo, anchecon qualche risultato interessante, le sue idee in tutta ladiplomazia europea. Nel 1930, ad esempio, AristideBriand, il Ministro degli Esteri francese, propone di creareuna sorta di federazione europea sulla base delle sugge-stioni di Coudenhove-Kalergi. Tuttavia, a seguito dellagrande crisi del ’29, poco spazio resta per parlare di coo-perazione e collaborazione europea: il sacro egoismo delnazionalismo economico, nella vuota ricerca di una sal-vezza dalla crisi globale, diventa la norma. Al posto del-l’europeismo difensivo di Coudenhove-Kalergi subentrauna prospettiva diversa di unificazione europea forzata,per nulla aliena dall’idea di unificare il continente. È ilnuovo ordine europeo di Hitler. Tra Coudenhove-Kalergie Hitler, fatte ovviamente le debite proporzioni e te-nendo in considerazione le diverse capacità di potenza edi influire sul corso della storia, la visione è molto simile.Il nuovo ordine europeo è l’idea di un barbaro autentico:un modo per porre la fortezza Europa al riparo dagli in-flussi esterni; un progetto di integrazione schiavista subase economica e politica che vede gli specialisti di Hitlerparlare apertamente e diffusamente di ‘comunità euro-pea’. Stiamo attenti, tuttavia: non dobbiamo pensareche Hitler fosse soltanto animato dal progetto folle di faregrande la Germania garantendole lo ‘spazio vitale’. LaGermania è grande perché dominerà l’Europa, con unaperversa, precisa, metodica distinzione tra popoli schiavie popolo padrone. Il suo è anche un progetto di unifica-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 289

290

zione europea? Assolutamente sì: l’unificazione dell’assi-milazione o dell’eliminazione. È un progetto accettabile?Assolutamente no. Ma il nuovo ordine europeo aggres-sivo, che supera l’ansia difensiva propria dei movimentielitari e ideologici come quello di Coudenhove-Kalergi,porta ad una reazione in tutto l’antifascismo e l’antinazi-smo; induce a far pensare in maniera forte e determinataa una Europa unita sulla base non del ferro e del fuoco edella sopraffazione, ma su una base consensuale: la vo-lontà liberamente espressa da parte dei popoli europei. Gliartefici di questa idea, che oggi celebriamo come duepunti di riferimento anche per il Partito Democratico,sono Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Essi elaboraronouna visione di unificazione e federazione europea deltutto diversa sia da quella di Coudenhove-Kalergi sia daquella, ovviamente, che Hitler cercò di realizzare con learmi e con la violenza sterminatrice. E lo fecero nel for-zato isolamento del confino di polizia che gli era stato im-posto, con storie e motivi diversi, dopo aver scontato nu-merosi anni di carcere per la loro attività antifascista.Come tutti i regimi dittatoriali, violenti ma stupidi e prividi immaginazione, il fascismo pensava, erroneamente,che concentrare tutti gli oppositori in un solo luogo fosseil modo migliore per controllarli: non pensava che que-sto è invece il modo migliore per permettere ai dissen-zienti di tenersi in contatto ed elaborare visioni politichecomuni. Isolati, dunque, sull’isolotto di Ventotene, AltieroSpinelli e Ernesto Rossi, diventati amici dopo essersi in-contrati proprio sull’isola, cominciano a ragionare sullabase della realtà del loro tempo, vale a dire del dominiotedesco dell’Europa. L’interrogativo dal quale muovono,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 290

291

il loro quadro di riferimento, è il seguente: se fino ad oggile relazioni tra Stati sono state dominate dal principio dellasovranità assoluta, vi è un modo per superare questa im-postazione e far sì che gli Stati europei possano conviveresenza farsi guerra con cadenza ventennale e senza subirela spinta egemonica del più forte? La soluzione che i fe-deralisti di Ventotene trovano è quella di richiamarsi al fe-deralismo anglosassone hamiltoniano e di invocare lafine della centralità dello Stato nazionale sovrano. PerRossi e Spinelli lo Stato nazionale sovrano ha esaurito lapropria funzione storica: occorre passare a un soggettodi tipo nuovo. Questa nuova dimensione essi la trovanoappunto nel federalismo di stampo hamiltoniano, comerisposta al fallimento dello Stato nazionale e alla neces-sità che, in un’ottica federale, gli Stati nazionali cedanouna parte sostanziosa della loro sovranità, in particolarein quattro aree fondamentali: politica estera, difesa, mo-neta, politica economica. È questo l’unico modo – so-stengono i federalisti di Ventotene – per salvare la civiltàeuropea. Queste idee vengono elaborate all’interno di undocumento che, scritto nell’anno più buio e incerto dellaguerra – il 1941 – diviene la base dell’europeismo fede-ralista: il Manifesto di Ventotene. Il suo titolo completoera Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifestoed è stato ripubblicato anche recentemente dal Corrieredella Sera, dato in omaggio come ultimo della prima se-rie dei grandi classici del pensiero libero. In quelle pagineè contenuto proprio questo richiamo a una necessità sto-rica ormai ineludibile: lo Stato nazionale sovrano, per nonscomparire, deve perdere una parte della propria sovra-nità almeno nei quattro ambiti sopra ricordati. Il risultato

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 291

292

di questo processo, la federazione europea, sarà l’unicagaranzia per evitare nuove guerre mondiali. Questa è labase fondamentale di tutto l’europeismo federalista de-mocratico che, durante gli anni della guerra, fa tabula rasasia dei progetti di nuovo ordine europeo proposti da Hi-tler (sconfitto in seguito non solo dalle idee ma anchedalla forza delle armi britanniche, sovietiche e ameri-cane) sia di quell’europeismo generico, un po’ senti-mentale, retorico e vuoto che ricordavo all’inizio. Cosa resta di questi progetti europeistici e federalistidopo la Seconda Guerra Mondiale? Il Manifesto di Ven-totene non è un fenomeno solo italiano. I principi fede-ralisti si diffondono in Francia (Albert Camus, EmmanuelMounier, Henri Frenay), in Germania (i giovani sfortunatistudenti della Weisse Rose), in Polonia, in Norvegia, inOlanda: ovunque sorgono idee di tipo federalista; persinoil piccolo movimento antinazista è europeista e vicino auna concezione di tipo federale per il futuro dell’Europa.Oggi si parla di ‘federalismo’ soprattutto come federali-smo interno, cedendo spesso, peraltro, all’approssima-zione e all’improvvisazione concettuale, ma se c’è una ca-ratteristica che unisce tutta la resistenza europeaanti-nazifascista, questa è proprio la petizione di princi-pio forte a favore di un’unificazione politica dell’Europadopo la Seconda Guerra Mondiale. È un elemento carat-terizzante, espresso in maniera chiara e vigorosa all’in-terno delle diverse resistenze europee che, non so poi perquale motivo, abbiamo perso per strada, al punto chequasi nessuno più ne parla. È chiaro che, quando dico‘non so poi per quale motivo’, uso una figura retorica po-lemica, perché i motivi li sappiamo benissimo.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 292

293

Dopo il secondo conflitto l’Europa si risveglia distrutta: adecidere del futuro dell’Europa non sono gli europei maè la potenza di riferimento, gli Stati Uniti d’America. Lapolitica estera nordamericana degli anni Quaranta e Cin-quanta è lungimirante nei confronti dell’Europa, ancheperché gli americani non hanno alle spalle una tradi-zione di rapporti con l’Europa e devono crearla dal nulla.Il pragmatismo, così caratteristico della progettualità po-litica statunitense, fornisce un evidente e immediato prin-cipio ispiratore: l’invito a replicare in Europa l’esperienzastatunitense. Ogni qualvolta si confrontano con gli eu-ropei e con il problema della costruzione europea, alla finedi ogni discorso tecnico – si tratti del Piano Marshall, del-l’organizzazione dell’OECE o della European CooperationAdministration che gestirà gli aiuti Marshall tra i sedicipaesi europei e l’amministrazione americana – ogni pro-posta americana si conclude sempre con una petizioneforte che invita gli Stati europei a fare come gli Stati Unitid’America, a federarsi: una federazione di Stati consen-tirebbe, infatti, una gestione degli aiuti molto più agevolerispetto alla difficoltà di concertare il soccorso a sedici sog-getti distinti, avrebbe maggiori possibilità di costituireuna valida barriera difensiva nei confronti di una minac-cia di espansionismo sovietico, renderebbe l’Europa oc-cidentale più solida. Lasciamo da parte la questione se laminaccia sovietica fosse reale o figurata: personalmentesono convinto che Stalin non avesse alcuna intenzione dimuovere guerra all’Occidente per fagocitare anche l’Eu-ropa occidentale (del resto doveva fermarsi a digeriretutta l’Europa orientale); ma di certo avrebbe accolto ognioccasione per allargare la sua già vasta zona di influenza

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 293

e di espansione. In ogni caso a noi interessano fino a uncerto punto le ricostruzioni successive dei fatti: quel checonta è la percezione della minaccia sentita all’epoca, equesta era altissima. Non è un caso, quindi, che gli StatiUniti propongano agli europei ripetutamente l’idea del-l’unificazione europea, che viene avanzata nel 1947 conil Piano Marshall, poi nuovamente nel ’49 a fronte dellacattiva gestione, da parte dell’Europa, degli aiuti Marshall.Una simile richiesta non verrà mai completamente accoltadagli europei: francesi e inglesi in particolare rifiutanoogni cessione di sovranità implicita nella petizione statu-nitense. Gli europei organizzeranno autonomamente leprime comunità economiche, ma saranno sempre debolie incerti nel dare una dimensione politica all’integrazioneeconomica. Si tratta di una grande occasione persa, chevede coinvolta anche l’Italia: la mancanza di decisione delnostro paese su questo piano, almeno fino al 1950, e l’in-capacità di pensare oltre le parole e le idee consuete, su-perando il modulo organizzativo classico dell’Europa – loStato nazionale sovrano – ci hanno portato al punto in cuisiamo oggi. Le difficoltà nate da una preziosa occasione persa alloraemergono prepotentemente oggi, nei problemi cheun’Europa nata solo sulla base della cooperazione eco-nomica, dal 1950 in poi (Comunità europea del carbonee dell’acciaio) fino al sorgere dell’Unione Europea nel1992, si trova ad affrontare. Fino al 1989 l’Europa ha po-tuto godere di una sorta di ‘bolla ecologica’ in cui è cre-sciuta enormemente dal punto di vista economico-com-merciale, disinteressandosi di qualsiasi tipo di integrazioneo cooperazione politica, surrogata efficacemente dalla

294

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 294

295

presenza, politica e militare, degli Stati Uniti. Quandol’euro-americano Kissinger nel 1971 si lamentava delfatto che, trattandosi di chiedere l’opinione degli alleatieuropei, lui non sapeva che numero di telefono chiamareperché l’Europa non aveva una voce unica, esprimevanon solo la frustrazione dell’amministrazione di Washin-gton, ma forse proclamava anche il suo personale di-sprezzo per l’incapace, immobile vecchio continente,ricco e tardo, seguace di Venere e non di Marte. Con lacaduta del Muro di Berlino nel 1989 si assiste, tuttavia, auna accelerazione del processo di integrazione: nascel’Unione Europea nel 1992 e si progetta l’allargamento aidieci paesi dell’Europa dell’Est gestito in maniera lungi-mirante dalla Commissione Prodi intorno agli anni 2000.Tuttavia, oggi è ancora assente una Unione Europea inpolitica estera. Come disse il Ministro degli Esteri belga inoccasione della crisi dell’Iraq nel 1990-’91, l’Unione Eu-ropea è un gigante economico, un nano politico e unverme militare: è un organismo che non sa interveniresulla scena internazionale, eppure è il primo soggetto eco-nomico-commerciale mondiale. Il suo PIL è maggiore diquello degli Stati Uniti, la sua presenza sul mercato in-ternazionale è maggiore di quella degli Stati Uniti; a que-sta dimensione economica, però, non corrispondeun’analoga dimensione politico-istituzionale. C’è unvuoto: lo abbiamo visto con la crisi nella ex-Jugoslavia econ i suoi massacri tollerati e silenziosamente subiti dal-l’Unione e lo vediamo oggi in modo eclatante con la crisinel Nord-Africa. Per questi motivi bisogna ritornare a ragionare, a pro-gettare con una visione: i francesi definiscono visionnaire

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 295

una persona che pensa a qualcosa di grande. Noi italiani,invece, quando parliamo di un ‘visionario’, ci riferiamo auna persona che non ha i piedi ben piantati a terra. Il miosuggerimento è: facciamo i francesi, cerchiamo di esserevisionari, di avere una visione, di recuperare, attualiz-zandolo e migliorandolo, il pensiero dei federalisti di Ven-totene. Cominciamo a pensare che ciò che viene richie-sto oggi all’Europa è una dimensione politico-istituzionaleper operare all’interno della scena mondiale, portatrice deisuoi valori, che non sono disprezzabili. Se mancherà que-sto, siamo destinati inevitabilmente al declino. Quando siinizia a scendere lungo la china del declino, comincianoa profilarsi anche le soluzioni à la Coudenhove-Kalergi:‘dobbiamo difenderci’. No. Non dobbiamo difenderci. Dachi? Dai cinesi, dall’India, dal Brasile, da chissà qualeStato del mondo anelerà in futuro a guadagnare un livellodi benessere economico, sociale, culturale compatibilecon il nostro? La difesa crea sempre nuovi nemici, annullagli stessi motivi per cui pensi di doverti difendere: fascomparire la serenità e crea uno stato convulsivo di at-tenzione, sospetto, cautela, rabbia. In nome della difesadella european way of living si potrebbe assurdamentegiustificare anche un accantonamento di quei vantaggi edi quelle misure di welfare che giustamente ci rendono di-versi – anche e soprattutto durante le crisi economiche –dagli Stati Uniti e dai paesi non fondati sull’economia so-ciale di mercato. Se pensiamo ‘in difesa’ siamo spacciati.Dobbiamo invece essere noi europei a proporre qualcosadi nuovo per il resto degli Stati mondiali, sulla base del-l’esperienza economico-sociale che si realizza, da più disessant’anni, grazie al processo di costruzione europea.

296

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 296

297

L’Unione Europea è un modello di integrazione regionaleammirato e replicato ovunque nel mondo e bisogna dareun senso ‘politico’ a questo modello; non possiamo as-solutamente pensare che l’Europa sia sotto assedio, per-ché in questo modo scatta la paura del diverso e dell’in-vasione che sta alla base della visione diCoudenhove-Kalergi o di Hitler. Noi non vogliamo que-sto. Come democratici e come partito moderno e serionon dobbiamo volere questo. Dobbiamo combattere intutti i modi una battaglia perché le parole ‘Europa’ ed ‘eu-ropeismo’ non vengano declinate in senso difensivo madi proposta: per un governo europeo dell’economia chefronteggi la crisi e proponga soluzioni che altrimenti re-stano ostaggio dei diversi egoismi nazionali; per un si-stema di difesa comune che scardini i gruppi di interesseche crescono all’ombra di ventisette sistemi diversi dicommesse statali militari; per una fiscalità europea che in-tegri e in parte sostituisca quella nazionale e dia più risorseall’Unione per politiche comuni dell’Unione. Siamo alla vi-gilia di una fase che vedrà sempre più in discussione esotto assedio l’integrazione economica e monetaria e ilsuo simbolo, l’euro: se non spostiamo la nostra azione sulpiano di quelle che gli americani definiscono le High Po-litics siamo inevitabilmente condannati a subire il lento lo-goramento dell’Unione Economica e a risvegliarci tutti, chipiù chi meno, nella palude degli egoismi nazionali che lanostra Lega Nord così bene impersona e propaganda. Ab-biamo un compito: essere parte attiva della storia e nonfarcela soltanto raccontare. Facciamolo.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 297

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 298

299

Mi sia consentita la parte del visionario, non so se all’ita-liana, ossia quale predicatore di miraggi irraggiungibili, oalla francese, nel senso di possedere una vision. Permettetemi a questo proposito di riportare una piccolacitazione: «Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel ri-spetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto; ab-biano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la fa-miglia, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa».Sono le parole di Giorgio Ambrosoli in una lettera a suamoglie Annalori. Con questa citazione apposta in esordio,alcuni di noi, tra i quali lo stesso Graglia e anche MatteoTrapani, hanno qualche tempo fa inviato un appello al Se-gretario del PD Bersani in cui sono contenute più o menole risposte ad alcune delle questioni sollevate qui. Per laverità il Segretario Bersani ancora non ci ha risposto: unadelle ragioni per cui ho accettato questo invito è per sot-tolineare che forse sarebbe il caso di dare una risposta aquesta pattuglia di federalisti che sono in parte iscritti, inparte vicini al PD. Cosa abbiamo scritto nell’appello al Segretario? Proba-bilmente siamo stati un po’ troppo ambiziosi, ma quantoho sentito stamattina in questo Seminario mi rassicura delfatto che almeno la nostra provocazione non era deltutto sbagliata. Noi abbiamo l’impressione che il PD ab-

Francesco GuiProfessore di Storia dell’Europa,Università La Sapienza di Roma

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 299

300

bia in qualche misura un problema di identità: chi met-tiamo insieme, dove dobbiamo andare, da dove veniamo,e via dicendo. Allora a noi è parso che attorno all’iden-tità federalista europea si possa ritrovare una storia deimovimenti popolari italiani. Ho sentito tanto parlare di si-nistra, ma l’ambizione, secondo noi, del PD deve esserequella di essere qualcosa di più che semplicemente ilpartito di sinistra legittimante una destra che dovrebbe es-sere altrettanto costituzionale. In realtà noi siamo in unasituazione in cui c’è bisogno di rifondare il modello co-stituzionale italiano. Se c’è stato un difetto, è stato quellodi accreditare il berlusconismo come parte di un sistema,di un assetto istituzionale ben fondato, di tipo per così dire‘occidentale’, che di fatto, proprio a causa del berlusco-nismo, non poteva essere tale. Qui bisogna ritornare alle radici costituzionali della Re-pubblica, fondate su un idem sentire de republica condi-viso da tutte le sue componenti politiche e di cui l’iden-tità europea e la tensione verso la sovranazionalità sonoparte integrante. L’art. 11 – lo sapete tutti – prevedevaproprio questo. E non certo come improvvisato antidoto,per quanto efficace, alla tragedia del nazionalismo belli-cista, e nemmeno come fulminante rivelazione acquisitaper imitazione del modello federale americano trion-fante, bensì come portato di una cultura consolidata,evolutasi fin dal secolo precedente e giunta a maturazioneproprio durante il fascismo e la stagione della Resistenza.Una cultura che fa parte integrante della storia dei mo-vimenti popolari europei e che non può essere ignorata,che anzi deve diventare il cemento, il fondamento, il fat-tore identitario della nostra democrazia e di quella di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 300

301

tutta l’Unione. È un peccato che ancora oggi non ce nesia abbastanza consapevolezza, né nel ceto politico, nénell’opinione pubblica e nemmeno nelle scuole o nei luo-ghi di formazione. Eppure il processo di avvicinamento deipopoli alla costruzione della democrazia europea nonsolo va raccontato, ma deve essere riconosciuto comeparte integrante della storia del Partito Democratico. Inquella storia non c’è solo Richard Nikolaus di Couden-hove-Kalergi e la sua Paneuropa: in realtà, anche se il par-ticolare è praticamente sconosciuto, quando nel 1867, aGinevra, si tenne il Congresso della Pace, dei Diritti del-l’Uomo e degli Stati Uniti d’Europa, a presiederlo venneinvitato Giuseppe Garibaldi e vi si parlava di federazioneeuropea. La Prima Internazionale stessa condivideva lar-gamente questo obiettivo. E sempre a proposito di Gari-baldi, nei giorni di Teano egli non solo consegnò il Mez-zogiorno a Vittorio Emanuele, ma lanciò un appello aigovernanti di tutta Europa per la federazione europea. Certo, poco dopo Ginevra il continente avrebbe cono-sciuto una svolta per molti aspetti non prevista, quella del-l’unificazione tedesca e dell’affermazione del modellobismarckiano, che avrebbe fatto svanire molti sogni nelnulla. Tuttavia il messaggio degli Stati Uniti d’Europa èsempre riscontrabile nelle tradizioni della Prima e anchedella Seconda Internazionale; lo possiamo ritrovare nelpensiero socialista e democratico, non meno che in Nitti,in Einaudi, in Rosselli, in Ernesto Rossi e in tutto un in-sieme di esperienze storiche che culminano, infine, in Al-tiero Spinelli e nel Manifesto di Ventotene, di cui si cele-bra nel 2011 la ricorrenza dei settant’anni. Ma chi era, ancora, Altiero Spinelli? Era un giovane mili-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 301

302

tante comunista, destinato a passare dieci anni in prigionee sei al confino, prima di essere liberato nell’agosto del’43. Non era insomma un antifascista del 25 aprile, eraandato in galera nel ’27, apparteneva a quella genera-zione contrappostasi al fascismo fin dagli esordi, avevacollaborato con Gramsci, era stato arrestato come diri-gente della FGCI. Proprio per questo, in definitiva, avevatutte le carte in regola per trasformarsi in un credibile in-novatore, in grado di riscoprire e rilanciare la prospettivadel federalismo europeo, rispetto alla soluzione marxista-leninista, per portare finalmente un attacco radicale almito dello Stato nazionale e della sua sovranità assoluta.Stamattina ho sentito parlare tanto di Marx: anche qui,secondo me, bisogna fare un salto di qualità. La figura diSpinelli ci propone proprio questo. Oggi di Marx si sonorichiamate l’interpretazione politica, il tema della criticaalla democrazia formale e la battaglia in nome di una de-mocrazia sostanziale. Alla base di quel pensiero vi eral’idea della lotta di classe. Ma noi condividiamo ancoraun’impostazione teorica fondata sulla lotta di classe, sulsuperamento necessario della borghesia e del capitalismonel nome dell’affermazione del proletariato e del collet-tivismo? Oppure, come sostenne Spinelli all’epoca, ilvero problema della società occidentale risiedeva nellasussistenza e nella presunta autosufficienza degli Stati na-zionali sovrani, nemici l’uno dell’altro? Nell’idea delloStato nazionale che non riconosceva alcuna legittimità, al-cuna legalità, alcuna autorità al di sopra di se stesso? Ine-vitabilmente quell’idea di sovranità statuale monoliticaaveva creato una serie di fortezze contrapposte l’una al-l’altra che si facevano guerra a vicenda. Ne seguivano, di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 302

303

riflesso, una società militarizzata e l’insegnamento nellescuole del mito della razza o della nazione. In sostanza, se leggete il Manifesto di Ventotene, peral-tro portatore di proposte di riforma sociale a carattere de-mocratico e socialista, noterete che è quasi un contraltareal Manifesto di Marx: a risultare centrale per Spinelli nonè il problema dell’inevitabile vittoria del proletariato sullaborghesia, bensì quello del superamento del modernoStato nazione, un’entità che aveva avuto tanti meriti mache ormai doveva essere rivisitata attraverso la creazionedi istituzioni democratiche sovranazionali. Questo è ilsalto di civiltà individuato da Spinelli e che ci attende an-cora oggi. Rispetto alla ricostruzione di Graglia mi permetto di ag-giungere un particolare: la percezione quasi incande-scente della necessità di anteporre la sovranazionalitàdemocratica ad altri obiettivi fu avvertita in tutta la suadrammaticità, da parte dei confinati di Ventotene, nellafase più drammatica della guerra mondiale, ovvero dalloscoppio del conflitto fino al ’41. Non a caso il Manifestoè stato scritto nella prima metà di quell’anno, quando nonsolo imperversava l’hitlerismo, ma l’Unione Sovietica erapiù o meno convivente con esso e gli USA si mantene-vano ancora ai margini del grande massacro. Quello fu il momento della solitudine assoluta dell’Eu-ropa, e solamente allora venne elaborata e sistematizzatala concezione dell’inadeguatezza degli Stati nazionali,che Spinelli avrebbe portato avanti tutta la vita, tanto dadiventare alla fine parlamentare europeo, grazie ai voti delPC, e condurre a buon fine la sua ultima grande impresa,culminata con il voto dell’assemblea di Strasburgo del 14

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 303

304

febbraio 1984, con cui venne approvato il progetto diTrattato di Unione Europea, detto anche ‘Progetto Spi-nelli’, che avrebbe aperto la strada alla trasformazionedelle istituzioni comunitarie durata nei decenni successivie per la verità non ancora conclusa. Come vedete, attorno al progetto federalista europeo, dauna parte abbiamo tutta una storia sulla quale educare igiovani, su cui dare un’identità alla Repubblica e spiegarel’impegno spesso straordinario di tante generazioni chehanno sofferto, se non dato la vita per tutto questo; dal-l’altra, possediamo un progetto per il futuro, ovvero dob-biamo portare a compimento un salto di civiltà finora ri-masto incompiuto e che a tratti può sembrare un po’visionario, ma che è carico di profonde ragioni e di asso-luta concretezza. Perché poi, a ben vedere, ogni demo-crazia, ogni regime politico si fonda su una visione ge-nerale: la politica non può essere ridotta al dispotismo deisondaggi o a una mera tecnica di governo. Dobbiamo es-sere più ambiziosi: la politica va concepita sulla base diun’idea generale, di una prospettiva di futuro. Gli StatiUniti d’America, già durante la Prima Guerra Mondiale,diffusero l’idea della democrazia e del liberismo econo-mico, risultando per questo più avanzati dell’Europa, laquale vagheggiava ancora l’imperialismo coloniale. Unmovimento democratico che abbia consapevolezza diquesta storia e che, al tempo stesso, voglia innovare, devesapere andare oltre: all’idea della libertà dei commerci edelle opportunità individuali, che è indiscutibilmente ilgrande merito americano, bisogna aggiungere forme isti-tuzionali di protezione collettiva a tutela dei meno favo-riti, da realizzarsi a livello europeo. Abbiamo tutti sotto gli

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 304

305

occhi i meriti del modello americano: sicuramente la dif-fusione di Internet è una grandissima conquista, ma as-sistiamo anche al dilagare di diseguaglianze ormai ecces-sive. Qui risiede tutta l’attualità e la potenza del messaggio diSpinelli, un messaggio che, ripeto, egli portò avanti tuttala vita, anche all’interno delle istituzioni: egli andò alParlamento europeo, grazie a Berlinguer e ad Amendola,per dare appunto garanzie democratiche anche all’attualeprocesso di globalizzazione ed evitare che si fosse allamercé di quel liberismo che abbiamo conosciuto nella sto-ria del reaganismo. Urgeva, in definitiva, superare gliegoismi criminali e al tempo stesso le grettezze delloStato nazionale europeo, diventato nel frattempo troppopiccolo, per difendere, all’interno di un sistema istituzio-nale adeguato, tanto la libertà quanto la dignità degli in-dividui, delle persone («autonomi centri di vita», dice ilManifesto), ora ridotte a strumenti della macchina statale,ora a materiali a disposizione di un liberismo senza leggie senza garanzie.A nostro avviso, dunque, vale a dire stando ai federalistiche hanno sottoscritto l’appello al Segretario del PD, unpartito che abbia la voglia di recepire questa tradizione enello stesso tempo di inverarla, ha le potenzialità perporsi come rifondatore dello Stato democratico e non sol-tanto come una parte che si contrappone ad un’altra. Na-turalmente si deve prevedere l’alternanza, ovviamente sipossono avere visioni diverse, ma non è possibile pro-gredire in una situazione in cui una componente mandain pezzi lo Stato della Costituzione e l’altra dovrebbe di-fenderne l’identità. La nostra domanda è allora questa:

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 305

306

vuole il PD farsi carico di un simile problema? Se la ri-sposta è sì, allora bisogna avere una visione non solo ita-liana, ma europea, propria di chi appartiene ad uno Statofondatore dell’Unione. Sembrerà paradossale, ma se vo-gliamo ricondurre il paese sul solco della Costituzione emetterlo di fronte ai doveri (le sfide, si dice oggi) del no-stro tempo, ci vuole altra cosa che il patto con gli italiani,per parte sua affondato nella ‘monnezza’, come tuttisanno: in realtà il patto vero deve essere sottoscritto congli europei e nella prospettiva europea.Soltanto questo livello di impegno può assicurare la mo-tivazione, gli strumenti, le cognizioni per fare al tempostesso le riforme interne e restituire consistenza all’interacompagni nazionale, ovvero consapevolezza delle vereproblematiche della nostra epoca, ormai obnubilate dauna conflittualità interna tanto sterile quanto deprimente.A nostro avviso l’unico modo per realizzare questogrande, importante passo consiste nell’essere influenti,credibili e dotati di progettualità nelle sedi decisionali eu-ropee. Ma per andare in questa direzione occorrono cul-tura, preparazione, dedizione, senso dello Stato e dellacollettività, come in parte abbiamo avuto in passatoquando Spinelli e De Gasperi collaboravano e c’era con-sapevolezza delle battaglie che valeva la pena combat-tere. Di fatto, oggi manca la cultura dell’appartenenza al-l’Unione, un’Unione che ha influenza enorme sulla nostravita, con i suoi straordinari pregi ed anche con i suoi di-fetti, certo da riformare, purché si sia dotati dell’autore-volezza per farlo. Voi oggi aprite il Corriere della Sera (perfare il nome di un quotidiano diffuso su ampia scala e cheforma l’opinione pubblica in questo paese) e vi annun-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 306

307

ciano battaglie furiose sul crocifisso fra l’Italia e l’UnioneEuropea, quando si tratta di una questione che conl’Unione Europea non ha niente a che fare. Quando unodei maggiori commentatori italiani non distingue fra Con-siglio d’Europa e Unione Europea, come pensate che noisi possa avere un’influenza a quel livello? È un problemache dobbiamo porci, anche perché non si tratta di un casoisolato. In questo nostro documento abbiamo esemplificato an-che altri temi assolutamente trascurati e che pure sonofondamentali per capire in quale direzione stiamo an-dando. Vi rivolgo a questo proposito una domanda:quando andate a votare per il Parlamento europeo, rite-nete che il vostro voto di italiani pesi come quello deglialtri europei? Penso che tutti ritengano di sì, ma non ècosì. Ebbene, le istituzioni nate dal Trattato di Lisbona me-ritano una profonda riflessione, prima di tutto a livellogiuridico-costituzionale, per capire se il modello attual-mente vigente ci porta in prospettiva verso uno scenariofederale oppure verso una confusione di principi e di po-teri da cui potremo uscire soltanto tramite la balcanizza-zione dell’Europa. Forse non ne siamo pienamente con-sapevoli, ma il fatto – e qui torniamo a Spinelli – che ognipiccolo Stato europeo entri a far parte dell’Unione con ilriconoscimento della propria statualità nazionale sovrana,e dunque ciascuno con diritto di veto, è estremamentepericoloso. Per fare un esempio, fra un po’ entrerà ilMontenegro, che avrà diritto di veto sulla politica fiscalee imporrà il proprio no all’ingresso della Turchia. Di fatto,nella vecchia Yugoslavia hanno intelligentemente creato,da uno che era, una flottiglia di piccoli Stati, ognuno do-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 307

308

Le parole e le cose dei democratici

verosamente aspirante ad un posto di commissario eu-ropeo, di membro della Corte di Giustizia, ovvero dellaCorte dei Conti. Tornando al Parlamento, l’Olanda, consedici milioni di abitanti, elegge ventisette parlamentari;viceversa, tutti gli Stati piccoli, ammontanti complessiva-mente a quindici milioni di abitanti, eleggono sessanta-cinque parlamentari: perciò, quale giudizio dobbiamodare delle maggioranze che si formano nell’europarla-mento? Ma il problema non si arresta qui: gli equilibri si defor-mano sempre più man mano che altri paesi entrano a farparte dell’Unione. In definitiva, dal momento che si è ri-conosciuto che nel Consiglio europeo conta anche la po-polazione, si è legittimato il Consiglio più del Parlamento,mentre noi continuiamo ad affermare che la sede dellavolontà popolare è il Parlamento.Questo è solo un esempio per dimostrarvi che vi è una se-rie ampia di temi di capitale importanza che vanno af-frontati per evitare la balcanizzazione dell’Europa, eppurerimangono del tutto rimossi dalla discussione pubblica edalla consapevolezza di grandissima parte dei cittadini eu-ropei. Ad aver sollevato il problema in questo caso è statala Corte tedesca di Karlsruhe che, intervenendo sul Trat-tato di Lisbona, ha affermato che in Europa il principio de-mocratico sintetizzabile nella formula ‘one man, onevote’ è disatteso. In pratica, finché non avremo un mo-dello federale, il Parlamento tedesco, e di certo non soloquello tedesco, si riserverà di sindacare sulle decisioni del-l’Unione, indebolendone la credibilità. Il che, da unaparte, costituisce una riserva sul futuro dell’Unione, ma,dall’altra, riafferma il principio che solo il modello fede-

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 308

309

rale può risultare pienamente accettabile e condivisibile. Questi sono i compiti della grande politica della nostraepoca, ma per affrontarli adeguatamente occorre essereall’altezza delle situazioni: avere consapevolezza dei pro-blemi e insieme la capacità di affrontarli. La nostra pro-vocazione, dunque, è questa: se accoglie questa ereditàe questo impegno per il futuro, il PD può essere l’unicaforza italiana in grado di avviare credibilmente un discorsodavvero innovativo, in continuità con la storia dei grandimovimenti popolari e al livello necessario per incidere neiprocessi storici. Potete trovare il nostro appello sul sito diGraglia ed anche su quello della pubblicazione Gli StatiUniti d’Europa (www.glistatiunitideuropa.eu, che si ri-chiama all’omonima rivista edita in tre lingue dopo il1867). Anche i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia nonpossono che essere letti in questa prospettiva. Nel Risor-gimento, tra l’altro, vi era la consapevolezza forte e niti-dissima che l’unità del paese non era la fine di un pro-cesso, ma una tappa verso la creazione di una coesistenzadegli Stati europei. Tornando alle sfide dell’Unione, quando leggiamo che inGermania e in Francia, nonostante la crisi, gli investimentinei settori dell’università e della ricerca sono aumentati,credete che lo facciano solo perché sono virtuosi? Oforse perché i governi tedesco e francese ritengono, giu-stamente, che alla fine della crisi un paese esca più fortee prima degli altri se intraprende investimenti in settoricruciali come quelli? Pur accettando la politica di Tremontie l’appoggio della Lega, noi italiani non possiamo faresolo una politica di contenimento della spesa: occorronoanche investimenti seri, che possono realizzarsi soprat-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 309

310

tutto a livello europeo, ma anche sul piano interno, mi-rando nella medesima direzione. Gli esempi dei compiti che ci attendono potrebbero pro-trarsi a lungo: in tema di Corte di Giustizia europea siamodisponibili ad accettare le sentenze di una Corte in cui, se-condo il principio in base al quale ogni Stato ha diritto auna poltrona, la maggioranza dei giudici sarà presto com-posta da membri appartenenti ai paesi entrati per ultiminell’Unione Europea? Ma una Corte di questo tipo avràpoi la legittimità adeguata per affrontare i grandi problemidella nostra società? Oppure sarà necessario introdurredelle riforme istituzionali per realizzare una Corte di Giu-stizia paragonabile alla Corte federale americana? Un altro quesito ancora, l’ultimo, per concludere: quandofacciamo delle riforme nel nostro paese, comprese quelledell’università, a quali modelli guardiamo? Ci ispiriamorapsodicamente a quello australiano, americano o giap-ponese, oppure esiste un contesto europeo, caratterizzatotra l’altro dalla moneta unica e dal mercato unico, che ciprospetta modelli, attraverso le esperienze dei paesi checi sono vicini, con cui dobbiamo vagamente confrontarci,dato che viviamo nella stessa area socio-economica? Senoi non adottiamo sistematicamente per la nostra legi-slazione il riferimento europeo, come Tommaso PadoaSchioppa faceva e ha sempre fatto quando era Ministrodell’Economia, non solo non potremo mai fare quel saltodi civiltà che Spinelli esortava a compiere, ma forse fini-remo per regredire parecchio, come l’esperienza di que-sti anni recenti sembra dimostrare. Soltanto questa con-sapevolezza ci può consentire di essere concreti. Questaè la provocazione che abbiamo fatto a Bersani – sicura-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 310

311

mente meglio illustrata nell’appello rispetto a quanto dame sintetizzato in questa sede – e sulla quale vorremmoavere una risposta.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 311

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 312

313

Austerità europea senza crescita? Crescita europea senzademocrazia? Come i cittadini europei possono rilanciareil progetto europeo e vincere l’euroscetticismo.Il progetto europeo è in crisi. I cittadini europei noncomprendono più la sua rilevanza e le sue finalità. I gio-vani e l’attuale classe dirigente europea sembrano averdimenticato il chiaro messaggio contenuto nel progettoeuropeo lanciato appena dopo la Seconda Guerra Mon-diale ‘mai più guerre tra europei’. I padri fondatori del-l’Unione Europea sono appena menzionati nei libri di te-sto di storia, ma l’Europa contemporanea è percepitacome un’irritante burocrazia. In Europa, la pace e la sta-bilità economica sono considerate come uno stato di na-tura, come un dono caduto dal cielo. Perché tenere invita un’inutile UE?La condizione dell’UE sta degenerando rapidamente. Inquasi tutti gli Stati membri, le forze anti-europee stannoguadagnando consensi. Il populismo non è una nuovaideologia e non è necessariamente europeo: basti pensareal peronismo. Nell’Europa contemporanea il populismo èuna nuova espressione del nazionalismo. In Italia, la LegaNord fa parte del governo euroscettico di Berlusconi. InFrancia, il Fronte Nazionale sta erodendo l’egemoniadella UMP. In Belgio i contrasti tra fiamminghi e valloni

Guido Montani Professore di Economia Politica Internazionale,Università di PaviaVicepresidente dell’Unione dei Federalisti Europei

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 313

314

stanno mettendo in pericolo l’unità dello Stato. In Olanda,in Ungheria, nella Repubblica Ceca, in Austria e in Fin-landia le forze populiste o sono al governo o lo influen-zano considerevolmente.Il nazional-populismo è differente dal nazionalismo delpassato. Il nazionalismo di De Gaulle era un’ideologiafondata sulla ‘grandeur’ della storia della Francia e suun’idea d’Europa concepita come ‘Europa delle Patrie’ dicui la Francia sarebbe stata la leader nella politica inter-nazionale. Il nazional-populismo contemporaneo è unaforma di micro-nazionalismo: si oppone al progetto eu-ropeo, ma senza avere una precisa alternativa. Proprio perquesto il populismo è pericoloso. Il suo obiettivo è nonsolo di interrompere il progetto unitario europeo ma an-che di disgregare i vecchi Stati nazionali trasformandoli inmicro-Stati etnici, come è avvenuto nella ex-Jugoslavia.Il populismo europeo e l’euroscetticismo sono due faccedella medesima medaglia. I partiti democratici pro-euro-pei non li possono sconfiggere entro i confini dello Statonazionale. Entrambi sono il prodotto della crisi del pro-getto europeo. La crisi è iniziata con la fine della guerrafredda, a causa dell’incapacità dei leader dell’UE di sfrut-tare la favorevole occasione dell’allargamento per portarea compimento il progetto iniziale dei padri fondatori. Ba-sti ricordare un certo numero di occasioni perse. Il Trat-tato di Maastricht è stato un insoddisfacente compro-messo: un’Unione Monetaria senza Unione Economica eUnione Politica. La Convenzione europea ha elaboratouna Costituzione europea senza includere un governo eu-ropeo. Inoltre, non ha mutato la regola dell’unanimità perla procedura di ratifica, sebbene il principio della doppia

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 314

315

maggioranza dei cittadini e degli Stati fosse stato accoltonel progetto di Costituzione. Avvenne così che, quandoi francesi e gli olandesi votarono con referendum controil Trattato-Costituzione, nessuno osservò che una ‘mino-ranza’ di cittadini si era espressa contro, mentre una‘maggioranza’ era favorevole. Ora abbiamo il Trattato diLisbona che è considerato un sostituto del Trattato-Co-stituzione. Nel frattempo l’atmosfera politica è cambiata.La vecchia generazione che aveva sperimentato i malidella guerra è fuori causa. La nuova classe politica è alleprese con nuovi problemi: il terrorismo internazionale, ledifficoltà dell’allargamento, l’immigrazione, le sfide dellaglobalizzazione, la sempre più difficile intesa tra le duesponde dell’Atlantico e l’incapacità dell’Europa di stimo-lare la crescita economica.In questa nuova atmosfera politica, l’Unione Europea èconsiderata più un insieme di istituzioni utili ai governi na-zionali, ma non più come un progetto a lunga scadenzache vale la pena di perseguire («le prime assise della Fe-derazione europea», come si sosteneva nella Dichiara-zione Schuman). Inoltre, il potere relativo tra Francia eGermania, il vecchio motore dell’integrazione europea, èmutato radicalmente. Dopo la guerra, la Francia era il soloStato in grado di prendere l’iniziativa di unire l’Europa elo fece. Ora, dopo la sua unificazione nazionale, la Ger-mania mira a un nuovo status mondiale, economico e po-litico, come la sua ambizione di entrare nel Consiglio disicurezza dell’ONU dimostra. Così, lentamente ma ine-sorabilmente, il motore franco-tedesco dell’integrazioneeuropea si è trasformato in una sorta di Direttorio. Poichéil Trattato di Lisbona non ha risolto il problema del go-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 315

316

verno europeo, Francia e Germania hanno cominciato aproporre una ‘governance economica’ che, secondo ilPresidente Sarkozy e la Sig.ra Merkel, non dovrebbe es-sere altro che il Consiglio Europeo, dove le principali de-cisioni riguardanti la politica estera e le finanze si pren-dono all’unanimità. Il risultato di questo progetto è che,quando è scoppiata la crisi finanziaria, il Direttorio franco-tedesco ha preso la leadership, imponendo soluzioni in-tergovernative al di fuori del tradizionale ‘triangolo isti-tuzionale’, vale a dire Parlamento europeo, Commissionee Consiglio dei Ministri. Secondo i Trattati, queste istitu-zioni devono decidere sulla base del metodo comunita-rio: il Parlamento europeo e il Consiglio dei Ministri co-legiferano e la Commissione esegue (in questo caso laCommissione diventa ‘il governo’ dell’Unione). Al con-trario, il Direttorio esclude quasi del tutto il Parlamentoeuropeo dal processo decisionale.Per quanto riguarda la crisi finanziaria, senza voler entrarein una pedante descrizione delle decisioni prese, è suffi-ciente osservare che il problema è stato così affrontato:quanto i paesi virtuosi dell’Unione devono pagare per evi-tare il fallimento di quelli viziosi, i cosiddetti PIGS? Per farequesto, è stato istituito, grazie a una riforma del Trattato,un Meccanismo di Stabilità Finanziaria (ESM) che rimanesotto il controllo dei governi nazionali. Questo meccani-smo, insieme al semestre europeo, dovrebbe migliorareil rispetto delle regole fiscali da parte dei governi nazio-nali e garantire la necessaria austerità. Si tratta di un mi-glioramento del Patto di Stabilità e di Crescita. Ma essoperpetuerà anche i conflitti tra i governi nazionali. Alcontrario, una soluzione rispettosa dello spirito europeo,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 316

317

e che non avrebbe richiesto alcuna riforma del Trattato,era alla mano: sarebbe bastato concordare un aumentodel bilancio europeo della stessa dimensione dello ESM,attribuendo nuove risorse proprie all’UE. L’Unione Mo-netaria è l’istituzione che assicura un bene pubblico eu-ropeo cruciale: la stabilità monetaria. Se l’Unione Mone-taria è in pericolo, a causa della cattiva amministrazionedi qualche Stato membro, questo Stato è tenuto a ri-spettare le regole concordate, ma tutti i cittadini europei,al di là della loro nazionalità, devono contribuire al sal-vataggio dell’Unione.Il Direttorio è non solo inefficiente, perché produce solu-zioni deboli e provvisorie ai problemi europei; è anche in-stabile, perché, quando è in discussione l’economia, laGermania assume la leadership, ma quando la situazionerichiede un impegno militare – com’è successo per la Li-bia di Gheddafi – la Francia prende la leadership; è nondemocratico, perché discrimina i piccoli paesi ed escludeil Parlamento europeo (dunque i cittadini) dal processodecisionale (possono i cittadini europei e il Parlamento eu-ropeo esprimere un voto di sfiducia verso il Direttorio?);è dannoso, perché alimenta l’erronea convinzione chel’UE sia solo uno strumento ausiliario ai governi nazionalie che una maggiore unità politica non sia necessaria. Perconcludere, il metodo intergovernativo e la volontà di isti-tuire un Direttorio europeo sono le vere cause dell’euro-scetticismo, la rinascita del nazionalismo e l’affermazionedei movimenti populisti in Europa.Nonostante la crisi dell’UE, il progetto europeo non èmorto. L’attuale classe politica è incapace di elaborare una‘visione’ del futuro dell’Unione Europea, ma fortunata-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 317

318

mente le istituzioni create dai padri fondatori sono piùsagge. Jean Monnet ha sostenuto che «la vita delle isti-tuzioni è più lunga di quella degli uomini e pertanto le isti-tuzioni possono, se ben progettate, accumulare e tra-smettere la saggezza alle generazioni successive». Questoè il caso del Parlamento europeo, un’istituzione concepitagià nella CECA. Dopo la sua elezione a suffragio univer-sale, nel 1979, il Parlamento europeo è divenuto la solaistituzione legittimata a rappresentare la volontà dei cit-tadini europei. In effetti, in occasione di ogni revisione deiTrattati, il Parlamento europeo è stato capace di accre-scere i propri poteri. Ora, con il Trattato di Lisbona, haconquistato anche il potere costituente di avviare la pro-cedura per riforma dei Trattati. Alcuni avvenimenti recentimostrano che il Parlamento europeo sopporta sempremeno l’arroganza dei governi nazionali. Vale la pena di ri-cordare almeno tre iniziative.Un gruppo di novantasette deputati europei, apparte-nenti a PPE, Verdi, S&D e ALDE, ha creato il ‘Gruppo Spi-nelli’, una rete (network) aperta ai contributi della societàcivile, sulla base di un Manifesto in cui si dichiara che sfor-tunatamente, mentre sfide formidabili di una crisi com-plessa richiederebbero risposte comuni, elaborate almenoal livello europeo, troppi politici pensano che la salvezzapossa provenire solo dal livello nazionale. In un’epocad’interdipendenza e in un mondo globalizzato, arroc-carsi alle sovranità nazionali e all’intergovernamentalismonon è solo un attacco allo spirito europeo; è assuefazionealla politica dell’impotenza. […] Il nazionalismo è un’ideo-logia del passato. Il nostro obiettivo è un’Europa federalee post-nazionale, è l’Europa dei cittadini.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 318

319

Per ora, il Gruppo Spinelli ha organizzato pubblici dibat-titi in occasione dei Consigli europei, proponendo dellecontro-posizioni come ‘Consiglio ombra’ in alternativa aquelle dei governi nazionali. Naturalmente, il suo scopoè di allargare il consenso nel Parlamento europeo e nel-l’opinione pubblica al fine di rilanciare una riforma del-l’Unione Europea.La seconda iniziativa è la riforma del sistema elettoraledel Parlamento europeo. La Commissione costituzionaledel Parlamento europeo ha approvato, nell’aprile 2011,la proposta del deputato federalista Andrew Duff per ri-servare venticinque seggi a candidati eletti in liste pan-europee presentate dai partiti europei sin dalle elezionidel 2014. Questo collegio transnazionale obbligherà ipartiti europei a presentare rilevanti personalità politiche,ben conosciute in tutta l’Europa, con la possibilità per unadi queste persone di diventare Presidente della Com-missione Europea se eletto – o eletta – e se il suo partito,o coalizione di partiti, otterrà la maggioranza dei voti.Ogni elettore avrà due voti: uno per la lista nazionale euno per la lista transnazionale. Secondo Duff: «i depu-tati di tutti i gruppi politici hanno raggiunto un signifi-cativo consenso sulla necessità di riformare il Parlamento.Sulla base del progetto proposto, la prossima elezione del2014 potrà assumere una genuina dimensione euro-pea. L’opportunità di usare un secondo voto per depu-tati transnazionali dovrebbe galvanizzare gli elettori con-sapevoli che i partiti politici nazionali non sono più ingrado di sostenere il processo d’integrazione europea inmodo democratico ed efficiente».La terza iniziativa è stata presa da tre deputati – Jutta

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 319

320

Haug (S&D), Alain Lamassoure (PPE) e Guy Verhofstadt(ALDE) – che hanno lanciato la proposta Europe forGrowth. For a Radical Change in Financing the EU. La-massoure è anche il Presidente della Commissione Bi-lancio del Parlamento europeo: questa proposta puòessere considerata come il necessario complemento alpiano di austerità del Consiglio. Se l’economia europeanon è in grado di crescere, di creare nuovi posti di lavoroe di competere nel mercato globale, il piano per l’auste-rità è destinato al fallimento. Come abbiamo appena os-servato, a Maastricht si è deciso di creare un’Unione Eco-nomica e Monetaria (UME), ma in realtà si è creata solola gamba M, e ci si è dimenticati della gamba E. Oggi ab-biamo una sola moneta europea, ma diciassette politichefinanziarie nazionali. Questo governo asimmetrico del-l’economia non funziona, come la crisi del debito sovranoha mostrato. Il problema è: una politica finanziaria au-tonoma per l’UE è possibile? In realtà, l’UE ha un propriobilancio, ma la sua dimensione è solo l’1 per cento del PILe gran parte del bilancio è dedicata alla politica agricola;inoltre, è praticamente finanziato solo con contributinazionali. Il risultato è che ciascuno Stato pretende un‘giusto ritorno’ dai suoi pagamenti all’UE, così che, allafine di estenuanti dibattiti tra i ministri nazionali, il bi-lancio europeo si riduce a un sostegno esterno dei bilancinazionali. Il ruolo cruciale del bilancio europeo, che do-vrebbe essere quello di provvedere alla fornitura di benipubblici europei, non realizzabili al livello nazionale,viene completamente negato.Europe for Growth propone due obiettivi ambiziosi. Ilprimo è la fine dei contributi nazionali, grazie al ritorno al-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 320

321

l’idea originaria di genuine ‘risorse proprie’. L’attuale bi-lancio dell’UE può essere interamente finanziato con l’1per cento della TVA, una carbon tax e una tassa, even-tualmente, sulle transazioni finanziarie. Il secondo obiet-tivo è un piano d’investimenti pubblici finanziato intera-mente da Project Bond emessi dalla BEI. La ragionefondamentale per questo piano è chenelle ultime tre decadi il tasso d’investimenti pubblicinell’eurozona è diminuito di più dell’1 per cento del PIL.Questo trend ha contribuito significativamente a trasfor-mare l’eurozona in un’area a basso tasso di crescita.Questa tendenza deve essere invertita. Ciò può essere ot-tenuto con una nuova emissione di Project Bond alloscopo di far aumentare il tasso di investimenti pubblicinella eurozona dell’1 per cento del PIL. Poiché il PIL del-l’eurozona ammonta approssimativamente a € 10.000miliardi, questo significa che deve essere effettuata unanuova emissione annuale di Project Bond di 100 miliardidi euro. Va notato che la dimensione di questo piano è pari a trevolte il Piano Delors del 1993.Queste tre iniziative sono cruciali per mutare il significatoe l’esito delle prossime elezioni europee del 2014. Dal1979, la partecipazione elettorale è continuamente di-minuita da un’elezione all’altra. La spiegazione è semplice.Poiché non vi è in gioco una vera scelta politica e non viè un vero governo che i cittadini possano scegliere, le ele-zioni europee si riducono a una sommatoria di elezioninazionali. Il Parlamento europeo non è considerato un’isti-tuzione cruciale per il futuro dei cittadini e, in effetti, ilConsiglio – vale a dire i governi nazionali – pretende di es-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 321

322

sere il solo organo a prendere le maggiori decisioni. Mase i cittadini potranno scegliere, in una circoscrizione eu-ropea, un leader europeo che possa diventare anche ilPresidente della Commissione Europea, e se i maggioripartiti europei includeranno nei loro programmi un effi-cace piano per la crescita europea, per più investimentipubblici e per più posti di lavoro, i cittadini potranno fi-nalmente trovare un reale interesse a partecipare all’ele-zione europea. E se questo avverrà, il prossimo Parla-mento europeo dovrà tenere fede alle promesse fatte incampagna elettorale. Una politica per la crescita non puòavere successo senza il sostegno attivo dei cittadini, le or-ganizzazioni della società civile, i partiti politici e i sinda-cati; in definitiva, una politica europea della crescita è im-possibile senza democrazia europea.La partecipazione dei cittadini al progetto europeo non sipuò limitare all’occasione delle elezioni europee. In unacomunità democratica i cittadini discutono pubblicamentele opzioni politiche e prendono quotidianamente posi-zione pro o contro le posizioni assunte dai partiti e dal go-verno. Ma uno spazio pubblico europeo e un popolo eu-ropeo esistono? L’opinione sostenuta dagli euroscetticisecondo cui uno spazio pubblico europeo e un demos eu-ropeo non esistono ha influenzato significativamentel’esito del dibattito sulla Costituzione europea. Ora, il Trat-tato di Lisbona offre l’opportunità di superare questecritiche. Un milione di cittadini può prendere l’iniziativadi invitare la Commissione «a presentare una propostaappropriata su materie in merito alle quali i cittadini ri-tengono necessario un atto giuridico dell’Unione». Na-turalmente, anche le forze euroscettiche potranno sfrut-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 322

323

tare l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). In effetti, ogniICE può stimolare utili dibattiti pubblici nella UE e pro-vocare una risposta da parte dei partiti politici e delle isti-tuzioni europee. In ogni caso, la ICE può essere sfruttataper promuovere l’unità politica dell’Europa. Ad esempio,una ICE potrebbe invitare la Commissione a predisporretutti gli atti legislativi necessari per realizzare la propostaEurope for Growth. Questa iniziativa potrebbe esseresostenuta non solo dai maggiori partiti europei, ma an-che dai sindacati, dalle associazioni degli industriali, daigoverni locali, dalle organizzazioni della società civile e dainnumerevoli cittadini.Nel 1989 molti cittadini si radunarono nelle piazze del-l’Europa orientale per rivendicare l’istituzione di regimi de-mocratici. Oggi, i cittadini dei paesi arabi stanno prote-stando e lottando contro i loro dittatori. Ogni popolodeve trovare la propria via e i propri mezzi per affermareo far avanzare la democrazia. In Europa non vi è un dit-tatore con un preciso volto da combattere. Il nemicodella democrazia europea è l’intergovernamentalismo,con la sua base ideologica: l’euroscetticismo. Se la ICE quiproposta avrà successo, gli euroscettici non potranno piùsostenere che un demos europeo non esiste e si apriràcosì la via per trasformare l’Unione Europea in una verademocrazia sovranazionale.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 323

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 324

325

Ho molto apprezzato la scelta del titolo di questo Semi-nario. Penso infatti che uno dei problemi fondamentaliche abbiamo davanti sia proprio quello di cominciare a ri-costruire un rapporto tra le parole e le cose, perché nellamaggior parte dei casi, oltre a essere estremamente ele-vato il numero di persone che intervengono su questionidi cui non hanno la minima consapevolezza, è ancheestremamente elevato il livello di distacco che si deter-mina tra ciò che accade intorno a noi e ciò che siamo ingrado di dire, soprattutto sul piano della nostra capacitàd’interpretazione. Ad esempio, se parliamo della crisieconomico-finanziaria e dell’attuale situazione in Africa,noi abbiamo due esempi concreti di come anche i sistemistrutturati non riescano a capire o non vogliano vedere iproblemi che si pongono. Nel caso della crisi economico-finanziaria come spesso diceva Tommaso Padoa-Schioppa, la cosa più significativa fu detta dalla Reginad’Inghilterra quando incontrò gli economisti della LondonSchool of Economics che le spiegavano che cosa fosse lacrisi economica. Ad un certo punto, mettendoli un po’ nelpanico, lei chiese: ‘Ma perché voi non l’avevate capito intempo che stava per succedere tutto questo?’. La stessadomanda può essere sollevata in merito a ciò che succedein Africa.

Leonardo DomeniciEuroparlamentare PD

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 325

326

Mi ha molto colpito il fatto che ci siano stati diplomaticifrancesi, sia di destra che di sinistra, che si sono ammu-tinati contestando la politica estera francese perché nonera stata in grado di capire, o non aveva voluto capire,quello che si stava preparando nel Nord Africa. C’è unproblema, per tutti noi, di riuscire a capire meglio che cosaaccade nel mondo che abbiamo intorno, e credo che que-sto rientri anche in un ragionamento di medio e lungo ter-mine. Io sono molto d’accordo con quanti oggi mettonol’accento sul fatto che la maggior parte delle scelte chenoi compiamo non sono legate alla prospettiva di breveperiodo, ma richiedono un’idea, una prospettiva. Troppevolte, invece, accade che l’idea venga espressa e che sene parli per un giorno o due, senza che poi a quella ideasi cerchi di dare consistenza, continuità, concretezza. Do-mani e dopodomani, a Strasburgo, noi discuteremo e vo-teremo su una relazione di iniziativa parlamentare che haper oggetto la questione della finanza innovativa, checontiene molte proposte importanti; la relatrice è delgruppo dei Socialisti e dei Democratici. Tra le varie pro-poste avanzate, vi è anche quella di istituire una tassa sulletransazioni finanziarie a livello europeo. Attraverso altreiniziative stiamo cercando anche di promuovere unaspinta nei confronti dei parlamentari italiani, anche dellealtre forze politiche, perché diano il loro voto favorevolesu questo punto. Ci sono, ad esempio, molti deputati eu-ropei della CDU tedeschi che sono a favore di una tassadi questo tipo sulle transazioni finanziarie e contestanol’alibi, che attualmente si sta utilizzando, secondo cui sitratterebbe di un’iniziativa interessante ma irrealizzabile.Non è vero: noi chiediamo e crediamo che sia possibile.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 326

327

Come primo step vogliamo cominciare ad applicare unatassa sulle transazioni finanziarie a livello europeo e mar-tedì avremo un voto importante da questo punto di vi-sta. Se avete un po’ di tempo, mandate una mail a tuttii deputati italiani del Parlamento europeo perché si ren-dano conto che votare a favore di questa proposta èmolto importante e di interesse per tutti noi. Perché dico questo? Perché – lo accennava prima ancheMontani – la situazione oggi è complicata, anzitutto peruna questione di rapporti di forza: nel Parlamento euro-peo, per la prima volta da un certo numero di legislature,il gruppo di maggioranza relativa non è più il gruppo so-cialista ma quello del Partito Popolare Europeo, che purenon ha al suo interno i conservatori britannici. A livello diStati nazionali ci sono ventisette paesi membri dell’UnioneEuropea: soltanto sei tra questi paesi hanno governi cheo sono di sinistra, socialisti, o vedono la partecipazione diforze progressiste socialiste. Adesso c’è stato un risultatoimportante in Irlanda, ma anche lì si tratterà di formare ilgoverno. Inoltre la situazione è tale per cui i governi so-cialisti sono in questo momento concentrati nei paesiche hanno il maggior numero di problemi: si pensi allaGrecia, al governo socialista in Portogallo, al successo orain Irlanda, tutti paesi che certo non vivono, in questo mo-mento, una situazione facile. Ecco perché questo è unmomento importante, che richiede iniziative politichecoraggiose e di ampio respiro. Non sempre, poi, i leaderdi questi governi socialisti agiscono in una logica che èquella di riuscire a indicare una prospettiva diversa perl’uscita dell’Europa dalla crisi: il problema di fondo è pro-prio questo. Nessuno di noi può mettere in discussione

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 327

328

che bisogna fare delle politiche che stiano attente ai bi-lanci pubblici; non c’è alcun dubbio che bisogna teneresotto controllo la spesa pubblica. Tuttavia, non è vero che esiste un solo tipo di via d’uscitapraticabile, una sola risposta possibile alla crisi economica,finanziaria e sociale che stiamo vivendo in questo mo-mento in Europa. In questo momento è largamente pre-valente una soluzione sostanzialmente imperniata sulprincipio della cosiddetta fiscal consolidation, che poi al-tro non è che una politica di rigore a senso unico: essapropone in modo giusto anche forme più avanzate di co-ordinamento a livello economico, ma bisogna vedere poiin che modo questo coordinamento è realizzato. Qui c’èil problema del ruolo che in questo momento sta eserci-tando non la Germania, ma il governo federale tedescorispetto alle risposte che si possono dare: adesso si stannostemperando e annacquando le asprezze del ‘Patto dellacompetitività’ proposto dalla Merkel e da Sarkozy con cuisi proponeva il coordinamento delle politiche economi-che, età pensionabile per tutti a sessantasette anni, il ri-fiuto dell’indicizzazione sotto a qualsiasi forma dei salari,la costituzionalizzazione dei principi riguardanti il pareg-gio di bilancio, forme di armonizzazione fiscale. Tuttemisure assolutamente giuste e opportune, ma il discrimineconsiste appunto nel modo in cui queste, concretamente,vengono realizzate. Un simile discorso è portato avanti in Europa soprattuttodai governi conservatori senza alcuna attenzione allequestioni che riguardano gli investimenti, anche quellipubblici, su scala europea, la gestione socializzata del de-bito strutturale dei paesi membri, i problemi della disoc-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 328

329

cupazione soprattutto giovanile, le possibili distorsionidel sistema europeo di welfare, da correggere mante-nendone, però, i principi della coesione sociale e del rie-quilibrio, a livello macro-economico, tra le realtà dei varipaesi. Questo credo sia il problema maggiore che ab-biamo in questo momento. Io non sono del tutto pessimista perché storicamente ri-tengo che l’Europa abbia sempre fatto dei passi in avantiquando è stata messa di fronte a situazioni drammatichee a veri e propri bivi. Ha ragione Montani da questopunto di vista: la questione fondamentale è riuscire a fartornare a prevalere la logica del metodo e del governo co-munitario. È necessario perseguire l’obiettivo dell’Europacome soggetto politico-istituzionale che parla con unavoce sola, che ha delle politiche concertate, che ha unmercato interno vero, che ha una politica energetica pro-pria, che compie scelte di sviluppo significative a livelloeuropeo. A prevalere oggi è, invece, l’esatto contrario,cioè il metodo della negoziazione fra i governi. La politicaintergovernativa è pericolosa non in sé ma perché la lo-gica negoziale che le è sottesa porta inevitabilmente, a se-conda della realtà contingente dei singoli paesi, a igno-rare quanto avviene nei paesi limitrofi in nomedell’autosufficienza nazionale. Anche qui io penso chequesto sia il momento di tornare a parlare in prospettivadegli Stati Uniti d’Europa; sono anche del parere, però,che parlare oggi in questo modo non significa annullarela dimensione e l’identità degli Stati nazionali. Questo èesattamente l’equivoco rispetto al quale molto spessodobbiamo chiarirci e anche dirci tra noi con maggiorechiarezza quello che pensiamo: le due prospettive non

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 329

330

sono incompatibili fra di loro. Noi abbiamo bisogno di unamaggiore integrazione europea, abbiamo bisogno di unapolitica monetaria, abbiamo bisogno di una politica eco-nomica, abbiamo bisogno di una tassazione europeavera, abbiamo bisogno di fare i cosiddetti euro-bond, nonsolo per ridurre il debito ma anche per favorire lo svi-luppo. Allora queste sono le questioni su cui oggi siamosfidati e su cui credo che si debbano ricostruire l’identitàe il profilo politico e programmatico di un’area di sinistrademocratica e progressista a livello europeo.Allo stato attuale, rimanendo al livello degli Stati nazio-nali, non c’è la possibilità di indicare una via di uscita equae solidale che tenga conto anche del fatto che una cre-scita deve avere, prima di tutto, una compatibilità conl’ambiente e con il clima del nostro continente. Ricordol’ultima audizione che abbiamo fatto con Tommaso Pa-doa-Schioppa alla Commissione Affari Economici e Mo-netari: giustamente il punto di cui si discuteva era ap-punto questo. Se si deve riformare il patto di stabilità, nonsolo occorre inserire degli indicatori di carattere econo-mico-sociale importanti come la crescita, lo sviluppo el’occupazione; dobbiamo anche rovesciare la logica se-guita fino adesso, quella del patto di stabilità, secondo cuigli Stati facevano lo sviluppo e l’Europa controllava i bi-lanci. Il risultato abbiamo visto molto chiaramente tuttiquale è stato. Giustamente i tedeschi oggi se la prendonocon i greci per aver truccato un po’ i conti in qualche mo-mento; fanno, però, finta di dimenticarsi che alcuni annifa, quando Francia e Germania hanno sforato sul rapportodeficit/PIL, sono state cambiate momentaneamente le re-gole del gioco. Allora questo significa che quel sistema –

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 330

331

l’Europa controlla e gli Stati fanno le politiche economi-che – non vale più. Oggi, invece, abbiamo bisogno di po-litiche responsabili e sostenibili a livello di bilanci negli Statimembri, così come di uno sviluppo a livello europeo. Eccoperché gli euro-bond, ecco perché la tassa sulle transa-zioni finanziarie, ecco perché la politica degli investi-menti, ecco perché il tema dell’occupazione e degli equi-libri macro-economici, ecc.: tutte questioni su cui trapoco si pronuncerà in modo più specifico e competenteSilvano Andriani. Io vorrei concludere toccando una questione di caratterepolitico, dato che ci troviamo a discutere all’interno diun’iniziativa del Partito Democratico. Anche a partiredalla mia esperienza di questo poco più di anno e mezzonel Parlamento europeo, io ho consolidato un’idea cheavevo già prima: se l’Italia vuole pesare più di quanto pesioggi (ma pesa poco anche il Partito Democratico nel di-battito europeo, non illudiamoci!), dobbiamo fare unascelta precisa. Tenendo conto di tutte le particolarità,specificità e originalità di questo progetto politico che èil Partito Democratico, io credo che il nostro partito debbascegliere pienamente, organicamente e consapevolmentedi risiedere in una famiglia politica europea precisa: quelladel socialismo, della social-democrazia e del laburismo eu-ropeo. Devo dire la verità: non mi attendevo questa ac-coglienza e questo applauso, che mi fa molto piacere.Dico in modo chiaro come la penso su questo punto nonperché la mia sia una posizione ideologica: io sono ilprimo a dire che vedo nitidamente la crisi del socialismoe della social-democrazia e del laburismo europei. Ma –attenzione! – a maggior ragione io ci voglio stare dentro,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 331

332

perché proprio in questo momento posso portare uncontributo anche per innovare e cambiare. Il mio pro-blema non è attraccare in un porto sicuro e tranquillo, mastarci con la mia originalità e la mia particolarità, piena-mente, per costruire una prospettiva progressista alter-nativa in Europa, anche allargando l’area. Il problema, al-trimenti, è che noi abbiamo fatto una scelta importante– adesso siamo nel gruppo dei Socialisti e dei Democra-tici al Parlamento europeo – senza che questa sia conse-guente anche sul piano politico. Rischiamo di restare pe-rennemente in una sorta di non-luogo della politicaeuropea, in un posto che non è chiaro quale sia. Io penso,invece, che noi questa scelta la dobbiamo fare con coe-renza, con consapevolezza, con equilibrio e con convin-zione; dobbiamo quindi portarla avanti sapendo che laprospettiva è quella di costruire qualche cosa che vada ol-tre l’esperienza storica dello stesso socialismo europeo,senza però starne fuori. La sfida che abbiamo è appuntoquella di starci dentro pienamente con la nostra origina-lità.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 332

333

Può l’Europa essere una delle ‘parole’ del Partito Demo-cratico? Mi pare sia questo ciò che vi state chiedendo quia Pisa voi giovani Democratici, in questo encomiabilesforzo di costruzione di un lessico e di un vocabolario al-l’altezza delle migliori aspettative di un paese e, in parti-colare, delle generazioni più giovani.Il mio contributo sarà, spero, utile. Cercherò di portarvi unpunto di vista diverso e di lanciare alcune provocazioniche vi chiedo fin da ora di prendere come tali, comespinta ad andare oltre terreni già noti e più scontati. Vi porto il contributo, in primo luogo, della mia storia edel mio know-how. Sono una specialista dei diritti umani,vivo e lavoro a Londra, dove gestisco un programma dilavoro e un dipartimento che si occupa di misure di sicu-rezza e di cooperazione tra agenzie. Ma sono anche unadirigente locale del Partito Laburista, impegnata nella Fa-bian Society, uno dei think-tank più autorevoli del pro-gressismo inglese. Prima di trasferirmi a Londra, ero nelPDS, nei DS e nella Costituente del PD, nonché co-fon-datrice della rivista Inschibboleth che ha co-promossoquesta vostra lodevole iniziativa. Il mio osservatorio è, mi rendo conto, privilegiato e mi au-guro possa esservi utile nel costruire il futuro del partitodi cui voi sarete tra i protagonisti.

Ivana Bartoletti Manager e specialista di diritti umani

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 333

334

Parlare di Europa oggi significa crisi economica, paesi dasalvare dal tracollo finanziario e altri, più rigorosi, che sifanno carico dei deficit di altri. E come dare torto a queitanti che la pensano così? L’Europa è un’entità per troppi inesistente, manca di unapolitica estera comune, di un centro di elaborazioni poli-tica, economica e culturale capace di superare le diffe-renze tra Stati e porsi come interlocutore del e nel mondo.A pochi passi da qui si infiamma la rivolta del mondoarabo. Eppure, fino ad ora, l’Europa non è stata in gradodi guardare a quella richiesta di libertà con lo sguardo lun-gimirante di chi pensa che sia proprio da lì che possa na-scere un nuovo equilibrio mondiale. L’Europa tentenna, ri-ducendo tutto ad un problema di ordine pubblico, aquegli immigrati che arriveranno stremati dalle rivolte edalla fame. Tutto ciò non stupisce. I nostri sono paesi attraversati dallepaure. Basta guardare a cosa accade nei vari paesi euro-pei per rendersene contro. Sarkozy in Francia ha effet-tuato una vera e propria pulizia etnica per espelleredonne ed uomini di etnia Rom. Non si capisce bene qualepossa essere il criterio per definire l’etnia delle persone,ma certamente un provvedimento di quel tipo fa a pugnicon le tradizioni democratiche costruite dopo il nazi-fa-scismo. Come se non bastasse, il Premier francese si èmesso in testa di vietare il burqa dai luoghi pubblici, innome di una laicità che, seppur comprensibile, di certonon è all’altezza delle sfide della modernità. Ovunque in Europa dilaga la questione del burqa. Vorreisoffermarmi su questo, poiché lo trovo il sintomo non solodell’ennesimo tentativo di usare le donne come terreno

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 334

335

di scontro tra presunte ‘civiltà’, ma anche delle semplifi-cazioni estreme messe in piedi per nascondere le veresfide del multiculturalismo. Fare proclami sul divieto del burqa è grave tanto quantoimporne l’uso. La decisione della Francia di imporre il di-vieto del velo è stata motivata con anni di terribili storiedi giovani donne forzate dai loro padri ad indossare ilburqa: eppure quasi mai si parla di punizione per quei pa-dri, o di come potenziare il lavoro con le comunità persconfiggere la violenza domestica. Al contrario, le ragazzesono utilizzate come pretesto per lotte di potere e di con-trollo culturale mentre entrambi i contendenti (i padri elo Stato) sono impegnati a rendere loro la vita sempre piùdifficile. Se lo Stato non le vuole nelle scuole pubbliche,allora queste bambine e ragazze andranno a quelle isla-miche e, se lo Stato dovesse tagliare i fondi per quelleconfessionali, allora le famiglie decideranno di tenerle acasa.A me pare evidente che una decisione del genere rischidi violare il diritto all’educazione di generazioni di giovanidonne musulmane, diritto peraltro sancito nella Conven-zione Europea dei Diritti dell’Uomo all’articolo 2 delprimo Protocollo. Negare tale diritto, paradossalmentegiustificando tale violazione con argomentazioni fondatesui valori di uguaglianza, tolleranza e diritti umani, è unrischio enorme: significa ridurre le donne a mero terrenodi scontro per assecondare gli istinti più immediati e lepaure più infondate, legittimate dagli stereotipi in cui, allafine, per pigrizia, finiamo per credere tutti. Bisogna stare molto attenti a queste derive e vigilareperché siano vivi gli anticorpi che possono aiutarci nello

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 335

336

sconfiggere pericolose semplificazioni.Il tema vero, dunque, è l’incapacità dell’Europa di co-struire una visione coerente di sviluppo, che sia il fruttodi una storia europea, di una narrativa che emerga dallesue ragioni fondanti e dalle specificità che accomunano ipaesi.Il mondo sta cambiando rapidamente. La Cina avanza infretta , lasciando intravedere un futuro non lontano in cuigli equilibri mondiali saranno radicalmente diversi.Il Brasile è l’unica potenza economica che cresce coniu-gando economia e allargamento, diritti e redistribuzione.È il frutto dell’affacciarsi al mondo di masse che, fino aprima dell’arrivo di Lula, ne erano escluse. La primavera araba ci presenta l’alternativa di pensare ademocrazie di matrice islamica che, tra la sharia e i dirittiumani, scelgono diritti e libertà delle donne. Democrazieislamiche che vanno incoraggiate e sostenute: la finanzaislamica, ad esempio, potrebbe essere da esempio e dastimolo a quanti oggi si interrogano sulle moral econo-mies, su come sia possibile dopo la crisi finanziaria pen-sare a un modo più equo di condurre transazioni e ope-razioni internazionali.Di fronte a questo quadro così stimolante, cosa dovrebbefare l’Europa e, in particolare, cosa dovrebbero fare iprogressisti d’Europa? Nel Regno Unito il dibattito nel Partito Laburista è inte-ressante.Dopo gli anni del New Labour di Tony Blair prima e diGordon Brown poi, il paese è governato dall’alleanza trai Conservatori e i Liberal-Democratici. I conservatori diCameron hanno un’agenda politica che utilizza il ter-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 336

337

mine big society per designare una società in cui i citta-dini si assumano direttamente la responsabilità per il fun-zionamento di alcuni servizi locali essenziali. Il tutto innome di una nuova relazione tra cittadini e comunità. Inrealtà, si tratta di un modo più o meno velato per edul-corare i tagli al welfare e ai servizi pubblici che riportanola Gran Bretagna ai tempi di Margaret Thatcher. Quello che però è interessante notare è il dibattito internoal Partito Laburista. Un movimento di nome Blue Labour(Blue perché si avvicina al colore dei conservatori) pro-pone una piattaforma fondata su patria, comunità e fa-miglia, rispolverando il sindacalismo del movimento la-burista delle origini.Il New Labour (quello che abbracciava i mercati e la glo-balizzazione) e Blue Labour (che li detesta entrambi)hanno assolutamente poco in comune, tranne l’idea chelo Stato tolga potere alle persone che devono, invece,riappropriarsi di una dimensione di ‘cittadinanza’ attra-verso l’appartenenza ad una comunità e ad un territorio.Presto per dire cosa succederà nel partito. Ma una cosaè certa: l’elezione di Ed Miliband con il grande supportodei sindacati segna l’inizio di una nuova epoca nella sini-stra inglese.Parole come ‘socialismo’, ‘partecipazione’, ‘democrazia’e ‘radicalismo’ sono tornate in voga. L’elemento più in-teressante è quello della ‘dignità’. C’è un tema impor-tantissimo per molti nel Partito Laburista e nei think-tankche ne accompagnano l’evoluzione politica, culturale e fi-losofica: la dignità delle persone nel lavoro, nella sanità,nella scuola e nella vita privata. La restituzione della di-gnità alle persone è un tema centrale, e non è seconda-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 337

338

rio il fatto che avvenga proprio in Inghilterra, il più capi-talista e il meno europeista dei paesi europei.Io credo che sia proprio su questo terreno che i progres-sisti dovrebbero guardare all’Europa.In fondo, l’Europa è quella della Convenzione Europea deiDiritti dell’Uomo (CEDU) e di un welfare state fondatosulla persona e sulla sua dignità. In un mondo così incerto, può l’Europa rappresentare unmodello di crescita e sviluppo fondato su equità, dignitàe rispetto per le persone? In altri termini, possono i pro-gressisti di Europa, sempre più marginalizzati nelle urne,pensare ad una piattaforma comune che ripensi all’ideadi cittadinanza e di crescita? L’ingresso della Turchia in Europa deve essere visto comeuna grande opportunità: il fatto che uno Stato laico conmilioni di musulmani entri a far parte dell’Unione Euro-pea, mescolandosi con le sue tradizioni cristiane, con imovimenti che l’hanno attraversata, può essere un’occa-sione per ripensarsi drasticamente. Ma il tema vero è come le forze democratiche e pro-gressiste possano tornare a governare i paesi europeiper costruire, insieme, una dimensione internazionalenuova, un faro di democrazia per il mondo. Le destre sono al governo nella maggioranza dei paesi eu-ropei, e hanno preso possesso delle democrazie scandi-nave. Zapatero traballa in Spagna, soprattutto come con-seguenza della crisi finanziaria che ha colpitodrammaticamente la penisola iberica.Alla sinistra spetta il compito di una visione alternativa disviluppo. Non sarà possibile per la sinistra in Italia e in Eu-ropa guardare al futuro senza radicalismo nelle scelte.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 338

339

Di fronte alle chiusure della società, alle paure e ai facilislogan la sinistra dovrà presentare una narrativa capacedi parlare al cuore delle persone. Credo fortemente che proprio nei valori fondanti del-l’Europa si possa trovare l’ispirazione per le forze pro-gressiste. Soprattutto, da quei valori si potrà ripartire perporre le premesse di una nuova idea di crescita e sviluppo,capaci di superare l’insostenibilità del capitalismo attualea favore di una democrazia inclusiva, rispettosa dei dirittidi ognuno.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 339

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 340

341

Qualche settimana fa la Cancelliera tedesca Angela Mer-kel ha affermato: «Se crolla l’Euro, crolla l’Europa». Forseesagera, ma una nella sua posizione non farebbe una di-chiarazione del genere se non credesse che esista davveroil rischio di una rottura dell’Euro. Cerchiamo allora di ca-pire come siamo arrivati a questo.Se consideriamo la vicenda dell’unità europea nel tren-tennio di egemonia culturale e politica del neo-liberismoa livello mondiale, credo si possano distinguere due fasisostanzialmente diverse. La prima fase, che copre gli anniOttanta e arriva agli inizi degli anni Novanta, ebbe comeleader principali Mitterand e Delors nella veste di Presi-dente della Commissione Europea e fu caratterizzata daltentativo di delineare in Europa un tipo di sviluppo diversoda quello che andava affermandosi in base all’approccioliberista, uno sviluppo che avrebbe dovuto ribadire il ca-rattere solidarista delle società europee anche in unaprospettiva di accelerazione del processo di globalizza-zione attraverso una maggiore integrazione delle econo-mie europee e in una dimensione esplicitamente federa-lista.Quell’impegno si ritrova ancora nel Libro bianco elabo-rato dalla Commissione Europea che proponeva non soloun completamento dell’unificazione dei mercati e il co-

Silvano Andriani Presidente CeSPI – Centro Studi Politica Internazionale

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 341

342

ordinamento delle politiche economiche e sociali, maanche l’assunzione di un ruolo attivo dell’Unione nella po-litica economica da realizzare attraverso una grande stra-tegia di investimenti rivolta a rafforzare le infrastrutturedello sviluppo in tutta l’area europea, da finanziare sia po-tenziando il bilancio dell’Unione, sia attraverso l’emissionedi bond europei. Quell’approccio trovò la resistenza si-stematica dell’Inghilterra della Thatcher, ma ciò non im-pedì che si creasse un clima nel quale nei Parlamenti si vo-tavano risoluzioni che indicavano il federalismo comesbocco del processo unitario. La situazione è progressivamente cambiata quando ilcrollo dell’Unione Sovietica ha posto sul tappeto il pro-blema dell’allargamento dell’Unione ed esso è stato af-frontato senza approvare in anticipo una Costituzionedell’Unione che ne rafforzasse il potere di decisione e fis-sasse i termini dell’adesione per i nuovi entranti. Il rischiodi diluizione che l’allargamento inevitabilmente compor-tava non è stato contrastato. In quella fase, inoltre, usci-vano di scena i vari Brandt, Mitterand, Delors, Kholl,espressione di una sinistra fortemente europeista, ed ar-rivava al potere una nuova generazione nella quale, at-traverso Blair, ha assunto un ruolo particolarmente fortel’Inghilterra sempre contraria a fare dell’Unione un au-tentico soggetto politico.Il risultato è stato l’abbandono del progetto federalista,ma anche dell’idea di una politica economica attiva daparte dell’Unione. Il progetto di Lisbona del 1999 grondadi buoni propositi, ma affida all’Unione semplicemente ilcompito di controllare che gli Stati nazionali seguano lebuone regole fissate dal programma. Nella pratica

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 342

343

l’Unione ha continuato ad operare attraverso le scarse ri-sorse del suo bilancio, attraverso il patto di stabilità fissatosui parametri di inflazione, deficit e debito pubblico e at-traverso le decisioni della BCE per i paesi dell’area Euro.La crisi che oggi attraversa l’Europa è figlia di quellescelte e poiché sia della prima che della seconda fase pro-tagonista è stata la sinistra, che all’epoca di Lisbona go-vernava in tredici dei quindici paesi dell’Europa, una ri-flessione autocritica non farebbe male.Dall’inizio del passato decennio, entrato in funzionel’euro, passata la fase più critica dell’unificazione tedescae con l’adozione a livello mondiale di politiche moneta-rie ancora più espansive in risposta all’esplosione dellabolla tecnologica, la crescita economica europea è statatale da aumentare i dislivelli strutturali già ampiamentepresenti nell’area. Paesi come l’Irlanda, la Spagna, la Gre-cia, il Portogallo ed alcuni paesi dell’Est europeo esterniall’area euro hanno ridotto il divario nel livello dei consumidai paesi più avanzati favorendo l’indebitamento delle fa-miglie; la loro crescita è stata superiore alla media euro-pea, ma trainata dalla crescita dei consumi privati. Cadutadel tasso di risparmio ed indebitamento delle famigliesono stati a livello mondiale elementi costitutivi del mo-dello di sviluppo ora entrato in crisi, ma hanno raggiuntolivelli parossistici nei paesi anglosassoni e nei paesi euro-pei prima citati. Il risultato è stato che tutti quei paesi sonovissuti al disopra dei propri mezzi con pesanti deficitstrutturali della bilance dei pagamenti ed un crescente in-debitamento sull’estero. Ed hanno basato la crescita in-terna soprattutto sulla crescita di settori non competitivi,quale l’edilizia e la finanza ad essa collegata.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 343

344

All’opposto, paesi come la Germania, da tempo portati acrescere attraverso le esportazioni, hanno accentuatoquella caratteristica. La Germania è riuscita nella straor-dinaria impresa di aumentare leggermente la propriaquota del mercato mondiale nel decennio segnato dal-l’ascesa della Cina, dell’India, del Brasile e dal dramma-tico aumento del prezzo del petrolio. Con una sostanzialedifferenza però. Mentre nei decenni precedenti l’attivo te-desco corrispondeva sopratutto al passivo strutturale de-gli USA, nel decennio passato, quando il passivo USA ve-niva sempre più colmato dalla Cina, l’attivo tedesco èandato corrispondendo ai crescenti deficit dei paesi eu-ropei. La Germania ha smesso di essere la locomotiva del-l’Europa, essa utilizza la domanda interna di paesi euro-pei per alimentare la propria crescita ed ha usato l’eccessodi risparmio, che un paese in attivo strutturale inevitabil-mente ha, per finanziare i consumi degli statunitensi e de-gli europei che si indebitavano. Ha fatto con i paesi eu-ropei quello che la Cina ha fatto con gli USA. Ed allaGermania potete aggiungere l’Olanda, l’Austria ed i paesiscandinavi. Gli squilibri interni all’area sono aumentati enon solo per l’asimmetria finanziaria di paesi creditori edebitori, ma in quanto quel tipo di sviluppo ha finito colconformare la struttura produttiva dei diversi paesi de-terminando un crescente divario nei livelli di competitività.Insomma, si è andata delineando un’Europa non a duevelocità, ma a due direzioni, peraltro opposte. Credo che occorra avere il coraggio di riconoscere che, inmancanza di una politica economica comune, il funzio-namento dell’Euro ha aggravato la tendenza alla diver-genza. In due modi: innanzitutto ha provocato un artifi-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 344

345

cioso allineamento al ribasso dei tassi di interesse deipaesi più deboli a quello della Germania e ne ha favoritocosì la corsa all’indebitamento; inoltre, poiché il tasso dicambio tende a risultare troppo alto per i paesi deboli edecisamente basso per quelli forti, svantaggia i primi e fa-vorisce i secondi. Se avesse ancora il Marco, la Germaniaavrebbe probabilmente un cambio di 1,70 col Dollaro conl’Euro a 1,40 e questo spiega non poco delle sue straor-dinarie performance nel commercio estero. Le politiche diausterità e il già annunciato aumento dei tassi di interesseaccentueranno la tendenza alla divergenza poiché colpi-scono soprattutto i paesi più indebitati. In effetti sta giàaccadendo. La Merkel ha ragione a temere una crisi del-l’Euro; quello che non dice è che i rischi per l’Euro na-scono in buona misura dalle scelte imposte dalla Ger-mania.La risposta data alla crisi finanziaria dai governi di destraeuropei, influenzata soprattutto dalla posizione della Ger-mania, si può riassumere in tre no: no ai default delle ban-che, no alla ristrutturazione dei debiti degli Stati a rischiodi default, no all’aumento del tasso di inflazione accetta-bile, che pure viene proposto anche dal direttore del di-partimento economico del Fondo Monetario Internazio-nale per dare maggiore spazio alla politica economica esvalutare parzialmente i debiti. Il risultati sono il dram-matico peggioramento dei bilanci pubblici, chiamati adogni sorta di operazione di salvataggio, e la conseguentescelta dell’austerità; l’ingiustizia per cui si chiama a farecure dimagranti quelli che non erano affatto ingrassatinella fase precedente; e la possibile inefficacia dell’au-sterità rispetto all’obbiettivo di contenere l’indebitamento

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 345

346

Le parole e le cose dei democratici

pubblico se essa, come è probabile, dovesse ostacolare laripresa economica.Proviamo a capire che senso ha la scelta fatta e chiariamosubito che, quando si parla di salvare la Grecia, l’Irlanda,il Portogallo e domani, chissà, con la formazione delfondo provvisorio, l’ESFF, e di quello definitivo, l’ESFM,che dovrebbe entrare i funzione nel 2013, o attraversol’acquisto da parte della BCE dei titoli degli Stati a rischio,in pratica stiamo aiutando le banche che hanno fatto cre-dito a quei paesi evitando le perdite che subirebbero incaso di ristrutturazione dei debiti e che sono sostanzial-mente banche tedesche, francesi e inglesi. L’Italia, le cuibanche sono poco esposte ma che concorre pro quota aifondi di salvataggio, sta aiutando banche concorrentidelle nostre. In pratica, l’Unione sta preservando il po-tenziale finanziario di paesi come la Germania, in partecompromesso dalle dissennate politiche creditizie deglianni trascorsi, e la possibilità di finanziare l’espansione adEst, che sembra l’obbiettivo principale della strategia dicrescita tedesca.Ora, la proposta franco tedesca è di rafforzare con piùdure sanzioni il ‘patto di stabilità’ e di varare un ‘patto dicompetitività’. Per quanto riguarda il primo si fa finta dinon vedere che il patto di stabilità non ha funzionato; al-trimenti perché saremmo in una situazione di tale insta-bilità? E non ha funzionato non perché non è stato ap-plicato – l’inflazione è stata in effetti contenuta e nellamedia europea il rapporto debito pubblico/PIL non èaumentato, ed i paesi oggi in maggiore difficoltà, trannela Grecia, avevano un debito pubblico inferiore, anchenettamente, alla media europea. Non ha funzionato in

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 346

347

Le parole e le cose dei democratici

quanto le difese furono erette nei confronti del debitopubblico, ma l’assalto è venuto dal debito privato, daglisquilibri delle bilance dei pagamenti, dall’indebitamentosull’estero. Per questo già cinque anni fa avevo suggeritodi proporre di cambiare il patto assumendo come para-metri l’indebitamento totale, la bilancia dei pagamenti el’indebitamento sull’estero di ciascun paese. Proposta dicui a sinistra ancora adesso nessuno si è accorto.Il ‘patto di competitività’ proposto non contiene alcunaipotesi di politiche attive dell’Unione per ridurre i dislivellidi competitività fra i paesi, ma segue la strada di stabilireregole più stringenti ed omogenee per la politica econo-mica dei vari paesi. Fra di esse la più interessante è quelladi omogeneizzare la fiscalità verso le imprese allo scopodi evitare il dumping fiscale, ma ritengo che non sarà fa-cile farla accettare dall’Irlanda, che sul dumping fiscale habasato in parte la sua crescita e che si trova già in gra-vissime difficoltà. Più significative sono invece altre dueregole proposte: fissare per legge costituzionale il limiteinvalicabile dell’indebitamento pubblico, seguendol’esempio della Germania, e rompere il collegamentodelle retribuzioni all’inflazione. Per quest’ultima si trattadi ridurre le retribuzioni, il che, oltre a ribadire l’idea chea pagare debbano essere sempre gli stessi che con la crisinon c’entrano nulla, impone una domanda: cosa dovràtrainare la domanda interna nel prossimo ciclo di crescita?Quanto alla prima, va nella direzione opposta a quellasuggerita dal FMI: renderebbe cioè più rigida la politicaeconomica e sarebbe sostanzialmente impraticabile inquanto, in caso di nuove crisi, la situazione dei bilancipubblici non potrebbe che peggiorare. Il problema non è

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 347

348

quello di togliere alla politica economica la capacità dicontrobilanciare gli effetti di una crisi, ma di evitare cheessa scoppi e questo dovrebbe innanzitutto indurre acambiare il patto di stabilità.La via d’uscita sta, a mio avviso, nel rilanciare l’idea di unprogetto di sviluppo europeo che rinnovi e rafforzi il ca-rattere integrato delle società europee e assuma comeobiettivo centrale la riduzione delle divergenze tra paesieuropei. Certo, in questa prospettiva non possiamo pen-sare ad una crescita trainata, come in passato, dall’au-mento dei consumi privati; la crescita deve essere trainatapiuttosto da un formidabile flusso di investimenti direttoa far compiere un salto di qualità alle attività produttivee a potenziare l’offerta di beni pubblici necessari a mi-gliorare le condizioni del vivere civile e l’efficienza dei si-stemi economici, tendendo a valorizzare le risorse esistentisul territorio europeo.In questa prospettiva sarebbe certo necessario un mag-gior coordinamento delle politiche economiche, ma nonsemplicemente per applicare tutti le stesse regole, sem-mai per adottare politiche diverse, vista la diversa condi-zione dei vari paesi, ma complementari rispetto all’obiet-tivo di una crescita più equilibrata. E sarebbe necessariorilanciare l’idea di un ruolo attivo dell’UE nella politicaeconomica soprattutto attraverso l’elaborazione e l’im-plementazione di una grande strategia di investimenti didimensione europea nei campi delle infrastrutture hard esoft, da realizzare potenziando il ruolo del bilancio del-l’Unione, ma anche mobilitando l’eccesso di risparmiopresente nei paesi in attivo di bilancia dei pagamenti at-traverso l’emissione di bond europei o la costituzione di

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 348

349

fondi specializzati in investimenti infrastrutturali. In que-sto quadro si potrebbe proseguire con politiche fiscali emonetarie espansive, ma non affidando solamente al ca-nale bancario in difficoltà il compito di trasmettere laspinta all’economia reale, ma indirizzando direttamenteparte dei flussi finanziari derivanti da quelle politiche al fi-nanziamento degli investimenti.Per concludere, avrei una notizia buona ed una cattiva. Labuona è che di recente il Partito Socialista Europeo ha vo-tato all’unanimità un documento che propone l’elabora-zione di un progetto di sviluppo europeo. Certo il pro-getto ancora non esiste, ma è chiara l’intenzione dielaborare una linea alternativa a quella dell’austerità se-guita dalla destra. La notizia cattiva è che nessuno lo sa.Almeno in Italia. Scommetto che nessuno di voi lo sa. Ilfatto è che da molti anni abbiamo cancellato la dimen-sione internazionale e perfino quella europea dal dibat-tito politico. Ed è paradossale, visto che poi siamo tutticonvinti che il tema di fondo è come ricollocare il paesein un contesto mondiale in rapido ed ineluttabile muta-mento.La mia conclusione è che, se questo tipo di incontro ser-virà a formare un nuova generazione di militanti e di di-rigenti, questa recuperi la consapevolezza della necessitàdi reintrodurre la dimensione internazionale e quella eu-ropea nel dibattito e nelle scelte della politica.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 349

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 350

351

PLENARIA CONCLUSIVA

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 351

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 352

353

Roberto Bernabò Direttore de Il TirrenoIl dibattito conclusivo di questo pomeriggio viene al terminedi tre giornate estremamente dense e interessanti, soprat-tutto per la voglia dei giovani che hanno partecipato di con-frontarsi e di interrogarsi sulla memoria e sul futuro del Par-tito Democratico e del centro-sinistra italiano. Hannodimostrato che, contrariamente alla vulgata sui giovani dioggi, c’è una parte dell’Italia di domani che già oggi cercadi costruire una prospettiva diversa rispetto ai Bunga Bungae di osservare la società da una prospettiva più nobile. Lamia intenzione è proprio quella di pormi in continuità conle riflessioni che avete condotto in questi tre giorni, di ri-prenderne il filo, lasciando da parte la cronaca delle ultimesettimane, almeno per il momento. Per iniziare, vorrei cer-care di capire, assieme a Massimo D’Alema, cosa sia oggila sinistra e cosa dovrebbe essere, in Italia e in Europa. È in-dubbio che la grande crisi del 2008 abbia messo in profondadiscussione l’ideologia neoliberale e l’idea che il mercatoavrebbe garantito benessere, diritti e sicurezza per tutti; dal-l’altra parte, però, mi pare che la sinistra oggi governi in solisei paesi dell’Europa, il più grande dei quali è la Spagna. In-somma questa crisi globale ha trovato di fronte a sé una si-nistra complessivamente ripiegata su se stessa, incapace di

Roberto Bernabò intervistaMassimo D’Alema e Andrea Manciulli

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 353

354

affermare un proprio progetto. Questa è la prima do-manda che pongo a D’Alema: perché la sinistra non ha sa-puto cogliere gli elementi di svolta di questa fase storica? Guardando poi in prospettiva, da questa stagione forse sa-rebbe opportuno si uscisse con l’idea che la politica deve re-cuperare la centralità rispetto all’economia, che è stata in-vece la convinzione dominante del decennio da cuiveniamo. Sarebbe importante recuperare con convinzioneanche il tema dell’uguaglianza, come una battaglia fonda-mentale per una forza progressista che intende tenere in-sieme giustizia e sviluppo e che è convinta che senza ugua-glianza non vi sia sviluppo. Vorrei chiedere se questepossono essere le chiavi di lettura delle riflessioni che sonostate condotte negli ultimi tre giorni nonché l’orizzonteentro cui ragionare sul futuro del nostro paese.

Massimo D’Alema Presidente Foundation for European Progressive Studies Innanzitutto vorrei ringraziare i Giovani Democratici per l’in-vito a questo Seminario e il direttore de Il Tirreno perché havoluto aprire la nostra conversazione nel segno di questioniimportanti. La domanda si presta a una risposta saggistica,anche perché quello della crisi e del futuro della sinistra eu-ropea è un tema che mi appassiona e di cui mi occupo, inmaniera specifica da qualche mese. Sono, infatti, statoeletto Presidente della Foundation for European ProgressiveStudies, la cui base associativa è costituita da quarantunothink-tank disseminati per l’intera Europa, tra cui sono pre-senti tutte le principali fondazioni culturali della sinistra eu-ropea. Utilizzo il termine ‘europea’ perché questa è già unaparte della risposta.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 354

355

Ebbene, siamo di fronte a una crisi della sinistra europea e,in particolare, di quella di ispirazione socialista, socialde-mocratica, che ha rappresentato una grande forza nonsoltanto per la storia del nostro continente, ma per quellamondiale, al punto che, riferendosi al secolo trascorso, si èspesso parlato di ‘secolo socialdemocratico’. Oggi, nel resto del mondo, sono i progressisti a raccoglierela sfida che viene dalla crisi della globalizzazione neoliberi-sta. Penso agli Stati Uniti d’America, dove questa ha por-tato al governo Obama e i democratici, in uno scenariomolto contrastato. In un libro particolarmente interessante, The Power of Pro-gress: How America’s Progressives Can (Once Again) SaveOur Economy, Our Climate, and Our Country, il presi-dente del Center For American Progress, John Podesta, unodei principali pensatori del mondo democratico americano,spiega perché i democratici non possono più essere chiamati‘liberal’. La nozione di ‘liberal’, infatti, è legata alle battaglieper le libertà individuali mentre gli americani di oggi, se-condo Podesta, hanno bisogno di una stagione progressi-sta. Ecco perché i democrats statunitensi preferiscono rico-noscersi nel termine ‘progressives’. Anche un altro grande continente, come l’America Latina,che sembrava fino a poco tempo fa immobile e sconfitto,oggi è governato da forze di sinistra. In qualche caso sonodi tipo populista, ma vi sono anche grandi forze riformiste,in particolare nel Brasile di Lula e di Dilma Rousseff. Ana-logo ragionamento vale per il Sudafrica e per l’Asia. In In-dia il Partito del Congresso non è un partito socialista mauna grande forza progressista.Per quanto riguarda i moti che stanno sconvolgendo il

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 355

356

Nord Africa, sui quali mi soffermerò più avanti, essi nonsembrano essere caratterizzati, almeno finora, da un’ege-monia fondamentalista: a guidare le proteste sono, piutto-sto, personalità del mondo progressista, di ispirazione pre-valentemente laica. Tuttavia, non è vero che la crisi della globalizzazione neoli-berista vede ovunque il trionfo delle forze progressiste.L’Europa, infatti, ha avuto una deriva a destra. E ciò toccanel profondo l’attuale situazione del nostro continente e delprogetto europeista, perché la globalizzazione ha messo indiscussione proprio il primato europeo. Il nostro è un continente vecchio, a fronte dei grandi paesigovernati dai progressisti. Paesi giovani che guardano conrelativa fiducia al loro futuro: quelli dell’area della spe-ranza, come l’ha definita Dominique Moïsi, che nella glo-balizzazione hanno conquistato uno spazio. Anche gli StatiUniti, rispetto all’Europa, sono un paese più giovane, più di-namico, inclusivo e capace di aprirsi a nuove culture. Il no-stro, al contrario, è un continente impaurito, che guarda conrelativa preoccupazione alle prospettive di un mondo futuronel quale certamente perderà il suo primato. In questa re-gione, la destra ha saputo parlare meglio della sinistra allepaure, cavalcandole e indirizzandole contro la competi-zione asiatica, contro l’immigrazione dal Sud del mondo,contro l’Islam, ritratto come una forza che minaccia la no-stra civiltà. In qualche modo, la destra è l’espressione di unareazione dell’Europa di fronte alla sfida della globalizzazione,che ha portato il nostro continente a chiudersi in un atteg-giamento impaurito piuttosto che ad aprirsi e coglierne leopportunità. Ricordo – si tratta, naturalmente, di un paragone che non

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 356

357

va preso alla lettera – che di fronte alla grande crisi degli anniTrenta in America vinsero Roosevelt e il New Deal, mentrel’Europa fu preda di forze politiche di tutt’altro segno. An-che allora, dunque, davanti a una crisi economica e finan-ziaria globale vi fu una forte divaricazione tra una rispostanel segno della speranza e una nel segno dell’arrocca-mento nazionalista. Dieci anni fa il quadro era completamente diverso, e credosarebbe molto opportuno ragionare sul perché il socialismoeuropeo sia arrivato così indebolito da uno dei suoi momentidi maggiore vigore. Ai Consigli europei del 1999-2000,sembrava di stare alla riunione del presidio dell’Internazio-nale socialista, di cui, tra i quindici Primi Ministri, c’erano ilPresidente e dieci Vicepresidenti. Un dato abbastanza im-pressionante. Come la forza del socialismo europeo si siasgretolata e in cosa abbiamo sbagliato nell’elaborare rispo-ste politiche alle sfide della globalizzazione, dovrebberoessere domande al centro di una riflessione molto seria. In-nanzitutto, bisogna riconoscere che su questo versante lasconfitta della sinistra è stata duplice. Di fronte alla globa-lizzazione, infatti, hanno perso le componenti che sonosempre state più apertamente neoliberali e che sono cadutevittima di una certa subalternità culturale: mi riferisco al mo-dello della ‘terza via’ blairiana. Ma hanno perso anchequanti si sono illusi che, in un mondo sempre più globale,si potesse difendere il compromesso nazionale del welfareState, secondo il modello francese. Entrambi i modelli, dun-que, si sono dimostrati perdenti. Ora, però, è opportuno ragionare su come ripartire. Perchéè chiaro che questo processo è già in atto, quello che sta ac-cadendo in Europa lo dimostra chiaramente.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 357

358

Qualche giorno fa, i risultati delle elezioni di Amburgo cihanno detto che la Signora Merkel, che in Italia è popola-rissima, in Germania non riscuote altrettanti consensi. Inquella regione i democristiani, infatti, hanno registrato unapesante sconfitta e i sondaggi lasciano intravedere un qua-dro politico del tutto nuovo, estremamente frammentato ri-spetto al bipartitismo del passato, ma nel quale le forze diopposizione dell’area rosso-verde rappresentano un’ampiamaggioranza dell’elettorato tedesco. Non so dire se questeforze saranno in grado di costruire una prospettiva co-mune, dato che – caratteristica tipica della sinistra in granparte d’Europa – sono profondamente divise. Tuttavia inGermania ci sono le condizioni per un cambiamento. In Francia, al contrario, il principale ostacolo alla vittoria deisocialisti risiede proprio nei socialisti stessi. Non sappiamo setroveranno un accordo, ma se ciò dovesse accadere, comeè auspicabile, essi partirebbero largamente favoriti nelleprossime elezioni presidenziali, dopo le vittorie nei distrettie in tutte le loro Regioni. Alle penultime regionali, infatti,vinsero in tutte quelle in cui già governavano, fuorché una;all’ultima tornata elettorale hanno colmato questo gap, ri-conquistandole tutte.La situazione in Europa, dunque, si sta muovendo e ridefi-nendo: un nuovo ciclo progressista è possibile. Certo, nonaccadrà domani, anche perché la destra, che pure è statabravissima nel cavalcare le paure degli europei, non ha sa-puto dare risposte – lo vediamo anche al di fuori dell’Italia– in termini di crescita economica e occupazionale. D’altraparte, quando saranno maturate le condizioni, il nuovo ci-clo progressista che si aprirà non sarà simile al secolo so-cialdemocratico, ma nascerà su basi nuove. Proprio qui, a

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 358

359

mio giudizio, risiede la sfida maggiore, poiché non sarà unciclo socialista in senso stretto. Per fare solo un esempio, lediverse componenti ambientaliste avranno un peso note-volissimo, a differenza del passato. In questa prospettiva, ritengo che sia molto importante cer-care di individuare le idee-chiave della nuova fase, che na-scono dall’analisi, che stiamo facendo, della grande crisi eco-nomica. Tra queste idee c’è innanzitutto quella didemocrazia: una nozione che spesso è stata data per scon-tata, ma che è tornata a costituire un terreno di confrontoassai problematico. La globalizzazione capitalistica, infatti,si è accompagnata a un restringimento pauroso della de-mocrazia. Quando diciamo che uno dei mali di questi anniè stata la deregolazione, intendiamo appunto evidenziareche non esiste un potere democratico in grado di regolareuno sviluppo globale. Il tema di come si articoli oggi la de-mocrazia, intesa tanto come partecipazione attiva dei cit-tadini quanto come costruzione di momenti democratici so-vranazionali, è un tema cruciale. Seconda idea-chiave è quella dell’uguaglianza: un tema di-stintivo e costitutivo della sinistra, come spiega NorbertoBobbio nel bellissimo saggio dal titolo Destra e sinistra. Ep-pure la sinistra per molto tempo ha avuto un certo pudoresu questo terreno, forse anche a seguito dell’esperienza del-l’egualitarismo comunista. Invece, si tratta di un tema chedeve tornare a essere cruciale. La crisi, d’altra parte, è stataanzitutto generata da una crescita paurosa delle disegua-glianze, in particolare quella tra la rendita finanziaria e il la-voro, che ha letteralmente segnato le nostre società. Essaè nata da una caduta della domanda, e questa caduta de-riva dall’impoverimento delle classi medie, dei lavoratori.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 359

360

Come provvedere alla riduzione delle diseguaglianze? Que-sta, oggi, è un altra questione fondamentale. Terza idea-chiave riguarda l’innovazione, la cultura. In que-sti anni lo sviluppo è stato sorretto soprattutto dal basso co-sto del lavoro nei paesi emergenti, il che ha trascinato consé la condizione dei lavoratori nei paesi ricchi. Da qui la pre-carizzazione e la perdita di valore del lavoro. Un nuovo ci-clo di sviluppo deve invece fondarsi sulla ricerca scientifica,su quell’idea di economia basata sulla conoscenza che erastata il fondamento del progetto di Lisbona, che rappresentaancora oggi il manifesto riformista più ambizioso mai scrittoin Europa. Non a caso esso è figlio di quella stagione in cuiil centrosinistra governava in gran parte del continente. Per ‘innovazione’ oggi si intende nuove tecnologie, am-biente, una nuova politica dell’energia, un concetto, cioè,orientato verso la qualità della vita. A questo proposito, vor-rei segnalare un saggio estremamente stimolante, The Spi-rit Level, in cui gli autori, due ricercatori inglesi, spiegano chele società diseguali sono anche profondamente infelici. Lepolitiche e gli strumenti necessari a costruire una società piùgiusta, quindi più felice, assieme all’idea che la crescita delPIL non possa essere l’unico indice qualitativo di un paesee del suo benessere, sono temi che secondo me concorronoa definire la base culturale di una nuova stagione progres-sista. E di questa stagione, diversa da quella che abbiamoconosciuto nel passato, si cominciano a intravedere le pre-condizioni. Non è vero, quindi, che la sinistra europea è fi-nita, semmai è finita un’epoca, quella del welfare State, dellesocialdemocrazie nazionali, mentre cominciano a matu-rare i germi, gli elementi di una nuova fase. Questa è in-sieme una speranza ma anche un’analisi di quanto sta ac-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 360

361

cadendo in diversi paesi europei.

R. B.: In questo quadro che Lei ha tratteggiato dei grandielementi di fondo sui quali costruire una nuova stagioneprogressista, probabilmente – come Lei stesso richiamava– c’è anche il riconoscimento della centralità dell’Europa. Ènecessario, oggi più che mai, che le forze progressiste col-gano l’urgenza di un recupero del valore e della centralitàdella prospettiva europeista. Lo dico riferendomi in parti-colare al grande sconvolgimento che sta avvenendo al di làdel nostro mare e che sta cambiando gli assetti di paesi im-portanti: l’impressione è che complessivamente l’Europa(certo con grandi differenze tra l’Italia e altri paesi), cosìcome gli Stati Uniti, sia stata presa in contropiede. La primadomanda che Le pongo su questo punto è dunque: com’èpossibile che non siamo stati capaci di cogliere quello chestava avvenendo in quelle società? E poi le risposte: sonostate balbettanti, non c’è un’idea davvero chiara su cosafare. Un atteggiamento forse legato al sospetto, da partedi qualcuno, che nel caso particolare della Libia il risultatofinale non sia così scontato e che quindi non sia opportunoesporsi troppo. La mia domanda ha due corni. Vorrei in-nanzitutto sapere quale è il Suo giudizio in merito all’at-teggiamento complessivo dell’Europa e, chiaramente, del-l’Italia. Inoltre, sarei curioso di sapere se condivide l’appellolanciato ieri da Veltroni a una mobilitazione maggiore. L’exSegretario del PD ha affermato che è sorprendente che nellenostre piazze non si scenda a sostenere il popolo libico nellasua battaglia contro un dittatore e in nome della libertà. Intutto questo pesano forse le relazioni storiche, i rapporti po-litici e commerciali che il nostro paese ha tenuto a tutti li-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 361

362

velli in questi anni, in modo trasversale rispetto ai governi,seppure con gradazioni assolutamente diverse?

M. D’A.: In primo luogo sono convinto che sia giustoscendere in piazza a supporto dei libici che si ribellano per-ché chiedono democrazia e libertà. Da questa punto di vi-sta, però, non credo che siamo di fronte a una ‘questionelibica’, perché dobbiamo ammettere che, più in generale,abbiamo perso l’abitudine a manifestare in sostegno dellelotte dei popoli, come quelle che stanno infiammandol’Egitto e la Tunisia. Da questa parte del Mediterraneo abbiamo certamente bi-sogno di un’Europa più unita, più forte, in grado di eserci-tare il suo ruolo nello scenario internazionale. In un certosenso, il moto che sta sconvolgendo il Nord Africa ha an-che un’ispirazione europea, dato che la democrazia e la li-bertà individuale sono valori europei che hanno una certacapacità di propagazione. La democrazia si diffonde più percontagio che non attraverso le guerre, come ci ha dimo-strato la disastrosa esperienza in Iraq. Tuttavia, se osserviamo con sguardo autocritico alle politi-che dei nostri governi nei confronti dei paesi interessati dallerivolte, emerge come queste abbiano preso le mosse so-stanzialmente da tre esigenze di base: la sicurezza energe-tica, il controllo dei flussi migratori e la lotta al terrorismo,in particolare quello di matrice islamica. Rispetto a questaimpostazione securitaria, i regimi sono apparsi a lungocome quelli che meglio potevano garantire un contraf-forte rispetto alle minacce fondamentaliste. Del resto, lo af-ferma oggi lo stesso Gheddafi, riferendosi a un sentimentoche è stato proprio non soltanto dei governi, ma anche lar-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 362

363

gamente condiviso dall’opinione pubblica europea. Mi ri-ferisco a quell’idea secondo cui, in questi paesi, fosse più op-portuno che vigessero regimi non democratici, in grado diesercitare un controllo e, in particolare, di garantirci quellefondamentali esigenze di cui ho appena parlato: la sicurezzaenergetica, il governo dei flussi migratori, la lotta al terro-rismo. Questa impostazione è stata miope e, a questopunto, occorre un certo realismo. Intrattenere rapporti economici con questi paesi penso chefosse una cosa ragionevole. In proposito, qualche giorno fa,sono stato insultato da una signora con l’argomento chenon si deve comprare il petrolio dai dittatori. Una posizionemolto nobile certo, e si può anche decidere di non usare piùl’automobile e andare tutti a piedi. Ma poi non ci potremolamentare se mancherà il riscaldamento d’inverno o l’illu-minazione la sera… Si tratta di decisioni drastiche che pos-sono essere prese soltanto se socialmente condivise. Fino aquel momento, dunque, è inevitabile avere rapporti diplo-matici ed economici anche con paesi dove non vige la de-mocrazia parlamentare. Senza contare che l’attività inter-nazionale dell’Europa, altrimenti, si restringerebbemoltissimo.Certo, una cosa è intrattenere dei rapporti istituzionali, benaltra è ciò cui abbiamo assistito sotto il governo di Silvio Ber-lusconi. Episodi piuttosto discutibili, dalla citazione di Ghed-dafi come modello di democrazia, alla richiesta a Mubaraksu quale fosse il segreto del suo potere: una domanda cheha una risposta facilissima, l’esercito. Un segreto che for-tunatamente non è esportabile nei paesi occidentali de-mocratici. Insomma, abbiamo assistito a qualcosa che vamolto al di là della necessità politica.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 363

364

Cionondimeno, non si può dimenticare che, rispetto ad al-tri paesi, l’Italia con la Libia ha un problema particolare. Perquanto si possa provare orrore di fronte ai massacri diGheddafi, infatti, bisogna sempre ricordare che noi ne ab-biamo compiuti di assai peggiori su quel territorio. Ab-biamo una responsabilità storica che è il lascito del colo-nialismo fascista e aver normalizzato i rapporti con Tripoli èstata una scelta inevitabile. Tuttavia, come Ministro degliEsteri non firmai il trattato di amicizia italo-libico, pur aven-dolo lungamente negoziato e avendone determinato lastruttura. Alcuni punti, infatti, non mi convincevano, e traquesti vi era l’idea che l’Italia versasse ogni anno a Ghed-dafi novecentocinquanta milioni di dollari. Mi sembravaumiliante per il nostro paese, oltre a costituire un elementodi rafforzamento del regime. Pertanto proposi alla contro-parte l’impegno dell’Italia a costruire delle opere in Libia, eli-minando il versamento diretto di denaro. Una proposta di-versa dal punto di vista sostanziale. Si trattava, infatti, di unariparazione per i danni del colonialismo e la forma in cuiquesta avveniva aveva un grosso valore politico. L’altro punto controverso riguardava il trattato di riammis-sione degli immigrati. Dal momento che la Libia non ha mairatificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, mancavanole garanzie internazionali alla base dell’accordo: un requi-sito a mio parere irrinunciabile. Si possono stringere patti esiglare trattati, ma la questione dirimente è il come lo si fa.Alla fine, il governo Berlusconi, in carica da poche settimane,firmò tutto secondo i dettami di Gheddafi. E noi lo denun-ciammo in Parlamento. Anche su questo versante, infatti,ci sono differenze sostanziali tra la nostra parte politica e l’at-tuale maggioranza.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 364

365

Fatta questa premessa, è innegabile che l’Europa abbiaavuto a lungo, nei confronti di questi paesi, l’atteggia-mento di chi pensava che tutto sommato la democraziafosse qualcosa che apparteneva alla nostra civiltà e che perl’altra sponda del Mediterraneo potessero andare bene re-gimi autoritari purché garantissero i nostri interessi fonda-mentali.

R. B.: Quali interventi occorrerebbero adesso, secondoLei?

M. D’A.: Innanzitutto, bisogna operare delle distinzioni per-ché si tratta di situazioni tra loro molto diverse: la Libia at-tira maggiormente la nostra attenzione, ma con i suoi cin-que milioni di abitanti non è certo il paese più rilevante;piuttosto partirei dall’Egitto, che ne ha ottanta milioni, edè di gran lunga il paese leader del mondo arabo. Lì, comein Tunisia, bisogna accompagnare un processo di transizionedemocratica che è solo all’inizio. Allo stato attuale, in Egittoil potere è esercitato da una giunta militare, il dittatore è fug-gito e quindi occorre fare pressione perché si arrivi in untempo ragionevole a una situazione di stabilità interna.Inoltre, si è aperta una discussione molto importante suitempi, sull’urgenza di una prima riforma costituzionale e poisull’alternativa delle elezioni presidenziali o di quelle parla-mentari. È evidente che si tratta di due modalità di transi-zione diverse, anche per quanto riguarda gli effetti. Conogni probabilità, infatti, nel momento in cui l’Egitto andràalle elezioni parlamentari, i Fratelli Musulmani si afferme-ranno come la maggiore forza politica, intorno al 25-30 percento, ma essendo isolati, è pressoché impossibile che vin-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 365

366

ceranno le elezioni presidenziali. In questo quadro è dun-que più verosimile che l’Egitto democratico avrà un presi-dente laico, una personalità importante nel governare latransizione, sia pure in un contesto in cui sicuramente gliislamisti avranno un peso maggiore rispetto a quello che ladittatura riconosceva loro. Ecco, di questa situazione biso-gnerà occuparsene anche dal punto di vista politico. Abbiamo partecipato al vertice eurosocialista di Atene,dove, come socialisti democratici europei, abbiamo chiestodi riorganizzare il nostro sistema di relazioni politiche. Vor-rei ricordare, con profonda vergogna, che il partito di BenAlì e il partito di Mubarak erano entrambi membri dell’In-ternazionale Socialista. È un dato che non possiamo na-scondere a noi stessi. Pertanto dobbiamo riorganizzare un tessuto di rapportipolitici e aiutare i partiti che devono nascere e organizzarsi,perché non c’è democrazia senza partiti. Il PD ha recente-mente incontrato i rappresentanti delle forze di opposizionedi centro-sinistra tunisine, con le quali è stato avviato un la-voro comune: ad aprile si dovrebbe tenere una conferenzaa Tunisi con tutte le forze democratiche del Maghreb, percercare di avviare un percorso condiviso. Tutto sommato èstata una riunione estremamente interessante, sebbene i tu-nisini abbiano litigato tra di loro per circa un’ora; si tratta co-munque di un processo democratico che va concretamentee attivamente sostenuto. Dobbiamo ricordare, però, che questo processo non havinto ovunque nel mondo arabo. Ci sono paesi in cui la ri-volta popolare non ha avuto la meglio e nei confronti deiquali la pressione europea per le riforme democratichedeve essere molto forte e condizionante: penso all’Algeria,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 366

367

ai paesi del Golfo, al Bahrein, all’Oman, allo Yemen. Infine, c’è la crisi libica, in merito alla quale non ritengo pro-duttivo aprire un’ampia discussione pubblica sull’opportu-nità o meno di un intervento militare di terra, dal momentoche è il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a deciderein materia. Ciononostante, tale esito sembra improbabile dalmomento che, in quel paese, lo scenario si configura ormaicome una sorta di guerra civile. Certamente il nostro dovere è soccorrere la popolazione,portare aiuti umanitari, accentuare l’isolamento innanzituttoeconomico del regime, perché la forza di Gheddafi è inbuona misura nel denaro di cui dispone. Occorre, in se-condo luogo, il nostro impegno per creare le condizioni af-finché questa guerra non degeneri in un massacro spa-ventoso e per spingere Gheddafi in una condizione tale dacostringerlo a negoziare e ad andarsene. Tutto questo na-turalmente non è facile. Il governo italiano, dopo averdetto numerose bestialità, ha avviato un paio di iniziativepositive, sulle quali deve essere sostenuto e incoraggiato.Penso, ad esempio, all’iniziativa umanitaria ai confini tra laTunisia e la Libia, alla decisione di mandare aiuti umanitaria Bengasi e al tentativo di avviare rapporti con il Consiglionazionale delle opposizioni. In un momento come questo,credo che, oltre a criticare, si debba anche incoraggiare leiniziative positive del governo. È l’unica strada oggi per-corribile.

R. B.: Grazie. Io rivolgerei ancora una domanda a D’Alemaper poi coinvolgere il Segretario Manciulli. Per spostarci sulversante più strettamente nazionale, in questi giorni i gio-vani hanno molto discusso e ascoltato lezioni su personaggi

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 367

368

di riferimento delle storie e delle culture politiche fondativedel Partito Democratico, sull’evoluzione dei linguaggi co-municativi, sul modo di confrontarsi con gli elettori e gliiscritti. La mia domanda intende andare proprio in questadirezione. Il PD si presenta come una scommessa ancoratutta da costruire, che ha bisogno di tanta anima dentro:l’immagine che spesso ne emerge è, da una parte, quelladi litigi, di divisioni, di distanze nelle posizioni dei diversiesponenti nazionali; dall’altra, sembra a volte di percepireuna mancanza di un quadro di riferimento, di valori e dicontenuti nitidamente identificabili. Abbiamo parlato fino adora della difficoltà per le sinistre europee di costruire un pro-gramma. Il tema è vibrante anche sul piano nazionale: inche modo dare al PD un contenuto, soprattutto di valori edi programmi, più chiaro? Ieri Rosy Bindi intervenuta aquesto incontro ha detto che la gran parte degli iscritti aquesto partito si porta sempre dietro una doppia aggetti-vazione – è insieme un popolo di ‘democratici’ più qualco-s’altro – e che dovrebbero tutti rinunciare a pezzetto dellapropria identità per riuscire a costruirne una più ampia econdivisa. È possibile questo, soprattutto in presenza ditante personalità forti che vengono da stagioni lunghe e constorie così diverse?

M. D’A.: Non credo che si possa dire che il PD sia un par-tito privo di un programma. È un approccio che non con-divido. In primo luogo, perché non è vero: siamo una forzapolitica che ha costruito un’idea diversa del futuro delpaese, anche dal punto di vista delle politiche economichee sociali. L’Unione Europa chiede ai governi di presentareprogrammi di riforme di medio periodo e noi presenteremo

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 368

369

in contemporanea a Roma e a Bruxelles un piano nazionaledi riforme necessarie per la crescita dell’Italia. Un testo sucui ha lavorato il Partito Democratico, con la collaborazionedella Fondazione Italianieuropei. Una parte delle proposteche vi si trovano raccolte sono già disegni di legge presen-tati in Parlamento, come, ad esempio, una proposta di ri-forma fiscale che prevede un riequilibrio della pressione suiredditi da lavoro, sulla rendita, non sul patrimonio. Eppure,un certo numero di iscritti del nostro partito, di elettori e dicommentatori sono pronti a dichiarare che non abbiamoidee e che quelle poche che abbiamo non sono chiare. Unatteggiamento che riguarda anche certi editoriali di giornali.Berlusconi, al contrario, si è subito accorto che il Partito De-mocratico una proposta seria ce l’aveva, e ne ha distorto ilsignificato attraverso una campagna di disinformazione edenigrazione, sostenendo che i comunisti volevano intro-durre la patrimoniale! Voglio dire che rischiamo di avere unapercezione di noi stessi meno precisa di quella che ha il Pre-sidente del Consiglio, mentre siamo nella condizione in cuinon solo abbiamo una proposta, ma questa è talmente va-lida che è già oggetto di una contro-campagna volta a stra-volgerne il significato. Noi siamo una grande forza politica che ha vissuto, nel de-cennio passato, una storia non dissimile da quella delle al-tre forze riformiste europee. Negli anni Novanta abbiamofronteggiato e sconfitto Berlusconi, abbiamo governato ilpaese, e lo abbiamo fatto anche bene, consentendo all’Italiadi vivere l’ultima stagione significativa di riforme importanti.A partire dal 2001, grazie all’alleanza con la Lega, Berlusconiha preso il sopravvento, così come altre forze di destrahanno conquistato la vittoria in Europa, caratterizzate da

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 369

370

quel mix di populismo e di localismo venato di sentimentirazzisti di cui la Lega è soltanto l’espressione italiana, nonmolto diversa da certi movimenti emersi in Olanda e nelleFiandre. A volte siamo convinti che quanto succede in Ita-lia sia qualcosa al di fuori dell’ordinario, un atteggiamentoche fa parte del provincialismo nazionale. Più spesso, però,cose molto simili avvengono in altri paesi europei, anche se,nel panorama delle nuove destre europee, la versione ita-liana è di gran lunga la più volgare. Oggi noi ci troviamo in una condizione in cui dobbiamo co-struire una coalizione in grado di fare uscire il paese dal do-minio di Berlusconi. Uno sforzo, questo, che abbiamo com-piuto alla metà di questo decennio, vincendo anche leelezioni, ma alla base c’era una proposta politica che si è ri-velata fragile: quella dell’Unione. Badate, anche su questopunto Berlusconi ha costruito il mito della propria invinci-bilità, un mito falso: egli ha alternativamente vinto e persole elezioni. Dunque, se tutte le edizioni pari le abbiamo vintenoi, statisticamente, sarà così anche per la prossima. Anzi,di norma in questo paese la forza che è al governo perdele elezioni politiche successive. Ciò, invero, rappresenta anche una spia dell’estrema diffi-coltà a governare il nostro paese. Forse, l’ultima volta cheabbiamo vinto le elezioni, avremmo potuto cercare di co-struire una stagione politica più lunga. All’indomani della vit-toria elettorale dell’Unione, a mio giudizio, occorreva ren-dersi conto che quel successo era troppo ristretto per darvita a una nuova fase politica. Nel corso di quella legislatura,quando si è aperta la crisi tra l’UDC e Berlusconi, ed è ve-nuta fuori una certa idea di riforma elettorale del sistemapolitico, se noi avessimo aperto un dialogo anziché pensare

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 370

371

di essere autosufficienti, forse saremmo ancora al governo. Non è vero, quindi, che il nostro sia un destino cinico e cru-dele, perché tutto dipende dalle scelte politiche che si com-piono. Trovo abbastanza normale che in una lotta politicadi questo tipo, in un partito come il nostro, ci siano ancheopinioni diverse che si confrontano. Non li chiamerei ‘litigi’.Anzi, con una valutazione ex post, direi che qualche volta,se avessimo litigato di più, forse avremmo evitato di com-piere degli errori. Al di là della discussione e del confrontopolitico, entrambi aspetti fisiologici in un partito sano e de-mocratico, credo che oggi siamo finalmente arrivati a de-finire una prospettiva per il futuro dell’Italia. Il problema di questo paese è mettersi alle spalle non sol-tanto Berlusconi, ma soprattutto il berlusconismo, una certaidea della politica e del rapporto tra cittadini e istituzioni. Ilproblema e la sfida che abbiamo di fronte consistono nelchiudere una stagione del bipolarismo italiano che si è rile-vata inefficace, poiché abbiamo avuto governi fragili e unpaese che nel complesso non è stato in grado di fare le ri-forme necessarie. Pertanto, quando Bersani afferma la necessità di un governocostituente, non lo fa muovendo da una esigenza di schie-ramento politico, ma da una considerazione di ciò di cui habisogno l’Italia: grandi riforme e ritrovare se stessa, perchéil nostro paese ha vissuto un periodo, oramai lungo, in cuiha progressivamente perduto terreno su fronti molteplici.L’Italia è profondamente divisa e arretrata rispetto ai paesipiù avanzati e moderni. In questi ultimi dieci anni la ric-chezza non è cresciuta, sono aumentate le diseguaglianzesociali, si registra uno spaesamento dei giovani. La crescentefatica ad assorbire le professionalità e i talenti migliori fa sì

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 371

372

che i giovani più qualificati se ne vadano all’estero. Questoripiegamento non riguarda soltanto la politica, sarebbe ungiudizio ingeneroso. Basta vedere come è invecchiata laclasse dirigente economica del paese. È evidente, dunque,che abbiamo bisogno di riforme che coraggiosamente ri-mettano in movimento la società italiana, a cominciare daquelle del sistema politico istituzionale, capaci di sostituireall’attuale specie di sistema plebiscitario una democraziafunzionante. Badate, non esiste nessun paese al mondo dove, alle ele-zioni politiche, si voti su una scheda su cui è riportato ilnome di uno che, però, non viene eletto: una sorta di pre-sidenzialismo di fatto, di tipo plebiscitario, che non presentaalcun bilanciamento tra i poteri costituzionali. In Italia, quelsignore, che non viene eletto, ma che allo stesso tempopensa di essere stato eletto, nomina la sua maggioranza, inuna condizione in cui evidentemente salta ogni equilibrio.Il nostro sistema, dunque, deve essere riformato, altrimentiresterà caratterizzato da una fragilità pericolosa della de-mocrazia. Inoltre, nel decennio berlusconiano, sono diminuiti gli in-vestimenti nella ricerca e nell’innovazione ma è aumentatala spesa pubblica, che può sembrare un paradosso. In que-sto certamente c’è il fallimento del governo della destra, masi registra anche una tale acutezza delle questioni nazionaliche richiedono uno sforzo che deve andare oltre i confinidella sinistra. Quando Bersani sostiene che occorre un pattotra progressisti e moderati per dare nuove basi allo sviluppodel paese, indica una prospettiva ragionevole. È talmentepoco vero che il Partito Democratico è privo di una politicae di un programma, che Berlusconi non vuole in alcun

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 372

373

modo le elezioni. Perché se Berlusconi davvero pensasse chesiamo nelle condizioni in cui noi stessi ci raffiguriamo, cichiederebbe di votare domani. Invece, poiché è convintoche, andando alle elezioni, la nostra proposta politica vin-cerebbe, si è barricato nel Palazzo e ha assoldato un gruppodi mercenari. Poi, siccome siamo un paese fantasioso, i mer-cenari si sono autodefiniti ‘Responsabili’. Insomma, Berlu-sconi cerca solo di guadagnare tempo. Per concludere, sono meno pessimista di molti commenta-tori e di molti iscritti rispetto alla questione del programmadel Partito Democratico. Certo, se si affronta il tema del-l’identità del PD, è innegabile che abbiamo un’idea di par-tito che si è tramandata nella nostra tradizione, nella nostrastoria, nella nostra memoria. Si tratta di un’idea di partitoche, però, è irripetibile. Alla mostra sulla storia del PCI, dicui sono stato tra i promotori, ho visto arrivare veri e pro-pri fiumi di persone. Alcuni si mettevano a piangere, guar-dando le fotografie, vedendo i filmati, intanto perché «ilpensiero di giovinezza è rimpianto», come dice il Poeta, epoi perché si è tramandata un’idea di partito che è ancoraviva nella memoria di molti. Non sono certo pentito diavere voluto questa mostra, ma credo che forse bisogne-rebbe anche tenere dei corsi di demitizzazione.

R. B.: Ma tra cento anni forse li vedremo piangere per Fran-ceschini e Bersani…

M. D’A.: Credo che quel tipo di partito non tornerà più, ap-partiene ad un’altra epoca storica. Vorrei ricordare che il PCIera sì suggestivo, e certamente il ricordo ci fa commuovere,ma tengo anche a precisare che non andò mai al governo

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 373

374

di questo paese. E il fatto di non essersi messo in condizionidi governare in Italia è in parte imputabile allo stesso PCI,e non fu certo un piccolo danno. Faccio questa precisazioneper demitizzare un po’ la nostra storia e per dire ai giovani:attenzione, questo nostro passato, che qualche volta pre-sentiamo come straordinario, ha avuto anche le sue ombre.

R. B.: Segretario, per misurare questi temi sulla dimensioneregionale, il PD toscano ha rinnovato molto, nell’ultima tor-nata congressuale, i propri quadri dirigenti: c’è un gruppodi giovani che governano le federazioni. Mi pare d’altraparte, come diceva anche D’Alema, che il fatto che buonaparte degli iscritti non si rendano conto che il partito ha unprogramma e delle proposte in materia di politica fiscali osu altri temi di rilievo, è sintomatico di un generale problemadell’informazione, del controllo in questo paese dei sistemidi informazione, del conflitto di interessi ecc. Ma c’è ancheun problema da parte del partito nel colloquiare con i suoiiscritti e con la società nella sua dimensione più ampia. È untema forte anche in una regione dove il PD è così radicatoe dove però, alle ultime elezioni dello scorso anno, si sonoregistrate quote di assenteismo molto alte. In questi giornii giovani qui presenti hanno discusso molto delle nuoveforme di comunicazione politica e delle nuove strutture dellapolitica, dalla sezione ai circoli a Facebook. Come vi statemuovendo qui in Toscana per far sì che il partito vada in-contro ai giovani e alla società in generale?

Andrea Manciulli Segretario regionale PD Toscana La domanda ne contiene molte al suo interno, non tutte le-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 374

375

gate tra loro. Io penso che questo tema del rinnovamentosia un po’ come l’elemento nostalgico del quale parlavaprima D’Alema: noi in questi mesi alle volte viviamo oscil-lando tra la nostalgia e l’evocazione del rinnovamento sal-vifico, senza renderci conto che invece lo sforzo nostro do-vrebbe essere quello di legare insieme questi temi. Ilrinnovamento è una cosa seria e non lo si può usare solocome vettore per l’affermazione di un singolo. Il rinnova-mento a mio avviso è la sfida di dare a questo paese unanuova generazione che si ri-appassioni della politica e chevi contribuisca in prima persona. Ci sono, per essere precisi,due sfide: la prima è quella che una nuova generazione diaun contributo fondamentale per ridare legittimità pienaalla politica in questo paese. Soltanto l’impegno di unanuova generazione, infatti, può aiutare a chiudere defini-tivamente questi anni di antipolitica che, finora, hannosolo favorito Berlusconi. Il secondo tema che vedo: io credoche qualsiasi opera di rinnovamento di un partito debba le-garsi ad una missione più ampia. A mio avviso questa mis-sione in questo paese c’è e necessita, più che di tanti sin-goli di discreto talento, di un gruppo dirigente che si leghie che abbia la forza di affrontare i temi nel merito. Io pensoche questa sfida ce l’abbia lanciata con un bellissimo di-scorso il Presidente della Repubblica con gli auguri di fineanno: in quel discorso io ho colto un elemento di grandeforza, che chiama in causa il nostro paese. Giorgio Napoli-tano nel suo discorso ha affrontato il tema di una genera-zione che rischia di mancare, che alla fine è diventata lospecchio più evidente del nostro declino. In una Regionecome la nostra, dove abbiamo, come è stato ricordato,l’emergere di un gruppo dirigente nuovo che si vuole mi-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 375

376

surare, l’idea che è venuta al nostro Presidente di Regione,che è una persona coraggiosa, è di mettere in campo unProgetto Giovani. Quando uno sente questa espressione,pensa subito a un pacchetto di leggi circoscritte: in realtà En-rico Rossi per la prima volta ha affrontato un tema che a mioavviso dovrebbe essere il titolo della nostra sfida per ritor-nare al governo del paese, vale a dire: cosa si fa per rimet-tere in moto la nostra società e nello stesso tempo garan-tire tutele ad una parte del nostro paese che rischia di nonaverle? Massimo lo sa perché ne abbiamo discusso altrevolte: questa proposta di Enrico riprende anche una partedifficile del ragionamento che noi, quando eravamo al go-verno di questo paese, avevamo cominciato a fare. I primia riflettere, allora giustamente e forse un po’ incompresi,sulla necessità di riformare un sistema di Stato sociale e dirilanciare questo paese fummo noi. Questa necessità, tut-t’oggi, rimane immutata. Io credo che la forza di un partitocome il nostro debba essere quella di riuscire a recuperarequesta necessità e a trasferirla in un messaggio immediatoe radicato sul territorio. Penso che questo lo si debba fareanche con la forza degli argomenti concreti. A me è capi-tato di leggere nelle scorse settimane una bella ricerca chel’IRPET ha fatto per noi, per il nuovo PRS e per le scelte diquesto avvio di legislatura: in Toscana, che non si può certodire sia una delle Regioni più povere del nostro paese, c’èuno spaccato che riguarda il futuro delle giovani generazioniche noi dovremmo conoscere e che il nostro partito a mioavviso dovrebbe studiare approfonditamente. Voglio citarequi qualche dato che secondo me serve per capire anche iltipo di orizzonte che si dà alla nostra politica. In Toscana oggilo stipendio medio di un giovane sotto i trent’anni anni

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 376

377

oscilla tra i settecento e i mille euro; venticinque anni,quando fu fatta in Toscana un’inchiesta analoga, per unacasa si spendeva al massimo il 40 per cento di un salario.Oggi si spende per una casa quasi l’80 per cento del pro-prio salario. Ciò significa che se venticinque anni fa era op-zionale che in un nucleo famigliare entrassero due stipendi,oggi è divenuto una necessità assoluta. È cambiata, cioè, lanatura sociale delle famiglie: tanti nonni sono diventati ilprimo ammortizzatore della nostra società. Se ragioniamo,nelle aree urbane come Firenze e Pisa, chi vuole mettere suuna famiglia e avere un bambino vede l’80 per cento delproprio stipendio andare via per la casa; va considerata poi,nel caso in cui entrambi i genitori lavorino, la spesa dell’asilonido, per cui se ne vanno dai trecento euro in su; va ag-giunta poi la spesa, le bollette, i pannolini… Siamo difronte, senza tanti giri di parole, alle prime generazioniche, in un secolo nel quale la vita delle persone era sempreandata migliorando, vedono la propria qualità di vita peg-giorare rispetto a quella dei genitori. Il tema del rinnova-mento, allora, riguarda soltanto la capacità televisiva diquesto o quel giovane oppure è la sfida di una società ita-liana e di un gruppo dirigente che sappia farsi carico di que-sta nuova diseguaglianza? Io non ho dubbi su quale delledue sia la risposta giusta: è la seconda. Io credo che un par-tito come il nostro debba partire proprio da questo: devedare uno spazio a chi poi il futuro dell’Italia lo deve costruire.Prima si citava il Brasile: c’è un mondo nel quale i paesi invia di sviluppo hanno una centralità di popolazione attivafortissima. Il Brasile è un paese di giovani, un paese di ge-nerazioni attive; il problema dell’Europa è l’opposto. L’Eu-ropa ha un alto tasso di invecchiamento della popolazione.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 377

378

Questa è una delle Regioni dove si vive più a lungo in tuttaEuropa, ma che non compensa questo dato con una nata-lità altrettanto elevata in tutte le Province: in Toscana la re-altà con un ritmo di natalità più alto è Prato, anche a seguitodi un tasso consistente di immigrazione. Da cosa dipende,allora, il livello di natalità mediamente molto basso della no-stra Regione? Io penso che qui sta la cifra di quello che devefare il centro-sinistra.Venendo poi alla parte della domanda relativa ai nostri mi-litanti, io penso che noi dobbiamo riuscire a fare un partitoche, contrariamente a quello che qualcuno pensava, nonpuò essere solo comunicazione: la comunicazione, quandonon ha contenuti, non serve a nulla. Serve solo per ali-mentare aspettative che poi finiscono per essere irrimedia-bilmente deluse. C’è bisogno, invece, di un partito che sap-pia porsi e risolvere in modo nuovo anche il problema dellacomunicazione. Noi abbiamo tenuto una bellissima As-semblea nazionale nella quale sono stati redatti dieci do-cumenti, che poi abbiamo venduto alla stampa e all’opi-nione pubblica tutti e dieci insieme. Il giorno successivo, suigiornali, di tutto questo non c’è stata traccia: in parte forseper il vizio italiano, ancora molto diffuso, per cui prevalgonosempre i litigi sulle questioni serie; dall’altra parte, ha gio-cato a nostro svantaggio anche una gestione poco scaltrae strategica dei contenuti elaborati, perché a mio avviso, sealla stampa si consegnano dieci documenti molto articolatitutti in una sola volta, il rischio è che non rimanga granché.Io penso, invece, che noi dobbiamo fare lo sforzo di dareun titolo alla nostra sfida: noi siamo coloro che voglionomodernizzare questo paese per dare un futuro alle giovanigenerazioni: questo è il vero punto di fallimento dell’attuale

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 378

379

governo di centro-destra. Il messaggio che era implicito nel-l’ascesa di Berlusconi era che quanto lui era riuscito a fareper se stesso e per le proprie imprese l’avrebbe fatto ancheper il paese. Oggi, invece, l’Italia, a distanza di diciassetteanni, è più povera e non ha quel tratto di modernità che do-vrebbe avere. Noi dobbiamo essere credibili su questo ter-reno, essere coloro che la modernizzazione la vogliono e larealizzano per davvero; per conseguire questo obiettivo, amio avviso, è necessario abbracciare una questione e farnela questione fondamentale della nostra azione politica, peril benessere del paese. Per questo io credo che Enrico Rossistia facendo molto bene, perché ha avuto anche il corag-gio di scegliere una priorità: su quella priorità noi pos-siamo, a livello locale, dare un contributo per il rilancio delcentro-sinistra e anche del nostro partito a livello nazionale.È governando contraddizioni come queste che ci si accre-dita come classe dirigente, non andando a qualche talkshow e lanciando qualche annuncio che magari dura sololo spazio di una campagna comunicativa, senza poi pro-durre nulla.

R. B.: Credo anche io che il Pacchetto ‘Giovani sì!’ sia statouno degli elementi più forti del programma di governo delPresidente Rossi. L’altra grande sfida che si configura èquella che Lei richiamava citando i dati dello stato del-l’economia anche toscana, con un PIL che cresce sotto lamedia nazionale: veniamo da anni di crescita molto bassa,abbiamo accusato fortemente la crisi, torneremo ai dati del2007 non prima del 2015. Per alcuni sistemi economici lo-cali il quadro è ancora più drammatico: i dati, ad esempio,dell’IRPET ci dicono che il sistema economico livornese

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 379

380

forse tornerà a condizioni decenti intorno al 2025. Un’altragrande questione posta al centro della politica del governoregionale è quella delle infrastrutture: un tema sul quale damesi si sta discutendo in merito alle varie opzioni e alle di-verse scelte che si possono intraprendere. Questa discus-sione, da una parte, sta mettendo in luce inevitabilmente ilruolo importante dei sindaci e delle amministrazioni pro-vinciali, attivi in difesa del proprio territorio; dall’altra,emerge un tentativo a livello regionale, forse sostenuto an-che dal partito, di portare a sintesi le varie opinioni e di in-dividuare dei punti comuni. Questa mi pare oggi la grossasfida per la Toscana: riuscire a realizzare queste infrastrut-ture e a trovare dei punti di sintesi. La questione dell’aero-porto, ad esempio, è un tema molto sentito qui a Pisa: par-lare di fusione o di holding non è semplice per una città che,rispetto a Firenze, sull’aeroporto ha investito e si è data dellestrategie più avanzate. In che modo il partito riuscirà a gio-care questo ruolo di cerniera, di luogo di discussione e diconfronto propositivo per sostenere la ricerca di posizionicomuni?

A. M.: Darò una risposta breve. Io penso che la questionedelle infrastrutture rientri nel ragionamento che abbiamocondotto prima. Lo voglio dire con tutta la convinzione chemi è possibile: io credo abbia fatto bene Enrico Rossi a met-tere la questione della società Pisa-Firenze al centro del di-battito toscano. Penso che per parlare di questo si debba,però, prima dire alcune cose. Ricordiamoci anche qui dellalavagnetta di Vespa, perché qualche anno fa, in una delletante trasmissioni che hanno contribuito a fare la storia delberlusconismo, fu presentata una lavagnetta, dietro la quale

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 380

381

questo paese in qualche maniera aveva creduto si profilasseun paese più moderno. Si trattava di un miraggio, come poihanno drammaticamente confermato gli anni successivi.Ecco, prima degli aeroporti vorrei parlare dell’alta velocità.Quando fu presentata la lavagnetta, vi era sempre in ballola questione dell’alta velocità, che è ancora non si è chiusain modo definitivo. Se guardiamo a quello che è successonegli ultimi vent’anni, abbiamo di fronte agli occhi unanuova frontiera di diseguaglianza per le nuove generazionidi questo paese: non si può pensare che, mentre un giovaneeuropeo in due ore va da Parigi a Londra, in tre ore e mezzoda Parigi a Berlino e, quando sarà completato il tratto me-diterraneo, in poco più di sei ore arriverà a Barcellona, ungiovane italiano sia ancora in attesa di una linea di alta ve-locità. Queste sono le cose che cambiano la vita delle per-sone, mentre troppo spesso ci perdiamo a discutere diquestioni vecchie e di scarso impatto. Su questo voglio direun’altra cosa, perché tante volte ci sono questioni che in unattimo ti fanno capire di cosa si sta parlando. Quando fu va-rato il primo progetto di alta velocità per l’Italia correval’anno 1978 e la prima, vera fase della discussione si tennenegli anni precedenti alla caduta del Muro di Berlino; fra treanni sarà ultimata la prima linea di alta velocità che collegaBerlino a Praga, inimmaginabile quando fu pensata la no-stra linea di alta velocità perché esisteva ancora il Muro.Questa è anche la misura di quello che sta accadendo oggie di un possibile ritardo. Noi, per esempio, in queste setti-mane stiamo affrontando a Firenze la questione della Bi-blioteca Nazionale: è una biblioteca che io ho frequentatoda studente e poi anche da ricercatore e che è sempre, inlarga parte, indicizzata manualmente, quando la Biblioteca

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 381

382

Mitterand di Parigi, la nuova biblioteca di Berlino e le prin-cipali biblioteche del mondo sono tutte consultabili da casa.In una città che ha la centralità del sapere di Firenze, il fattoche non ci si possa scaricare da casa i libri della BibliotecaNazionale ha un rilievo o no per il futuro delle persone? Daquesto punto di vista io penso che noi dobbiamo avere laforza di essere coloro che recuperano questo tema e lo de-clinano per il futuro. All’interno di questo ragionamentorientra anche la discussione sulla società aeroportuale. Lanostra Regione, accanto a tanti pregi, ha anche qualche di-fetto. Vedo qui Paolo Fontanelli, con il quale abbiamo di-scusso molto di questo tema: ricordo anche un suo inter-vento su questo. Noi, ad esempio, abbiamo una certatendenza al campanilismo, che aiuta, col suo tratto identi-tario, anche sul piano elettorale, ma che poi, nella risolu-zione dei problemi, non ne facilita sempre la risoluzione. Iopenso che sia venuto il momento, in questa fase, di con-frontarsi con quei processi che hanno una dimensione glo-bale e di fare, su questo terreno, un passo in avanti. Se noialla fine riusciamo a realizzare in Toscana una società chefaccia di Pisa l’aeroporto internazionale della Regione eche al tempo stesso migliori l’aeroporto di Firenze – questaè l’unica soluzione possibile –, riuscendo così a diventare unadelle prime società italiane, noi avremo compiuto un trattopositivo lungo la strada del riformismo per questa Regione.Come giustamente ha detto Rossi, noi dobbiamo stare al-l’altezza di questa sfida, perché non ci rimetta nessuno maci guadagnino tutti. Io penso che questo significhi gover-nare, che questa sia la via per la credibilità che a mio avvisodobbiamo intraprendere per tornare al governo del paeseed essere coerenti con quello che si dice.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 382

383

R. B.: Da ex consigliere comunale, Massimo D’Alema, cidice qualcosa sulla questione dell’aeroporto?

M. D’A.: Sono d’accordo con Manciulli: il problema è dievitare la guerra degli aeroporti e credo che il modo miglioreper farlo sia di concepire, in un’unica strategia, l’integrazionetra un grande aeroporto intercontinentale e un City Airport.Ai miei tempi si sarebbe detto che l’aeroporto c’era già, an-che per via delle aspirazioni fiorentine, e la questione si sa-rebbe chiusa in questo modo. Certo, l’aeroporto di Firenzedeve essere rinnovato, perché così com’è l’Associazione deipiloti non lo accetta. L’idea, però, che a Firenze ci sia un CityAirport e a Pisa un aeroporto intercontinentale penso possafunzionare, soprattutto se inscritta all’interno di una stra-tegia complessiva, e la società unica, da questo punto di vi-sta, è una garanzia in questo senso. Si tratta, inoltre, di un’idea coraggiosa. Ciò indica quanto,in una Regione come questa, siano stati fatti tanti passi inavanti. Tanti anni fa, quando ero un giovane funzionariodella Federazione Comunista di Pisa, venivamo diffidatidall’attraversare l’Elsa: un gesto che veniva consideratoquasi un tradimento. Ancora è vivo nei miei ricordi un bel-lissimo documentario sulla rivolta pisana contro il dominiomediceo: altro che rispetto dei diritti umani! Ci furono mo-menti in cui la città si ritrovò letteralmente schiacciata dal-l’occupazione e dell’oppressione fiorentina. Trascorrono i secoli, eppure i tempi lunghi della storia fannosì che in Toscana ci siano fenomeni incancellabili. Sul MontePisano, quello che ci separa dai lucchesi, correva il confineche separava Pisa ghibellina da Lucca guelfa; dopo centi-naia di anni, oltrepassando lo stesso confine si passava dal

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 383

384

Comune dove il PCI aveva il 60 per cento ai centri in cuitrionfava la Democrazia Cristiana. Parliamo quindi di unaRegione in cui fare la società unica dell’aeroporto Pisa-Fi-renze costituisce una scelta straordinariamente coraggiosa.E per intraprenderla ci voleva proprio un uomo di frontieracome Rossi.

R. B.: Per tornare alle prospettive di questa fase politica, mipare che le elezioni anticipate, che soltanto due o tre mesifa sembravano molto probabili, in questa primavera sifanno un’evenienza sempre più remota all’interno di unpatto Bossi-Berlusconi entro il quale stanno sia il federalismoche la giustizia.

M. D’A.: Vedremo. Ci sarà da combattere.

R. B.: La prospettiva del PD è quindi, come si diceva ancheprima, quella di lavorare all’unione, all’intesa con il TerzoPolo per questa grande coalizione. Sia Lei sia Bersani par-late di una nuova fase costituente: credo che si debbaavere la forza di fare capire al paese che ci sono 1850 mi-liardi di debito pubblico, una situazione, cioè, della nostraeconomia che richiede davvero una grande stagione di ri-forme, fatte con forza, capaci di incidere nel profondo, se-condo una visione politica di lungo respiro. Senza una stra-tegia di questo tipo il paese non ha ripresa, non ha sviluppoe, probabilmente, nessuna forza politica o nessuna piccolacoalizione può avere la forza di incidere e di produrre uncambio simile. È questa l’idea che coltivate?

M. D’A.: Sì, ma è difficile che ci possano essere elezioni po-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 384

385

litiche a primavera, perché Berlusconi è riuscito ad arginareogni tentativo, soprattutto da parte di Fini, di dare una spal-lata. Noi abbiamo sostenuto questo sforzo, e qualcuno ci haanche rimproverato. A questo punto non so cosa avremmodovuto fare. Si tratta di quelle analisi strane secondo cui,poiché la votazione è andata male a causa di qualche irre-sponsabile, avremmo sbagliato ad appoggiarla. Non sonod’accordo. È evidente che non si deve mai sottovalutare lacapacità di resistenza del Presidente del Consiglio, ma è an-che vero che la frattura che si è determinata nel centro-de-stra lo ha indebolito molto nel rapporto con il paese. In que-sto momento, a mio parere, dobbiamo far decollare laproposta di un governo costituente per restituire forza al no-stro sistema democratico, per dare un fondamento nuovoa un bipolarismo italiano che non si riduca all’attuale sistemaplebiscitario, per un patto sociale per lo sviluppo e per lenuove generazioni, per rimettere mano e dare efficienza al-l’amministrazione pubblica – grande problema irrisolto –, eper non lasciare che anche il federalismo si traduca soltantoin un aumento di costi e di burocrazia. Pertanto abbiamo bisogno di un esecutivo che possa af-frontare i grandi problemi del paese. Si tratta di una pro-posta indirizzata, più che al Terzo Polo, innanzitutto agli ita-liani, e in questo momento costituisce il programmafondamentale, quindi un tratto essenziale, dell’identità delPartito Democratico. Solo dopo esserci rivolti ai cittadini, ver-ranno i Primi, Secondi, i Terzi Poli, tutti quelli che saranno ne-cessari. Se si radica nel paese la convinzione che questo èciò di cui abbiamo bisogno, anche il costituirsi degli schie-ramenti politici diventerà più facile. Il nostro è un progettostrategico sul futuro dell’Italia, e non dipende né da una di-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 385

386

chiarazione di Casini in tal senso, né dal fatto che le elezionisi spostino di un mese o di un anno. C’è qualcuno che èconvinto che in mancanza di elezioni imminenti si debbacambiare strategia. Al contrario, penso che se Berlusconi ri-manesse alla guida del paese un altro anno, a maggior ra-gione avremo bisogno di un governo in grado di rico-struire, poiché da qui a un anno potranno esserci solo guai. È necessaria, inoltre, una fermezza di ispirazione strategica:un grande partito non può cambiare idea a seconda delledichiarazioni del giorno degli esponenti dell’opposizione. IlPresidente Mao diceva che la strategia e la tattica sonocome le bacchette con cui si mangia il riso: la strategia deverimanere ferma, è la tattica a muoversi. Se vogliamo un go-verno costituente per il futuro dell’Italia dobbiamo dareforza a questa prospettiva. Perché enunciare una propostanon basta, occorre motivarla, arricchirla di contenuti, spie-garne gli obiettivi. Secondariamente, se non ci sono le ele-zioni politiche, c’è la lotta politica. Nei prossimi mesi avremole elezioni amministrative per duemila Comuni e credo cheverrà evidenziato il fatto che la maggioranza degli italianinon sta con Berlusconi. Molto dipenderà dalla scelta deicandidati e dalle convergenze che si potranno realizzare, male elezioni amministrative in Italia hanno sempre avuto unvalore politico. Poi ci saranno i referendum, sui quali dobbiamo assoluta-mente mettere l’accento. Berlusconi spera che i quesiti re-ferendari finiscano in un dimenticatoio e sta facendo di tuttoaffinché questo si realizzi: li ha convocati per il mese di giu-gno nella speranza che gli italiani vadano al mare, secondoun ricordo che porta male. Per noi, invece, sono un’occa-sione da non perdere. Il referendum, in particolare, è stato

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 386

387

promosso da Di Pietro, ed è stata un’iniziativa utile. Il que-sito sul legittimo impedimento, c’è poco da fare, è diven-tato una sorta di referendum su Berlusconi: è l’occasionegrazie alla quale quella maggioranza degli italiani che nonsi riconosce in lui, che pensa che si debba fare da parte, po-trà esprimersi. In ogni caso dobbiamo impegnare appienole nostre forze. Inoltre, c’è la società, ci sono i movimenti: a chi si chiede dadove dobbiamo ripartire, risponderei dalla piazza del 13 feb-braio, quando le donne italiane si sono riunite. Quello èstato un momento in cui si sono rotte le barriere di partitoed è venuta in campo una parte importante della società ita-liana. E si è mostrata come possibile quella alleanza tra pro-gressisti e moderati. Ora, per evitare che sembri una for-mula politica, la tradurrò nei termini di quella piazza, dovehanno parlato, tra le altre, sia una delle esponenti storichedel femminismo italiano sia una suora che ha tenuto un co-mizio straordinario, rivolgendosi alle autorità civili e religiosedel paese con un richiamo di grande forza. Questa è la politica, non una chiacchiera di salotto sul se equando ci saranno le elezioni politiche. Ci sono le ammini-strative, i referendum, la lotta politica, la lotta sociale, i mo-vimenti. In tal modo si prepara una svolta per il paese e an-che il Partito Democratico sta lavorando in questa direzione.Non è soltanto la discussione sulle alleanze o, peggio an-cora, il nostro solito dibattito interno sulla leadership, su chisarà il candidato di elezioni che non sono state neppure con-vocate. Quello è un modo di farsi del male, ma a questopunto abbiamo ben altre più urgenti scadenze. Infatti, è nelle prossime settimane che verrà definito il rap-porto di forza del paese e noi non dobbiamo farci spaven-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 387

388

tare. Vogliono fare la riforma costituzionale della giustizia:non è aria, e lo dico rivolgendomi al governo, dato che taliriforme non passano senza una maggioranza qualificata.Berlusconi vuole promuovere anche un referendum popo-lare contro i giudici, ma segnalo che nel referendum costi-tuzionale non è richiesto neppure il quorum. In questaprospettiva, spero davvero che Berlusconi intraprenda que-sta strada, ma dubito seriamente che lo farà, dal momentoche è un uomo capace di fiutare l’aria. Non solo, quindi, dobbiamo avere coscienza della nostraforza, ma anche del fatto che si è aperta una lotta politica,il cui esito, a mio giudizio, sarà quello di una svolta di go-verno in Italia. Si tratta di un cammino che deve essere pre-parato, per evitare che il prossimo governo si perda in di-scussioni. Ad esempio, ricordo che nella mia più recente esperienza digoverno, alla Farnesina, mi recavo spesso all’estero. La no-stra è stata una politica estera che ha raggiunto alcuni ri-sultati importanti, dal Libano alla Risoluzione delle NazioniUnite contro la pena di morte: era, insomma, un’Italia chesi presentava in un modo migliore rispetto a quella che ab-biamo conosciuto più recentemente. Ciononostante, ognivolta che rientravo in Italia, ero travolto da discussioni paz-zesche all’interno della maggioranza di governo. Dovevo di-scutere con persone strampalate che mi chiedevano coseassurde. C’era addirittura chi organizzava i cortei contro ilgoverno di cui faceva parte. Tutto questo mentre credo diaver portato avanti una politica estera tra le più di sinistrache si potessero fare nel mondo, essendo al potere, dall’al-tra parte dell’oceano, l’amministrazione Bush.Ecco, non dimentichiamoci mai che il Partito Democratico

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 388

389

è nato anche per voltare pagina rispetto a queste espe-rienze. Vorrei sottolinearlo, perché la forza del nostro par-tito è anche una delle condizioni perché vi sia un governocredibile del paese. Non è sufficiente battere Berlusconi, loabbiamo già fatto in passato. Il vero problema è vincere lasfida del governo: una sfida, ve lo assicuro, certamente piùdifficile.

R. B.: Lei citava il tema della giustizia, che sarà centrale neiprossimi mesi da vari punti di vista: da una parte la riformaepocale; dall’altra il nostro Premier che dovrebbe sfilare intutti i processi.

M. D’A.: Il processo del lunedì.

R. B.: Ogni volta avremo le dichiarazioni spontanee del Pre-mier, che si trasformeranno in attacchi ai magistrati. VorreichiederLe se ritiene che sarà importante, in questo senso,il segnale che il PD darà sul caso del Senatore Tedesco – vo-stro esponente – e il modo in cui si pronuncerà in merito allarichiesta di arresto.

M. D’A.: Già la sua domanda costituisce una spia inquie-tante. La giunta per le autorizzazioni del Senato della Re-pubblica, che sta leggendo le carte, è chiamata a giudicarese ci sono le ragioni per arrestare una persona. Il fatto chein una materia come questa si pensi di dare un segnale po-litico lo considero aberrante, mi perdonerà per l’uso fortedell’aggettivo. Non credo che noi possiamo vincere la sfidacon Berlusconi regalandogli quel poco di giusto che c’è nellasua posizione, ossia il garantismo: sulla libertà delle persone

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 389

390

non si danno segnali politici, ma si valuta se ci sono gliestremi giuridici. In definitiva, quando si parla della reclusione, credo che agiudicare debbano essere esclusivamente i giudici e gli av-vocati, non la politica.

R. B.: Abbiamo affrontato molte questioni nel corso diquesta nostra discussione. D’Alema ha richiamato più voltel’attenzione anche sull’attuale democrazia plebiscitaria: inToscana uno degli impegni è quello di riformare il sistemaelettorale ritornando alle preferenze o, comunque, a unostrumento che riporti il Consigliere in rapporto diretto congli elettori. È chiaro che la scadenza è lontana, ma anche quiè importante riuscire a costruire presto una consapevolezzanel paese, non solo per dimostrare che questo è uno deipunti chiave del vostro programma ma soprattutto per ri-costruire un rapporto più stretto tra la politica e i cittadini.

A. M.: Io credo che questo tema vada affrontato seria-mente. Noi abbiamo una legge elettorale che da questopunto di vista è stata da più parti assimilata alla legge na-zionale, una legge che senza dubbio in questa fase mostratutti i propri limiti: se non ci fosse un Parlamento di nomi-nati direttamente dal Capo, forse ci sarebbe anche più li-bertà nel prendere certe decisioni. Tuttavia, la nostra leggenon è proprio uguale: lo posso dire perché sono uno diquelli che ha contribuito a farla e ne porto la responsabilità,dal momento che in politica è importante metterci semprela faccia. Con quella legge avevamo tolto le preferenze maavevamo anche fatto una legge istituzionale per tenere leprimarie. Su questo permettetemi una battuta: mi fa ridere

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 390

391

qualche dirigente nazionale del mio partito che ora stig-matizza la Toscana per quella legge e che poi nei corridoi siappresta, nell’imminenza di elezioni politiche, a chiedere dinon fare le primarie per i parlamentari. Il ragionamento nontorna. Noi abbiamo fatto le primarie due volte e con unalegge istituzionale. Tuttavia, dato che questo mestiere im-plica l’assumersi delle responsabilità, non si può non rico-noscerci il merito di avere fatto per ben due volte le primariepraticamente da soli, portando cioè la democrazia in casanostra: la Toscana è una terra di tre milioni e quattrocen-tomila abitanti e alle primarie per i Consiglieri regionali alleultime elezioni hanno votato centottantamila persone. Male primarie non dovremmo farle noi soltanto. Per questomotivo io ritengo serio quello che Enrico Rossi ha in testa:noi dobbiamo intraprendere un percorso che ci porti adare ai cittadini, nella forma più ampia possibile, la possibi-lità di scegliersi i rappresentanti tutti, non soltanto quelli delPD. Quello che mi fa rabbia e mi indispone è che, in que-sto dibattito, chi ha praticato una certa forma democraticaalla fine sia equiparato a chi ha compiuto scelte anchemolto discutibili. Da questo punto di vista io credo che la di-scussione non possa che ripartire da un doppio binario.Quando decidemmo di togliere le preferenze (Marco Filip-peschi è qui e io condivisi con lui quella scelta), lo facemmoperché già erano emerse alcune di quelle storture che poisi sono profilate in modo più netto anche con le primarie.A mio avviso l’optimum sarebbe pensare a collegi unino-minali, un’opzione che permette di avere un legame sul ter-ritorio, di fare le primarie in una maniera certa e, allo stessotempo, di non avere meccanismi distorsivi. In subordine c’èanche il tema della introduzione delle preferenze, su cui,

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 391

392

però, va intrapresa una discussione seria, lontana dall’ondaemotiva sulla scia della quale troppo spesso ci capita di ra-gionare. Credo sinceramente che il bisogno di avere leggiregionali che dialoghino con la forma di governo e con leleggi nazionali sarà un tema all’ordine del giorno molto pre-sto: un paese in cui sono contemplate moltissime forme dielezione, spesso diverse, di poteri diversi, alla fine crea an-che qualche distorsione di governabilità. Su questo io pensoci debba essere un impegno nazionale da parte del PD euna serie di iniziative strutturate: proprio questa settimana,ad esempio, si terrà a Roma l’assemblea degli amministra-tori del nostro partito. Noi però – questa è la garanzia chemi sento di dare – ci dedicheremo seriamente a questoaspetto e non ci presteremo a iniziative-bandiera che hannosoltanto la caratteristica di provare ad accarezzare il pelo aquell’antipolitica strisciante che oggi pensa che tutto sia dabuttare via (penso a iniziative di alcuni nostri alleati). A mequel modo di affrontare le questioni non piace affatto. A mefa piacere venire qui, come sono andato sabato all’iniziativasui temi del lavoro fatta a Firenze, e incontrare i ragazzi per-ché credo che il rinnovamento passi anche dal coraggio diaffrontare con responsabilità temi scomodi. Restituire le-gittimità alla politica, ai partiti, alle istituzioni, anche se sco-modo, è un tema vero per l’identità e per la forza di que-sto paese col quale noi dobbiamo misurarci. Non è cedendoall’antipolitica e all’idea che tutto sia indifferentemente dabuttare che si rimette in piedi un paese: su questo bisognaavere la forza e il coraggio anche di andare ad affrontare di-scussioni impopolari ma che servono per la dignità dell’Ita-lia. La prossima settimana celebreremo i centocinquan-t’anni di un paese giovane: questo paese, se è una

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 392

393

democrazia e una nazione, lo è anche grazie alle sue istitu-zioni e a chi si è battuto per quelle. C’è bisogno che que-sta nuova bandiera venga presa da chi la politica la vuoledifendere. La politica ha fatto sì che io, figliolo di un lavo-ratore delle acciaierie e di una mamma casalinga, possa averfatto quello che faccio.

R. B.: Chiuderei con una domanda a D’Alema. Il centrosi-nistra spera ovviamente di battere elettoralmente Berlusconiquanto prima, ma di certo il berlusconismo come modellodi valori, di relazioni sociali, di senso dell’essere, è penetratonel profondo della nostra società. Secondo Lei sarà moltopiù faticoso liberarsi di questo modello che del governo Ber-lusconi?

M. D’A.: Venendo in treno da Roma, ho letto un bellissimosaggio di Franco Cassano, L’umiltà del male. È un libro di fi-losofia molto interessante sul perché i migliori, o presuntitali, spesso non riescono a vincere: la forza del male consi-ste nel saper cogliere la fragilità dell’essere umano. In realtà,però, è un libro sul berlusconismo, per quanto questo nonvenga mai nominato e si prediliga una riflessione di tipo let-terario, con bellissime considerazioni sulla leggenda di Do-stoevskij sul Grande Inquisitore raccontata dai fratelli Ka-ramazov. Parto da qui perché un difetto nella sinistra italiana, un di-fetto di tipo elitario, è consistito spesso nell’avere un at-teggiamento di sprezzante incomprensione della capacitàche indubbiamente Berlusconi ha avuto nel formare il sensocomune di una parte così grande del nostro paese. Cosasulla quale ha cominciato a lavorare già molto prima di en-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 393

394

trare in politica. Una penetrazione di senso che è dipesa, se-condo me, anche dal modo in cui una parte della sinistra hapensato a lungo che fossimo la parte buona di un paese cat-tivo, arrivando persino ad affermare che la vittoria di Ber-lusconi fosse imputabile ai nostri dirigenti, colpevoli di nonessere stati abbastanza pugnaci. Si tratta, come sempre, di una risposta semplice a problemicomplicati. Berlusconi, a mio avviso, ha avuto quella stra-ordinaria capacità di far credere agli italiani che, se si fos-sero affidati a un grande imprenditore come lui, sarebberostati aiutati nel fare fortuna, ma per questo occorreva to-gliere di mezzo la politica e i partiti. E il clima gli era favo-revole, dato che anche grandi giornali di sinistra sostene-vano che bisognasse fare a meno delle organizzazionipartitiche. In tale miraggio, inoltre, ha avuto un peso il diffondersi diuna visione individualistica, il cosiddetto ‘edonismo reaga-niano’ dell’Italia degli anni Ottanta, di quel craxismo di cuiegli fu uno dei grandi ideologi e sostenitori. Quel fenomenoculturale, che ha avuto una grande influenza nella storia ita-liana, poté dilagare anche perché la sinistra si rivelò alquantoanti-moderna: su questo terreno si coglie il fascino, ma an-che la ragione della sconfitta, della parola d’ordine berlin-gueriana ‘austerità’. La sinistra, in fondo, non fu capace diraccogliere quel bisogno di emancipazione individuale, di af-fermazione di sé, che il berlusconismo ha saputo interpre-tare nelle forme anche distorte che poi abbiamo conosciuto. In quegli anni, ripeto, gli italiani pensarono che uno che erastato così bravo a fare soldi per sé avrebbe aiutato tutti, malui, invece, ha continuato a seguire esclusivamente i propriinteressi. È una forma di professionalità che non cambia. In

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 394

395

proposito, vorrei citarvi quella meravigliosa pagina in cuiMax Weber spiega la differenza tra l’etica dell’uomo diStato e l’etica dell’imprenditore: il primo persegue l’interessedi tutti, mentre il secondo ricerca il proprio vantaggio per-sonale e nel farlo realizza la sua missione sociale. Ora,credo che, in qualche modo, questa stagione abbia inse-gnato a molti italiani che l’illusione del traslare l’etica del-l’imprenditore ai vertici istituzionali dello Stato alla fine nonha prodotto ciò che prometteva. Dunque, una nuova stagione ha bisogno anche di unanuova cultura: una cultura del bene comune, del rispettodelle regole. Come disse, con un’espressione infelice, Tom-maso Padoa-Schioppa: ‘pagare le tasse è bello’. Certo, è dif-ficile convincere gli italiani di questo, ma una nuova culturapolitica deve saper convincere del fatto che solo una culturadella legalità e del perseguimento del bene comune può es-sere la risposta al berlusconismo. Si tratta della base neces-saria per una rinascita del paese, che può avvenire soltantoladdove vi sia un ritrovarsi degli italiani in un futuro comune. Questa cultura del bene comune, inoltre, dovrebbe ali-mentarsi dell’apporto di diverse radici. Poco tempo fa, in unconfronto con Monsignor Fisichella, ho articolato un ra-gionamento che ha destato un certo scandalo: in modo vo-lutamente provocatorio, da laico quale sono, ho affermatodi non lamentarmi per un eccesso di intromissione dellaChiesa nella vita pubblica, quanto piuttosto per la sua nonsufficiente presenza in un momento in cui il paese neavrebbe fortemente bisogno. Intendo dire che oggi la vocedella Chiesa potrebbe aiutare moltissimo a rilanciare quelleesigenze di coesione morale del paese e di rispetto dei va-lori fondamentali.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 395

396

Infatti, credo che per uscire da questa stagione dobbiamoanche ritrovare le radici di un’etica condivisa, fondata sui va-lori della solidarietà e del rispetto delle regole, riscoprire checiò è vantaggioso per tutti, perché l’individualismo estremo,l’idea che ognuno possa fare come gli pare, che non è li-bertà ma arbitrio, è una delle ragioni che hanno portato aldeclino dell’Italia. Ci sono molte voci che parlano di una Italia diversa. C’è, adesempio, un mondo della cultura che ha preso coscienza eche comunica anche attraverso i grandi media. Qualchegiorno fa, ironizzando su di noi, qualcuno ha detto che lasinistra riparte dai tre Roberto. Ora, non credo che questosia esattamente il punto di partenza, ma il fatto che unoscrittore di grande successo come Roberto Saviano, uncantante finalmente riconosciuto nel suo meritato successocome Roberto Vecchioni e un grande artista come RobertoBenigni ci parlino di solidarietà, di amore tra le persone, dirispetto della legalità, è sicuramente un messaggio positivo.Così com’è motivo di speranza il fatto che milioni di italianiraccolgano questo messaggio. Anche da queste basi dobbiamo ripartire per inaugurare unanuova stagione che non sarà soltanto una formula politica.Perché forse il principale problema del paese consiste neldover riaffermare le basi etiche e culturali sulle quali fare ri-partire una nuova Italia.

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 396

397

Postfazione

Matteo TrapaniSegretario provinciale GD Pisa

Hanno attaccato quanto di meglio esiste in una demo-crazia: i giovani impegnati in politica.Jens Stoltenberg

Abbiamo deciso di dedicare questo volume ai giovani la-buristi morti per le proprie idee a Utoya, in Svezia, il 22luglio 2011. Infatti, rileggere gli atti di questo Semina-rio alla luce di quella terribile strage, ci fa pensare ancordi più che la vera paura di chi è invasato da un fanati-smo incomprensibile è rappresentata dai giovani chepreferiscono alla violenza e alla forza degli atti la po-tenza e l’incisività delle parole e delle idee.La costruzione di questo Seminario partiva proprio daquesto obiettivo: vivere una tre giorni fatta dai giovani,per i giovani che permettesse di costruire una alterna-tiva a tutti coloro che decidono di fare delle contraddi-zioni tra ideali e realtà una questione personale. Un Se-minario dove protagonisti fossero gli iscritti e i giovanimilitanti. Un Seminario dove chi avesse voluto respirareun’aria nuova fosse libero di parteciparvi e di mettere ilproprio granello di sabbia. I vari panel erano così pen-sati per ripercorrere criticamente le battaglie del centro-sinistra cercando di rinnovare nei metodi e nelle sostanzala militanza di tutti. Per questo motivo abbiamo deciso

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 397

398

di invitare docenti universitari, tecnici dei vari settori, po-litici e giornalisti. Volevamo tutti sentirci giovani non gra-zie all’anagrafe ma grazie alla forza delle idee che puòrendere ogni cittadino consapevole e impegnato.A centocinquant’anni dall’Unità d’Italia non accettiamoche si dica che si vive in una società senza valori. La sto-ria d’Italia ci ha insegnato che si possono conseguire nu-merose conquiste politiche, sociali e culturali mettendosempre alla base di tutto la tutela della dignità umanae la conquista del futuro. Abbiamo cercato con questoSeminario di non fare la parte dei procacciatori d’iden-tità materiali ma di ripercorrere e riaffermare quel-l’identità procedurale che è insita nella democrazia enella nostra Costituzione. Abbiamo cercato di trovareidentità che ci rendano riconoscibili gli uni verso gli al-tri e non gli uni contro gli altri. Queste sono Le parolee le cose dei democratici. Queste sono le parole e le cosedei nostri coetanei di Utoya.Di battaglie ne abbiamo vinte e ne abbiamo perse. Si-curamente tutte le abbiamo combattute. Esse hannorappresentato importanti banchi di prova per la nostraclasse politica e per le nostre istituzioni. Gli esiti sonostati differenti ogni volta e molti di quegli errori che sonostati fatti potevano sicuramente essere previsti tra le ri-ghe di questo libro e molte vittorie si assaporavano giàqui a Pisa. Questo è tuttavia un punto di partenza. Unflorilegio di idee che non ha certo l’ambizione di fungereda mentore per le future azioni del Partito Democraticoe dei suoi iscritti ma che mira a dare una idea di Italia,condivisibile o no, pur sempre una idea.Ripartiamo da qui, dalle idee. Le idee che hanno carat-

Le parole e le cose dei democratici

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 398

399

Le parole e le cose dei democratici

terizzato questa tre giorni. Le stesse idee che caratte-rizzano ogni anno i momenti formativi dei Giovani De-mocratici e del Partito. Le stesse idee che hanno ac-compagnato per tutta la vita gli amici di Utoya e che unfolle gesto aveva la presunzione di cancellare. Viviamoin Italia dove vi sono stati molti uomini e donne chehanno deciso di camminare con le proprie idee arrivandofino a farsi uccidere prima di piegarsi alla violenza ed allacorruzione. Il nostro impegno è quello di far sì che dovevi saranno più persone riunite per cambiare questopaese venga sempre riconosciuto come luogo di vita edi speranza di una generazione che non vuole dire:“Basta! Me ne vado!”.La penna finisce di passare l’inchiostro sulla carta in-giallita. Il passato lascia il passo al futuro e restarnefuori significherebbe non vivere.Viva l’Italia, Viva il Federalismo Europeo, viva chi lottaper le proprie idee.

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 399

atti_5:Layout 1 06/10/2011 11:30 Pagina 400