Semestrale del CLUB ALPINO ITALIANO - Sezione Cadorina ... · Alberto M. Franco (G.I ... Censi C.,...

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Semestrale del CLUB ALPINO ITALIANO - Sezione Cadorina “Luigi Rizzardi” AURONZO DI CADORE (BL) - ANNO XVII n. 33. Giugno 2016 - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, NE/VE

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Collezione Vladimiro Orlich

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Q V O TA 8 6 4Q V O TA 8 6 4QVADERNI DI VITA DI MONTAGNA

“Quando arrivi in vetta ad un monte non fermarti, continua a salire”

Un Maestro del buddismo Zen

ANNO XVII. N. 33. GIUGNO 2016. SemestraleRegistrato presso la Cancelleria del Tribunale di Belluno col n. 15/2000 in data 01.08.2000

Iscritto al Registro Nazionale della Stampa n. 10331 - R.O.C. N. 6944

Spedizione in abbonamento postale - art. 1, comma 1, Legge n. 46/2004 - CMP/CPO Venezia

PAOLA DE FILIPPO ROIADirettore Responsabile

GLAUCO GRANATELLI

Direttore Editorialee-mail: [email protected]

COMITATO DI REDAZIONEAlberto M. Franco (G.I.S.M.)

Mirco Gasparetto (G.I.S.M.), Mario Spinazzè

Questo numero esce in col laborazione con l ’ Ist i tuto Geograf ico Polare “Si lv io Zavatt i” di Fermo

HANNO COLLABORATO:

Buzzi E.I., Cammelli F., Censi C., Colli D., Fornari A., Galvan A.E.

Lancellotti E., Massarutto G., Patriarca E., Raffaelli P., Ravasi G.

Rota A., Sacco G., Torretta E.

FOTOGRAFIE di Cammelli F., Fornari A., Granatelli G.,

Patriarca E., Rota A., Zanette R.

EDITORE - CLUB ALPINO ITALIANOSezione Cadorina “Luigi Rizzardi”

Piazza Regina Pacis, C.P. 30, 32041 Auronzo di Cadore BL - Tel. 0435.99454

REDAZIONE

Via B. Ricasoli, 13 - 30174 Venezia-Mestre - Tel. 041.942672e-mail: quota864@ca iauronzo.it

STAMPATrevisostampa Srl - Via Edison, 133 - 31020 Villorba TV

Prezzo di copertina € 3,80 - Numeri arretrati € 7,00

Abbonamento 2016: Ordinario € 6,00 - Sostenitore € 8,00 - Benemerito € 12,00C.C.P. n. 63312789 intestato al C.A.I., P.za Regina Pacis, 32041 Auronzo di Cadore (BL)

© Proprietà letteraria, artistica e scientifica riservata. Tutti i testi possono essere liberamente riprodotti citando la fonte

wwww.caiauronzo. i t - www.qvota864. i t

Associatoal l ’Unione Stampa Periodica Italiana

Questo periodico è aperto a quanti desiderino collaborarvi ai sensi dell’art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana che così

dispone: “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione”. La pubbli-

cazione degli scritti è subordinata all’insindacabile giudizio della Redazione; in ogni caso, non costituisce alcun rapporto di col-

laborazione con la testata e, quindi, deve intendersi prestata a titolo gratuito. Notizie, articoli, fotografie, composizioni artistiche

e materiali redazionali inviati alla rivista, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. Gli scritti pubblicati rispecchiano esclusiva-

mente le idee personali dell’autore e non riflettono necessariamente il pensiero ufficiale del Club Alpino Italiano.

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SOMMARIO3 ORGANICO DELLA SEZIONE4 RIFLESSIONI SUL NOSTRO FUTURO - Paola De Filippo Roia

Auspicabile uno scambio di opinioni e un contributo di suggerimenti tra i Lettori6 BUONA NOTTE, PRESIDENTE - Stefano Muzzi

“... sono certo che la mia... la tua Sezione, presto ci darà delle grosse soddisfazioni” 8 A COLLOQUIO CON I LETTORI a cura di Glauco Granatelli. CAI Auronzo G.I.S.M.

10 1915-1917 QUANDO I PRATI E IL BOSCO ANDARONO IN GUERRA - Antonella Fornari Riflessioni un po’ libere per verificare quanto ci sia da stare allegri per il futuro

14 LE GRIGNE E I SUOI FIORI di Annibale Rota Un sito molto “verde” e dalle specie botaniche interessanti

17 I LUOGHI DEL SACRO - Paola de Filippo Roia� Il capitello di Santa Apollonia

18 SAN BERNARDO DA MENTONENel 1923 Pio XI lo ha proclamato patrono degli alpinisti e di tutti i nativi nelle zone alpine

22 LA BELLEZZA E LA MONTAGNA - Giovanni MassaruttoLa montagna del piccolo Giovanni nella finzione espositiva del genitore

30 BIVACCO F.LLI FANTON alle Marmarole - Ermes Ivo Buzzi Il tema dell’architettura specialistica d’alta quota: i Bivacchi

32 UNA CASUPOLA DI PASTORI - Glauco Granatelli. CAI Auronzo G.I.S.M.Hanno cancellato una pagina di storia

36 PUNTA DEI TRE SCARPERI m 3145 - Fabio Cammelli. CAI Vipiteno G.I.S.M.Una via comune d’altri tempi

40 QUELL’ESTATE AL RIFUGIO PRINCIPE UMBERTO - Dante Colli. Presidente G.I.S.M.Ricordi da ragazzo che ti restano nel cuore per tutta la vita

45 LIBRI, RIVISTE, GIORNALI... E ALTRO ANCORA� AL FRONTE (maggio-ottobre 1915) - Luigi Barzini

65 RACCONTI, LEGGENDE, POESIE...� Auronzo - G. Sacco�Preghiera dell’alpinista - Ella Torretta. CAI Milano G.I.S.M. � Non sei che una croce - Renzo Pezzani

68 TEMPORALE IN VAL DEGANO - Ella Torretta. CAI Milano G.I.S.M.70 SIORA TOGNIA - Giovanna Zangrandi

... “Senti il vento, stasera arriva Siora Tognia”72 XU XIAKE - Cesare Censi. Museo Polare di Fermo

Viaggiatore, geografo, geologo, esploratore74 UN VECCHIO TROMBONE - Enzo Lancellotti. CAI Carpi

Ricordo della spedizione in Groenlandia del CAI Auronzo nel 197475 PER MONTI CON I DAHÜ - Ettore Patriarca. CAI Gattinara

� Le Alpi del mare79 A TAVOLA CON I LARES

� Aglio. Il farmaco più saporito� Cerfoglio

81 GFM - GRUPPO FILATELICI DI MONTAGNA� Tutti in guerra - Alberto E. Galvan (pag. 82)� Il Gruppo Filatelici di Montagna ricorda le Portatrici Carniche - (pag. 88) � Teologia e mistica della montagna biblica - Gianfranco Ravasi (pag. 90)� Il sentimento nazionale attraversa le montagne (pag. 94)� Si vive solo due volte... (pag. 96)

� IN COPERTINA - San Bernardo da Mentone

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ORGANICO DELLA SEZIONE 2015-2016ANNO DI FONDAZIONE 1874

Presidente - Stefano Muzzi

Vice-Presidente - Massimo Casagrande

Segreteria - Elisa Cella De Dan

Consiglieri - Simone Brogioni, Davide Da Damos,

Pini Giuseppe Da Deppo, Paolo Monti

Revisori dei Conti - Sergio Boso, Francesca Caldart,

Federica Monti

CNSAS Giuseppe Zandegiacomo Sampogna Capostazione

SOCI N. 490: Ordinari N. 241 - Familiari N. 110 - Giovani N. 77 - Aggregati N. 62

Vitalizi N. 2: Magnifica Comunità di Cadore (Delibera del 15.9.1925), Leonardo Vecellio

Venticinquennali: Bacci Cristina, Boa Veronica, Bricca Giovanni, Cattaruzza Dorigo Gianpiero,

Ciotti Maria Linda, Da Deppo Mario, De Filippo Lorena, De Filippo De Grazia Giulio, Fedon Attilio,

Zandegiacomo Del Bel Osvaldo

STRUTTURE DELLA SEZIONE� Rifugio Auronzo - Forcella Longéres m 2330 slm alle Tre Cime di Lavaredo - tel. 0435.39002 - 62682

� Rifugio G. Carducci - Alta Val Giralba m 2297 slm alla Croda dei Tóni - 0435.400485

���TESSERAMENTO - ll tesseramento è un atto d'amore verso la montagna e un atto responsabile.

A partire dal 2014 ha preso avvio la nuova piattaforma del tesseramento valida sia per i nuovi soci sia per co-

loro che non hanno sottoscritto e rinnovato il bollino nel corrente anno. Completezza dei dati, istantaneità delle

registrazioni ai fini assicurativi, cura della riservatezza: sono questi alcuni dei miglioramenti introdotti dal nuovo

servizio. Questi i vantaggi del nuovo sistema:

- garanzia della correttezza e dell'istantaneità delle registrazioni ai fini assicurativi tramite il tesseramento on-line;

- risoluzione di omonimie e duplicazioni di dati attraverso l'utilizzo del codice fiscale;

- rispetto della normativa sulla privacy nel contesto di Statuto e Regolamento generale del Sodalizio.

La nuova piattaforma del tesseramento costituisce un trattamento dati dei soci nuovo ed indipendente dal prece-

dente: pertanto tutti (nuovi e vecchi soci) sono invitati a prendere visione e sottoscrivere una nuova informativa

sulla privacy, che darà loro modo di esprimere la propria volontà in merito alla conservazione dei propri dati ed

alle modalità con cui ricevere le comunicazioni (per esempio, via mail) dalla propria Sezione/Sottosezione.

Sul sito www.cai.it o www.caiauronzo.it è disponibile la nuova informativa sulla privacy.

QUOTE ASSOCIATIVE: Socio Ordinario € 42,00 - Socio Famigliare € 22,00 (I Soci famigliari devono essere com-

ponenti del nucleo famigliare del socio ordinario, con esso conviventi, di età maggiore di anni diciotto).

Socio Giovane € 16,00 (I minori di anni diciotto - nati nel 1999 e seguenti). Dal secondo socio giovane coabi-

tante all'interno del nucleo famigliare è prevista la quota di € 9,00 a condizione che esista il socio ordinario di

riferimento (capo nucleo - quota intera). Ai Soci di età compresa fra i 18 e i 25 anni viene applicata automatica-

mente la quota di soci famigliari.

INFO: tel. 0435/99454 (con servizio di segreteria telefonica) o a mezzo mail a [email protected]

Versamenti: c/c postale n.63312789 intestato al CAl, Sezione Cadorína - 32041 Auronzo di Cadore BL

Unicredit Banca Spa Agenzia Auronzo di Cadore IBAN IT86E0200861020000003411021

ABBONAMENTI: Le Alpi Venete € 5,00 - Le Dolomiti Bellunesi (soci non locali) € 8,00

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RIFLESSIONI SUL NOSTRO TURISMOT

urismo: tutti ne parlano, tutti lo vogliono, sembra che sia

divenuto l'unica panacea per la soluzione della grave crisi

che sta attanagliando il nostro Paese.

Il mercato turistico, negli ultimi decenni, è stato soggetto ad una con-tinua, complessa evoluzione per rispondere alle esigenze dei fruitoriche vanno alla ricerca di strutture ricettive e servizi sempre più mo-derni.Analizzando una statistica, riportata da Danilo De Martin sul suo blog,si evince, purtroppo, che il Cadore negli ultimi anni ha registrato untrend alquanto negativo di presenze, ad eccezione di Auronzo che neha risentito in misura minore.

Soffermandomi sul nostro paese, mi piace riportare, in maniera integrale, una visione roman-tica d'insieme, riguardo "TURISMO DI AURONZO" che ho trovato su un ciclostilato prodottodall'"Ufficio stampa e propaganda" dell'Azienda Autonoma di Soggiorno di Auronzo e Misurina.Risale agli anni '50, allorché ci si apprestava alla costruzione di <una delle più ardite e mo-derne funivie>, quella di monte Agudo." Sotto il punto di vista turistico, Auronzo è una delle zone più confortevoli e piacevoli dell'interoCadore. Altitudine moderata, benchè nel cuore delle aspre Dolomiti, i cui nevai scintillanoanche in piena estate. Bellezza incomparabile di scenari naturali tra il Tudaio e le Tre Cime diLavaredo che sembrano montarle da guardia come tre guerrieri. Festosità del Lago, alimenta-to dal mormorante Ansiei. In questa verde e profumata conca si distende per oltre 7 Km unabitato calmo e riposante, lindo e grazioso con i suoi sentieri che si inerpicano verso le abetaiedella montagna e le sue stradicciole che scendono tortuose al Lago. Circondato per un buontratto da prati degradanti nelle limpidissime acque, esso ha tre spiagge naturali ben tenute,pulite, croccanti di sabbia. Due piccoli variopinti stabilimenti balneari ed elioterapici, forniti delleloro cabine, della doccia, d'un buffet, di ombrelloni, di sedie a sdraio e di innumerevoli panchi-ne, con i loro imbarcatoi che si sporgono sulle acque, offrono al turista ed al villeggiante l'in-comparabile letizia d'una stazione balneare in piena montagna, tra il profumo dei pini.Numerose barche a remi da diporto e fuoribordo sono a disposizione del pubblico. Altalene edaltri giochi offrono alle frotte dei bimbi i più felici svaghi sotto un sole tepido e ristoratore.“ Da alcuni anni, Auronzo è venuta trapuntandosi di una folla sempre più fitta di ville e villettein stile di montagna, dai colori vivaci, morbide e tepide per l'abbondante legname che fascia iloro pergoli e le loro sovrastrutture.

“Andai per ascoltar Messa ché a Misurinanon viene più il sacerdote. Il paese è lun-ghissimo - come la maggior parte di queiBorghi che restano tra il fiume ed i colli -perché da piccolo che era si è riunita la cosìdetta Villa Grande, ad altra borgata sicchéandando nel Paese per Via Corte e, seguen-do la via sino all’altro capo, sembra diattraversare una città grandissima. Peccatoche quelle case, tutte in legno, propriocaratteristiche vadano sparendo.” Cartolina. Data illegibile - 1900?

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“ A grappoli si inerpicano per le coste montuose o si sporgono verso il lago. Esse danno untono di signorile freschezza a questo candido paese, che ha in sé tutti i conforti e tutti i numeriper essere ormai una piccola cittadina, con il proprio servizio urbano esercitato da moderniautobus. "Ora mi viene spontaneo chiedere: in cosa abbiamo sbagliato e continuiamo a farlo? Ed a tal proposito sarebbe bello riuscire ad instaurare uno scambio di opinioni, un contributodi suggerimenti tra i Lettori di questa rivista. E' giusto, ad esempio, catalizzare l'attenzione delvalligiano e del turista su progetti ambiziosi quali la ferrovia, nuove seggiovie, complessi spor-tivi... quando sappiamo quanto è difficile reperire i fondi necessari? E dobbiamo anche soffermarci sulla capacità ricettiva alberghiera. Risponde alle esigenze delturista medio o di quei tour-operator che oggi offrono la possibilità di viaggi organizzati in ogniangolo del mondo? E nel caso in cui la certificazione richiesta dai VVF non dovesse subirel'ennesima proroga che protrae il problema della sicurezza da due decenni circa, sappiamoche ben poche sono le strutture che hanno le carte in regola.Alcuni anni fa, quando da poco la nostra zona era stata insignita del titolo "Patrimonio naturaledell'Umanità", il gestore di un rifugio mi diceva di aver registrato un notevole aumento di turistifrancesi ed israeliani che prediligono i siti UNESCO, quali mete per le loro vacanze. Speriamoche questo riconoscimento superi l'ispezione della Commissione giudicatrice già in program-ma nel prossimo futuro. Intanto abbiamo assistito impotenti alla posa di tabelloni con belleimmagini dei nostri gruppi montuosi che, però, non sempre corrispondono alle relative dida-scalìe, ma pur essendo bifacciali, sono mal posizionati, in modo tale che per poter apprezzareentrambe le immagini, si è talvolta costretti a contorsioni corporee. Ma perchè gli addetti ailavori non assumono l'abitudine a confrontarsi con gli abitatori delle valli ed i loro saperi?Solita mancanza di una vera rete di collaborazione e di comunicazione.Intanto si fa sempre più ampio il divario tra la nostra offerta turistica e quella dei nostri vicinisud-tirolesi. Senz'altro, essendo Regione a Statuto Speciale, da decenni godono di particolariagevolazioni, ma è pur vero che nelle scelte importanti si relazionano in modo compatto alfine di portar avanti progetti validi che rispondano alle esigenze dell'intera vallata e che nellagestione del territorio accettano e rispettano regole ben precise.

Auronzo di Cadore. 1955

Paola De Filippo RoiaDirettore

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BUONA NOTTE, PRESIDENTEChe il CAI mi aiuti! Mi è venuto istintivo sussurrarlo, incrociando lo sguardo fisso e severodel nostro primo Presidente che non si è mai mosso da lì, da quandolo conosco.Avvocato Rizzardi, sono nelle sue mani!- Chiamami Luigi!

Un brivido mi corre lungo la schiena. Le labbra non si sono mosse.Per fortuna sono seduto. Allora non è vero!E la storia dei Croderes?- Tutte balle! Lo facevano per attirare i turisti inglesi. Ma, niente dafare. La verità? Siamo tutti anema e core.

Dallo sguardo non si direbbe. Che faccio... accetto?- Che domande ?! Certo che devi accettare. Pensa che io, ai miei tempi, non avevo nessunPresidente alle spalle, eppure ho resistito per 25 anni. Almeno, così dicono. E Quintino non siè mai sognato di metterci il becco. I mandati? Me li rinnovavo da solo, mentre lui litigava conMinghetti.E Cavour?- Che c’entra Cavour? Era morto da un pezzo! Non cominciamo con le gaffe. Nel CAI, nonsono ammesse!Allora, dopo cinquant’anni, potrò realizzare il mio sogno.- Ai miei tempi i sogni duravano poco. Svegliati, ragazzo!Parlavo del rifugio Popena.- Aahh, non rincominciamo con il rifugio Popena! E’ proprio una fissazione!Ma... un rifugetto, mica un condominio come...- Silenzio! A cosa alludi? Ricordati che la Val d’Ansiei è profonda e gli echi rimbalzano fino alladiga.A proposito di echi, se sei stato attento, durante le ultime riunioni, avrai sentito parlare dellasistemazione in programma attorno al Rifugio Auronzo. Sai che presto lo apriremo anche d’in-verno?- Era ora! ...Auronzo? Ma non l’avevate chiamato Longeres? E’ stato il mio sogno per tantianni. E poi, Longeres, era un bel nome. Mah!Cerca di stare un po’ più attento, Luigi! Allora anche tu sognavi? E magari avevi anchequalche fissazione? Bel tipo! Mi stai diventando simpatico.- Adesso non esageriamo con la confidenza. Geometra!Scusa Luigi. Per la verità hai cominciato tu.- Non insistere! Gli Avvocati hanno una memoria di ferro! Hai cominciato tu! Chiuso!Se permetti, cambiamo discorso. Di questi tempi, qui non è facile coinvolgere i Soci nelle attività della sezione. Cosa ne direstidi provare con un bel karaoke attorno al rifugio.- Cra che? Adesso non esageriamo! Io li riunivo tutti intorno a un tavolo. Davo disposizioni, enessuno fiatava. Perbacco!Ci credo. Eravate una ventina in tutto e tu sedevi a capotavola. Sulla tavola c’era una bellatovaglia e scommetto che sulla tovaglia... Dimmi la verità, quelli erano Club! Oggi siamo incentinaia e ognuno va per la sua strada. Col passare degli anni, facciamo sempre più faticaa riconoscerci. Io, che sono poco fisionomista, ti confesso che faccio una confusionepazzesca.- Prova con le castagnate.

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Eehh sì, le castagnate... Non è più comeai bei tempi. Guai accendere fuochi, lebucce ormai sono rifiuti speciali. Se unacastagna scoppia, arriva l’Antiterrorismo.In compenso, i mutui si accendonoovunque e non parliamo di assicurazioni.- Che tristezza!Parliano d’altro. Abbiamo in programmala costruzione del nuovo Bivacco Fanton,la pulizia di molti sentieri, il rinnovo dellasegnaletica, la posa di tabelle e poi...- Fermati! Toglimi una curiosità. Voi che,dopo la Grande Guerra, per merito diquei poveri cristi, strade e sentieri ve lisiete trovati belli e fatti, come mai non liavete conservati, e spesso li avete di-strutti? Altro che muri a secco! Noi scru-tavamo i movimenti degli animali, deicacciatori e spesso dei contrabbandieri,per tracciare i nostri sentieri.Scusa Luigi, ma io solo arrivato dapoco... E poi, dopo le frane degli anniscorsi, in Val Giralba faremo così anchenoi. E non avremo neanche l’aiuto deicontrabbandieri. Per non parlare dei sen-tieri che collegheranno i cippi di confine. Un tracciato storico e alpinistico, fantastico!- Confine? Ma se li hanno appena rimessi a posto, nel 1866... I soliti sprechi di denaro! Saraianche arrivato da poco, ma, da quanto mi dicono, i miei compaesani sembra che ti abbianoscambiato per un reduce della Grande Guerra. Non prendertela... li porti bene!A proposito di giovinezza. Scommetto che ai tuoi tempi non vi impegnavate un gran che perincoraggiare l’alpinismo govanile. D’accordo, i sentieri della Val d’Ansiei erano ancora piùimpervi e probabilmente i ragazzini crescevano sani e robusti anche senza tante escursioni.Oggi qualcosa di più stiamo facendo e sono certo che la mia... la tua Sezione, presto ci daràdelle grosse soddisfazioni.- Vedi, se tu non l’avessi ricordato, l’avrei fatto io. Il futuro del CAI sono i ragazzi che ad ogniestate animano i sentieri. Sono la linfa che purtroppo voi alpini non avete più. Quei ragazzisono gli eredi di quel pugno di uomini che, venticinque anni fa, si ritrovarono uniti dalla stessapassione.Già... per me il tempo si è fermato. Meglio così.Accidenti! la stufa si è spenta. Luigi, siamo rimasti al buio! Sergio!... Francesca!... Elisa!...Pini!... Massimo!... Giuseppe!... Davide!... Paolo!... Simone!... dove vi siete cacciati?- Non te ne sei accorto? Se ne sono andati da un bel po’ Staranno sistemando la nostra nuovaSede, di fronte al Campanile. Mi raccomando, fate attenzione alla mia cornice, è imponente emassiccia. Almeno il chiodo piantalo tu. Buona notte.Buona notte, Presidente.

Stefano MuzziPresidente

BUONA NOTTE, PRESIDENTE � 7

Avv. Luigi Rizzardi. Primo Presidente

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A COLLOQUIO CON I LETTORI"LA TENGO SUL COMODINO PERCHE' QUI C'E' LA MONTAGNA,

QUELLA VERA." Gianni Poloni

« La Bellezza salverà il mondo », l’ha scritto Fiodor Dostoevskij. La bellezza era così centrale nella sua vita, ci racconta Anselm Grun, monaco benedettino egrande spiritualista, che il grande romanziere russo andava almeno una volta all'anno avedere la bellissima Madonna Sistina di Raffaello. Rimaneva a lungo in contemplazionedavanti a quella splendida figura e rimaneva a lungo in contemplazione davanti a quella splen-dida figura. Per Dostoevskij la contemplazione della Madonna di Raffaello era la sua terapia personale."Sicuramente non possiamo vivere senza pane, ma anche esistere senza bellezza" è impos-sibile, ripeteva. Bellezza è più che estetica; possiede una dimensione etica e religiosa. Luivedeva in Gesù un seminatore di bellezza. "Lui è stato un esempio di bellezza e l'ha impiantanell'alma delle persone affinché attraverso la bellezza tutti diventassero fratelli tra di loro". Luinon si riferisce all'amore verso il prossimo; al contrario: è la bellezza che suscita l'amore e cifa vedere nell'altro un prossimo da amare. La bellezza è irradiazione dell'essere. Sono pensieri che ho attinto a Leonardo Boff. Strano, ma a volte si verificano tante coincidenze non cercate. Leggevo e il cuore si riempiva di una grande commozione: « La Bellezza salverà il mondo ».“Forse, se la sentiremo come una componente indispensabile per la vita, fino a farla diventareun’esigenza essenziale ed irrinunciabile. Perché è sacra la bellezza di quelle montagne, èsacra quella luce che scende a stregare e a strappare l’anima dalla banalità e dalla sciatteria...la montagna, non più ridotta a bene di consumo, con cime da assalire e conquistare e paretida domare, bensì con la sua dignità ritrovata, di maestra di vita e di generosa compagna diviaggio... le montagne, gli alberi, i sassi, la terra, l’acqua, gli animali, tutti, fino alle più piccolee dimenticate creature si riconcilieranno e torneranno a parlare con noi. “E sarà bellissimo.“Allora forse riuscirò di nuovo a cantare, come quel giorno magico sulla cima dell’Antelao. Epotrò pensare finalmente di fermarmi e di non dover ridiscendere più”. Bianca Di BeacoIl testo che presentiamo più avanti « La Bellezza e la Montagna » offre tanti spunti sul temaanche se attraverso la finzione della voce di un bambino. Ma sono pensieri profondi cui forsenon siamo soliti soffermarci perché presi dal fascino della montagna, un passo dopo l’altroattraverso un macereto di sensazioni non a tutti concesso: “Se la montagna non è solo unmucchio di sassi, ma ha un'anima, forse è lì che dobbiamo cercare la bellezza? Ma poi è lostesso Kugy a dirci che le montagne "sentono" chi le ama, e solo a loro rivelano i loro segreti;gli altri tornano a valle vuoti, come vuoti erano saliti. Dunque deve scattare un qualche mira-colo, un clic da qualche parte che permette a qualcuno di vederla, questa bellezza, mentreagli altri rimane preclusa. Ci vuole insomma un'anima pulita. Non è per tutti”.

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F. M. Dostoevskij e la moglie, nel 1867, intrapresero un viaggio attraverso l'Europa e giunseroa Dresda il 20 aprile. Fra le visite obbligate c'era la Pinacoteca, dove il grande scrittore restòfolgorato dal capolavoro di Raffaello. Anna G. Dostoevskaja in « Dostoevskij mio marito » rac-conta del viaggio e dell'esperienza dello scrittore: "Dopo aver passato due giorni a Berlino,partimmo alla volta di Dresda. [...] F. M. amava molto Dresda, specialmente per la sua famosagalleria d'arte e i magnifici giardini dei dintorni. [...] Discendemmo in uno dei migliori alberghi,cambiammo d'abito, e andammo a visitare il museo, che mio marito volle farmi vedere primadi ogni altra cosa. [...] Mio marito percorse tutte le sale senza fermarsi e mi condusse diretta-mente dinanzi alla Madonna Sistina. Egli considerava questo quadro come il più grande ca-polavoro creato dal genio umano. In seguito lo vidi fermo per ore intere davanti a quellavisione di bellezza impareggiabile, che egli ammirava con tenerezza e trasporto."La mia impressione fu grandissima: mi parve che la Madre di Dio, col bambino in braccio,volasse incontro a chi le si avvicinava. [...] Il periodo vissuto in quella casa a Dresda fu digrande felicità e tranquillità. [...] Alle due precise mi recavo alla Pinacoteca, dove sapevo ditrovare mio marito, e ammiravamo insieme i quadri preferiti di lui, che presto furono anche imiei preferiti. F. M. anteponeva Raffaello a tutti gli altri artisti e, delle sue opere, gli piaceva piùdi ogni altra la Madonna Sistina". «La Bellezza salverà il mondo »; e non è certo a quellaeffimera e unicamente estetica che egli si riferiva, ma a quella bellezza che, essendo"morale", interiore, è di per sé anche estetica. Aprite queste pagine e sarà come viaggiare tra le tante cose belle che il mondo ci offre, purin anni a volte difficili e tristi, nel vivere e nella memoria: i prati e i boschi, i fiori... La primavolta che vidi un raperonzolo stavamo salendo la Castiglioni. La montagna è stata e rimane

l’eterna immagine della “Bellezza”.

Madonna Sistina fu dipinta daRaffaello Sanzio nel 1513-14 o nel1515-16 per i monaci benedettini dellachiesa di San Sisto a Piacenza.L'opera fu venduta poi, nel 1754, alprincipe Augusto III, elettore diSassonia. Tra i primi a darle il benvenuto nellaPinacoteca di Dresda fu lo storico del-l'arte J. J. Winckelmann, che cosìdescrive l'aspetto della Madonna:"È pieno d'innocenza e al tempo stessodi grandezza più che femminile, in unabeata e quieta postura; quella calmache gli antichi facevano regnare nelleimmagini delle loro divinità. [...] Il bam-bino nelle sue braccia è al di sopra deibambini comuni, per un suo sguardodal quale, attraverso l'innocenza dell'in-fanzia, si sprigiona un raggio delladivinità".

Glauco GranatelliRedattore

A COLLOQUIO CON I LETTORI � 9

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Sono tanti anni che, seguendo i passi

dei nostri soldati al fronte, salgo sui

bei monti dolomitici. Tanti sono

ancora oggi i segni e le tracce.Eppure c'è un altro protagonista silenzioso diquesto terribile evento che investì i nostri paesie le nostre straordinarie montagne.Questo protagonista silenzioso è il bosco. Hoimparato ad ascoltarne la voce per imparare ciòche il suo cuore, a volte dolente, mi insegnava.Quando il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarò guerraall'Austria fu necessario combattere sui montiper essere più vicini ai propri confini.In alto c'era ancora la neve, tanta e la prima-vera aveva ancora il sapore dell'inverno, ma eranecessario prepararsi alla difesa e per questo sirendeva indispensabile tracciare sentieri estrade e mulattiere.I boschi erano un incanto, prigionieri com'eranodella neve e del ghiaccio.Gli alberi sporgevano dallo spesso strato soltan-to per una parte della loro altezza.I soldati camminavano sulla neve.Cercavano di creare accessi che avrebbero loroconsentito di accedere alle quote più alte.Tagliavano gli alberi, lì, dove il tronco sporgevadalla neve: piccoli, grandi, larici e abeti, pini evetusti cirmoli e poderosi mughi, tutti senza di-stinzione �Oggi, seguendo quei moncherini che ancoraresistono, è come se riavvolgessimo il filo diArianna per arrivare là dove troveremo resti di

trincee e baracche, caverne blindate che ospi-tarono cannoni e mitragliatrici.Quello fu il primo doloroso contributo del boscoalla guerra.Interi boschi furono tagliati e il pregiato legno delpino cembro (il cirmolo) utilizzato per realizzarebaracche, parapetti e coperture delle trincee,sostegni per le strade.Il profumato larice finì nelle modeste cucine estufe per riempire l'aria fumosa dei ricoveri di unprofumo che odorava di casa.

1915-1917 QUANDO I PRATI E IL BOSCOANDARONO IN GUERRAdi Antonella Fornari

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100 anni fa la Grande Guerra

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E tutto e tutti si piegarono, anche l'elegantebetulla che stranamente cresce più numerosadove i soldati lasciarono le loro speranze.Spesso fra le cime dolomitiche vicino al Tiroloricorre il termine "birke" (dal tedesco "betulla"),un termine che significa "splendente", "candido"come i tronchi di queste leggiadre e melan-coniche piante, le "amiche dei soldati".Mi piace pensare che, forse, erano i loro AngeliCustodi, Angeli dalle voci sottili che le foglie d'ar-gento portano ancora fino a noi.

Spesso, qui, nei "boschi della guerra" ognialbero ha le sue ferite, come ogni cuore.Abetaie come foreste d'anime da cui il ventoriporta voci e silenzi.Grovigli di filo spinato ancora tengono prigionierii tronchi e ancora raccontano storie lontane dicui sono stati muti testimoni.Potessero parlare!Racconterebbero di come fossero popolati aquei tempi i monti!Vicino a quello che resta delle vecchie stalle e

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foto Antonella Fornari

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dei fatiscenti ricoveri, tante, tantissime orticheche indicano appunto l'alto grado di antropiz-zazione del luogo.Forse se i soldati avessero conosciuto il loropotere magico, se le sarebbero messe sotto lagiubba per tenere lontano qualsiasi maleficio,anche quello della guerra.Forse, le avrebbero tenute in mano, perchéantiche leggende raccontano che avrebberodato loro immenso coraggio.Forse ne avrebbero gettato nel fuoco le foglieper tenere lontano i fulmini e i temporali.Chissà!Ora, oggi, testimoniano proprio le presenza deivillaggi militari unitamente ai piccoli occhi azzurridel Myosotis, del "Non ti scordar di me", ilminuscolo fiore che lega il suo nome allaleggenda di origine germanica secondo la qualeDio, al momento della creazione, dando il nomealle piante si era dimenticato di quel fiorellinoche allora gridò: "Non ti scordar di me!"Oggi, nei luoghi della guerra, infiniti piccoli occhiazzurri paiono gridare: "Non ti scordar di me!"quasi che ognuno di loro volesse tenere vivo ilricordo degli uomini che spesso lasciarono lassùla loro vita.Un piccolo fiore, a smorzare il racconto deldolore come volevano gli antichi che lo consi-deravano fonte di salvezza contro la sofferenza.E fra le prime rocce, la stella alpina, la regina deifiori coraggiosi.La si intravvede da lontano, abbarbicata allepareti, sui cigli dei burroni.Candida, dai petali di velluto, irraggiungibile,spesso, come le sorelle del cielo.Per arrivare a sfiorarla, bisogna spessointraprendere un lungo cammino e lungo fuanche il cammino per arrivare al fronte, là dovesi sarebbe combattuto.È difficile anche solo arrivare ad ammirarla.Rappresenta forse un sogno o un nobile idealeo un amore travolgente che porta a superarequalsiasi difficoltà.Coglierne una, con rispetto, premia l'amore, ilcoraggio, la nobiltà, il valore.Si accontenta di poco, di vivere ai bordi dei ghi-acci trasparenti o nelle fessure delle pareti levi-gate dai venti.Per un Alpino, per un soldato, portare uno diquegli splendidi fiori all'amata, voleva dire farledono del proprio coraggio e della determi-nazione di tornare da lei.Il suo nome scientifico è Leontopodium, ovvero

"piede di leone" perché la sua forma pare ricor-dasse l'impronta del fiero animale, ma intedesco è Edelweiss che significa "nobile can-dore", nobile, come il cuore di chi seppe obbe-dire e servire la propria Patria ed il propriopaese.E per finire, un altro magnifico fiore, un fiore chemi appare come il simbolo della speranza edella rinascita: l'Epilobium, bello, rosso purpureoche cresce fitto ai piedi delle rocce in grandicolonie.Pare che nelle Dolomiti sia arrivato con laGrande Guerra nascosto - con i suoi piccoli semi- nelle balle di fieno usate per foraggiare i muli.Pare che fosse anche una delle prime piante anascere tra le macerie delle città bombardatedurante la Seconda Guerra Mondiale.Io l'ho visto, vivace proprio come l'inizio di unavita, spuntare fra le terre scure del Col di Lana,del Col di Sangue, la montagna che esploseportandosi via terra, roccia e soldati.Queste sono solo alcune delle tracce che ciriportano a cento anni fa quando il bosco e i prati"andarono in guerra".Riconoscendole, riuscirete, mi auguro, adamare i monti, gli uomini e la natura che seppero- pur nel dolore - ricominciare a vivere e a spe-rare.

��� ��� ���Un piccolo racconto: Il Cirmolo e l'Alpino.Cirmolo è l'altro nome con cui è conosciuto unalbero dall'apparenza ombroso e taciturno: ilPino Cembro.In realtà è solo un magnifico albero che ama isilenzi e la tranquillità.Spesso ama anche stare da solo.Nel profumo del suo legno è racchiuso il profu-mo intenso della montagna e della forza intrinse-ca della vita.È forte, in grado di sopportare tanto la siccitàestiva quanto i rigori dell'inverno e il vento e lebufere.E più le forze della natura sembrano accanirsicontro di lui, più lui pare ancorarsi alla terra ealla vita.Le sue radici, infatti, sono contorte e poderose espesso si trasformano in ricoveri e tane per i pic-coli animali del bosco.Cresce in alto, quasi a ridosso delle rocce, comeuna sentinella a guardia dei magri, ma preziosipascoli d'alta quota.Se avrete la fortuna di avere in casa un armadiodi legno di Cirmolo, avrete la fortuna di avere per

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sempre un contenitore di resine e profumi vera-mente straordinari.Aromi che si conservano a lungo, nel tempo.Nelle case di montagna viene impiegato ancheper rivestire le pareti e tenere lontani i rigori del-l'inverno.È poi così generoso che non si accontenta ditutto ciò, ma offre a camosci e stambecchi i suoigermogli mentre gli scoiattoli e gli uccelli sonoghiottissimi dei suoi pinoli racchiusi in un fruttocompatto.Mario Rigoni Stern così ha scritto: "Questi pinolisono cibo molto ricercato da scoiattoli e noccio-laie che molte volte li nascondono tra le crepedelle rocce per i tempi di carestia; quelli dimen-ticati germogliano e le piante allungano le radicia cercare tra le pietre e i muschi un briciolo divita; tanto che è sempre stupefacente vederlepoi cresciute sopra un masso al margine di unghiacciaio o su una parete di roccia …".Si, il Pino Cembro è un albero straordinario, ma- chiederete ora - che cosa c'entra con laGrande Guerra?Ora ve lo racconterò.Nel Parco Naturale delle Dolomiti d'Ampezzo c'èun vecchio Cirmolo che ormai è diventato quasiuna celebrità.Siamo ai piedi delle Tofane, in quella zona che -per la bellezza - era stata chiamata "Orte", gli"orti", i "giardini". Qui, intensa fu la vita militare, qui dove Austriacied Italiani vivevano vicinissimi l'uno all'altro, quidove la guerra c'era, ma si svolgeva quasi insordina.Il bosco, forse per la scarsa frequentazione, èancora un incanto e i silenzi spezzati soltantodal fruscio delle acque del Rio Travenànzes che- scivolando sulle rocce levigate - si uniscono aquelle del Rio Fànes, torrenti che altro non sonoche la voce di due delle più belle ed affascinantivalli dolomitiche.Ormai, dopo cento anni, la natura e la vege-tazione hanno ripreso possesso degli spazi aloro sottratti, ma se seguiremo esili tracce disentiero, i racconti della storia e i saggi suggeri-menti del bosco prenderanno vita conducendocilà dove evidente è quello che resta di cammina-menti e trincee.Filo spinato, tronchi contorti segnati dal tempo eda antiche ferite gocciolanti di resina, legnamefradicio, baracche fatiscenti: le porte della guer-ra sembrano essersi chiuse solo ieri.Una sorta di magia creata dalla trama dei ricordi

ci fa intravvedere - oltre la porta del tempo -com'era in realtà questo frammento di mondoinghiottito dal bosco.Il luogo appartato favoriva rapporti amichevolifra Austriaci e Italiani che sovente - insieme -bevevano una tazza di caffè, si scambiavanoanice e grappa, si offrivano a vicenda, quandopossibile, pane, tabacco, sigarette, cioccolata �A dominare e vegliare quel piccolo mondo fuoridal tempo, un grande albero, un Pino Cembro.Il tronco è davvero grande e l'albero è ancoravivo alimentato dalle radici che portano e spin-gono la linfa ai rami che si confondono e siintrecciano con le foglie d'argento di elegantibetulle.Se lo aggireremo, faremo una sorprendentescoperta.Sul lato opposto, il grosso tronco si presentatutto lavorato e scavato, un vero capolavoro,un'opera nata dalla fantasia e dalla genialità diun Alpino.Infatti si era resa necessaria la realizzazione diun posto di guardia che - vista la vicinanza congli avversari - doveva essere ben mimetizzato.Insomma, con non poca fatica, l'Alpino lotrasformò in una "garitta", termine che viene dalgergo militare e che indica una torretta di osser-vazione.Per stare più comodo, quel soldato vestito di gri-gio-verde (quasi verde come gli Elfi del bosco!)e che sarà cosa sola con il vetusto albero, siscavò una piccola stanza comunicante con unabaracchetta dal tetto spiovente che pure poggia-va al tronco.All'interno, alcuni scaffali per appoggiarvi lemunizioni, ma anche il cibo o una lettera dellamamma o la fotografia della "morosa".Insomma, è uno "spaccato" di una vita stranache non c'è più.Ma quel connubio fra il soldato e il vecchioalbero creato dalle necessità della guerra èancora un vivo ricordo e una testimonianza dicome la natura sia sempre, per noi, rifugiosicuro.Se non ci fossero reticolati e ricordi tristi,potrebbe tutto apparire come una visione sfuggi-ta dai più fantasiosi libri di favole e di leggende.Penso, allora, per un attimo, all'Alpino che vive-va o faceva il suo turno di guardia nel cavo del-l'albero, come fosse un animale del bosco.Nell'albero trovava riparo e il calore del legnocon quel profumo intenso che forse gli ricordavala casa, laggiù, in fondo alla valle ��

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L e Grigne, la Grigna Meridionale o

Grignetta e la Grigna Settentrionale o

Grignone, sono le montagne "simbo-

lo" dell'alpinismo lecchese.

Sulle molteplici guglie della Grignetta e sulle ver-tiginose pareti del Grignone si sono formati neglianni trenta alcuni tra i più forti rocciatori italiani,che hanno tracciato vie nuove lungo tutto l'arcoalpino e, guidati da Riccardo Cassin, mito del-l'alpinismo mondiale, hanno risolto tre dei quat-tro cosiddetti "ultimi grandi problemi" delle Alpi:la Nordest del Pizzo Badile, la Nord dela CimaOvest di Lavaredo e lo sperone Nord dellaPunta Walker delle Grandes Jorasses.Cassin ha poi compiuto difficili prime salite eguidato spedizioni in tutti i continenti, ma erasolito affermare che le Grigne erano le più bellemontagne del mondo e fino all'età di 90 anni èsempre salito sulla vetta della Grignetta perassistere alla Santa Messa, fatta celebrare daiRagni la prima domenica di novembre per ricor-dare gli Amici "andati avanti".Ho avuto la fortuna di godere della sua amiciziae di avere scritto con lui un libro sulle montagnedi Lecco, nel quale ci sono diverse suefotografie di fiori delle Grigne, da lui sempreammirati, per cui non ho potuto fare a meno dipremettere questo breve ricordo.

��� ��� ���

Se la bellezza e l'importanza alpinistica delleGrigne sono famose in tutto il mondo, menonota è la splendida flora ospitata da questemontagne, ricche di esemplari stupendi e diendemismi unici delle Prealpi Insubriche.Fortunatamente il Gruppo delle Grigne è ancoramolto "verde" e annovera molte specie botani-camente interessanti. Le pendici sono ricoperte da boschi prevalente-mente di latifoglie: querce, roveri , roverelle,castagni, carpini neri, aceri, frassini e robiniesono gli alberi più comuni nelle fasce medio-basse, mentre le quote più elevate sono rag-giunte dai faggi e dalle betulle, che si spingonofin verso i 1500 metri. Frequenti in alcune zonesono anche il maggiociondolo, ("eghen" neldialetto locale), dalla appariscente fioritura agrappoli giallo-oro, e l'agrifoglio purtroppo molto "potato" nel periodo natalizio, nonostante i divie-ti, per l'eleganza dei suoi rami rivestiti di fogliebrillanti e di sgargianti bacche rosse. Meno diffuse sono invece le aghifoglie, deci-mate dallo sfruttamento indiscriminato dei secoliscorsi. Rimane un unico esempio, di una certaentità, di bosco spontaneo di conifere: il laricetodel Moncodeno sul versante settentrionale delGrignone, sopravvissuto forse soltanto per lasua scomoda ubicazione, che rendeva faticoso iltrasporto del legname a valle.

� Riccardo Cassin sullavetta della Grignetta nel novembre del 1997 per laMessa dei Ragni. Con luil'allora Presidente del CAILecco Peppino Ciresa.

LE GRIGNE E I SUOI FIORIdi Annibale Rota

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Diffusi sono poi i pini mughi, che salgono benoltre il limite superiore del bosco, isolati o in pic-cole macchie incredibilmente aggrovigliate econtorte a testimonianza di una diuturna lottaper l'esistenza in un ambiente ostile e difficileper la severità degli agenti atmosferici.Il sottobosco ospita numerose specie di piccoliarbusti. Ricordiamo solo le rose selvatiche, il pungitopo(Ruscus aculeatus) e i corallini (Euonymuseuropaeus), che con le loro bacche rosse ravvi-vano il bosco anche i mesi più freddi; il fior distecco (Daphne mezereum), che già prima dellafine dell'inverno riveste i suoi rami sottili digraziosi e profumati fiorellini rosa-lilla, e l'erica(Erica carnea), un arbusto nano molto diffuso sututte le montagne lecchesi. Nel sottobosco e nei prati sono presenti miriadidi fiori dai più svariati aspetti e colori: ciclamini,orchidee, viole, campanule, anemoni, primule,genziane, ranuncoli, aconiti viola e gialli (tuttimolto velenosi), e tanti altri ancora. Tra le specie meno comuni e più belle ricor-diamo i superbi gigli, rosso e martagone (Liliumcroceum e Lilium martagon), il raro gladiolo(Gladiolus palustris), il delicato iris (Irisgraminea), la bella frassinella (Dictamnusalbus), la clematide (Clematis alpina), una sin-golare liana che adorna i cespugli di fiori curiosi,e la campanula tirsoide (Campanula thyrsoides),vera intrusa della famiglia per la sua forma e ilsuo colore.Botanicamente però la parte più interessantedella vegetazione del Gruppo delle Grigne è lacosiddetta "flora rupicola", che annovera moltespecie capaci di vivere in ambienti normalmenteimpossibili: costoni rocciosi, macereti ed anchefessure delle rocce. Oltre a quasi tutte le specie calcifile si trovanoparecchi endemismi esclusivi delle Prealpi cal-caree insubriche. Si tratta per lo più di specieche durante le glaciazioni, spinte sempre più asud dall'avanzata dei ghiacci, avevano trovatorifugio sulle zone più alte di queste montagne. Il fatto poi che queste Prealpi siano circondatedalla Pianura Padana a sud e da montagne dirocce acide sugli altri lati, spiega perché questepianticelle non siano riuscite a diffondersi sualtre montagne. Fra gli endemismi più belli ed importanti, alcunidei quali scoperti proprio sulle Grigne, citiamo: lacampanula insubrica o dell'Arciduca(Campanula raineri), dedicata dalla sua sco-

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Campanula raineri

Raponzolo chiomoso

Primula grignensis

Stella alpina

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pritrice all'Arciduca Rainer, Vicerè di Milano; ilgarofano di Elisabetta o della viceregina (Sileneelisabethae), così chiamato in onore dellamoglie del Vicerè Rainer; la viola di Duby, o delResegone (Viola dubyana); la sassifraga diVandelli (Saxifraga vandellii), scoperta dalfamoso farmacista e botanico padovano, cheaveva trascorso due estati a studiare la floradelle montagne lecchesi; l'aglio insubrico (Alliuminsubricum), esclusivo delle montagne lecchesie comasche; l'alsine della Grigna (Minuartia gri-neensis), i cui minuscoli fiorellini bianchi si spin-gono fin sulle rocce più alte.E' poi recente la scoperta di un nuovo endemi-smo, che sembra essere esclusivo delle Grigne.Nel 1996 il botanico svizzero Daniel Moser hatrovato sulle rocce della cima della Grignettauna nuova specie di primula da lui chiamata:Primula grignensis.Questa primula è stata poi trovata su alcunerocce del Grignone, mentre le ricerche su altremontagne del lecchese sono risultate finorainfruttuose.Se gli endemismi rappresentano le specie piùpreziose, non si deve però dimenticare che lerocce delle Grigne ospitano numerosi altri fiori,altrettanto belli e in qualche caso anche rari. Tra i tanti ricordiamo: la primula "orecchia d'or-so" (Primula auricola), che all'inizio della prima-vera ricopre massi e prati rocciosi di luminosifiori giallo-oro; il raperonzolo di roccia(Phyteuma comosum), con la sua magnificaesplosione di punte rosa-viola; la silene acaule(Silene acaulis), che forma morbidi cuscinetticostellati di fiorellini rosati; l'aquilegia alpina(Aquilegia einseleana), dagli originali fiori azzur-ro-viola; l'astro alpino (Aster alpinus), una bellamargherita dai capolini giallo-viola; la potentillapersicina (Potentilla nitida), che riveste le roccedi delicati fiori bianchi o rosati; la rosa-violaceaprimula di Lombardia (Primula glaucescens,ssp. longo-barda); la superba peonia (Paeoniaofficinalis); numerose sassifraghe, tra cui lamutata (Saxifraga mutata), quasi un alberelloalto anche più di mezzo metro; la centaurearapontica (Rhaponticum scariosum), così vi-stosa da essere chiamata crapoon (testone) neldialetto locale per i suoi grossi capolini, che rag-giungono anche i dieci centimetri di diametro; larara petrocallide (Petrocallis pyrenaica) e natu-ralmente la stella alpina o edelweiss(Leontopodium alpinum), simbolo della piùnobile vegetazione delle montagne.

Concludiamo questa rapida carrellata con unosplendido piccolo cespuglio, il rododendro(Rhododendron hirsutum), che accende di rossocanaloni e costoni rocciosi.E nella prima o nella seconda metà di luglio, aseconda dell'andamento stagionale, il sentieroattrezzato della "traversata alta", che correlungo la cresta che unisce le due Grigne, oltread essere un itinerario di grande interesse alpi-nistico e panoramico, si rivela essere anche unosplendido giardino botanico, un autentico "sen-tiero dei fiori", dove è possibile vedere quasitutte le specie sopracitate e dove gli appassio-nati si soffermano a scattare moltissimefotografie.�

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Una rara campanula tirsoide a doppia spiga

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D irigendoci verso Auronzo,

lasciata Cima Gogna alle

spalle, alla nostra sinistra,

su un curvone, che più volte si è ri-velato tiranno per l'automobilista,possiamo scorgere il capitello dedi-cato a Santa Apollonia.Apollonia nasce ad Alessandriad'Egitto dove non più giovanissima,donna non sposata che aveva aiu-tato i cristiani e fatto opera di apo-stolato, viene perseguitata. Poichè Lei non vuole offendere Diocon parolacce e bestemmie, Le tol-

gono tutti i denti per farla soffrire, quindi viene preparato un rogo per bruciarla viva. MaApollonia, con determinazione e coraggio, riesce a liberarsi dalle mani degli uomini cattivie si getta spontaneamente nel rogo. Il gesto di Apollonia di gettarsi nel fuoco, pur di noncommettere un peccato grave, sarà oggetto di considerazione dottrinale.Proclamata Santa, la Vergine e Martire che sarà festeggiata il 9 febbraio, diventerà la pro-tettrice dei dentisti, igienisti dentali ed odontotecnici, ma soprattutto di chi soffre il mal didenti.Apollonia viene descritta come particolarmente serena nel resistere al dolore.In passato, nei nostri paesi, veniva così ricordata in una serie di invocazioni:“Santa Apollonia proteggimi dal mal di denti e dalla brutta gente”.

SANTA APOLLONIAdi Paola De Filippo Roia

Il capitello, una semplice costruzione, in un passato abbastanza recente era stato restauratoper opera di alcuni volontari. L'anno scorso è stato nuovamente ridipinto ad opera del-l'Amministrazione Comunale. Affissa alla grata, è incastonata una tenaglia in ferro.All'interno una tela riproduce il volto inclinato e sofferente della Santa che tiene in mano unatenaglia con un dente estratto. Altri quadri ed immagini sacre arricchiscono la cappella.

SANTA APOLLONIA � 17

I l u o g h i d e l s a c r o

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N ato da nobile prosapia (un'ipotesi recente lo fa membro della famiglia dei visconti di

Aosta) agli albori del sec. XI; facondo e indefesso predicatore, fu arcidiacono di

Aosta, e fondatore, o più propriamente restauratore, dell'ospizio sul monte di Giove,

detto poi Gran S. Bernardo, e probabilmente di quello della Colonna di Giove, chia-

mato poi Piccolo S. Bernardo. La sua festa ricorre il 15 giugno.

Da Novara, ove stava predicando, Bernardo si recò a Pavia (apr. 1081) per incontrarsi con l'impe-

ratore Enrico IV, in procinto di iniziare un'azione ostile contro la contessa Matilde e Gregorio VII,

onde distoglierlo da simile progetto; di ritorno a Novara vi morì il 15 giugno dello stesso anno, la-

sciando larga fama di santità. Fu sepolto nella chiesa del monastero di S. Lorenzo. Da un documen-

to del 15 giugno 1424 si ricava che egli fu canonizzato dal vescovo di Novara Riccardo (1115-21);

però la sua introduzione nel Martirologio romano risale soltanto al 9 agosto 1681.

Pio XI lo proclamò, il 20 agosto 1923, patrono degli alpinisti, degli abitanti e dei viaggiatori delle Alpi

(Acta Apostolicae Sedis, 15 [1923], pp. 437-42).

L'appartenenza di Bernardo all'antica famiglia baronale dei Menthon e le date 923 per la nascita e

1008 per la morte sono dovute ad un volgare falsario dell'inizio del sec. XV che si spaccia per

Riccardo di Valdisère, amico e successore del Santo nella dignità arcidiaconale di Aosta. Il suo rac-

conto è costellato di anacronismi e di puerilità, per cui non merita nessuna considerazione.

S. Bernardo è generalmente rappresentato in abito canonicale corale: rocchetto, almucio e bastone

arcidiaconale; spesso, dal sec. XV, tiene il demonio incatenato ai suoi piedi con la stola trasformata

in catena ferrea, motivo iconografico comune con alcuni altri santi, tra i quali S. Bernardo di

Chiaravalle.

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SAN BERNARDO DA MENTONEPatrono degli alpinisti e di tutti i nativi nelle zone alpine. Pio XI 1923

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San Bernardo, arcidiacono di AostaNel 1923 Pio XI lo ha proclamato patrono degli alpinisti e di tutti i nativi nelle

zone alpine.

"�vogliamo stabilire San Bernardo da Mentone qual Patrono celeste non pureagli abitanti ed ai viaggiatori delle Alpi, ma anche a coloro che si esercitano asalirne i gioghi.Per vero tra tutti gli esercizi di onesto diporto nessuno più di questo - quandosi schivi la temerità - può dirsi giovevole alla sanità dell'anima nonché delcorpo. Mentre con duro affaticarsi e sforzarsi per ascendere dove l'aria è piùsottile e più pura, si rinnovano e si rinvigoriscono le forze, avviene pure che ecoll'affrontare difficoltà d'ogni specie si divenga più forti pei doveri anche piùardui della vita, e col contemplare la immensità e bellezza degli spettacoli chedalle sublimi vette delle Alpi ci si aprono sotto lo sguardo, l'anima si elevi facilmente a Dio, autore e Signore della natura." PIO XI

PreghieraGrande S. Bernardo che per le Tue eroiche virtù vivi attraverso i secoli e

fosti stabilito Patrono degli alpigiani e degli alpinisti, intercedi presso il trono

dell'Altissimo, perché stia lontano da noi ogni pericolo.

Tu che ti conservasti puro come le nevi fra le quali vivesti, forte come i

monti che valicasti, accompagnaci nelle nostre ascensioni affinché non

si macchi lo spirito e si rinvigoriscano le membra. - Insegnaci ad amare

e ringraziare il Divin Creatore datore di ogni bene. - Così dopo aver

ammirate le meravigliose bellezze della natura, allietati nello spirito,

irrobustiti nel corpo, ritorniamo con serenità al compimento dei nostri

doveri, al servizio di Dio e della patria amatissima.

Per la benedizione degli attrezziBenedici o Signore, queste funi e bastoni e piccozze e tutti gli attrezzi

qui presenti affinché chiunque ne faccia uso su gli ardui dirupi dei

monti, fra i ghiacci e le nevi e le tormente sia preservato da ogni

accidente e pericolo e felicemente arrivi in vetta, e incolume ai

suoi faccia ritorno.

Per l'intercessione del Beato Bernardo che volesti Patrono

degli alpigiani e degli alpinisti, proteggi o Signore questi

tuoi servi e a essi concedi che mentre ascendono

queste vette possano anche al divino monte

pervenire. Per Cristo Signor nostro. Così sia.

SAN BERNARDO DA MENTONE � 19

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Ospizio del Gran San BernardoIl passo su cui sorge l'ospizio è sito a 2473 slm su una gola stretta e selvaggia ad oriente del Monte

Bianco sulle Alpi Pennine. Era conosciuto e valicato gran tempo prima dei Romani ed era sacro al

dio Penn, donde il suo nome di "Alpis Poenina, Poeninum, Summus Poeninus ". I Romani lo consacrarono a Giove Pennino e vi eressero un piccolo tempio e due case di ricovero

sistemandone le vie di accesso. Cessato sul finire del sec. IV il culto pagano, decaddero pure le

case di rifugio, di cui non si ha più notizia sino alla fine del sec. VIII, e il colle divenne malsicuro.

L'ospizio erettovi nuovamente all'epoca carolingia, dedicato a S. Pietro e affidato alle cure di

monaci, probabilmente Benedettini, anziché sul valico, si trovava un po' più sotto sul versante

svizzero, ove oggi sorge Bourg-St-Pierre.

Sul valico ritornato mal sicuro a causa delle invasioni saracene e ungheresi (sec. X e parte dell'XI),

San Bernardo pensò di edificare un ospizio (metà sec. XI), in sostituzione del carolingio andato di-

strutto, affidandone la custodia sin dall'inizio, come sembra, a una comunità di Canonici regolari, tut-

tora esistente e fiorente. San Bernardo dedicò l'ospizio a S. Nicola, ma già nel secolo seguente il

nome del fondatore era aggiunto al titolare, che presto passò in secondo ordine: "HospitiumBernhardi, domus hospitalis S. Bernardi". L'opera di S. Bernardo va annoverata tra le più eroiche iniziative della carità cristiana e della solida-

rietà umana.

I prevosti della Congregazione risiedettero anche ad Aosta. La Congregazione ebbe alterne vicende

di prosperità e di decadenza, ma il periodo più triste fu quello che si inizia con i prevosti commen-

datari (1465-1586) e che si chiude con la sua soppressione negli Stati sabaudi per opera di

Benedetto XIV (1752). La Congregazione riprese allora in territorio svizzero nuova vitalità.

I Canonici ebbero le simpatie di Napoleone, per l'accoglienza fattagli nel maggio 1800, quando attra-

versò il passo con le sue truppe. I Canonici del Gran S. Bernardo gestiscono pure, sin dall'inizio del

sec. XIX, l'ospizio eretto sul passo del Sempione nel cantone del Vallese. Nell'ospizio, oltre una rac-

colta di oggetti e paramenti sacri, c'è l'archivio, la biblioteca (ca. 30 mila voll.; 17 manoscritti dal sec.

XI in poi, alcuni miniati; 16 incunaboli tra cui un breviario di Moûtiers in Tarantasia 1486), un museo

con ricche collezioni di carattere locale: archeologica, entomologica, ornitologica e mineralogica.

Caratteristici sono pure i Cani di San Bernardo, più grossi dei cani di Terranova, con pelo lungo,

muso corto e largo, labbro e orecchie pendenti, sensi acutissimi. Essi prestano valido aiuto nella

ricerca dei viandanti smarriti nella neve.

Ospizio del Piccolo San BernardoSi trova sul valico omonimo delle Alpi Graie a Sud del Monte Bianco posto in una sella aprica e

amena a 2188 slm. Su questo passo, detto "Saltus Graius, Mons Graius, Alpis Graia", furono sco-

perte interessanti antichità galliche e romane con una casa ospitale. I Romani vi onorarono Giove e

la tradizione vi addita una colonna sacra al dio, donde il nome medievale di "Columna Iovis, MonsColumnae Iovis". Nella seconda metà del sec. V, in ricordo della traslazione del corpo di S. Germano

d'Auxerre, fu costruita una chiesa in onore di detto Santo, cui si aggiunse naturalmente una casa

ricovero, che risorse poi dalle rovine sul finire del sec. VIII. Che S. Bernardo abbia pensato a

ricostruire anche su questo colle un ospizio è cosa probabile, benché non si abbiano documenti

coevi. Non certo a caso papa Eugenio III, il 5 aprile 1145, annoverando questo ospizio tra i beni

appartenenti ai Canonici regolari di Verrès, lo chiama "domus Sancti Bernardi". I Canonici di Verrès

ne ebbero la custodia fino al 1466, anno in cui l'ospizio passò alle dipendenze dei prevosti, com-

mendatari del Gran San Bernardo. Tale unione rimase in vigore sino alla secolarizzazione del-

l'ospizio nel 1752 e la sua cessione all'ordine mauriziano.

Tra i moderni rettori del Piccolo San Bernardo va ricordato il notissimo don Pietro Chanoux (abbé

Chanoux, 1828-1909) geniale creatore della Chanousia (1897) giardino ove sono raccolte oltre

2000 piante alpine. Tra i suoi più validi collaboratori nell'attuazione di questa iniziativa, oggi purtrop-

po distrutta dagli eventi bellici e dal trattato di pace, è da annoverare il prof. Lino Vaccari.

Sul Piccolo e sul Gran San Bernardo furono erette due statue monumentali al fondatore nel 1902 e

nel 1905.

20 QVOTA 864 � GIUGNO 2016

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Il cane di San BernardoPiù che una razza canina, il cane di San

Bernardo è una leggenda.

Un mito vivente.

"Il Santo", ecco il nome che gli inglesi

danno a questo cane: non per abbreviare il

nome della razza, bensì per rendere omag-

gio alle qualità, davvero uniche al mondo,

del cane che ha salvato più vite umane,

soccorrendo viandanti in difficoltà o

ritrovando persone disperse sotto la neve.

Più che una razza canina, il cane di San

Bernardo è una leggenda. Un mito vivente.

Le cronistorie pubblicate in svariate lingue

sul modo in cui questi cani avevano salvato

numerose vite umane dalla morte bianca e

i racconti dei soldati che nel 1808 supe-

rarono il colle con l'armata d'Italia di

Napoleone diffusero nel XIX secolo la fama

di questi cani in tutta Europa.

Spesso, nel tentativo di ricostruire le origini

della razza, si fa riferimento ai grossi ma-

stini che le legioni romane lasciavano con

le truppe destinate a presidiare i punti

strategici sulle grandi vie di comunicazione.

Pare abbastanza probabile che questa

possa essere, almeno in parte, l'origine dei

Mastini e dei grandi Bovari diffusi in vari

Cantoni svizzeri, ma la prima testimonianza

certa della presenza di tali cani al Colle, (che allora si chiamava Col de Mont Joux), risale alla se-

conda metà del '600, quando il pittore Salvator Rosa ritrasse un grosso molossoide molto simile

all'odierno Cane di San Bernardo. Probabilmente i primi cani vennero donati ai canonici dell'Ospizio

verso il 1660, dalle famiglie nobili del Vallese, per la guardia e la protezione dell'Ospizio stesso dai

non infrequenti malintenzionati (le cronache riportano numerosi episodi di brigantaggio), ma anche

per numerosi altri impieghi, dal trasporto di piccoli carichi (latte, formaggi), alla fornitura di forza

motrice (un dispositivo a mulino, azionato dai cani, muoveva l'enorme spiedo della cucina del-

l'ospizio).

Ma l'impiego che li rese celebri nel mondo fu quello di ausiliari dei canonici (marronier) nel tracciare

la pista nella neve fresca, prevedere la caduta di valanghe e ritrovare i viaggiatori dispersi col mal-

tempo. La denominazione Cane di San Bernardo venne usata per la prima volta nel 1862, in occa-

sione di una esposizione cinofila presso Birmingham. A partire dalla metà del XIX secolo, ci si era

resi conto dei danni causati dalla eccessiva consanguineità tra i riproduttori presenti presso l'alleva-

mento dell'Ospizio,e si decise dunque di ricorrere all'incrocio con il cane di Terranova. Frutto di tale

incrocio fu la comparsa del pelo lungo, ma la tipologia più tipica e più idonea al soccorso resta quella

originaria, a pelo raso. Nei primi anni del XX secolo la razza era diffusa in tutta Europa, ma la popo-

larità, come spesso accade, portò anche ad alcune deviazioni rispetto alla tipologia originale.

Vennero introdotti incroci con Mastiff inglesi ed altre razze,unitamente ad una selezione volta ad

accentuare le caratteristiche di mole, pelo, lassità della pelle, ecc..., rivolte a fattori "estetici", a di-

scapito della funzionalità. La II guerra mondiale arrecò gravi danni a questa, come a molte altre

razze. Il recupero del Cane di San Bernardo deve molto all'opera del cinologo italiano dott. Antonio

Morsiani, che con il suo Allevamento "del Soccorso" contribuì in modo determinante alla salvezza

della razza nel dopoguerra.� (sull’argomento vedi anche QVOTA 864 N.26)

SAN BERNARDO DA MENTONE � 21

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PARSIFAL

Ich schreite kaum, doch wähn' ich mich schon weit.

GURNEMANZ

Du siehst, mein Sohn, zum Raum wird hier die Zeit.

P er stabilire se la montagna è davvero

bella come alcuni dicono,

bisognerebbe sapere cosa vuol dire

essere bello o brutto, in cosa con-

siste l'essenza della bellezza. Non avendo

ancora molta dimestichezza con la filosofia,

dovrò per forza essere un po' terra-terra, limitan-

domi a qualche discorso orecchiato qua e là.

Spero che da qualche altra parte in questo libro

qualcuno più esperto di me ve lo avrà spiegato:

io non ne sono certamente capace. Una mia

confusa idea da qualche parte ce l'ho, ma vallo

a spiegare. Mi perdonerete: ho solo tre anni e

mezzo.

"La bellezza è negli occhi di chi guarda", dicono

alcuni. Altri sostengono che "non è bello ciò cheè bello, ma è bello ciò che piace". Ma poi le

maestre ci insegnano a distinguere tra un

quadro bello e uno brutto, e dopo che ce l'hanno

spiegato, una tavola di Giotto o un acquerello di

Klee saranno - non "ci sembreranno": "saranno",

senza discussioni - decisamente più belli degli

scarabocchi che fa il papà quando cerca di

insegnarmi a disegnare senza esserne capace.

Cosa poi voglia dire che una donna è bella�

ognuno ci arriva da solo, sebbene vi sia

un'ampia varietà di gusti e inclinazioni.

Biancaneve è certamente più bella di Maga

Magò. E la mamma è più bella sia di Biancaneve

che di tutte le altre.

Insomma, benché da qualche migliaio di anni si

provi ad afferrarne il segreto, nessuno è ancora

riuscito a rinchiudere la bellezza in una formula.

E' il suo bello, potremmo dire: il bello della

bellezza. Che ci sia ciascun lo dice, dove sia

nessun lo sa, come la fede delle femmine -

escluse la mamma e la tata Agnieszka, che

appunto non sono femmine ma angeli del cielo,

belle per definizione. Possiamo alludere, possi-

amo suggerire, possiamo fare esempi di cose

belle, ma l'essenza della bellezza continuerà a

sfuggirci. Forse è per sottolineare questo mi-

stero che i Greci hanno stabilito che la Bellezza

è una dea?

��� ��� ���OK, facciamo finta che sappiamo, almeno all'in-

circa, cosa vuol dire che una cosa è bella, e

occupiamoci della montagna.

La montagna è bella? In che senso? Cosa la

rende bella? Che cosa precisamente è "bello"

della montagna? La montagna in generale

LA BELLEZZA E LA MONTAGNAdi Giovanni MassaruttoFirenze, 18 febbraio 2015Care Maria Giovanna e Francesca,Il papà, siccome aveva tanto lavoro in questi giorni, ha chiesto a me di buttar giù qualche pensierino per il vostrolibro. Spero che vi piaccia! Mi sono fatto un po' aiutare, non l'ho scritto proprio tutto io! Però ho fatto del miomeglio.Se non vi dispiace, vorrei fare due dediche. Al Nonno Gianni, prima di tutto: lui non potrà leggere quello che hoscritto, ma qualche uccellino mio amico glielo potrà fischiettare alle orecchie, in quel posto dove sta adesso. Ea tutti i bambini come me, pensando a quel momento speciale in cui anche loro, con lo stupore ingenuo dellaprima volta, scopriranno l'incanto del tempo che diventa spazio.Tanti baci a te e allo zio Gabriele, e soprattutto alla Nonna Vecchia.Giovanni

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- ossia un posto accidentato, fitto di cime e val-

late? Una montagna particolare? Nel senso che

ci sono montagne più belle di altre? Esiste una

montagna brutta, come esiste una donna brutta

o un quadro brutto? Vale anche per la montagna

che "ogni scarafone è bello a mamma sua?" O,

piuttosto, ad essere bello è il fatto di andare in

montagna, ossia l'alpinismo, in tutte le sue

forme? E' bella perché è bello contemplarla?

Perché è bello immergersi nella sua poesia,

nella sua pace, nel suo silenzio, nella sua lon-

tananza, nel mistero della sua inaccessibilità?

Perché è bello "possederla", o "farsene

possedere", a seconda delle personali incli-

nazioni?

Il papà, che ama i paradossi, mi suggerisce di

cominciare parafrasando Oscar Wilde: "la mon-tagna è un posto poco pulito, dove i camosciscorrazzano crudi". In un certo senso, è proprio

così. La montagna non è altro che un mucchio di

pietre, talvolta ricoperte di boschi e di prati, altre

volte di neve e di ghiaccio, altre ancora nuda

roccia. Ci vivono un po' di strani animali, come

dappertutto. In montagna piove, nevica, c'è il

sole, fa caldo o fa freddo, come in qualunque

altro posto. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta:

fa più freddo che altrove; si fa un sacco di fatica;

la strada per andarci è piena di curve e fa venire

il "gomito" a noi bimbi seduti dietro.

Prima di conoscere il mio papà, la mia mamma

- creatura marina simile a una sirena, solo con le

gambe al posto delle pinne - pensava che la

montagna fosse essenzialmente un posto dove

un sacco di scalmanati praticano sport pericolosi

e ineleganti, da cui si torna a casa con le gambe

rotte. Anche adesso, la mamma in montagna ci

viene per trovarvi la pace e il silenzio, ma non

certo per infilarsi in quegli orrendi rifugi-discote-

ca, dove una massa di assatanati consumano

una montagna in versione fast-food. E meno

che mai per andare sulle piste iperaffollate, fre-

quentare le quali, a parte il rischio di essere tra-

volti da qualche spericolato prepotente, è altret-

tanto bello che stare all'ora di punta sulla

Firenze-Pisa-Livorno. Insomma, sul fatto che la

montagna sia proprio tutta e sempre bella si può

anche non essere d'accordo.

Però constatare questo non aiuta. Anche il mare

è un posto con tanta acqua popolato di strane

creature con le branchie. Anche un quadro è un

mucchio di paste colorate sparse su una tela

con un pennello. Perfino una bella donna è solo

un insieme di cellule, a loro volta composte di

milioni di molecole di carbonio, idrogeno e altri

elementi. Se uno dice che preferisce leggere La

Divina Commedia che guardare Gli Aristogatti, o

ritiene l'Anello del Nibelungo meglio di Peppa

Pig, non è che lo si giustifica dicendo che è un

suo diritto trovare bello ciò che meglio crede.

Ognuno sarà anche libero di leggere e ascoltare

ciò che vuole, ci mancherebbe: ma almeno un

bel "poveretto�" di commiserazione non glielo

toglie nessuno. E così per la montagna.

��� ��� ���Per fare un po' di ordine, possiamo ricordare che

l'idea di bellezza rimanda in un modo o nell'altro

alla simbologia ancestrale, a qualcosa di profon-

damente nascosto dentro di noi. Diciamolo

meglio con qualche parolone preso a prestito

dai libri del nonno filosofo: la bellezza è certa-

mente un qualcosa che esiste in quanto esisti-

amo noi che la riconosciamo, non è un attributo

delle cose; ma questo non vuol dire che sia con-

cetto arbitrario e relativo. Se la montagna è

bella, è perché dentro ognuno di noi c'è qualche

cosa che si scuote nel profondo quando ne vedi-

amo una. E non è neppure troppo difficile intuire

cosa.

Fin dall'antichità, gli umani hanno associato la

montagna alla sede della divinità. Non per

niente Zeus viene allevato sul Monte Ida a Creta

e stabilisce la sua dimora sull'Olimpo - me lo

racconta sempre la nonna. E' sul Parnaso che

dimorano le arti. In Himalaya o in Tibet, ogni

montagna è sacra a qualcosa o a qualcuno. In

Giappone, è il monte Fuji stesso ad essere con-

siderato un dio.

La montagna è anche il luogo dove avviene la

possibile mediazione tra umano e divino. Mosè

sale in cima al Sinai per ricevere le tavole della

LA BELLEZZA E LA MONTAGNA � 23

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legge - lo so dai libri sui Comandamenti pubbli-

cati dal Mulino, che la mamma mi legge la sera

per farmi addormentare. E' una montagna il

luogo che Gesù presceglie, dopo la resur-

rezione, per rivelare ai discepoli la prova della

sua natura divina. E' dalla montagna che scende

Zarathustra per annunciare il suo messaggio. E'

sulle montagne che trovano rifugio gli eremiti, in

cerca di un luogo di pace nel quale dedicarsi alle

meditazioni spirituali. In mezzo alle montagne

dorme Brunilde, affinché l'essere mortale che la

sveglierà sia costretto almeno a dare prova di

coraggio e nobiltà d'animo per poterla raggiun-

gere.

"Le montagne sono le cattedrali della terra",diceva John Ruskin. "Con i loro portali di roccia,i mosaici di nubi, i cori dei torrenti, gli altari dineve, le volte di porpora scintillanti di stelle".Come le cattedrali, sono belle non perché armo-

niose, ma perché ci sfidano, ci parlano di qual-

cosa di primordiale che è al di fuori ma allo stes-

so tempo anche dentro di noi, ci domina e ci

sovrasta, ma anche ci inquieta e ci anima dal di

dentro. Una bellezza che ha molto più a che fare

con l'orrido, il sublime, il pauroso, il titanico.

Nelle cattedrali, le sculture più belle sono

nascoste agli sguardi e orientate verso l'alto per-

ché solo il buon Dio possa vederle; anche le

montagne custodiscono i loro gioielli nei posti

più inaccessibili.

Le montagne perfette sono allora il Cervino, o il

Cerro Torre, che non a caso fu detto "il grido dipietra". Piramidi aguzze, puntate verso il cielo,

che comunicano a chiunque le guardi il deside-

rio, per non dire il bisogno ineludibile, la neces-

sità di raggiungerne il culmine, ma anche il ter-

rore di trovarsi sospesi sopra i loro abissi, l'an-

goscia che ci trasmette il loro profilo arcigno e

repulsivo. Ma seppure senza tanta geometrica

perfezione, ogni regione e ogni valle hanno il

loro Cervino.

Quando siamo in macchina diretti a Tarvisio, il

papà ogni volta non può fare a meno di girarsi (a

rischio di incidente) tra quelle due gallerie per

rendere omaggio al Montasio incastonato nella

Val Dogna.

��� ��� ���Io, per dire la verità, questi discorsi li capisco

poco. Li ho riferiti solo perché ogni tanto il papà

e la mamma parlano di queste cose.

A me, se devo proprio dirla tutta, interessa un'al-

tra montagna, e guai a chi si azzarda a dire che

è meno interessante e meno vera. Quella di

Heidi e delle sue caprette, voglio dire. Quella

delle mucche che pascolano sui prati con i cam-

panacci, delle malghe dove, quando arrivo con

mamma e papà, mi danno una fetta di strudel e

una tazza di Buttermilch, dei prati pieni di fiori e

covoni di fieno, dei boschi pieni di funghi e di

mirtilli. Il papà mi racconta la storia di quando

andiamo con le amiche Alice e Paola in cima al

Monte Aguzzo: ma la parte che mi piace di più è

quando prepariamo la tenda e andiamo a rac-

cogliere la legna nel bosco.

Montagna vuol dire anche purezza, e si dà il

caso che noi bambini siamo degli esperti: in fatto

di purezza non ci si insegna nulla. Pensate

all'acqua minerale: anche quelle che sgorgano

più prosaicamente in pianura, quando devono

fare pubblicità mettono in primo piano cime

innevate e alte quote. E pazienza se il posto per

antonomasia in cui l'acqua potabile scarseggia

di più sono proprio i ghiacciai!

Una volta il papà mi ha portato sulle spalle fino

a un rifugio in mezzo ai crepacci, e ho potuto

vederlo anche io.

A me davano già nel biberon un'acqua Santa-

Qualcosa, che aveva sull'etichetta una mon-

tagna bellissima, slanciata, protesa verso il

cielo, coperta di neve e ghiaccio. E il mio papà,

che si vanta di conoscerle tutte, non riuscendo a

capire che cima fosse ha perfino telefonato al

servizio clienti - per scoprire che si trattava di

una cima inventata e disegnata al computer.

Andando a trovare gli zii e la nonna a Tarvisio,

ho potuto fare anche degli studi antropologici:

non so se lo sapete, ma lì vivono tre popoli

diversi, ed è interessante vedere come ciascuno

veda nella montagna qualcosa di diverso dall'al-

tro. E' incredibile, ad esempio, quanto gli

Austriaci e gli Sloveni amino le loro montagne,

quasi venerandole come divinità; per loro salire

sulle cime è una cosa più ancora che normale e

salutare, è una specie di dovere civico, come

andare a messa la domenica. E quanto invece

noi Italiani, ma anche i Francesi, imbevuti di cul-

tura "cittadina", riusciamo a concepirle soprattut-

to come ostacolo da attraversare, o piuttosto

come imprese commerciali, utili a fornire energia

elettrica o a costruirci qualche stazione sciistica,

come fondale per i film o per la pubblicità. Non

per niente discendiamo dai Romani - gente pra-

tica, che andava al sodo, con una mentalità uti-

litaristica. La montagna è sempre stata da loro

rappresentata come terra di barbari da

assoggettare, entro i limiti per i quali se ne pote-

24 QVOTA 864 � GIUGNO 2016

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va derivare qualche vantaggio o bisognava

tenere a bada qualche razziatore; altrimenti,

semplicemente da ignorare.

Ma perfino tra i Romani vi è chi, come Seneca,

intuisce il significato simbolico del salire in alto

come modo per purificarsi, per raggiungere uno

stadio più elevato di perfezione spirituale. "Ognicima che raggiungi non è che una tappa inter-media", scrive. E anche: "continua ciò che haicominciato e forse arriverai alla cima, o almenoarriverai in alto ad un punto che tu solo com-prenderai non essere la cima". La via della crescita interiore, la via per la con-

quista della spiritualità, è necessariamente una

via in salita, e cosa meglio della montagna lo

può rappresentare? Il bene e il male spesso

sono separati da un sottile crinale, e come capir-

lo meglio che camminando su un'affilata cresta

che taglia in due l'aria sottile? La vita è respon-

sabilità, e cosa ce lo può insegnare meglio di

una scalata dove un piede in fallo può farci pre-

cipitare, dove la nostra vita e quella dei nostri

compagni dipendono da noi, dal nostro senno,

dalla nostra prudenza, dalla nostra capacità di

fronteggiare gli ostacoli? La vita è condivisione,

nessuno può bastare a se stesso: e cosa ce lo

rappresenta meglio che essere legati alla stessa

corda? La saggezza è conquista dell'umiltà, e

cosa ci può rendere più umili che misurarci con

le forze della natura? Per aspera ad astra: e

cosa c'è di più aspro di uno sperone di roccia e

ghiaccio piantato nel cielo?

"Ho cominciato appena a camminare, e già ho lasensazione di aver fatto così tanta strada",osserva timidamente Parsifal, durante il tragitto

verso Montsalvat. Il vecchio e saggio

Gurnemanz gli risponde: "lo vedi, figlio mio: quiil tempo diventa spazio". Chi non è mai salito su una montagna potrà

trovare sibillina questa frase. Per me è mera-

vigliosa, quanto di più vicino alla soluzione del

nostro mistero le parole umane siano mai riu-

scite ad andare. Anche a me come al giovinetto

Parsifal è stato dato di stupirmi quando, ad ogni

passo, vedevo dischiudersi un universo sempre

più grande. E ancora non ho visto niente!

E poi c'è la montagna come divertimento, come

luogo di giochi. E devo dire subito, benché abbia

appena cominciato: giochi tra i più divertenti che

si possano fare, arrampicarsi, scivolare, correre,

saltare. E poi ancora: caccia al tesoro,

collezione, puzzle. Però attenzione.

La montagna è gioco, anzi il teatro di gioco più

entusiasmante che ci sia. "Playground ofEurope", l'ha definita Leslie Stephen,

nell'Ottocento, quando arrampicarsi su per le

cime era diventato uno dei passatempi preferiti

della gioventù europea. Ora, io non saprò niente

di filosofia, ma di gioco, se permettete, sono io

l'esperto qui. E guai a chi si azzarderà a dire che

il gioco è un passatempo futile, una perdita di

tempo non degna delle persone serie. Ogni

bambino sa che il gioco è una delle cose più

serie che ci siano. Si gioca per imparare e per

conoscere. Si gioca per scoprire il mondo ester-

no e le sue regole.

E quindi non fraintendiamo: stiamo parlando di

gioco nel senso più alto che ci sia. "Non cercatein un monte un'impalcatura per arrampicare,cercate la sua anima", ha scritto Kugy. Eccola, la

caccia al tesoro! La "lotta con l'Alpe è utile comeun lavoro, nobile come un arte, bella come unafede", diceva Guido Rey; proprio perché è un

gioco, aggiungo io.

Ecco, se questo è vero, abbiamo un'altra trac-

cia. Se la montagna non è solo un mucchio di

sassi, ma ha un'anima, forse è lì che dobbiamo

cercare la bellezza? Ma poi è lo stesso Kugy a

dirci che le montagne "sentono" chi le ama, e

solo a loro rivelano i loro segreti; gli altri tornano

a valle vuoti, come vuoti erano saliti. Dunque

deve scattare un qualche miracolo, un clic da

qualche parte che permette a qualcuno di ve-

derla, questa bellezza, mentre agli altri rimane

preclusa.

Ci vuole insomma un'anima pulita. Non è per

tutti. Forse chi ha l'anima poco pulita è bene che

si astenga proprio per questo: perché andando

in montagna rischia di vederla troppo da vicino,

e di doversene vergognare.

��� ��� ���Sulle Alpi Giulie c'è la storia di Zlatorog, il

camoscio dalle corna d'oro, custode dei giardini

segreti del Tricorno: quando il bracconiere lo

ferisce, lui preferirà prenderli a cornate, quei giar-

dini, sconquassando tutto perché gli uomini non

possano profanarli. A quelli che si definiscono

"alpinisti", come fa il mio papà, piace però

credere che Zlatorog con loro sia un pochino più

comprensivo. A loro, e solo a loro tra gli umani,

certi segreti possono essere rivelati.

Sarà per questo che guardano gli altri un po' dal-

l'alto in basso, con commiserazione. Si sentono

come custodi di un segreto, di un qualche Sacro

Graal che non vogliono rivelare a nessuno.

Come i membri di una setta, hanno tutto un loro

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cerimoniale di codici e riti, incomprensibile ai

non iniziati. Hanno dei segni misteriosi, che per-

mettono loro di riconoscersi a colpo d'occhio. Se

trovano qualcuno che non è sensibile alle mon-

tagne, non tentano di convincerlo, ma ammic-

cano tra loro. Un po' come quando con me par-

lano di Babbo Natale.

Quando chiedo al papà cosa ci va a fare su

quelle montagne dove non può portare anche

me, lui mi dice che in montagna si va per toccare

il cielo. E ogni volta per dimostrarmelo quando

rientra a casa apre la mano e mi dice: ecco, te

ne ho portato un pezzettino, così mi credi. Io gli

credo anche - voglio dire, è il mio papà, io ho tre

anni, e tutti i bimbi di tre anni credono ad ogni

parola che dice il papà. Anche se quando apre

la mano non vedo niente.

L'altro giorno però ho avuto un'illuminazione:

Peppa e George erano andati con Mamma e

Papà Pig in montagna, e siccome pioveva e poi

è spuntato il sole, è venuto fuori un bellissimo

arcobaleno. Peppa e George hanno chiesto di

portarli a vedere la fine dell'arcobaleno per cer-

care il tesoro, ma ogni volta che sembrava di

poterlo toccare, quello si allontanava, fino a

scomparire. Però alla fine il tesoro l'hanno trova-

to: una bellissima pozzanghera di fango dove si

poteva fare il loro gioco preferito, saltarci dentro!

Forse toccare il cielo sulla cima è una scusa che

il papà inventa per poter andare a saltare nelle

sue pozzanghere di fango? Sarà per quello che

quando scende dalle montagne i suoi occhi si

illuminano di una luce speciale? E' andato fin

lassù per portare a spasso il bambino che è in

lui? Perché la montagna è l'unico posto al

mondo in cui può tornare ad essere bambino

senza renderne conto a nessuno?

��� ��� ���Papà e mamma non litigano quasi mai, ma se

c'è una cosa che scatena discussioni feroci

seguite da musi terribili, è quando andiamo a

fare una gita e, per un motivo o per l'altro, torni-

amo indietro prima di avere raggiunto la meta

stabilita. Perché è tardi, perché minaccia pioggia

o tira vento, perché siamo stanchi, perché c'è la

strada del ritorno, perché viene buio.

Papà cerca di spiegare alla mamma - che suona

il pianoforte, e di musica ne capisce - che non

arrivare in cima è come suonare una sonata

facendone solo un pezzo, come andare al-

l'opera e uscire prima "tanto ho ascoltato abba-stanza, e so già come finisce, e così non facciola fila al guardaroba". Come cucinare una torta e

toglierla dal forno prima che sia cotta, tanto si sa

già che sapore dovrebbe avere. Come andare in

pasticceria e limitarsi a guardare la vetrina.

Come fare 1000 chilometri per venire a Firenze,

fare la coda fino alla cassa degli Uffizi, pagare il

biglietto e non entrare, perché tanto i quadri li

abbiamo già visti in fotografia.

Dice anche che uno va in montagna per con-

quistare quel momento lì, quegli ultimi tre passi

prima di arrivare in cima, che le montagne sono

cattedrali, appunto, e quei tre passi che man-

cano sono come i tre gradini per entrarci. Dice

che darsi una meta e raggiungerla è lo scopo

principale del gioco: scoprirsi capaci di usare le

nostre energie e disciplinare le nostre risorse in

vista di un obiettivo - non so se ve l'ho detto, ma

il papà di mestiere fa l'economista, chissà se è

un caso?. La mamma pensa che dopo che uno

ha fatto il suo, ha sbrigato le sue faccende mon-

tane, ha camminato un certo numero di ore, non

c'è senso e gusto nel proseguire oltre. Dice che

il papà è ostinato come un mulo e se si mette in

testa una cosa non gliela schiodi nemmeno con

le cannonate.

Non l'ho mai visto tanto costernato come quelle

volte che, per un motivo o per l'altro, ci tocca

girare i tacchi prima di aver raggiunto la meta,

anche se lui c'è già stato mille volte. Ha la stes-

sa faccia che ho io quando mi tolgono dalle mani

il mio giocattolo perché è ora di nanna. Come lo

capisco!

Mi sono accorto poi, spiando il papà, che gli

alpinisti sono anche dei collezionisti, e questa

cosa del collezionismo gli mette addosso una

specie di frenesia. Come il "Buon Giovanni":

madamina, il catalogo è questo. Gli alpinisti

sono vanitosi e tra loro non fanno che enume-

rare continuamente le vette che hanno salito e

quelle che vorrebbero salire. Quando arrivano

su una cima, passano ore a distinguere tutte le

altre cime che si vedono, chiamandole per

nome. Una parte importantissima del lavoro del

collezionista consiste nel catalogare, lucidare,

riguardare tutti i pezzi della collezione. In Italia

seicentoquaranta, in Almagna duecentotrentu-

na, cento in Francia, in Turchia novantuna, ma

in Ispagna son già mille e tre. Per ogni stagione

c'è la sua montagna, per ogni circostanza l'a-

scensione giusta: d'inverno la grassotta, d'es-

tate la magrotta; contadine, baronesse, citta-

dine, d'ogni grado, d'ogni forma, d'ogni età. Per

un vero alpinista, ogni montagna è bella per un

motivo diverso: nella bionda lodano la gentilez-

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za, nella bruna la costanza. Le amano tutte

senza eccezione: la grande perché maestosa, la

piccina ognor vezzosa.

Purché porti la gonnella ... Però, la passion pre-

dominante è la giovin principiante: gli alpinisti

adorano essere i primi, quelli che legheranno il

loro nome a una cima, a un versante inaccesso,

una via non ancora percorsa. Per non dire degli

scialpinisti poi, quando possono tracciare le loro

curve nella neve vergine.

Ma poi anche il conquistatore seriale di vette, il

più accanito seduttore di cime, ha una sua mon-

tagna del cuore, quella cui torna in grembo

quando ha voglia di sentirsi a casa. Quella che

conosce in profondità per averne percorso ogni

anfratto, ogni volta con uno stato d'animo diver-

so, con un segreto diverso da condividere, con

un'angustia diversa nel cuore. La montagna del

cuore ha qualcosa a che vedere con la mamma

- come è noto, "mamma" è l'espressione che noi

bimbi utilizziamo per significare un essere per-

fettissimo, inimitabile, insostituibile. Qualcosa di

cui non si può dire bello o brutto, perché è al di

sopra e al di là di qualsiasi giudizio estetico.

Quella cosa calda, accogliente, premurosa, cui

ci possiamo abbandonare, certi di essere capiti

e coccolati. Quel luogo che ha condiviso con noi

lo stupore infinito e ingenuo della prima volta.

Per il papà, ad esempio, sono le Alpi Giulie, le

montagne dove è cresciuto, dove il suo papà gli

ha trasmesso questo grande dono che lui ora

sta cercando di trasmettere a me.

Il papà mi racconta spesso una storia. Erano

partiti col Nonno Gianni per andare verso il

Montasio, in una di quelle giornate umide e

piovigginose che invitano a stare in casa al cal-

duccio a giocare con il Lego. Ma poi, mentre si

inerpicavano su per le rocce, ecco all'improvviso

una luce sempre più forte, un biancore acce-

cante: e poi di colpo le nuvole sono diventate un

mare sotto i loro piedi, e solo le vette più alte

sbucavano fuori. Arrivare in cima fu come

volare. Dice che poi col tempo è diventato più

esperto e ha imparato a cimentarsi con prove

ben più difficili di quella; la magia di quel giorno

si ripete, si rinnova e si trasforma, ma niente l'ha

mai più superata. Provarla per la prima volta, e

poi sulla montagna che avevi a lungo sognato,

immaginato, desiderato deve essere una delle

esperienze più meravigliose che possano ca-

pitare.

Spero che un giorno capiterà anche a me.

��� ��� ���

La montagna è anche una grande maestra. Di

un genere particolare: "i monti sono maestri mutie fanno discepoli silenziosi", disse nientemeno

che Goethe. L'alpinismo è geografia interiore, gli

fa eco due secoli dopo Massimo Mila: una

geografia dell'anima, una ricerca dei luoghi se-

greti del proprio essere.

Pensateci: la montagna è come la sapienza.

Anche la sapienza è una montagna da scalare.

Per raggiungere le cime occorre fare fatica. Ci si

deve spogliare di tutti i pesi superflui. Non solo

quelli fisici, ma anche quelli mentali. Non tollera

distrazioni. E quando ci si è spogliati di tutto ciò

che è possibile togliersi -senza morire di freddo

e senza precipitare, ovviamente - quando si è

soli di fronte a quella cosa che, comunque vada,

è sempre infinitamente più forte di noi, in quel

momento andremo vicini a sapere chi siamo. In

montagna, quanto più ci avviciniamo a quel li-

mite, le nostre emozioni, il nostro carattere, la

nostra intima natura vengono fuori da sole.

"Ho portato il mio Io sul punto più alto e lo lasciolassù, l'Io che voglio essere. Scendo con l'Io chesono", scrive Reinhold Messner.

La montagna è anche pericolo, come tanti inci-

denti si incaricano di ricordarci ogni domenica.

La nonna Pia, nel tentativo di dissuadere il papà

dalle sue imprese, tiene costantemente aggior-

nato e comunica incessantemente urbi et orbi

l'elenco degli incidenti in montagna compresi

quelli in Arabia Saudita. Fino ad ora non è riu-

scita a farlo desistere, e a questo punto dubito

che ci riuscirà mai, ma lei non demorde, e ogni

volta che parte per la montagna lo guarda sospi-

rando come se stesse partendo per la guerra.

Molti pensano che gli alpinisti siano dei pazzi

temerari che rischiano la pelle per divertimento,

ma non credo che sia così - almeno, conoscen-

done uno.

Il rischio non è qualcosa cui si va incontro per

spavalderia, ma al contrario, fa parte proprio di

quell'educazione alla responsabilità di cui la

montagna è maestra insuperabile. In montagna

non si può barare. Ogni alpinista cerca di avvi-

cinarsi, un giorno o l'altro, al limite del suo

essere, quel confine che le sue forze - fisiche

ma soprattutto morali - non gli consentono di

superare. Il bello dell'alpinismo è che ciascuno

ha il suo, non c'è bisogno di mettersi in compe-

tizione con nessuno, solo da fare silenzio e met-

tersi in ascolto della propria anima.

Già, il silenzio. Sentite questa: "Il mare in estatee l'alta montagna in inverno sono le due grandi

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prove dell'anima. Nel loro silenzio vi è una musi-ca più alta di ogni musica terrena. V'è un tor-mento delizioso nell'impossibilità di seguirla, diallargare il ritmo dei gesti e delle parole fino ache si ineriscano nel suo. Gli uomini non pos-sono mettersi al passo col respiro degli dei".Non l'ho scritto io, ma Robert Musil.

E non è stato certo il primo né sarà l'ultimo ad

accorgersi del legame stretto che lega la mon-

tagna e la musica.

L'altro giorno è venuto a trovarci Mario, un

amico di mamma e papà. Mario suona il violon-

cello, e gli piace portarlo a suonare proprio in

mezzo alle montagne, tra le rocce e i ghiacci. E

ha scritto pagine bellissime sul silenzio. Ad

esempio ha scritto che in montagna si va non

per ascoltare il silenzio, ma proprio per imparare

a fare silenzio. Per trovare il nostro silenzio, per

immaginare come possa essere il nostro io

senza il rumore che i nostri pensieri gli fanno

intorno.

��� ��� ���Ma poi all'alpinismo, quello grande, quello

sportivo, non è certamente estranea l'idea della

competizione, si intende. Anche gareggiare è un

gioco, e come ogni gioco che si rispetti ha le sue

regole, che vanno rispettate da tutti - e anche

questo è educazione, anche questo è crescere.

Per due secoli almeno, gli alpinisti si sono sfi-

dati: chi per primo sarebbe riuscito a salire su un

monte - l'epica battaglia tra Whymper e Carrel

per la conquista del Cervino; chi avrebbe trac-

ciato su una parete la linea più perfetta; chi

avrebbe superato una difficoltà più elevata; chi

riusciva a salire le grandi cime himalayane

senza ossigeno, senza portatori, senza spedi-

zioni, senza qualcos'altro, chi riusciva a scen-

dere con gli sci dalla parete più vertiginosa. Oggi

vanno di moda i velocisti -chi sale e scende per

primo, chi batte il record -, i concatenamenti.

L'alpinismo sportivo, si diceva, proprio per

questo, si è sempre dovuto misurare con la

necessità di stabilire il confine tra le pratiche

lecite e illecite, tra i mezzi leali e onesti e quelli

sleali e disonesti. Il bello è che non hanno anco-

ra smesso di litigare, anche perché ogni giorno

la tecnologia ne inventa una nuova. Kugy, per

dire, si rifiutava di piantare chiodi; Bonatti,

qualche decennio dopo, li usava ma rifiutava di

usare quelli "a pressione", che richiedono la per-

forazione artificiale della roccia. A distanza di 50

anni non si è ancora sopita la polemica su

Cesare Maestri, che salì il Cerro Torre con tra-

pano e compressore (vale? non vale?), ma in

compenso ci si divide su altre questioni: se sia

lecito calarsi dall'alto per attrezzare preventiva-

mente le vie, o se si possa farlo solo "dal basso".

Si discute di stili: "Rotpunkt", ad esempio, si-

gnifica che si deve salire usando solo gli appigli

e appoggi naturali, senza aver mai provato

prima, ma si può usare i chiodi per proteggersi

passandovi la corda. Un punto in meno se fai

"resting", ossia ti fermi un attimo a riposare

appendendoti al chiodo. Arrampicare è diventato

qualcosa di molto simile alla danza o al pattinag-

gio artistico, con tanto di giurie adibite a stabilire

l'eleganza e la fluidità dello stile.

Tutto questo ha forse tolto all'alpinismo un po' di

poesia e di epos. Certo, era più facile

emozionarsi per la conquista del K2 o per le

imprese di Bonatti, che per il fatto che Tizio ha

superato un passaggio valutato 10c+, quando il

limite precedente era 10b-; o Caio ha inaugurato

una nuova tendenza, arrampicando bendato o

con una mano legata dietro la schiena; o perché

Sempronio è salito e sceso dal Cervino impie-

gando qualche minuto in meno del recordman

precedente. La competizione, sempre più

esasperata, ha anche rovinato tante amicizie,

incrinato quella solidarietà che unisce chi è lega-

to alla stessa corda.

E anche l'alpinismo dei peones, come il mio

papà, oggi è ben lontano da quello dei tempi dei

pionieri. Le montagne sono sempre più assedi-

ate da strade, parcheggi, funivie. I percorsi di

scialpinismo, dove un tempo si avventuravano

pochissimi, oggi sono quasi sempre ben tracciati

e percorsi ogni domenica da decine o centinaia

di appassionati. I sentieri sono ben tenuti, e non

appena la frequentazione supera un piccolo

numero vengono muniti di assicurazioni. Sulle

vie più frequentate spesso le soste sono sostitu-

ite da pioli cementati. E che dire delle vie ferrate,

che permettono a cani e porci - si lamentano gli

alpinisti "veri" - di avventurarsi in luoghi altrimen-

ti riservati agli eletti. Non si va più a scalare

coperti di lana e con scarponi da 10 chili rigidi

come tavole, ma con capi tecnici leggerissimi e

iper-performanti. Perfino essere sorpresi da una

tempesta è più difficile, con il meteo che conta le

gocce di pioggia con giorni di anticipo. Ma la

montagna è così tanto più grande, per fortuna; e

non basteranno tutte le tecnologie del mondo

per vincerla e addomesticarla. Anche la solidari-

età tra gli uomini è dura a morire, e tra le rocce

e i ghiacci continua ad essere più forte che mai.

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Il papà parla spesso con ammirazione ericonoscenza dei volontari del soccorso alpino:gente che rischia la sua vita per andare a sal-vare quelle degli altri.E poi, comunque, l'alpinismo è uno sport fino aun certo punto. E' anche lo sport più noioso checi sia da guardare. In televisione non rende. Piùnoioso di una gara di maratona, dove almeno c'èla suspense di vedere chi arriverà primo. Peggiodel curling o delle bocce. L'alpinismo si deve perforza fare. Eventualmente lo si può leggere,come si leggono le avventure degli eroi e lemeditazioni dei filosofi. Non per niente, nessunaltro sport ha generato una simile quantità di let-teratura. Scriveva un alpinista austriaco,Gunther von Saar: “Chi si dà all'alpinismo con isoli muscoli si ritrarrà da esso dopo pochi anni.Chi è alpinista col cervello e col cuore sapràtrovarvi valori tutta la vita, tanto da giovanequanto da vecchio". Anzi, più tempo passa, piùimpara a sorridere di chi vive la montagna solocome sfida, competizione, ricerca del limite."Tornate sani, tornate amici, arrivate in cima: inquesto preciso ordine", ha detto qualcuno chenon mi ricordo. Il mio papà sottoscriverebbe inpieno.

��� ��� ���Oh beh, sapete che vi dico? Basta parlare diqueste cose. Mi è venuta voglia di andarci. Perfortuna, domani si parte, la neve ci aspetta.Papà da due settimane non parla d'altro e contai giorni che mancano. Anche io non vedo l'ora. Alritorno vi saprò dire se ho scoperto qualche altrosegreto.�

Giovanni Massarutto (2011) è discente di peda-gogia infantile e frequenta il primo anno dellaScuola Materna presso l'Istituto delle SuoreCalasanziane di Firenze. Nella sua ancorabreve ma già promettente carriera alpinistica hascalato numerose cime, sia camminando chesedendo più comoda-mente sullo "zaion",trasportato dal papà.In realtà questo testonon lo ha scritto lui,perché non è ancorapratico con la tastiera.Ma lo ha pensatointensamente, e ilpapà, che gli leggenel pensiero, lo hafedelmente trascritto.

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ACCADEVA 100 ANNI FADurante l’inverno soldati italiani e austriacivivono giorni, settimane, mesi sulle alte crodenelle insidie del gelo, della tormenta e dellearmi. Il capitano Sala scende con gli alpini ilripido canalone nevoso della Cima Undici perconquistare il Passo della Sentinella.L’austriaco Hosp, dal versante nord, apre unanuova via sulla Croda Rossa di Sesto, e iltenente Castagnero, con gli alpini Prinetti,Martini e Gardiol, sale sulla stessa cima dasud. Gino Carugati, Ugo di Vallepiana e A. Ormio,ufficiali alpini, compiono sulla est della Tofanadi Mezzo un’ardua variante, e Celli, con DeCarlo, a est sale una guglia che nominaTorrione Generale Cantore, il grande alpinocaduto eroicamente pochi giorni prima sullaforcella sottostante. Il tenente Gino Carugati,con tre alpini, di notte sale furtivo a conquistare il torrione ardito della Nemesis,nelle Tofane, occupato dagli austriaci. Oraquella cima si chiama Punta Carugati. Il tenente Ugo di Vallepiana, con l’apino eguida piemontese Gaspard e altri volontari delCadore, riesce a salire la Tofana di Roces perl’arduo camino che da allora, per l’azioneardita di guerra, è chiamato Camino degliAlpini. Alcuni ufficiali austriaci, durante lebrevi licenze dalla prima linea, non dimenticano la montagna, e in zone un po’lontane dalla guerra compiono nuove ascen-sioni. Amanshauser e Victoris aprono una viadiretta da sud est sulla Furchetta, e un’altrasulla Odla di Cisles e sul vicino Sass deMesdì. Ma nella prima linea, sulle crode diSesto, tra spari e bombardamenti si raggiungono cime per nuove vie. Lunelli salesulla Croda Rossa per la Torre Trento e poisulla Cima Undici per la Busa di Dentro convari alpini; Carugati monta sullavergine Torre di Falzarego, e iltenente Castagnero con alpini delbattaglione Fenestrelle raggiunge la Croda Rossa diSesto attraverso i Torrioni.Tali azioni eroiche sono statemirabilmente ricordate daAntonio Berti nei suoi libri di guerra. da Severino Casara. IL LIBRO D’ORO DELLE DOLOMITILonganesi & C. 1980. Pag. 53

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Concorso Internazionale per la ricostruzione delBIVACCO F.LLI FANTON alle Marmarole

Aproposito del Convegno Bivacchi e Rifugi-2 e della Mostra di tutti i progetti parteci-panti al Concorso Internazionale per la Ricostruzione del Bivacco F.lli Fanton alleMarmarole, devo purtroppo riferire quanto poco rispetto ci sia da parte dei proget-tisti nelle nuove costruzioni, sia riguardo i Bivacchi che i Rifugi, non solo nei con-

fronti dell'ambiente, nel rapporto tra tipologia edilizio-architettonica, di settore specialistico, delmanufatto e contesto, ma soprattutto rispetto alla questione dei minimi requisiti di efficienza ener-getica, la mancata propensione verso le risorse energetiche alternative, il risparmio energetico, lasostenibilità, non ultimi: l'adeguato orientamento, la giusta localizzazione, la valutazione delle tem-perature-escursioni termiche stagionali e giorno-notte, la direzione predominate naturale dei venti,le precipitazioni nevose - fino a trattare il sistema probabile delle valanghe, ora ci saranno anchele nuove carte CLPV (Carte di Localizzazione Probabile delle Valanghe) con la legge regionaleFVG n. 34 del 1988.Diverse le scuole di pensiero per cui il bivacco o il rifugio, ma soprattutto i bivacchi, devono essereun Landmark… o un oggetto mimetizzato... molte volte un bivacco o rifugio viene concepito comeriferimento spaziale o topo-geografico... tramite l'uso della forma e del colore… è un riferimentoper l'orientamento... la sua visibilità a distanza, la sua riconoscibilità-individuazione in condizionimeteorologiche difficili. Tanto per citare il Bivacco sul Grintovec in Slovenia - progettato dall'arch.Miha Kajzelj - doveva essere facilmente individuato e raggiunto, pena una sorte tragica, come èsuccesso, per molti alpinisti rimasti nella bufera e nel disorientamento. Poi io credo non si debbaneppure esagerare con assurde elucubrazioni filosofico-concettuali! Un bivacco da lontano nonviene neppure percepito, se non nelle sue prossimità. Tutto ciò non significa assolutamente infierire sul territorio montano-alpino che deve rimanere il piùpossibile intonso. Anch'io sono del parere che bisogna soprattutto ristrutturare-manutenere quelliesistenti, piuttosto che erigerne di nuovi. Quello che mi preme dire, e che è un risultato costante del pensiero attuale e delle richieste dellamaggioranza dei "nuovi alpinisti-avventori-globali", è che le strutture di supporto e di appoggiodella montagna, soprattutto i rifugi - in quanto il bivacco è già di per sé più dedicato e frequentatoda seri e veri alpinisti - sono viste dalla maggioranza del turismo montano non più come sponda opunto di partenza per un'ulteriore escursione-salita, ma come meta o punto d'arrivo.I Rifugi non devono essere degli Alberghi o delle SPA in alta quota e soprattutto non sono per tutti.Spesso si vedono persone con attrezzature inadeguate e in condizioni di salute precaria, raggiun-gere le alte quote e i loro rifugi e non solo, per poi avere dei grossi problemi, sino a innescare unsistema di soccorso costoso, magari in elicottero.Andare in montagna inoltre significa averne cura, rispettare la fauna e la flora, avere rispetto perle essenze protette e per lo specifico biotopo, caratterizzato dal suo silenzio "assordante", significanon creare discariche a cielo aperto a dispersione casuale e indifferenziata.

Premesso quanto sopra si è venuti a trattare sul perché della mia scelta-decisione di proporre unConvegno e la relativa esposizione-mostra di tutti i progetti partecipanti al Concorso Internazionaleper la ricostruzione del bivacco F.lli Fanton alle Marmarole di Auronzo di Cadore.Già nel precedente Convegno del 2013, dedicato ai Rifugi alpini-ieri e oggi - "Un percorso storicotra architettura-cultura e ambiente" che trattava di tutti i rifugi censiti e catalogati di tutto l'arcoalpino, in particolare nella splendida esposizione-relazione dell'arch. Luca Gibello, con l'ausilio inMostra di tutti i totem espositivi immagino-didascalici prodotti dall'Associazione "Cantieri d'altaquota" di Biella - le motivazioni prevalenti dei curatori e mie, in sintesi, erano quello di dare unsenso preciso ai Convegni di questo tipo, che mi piace definire specialistici, che non sono solodelle presentazioni impersonali-asettiche di conoscenze, o al contrario faziosità di parte, con l'e-

30 QVOTA 864 � GIUGNO 2016

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sposizione di belle tesi o di qualificate e dense relazioni, ma soprattutto vogliono e devono essere,un momento di confronto critico e di comunicazione specialistica, che non deve restare di solacompetenza degli addetti ai lavori. Significa fermarsi per confrontarsi con politici locali-progettisti-ambientalisti, con i referenti del set-tore specifico turistico-montano locale, con gli addetti ai lavori e non solo, con gli alpinisti o gliamanti della montagna in genere, per raccogliere le critiche, analizzare gli interventi che nonhanno risolto e risposto in modo adeguato alle aspettative e come stimolatore di idee per un nuovomodo di concepire e rispettare la natura, nel rispetto della tradizione consolidata, progettando inarmonia e sostenibilità. Ecco il senso dell'evento, il confronto, il mettersi in discussione, accettare la possibilità al miglio-ramento e all'apprendimento, informati certamente anche dalle nuove tendenze, nuovi indirizzi,nuove idee, ma senza dimenticare il passato e tutto quello di valido e giusto prodotto nella logicastratificazione antropico-costruttiva, nell' "aureo" rapporto forma-funzione che l'architettura spon-tanea, non progettata ci continua ad informare e a stupire.

Preciso che il mio intento nell'organizzare il Convegno ed in concerto allestire una Mostra con tuttii progetti partecipanti al Concorso internazionale per la Ricostruzione del Bivacco F.lli Fanton alleMarmarole di Auronzo di Cadore, era quello di presentare una galleria così numerosa di progettisti,ben 275, che per due tavole per progetto, avevano prodotto ben 550 tavole di progetto, in formatoA1. Quello che mi affascinava era che trattavano lo stesso tema, che avevano come sky-line lostesso paesaggio, dove nelle diversità dei loro rendering persistevano e presenziavano sempre glistessi spuntoni-speroni di roccia, dolomitici, tipici delle Marmarole. Tutta questa superba progettualità distribuita sui due piani del Palazzo Veneziano di Malborghetto(UD) - presenze utopiche, quanto significanti - si poneva indifferente e sullo stesso piano di chi loaveva di fatto vinto, anzi a volte e spesso metteva persino in dubbio la decisione della commis-sione giudicatrice, che di certo non invidio. Per me di certo tutti avevano vinto e tutti erano degni di invito e di presentazione, tra l'altro in unarassegna collettiva sicuramente atipica ed unica, come quella da me proposta, al di là della clas-sifica. Il mio interesse culturale e professionale è quello di sottolineare il trasferimento: "pensiero-mente"in "segno-disegno", ognuno con la propria intelligenza, la propria visione del mondo, con le propriecompetenze, esperienze. Inoltre, grazie a loro ho potuto approfittare per parlare del mio territorio montano carnico-giuliano.

Concludo questo mio redazionale con una nota forse curiosa, forse edonistico-narcisita: tutte letavole di progetto sono state da me installate, da solo, una ad una - soprattutto per rispetto degliautori e per prendere meglio visione del livello e della qualità progettuale. Non ho voluto di propo-sito nessun collaboratore-coadiuvante vicino, che mi avrebbe fatto perderela "lettura poetico-tecnica" del progetto. Per dare una paternità e un senso alle scelte progettuali esposte abbiamo voluto, inoltre, eviden-ziare l'autore o l'autrice di ogni progetto, inserendo ad ognuno un abstract didascalico a sintetiz-zare il Concept base di ogni proposta progettuale, stralciata dalle Relazioni illustrative - 275didascalie personalizzate.

Spero abbiate capito con quanta passione e determinazione mi sono mosso nel rispetto di tutti co-loro che hanno partecipato al Concorso di Auronzo, spiegando o azzardandomi a spiegare-interpretare, durante il Convegno, anche il perché della massiccia partecipazione e del "Monte-ore"-"Monte-lavoro" prodotto da tutti i partecipanti che si può attestare oltre il mezzo milione, sinoa raggiungere, quasi il milione di euro! Nel trattare il tema dell'architettura specialistica d'altaquota, in particolare i Bivacchi, usufruendo del meraviglioso materiale del Concorso di cui voi sietei vincitori, posso affermare che mi sono enormemente "arricchito".

Arch. Ermes Ivo Buzzi organizzatore-promotore-produttore e curatore dell'evento

CONCORSO INTERNAZIONALE PER LA RICOSTRUZIONE DEL BIVACCO F.LLI FANTON ALLE MARMAROLE � 31

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C ’era una casera ai piedi delle

Lavaredo poco più sotto di Forcella

Col di Mezzo nella Grava Longa,(1)

“una misera capanna per le

pecore”.(2) Di lì passò Paul Grohmann negli anni

sessanta dell’Ottocento durante le sue escur-

sioni sulle Dolomiti.(3)

Lì hanno sostato generazioni di alpinisti.

Sospingevi con mano tremante la porta ormai

fragile e cigolante e ti veniva incontro, insieme

ad un forte odore - un misto di umidità e di sterco

di mucca - l’odore forse di un tempo irrimediabil-

mente perduto, tutta la storia di queste pareti.

Quante sere, col sole dardeggiante al tramonto,

ci siamo dati appuntamento all’ombra dei suoi

muri fatiscenti.

Se avevi fortuna potevi vedere passare Cassin,

potevi stringere la sua forte mano.

Nella piccola radura ai piedi di una collinetta

oggi c’è solo un cumulo di pietre, ben ordinate.

La casera è stata demolita.

“Buona sera, dottor Grohmann”.Nulla sembra cambiato da quella lontana sera

del 1869. Lo stesso sole e quella leggera brezza

che sale su dal Landro.

UNA CASUPOLA DI PASTORIHanno cancellato una pagina di storiadi Glauco Granatelli. G.I.S.M.

Quanto detto nelle pagine precedenti mi ha portato con la mente ad un vecchio discorso del febbraio 2008quando di questo mio pensiero volli renderne partecipe il Sindaco di Dobbiaco. Se la montagna la vivi non solo perché è l’occasione per trascorrere all’aria aperta una bella giornata di sole,allora, col trascorrere degli anni, alcuni luoghi diventano parte di stesso. Ci torni sempre, ci ritorni e sempre sirinnova in te una grande gioia. Poi, un bel giorno...

Risveglio

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Anche domani ci sarà il sole, come allora.

Statura media, lo sguardo dolce, dolce il sorriso

segnato da un forte baffo.

L’occhio accarezza la cima che fu lo spartiacque

tra due età: il prima e il poi dell’alpinismo

dolomitico.

Negli anni in cui David Livingstone esplorava il

sistema fluviale dello Zambesi, Paul Grohmann

aveva poco più di vent’anni. La sua fu una breve

stagione alpinistica conclusa con una “prima”

che avrebbe consegnato il suo nome ai secoli a

venire.

Di poco preceduto dall’inglese John Ball, il gio-

vane Paul, cui non mancavano i quattrini e il

tempo per spenderli, aveva lasciato Vienna,

dove era nato, per andare alla “scoperta” delle

montagne. Un mondo tutto da studiare e da

esplorare. E per un decennio circa aveva alter-

nato alle salite sulle Alpi austriache la folgorante

visione delle Dolomiti.

“La mia vera stagione alpina furono gli anniSessanta e i primi dei Settanta del secolo pas-sato. In quel tempo percorsi con instancabileassiduità il regno delle Dolomiti, valicai moltipassi, scoprii non pochi luoghi panoramici pococonosciuti, per non dire apprezzati, e salii unaserie considerevole di quelle selvagge altecime”.Nell’estate del 1869 si apprestava a salire la

“Grande” di Lavaredo.

Lasciati i cavalli a valle il giovane Paul si accom-

pagnava ad una comitiva allegra e chiassosa.

Alla malga di Rimbianco era atteso da Franz

Innerkofler e Peter Salcher, due abili cacciatori

di camosci, perfetti conoscitori di quelle mon-

tagne.

Aveva scelto di trascorrere in alto la notte prima

della salita, ma voleva una certa comodità, evi-

Tre Cime. Grava Longa. Casupola di pastori

UNA CASUPOLA DI PASTORI � 33

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tando “la misera capanna per le pecore” in

Lavaredo. Lassù c’è appena lo spazio per di-

stendersi, mentre nella grande casera di

Rimbianco si trova ottimo fieno, del latte, ed

inoltre la buona compagnia dei pastori, molto

ospitali”.(4)

Mangiano e bevono latte. Discute animatamente

con i suoi commensali increduli. E’ deciso.

Domani salirà in vetta alla motangna che li

sovrasta. Qualcuno non comprende tanta

caparbietà, scuote il capo e va via. Grohmann

non batte ciglio. Contro ogni difficoltà sarà lui il

primo a mettere il piede su quella cima.

La grande parete sud giganteggia nella notte

stellata. Vorrei abbracciarlo, ma invano. La sua

presenza tra noi è una presenza mistica.

Il Gruppo nel frattempo si è fatto più numeroso.

“Parlami di quella salita, dottore”. La ricerca

della vetta. Questo era il suo unico desiderio.

E con la vetta le emozioni e le mille vibrazioni

dell’essere.

“Ricordo che ci stringemmo forte le mani”. Era il

21 maggio 1869, un gesto rituale che noi tutti

abbiamo ripetuto le tante volte delle tante salite.

Poi Grohmann compì alcuni rilievi di carattere

scientifico al fine di stabilire quanto fosse alta la

montagna. Nella radura il silenzio si è fatto

ancora più profondo, come la notte.

Vorrei invitare i miei ospiti ad entrare, ma il tetto

che fu “nostro” per anni, non c’è più. C’è un’aria

di tristezza sui volti diafani, nei nostri sguardi

smarriti. Addio Anna Ploner, addio Mary Varale -

prime donne delle Lavaredo. Addio Emilio, il tuo

sorriso ha stregato i nostri sogni di irriducibili

romantici. Addio. Oggi ci siamo riuniti sotto la

“Grande” Nord per ricordare: qui, al cospetto di

queste pareti dove solo è possibile udire la voce

degli spiriti della montagna. �

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(1) “Si scende per 1/4 d’ora per la mulattiera di Landro, poi si sale verso SO per mulattiera (segn. 105) mal trac-ciata su terreno roccioso, tutto sparso di massi e sfasciumi fin sotto la Cima Ovest e il Sasso di Landro (piccolamalga in muratura)”. A. Berti - Guida dei Monti d’Italia “Le Dolomiti Orientali ed. 1973”, Vol. I Parte 2a, pag. 161.(2) P. Grohmann - “La scoperta delle Dolomiti 1862”.

Nuovi Sentieri Editore 1982, pag. 123.(3) “(...) l’altipiano che si stende alla base delle Tre Cime: è la Grava Lunga di Dobbiaco. Più lungo in quanto nonsempre lo stretto sentiero traversa la Grava deserta, incontrando ad un tratto, improvvisamente, una piccolamalga situata proprio sotto le muraglie perpendicolari delle Tre Cime”. Ibidem, pag. 33.(4) Ibidem, pag. 123

* Antonio Sanmarchi - “Le Cime di Lavaredo nel centenario della prima

ascensione 1869-1969”

Arti Grafiche Tamari 1969,

“La Casera del Comune di Dobbiaco nella Grava Lunga, davanti alle paretiNord. Di qui passò Grohmann nel corso delle sue ricognizioni”.Tavola fuori testo�* Italo Zandonella Callegher - “Alta via delle Dolomiti n.4 da San Candido in Pusteria a Pieve di Cadore”

“Dalla zona delle sorgenti (si riferisce alle sorgenti della Rienza) si prosegue a sinistra per risalire il margine tor-mentato della Grava Longa. Attraversato un pianoro verso sud ovest e passati alcuni laghetti e una casupola dipastori...”. Amministrazione Provinciale di Belluno 2003

Quello che rimane della storica piccola malga in muratura foto g.g.

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C osì Emil Zsigmondy la descrive nel-

l'agosto 1881, in discesa dopo

averne calcato la vetta: "Ci voltiamoa guardare la Punta dei Tre Scarpèri

e ammutoliti dall'entusiasmante spettacolo so-stiamo distesi sulle ghiaie e in silenzio ammiri-amo. La cima si è avvolta in una leggera ediafana cappa di nebbia e dall'altra parte, sopraCima Undici, si erge un appuntito cono di nu-vole. Anche il sole frattanto deve essere tramon-tato, perché improvvisamente vediamo CimaUndici avvampare come in una furiosa fiamma-ta, mentre le crode più alte s'illuminano di colorrosso vivo e anche le sovrastanti nuvolefiammeggiano delle stesso colore. Tra l'una el'altra guglia della Punta dei Tre Scarpèrierompono raggi di luce, così che il monteappare incoronato da un'aureola di raggi del piùdolce rosso rosato, che si allargano via via lon-tano dalla vetta, formando una vaporosa coronasu un capo regale".Passano 125 anni e la descrizione di AntonellaFornari, parlando dei "Tre Scarpèri", tradisce lastessa identica emozione: "Un capriccio disogni, un alternarsi di altere pareti ed elegantitorri, un aristocratico susseguirsi di scoglieredorate dal sole, dove le nuvole si soffermano percarpirne i segreti".

��� ��� ���È una delle montagne più nobili delle Alpi, dal-l'aspetto assolutamente regale, la cima più altae affascinante delle Dolomiti di Sèsto/SextenerDolomiten. Nomi leggendari ne hanno calcato lasommità: Grohmann, Innerkofler, Schmitt,Zsigmondy, Purtscheller, Winkler, Witzenmann,Löschner, von Glanvell, von Saar, Sinigaglia,Còmici. Tutti ne hanno tratto sensazioni edemozioni assolutamente straordinarie e uniche,un "senso di vetta e di vera montagna" cheancora oggi appare immutato nel tempo, grazieanche a un alone di misterioso isolamento checirconda e protegge i suoi versanti. La viacomune di salita, pur non essendo particolar-mente difficile, si svolge in ambiente grandioso esevero, assai lontano da sentieri o rifugi, e di-stante anni luce dalle "normali" addomesticatedi numerose cime dolomitiche. I suoi fianchi e lesue pareti sono pochissimo frequentate e le cor-

date che salgono in vetta si contano sulle puntedi una mano nel corso di un'intera stagione esti-va. Il lungo approccio, l'asprezza della mon-tagna, l'isolamento, la roccia non sempre buona,le difficoltà di orientamento, i pericoli oggettivi, lapossibilità di un repentino cambiamento ditempo che può creare non pochi problemi e, nonultima, la discontinuità della scalata vera e pro-pria fan sì che i pretendenti alla cima debbanoessere veramente motivati, consci che solosommando alcune variabili favorevoli sarà loropossibile entrare nella "sala del trono" e arrivarein cima a "der Schuster".Curiosa l'etimologia: il nome "Tre Scarpèri" sirifà a un'antica leggenda che risale agli inizi del1500, in cui si racconta di una famiglia di ciabat-tini di Sèsto/Sexten. L'arte di produrre calzaturerinomate si era tramandata, in questa famiglia,di generazione in generazione nel corso dei se-coli, talché il nome della stessa divenne appunto"Schuster", ossia "Calzolaio". La famigliaSchuster solo d'inverno abitava a Sèsto, mentred'estate risaliva la Val Campo di Dentro: nellaloro solitaria capanna, al margine del bosco, gliSchuster conciavano in segreto le pelli di ani-mali selvatici (in particolare camosci), per poiricavarne suole e tomaie per calzari. La leggenda narra di un "paio di scarpe dariposo" commissionate dai fratelli Kaspar eChristoph Herbst (la cui tomba si trova ancoraoggi presso la chiesa parrocchiale diDobbiaco/Toblach) alla famiglia Schuster, al finedi farne dono al loro sovrano e imperatoreMassimiliano I d'Asburgo. Per far ciò gliSchuster (il capofamiglia e due figli) decisero diavventurarsi sulla cima più alta che incombevasulla loro capanna, allo scopo di cercare euccidere un superbo camoscio capobranco, cheera stato visto aggirarsi proprio sotto le pendicisommitali e dal cui splendido vello marronescuro erano intenzionati a ricavare i preziosicalzari per l'imperatore. Il re-camoscio venneabbattuto, l'imperatore ebbe in dono dai fratelliHerbst un paio di magnifiche scarpe e i tre pro-tagonisti della famiglia Schuster vennero"incoronati" a futura memoria sulla più alta vettadella Val Campo di Dentro, che ancora oggiporta il loro nome: "Drei Schuster", ossia i "Tre

PUNTA DEI TRE SCARPERI. DREISCHUSTERSPITZE m 3145Una via comune d'altri tempidi Fabio Cammelli, CAI Vipiteno. G.I.S.M.

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Scarpèri". Dopo ripetuti tentativi di conquista, la cimavenne raggiunta la prima volta il 18 luglio 1869dall'alpinista viennese Paul Grohmann, che necalcò la sommità con le guide alpine FranzInnerkofler di Sèsto e Peter Salcher di Luggau.

��� ��� ���Accesso al Rifugio Tre Scarpèri dalla Val Campo di DentroTra le vie comuni alle principali e più famose cime delleDolomiti, questa è senz'altro una delle più meritevoli e inte-ressanti, non fosse altro che per quel senso di solitudine e dilibertà che accompagna l'alpinista, passo dopo passo, versouna meta che ha mantenuto miracolosamente nel tempo lasua intatta e selvaggia bellezza.La Val Campo di Dentro/Innerfeldtal è percorsa da unastretta ma comoda rotabile asfaltata che si stacca alKm 122,500 della SS 52 Carnica (c. 3.4 Km dallaCollegiata di San Càndido). Volgendo a Sud, la stradaattraversa dapprima le belle radure prative di fon-dovalle e poi sale in mezzo al bosco con alcuni tornan-ti sino a raggiungere, dopo c. 4 Km, un ampioparcheggio(1) in località Antoniusstein 1509 m.Da Antoniusstein si prosegue a piedi lungo una como-da e larga strada asfaltata (chiusa al transito automo-bilistico da una sbarra metallica) che sale nel boscocon quattro larghi tornanti, sul fianco destro orograficodella valle (segn. 105). All'altezza del quarto tornante,lasciata alla propria sinistra la diramazione per i MontiCasella di Fuori/Außergsell 2007 m e Casella diDentro/Innergsell 2065 m (tabella), si continua adestra verso la testata della valle. Poco più avanti lastrada diventa sterrata, prosegue al margine di unimmenso ghiaione, costeggia in piano un grande pratorecintato e arriva in breve al rifugio (c. 25 minuti).Rifugio Tre Scarpèri/Dreischusterhütte 1626 m60 posti letto (tel. 0474 966610,cell. 340 7698342); E-mail: [email protected] Internet: www.drei-schuster-huette.com(1) Nel corso della stagione estiva, dai primi di luglio alla fine di agosto, l'accesso a questo parcheggio è regolamentato se-condo le seguenti fasce orarie: accesso libero prima delle ore9 e dopo le ore 18; dalle ore 9 alle ore 10 e dalle ore 16 alleore 18 l'accesso è consentito solamente nei 5 minuti chevanno dal 10° al 15° minuto di ogni ora e dal 40° al 45° minutodi ogni ora; dalle ore 9 alle ore 18 è attivo un servizio di bus-navetta che fa la spola dal fondovalle ad Antoniusstein, conuna fermata intermedia al parcheggio in località Gweng 1350m; per il ritorno in fondovalle valgono le stesse limitazioniorarie, con discesa consentita solamente nei 5 minuti chevanno dal 25° al 30° minuto di ogni ora e dal 55° al 60° minutodi ogni ora.

���Accesso alla Forcella dei Sassi/Steinalpenscharte attraversoil Cadìn dei SassiDislivello in salita: c. 1055 m - Tempo complessivo: c. 3 ore Segnavia: evidenti tracce di passaggio, qualche ometto, rari esbiaditi bolli rossiAcqua: la si trova all'altezza di un ruscello che si attraversaintorno a quota 1795 m e, pi˘ saltuariamente, come acqua di scolodai nevai che residuano poco sotto la forcella.Difficoltà: EE

Subito dietro il rifugio, all'altezza di uno stenditoio, hainizio un vecchio sentiero di guerra (recentemente ria-dattato e ripulito; nessuna indicazione in loco), chesale dapprima in mezzo al bosco e poi lungo un ampiopendio di mughi, sino a portarsi al margine di unagrande colata detritica, intorno a quota 1770 m (postodi vedetta austriaco), presso lo sbocco della sopra-stante Lavina dei Scarpèri/Schusterlahn. Su traccia di sentiero si volge a Nord e si attraversa amezzacosta questa grande colata sassosa (qualcheometto), in modo da aggirare la base dello speroneroccioso nord-occidentale della Punta dei TreScarpèri. Passati sotto un caratteristico spuntone diroccia giallastra, si scende di c. 20 m per entrare all'in-terno di un largo canalone sassoso: lo si risale tenen-dosi ai piedi delle rocce, per poi scendere nuovamentea causa di un grande smottamento del terreno. Persic. 20 m e guadato un ruscello (intorno a quota 1795m), si sale in traversata su fondo franoso per c. 30 m,in modo da rintracciare un vecchio sentiero di guerrache s'inerpica lungo un ripido pendio di mughi. Allasua sommità si arriva all'altezza di un grande e carat-teristico roccione isolato, posto circa a quota 2020 m(possibilità di eventuale riparo): lo si aggira a destrasino a sormontarlo, uscendo così al di sopra dellavegetazione baranciosa, al cospetto dello splendido eselvaggio anfiteatro del Cadìn dei Sassi/Steinalpenkar,fortemente rinserrato tra la Punta dei Tre Scarpèri, iCampanili dei Sassi/Steinalpentürme 2490-2521-2575m e le Cime di Sèsto/Gsellknoten 2773-2870 m. Su lungo il soprastante anfiteatro, obliquando legger-mente verso sinistra, in modo da prendere un ghiaionemacchiato d'erba: lo si risale sino a raggiungere laconca morenica sommitale, posta circa a quota 2190m, sotto la Forcella dei Sassi. A questo punto il vallone s'impenna e diventa assai piùripido: una buona traccia di sentiero (ometti)guadagna faticosamente dislivello lungo il soprastantecanalone ghiaioso, si appoggia in alto presso lo zocco-lo roccioso di destra (neve residua all'inizio di sta-gione) e traversa in salita verso sinistra, uscendo diret-tamente alla Forcella dei Sassi 2678 m (c. 3 ore).

PUNTA DEI TRE SCARPERI � 37

Forcella dei Sassi verso la Forcella Giralba e la Croda dei Tóni

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In prossimità della forcella, ben visibile sulla parete di unospuntone roccioso della Punta dei Tre Scarpèri, si trova unatarga in memoria di Ernst Först (1928-1975). L'ambienteincute soggezione e il panorama è grandioso, con splendidiscorci sulla Croda Rossa di Sèsto/Sextener Rotwand, sullaCima Undici/Elfer, sulla Croda dei Tóni/Zwölferkofel, sullePunte Sassovecchio/Altensteinspitzen e sulla CimaUna/Einser. Non a caso Luca Visentini, profondo conoscitoredelle Dolomiti e autore di impareggiabili guide escursioni-stiche, così commenta a riguardo: "È uno dei luoghi più belli esolitari delle Dolomiti di Sèsto. La traversata della Forcella deiSassi rappresenta una delle migliori escursioni di tutte le Alpi".

���

Salita dalla Forcella dei Sassi alla Punta dei Tre Scarpèri

Dislivello in salita: cc. 470 mTempo complessivo: c. 3 ore Segnavia: evidenti tracce di passaggio e alcuni ometti di sassisulla cengia che porta all'attacco della via; ometti, tracce e rari bollirossi (coperti con vernice grigia) lungo la via vera e propria Acqua: assenteDifficoltà: F+/PD- Itinerario alpinistico su roccia (1° e 2°, con alcuni brevipassaggi di 3° lungo i canali sommitali); anche se il li-vello tecnico dell'ascensione risulta modesto, la valu-tazione d'insieme (che tiene conto sia del livello tecni-co che dell'impegno globale e psicologico) è tale darendere la salita più impegnativa di quanto le difficoltànon facciano supporre: da qui la necessità di non sot-tovalutare assolutamente questa via comune che, adifferenza di altre, richiede un'esperienza alpinisticapiù che consolidata. L'ambiente in cui si svolge l'ascensione appareoltremodo grandioso e severo: la lunghezza della viadal fondovalle e la natura del terreno consigliano d'in-traprendere la salita esclusivamente con condizioni ditempo più che sicure (soprattutto in assenza di nebbiao nuvole basse).

Accesso alla parete

Dalla forcella, tenendosi sul versante della ValFiscalina, si prende una traccia di sentiero ben evi-dente che volge in quota in direzione Sud-Ovest, pas-sando sotto uno spuntone di roccia giallastra. Con leg-geri saliscendi, assecondando le pieghe del terreno(ometti), si attraversano a mezzacosta le ripide pendiciantistanti, che precipitano a loro volta verso il grandeanfiteatro della Lavina Bianca/Weißlahn. Giunti intornoa quota 2635 m, si oltrepassa un largo canalone roc-cioso (che sale a formare un'orrida e altissima gola, untempo ghiacciata) e si accede a un'ampia terrazzainclinata e detritica. Facendo molta attenzione alletracce di passaggio e soprattutto agli ometti direzio-nali, si risalgono alcuni facili gradoni sporchi di detriti esi arriva in breve all'attacco della via comune, sotto unsalto di roccia nerastra, a quota 2660 m circa (ometto;targa in memoria di Sepp Walder), lungo il bordodestro orografico della grande gola di cui sopra e al

margine destro dell'ampia terrazza su cui poggia laparete vera e propria (c. 30 minuti).Relazione della via comune

Dall'attacco si sale per facili gradoni ben appigliati,tenendosi dapprima a destra e poi a sinistra rispetto aun'alta fessura-canale: raggiunto un terrazzino sas-soso con ometto (cordini e moschettone per eventualecorda doppia), si obliqua in salita verso destra e si rag-giunge una forcellina rocciosa (ometto; sosta su ter-razzino; c. 40 m; 1° e 2°). Da qui si prosegue obliquan-do dapprima leggermente a sinistra e poi a destra,sino a portarsi su una cengetta ghiaiosa con ometti,intorno a quota 2740 m (c. 35 m; 1°). Si può procedereora in conserva: l'itinerario sale in obliquo a sinistra,poi volge in diagonale a destra, così da entrare in unaspecie di canale roccioso (1°), che a sua volta con-duce a una soprastante cengetta, posta a quota 2795m circa. Da qui si piega leggermente di nuovo a destrasu cengetta, sino a portarsi sotto una parete gradinatadi rocce grigiastre (ometto): la si risale con percorsoabbastanza logico e intuitivo (1°), facendo tuttaviaattenzione ai numerosi e ben posizionati omettidirezionali - preziose, in questo tratto, anche alcunebarriere di sassi che evitano di uscire dalla via e"perdersi" in parete. Con piacevole arrampicata si salesu roccia a gradoni ben appigliata (1°): giunti su unanuova cengetta, la si segue verso destra per c. 100 m(ometti), sino a entrare in un canalino ghiaioso, intornoa quota 2845 m (freccia rossa coperta con vernice gri-gia). Questo canalino ghiaioso, piegando a sinistra,conduce sul dorso di un crinale detritico (ometto disassi): lo si segue dapprima direttamente verso l'alto epoi obliquando a destra (ometti), così da portarsi all'al-tezza di un evidente canale roccioso, delimitato allapropria destra da un torrione giallastro. Senza entrareall'interno di questo canale (neve resi-dua sino a sta-gione inoltrata), ci si tiene sui gradoni grigio-nerastrialla sua sinistra: obliquando su rocce rotte, si continualungo un'evidente traccia di sentiero che sale versol'alto (ometti). Seguendo questa traccia e traversandodapprima a destra e poi a sinistra, si raggiunge uncaratteristico canale roccioso, su cui incombe unabella torre giallastra.Da qui, guardando verso l'alto, appare la corona som-mitale della Punta dei Tre Scarpèri, formata danumerosi torrioni tra i quali non appare facile individ-uare la cima principale; questa risulta spostata subitoa destra della torre giallastra di cui sopra e appare benriconoscibile per la presenza di due tetti spioventimolto caratteristici, il primo che si staglia contro il cielosulla cresta sommitale e il secondo situato più inbasso e alla sua destra.Entrati in questo canale roccioso, lo si percorre per unbreve tratto sino a quando, poco più a monte, lo stessosi biforca: trascurata la diramazione di sinistra (appa-rentemente più facile), ci si porta ai piedi del canale didestra, intorno a quota 3040 m. Le difficoltà ora si accentuano in modo significativo,per cui la progressione deve avvenire secondo lo

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schema classico, con tiri di corda in assicurazione,soste e rinvii. Si sale all'interno di questo canale surocce di 2°, incontrando cordini per calate in cordadoppia e superando in alto un breve passaggio piùesposto e verticale di 3° (tiro di c. 40 m; sosta su duechiodi e cordino). Da qui il soprastante canale, con lesue pareti giallastre, appare a prima vista inaccessi-bile: su per altri c. 20 m con difficoltà di 2° e 3° (sostasu un terrazzino a destra dell'uscita del canale; chiodie cordino). Dopo queste due lunghezze di corda si puòproseguire per un breve tratto ancora in conserva inun largo canale svasato, dapprima detritico e poi surocce gradinate, sino a portarsi sotto una caratteristicatorre giallastra, a destra di un enorme tetto situatosotto la cresta sommitale. Giunti ai piedi di questo tor-rione di roccia giallastra, lo si aggira a sinistra e si saleall'interno di un canale roccioso, facendo sosta su unterrazzino (chiodo e fettuccia rossa). Da qui, anzichéproseguire direttamente nel canale soprastante, siobliqua a sinistra e si entra in un canale centrale(posto tra quello sopra la sosta e un canale-caminosituato sotto il tetto alla propria sinistra): su in bellaarrampicata lungo questo canale centrale, salendo surocce esposte ma ben appigliate, sino ad uscire dallaparete in corrispondenza di un intaglio della crestasommitale (tiro di c. 30 m; 2° e 3°). Da questo intaglio,volgendo a sinistra per facili gradoni di rocce rotte, siarriva in breve alla croce di ferro posta in cima (libro divetta; c. 2.30 ore).�

Variante di attaccoDal punto di attacco situato intorno a quota 2660 m, tenendosisempre pressoché addossati alle rocce della parete princi-pale, si continua in salita per un'altra decina di metri (tracce dipassaggio). Qui, alla base della parete, si trova un ometto disassi: piegando leggermente a destra in un canalino detriticoalto c. 20 m, si arriva a un terrazzino subito sotto un salto diroccia bianco-nerastra, intorno a quota 2680 m (ometto). Sulungo questo salto, dapprima verticalmente e poi obliquandoin salita a destra (cordino per eventuale discesa in cordadoppia). Superato un tratto friabile di roccia bianco-giallastra(frana), si obliqua ancora verso destra e si raggiunge un'evi-dente e soprastante forcellina (c. 50 m; 1° e 2°; ometto disassi; sosta su terrazzino), dove s'incrocia il tracciato della viacomune (al termine del primo tiro di corda).

Note per la discesaAvviene seguendo a ritroso la via di salita. Sulla cresta sommitale, poco distante dalla cima, si trova unospit con cordino da cui è possibile calarsi in corda doppia perc. 25 m, in modo da arrivare all'altezza di un chiodo con fet-tuccia rossa. Da qui una seconda discesa in doppia, di c. 20m, deposita all'interno di un canalino ghiaioso, dove s'incontrauna traccia di sentiero. Giù lungo lo stesso sino a portarsisopra un nuovo ripido canale roccioso (percorso già in salita):direttamente in arrampicata (o ancora meglio in corda doppia,su cordini in loco), si scende lungo questo canale, sino a rag-giungere la parte più facile e inclinata della parete. Facendoattenzione a non perdere gli ometti direzionali e le tracce dipassaggio, si perde via via quota sino a tornare all'attaccodella via e all'ampia terrazza detritica basale da cui, volgendoa sinistra, si traversa con modesti saliscendi alla Forcella dei

Sassi.

PUNTA DEI TRE SCARPERI � 39

Dalla cima della Punta dei Tre Scarpèri, guardando l’altopiano delle Tre Cime di Lavaredo foto Fabio Cammelli

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S e dovessi optare per un'attività parti-

colare degli anni giovanili indicherei i

campeggi estivi in montagna, sul-

l'Appennino, ma in special modo

quelli sulle Dolomiti che compaiono sempre arimorchio costante di qualsiasi altro ricordo.Furono delle parabole esemplari, storia o avven-tura che fossero, nei quali si sperimentò lacomunità ma anche il silenzio, il fuoco espressi-vo delle crode ma anche l'energia formante dellospirito, gli itinerari per sentieri scoscesi maanche i percorsi di interrogazione sulla fede e diascesa spirituale. Quello che non bisogna dimenticare è che tuttoquesto avvenne in un entusiasmo dilagante e inun'allegria contagiosa con la stessa spontaneitàcon cui si muove dall' inquietudine alla speran-za, dall'egoismo individuale alla comunione,dalla sterilità intellettuale alla creatività del dialo-go. Furono tutto questo quei soggiorni in mon-tagna, ma soprattutto si rafforzò in ciascuno dinoi la convinzione di essere sulla strada giusta eche certe scelte dovevano essere fatte a favoredella nostra stessa vita e dell'orizzonte socialeche ci aspettava al di là di quei rocciosi profilimontuosi.Questi campeggi sono talmente entrati nel mitoche si fa persino fatica a riordinarli secondo unordine cronologico come se si amalgamassero,con gli elementi di coesione e di continuità chesono loro comuni, in un'unica memoria. In ognimodo la prima grande uscita risale al 1941 inAppennino e precisamente a Fiumalbo, unborgo più toscano che emiliano. Si sale al Cimone, dove il vento si esalta in tuttoquello spazio e si puntano gli occhi laggiù versola pianura indistinta.

Un luogo d'elezione

Nel dicembre dello stesso anno, don VincenzoBenatti va alcuni giorni in vacanza a Cortina conuna decina di ragazzi e sceglie praticamente leDolomiti Orientali come un luogo d' elezione chedi anno in anno consentirà l'accumulo di preziosiricordi e di accadimenti. Soprattutto è definitivamente gettato in alcuni ilseme della passione per la montagna che con

durrà ad esempio Gianfranco Gibertoni sino allaVicepresidenza nazionale dei CAI. In quella settimana don Vincenzo compie un'al-tra scelta preferenziale quella per Misurina egetta le basi per future e memorabili ferie estive.Il 1942 è la volta di Campitello di Fassa. A Chiusa si prende il trenino della Val Gardenaper Plan. A Plan ci si carica di pacchi, zaini evalige e si prosegue a piedi per passo Sella. Èuna giornata fredda, don Vincenzo distribuiscequalche sorso di grappa e qualcuno si sentebruciare lo stomaco. Il Sassolungo incombeenorme, ma le valige passate dalle mani allespalle impediscono perfino di alzare la testa. Unpo' per la strada e un po' per i prati si raggiungepasso Sella e inizia la discesa su Campitello.Il 1943 è l' anno del primo soggiorno a Misurinadi un gruppo di circa 15 giovani all'albergo diBalbinot, alla testata del lago, un po' defilatodalla strada. La radio li sorprende il 25 Lugliocon la notizia della caduta del Fascismo. Ci silascia andare a manifestazioni di entusiasmo,sotto lo sguardo di don Vincenzo “ che sembracrescere di peso “ come precisa EnzoLancellotti. L'adesione al CAI nasce per l'appunto dopoquesti soggiorni, durante la guerra, con unaserie di iscrizioni alla Sezione di Parma, favoritadalla conoscenza con don Paolino Quattrocchiche poi comprò il grande albergo di Misurina ene fece la colonia Pio X. “ Nel 1945 al Rifugio Principe Umberto - precisadon Vincenzo - c'era ancora una tessera del CAIdi Parma in circolazione, ma sotto la spinta diGianfranco Gibertoni (iscritto a Bologna), conEnzo Lancellotti e altri che avevano sposato lacausa, in quell'anno ci siamo staccati fondandola sezione di Carpi ”.

Obiettivo Misurina

Il 1944 è quell'anno tremendo che, non so per-ché, tanti tendono a sorvolare come fosse chiu-so in una gelosa ritrosia - che è spesso ricordodi una paura che non dà ragioni di fierezza - oscelta di silenzio su un passato che si temevafosse chiuso al futuro e che non si vuole nem-meno richiamare.

QUELL'ESTATE AL RIFUGIO PRINCIPE UMBERTOI campeggi estividi Dante Colli. Presidente G.I.S.M.

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Gite e campeggi non se ne fanno, ma in com-penso si è costretti a molte fughe sotto l'allarmeaereo e a sfollamenti in campagna, mentre laguerra disperde i ragazzi del campo semprelegati al ricordo vitale, conservato come un viati-co, delle giornate passate in Santa Chiara. Ilresto, ciò che accade intorno, molti se loscuotono dalle spalle come un fastidioso inco-modo. Il 1945 è l'anno eroico del soggiorno al RifugioPrincipe Umberto - oggi Rifugio Auronzo - aipiedi delle Cime di Lavaredo. Subito dopo laguerra molti rifugi stentano a riprendere la nor-male attività e don Vincenzo, grazie alle tanterelazioni allacciate a Misurina lo prende parzial-mente in affitto e vi porta i suoi ragazzi. E' ungruppo veramente di varia umanità anche per-ché vi sono entrati molti studenti del Liceo dovedon Vincenzo insegna religione. Il problema delviaggio è risolto con un paio di camion Fiat 26(alla cui disponibilità collabora anche il famosoCapitano Badogliano del S.I.M (Servizio infor-mazioni militari) Deagh, al momento vice que-store a Milano, e un piccolo Peugeot che hafatto già un ottimo servizio a portare i deportatiin Germania da Pescantina a Carpi. Si cominciaa caricare due giorni prima della partenza prele-vando quello che si può dalla Cremeria Socialecon i punti delle varie tessere annonarie messea disposizione dai partecipanti e acquistandoalla Giberti e Borelli la carne congelata chedovrà reggere fino a raggiungere la fresca tem-peratura garantita dalle quote alpine a cui si èdiretti. Si accumulano le provviste che devonobastare a ottanta giovani per venti giorni. Allafine i camion sono carichi di ogni ben di Dio, inriferimento ai tempi, compreso un quarto di bue,compagno di viaggio di Silvio Cavazzoli che glisiede accanto. Giunge il giorno della partenza.Don Vincenzo è stato chiaro: “ A pega sol chig'ha i sold! “ : nessuno deve stare a casa e nonpartecipare alla grande avventura; ma UgoMorellini che non può permetterselo non siaggrega malgrado le insistenze dell'assistenteche conclude con una frase tra il rassegnato el'indispettito: ” Sei un orgoglioso “ .Il carico è stato ben sistemato. Vasco Valenti èseduto al volante di un camion. I viveri sotto imaterassi, i ragazzi sopra e tra loro anche lafamiglia Colli al completo. Con un ultimo sguar-do Arnoldo Leporati in divisa da finanziere salutail convoglio. Secondo me ha deciso in quelmomento di lasciare la Finanza.

Un viaggio avventuroso

Il viaggio ha le sue traversìe. Si arriva anche aun fiume (direi sicuramente il Piave) il cui ponteè stato distrutto e sostituito da un precario pontedi barche. C'è una risalita per raggiungere lasponda opposta. Un camion non ce la fa e ilmotore rantola, scoppietta, si inerpica in grattatespaventose. Il secondo automezzo più grosso,viene dietro e tra urla di incoraggiamento deglientusiasti viaggiatori lo spinge in avanti sino arecuperare la strada.Sul camion piccolo c'è anche la gallina che miamadre si è portata dietro per assicurarci qualcheuovo fresco. Sarà l'unica vittima del viaggio, per-ché arriverà soffocata dai materassi e costituiràil nostro primo pranzo a Misurina, durante ilquale si verificherà che aveva due uova pronteda scodellare. A Pieve di Cadore, sotto l'immaneparete sud dell'Antelao e suoi aguzzi satelliti,Marino Allegretti commenta: “ Ebbi la visione “. Asera ormai si arriva ad Auronzo nel cuore di unostraordinario ambiente alpino. La cena è a basedi “ maccheroni al burro di formica “, precisa ilsolito Marino, che ricorda di aver passato lanotte sistemati in quattro o cinque (tra cui ErcoleGasparini ) in un enorme letto matrimoniale. Perquanto mi riguarda ho memorizzato un'aula sco-lastica o un salone di una colonia attrezzato conuna serie di lettini. Ma si veniva dalla guerra el'entusiasmo era alle stelle e don Vincenzo invin-cibile di fronte ad ogni difficoltà.

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�Al Rifugio Principe Umberto. Dante Colli è l’ul-timo a destra con il cappotto.

Il mattino dopo si giunge a Misurina. La stradamilitare, risale alla guerra 1915-18, è in cattivecondizioni. Bisogna liberarla dai massi e lavo-rare di vanga e badile per far salire i camion checosì carichi non ce la fanno. I passeggeri scen-dono. Il tempo è incerto. Don Benatti divide i ragazzi in due gruppi. C'èchi può salire a piedi per le scorciatoie magaricarico di roba. Marino e Carlo Bulgarelli sitrovano fianco a fianco ad affrontare, in una filache si snoda sempre di più, le ripide scorciatoie.E' uno sforzo impegnativo e ricordo questacarovana più o meno rabberciata, qualcuno haun materassino sulla testa, avviarsi per la salitasotto un cielo abbastanza grigio. Mio papà, sca-ricato il sacco contenente un mezzo quintale difarina, decide allora di fermarsi all'albergoSorapiss, sulle rive del lago, che ospita ufficialisudafricani in attesa di rientrare in patria.Periodicamente si sale al Principe Umberto e cisi unisce alle gite che si organizzavano sui montivicini. Il rifugio è una costruzione in legno, assaitipica - prenderà fuoco negli anni successivi - il numero delle stanze è quello che è, e sembranodelle cellette. Ai letti a castello, si aggiungonodei materassi per terra e ci si stringe fino ad ottoper camera. I primi giorni si è accampati all'inter-no del rifugio, poi piano piano c'è un assesta-mento naturale secondo amicizia e simpatia. Ungruppo elettrogeno è alimentato a gasolio e seviene a mancare “ alcuni di noi, dichiara decisoSilvio Cavazzoli, con un paio di tubi di gomma edelle taniche lo aspirano dai serbatoi dei gipponialleati “. Di notte la luce è sempre poca e restano miste-riosi certi terribili trambusti dovuti a chi cerca dialzarsi scavalcando i compagni, a chi sbattecontro qualcosa o lo fa cadere, a chi inventa un

nuovo scherzo alle spalle di quelli della cameravicina. C'è anche chi si è portato dietro una scorta per-sonale di viveri di conforto come Enrico Fortipossessore di ambiti salami nostrani, mentre laGiannina, madre di don Olivo, è oggetto di con-tinui tentativi di furto della chiave della dispensa.La pasta - per l'altitudine l'acqua non bolle mai -diventa colla ma io non ne ho mai mangiata dipiù buona e di meglio condita: si usa questostratagemma. Sistemati nelle lunghe panche aitavoli di legno, si aggiunge un piatto tra gli altri equando la Giannina passa a distribuire, con farenoncurante si dice che il posto è occupato e cheil commensale si è solo allontanato� poibisogna dividere, finchè il gioco viene scoperto erisolto da uno smagliante sorriso materno. Per molti, Misurina, fu il primo positivo contattocon l'Azione Cattolica. “ Ero già innamorato dellamontagna - racconta Narciso - che avevoconosciuto nel 1941 piena di neve sul confinaslavo. Tutto il mio amore per i monti si rinnovòdurante questo soggiorno e desideravo essereutile. Andavamo giù fino ad Auronzo a prendereil pane. Ci tenevo a farlo! “. Tra Misurina e il rifu-gio c'è la casera Rimbianco, una biancacostruzione poligonale dove si scende a pren-dere il latte. “ Sono andato due volte a mungerele capre - racconta Silvio - perché il loro latte èpiù dolce di quello vaccino e ne portavo anchealla locanda Sant'Angelo della famiglia Balbinot(il padre era anche guardiapesca), dove donBenatti era di casa ».Accanto al rifugio, c'è una casermetta, oggiscomparsa, e al suo riparo verso la Chiesettadegli Alpini monta alcune tende una squadrigliascout carpigiana, ai suoi primi passi, che i gio-vani di Azione Cattolica tengono d'occhio dallefinestre delle camerette, meditando qualche tiro,non del tutto simpatico, come quello di tagliarele corde delle tende. Novello Benatti armato dimacchina cinematografica, filma un po' tutto -seguirà una memorabile serata al Lux con laproiezione della pellicola in cui tutti si cercano esi trovano mentre non mancano bellepanoramiche sui Cadini, sulle Lavaredo e sulLago di Santa Croce.

Una relazione di pugno di Comici

Le gite non furono da meno delle aspettative. Inmolti è vivo il ricordo di quella al Rifugio Luzzattial Sorapiss con quel breve tratto esposto su unmalandato ponticello d'assi e legni. I più veloci a

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lunghi passi con i calzet a garandèla e noi dietrocon il desiderio di correre avanti e mia madreche ci tratteneva preoccupata. «Il Luzzatti - racconta Enzo Lancellotti - aveva leporte sfondate. Su un tavolo c'era il libro delRifugio con la descrizione e il tracciato di pugnodi Emilio Comici della sua scalata alle TreSorelle, il primo sesto grado italiano. Lessi l'a-scensione e raggiunto don Vincenzo glielo dissi.Tornati al rifugio, le pagine erano già state strap-pate. Non restò che consolarsi guardandosiattorno. Il ghiaccio allora arrivava fin quasi alrifugio ». Pioveva regolarmente un giorno sì e un giornono e anche quel giorno nel pomeriggio il tempocambiò e « rientrando - ricorda Narciso - tenevostretto, le mani bagnate dalla pioggia, in qualchemomento Sergio Albertazzi ». Altra bella gita, in pieno sole, è la salita al MontePiana, per la strada di guerra, la cui spianata ter-minale è percorsa da innumerevoli trincee edove al rifugetto mangiammo per la prima voltauna polenta di farina di granoturco bianca. Più ditutto ricordo mio padre con pantaloni alla caval-lerizza, fasce alla militare ai polpacci, bastoneda montagna, rievocare i suoi due invernisull'Adamello, volontario della Prima GuerraMondiale. Era con noi un ufficiale sud-africanoche poi si unì a noi anche sulla funivia delFaloria. Da lassù, a un tiro di schioppo, le Cimedi Lavaredo sono una vela rocciosa in un cielo dibianche nubi. A Monte Piana poi, dal RifugioPrincipe Umberto, i giovani venivano a rac-cogliere legna nelle trincee per scaldarsi nellegiornate più fredde.Un'escursione indimenticabile, è quella al rifugioLocatelli, in vista delle pareti Nord di Lavaredo. Il rifugio è gestito per la stagione da un gruppodi studenti universitari di Padova e le tariffe cheapplicano non vanno per il sottile, tanto che ilcartello segnaletico davanti al rifugio Principe èstato sostituito da qualche bello spirito(Reguzzoni?, Zirondoli?) con l'indicazione: « Rifugio Stefano Pelloni » che sarebbe a dire ilPassatore, romantico brigante romagnolo, masempre brigante. Arriviamo al rifugio Locatelli eavverto forse per la prima volta la grandiosa uni-versalità della montagna - certo non immagina-vo che avrei salito la Nord della Grande ven-ticinque anni dopo. Entriamo tenendo a mente i consigli ricevutidagli amici carpigiani. Uno studente ci accompa-gna per il rifugio e ci fa visitare una stanza de-

vastata dai soldati tedeschi che vi si eranoacquartierati, giustificando così la necessità direcuperare le spese e compensare la faticatafatta a sistemare i locali. Tutti si guardarono bene dallo spendere una lira- ce n'erano così poche del resto - ma sincera-mente me ne vergognai o me ne dispiacque per-ché in fondo li apprezzavo quegli studenti e miavevano colpito spiritosamente quei versi scrittinel servizio igienico: « Visto che la corda, tiranon puoti/occorre che il bidon sul fatto vuoti(Divina Commedia, canto XVI) », rime che qual-cuno insisteva d'avere riconosciuto come origi-nali!

Una Messa sulla Cima Grande

« Nel '45 - racconta Enzo - cominciammo adandare in roccia con la guida Angelo Larese chegestiva il rifugio ed era il fratello della GuardiaForestale. Ci insegnava a fare la corda doppiaalla Piaz e i primi rudimenti della tecnica di roc-cia. Lo vidi cadere nel 1953. Ero a San Vito conMillo Foresti a cui era scoppiato un petardo trale mani tanto che gli sanguinavano ancora ledita. Andammo dietro Larese, sulla normaledelle Piccola di Lavaredo. In discesa, alla primacorda doppia, il cliente che aveva con lui chenon era assicurato si bloccò, non riuscendo aproseguire. Larese scese lungo la corda e glimise le gambe sotto le ascelle, ma non riuscì atrattenerlo. L'alpinista fece un volo di appena unmetro fermandosi ai ripiani sottostanti, ma battèla testa e morì sul colpo. Angelo volò fuori nelvuoto, sino alle ghiaie. Salì Colò Corte Mazzettaa recuperarci e quella notte dormii con la luceaccesa in casa di Vecellio ad Auronzo, dovec'erano i Berti , impegnati ad aggiornare la guidadelle Dolomiti Orientali ». Ma torniamo al campo. Un bel giorno Enzo si taglia un dito. A sentireZirondoli ha la febbre a 39°. Su suo ordine sismonta un letto a castello, si improvvisa unabarella e alcuni tra i più robusti lo portano dipeso sino all'albergo di Balbinot giù a Misurina,dove il termometro non segna nemmeno unalinea di febbre scatenando urla e fiamme controZirondoli mentre Enzo balbetta: « Ma io lo dice-vo che non avevo niente ».Leggendaria resta la scalata della Cima Grandedi Lavaredo fatta da tre cordate, una con laguida Anzolin, una con Enzo Lancellotti, unaterza con Enrico Forti che urla: “ Oh Anzolin,Tirès su! ” e, dopo la Messa in cima attorno a

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don Vincenzo, Silvio in discesa è calato come unsacco di patate perché a causa di una labirintiteha perso il senso dell'equilibrio. La roccia comunque esercita una forteattrazione e in molti ci provano sulla Croda delRifugio : Babini, un modenese che aveva dellaterra a Budrione, e altri, compreso don Vincenzoche si prende sulla testa un bel sasso che si di-sperde in tanti pezzi nell'aria. Romano Forestiche andava in cordata con Babini, si fa male acausa di un volo.Intanto davanti al rifugio, sostano alle grandi ta-vole del piazzale, le mogli degli ufficiali alleati esi vedono i primi bikini e le prime nudità che cau-sano anche i primi turbamenti. Più turbato peròfu Giancarlo Sereni che a Carpi aveva pauradelle bisce e si trovò un orbettino nella cuccettaa 2400 m.

Gli occhi vitrei di un camoscio

Per quanto mi riguarda la dimensione eroicadella montagna la colsi in una nebbiosa domeni-ca pomeriggio sul piazzale del rifugio con alcunefigure di escursionisti che si perdevano lontanosullo sfondo incerto dei Cadini. Indistinti e grigi,mi parevano abitanti dei monti e mi prese unanostalgia che non mi abbandonò più. La com-pletò questa sensazione la visione di uncamoscio ucciso da un cacciatore e riverso suun tavolo in un capanno sul retro di un rifugio.L'animale con il collo e il capo riverso fu per meil tramite di un rapporto con la montagna in cuiumanità e sensibilità ebbero sempre un ruoloprimario. Seppi poi che quel camoscio era statorecuperato da don Vincenzo e dai suoi fratelliAires e Novello, ma per me rimase un incontroemblematico, di meditazione, direi, per la miacomprensione del mondo alpino.Negli ultimi giorni si resta senza carne (ungrosso quarto di bue andò a male) e i viveriscarseggiano. Bisogna fare con quello che c'è,vige il piatto unico di fischietti e conserva, anchese in cucina friggono qualche uovo. Giunge il giorno del ritorno. Un camion per stra-da si guasta e bisogna sostare alcune ore, maoggi sembra una cosa in più da ricordare. Lapassione della montagna non abbandonò più ipartecipanti a quell'indimenticato soggiorno eArnaldo Lugli (Giuaca), il fratello di don Olivo,legata una corda al tasel mort dell'Oratorio in viaRocca scese con arditi balzi verso il cortiletto,saltando a piedi pari nella finestra di un ufficiodell'Azione Cattolica.�

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1915-1918LA GRANDE GUERRANEL CINEMAJOYEUX NOËL(Una verità dimenticata dalla storia)Regia: Christian CarionFrancia, Germania, Regno Unito, Belgio, Romania,Norvegia, 2005Film ispirato a una storia realmente accaduta durante laGrande Guerra, la sera di Natale del 1914, in moltepliciluoghi del fronte. Un pastore scozzese, un tenente francese, un tenoretedesco e un soprano danese, “star” dell’epoca, si ritrove-ranno, col favore della notte di Natale del 1914, nel mezzodi una fraternizzazione senza pecedenti fra soldatitedeschi, francesi e britannici. Lasceranno il fucile nellatrincea per andare a conoscere chi gli sta di fronte,stringergli la mano, scambiare una sigaretta e un po’ dicioccolato, augurargli “Buon Natale!”.

LA VICTOIRE EN CHANTANTRegia: Jean-Jacques AnnaudCosta d’Avorio, Francia, Germania, 1976Gennaio 1915. La notizia del conflittto che devastal’Europa è giunta ai membri di una piccola drogheriafrancese dispersa ai confini del Camerun e dell’Ubangi.Il gruppo di francesi decide di impadronirsi di unapostazione tedesca vicina, tenuta da tre soldati. Dopo unprimo sbandamento, costringono gli indigeni ad arruolar-si... Oscar per il miglior film straniero.

THE MAN I KILLED / BROKEN LULLABY(L’uomo che ho ucciso)Regia: Ernst LubitschUSA, 1932Novembre 1919. Festose parate a Parigi per il primoanniversario dell’armistizio dopo la sconfitta dei tedeschi.Qualcuno però non condivide la generale esultanza patri-ottica. Un giovane musicista francese confessa a un pretedi aver uscciso in guerra un uomo, Walter Hölderlin. Il giovane visita la tomba del tedesco ucciso, conosce igenitori e la fidanzata Elsa e si finge amico di Walter.Tratto dal lavoro teatrale di Maurice Rosstand sulla notaostilità tra francesi e tedeschi, il film fu la risposta dellaParamount al film della Universal “All’ovest niente dinuovo” (1930), ma non ebbe altrettanto successo e fu peranni tra i film più ingiustamente sottovalutati del maestrodella commedia sofisticata.

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LA SANITA’ NELLA POSTA MILITARE DELLAZONA CARNIA 1915-1917Pier Giuseppe Avanzato e Claudio GottardisAndrea Moro Editore € 25.00Nel ricordo della Grande Guerra si inserisce par-ticolarmente questo libro che pone l’accento suuno degli aspetti più dolorosi di quel conflitto. Dalla prolusione del Sindaco della Città diTolmezzo: “ Il profilo delle montagne, quellaspecie di elettrocardiogramma di creste cheincornicia l’orizzonte per chi si trova in Carnia, fupopolato da migliaia di soldati durante la primaGuerra Mondiale. In alcuni casi il fronte carnicosi infiammò come un vulcano durante i combat-timenti. [...] Ne morirono 1760 di soldati nellaZona Carnia e dietro la triste contabilità dellaguerra c’era un terreno ancora poco esplorato.Pier Giuseppe Avanzato e Claudio Gottardishanno il merito di illuminarlo e consentirci di leg-gere il conflitto attraverso la sanità nella postamilitare ”. Numerose sono le fotografie utilissime aimmergerci nello spirito dell’epoca.

E altrettanto numerose sono le pubblicazioniperiodiche che dedicano spazio alla memoriadella Grande Guerra. Dall’amica Emilia abbiamo ricevuto l’AnnuarioC.A.I. della Sottosezione di Borgo SanDalmazzo - Cuneo LA CIAPERA. Walter Cesana nel suo testo ” Parole scomode

o taciute della prima guerra mondiale... ”

cerca di ricostruire dal lato umano e socialequella tragedia utilizzando parole di solitotaciute: ragazzi in guerra, disertori, renitenti, pri-gionieri, gas asfissianti, fucilazioni alla schiena,nemico-amico, disinformazione e censura, eroidimenticati, donne coraggiose...“ In quest’ora suprema di dovere e d’onore [...] iovoglio che l’Esercito sappia che i nostri giovanifratelli della classe 1899 hanno mostratod’essere degni del retaggio di gloria che su lorodiscende “ A. Diaz.Ricordiamo la poesia di Ungaretti “ San Martinodel Carso ”:

Di queste casenon è rimasto che qualche

brandello di muro.Di tanti

che mi corrispondevanonon è rimastoneppure tanto.Ma nel cuore

nessuna croce manca.E’ il mio cuore

il paese più straziato.

LA VOCE DEL C.I.F.R. Centro Italiano Filatelia Resistenza e StoriaContemporaneaAlberto Caminiti nel numero di marzo 2016affronta un argomento molto particolare “ La

trincea nella Grande Guerra “.Attraverso una sia pur breve descrizione ci parladi questi fossati dove gli uomini vivevano,rimanevano in azione per settimane, taloramesi, esposti alle intemperie, alla neve dei mesiinvernali, alla calura dell’estate, nonché ai bom-bardamenti delle artiglierie nemiche, in con-dizioni igieniche pessime. Una vita fatta di gran-di sacrifici e sofferenze. Le loro eroiche azionientreranno nella Storia.

L i b r i , r i v i s t e , g i o r n a l i . . . e a l t r o a n c o r a" Non perdete tempo in cose futili se non volete soffrire di rimpianti da grandi. Rifuggite banalità econformismi. Leggete libri e innamoratevi “. Mario Rigoni Stern

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CAI LECCO 1874Notiziario quadrimestrale della Sezione di Lecco“Riccardo Cassin” del Club Alpino Italiano. 2015“ Immagini della Grande Guerra.Foto storiche della prima guerra mondiale trasuggestioni letterarie ed escursionistiche “.“ Sono trascorsi due anni di intensi bombarda-menti per fortuna solo mediatici e ora attendi-amo gli invitabili fuochi d’artificio che suggelle-ranno nel 2018 il centenario della vittoria.Personalmente spero almeno ci sianorisparmiati trionfalistici toni celebrativi. “ Proponiamo ai lettori le immagini senza com-menti, affinché ognuno possa trovare il propriouniverso interpretativo su quel che fu la vita diquegli uomini. “Raimondo Brivio conclude con dei pensieri da“ Il fuoco “ di Henri Barbusse, ritratti di rara effi-cacia in grado di scuotere le coscienze: “ Dueeserciti che si combattono sono solo come ungrande esercito che si suicida.“E comunque come ci siamo conciati da dueanni a questa parte? Come dei selvaggi, deibruti, dei banditi, degli zozzoni... “.“ Ti diranno “, grugnisce un uomo, “ amico mio,sei un vero eroe! Io non voglio sentirmelo dire “.“ Eroi, degli uomini straordinari, degli idoli?!Suvvia! Abbiamo fatto onestamente il lavoro diassassini!... Sì, spietati e infaticabili assassini!...Sì, spietati e infaticabili assassini, ecco cosasiamo stati. “Ma che non mi vengano a parlare di virtù militarisol perché ho ammazzato dei tedeschi... “.Barbusse fu ferito nel 1916. Vinse, poi, con ilsuo libro il Premio Goncourt.

STORIA VENETAStoria Veneta dedica da alcuni numeri, dal n. 32del giugno 2015, articoli mirati sul tema dellaGrande Guerra.“ La Grande Guerra nel bellunese “. N. 32“ Ricordare quegli anni è doveroso, per chi hasofferto tre anni e mezzo e per chi ha dato la suavita alla Nazione con coraggio e senso deldovere, valori oggi forse scomparsi ai più. [...]L’intera provincia di Belluno fu teatro di durissimicombattimenti, vi scorsero fiumi di sangue esubì un tremendo anno di invasione nemicauscendovi distrutta e rovinata “. “ Due crocerossine nella bufera diCaporetto “. N. 33“ Due donne che vissero e raccontarono inprima persona la dolorosa epopea della ritirata

di Caporetto. Due donne che condivisero ladedizione per il proprio lavoro, guardando almondo con pietà e dignità “.“ Venezia va alla Grande Guerra ”. N. 34“ ...davanti alle vetrine dei negozi nelle Merceriela gente si accalcava per vedere le statuettedella Madonna messe in vendita... un bambinoinginocchiato Le rivolgeva queste parole: “ SantaMadre di Dio, fammi ricrescere le mani che i bar-bari e feroci tedeschi mi hanno troncato “.“ La guerra di Giovanni “. N. 35“ Un tributo ed un ricordo ad un ragazzo di ven-t’anni, e a tutti quelli come lui travolti da vicendeepocali inimmaginabili e tragiche, che furonoderubati dal destino, nel migliore dei casi, dellagiovinezza, condannandoli a vivere accompa-gnati da tragici ricordi e dal senso di colpa peressere sopravvissuti, e nel peggiore dei casi pri-vati della vita stessa tra atroci tormenti! “.

CORRIERE dei PICCOLI VA ALLAGUERRACamilla Peruch eSonia SantinKellermann Editore“ Per la prima volta ilfumetto diventa unveicolo chiaro edefficace di propagan-da. “ E i bambini? Comeveicolare loro l’ideache si sta combat-

tendo una guerra valorosa, totale e giusta? “ Ci pensano i fumetti del Corriere dei Piccoli chearruolano Schizzo, Toffoletto, Italino, LucaTakko e Teresina, Didi e Abetino. Tutti insime, unesercito di eroi-bambini, per rappresentare ilconflitto come una favola in cui protagonisti edestinatari altri non sono che dei piccoli soldati.“ E’ un processo di sdrammatizzazione dellaguerra che viene poi ripreso e destinato ai sol-dati, anche loro pensati come massa immaturae infantile, bisognosa di messaggi semplici ediretti. “ Prende forma sulle pagine del Corrierino unprocesso educativo su larga scala, che individuanel bambino un eccezionale amplificatore deivalori patriottici e nel fumetto un veicolo chiaroed efficace di propaganda “.

tendo una guerrr ar vav loror sa

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LIBRI, RIVISTE, GIORNALI... E ALTRO ANCORA � 47

ZANZARA E LABBRADOROLia e Marianna BeltramiCollana I RAMPICANTI € 19.90“ Avevamo tirato quei posti fuori dai boschi,dal lago e li avevamo fatti diventare qualcosadi vivo. Eravamo curiosi, avevamo una valleintera davanti. “ Maurizio “Manolo” ZanollaLa scoperta delle falesie di Arco, del lago diGarda, della valle del Sarca e la nascita del freeclimbing in Italia rivivono attraverso il raccontodella vita di Roberto Bassi (1961-1994), grandearrampicatore e tracciatore, primo campioneitaliano di arrampicata sportiva e pioniere nellascoperta delle falesie della valle del Sarca. Roberto ha dato tanto a tutti noi, speriamo dipoter trasmettere la sua forza a molta altragente, insieme allo spirito di lealtà e di coraggio,che sono spesso troppo nascosti nella nostrasocietà.“ Roberto scopriva dei piccoli delfini, o deipesci spada, di una pulizia e di una levigatez-za pura, che riflettevano la sua anima pulita,e semplice, e levigata e bianca. “ Era come l’acqua. Pulita, precisa, levigata,pura. “ Maurizio Corona

DI ROCCIA DI SOLEArrampicate in SiciliaM. Cappuccio, C. Cianciolo, G. Gallo4a Ed. Collana LUOGHI VERTICALI € 35,00Quattro edizioni in poco più di dieci anni. Soloquesto dato dà l’idea dell’evoluzione che haavuto il mondo dell’arrampicata in Sicilia. Alcuni dei grandi nomi dell’arrampicata mondi-ale hanno lasciato la loro firma sulle pareti piùalte. Tra Palermo e Trapani le vie più belle.

Un viaggio inSicilia, per quantosfegatati arrampi-catori si possaessere, non puòprescindere dall’im-mergersi nellarealtà “sicula”; laproverbiale ospita-lità del suo popolo, imille gusti e saporidelle sue pietanze,gli incantevoli scor-ci dei centri storici ela bellezza del suomare.�Livia Guarino

TOSCANA E ISOLA D’ELBAFalesie e vie moderneMauro Franceschini e Fabrizio Recchia4a Ed. Collana LUOGHI VERTICALI € 33,00Arrampicare in Toscana è molto piacevole per-ché coinvolge come nessun altro luogo tutti isensi. Magnifici scorci panoramici su valli incan-tate, torri rocciose con vie per tutti i gusti, vesti-gia storiche, itinerari gastronomici e poi un isolain mezzo a uno splendido mare dove connubiotra arrampicata e relax mette d’accordo tutti.Una ricca documentazione fotografica rende laguida uno strumento importante per laconoscenza e la promozione anche in chiaveturistica di questa splendida terra.

EDIZIONI VERSANTE SUD

LIBRI RIVISTE GIORNALI E ALTLL RO ANCORA 47

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MAGIA DI CALCAREBoulder sul Gran sassoRoberto e Luca ParisseCollana LUOGHI VERTICALI € 29,00Non solo una guida ma la storia e il racconto didieci anni di arrampicata boulder sul GranSasso, uno dei calcari più famosi d’Italia per lasua particolarità e bellezza.Un viaggio senza tempo tra le splendide aree diarrampicata estive del Gran Sasso, per goderedi una disciplina dell’arrampicata, il boulder, chefa della purezza del gesto atletico il suo punto diforza.Il Gran Sasso è una roccia fantastica, lavorataad arte da pioggia e vento, in un ambienteincontaminato, all’interno del Parco Nazionaledel Gran Sasso e Monti della Laga. Con questaguida abbiamo voluto lasciare un segno del no-stro passaggio su questi massi e trasmettere lesensazioni provate scalando i massi più belli,dormendo sotto le stelle e godendo dell’alba chenasce dal mare Adriatico.

SCIALPINISMO NELLE ALPI CARNICHE101 itinerari da San Candido a VillachRobert ZinkCollana LUOGHI VERTICALI € 32,90Lo scialpinismo in queste aree alpine possiedeun fascino del tutto particolare. E’ la combi-nazione del rustico e tradizionale fascino dellevalli della Gail e di Lesach, unito alla tipicaatmosfera italiana che si respira da sud, chegenera le condizioni ideali per un’esperienzafuori del comune in questi monti ancora non toc-cati dal turismo di massa.Accanto ai percorsi più classici, sono qui descrit-ti anche numerosi itinerari finora sconosciuti, tracui la leggendaria traversata con gli sci da Sillianal Passo di Monte Croce Carnico.

UPAnnuario di alpinismoeuropeo 2015Autori vari

“ Chi si era confrontato permolti anni col rischio come barriera fondamentale faceva fatica ad accettare il pensierodi eliminarlo perseguire un movimento puramente sportivo. La presenza del rischio era come ilsale nella minestra euna minestra senzasale non ha sapore ”.Heinz Mariacher

MOUNTAIN BIKE FINALE LIGURENicola PisaniCollana LUOGHI VERTICALI € 30,00Una selezione di 44 itinerari: concatenare sen-tieri di crinale, prove speciali, curve in appoggiotra boschi di faggi, per poi tornare al punto dipartenza su sentieri e strade bianche. E’ questoil filo conduttore della guida, è questa la chiavecon cui l’autore cerca di farvi rivivere le emozioniche il territorio ligure gli ha donato in tanti anni diappassionato rotolare.

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continuazione da “ Luigi Barzini. AL FRONTE ” Milano - Fratelli Treves, Editori. 1917

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Tavola fuori testo diR. Franzoni

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(continua)

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ssssssee

R a c c o n t i , l e g g e n d e , p o e s i e . . .

“ Ho rubato il silenzio alle montagnee nel vento il sospiro ad un’amantenon i passi ma i miei sogni son rimastial risveglio sulla cima come allora. “

Stefano Muzzi

f foto R. Zanette

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AURONZO

Un lungoPaeseBaciato

Dall'acqua

Si stendePlacido

Tra santa Caterina E san Marco

TudaioE Tre CimeSuoi castelliDi guardia

L'argentoE l'oro

AffiorantiTra le crode

L'azzurroDel lago e del cieloIl verde degli abeti

Il bianco delle ghiaie

TrasformanoIl borgo alpinoIn un policromo

Gioiello

Scorre l'AnsieiCantilenando

TramandaUna leggenda

"Canta prima dell'oraIl gallo stuzzicato

Si affrettano le donneE Misurina è presa"

Tocco magicoDel Pittore

Su un quadroSeducente.

g.sacco

PREGHIERA DELL'ALPINISTA

Signore, davanti a queste montagneTi ringrazio d'avermi dato

la passione per le grandi altezze.Ti prego di guidare i miei passi

in ogni situazionee di farmi sentire la Tua presenza

quando mi trovo in difficoltà.

Signore, i ghiacciai, i torrentii dirupi, i boschi, i prati, i fiori,

la neve, il vento, la tormenta, il solemi parlano di Te,

mi mostrano la Tua forza,mi fanno godere le bellezze che hai creato.

Signore, quando arrampicodimentico fatica, diverbi, cattiverie

e mi pare di veniresempre più a Te vicino.

Signore, fa in modoche gli Angeli della Montagna

mi coprano con le loro aliogni sera,

e che mi senta soddisfatto e purificatoquando in meditazione contemplo

l'Infinito da una cima.

Signore, Ti ringraziod'avermi acceso la fiamma d'Amore

per la Montagna!

Così sia!

ella torrettaGISM-CAI MI

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CANTO DI RICORDO DEI CADUTI DELLA GRANDE GUERRA � 67

O

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TEMPORALE IN VAL DEGANOdi Ella Torretta. G.I.S.M. CAI Milanoda una pagina del diario: 14 luglio 1997

L a mattina si presenta luminosa e le poche nuvole che contornano la Terza Piccola si

dissolvono mentre facciamo colazione. Da Sappada scendiamo in auto a Forni Avoltri

per proseguire per la Val Degano e giungere al Lago di Bordaglia. La strada é bloccata

per una frana. Uno stradino-vigile locale ci consiglia di prendere quella che parte daForni (Panettiere-Chiesa-Cimitero) e dopo poco ad una Malga posteggiare l'auto.Con sentiero pianeggiante ci inoltriamo a piedi nel bosco ombroso. La temperatura é fresca.Apprezziamo e godiamo del silenzio che vi regna. Costeggiamo il torrente fino ad una cava dimarmo posta sul lato opposto del torrente. Ad un bivio inizia la strada forestale indicata n. 141,lunga, un pò monotona e pare non finire mai; solo qualche tratto di sentiero é ancora percorribile nelfitto bosco di Bordaglia. Il sole gioca a nascondino con le nuvole. Io sono quasi contenta perché mi consente di affrontare lasalita senza il calore dei raggi del sole...Qualche goccia di pioggia ci da il benvenuto quando giungiamo alla Malga Bordaglia di sotto, postain una vasta prateria con caratteristica "Torretta" di sassi, occasione propizia per una foto, mentrene conquisto la roccaforte.Poco più avanti sorge la piccola Chiesa dell'Assunta. Sotto il portico, al riparo, sostiamo per il solitopanino,sbocconcellato con calma in ammirazione del panorama. Sistemo un mazzetto di fiori raccolti nel prato circostante davanti alla cappelletta col busto di DonBosco e lascio una copia della mia " Preghiera dell'Alpinista ", in questo mistico luogo di medi-tazione. Scendiamo percorrendo la carrareccia e non le scorciatoie nel bosco per non dover attra-versare il torrente su un ponte fatto solo con tronchi resi viscidi a causa della pioggia che ora iniziaa farci compagnia.Il temporale si scatena con tuoni che rimbombano nella valle, lampi che si susseguono e scrosci dipioggia accompagnati da furiose ventate.Giunti in prossimità della cava, sostiamo in un anfratto in attesa che si calmi la buriana. Dopo una buona mezz'ora, tra la foschia della pioggia ci appaiono due grandi occhi gialli che lenta-mente, molto lentamente si avvicinano... sono i fari di un camion con rimorchio che trasporta enormimassi di marmo bianco... esco dal riparo, immergo gli scarponi nel torrente di acqua e fango, miporto in mezzo alla strada e gesticolando segnalo con le mani alzate la nostra presenza. Il camio-nista rallenta e si ferma." Salga, salga signora, si metta seduta dietro nella mia cuccetta... suo marito qui davanti... Porco...che acqua... che dannaa d'un temporal! "... " Grazie, lei é molto gentile! " riesco soltanto a dire, mentre mi sento afferrare per un braccio, intantoche mio marito mi spinge dal dietro per entrare più velocemente nella cabina del camion. Chiudol'ombrello che mi cola negli scarponi, ma non mi preoccupo più di tanto... ormai sono tutta inzuppata.Tengo in grembo la mantellina fradicia per evitare di bagnare la cuccetta, dove mi ritrovo seduta. Lastrada ormai è diventata un torrente. Il camionista racconta che trasporta a valle due blocchi da 30 tonnellate di marmo, prosegue enu-merando esperienze ed avventure di trasportatore in proprio... sorride, sbuffa, motteggia... Aggiungeche é proprietario di quel camion, acquistato di seconda mano per soli 100 milioni... si inalberaquando é costretto a frenare non con le marce ma con i freni, perché li ha appena fatti rifare... " Sa quanto mi sono costati? Sette milioni... per non parlare delle gomme... sa quanto costa un trenodi copertoni per la motrice ed il rimorchio di questo camion? Milioni, milioni... ". Mentre guida con-tinua a chiacchierare con un frasario non certo da damerino, ma il suo atto di cortesia ci fa sorvolaresu qualche parolaccia di troppo... Il temporale non accenna a diminuire, anzi é un susseguirsi in crescendo di lampi e tuoni...La strada che percorriamo é stretta ed invasa da detriti ed acqua fangosa che scende da mille riga-

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gnoli saltellanti tra i sassi del sottobosco. Il camion scende lentamente, lo conduce con estrema prudenza ed attenzione... ma parla, parlaincessantemente per imprecare contro il Governo, contro le tasse, contro il Padreterno... "Ah! ma io lavorerò ancora quattro-cinque anni e poi... cari miei signori... io me ne vado alleBahamas a godere i miei risparmi ... giusto? “.Continua in un soliloquio esponendo opinioni ed aspirazioni future a mio marito che risponde queltanto necessario per mantenere viva la conversazione. Io, dietro, taciturna, osservo minuziosamente la cuccetta. Il giaciglio consta di un materasso sdrucitocon due coperte logore ed un cuscino senza federa; sparsi in giro: un asciugamano rigato, qualcheindumento pesante, un cappello di lana, una borraccia ammaccata, una scatola di pronto soccorso,qualche medicinale; sopra allo specchietto retrovisore un ritaglio di giornale con la foto di una bellaragazza accanto ad un'immagine della Madonna della Neve, illuminata da una minuta lampadinasotto cui spunta un mazzetto di fiori finti...A questa Madonnina rivolgo il mio ringraziamento per aver trovato un riparo dalla pioggia scroscian-te e questo cortese camionista che ci da un passaggio... La prego di proteggerci durante il tragitto,non ascoltare le sue blasfeme imprecazioni, ma soltanto le mie devote invocazioni di protezionementre sottovoce recito una mia composizione in milanese, proprio dedicata alla Madonna dellaNeve. Sono esaudita perché giungiamo in fondo valle, sempre sotto una pioggia torrenziale, salvi dal peri-colo di uno sbandamento o slittamento del pesante automezzo in discesa su questo fangoso e ripidopercorso. Giunti al Ristoro " El Fogolar ", scendiamo ringraziando sentitamente il camionista di Tolmezzo cheriparte per portare il carico a destinazione. Entrati nel suddetto locale ci ristora un " Kapriol " caldo... La gentile proprietaria mi offre la possibi-lità di asciugare gli abiti accanto al forno della Pizzeria, quindi si rammarica per non aver fattoaccompagnare mio marito con altro mezzo al recupero della nostra auto lasciata al posteggio dallaparte opposta della valle." Ormai é andato!... Grazie, comunque, per la cortesia! ".Nell'attesa, la mia mente fantastica e rammenta una leggenda locale che racconta di un piccolouomo el " Mazarólo ” o " Om Salvàrech ", abitante dei boschi, che fa smarrire il sentiero a chi siinoltra nella foresta durante i temporali oppure ha l'ardire di seguirne le orme, attratti dagli abiti ecappello rosso che indossa. Però, quando é di buonumore, si dice che aiuti i pastori, insegni loronuovi metodi per la preparazione di formaggi, ricotta o burro, oppure elargisca consigli per la fil-tratura del latte, come per esempio l'astuzia di mettere nel buco del colino di legno qualche ramettodi " Licopodio ", per cui, in dialetto Zoldano, questa pianta viene chiamata " Erba da col " o" Colin ".Mario ritorna grondante di pioggia e sorride quando apprende la suddetta leggenda.Giungiamo a Sappada all'imbrunire stanchi, bagnati, ma felici di aver assaporato attimi di pace inte-riore, ricevuto espressioni di gentilezza e, davanti a scenari naturali, osservato le cose del mondocon gli occhi del cielo.�

TEMPORALE IN VAL DEGANO � 69

“ Ascolta. Piovedalle nuvole sparse.Piove su le tamericisalmastre ed arse,piove sui piniscagliosi ed irti,piove sui mirtidivini,su le ginestre fulgentidi fiori accolti,sui ginestri foltidi coccole aulenti,piove sui nostri voltisilvani,

piove sulle nostre maniignude,sui nostri vestimentileggieri,su i freschi pensieriche l'anima schiudenovella,su la favola bellache ieril'illuse, che oggi m'illude,o Ermione. ”

Gabriele D’Annunzio

“La pioggia nel pineto”

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SIORA TOGNIA � 71

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L a Cina dell'epoca Ming, alla fine del

XVI secolo, viveva un periodo di forti

tensioni sociali dovuto alle nuove cor-

renti di pensiero che criticavano la

tendenza idealistica confuciana e propugnavanoun nuovo modello di cultura incentrato più sullostudio della realtà e dell'azione concreta. In questo nuovo scenario sociale e culturale il 5gennaio 1587 nacque Xu Xiake, il cui vero nomeera Hongzu Zhenzhi, essendo Xiake, che signifi-ca "ospite delle brume", il soprannome che siscelse. La sua famiglia era originaria di Kaifenge alla sua nascita, nonostante il padre ricoprisseun importante ruolo nell'amministrazione imperi-ale, stava vivendo un momento critico dovutoalla cattiva gestione economica del genitore.Questi morì quando Xu aveva diciannove anni el'incombenza del sostentamento familiarericadde sulla madre che si dimostrò una eccel-lente economa. Infatti, era una brava tessitrice econ i suoi guadagni riuscì a provvedere a tutte lenecessità domestiche, tanto che Xu crebbesenza preoccupazioni materiali e completa-mente dedito allo studio. Sotto l'influsso della nuova corrente di pensieromanifestò scarsa propensione per lo studio deiclassici e delle materie letterarie, mentre il suointeresse si indirizzò verso la storia e lageografia. Constatò subito che molti testi eranocopiati da altre opere scritte precedentemente,erano cosparsi di errori e imprecisioni orogra-fiche e idrografiche, e che tutti erano viziati da "sinocentrismo". Nacque, così in lui, la vocazione del viaggio, del-l'esplorazione e, conseguentemente, la rinunciaa una carriera da funzionario. La madre noncontrastò minimamente questo suo progetto,anzi, per evitargli una vita piatta e scialba "dafagiano in gabbia, o da destriero al timone", loaiutò nei suoi viaggi preparandogli i bagagli,donandogli soldi e confezionandogli il berrettoda esploratore perché si immedesimasse mag-giormente nel personaggio. Il primo viaggio lo intraprese a ventidue anni efino alla morte della madre, nel 1635, le sue de-stinazioni furono "i grandi fiumi e le montagnefamose", luoghi rinomati dove poter ammirare lebellezze naturali del paese.

I suoi allontanamenti da casa furono sempre di breve durata (dalla primavera all'estate o dall'e-state all'autunno) e al ritorno raccontava quantoaveva visto e appreso facendo "sgranare occhiallibiti, ammutolire o sudare di paura l'uditorio,mentre la madre, con aria estasiata, attizzava unfuoco di ginestroni per scaldare un tè che li rin-francasse". Durante le sue spedizioni, preparate minuziosa-mente ed affrontate sempre a piedi, incappò innumerose disavventure - fu tradito dai suoiservitori, depredato dai briganti, digiunò a causadella scarsità delle provviste, cadde in dirupi,dormì all'addiaccio durante il periodo dellepiogge - che non affievolirono mai il suo tem-peramento avventuriero e il suo coraggio. Le difficoltà incoraggiavano la sua audacia tantoda fargli profanare antri di draghi immaginari,penetrare in grotte buie e profonde, risalire fiumi

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XU XIAKE viaggiatore, geografo, geologo, esploratoredi Cesare Censi. Museo Polare di Fermo

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sotterranei, scalare pendii impervi senza che ilsuo spirito di osservazione risultasse alterato osoggetto a forzature immaginifiche. Nelle sueperegrinazioni non fu solo viaggiatore, maanche esploratore e geografo. Osservò, infatti,l'orientamento delle catene montuose e la dislo-cazione dei corsi d'acqua, per passare poi a unesame più meticoloso e scientifico delle grotte -sua grande passione - e delle sorgenti. Dopo la morte della madre, libero ormai da vin-coli affettivi, viaggiò per quattro anni nelleprovince di Zhejiang, Jianghi, Chu, per passarepoi in quelle di Guangxi, Guizhou e Yunnan - aquel tempo pericolose per la loro desolazione, ilterritorio brullo e spoglio, privo di locande - conl'intento "di andare al di là del mare Kunlun, findove cominciano le sabbie mobili" e il desideriorecondito di giungere in Birmania e Tibet. Fu un camminatore instancabile che percorsedecine di chilometri al giorno in regioni monta-gnose e ad andatura sostenuta, senza mailamentarsi delle difficoltà e degli sforzi. Nei suoidiari, più della stanchezza, descrisse le bellezzedei luoghi e l'appagamento spirituale che sicura-mente fecero da contrappeso ai sacrifici e allafatica. Visitò tutti i siti più importanti del paese,sia religiosi che prettamente geografici, e incerte regioni ritornò più volte. Non era mai stanco di viaggiare e la sua menteprogettava in continuazione nuovi itinerari e per-corsi da intraprendere. Morì nel 1641 dopo più di trent'anni di peregri-nazioni che lo videro prima viaggiatore e poigeografo, geologo ed esploratore. Senza dubbio può essere considerato uno deipiù grandi viaggiatori cinesi e, volendo dare unadefinizione della sua vita, si può concordare conPan Lei, uno studioso delle sue opere, che cosìlo descrive: "Raggiungere la meta con disin-voltura, smarrendosi senza dolersene, dormen-do la notte al riparo di un albero o di una roccia,masticando erbe o bucce per placare la fame,incurante del vento e delle piogge, impavidodavanti a tigri e lupi, non calcolando né distanzené date, non cercando compagnia: era il suogenio personale ad animare il viaggio, il suocorpo a dar vita al viaggio e, dall'antichità a oggi,fu unico, ecco tutto!".�

��� ��� ���

“PEREGRINAZIONI INLUOGHI SUBLIMI”Un libro di Xu Xiake tradotto dal cinese infrancese da Jacques Dars © 1993 Unesco-Gallimard, quindi dal francese da GiovannaBaccini per la Rizzoli Milano, Collana BUR. Titolo originale: “ XU XIAKE YOUJI “.Dal primo lungo viaggio all’età di ventidueanni, fino a quello che lo portò ai confini delloYunnan, alla vigilia della sua morte, Xu Xiakesi trasformò da visitatore a curioso di luoghiameni e di paesaggi in geografo, geologo edesploratore di contrade segrete esconosciute.Il libro, che è una scelta dei diari di viaggiodedicati alla montagna, si potrà leggereinnanzitutto come ciò che essenzialmente è,ossia una raccolta di diari di viaggio, ma possiamo considerare e gustare questi diarianche come poesie in prosa, o come unaspecie di "variazioni", in senso musicale, sutemi diversi: la montagna, le acque, la solitudine, il peregrinare, e così via. Infine, il libro può anche essere una specie diguida per chi si rechi in Cina, per arricchire lavisita di certi luoghi con questi testi rari e suggestivi, corredati dalle esaurienti epreziose note del curatore, Jacques Dars.

La dimora e la tomba di Xu Xiake in Jiangyin

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E' vero, ora non riesco neanche più a suonare un trombone. Nella vecchiaia si vive diricordi e se ti trovi con amici vai a rivangare i bei tempi trascorsi.

E' per me una gioia quando ritorno ad Auronzo e mi incontro, normalmente in un bar, conl'amico Alziro Molin. Questo forte rocciatore che mi ha fatto trascorrere giornate indimenticabili a scalare nelleDolomiti e in giro per le vette del mondo. Questo uomo, al quale voglio bene più che a unfratello, è conosciuto nel campo alpinistico più lontano dalla sua terra. Le vie nuove cheLui ha aperto sulle Dolomiti, sono vie che alcuni rocciatori di fama mondiale ed inter-nazionale che le hanno ripetute asseriscono essere ben più del sesto da Lui calcolato. A vederlo salire sembrava un ragno, la Sua eleganza nel libero è inimitabile. Lui andavain roccia perché senza si sentiva perso. Ciò che ha compiuto nella Sua vita lo ha fatto perla passione e l'amore che ha nel salire. E' come un musicista che dopo aver compostouno spartito si sente appagato. Dal Cadore ha ricevuto l'ambito premio del Pelmo d'Oro nello stesso giorno che fu asse-gnato a Don Ciotti pure Lui cadorino. Nell'ambito degli alpinisti è conosciuto anche all'e-stero e rispettato da tutti. Introverso, scorbutico, ma di un animo altruista e sincero,amante della Sua numerosa famiglia, ha dovuto sopportare tristi eventi in seno ad essasempre con signorilità ed abnegazione. Le personalità come Lui vanno ricordate e valorizzate.�

UN VECCHIO TROMBONEdi Enzo Lancellotti. CAI Carpi

I componenti la spedizione in East Greenland, organizzata dal C. A. I. di Auronzo nel 1974, inoccasione del centenario della fondazione: Alziro Molin - capo spedizione - Gianni Pais,Alberto Berti, Eraldo Pais, Claudio De Zordo, Enzo Lancellotti e Pippo Barbieri.

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Di solito della Liguria conosciamo gli arenili, le calette e le spiagge, ma non bisogna dimenticare cheè anche la regione italiana a più alto indice di boscosità, più del 50 % del suo territorio è ricopertodalle più diverse essenze. In breve si passa dalle spiagge alle Alpi Liguri, mentre i crinali distano pochi chilometri dal mare.Grazie alle diverse esposizioni possiamo attraversare in un'unica gita macchia mediterranea,faggete salendo poi sino ai prati naturali tipici delle alte quote. Decine di speci vegetali, e anchealcune animali, sono endemiche e si possono osservare solo attraversando queste zone. Un insieme di fantastici e panoramici percorsi ha dato origine all'Alta Via dei Monti Liguri, parte inte-grante della GTA, la Grande Traversata delle Alpi. La zona di confine con la Francia e il Piemonteoffre la possibilità di creare itinerari adatti alla mtb grazie alla presenza di una fitta rete di strade mi-litari in ottimo stato di conservazione. La presenza di fortificazioni rende ancor più interessante espettacolare percorrere queste montagne. A pochi chilometri da Sanremo, Alassio e Savona è possibile osservare in volo i rapaci alpini eincontrare caprioli, daini e camosci. Attenzione perché la particolare vicinanza del Tirreno alle AlpiLiguri crea le condizioni ottimali per la formazione delle nebbie. In pochi minuti il crinale può scom-parire di fronte a voi a causa delle nuvole provenienti dal mare. Meglio avvantaggiarsi, partire prestoper godere degli splendidi panorami e, eventualmente, poter fare anche un bagno se si scende sinoalle spiagge. I quattro itinerari ad anello che abbiamo scelto di percorrere in questo piovoso agosto sono, proba-bilmente, fra i più rappresentativi dell'Alta Via. Gianfilippo ed io ci siamo incontrati in mtb duranteuna gita, abbiamo scoperto di abitare a due passi ed avere passioni comuni. Da qualche anno, sei nostri periodi di vacanza coincidono, uscire insieme in mtb è diventata una felice consuetudine. Pernoi partenza obbligata (si fa per dire) da Varigotti, una delle località di mare più belle della rivieraFinalese, paradiso per i bikers e meta degli amanti dello sport, dall'arrampicata alle immersioni.

LA “VETTA” DELLA LIGURIA: IL MONTE SACCARELLO 2200 m - DISLIVELLO +1500 MT. DISTANZA 25KM TEMPO BICI 4 ORE

LE ALPI DEL MAREGrandi panorami in mtb dal Monte Saccarello al Monte Beigua nel Ponente Ligure.Quattro gite sui crinali dell'Alta Via.

di Ettore Patriarca

Con il favore delle previsioni carichiamo le bici inauto e all'alba siamo ad Albenga. Sostacolazione a Pieve di Teco e i suoi antichi portici.Qui convergevano le "vie del sale" percorse dacommercianti e la via centrale del paese èmemoria dell'importanza di questa cittadina.Risaliamo la statale verso il Col di Nava portan-doci poi a Mendatica e proseguendo sino a uncomodo parcheggio alla Colla San Bernardo1263 mt. Scambio di itinerari nell'aria frizzantecon un ragazzo che aspetta gli amici. Per luiallenamento di corsa sulle mulattiere di confine,noi si parte con alcuni chilometri di riscaldamen-to su asfalto. Monesi 1310 mt. è a pochi chilometri: la verasalita parte da questo piccolo paese. Una chiaraindicazione stradale da seguire indica la meta.L'asfalto e le seggiovie rendono meno piacevolii primi chilometri, ma man mano che si sale ilpanorama si ampia e anche il fondo diventasterrato. Ci accorgiamo che la strada è apertaanche ai mezzi motorizzati incrociando due cop-pie di moto da enduro che, fortunatamente,scendono a passo d'uomo.

La vista appagante, con il mare di nuvole aquota mille e la pendenza che resta sotto il dieciper cento rendono lieve la fatica. Al termine delbosco lo spettacolo delle valli con le cime piùalte che emergono in lontananza dalle nebbie.Un cane pastore trotterella flemmatico accanto anoi mentre il suo padrone di indica la strada. Ilcartello bianco e blu indica che stiamo entrandoin Piemonte, nella provincia di Cuneo. Mentre ci avviciniamo alla cresta la statua delCristo Redentore, nei pressi della vetta, comin-cia a prendere forma nel cielo azzurro. Un cippomilitare indica la giusta direzione: noi andiamo asinistra, a destra invece il Passo Tanarello e ladiscesa su Tenda. Folate di vento ci raggiun-gono facendoci rabbrividire.Appena arriviamo alla sella i brividi spariscononel blu profondo del cielo. La vista spazia a tre-centosessanta gradi su tutte le Alpi del mare. Asud le nebbie sul mare alle nostre spalle un oriz-zonte infinito di montagne, il panorama è moz-zafiato e la fatica scompare nell'emozione.Siamo sul confine con la Francia: il versantesulla nostra destra precipita verso le case di

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P e r m o n t i c o n i D a h ü

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Casterino e lascia aperta la vista sino al monteBego, alla Valle delle Meraviglie e il Marguareis.La cresta è bellissima, si alternano prati e roccecon intarsi verdi e colorati dai fiori che la breveestate delle alte quote regala a chi frequentaquesti luoghi. Incrociamo scambiandoci i salutigruppi di escursionisti e ciclisti. Il rif. Sanremo èchiuso e ci fermiamo nel prato aprendo il ri-storante a tre stelle alpine "Le Barrette". Sosta dovuta prima di affrontare i saliscendi checi porteranno al Passo del Frontè 2081 mt.,senza lasciare l'Alta Via (segnali biancorossiAV). Il passo si valica con bici al fianco euna breve risalita ci porta sotto la Madonnina del

Oltre confine

Frontè (in pochi minuti si sale alla vetta) e una pista scende ripida ma ciclabile sino al Colle del Garezzo 1795 mt. e alla sterrata militare.Passando sopra la galleria del passo finiamo inun ingorgo di jeep che ci spinge a scendere infretta sino al punto di partenza. Per nostra fortu-na siamo ben più veloci dei fuoristrada e man-giamo poca polvere. Al Colle San Bernardo unposto di blocco dei carabinieri è pronto a multarechi è salito in auto senza permesso, speriamoche la prossima volta giochino d'anticipo e nonfacciano salire nessuno. Una gita di grande soddisfazione, poca fatica eampi panorami.

Sotto la Madonnina del Frontè

Senza dubbio il modo migliore per apprezzarequesta gita è (anche) prenotare una buona cenaper la sera. Non preoccupatevi, avrete con-sumato abbastanza calorie per meritarvela.Difatti dagli zero metri slm della Via Aurelia sisale senza tregua per oltre millecento metri didislivello e le salite non sono finite. Da Varigottiseguendo la costa sino a Pietra Ligure.Lasciamo l'antica via romana alle spalle erisaliamo nell'entroterra costeggiando il torrenteGiustenice per poi pedalare verso la frazione diSan Lorenzo e seguire i segnali che indicano ilMonte Carmo. Occorre far rifornimento idrico inpaese, infatti sino al Giogo di Giustenice e oltrenon ci sono fonti disponibili. Non ci facciamospaventare, il bosco protegge e salendo la stra-da offre scorci di costa che lentamente si trasfor-mano in panorama. Un cippo ricorda che anchesu queste montagne la guerra ha vissuto i suoitragici eventi. Siamo immersi nel verde, circondati da un impo-nente massiccio. Una mandria ci accompagnasugli ultimi tornanti. Ai 1112 metri del valico sientra sull'AV, lasciando a sinistra la sagoma delCarmo, seguiamo gli evidenti segnali bian-

corossi. Poche centinaia di metri sulla sterrata epoi a destra un bel single track ci porta sul ver-sante nord. La faggeta che ci avvolge è un luogomagico, evoca antiche cattedrali i cui ministrantipotrebbero essere cervi e caprioli. In mezzo allealte canne d'organo di questo misterioso e silen-zioso verde non mancano altri abitanti meno vi-sibili di cui intuiamo solo la presenza. La forestadella Barbottina pare non finire mai. La stradaforestale su cui insistono anche i segnali dell'AVprosegue con vari saliscendi sino alla casettadella forestale, non lontana dal Colle delMelogno 1028 mt. Qui, all'unica fontana dellagiornata, una sosta meritata ci disseta e rinfran-ca. A godersi questa pace misteriosa sono soloquattro persone, età media sui quaranta. Duenonni e una coppia di nipotini quattro e sei anni,i conti fateli voi. Poco avanti a destra una traccia non segnalatache scende nel bosco merita attenzione. Èl'inizio di Isallo Extasy, una discesa mtb fra le piùbelle del finalese senza per questo essereestrema. NB: attenzione ai funghi in stagione eai rami sporgenti di nocciolo. Il fondo asciutto ciagevola, le radici perdono parte delle loro insidie

DALLA SPIAGGIA DI VARIGOTTI ALLE FAGGETE DEL MONTE CARMO E PER FINIRE... ISALLO EXTASI! DISLIVELLO +2000 MT. DISTANZA 55KM TEMPO BICI 5 ORE

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e il divertimento sale. Arriviamo alla frazione diIsallo senza fiato e con un porcino di mezzochilo, bello sano. Ci aspettano ancora alcunichilometri di salita prima di scendere a Finale

Ligure ma il risultato è già raggiunto: ambiente,solitudine e una bella discesa in single track val-gono la fatica dell'ascesa.

Oggi mattinata caliginosa a Varigotti, decidiamoche è il clima ideale per la classica salitaFinalborgo 12 mt. - Feglino 180 mt. - Madonnadelle Grazie - Vivaio Forestale sulla strada cheporta al Colle del Melogno 1028 mt. Primo obi-ettivo: la vecchia base NATO che sorge a circa1100 mt. slm. La cima spianata e non quotata,per motivi di vecchi segreti militari, è oggi cir-condata da pale eoliche. La salita sulla piccolatraccia d'asfalto è battuta solo da ciclisti inallenamento. Proseguiamo su asfalto tralascian-do il bivio e la sterrata che a destra porta allaColla san Giacomo, dove scenderemo più tardi.Incrociamo un paio di volte la navetta chetrasporta i freerider sino alla base NATO, dadove partono alcuni impegnativi tracciati. Lafonte poco prima del vivaio è una meta ambita emerita il nostro ringraziamento. Raro che unciclista non si fermi a riempire la borraccia, a fardue parole o a leggere le targhette che ricor-dano le vicende dei partigiani liguri durante laguerra di liberazione. Dopo il vivaio dellaForestale il bivio (seguire indicazioni "Fattoriaeolica") e le rampe finali. Passando sotto l'ariasferzata dalle pale eoliche la strada si perdenella nebbia. Entrare nella ex base NATO fasempre impressione, in me suscita un misto distupore e paura. Chissà quali segreti ancoranasconde. Anche il programma RAI "Voyager"con il giornalista Giacobbo ci è arrivato raccon-tando di un (per ora) fantomatico tunnel e dibunker che avrebbero custodito missili balistici.Usciti dalla base riconquistiamo il bosco e lacresta. Una roccia offre un pulpito sulla alta valleBormida. Nuvole bianche corrono specchiandosi sul mare

verde da cui sorgono i menhir d'acciaio dellepale. Secondo obiettivo l'altipiano delle Manie300 mt. Per sentieri e sterrate seguiamo gliormai conosciuti segnali AV che, come i sassoli-ni della favola, ci portano alla Colla di sanGiacomo 796 mt. L'antico, e importante, incrociodi valico con la sua antica cappella ricovero per-mette sia di scendere verso il mare che rientrareverso la Valle Bormida. Proseguiamo dritti sullasterrato lasciando i segnali dell'AV che si allon-tanano in salita a sinistra e ignorando il bivio adestra verso Orco. Conserviamo la sterrata sinoalla caratteristica erosione delle Rocce Bianchepassando Ca dei Gatti sotto un cielo caliginosoche sembra sempre più autunnale. Una discesavelocissima su asfalto girando poi a destra,ancora su sterrato, cercando di controllare lavelocità per evitare di essere sparati in aria dallecunette ci porta in pochi minuti a Borghi.Siamo ad un importante incrocio da cui è possi-bile scendere a Finale per asfalto ma noi pro-seguiamo seguendo le indicazioni Magnone eNoli e poi verso il piccolo cimitero e la chiesa. Ladeviazione a destra porta ( è l'antica ViaRomana) nella Val dei Ponci e i suoi ponti bimil-lenari. Siamo in un territorio che con le suecaratteristiche merita molta più attenzione chenon un veloce passaggio. La storia si svela suquesto altipiano vista mare anche con i restipreistorici ritrovati nelle arme (grotte) del Finaleche sono conservati mel bel museo diFilanborgo. Proseguiamo dritti sulla strada bian-ca in salita sino allo spiazzo panoramico di Bric dei Monti con vista su Spotorno e Noli. L'Altopiano delle Manie va conquistato seguen-do l'ippovia, quindi prudenza poiché sui saliscen-

DA FINALBORGO AI FANTASMI DELLA BASE NATO, POI SU E GIÙ’ SINO ALL'ALTOPIANO DELLE MANIE DISLIVELLO +1300 MT. DISTANZA 45KM TEMPO BICI 5 ORE

La salita Il cippo

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Un gregge incorniciato dal mare

Partenza all'alba con il sole che sorgendo sispecchia nella Baia dei Saraceni. Veloce trasfe-rimento sino alla cima del Beigua martoriatadalle antenne. Per fortuna ci basta allontanare losguardo e vediamo salire un gregge incorniciatodal mare. Il è cielo terso e la nostra pedalatacomincia con una rapida discesa sino al rif. PraRiundo 1130 mt. Il crinale di fronte a noi divide ilmare dalle infinite cime dell'entroterra. La sterra-ta con cui inizia il percorso verso il Passo delFaiallo scorre pianeggiante e veloce. Indugiamoad ogni angolo per godere della vista che spaziaper centinaia di chilometri dalle Apuane sino allecime del Marguareis mentre all'interno le cimesfumano nelle nebbie della pianura padana.Sicuramente un panorama incantevole e insper-ato. Decidiamo senza dubbi di lasciare le bici esalire la non lontana cima del monte Rama, unaprua rocciosa di oltre mille metri a picco sulmare. Dalla croce di vetta(andata e ritorno 40minuti) siamo quasi in volo d'uccello sul porto diGenova. Riconosciamo distintamente il relittodella Costa Concordia in attesa di demolizioneaddossato al molo esterno. Se il panorama èstupendo non è da meno il crinale con le suefioriture, l'apparizione improvvisa di alcuni capri-oli e i pini piegati dal vento che paiono un quadrogiapponese. La ciclabilità si riduce a causa dellepietre, visibili e nascoste. Il tempo scorre veloce,la brezza di mare comincia a farsi sentire facen-do ondeggiare le praterie alpine. La cresta siallarga in antichi circoli glaciali con colate dirocce che spiegano il cuore di sassodell'Appennino che sta per incominciare. Siamo ancora sul tracciato dell'AV che anche

Cima del Monte Rama

oggi offre il meglio di sé. Ma ecco un'altra magiadelle Alpi Liguri. Come getti di vapore le nebbiesalgono dal mare e vengono scagliate verso l'al-to. Fra i precipizi ogni anfratto fuma e per alcuniminuti ci sentiamo marinai sgomenti di frontealla tempesta che arriva improvvisa. I contornidella cresta si fanno incerti e l'azzurro scomparenei grigi cangianti del nuovo cielo. Anche oggi non ci sono molti escursionisti e ilterzetto, l'unico gruppo che incontriamo, ci con-ferma che l'itinerario è molto più frequentato nel-l'autunno-inverno. Con i saluti ci consigliano unadeviazione più pedalabile dal Passo deiGiassetti e di ripercorrere questa tappa dell'AVcon il gelo, la galaverna e i suoi magiciarabeschi, ponendo però molta attenzione alleinsidie che il clima invernale pone anche aqueste quote. Il dislivello è minimo, la velocitàridotta e le cadute sono nell'aria, in una diqueste Gianfilippo buca. Il sibilo inconfondibilenon è però del pneumatico ma della bombolettae in men che non si dica dalla sella sgorga unfiume di schiuma che sembra nevichi in agosto.Senza altri imprevisti con le indicazioni degliamici escursionisti scendiamo un ripido einsidioso prato sino a incrociare una sterrata chescende dal passo del Faiallo (per il passo adestra in salita). Questa stessa strada percorsain senso opposto ci riporta porta sino all'asfaltodove riprendiamo la salita che ci spetta, mangiae bevi compresi, sino a Pianpaludo. Saliamopassando accanto alla zona umida del Lajone econ alcune ripide rampe siamo di ritorno allacima del Beigua ormai chiusa fra grigie nuvoletemporalesche.� cfr. MERIDIANI Montagne n. 80

di che seguono è possibile incontrare gruppi dituristi a cavallo e non bisogna spaventare glianimali. Usciamo sulla strada asfaltata nei pres-si del ristorante Da Ferrin, e poco oltre a destraprendiamo l'ormai conosciuta traccia della 24

Ore di Finale. Siamo "a casa", un po' di sanodivertimento sui sentieri panoramici delle Maniesino alla punta del Semaforo, poi la spiaggia diVarigotti. Un bagno rilassante fa piacere anchese la giornata non è bellissima.

DAL MONTE BEIGUA 1280 MT. AL PASSO DEL FAIALLO 1061 MT. DIVAGANDO SUL MONTE RAMA 1148 MT.Dislivello +1000 mt. Distanza 25km Tempo bici 4 ore

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A t a v o l a c o n i L a r e s

AGLIO il farmaco più saporito

L’aglio è un alimento che non dovrebbe mai mancare sulla nostra tavola.In realtà, pochi ortaggi possono vantare un numero di prprietà nutrizio-nali e terapeutiche così elevate come questa liliacea, considerata prezio-sissima da tutti i medici dell’antichità, i quali la usavano per prevenire ecombattere diversi malanni e spesso anche come arma estrema controle epidemie (!). Fin dai tempi degli antichi Egizi l’aglio veniva consumatogiornalmente come alimento, in particolare dagli operai che lavoravanoalla costruzione delle piramidi; l’aroma dell’aglio egiziano fu rimpiantopure dagli Ebrei dopo il loro esodo verso la Terra promessa. Questoortaggio era molto apprezzato anche dai Greci e dai Romani; questi ulti-mi lo consumavano in grande quantità perché lo ritenevano un ottimoricostituente, ricco di proprietà depurative e fortificanti e quindi particolar-mente utile ai soldati. Nel corso dei secoli la medicina popolare gli hariconosciuto numerose altre proprietà terapeutiche, da quelle antiset-tiche e febbrifughe a quelle diuretiche, antiasmatiche, vermifughe ecc.Del resto fino a pochi decenni fa, nelle campagne contadine mettevanoal collo dei figli qualche spicchio d’aglio per cacciare i vermi dal lorocorpo, così come usavano dar loro fette di pane sulle quali era stato stro-finato, affinché crescessero sani e robusti.Contemporaneamente, con l’aumentare delle sue virtù medicinali, sonocresciute anche le applicazioni culinarie, tanto che oggi è ritenuto unodei pricipali ingredienti, nonché aromi, della cucina mediterranea.

L’aglio rimane molto attivo se non è scaldato sopra i 50°C. Se lo si vuoleutilizzare soprattutto come “farmaco”, si consiglia perciò di consumarloallo stato crudo insieme ad altre verdure, oppure cotto molto delicata-mente. In cucina questo rinomato ortaggio rimane comunque e sempreun protagonista di primo piano, in particolare quando si tratta dipreparare alcuni piatti tipici della cucina mediterranea.In realtà sono praticamente infinite le ricette che si avvalgono dell’aromaintenso e del sapore leggermente piccante dell’aglio; esse spazianodagli antipasti, quali crostini, bruschette ecc. alle insalate e ai funghi, daisughi e salse alle minestre e verdure cotte, da sformati, arrosti e stufatia pesci e molluschi.Data la sua proprietà di stimolare i succhi gastrici, va usato soprattuttonelle pietanze molto grasse perché ne facilita la digestione.

AI LARESSplendido agriturismofattoria didattica realizzato in una excaserma militare ubicata quasi al culmine del passo diSant’Antonio, valicocollegante Auronzo diCadore e Padola diComelico Superiore. Immerso nel verde diboschi e pascoli inestate è ideale puntodi partenza di passeggiate ed escursioni. In inverno sonocomodamente accessibili il comprensorio sciisticodi Padola e le Terme diValgrande.

AI LARES � 79

Spaghetti all’aglio, olio e peperocinoIngredienti:

4 hg di spaghetti 3 spicchi d’aglio

½ manciata di prezzemolo50 g circa d’olio d’oliva, sale,peperoncino rosso a piacere

Mettere a cuocere gli spaghetti in una pentola d’acqua bollente e intanto far soffriggere a freddo nell’olio d’oliva l’aglio tagliato a fettine assieme al prezzemolo tritato, una presa di sale e una spolverata di peperoncino. Appena l’aglio comincia a indorare il soffritto è pronto per servire da condimento agli spaghetti che nel frattempo si saranno cotti.

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CERFOGLIOIl “prezzemolo” all’aroma di liquirizia e zenzero

Il cerfoglio (Anthriscus cerefolium) è una pianta aromatica rinvenibile allo stato spontaneo nei prati,lungo le siepi, vicino alle malghe, in particolare in terreni freschi ed ombreggiati. La si può facilmenteconfondere col prezzemolo, anch’esso appartenente alla grande famiglia delle Ombrellifere, benchémolto più noto e sfruttato in tutte le nostre cucine. Tuttavia, mentre le foglie e lo stelo del cerfoglio,così come il suo profumo, ricordano effettivamente quelli del prezzemolo, questa pianta è piùresistente e facile da coltivare, mentre il suo aroma è un po’ più complesso, perché contiene anchesentori di anice, liquirizia e zenzero.Questa ombrellifera, oggi più conosciuta per le sue proprietà aromatiche che per quelle medicinali,venne utilizzata per molti secoli come tonico dagli antichi Romani, ai quali si deve il merito di averlaintrodotta in Europa dalle regioni del Medio Oriente. Anche in epoca medievale essa veniva usatacome pianta officinale, ricostituente e tonificante durante i cambi di stagione, oppure era spessoconsumata assieme al tarassaco e al crescione per sopperire alla mancanza di verdure e di altri ali-menti.Al giorno d’oggi possiamo affermare che il cerfoglio, in rapporto alle sue reali virtù terapeutiche, fuallora eccessivamente stimato, mentre è rimasta inalterata nel tempo la fama delle sue proprietàaromatiche.Viene coltivato spesso come pianta orticola proprio per l’aroma particolare delle sue giovani foglieche si possono utilizzare fresche, secche o surgelate (sminuzzate e poste in sacchetti di plastica achiusura ermetica). Attualmente esistono sul mercato varietà di cerfoglio sia a foglie lisce sia a fogliericciute. Per poter utilizzare, invece, la specie selvatica, è necessario saper distinguere con certezzail cerfoglio da alcune altre ombrellifere che crescono talvolta nei nostri orti o giardini: alcune specie,infatti, possono risultare tossiche - ma nessuna possiede il gradevole aroma del cerfoglio!Per uso aromatico o a scopo terapeutico è preferibile usare il cerfoglio fresco perché il calore ne puòfar volatilizzare sia l’aroma che i principi attivi. E’ un ottimo stimolante per la ripresa dell’organismo,in particolare a primavera. E’ diuretico ed eccita pure la produzione di bile da parte del fegato.Stimola l’appetito e facilita la digestione. Il suo succo fresco, in infuso o aggiunto al latte tiepido, èun buon calmante della tosse. Le foglie tritate si utilizzano, sotto forma di compressa, contro le pun-ture d’insetti e per combattere emorroidi, piaghe e geloni.

Il cerfoglio è una delle erbe protagoniste dell’alta cucina internazionale. Si usa perlopiù fresco e acrudo in salse alle “erbe fini”, in mescolanze aromatizzanti per formaggi freschi e in insalate miste.Le foglie fresche si possono tagliare dopo sei settimane dalla semina e si possono raccogliere tuttol’anno, ad esclusione del periodo di fioritura che va da giugno ad agosto.Il gradevole aroma di questa pianta si presta bene per guarnire e insaporire anche le pietanze leg-gere a basso contenuto calorico e non molto condite, come le verdure in genere, il pesce o il pollo.Essendo abbastanza piccante, va aggiunto ai cibi in modica quantità; nel caso di piatti comeminestre, frittate o salse che prevedono la cottura, va messo solo alla fine o a fuoco spento per nonalterarne l’aroma. Il cerfoglio viene utilizzato anche per aromatizzare liquori e aceti o al posto dellamenta per preparare bibite dissetanti. © Provincia di Trento - Ass. Prov. Agricoltura e Foreste. A cura di Iris Fontanari

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L’insalata dei contadiniIngredienti:

100 g di foglie fresche di cerfoglio100 g di crescione

50 g di giovani foglie di tarassaco50 g di giovani foglie di cicoria selvatica

un ciuffo di basilico olio extravergine di oliva, aceto di mele, sale

Lavare e asciugare la verdura, quindi mescolare traloro le diverse varietà e metterle in un’insalatiera.Condire con una salsina preparata emulsionando traloro l’olio, l’aceto e il sale.Mescolare il tutto e portare a tavola

Ragù con cerfoglio Ingredienti:

200 g di carne tritata di manzo150 g di cerfoglio intero

1 cipolla, 2 carote, pepe in graniun bicchiere di vino rosso, olio, sale

Affettare finemente la cipolla e lasciarla rosolare afuoco lento in padella con un filo d’olio e qualche granodi pepe. Quando è dorata, unire le carote tagliate apezzettini e la carne. Dopo pochi minuti versare il vino e lasciarlo sfumare. Aggiungere il cerfoglio tritato. Lasciar insaporire perun quarto d’ora regolando di sale.

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MontagnaGruppo

Filatelici di* Socio dell’Ass. “Ardito Desio”* Socio del Circolo Filatelico

“Guglielmo Marconi”* Socio Centro It. Fil. Resistenza

TUTTI IN GUERRAIl GFM RICORDA LE PORTATRICI CARNICHETEOLOGIA E MISTICA DELLA MONTAGNA BIBILICAIL SENTIMENTO NAZIONALE ATTRAVERSA LE MONTAGNESI VIVE SOLO DUE VOLTE

“Un f rancobol lo è un 'opera d 'ar te d i d imensione un iversa le , è i l r i f lesso de l l 'an ima, de l la s tor ia e de l la cu l tura d i un popolo; è l ' immagine d i fa t t i e impresepresent i e passate che hanno p lasmato e formatouna naz ione. Ent ro i suo i l imi t i r is t re t t i un f rancobol lo por ta un mondo d i s ign i f icat iche t rascendono conf in i loca l i e naz ional i . ”

www.filatelicidimontagna.come-mai l : g fm@caiauronzo. i t

c /c posta le n . 14266373 in testato:

CAI Auronzo. 32041 Auronzo d i Cadore BL

“Quando arrivi in vetta ad un monte non fermarti,

continua a salire”Un Maestro del buddismo Zen

ANTONIO RUSSO

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TUTTI IN GUERRAUomini, cavalli, muli, cani, piccioni, pidocchi, topi e virus nel documentario diQuilici... difficile omaggio

d i Alberto E. Galvan

La presenza degli animali in guerra eraretaggio delle guerre ottocentesche,ma il loro apporto fu enorme anchenella prima guerra mondiale" benché

quest'ultima stesse già chiaramente evolvendoverso il tecnologico. Esordisce con questeparole il film di Folco Quilici dedicato agli animalinella Grande Guerra. Un documentario di cui non vorrei fare qui uninutile riassunto; anche perché risulta alta-lenante nella fattura e nel contenuto. Inoltre leconsiderazioni che maggiormente mi hanno col-pito sono fatte un po' in sordina e verso la fine,come questa: "Facile paragonare, in quei luoghi,la sorte degli animali a quella dei soldati. Lamacelleria umana organizzata dai generali sem-bra rispondere ad un sistema logico quasi che lavittoria sia legata al numero delle vittime".Avrebbe potuto metterla all'inizio, come tesi cheera ben facile dimostrare. Il filmato dà spesso,infatti, la sensazione di usare l'elemento animaleper parlare d'altro; cerca di sottolineare non soloil mosaico delle cause storiche di questa guerra,ma la loro frequente assurdità ed anche losprezzo che mostravano i capi quanto alla vitadei soldati, a volte sprecata come carne damacello di cui si abbonda. Risulta però un po'sfumata la simmetriacon la superfcialità el'incostanza dell'es-sere umano versoqualcuno - in questocaso l'animale - chesino ad un istanteprima gli serviva davalvola di sfogo affet-tivo in trincea, dacompagno d'arme inbattaglia e subitodopo diventa carneda macello in cucina. E’ stata la sorte di mi-lioni di cavalli; toltidalle stalle delle fatto-rie, dagli allevamenti grazie alla “leva equi-

na" o catturati se selvaggi, e addomesticati ra-pidamente senza andare troppo per il sottile. Isoli muli italiani pare siano stati almeno 500.000;animali ai quali spetta "in sorte uno dei compitipiù duri della Grande Guerra: combattere suimonti tra neve e ghiaccio". Portano ogni sorta dipesi: obici, pezzi di artiglieria vari, bidoni perl'acqua, vettovaglie e addirittura cucine dacampo fin sulle creste impervie dei monti. Dannoil loro nome alle mulattiere appunto, lungo lequali si mostrano maestri di equilibrio più del-l'essere umano. "Uomo ed animale diventanoindispensabili l'uno all'altro; un rapporto profon-do da salvaguardare ad ogni costo. Asini o muliquesti animali erano devoti al loro padrone, alloro compagno in quella bufera della guerra". Epasserà parecchio tempo prima che i mezzimeccanici li sostituiscano.

Poste AustraliaAnimals in War� Ist Australian Light HorseBrigade. WWI. Photo AWM�54th Battalion. Cartigny,France, 1918. Photo AWM

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Poste Australia. Animals in War�HH Hall 4th Pigeon Sect. 6th Division Photo AWM�Dogs in War. Photo AWM

C'è poi una quantità imprecisata di piccioniviaggiatori. Nel corso dei quattro anni di guerrale tecnologie avanzano, come abbiamo detto,ma le comunicazioni telefoniche o telegrafichepossono essere facilmente intercettate, il pic-cione molto più difficilmente e può percorrerefino a venti chilometri per tornare, fedele, allasua colombaia. Così si costituiscono veri e pro-pri reparti per i colombi viaggiatori; dotati dicolombaie auto-trasportate o addirittura di vago-ni-colombaia.Un posto tutto particolare spetta ai cani. LaGermania aveva già una lunga tradizione nel-l'addestramento di questi animali ai finipolizieschi e fu la prima ad ammaestrarne inquantità per usarli al fronte. Pare fosseroalmeno 50.000 solo quelli tedeschi. La loro fun-zione era essenzialmente di cercare i feriti, diabbaiare per attirare l'attenzione o di portare ilberretto dello sfortunato, quale prova, ai soccor-ritori. Furono anche addestrati a trainare slitte opiccoli carretti per trasportare in spazi ristrettimunizioni, acqua, cibo e a volte anche feriti. Epoi, certamente, servirono come campanellod'allarme all'avvicinarsi dei terribili gas mortali.Da quel momento il soldato aveva pochi mapreziosi secondi per indossare la maschera;ammesso poi che questa fosse sufficiente. Nellostesso tempo, e non secondariamente, erano"valvola di sfogo ai sentimenti". Ci sono quantitàdi diari e commoventi lettere dal fronte che testi-moniano di come "cane ed uomo diventavanouna coppia fissa; un binomio sospeso fra vita emorte". Ciò che può amareggiare, dunque - anche aproposito degli animali - non è tanto il sacrificioin caso di necessità, ma l'inutile crudeltà dovutaa quella noncuranza e superficialità che trascuradi fare anche il più ovvio dei gesti 'umani'. Comequello di liberare dei cani, appunto, invece diabbandonarli legati e dunque condannarli amorte per fame. Si allude qui al destino crudelecui dei soldati italiani hanno lasciato - nell'eufo-ria del momento - un gruppo di pastori marem-mano-abruzzesi sull'Adamello nel 1918, dimen-ticandoli in una stanza della postazione che sta-vano sgombrando per inseguire gli austriaci inritirata.Di che stupirci, d'altra parte, visto che l'idea dieroismo era ancora collegata alla quantità di vit-time: "L'ultimo giorno di guerra - quando la paceera già sicura - per l'Italia coincide con l'ultimafolle carica di cavalleria decisa dal fanatismo

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eroico dell'ufficiale al comando". Anche questofatto viene ricordato alla fine del filmato; qualeamara ciliegina sulla torta, suppongo. Forsel'eroismo guardava alla morte con sprezzo senon addirittura con desiderio! Eppure nel corso di quei quattro anni di bellige-ranza si era già ben sperimentato e capito cheormai la guerra sarebbe stata sempre più tecno-logica e che di conseguenza la vita del soldatonon aveva più lo stesso peso simbolico. "Scoperti dagli inglesi, usati per la prima voltadai francesi, i gas tossici saranno usati senzascrupoli da tedeschi ed austro-ungarici". A par-tire dal 6 luglio 1917 questi ultimi fanno grandeuso dell'iprite conosciuto con il nome di gasmostarda. Penetra attraverso i vestiti e dunquele maschere antigas sono inutili. In quel soloprimo giorno di impiego 2000 sono i morti fra gliitaliani; altre migliaia nei giorni successivi ed unaquantità imprecisata di invalidi a vita. Altrettantoefficace il fosgene; gas incolore che a Plezzo,per esempio, farà strage e porterà alla disfatta diCaporetto: 250.000 prigionieri, 400.000profughi, 40.000 morti. Il documentario ribadisce che la colpa di questadisfatta fu essenzialmente del solo Cadorna chenon seppe valutare le informazioni, i segnali pre-monitori e organizzare la controffensiva italiana.Ma non posso evitare di riandare a quanto lettoin passato di soldati fatti apposta ubriacare per-ché altrimenti non avrebbero eseguito l'ordine,palesemente assurdo, di andare a farsi trucidaresul filo spinato di una trincea chiaramente incon-quistabile e, quand'anche conquistata, total-mente inutile. Ugualmente assurdo costringeregli alpini a sacrificare la vita su creste di mon-tagna di modestissimo valore strategico. Mi sto chiedendo, una volta ancora, se l'eroismoquando corrisponde alla morte non sia soloqualcosa di inutile, ma anzi uno specchietto perle allodole della consolazione. Perdonatemi lafacile filosofia, ma se la nostra società nonriesce a sintetizzare l'idea di che cosa sia ilcosiddetto bene nemmeno per l'insieme di unastessa persona, meno che mai può farlo quan-do allude al bene comune. Temo che piùl'essere umano resterà caratterizzato da quel-l'interna ed equivoca spaccatura per cui la parte"animale" è guardata con distacco da quella"spirituale" proiettata sempre più nel vuoto, tantomeno ci si potrà aspettare una salutare sintesifra le due componenti. Vale a dire, nel nostrocaso, che il soldato - così come il capitano la

truppa, il dirigente con i dipendenti o gli operai, ibanchieri con gli azionisti o correntisti - uti-lizzerà/amerà gli 'animali' che ha a disposizionefintanto che non si troverà nella possibilità dipoterne fare a meno. Giustificheremo poi il tutto come "effetti collate-rali" inevitabili. Se vale per gli esseri umani fi-guriamoci per gli animali. Buon per loro anzi chela guerra sia diventata sempre più tecnologica:ad entrare nel contingente di quegli "effetti"resteranno soprattutto gli esseri umani definiti"civili". Destino inevitabile, si dirà; ma allora per-ché attribuire ad animali onori di cui non pos-sono essere coscienti, senza contare che nonscelgono certo di andare in guerra? Sarebbeanche più corretto attribuirli a polli, tacchini,maiali che certamente hanno sempre partecipa-to a diete di ogni tipo, comprese quelle militari.Ma diamo tutti per scontato che la cosa risul-terebbe di cattivo gusto. Forse è perché sappi-amo che la guerra sarebbe sempre evitabile edunque, con un po' di retorica, ci consoliamo diessere incoerenti anche dove potremmo nonesserlo. Possiamo così ricordare con gratitudine gli11.000.000 di cavalli, muli ed asini, i 200.000piccioni viaggiatori, i 100.000 cani che gli esercitihanno usato e che in buona parte sono statiuccisi e lasciati spesso marcire sul campo;assieme a molti soldati naturalmente.Scopriamo grazie a questo documentario diQuilici che nel dopo guerra i campi di battaglia -quei terreni che nei vari paesi d'Europa risulta-vano così ben concimati - furono sfruttati da unacelebre industria inglese di fertilizzanti. Lo stratosuperficiale del terreno, comprese le ossaumane beninteso, fu macinato insacchettato espedito a fertilizzare l'agricoltura nel mondointero. Che sia una forma di coerenza?A ben vedere tutte quelle brave creature, finite aconcimare la madre terra, hanno anche un altromotivo per essere grate al loro destino. Alcunedi loro - non molte per la verità - sono state fattediventare eroi e divi dai giornali e dal cinemaamericano. Stubby, un pitbull randagio che aveva imparatoa riconoscere l'odore dei gas ed il fischio dellegranate in tempo per evitarle, fu dichiarato eroedella Marna ed elevato al grado di sergente sulcampo (sic). Divenne una star dei media ameri-cani. Cher Ami era un piccione femmina che nono-stante fosse stata ferita ad una zampa da un

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cecchino tedesco riprese il volo, portò l'impor-tante messaggio a destinazione e contribuì cosìa salvare gli appartenenti al "BattaglionePerduto" della 77ª divisione nel corso dellabattaglia delle Argonne avvenuta nell'ottobre del1918. Venne insignita con la Croix de guerre ela medaglia Oak Leaf Cluster per i suoi eroiciservizi. Considerata eroe nazionale, si trova oraimbalsamata nel Museo di Storia Americana diWashington. Però - e sottolineo - si scoprì soloal momento dell'imbalsamazione che era femmi-na. D'altra parte è pur sempre vero che lei erastata spinta solo dall'istinto di tornare al suo nidodi partenza, mica da quello eroico!Scopriamo che il pastore tedesco Rin Tin Tin,eroe del West americano in telefilm di decenni orsono, era stato trovato in un canile bombardatodella Lorena. "Un sopravvissuto fortunato; unasorta di monumento vivente dell'abnegazionedei cani della Grande Guerra". Guarda caso,non viene qui precisato che fu trovato cuccioloalla fine della guerra e che il divo del cinema fupoi un suo pronipote. Anche noi italiani abbiamo in tale ambito la no-stra consolazione. Riguarda, per quanto moltoindirettamente, la cavalleria; arma che "rappre-senta la retorica più evidente del mito dellaGrande Guerra. Una retorica che dovrà prestofare i conti con la realtà". Conti che FrancescoBaracca sa fare con prontezza. Stiamo parlandoper l'appunto del suo cavallo di battaglia; non diquello in carne ed ossa, ma dell'idea del cavallocosì cara al corpo della cavalleria a cui appuntoapparteneva il celebre maggiore. Corpo che erastato tanto importante nelle guerre ottocen-tesche; al punto che quando Baracca decise dipassare a cavalcare un aereo da caccia lo con-trassegnò con la sagoma di un cavallino ram-pante. Quella stessa che, tale quale, passò poia simboleggiare i cavalli rombanti della Ferrari.E' il "monumento più diffuso fra quanti furonodedicati agli animali della Grande Guerra".Collegamento un po' diluito, ma almeno ora nesiamo a conoscenza. Nessun divo tra asini e muli, naturalmente.Quanto alla loro presenza nei monumenti pare siriduca a quella anonima, accanto all'alpino, diVilla Borghese. Probabilmente è un animalemolto utile, anche fedele, ma poco comunicati-vo, poco decorativo; si presta poco adintimistiche e fantasiose emozioni.Molto coscienziosamente il nostro documentariopassa poi a rendere onore al numero nelle pre-

senze, anche se non certo al merito. Entranoinfatti in guerra animali ai quali non sapremmocerto riservare qualche gratitudine. I più presentie diffusi nei luoghi della Grande Guerra sono itopi. Vivono soprattutto della carne e del sanguedei cadaveri. Così li descrive un ufficiale italiano:"Topi grandi, con code interminabili; correvanosulle panche, passeggiavano sul viso; venivanoa leccare le labbra. L'unico modo per affrontarela coabitazione era quello di avvolgersi con lecoperte e lasciare campo libero ai topi". Certo i parassiti - pidocchi e pulci - dovevanoessere ancor più numerosi. Data l'impossibilitàdi lavarsi per settimane, "i fanti preferisconodormire bagnati dalla pioggia e al freddo pur diintorpidire pulci e pidocchi. I parassiti si insinu-ano attraverso le fasce ai polpacci e provocanopiaghe e intossicazione. I pidocchi sono gliesseri più odiati e temuti da tutti i soldati". Quasi volesse confermare certe perplessità, ilfilmato introduce un altro "animale" i cui morsidiventano ad un certo punto terribili: la fame.Un'entità che trasforma gli amici animali dasoma in carne da macello. In proposito - altrodettaglio tecnologico importante - scopriamo didover ringraziare gli americani che disponevanodi abbondante carne in scatola. Il non usufruiredi questa risorsa pare sia costato la sconfitta aitedeschi; di sicuro agli austriaci che mancandodi adeguati rifornimenti al momento dello sfon-damento di Caporetto, si sono dovuti arrestaresul Piave. Ma giusto in quel periodo "un nuovo esserevivente si insinua, il più pericoloso nemico di tuttii soldati: il virus"; quello dell'influenza che saràchiamata spagnola perché, pur partita dallaCina, approda in Europa portata dai soldatiamericani sbarcati in Spagna. " E' un'arma dellanatura che miete più vittime di tutti i gas e di tuttele bombe dell'intero periodo di guerra ": nelmondo contagia un miliardo di persone e neuccide ventidue milioni. Quasi la metà della trup-pa è bloccata dalla febbre, ma per chi è alcomando non cambia molto: "Vede, caro capi-tano, il comando del settore Nord-Est ha emana-to le direttive in ordine alle operazioni invernalicon la testuale raccomandazione di tenere altolo spirito combattivo della truppa e non lasciarpoltrire gli uomini nell'ozio". Quest'ultima è una citazione da Torneranno iprati (2015), al quale abbiamo pensatoriconoscendo nel documentario di Quilici certi fil-mati dell'Istituto Luce già utilizzati da Olmi.

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Abbiamo così constatato, rivedendo il film delmaestro, come l'onestà intellettuale imporrebbedi non avvicinare troppo animale ed essereumano, anche quando sono apparentementevittime dello stesso destino, visto che il primo lopuò solo subire. Abbiamo ripensato all'ufficialeche nel film, sofferente per quella febbre appun-to, può ribattere all'amico graduato: "Non c'erala morte nei nostri sogni. Non ci saranno mai lecondizioni giuste. E poi cosa serve che si facciagiustizia dopo? Dopo è troppo tardi. Rinuncio algrado, mi riprendo la mia dignità".L'atteggiamento comune, però, è forse riassu-mibile nelle parole che il giovanissimo tenentesubentratogli al comando scrive alla madre:"Sono qui da poco più di un'ora e mi pare diessere diventato di colpo un vecchio, al puntoche i miei studi e persino i miei ideali qui hannoperso il loro significato, come la mia giovinezza".Ma comunque conclude: "La cosa più difficilesarà perdonare; se un uomo non sa perdonareche uomo è ?". E' bene perdonare anche l'as-surdo intrecciato alla cattiva fede ?Qualcuno della truppa ha appena detto: "Diodove lo cerchi ?! Nessuni sa dove che sesconde 'l Padre Eterno, gnanca 'l Papa. No 'l gascoltà so fiol su la croz, vuoi che ascolti noi, poricani !?". E sarà ancora la voce di un soldatosemplice a concludere il film: "Finita anchequesta guerra tutti torneranno per dove sonovenuti. Qui sarà cresciuta l'erba nuova e quelloche c'è stato qui, di tutto quello che abbiamopatito non si vedrà più niente; non sembrerà piùvero".Ripenso ad una frase detta da un sopravvissutodei campi di sterminio nazista che dopo anni viera tornato come turista. Non ricordo di qualetrasmissione televisiva si trattasse, ma mi si èscolpita nella memoria quasi alla lettera: "Bastal'erba cresciuta al posto del fango a cancellarequel senso di orrore, a trasformare il luogo in tut-t'altra cosa!".Facendo eco all'amarezza esistenziale di Olmipossiamo chiederci se il gregge umano conti-nuerà ad accettare in eterno - fra le esclusivitàche lo caratterizzano - la follia della guerra.Animali e vegetali possono idealmente restarnefuori e conservare un'aura fra poetica e magica;ma solo per un momento! Poi, come sul larice diTorneranno i prati, scoppia loro addosso la tra-gica realtà; ma non ne sono responsabili, non nehanno merito, la possono solo subire.�

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ANIMALI NELLA GRANDE GUERRA

Film con la regia di Folco QuiliciNella Prima Guerra Mondiale, accanto agliuomini ha combattuto un esercito di animali.Muli, buoi, cani, cavalli, maiali, piccioni venen-nero utilizzati per lo spostamento di reparti emateriali, per le comunicazioni e per il sosten-tamento delle truppe. La forzata coabitazionecon gli uomini avvicinò gli uni agli altri in unpossibiole destino di morte e sofferenza: uffi-ciali e militari di truppa avevano così la possi-bilità di dare e ricevere affetto, ma anche quel-la di occcuparsi di esseri più deboli e del tuttodipendenti da loro. Nel corso della GrandeGuerra gli animali non soltanto “combatterono”a stretto contatto con il soldato, ma con-tribuirono fattivamente all’alimentazione disvariate decine di milioni di militari.

Film riconosciuto di interesse culturale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Turismo - Direzione Generale per il Cinema

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Il Gruppo Filatelici di Montagna ricorda le PORTATRICI CARNICHE

L a singolare epopea delle Portatrici Carniche

si colloca in un arco temporale di 25 mesi,

tra agosto 1915 e ottobre 1917, nell’ambito

delle vicende della Prima Guerra Mondiale,

che per l’Italia iniziò ufficialmente il 24 maggio 1915.Teatro delle loro imprese fu la dorsale compresa fra ilMonte Peralba (sorgenti del Piave) e Montemaggiore(sorgenti del Natisone), denominata dall’EsercitoItaliano “ Zona Carnia ”.Per un tratto di circa 16 km di confine italiano, dalMonte Cogliàns (m 2780) al monte Cuestalta (m 2198)le Portatrici Carniche vissero quanto si svolgeva nellalinea di combattimento, a fianco dei cica 10/12mila sol-dati che presiedevano i sottosettori Alto But e ValChiarsò. Una popolazione umana che per vivere ecomabattere necessitava di cibo, armi, cure mediche,materiali, e non ultimo, incoraggiamento. Dal fondo valle dove erano ubicati i depositi militari e imagazzini, sino alla linea di fronte, non esistevano car-rarecce o ratabili che permettessero il transito diautomezzi o animali con carri da trasporto. L’unicoanello di congiunzione era infatti garantito da sentieri estrette mulattiere, percorribili perlopiù caricando a spal-la ciò che il fronte richiedeva quotidianamente. Fu quel-l’anello - quasi simbolo del vincolo che le legava aimariti, ai fratelli, ai parenti, ai vicini di casa impegnatisul fronte di guerra - che le donne di Paluzza e deiComuni limitrofi di Sutrio, Cercivento, Treppo Carnico,Ligosullo, Paularo e altri posti sulla linea di confine per-corsero per nove stagioni, trasportando loro stesse aspalla quanto occorreva agli uomni della pima linea.“ Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan “(Andiamo, altrimenti quei poveri muoiono anche difame), fu il motto delle Portatrici Carniche, già abituatea uno stile di vita povero e arcaico, che trasformaronole loro gerle, precedentemente utilizzate nei lavori di

campagna, in contenitori di cartucce, viveri, granate pesanti talvolta anche 30 kg.Le volontarie aumentarono presto di numero tanto da costituire un vero e proprio Corpo di Ausiliarie compostoda donne più o meno giovani - dai 15 ai 60 anni d’età - che andò ad affiancare l’Esercito impegnato sulle vettecarniche. Dotate di un bracciale rosso e di un libretto personale di lavoro recanti il numero del reparto da cuidipendevano e animate da una sorta di disciplina militare, le Portatrici partivano a gruppi di 15 o 20 dai paesi dimontagna, quando non era l’alba, e imponendosi una tabella di marcia, facevano quotidianamente la spola trail fondo valle e la linea del fronte, aiutate nelle emergenze dai bambini e dagli anziani, ricevendo un compensodi 1,50 lire per ciascun viaggio, compiuto con un senso civico e di responsabilità pari solo la grado di coraggiomilitare degli uomini schierati a difesa del confine italiano, in sentieri che portavano a superare dai 600 ai 1200metri di dislivello al giorno, in ripida salita. Una media di 7/8 ore di cammino al giorno, che si allungava in invernoquando nella neve le loro gambe affandovano fino alle ginocchia, per portare agli alpini qualche notizia delpaese, consegnare armi, cemento, legname, pietrisco, viveri e biancheria fresca di bucato e quindi caricare nuo-vamente le gerle di materiali e indumenti da lavare al rientro alle case, dove le attendevano i bambini, i vecchi,le stalle, gli orti.Accadeva che per il ritorno fosse loro chiesto di portare a valle, in barella, i soldati feriti o caduti in combattimen-to. I primi per essere poi trasferiti agli ospedali, i secondi per ricevere degna sepoltura nel cimitero di guerra diTimau, dopo che le stesse portatrici avevano scavato la fossa.

Museo di Timau. Manichino Portatrice Carnica

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Fu nelle giornate del 26 e 27 marzo 1916 che le donne carniche dimostrarono - se ancora non se ne fosse coltoil valore di vetta in vetta, di valle in valle - un coraggio che mai ci si sarebbe atteso: di fronte alla perdita del PalPiccolo e della sua riconquista con furibonde lotte, quando sulla linea di battaglia si contarono fra i nostri 190morti, 573 feriti e 25 dispersi, le donne di Timau si presentarono e si offrirono come serventi ai pezzi di artiglieria,chiedendo inoltre di essere armate di fucile. Non fu necessario il loro impegno, ma quel gesto servì a rincuorarei soldati che conbattevano e che provarono ammirazione e riconoscimento per queste valorose donne.Delle 1445 Portatrici - tutte insignite nell’alta onorificenza di “ Cavaliere di Vittorio Veneto “, in tre furono ferite:Maria Muser Olivotto, Maria Silverio Matiz e Rosalia Primus. Maria Plozner Mentil fu invece colpita a morte da un cecchinoaustriaco il 15 febbraio 1916, mentre giungeva con la suapesante gerla a Casera Malpasso (1619 m). Aveva 32 anni,quattro figli a casa e un marito combattente sul fronte. Ebbe unfunerale con gli onori militari, alla presenza di tutte le com-pagne, fu seppellita a Paluzza. Il 3 giugno del 1934 la suasalma fu traslata solennemente al tempio Ossario di Timau,insieme ai corpi dei 1763 soldati caduti combattendo sui vicinimonti carnici. Il 29 aprile 1997, il Presidente della RepubblicaOscar Luigi Scalfaro le ha conferito la Medaglia d’Oro al ValorMilitare (vedi QVOTA 864 N. 32 pag. 85).A Paluzza sorge la Caserma degli Alpini che porta il suo nome; è l’unica caserma in Italia intitolata a una donna.Nel 1991, con lo scioglimento del Battaglione Val Tagliamento la caserma è rimasta vuota. Dopo circa dieci annidi abbandono, la proprietà da statale è passata al Comune di Paluzza che ne ha concesso una parte al localeGruppo A.N.A. Pal Piccolo. A Timau, nel 1992 fu eretto un monumento a ricordo di Maria Plozner Mentil e di tutte le Portatrici Carniche.�Questo è un pezzo di storia italiana, semplice e disadorna di tanti fronzoli e orpelli; è la semplicità dell’Altissimoche viveva nell’anima di quelle donne cento anni or sono.La Batteria comando e supporto logistico del 3° Reggimento Artiglieria Terrestre (montagna) è intitolata a MariaPlozner Mentil.

Queste note sono state tratte da “El Masegno” CAI Mirano n. 46 e da “La voce del C.I.F.R.” n.108 che si ringraziano.

Busta ricordo nel Centenario della morte di Maria Plozner Mentil M.O.V.M. Autografo del Generale degli Alpini Roberto Rossini

IL GRUPPO FILATELICI DI MONTAGNA RICORDA LE PORTATRICI CARNICHE � 89

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T re monti nominati nella Bibbia hannoun rilievo, un'incidenza tutta particola-re. Cominciamo col "monte Sion".Cominciamo di qui, anche se non è il

primo dal punto di vista logico, non soltanto per-ché il monte Sion riassume in sé tutta la tensio-ne verso l'alto delle pagine bibliche - comeabbiamo potuto vedere anche attraverso losguardo che si leva verso l'alto e verso il monte,l'unico che può dare la salvezza - ma anche per-ché col monte Sion è stato identificato da partedella tradizione ebraica e cristiana prima e poianche da parte di quella musulmana, un altromonte, che è radicale per tutte e tre le religionimonoteiste, ovvero il monte di Abramo, il monteMoria, monte che non è rintracciabile in nessunatlante. Faremo solo tre considerazioni essenziali. La prima: l'identificazione tra Sion e monteMoria. Che cos'è il monte Moria? È per eccellen-za il monte della fede. Sappiamo che nel rac-conto del capitolo 22 della Genesi, una paginatra l'altro di straordinaria fragranza non solo teo-logica, ma anche narrativa, Abramo si trova difronte alla prova più ardua della sua fede. Dioinfatti lo invita quasi a smentire se stesso:Isacco non era forse il figlio della promessa equindi il dono di Dio per eccellenza? Comeandare contro la promessa stessa di Dio perordine dello stesso Dio, uccidendo Isacco, can-cellando per ciò stesso il senso della promessa?Si tratta qui, dunque, di un'esperienza che è l'e-sperienza più lacerante possibile, più tenebrosa.In quel momento appare un Dio amato e crudeleallo stesso tempo e Abramo deve credere in luicorrendo il rischio estremo, il rischio dell'assur-do, perdendo tutte le ragioni del credere, com-prese le ragioni stesse della fede, cioè il figliosuo, dono di Dio. È per questo motivo che l'au-tore sacro, nel descrivere i tre giorni di viaggioper ascendere le pendici del monte Moria, mettein scena un dialogo tra Abramo e suo figlio conti-nuamente ritmato sulle relazioni di paternità efiliazione: "padre mio", "figlio mio", si diconocontinuamente tra di loro, aggrappandosi all'uni-co valore che essi hanno, quello della paternitàe della filiazione, cioè a un valore umano, inquanto non c'è più ormai alcun valore evidentedi fede che possa aiutare in questo pellegrinag-gio verso l'assurdo. E lassù sul monte, alla fine,si consuma il dramma.

Come sappiamo questa pagina della Genesi ha avuto un commento straordinario in un'opera digrande finezza filosofica e teologica, “Timore etremore” di Soeren Kierkegaard. Il filosofo dane-se fa una considerazione a mio avviso moltointeressante nel parlare del monte Moria-Sioncome monte della fede. Egli ricorda come que-sto viaggio, questa ascesa al monte sia sicura-mente il paradigma per eccellenza del vero cre-dere e commenta questa considerazione utiliz-zando un'immagine che tra l'altro appartiene almondo dell'Oriente. Egli dice che quando lamadre deve svezzare il suo bambino si tinge dinero il seno perché il piccolo non l'abbia più adesiderare; in quel momento il bambino odia suamadre perché gli toglie la sorgente del suo pia-cere, del suo cibo, del suo alimento; in quelmomento il bambino sente che la madre in uncerto senso lo costringe ad andare lontano dalei. Questo è un gesto che alla madre costa; visono, come sappiamo, delle madri che questogesto non lo fanno mai. Tutti abbiamo conosciu-to nella vita qualche persona di cui si usa direche non ha avuto mai il cordone ombelicalestaccato da sua madre; si tratta di quelle perso-ne incapaci, sempre timorose, che semprehanno bisogno di tornare al grembo dellamadre, che hanno paura del mondo. La madre,dunque, quando stacca il figlio da sé, compie ungesto che a lei costa, ma alla fine risulta ungesto d'amore perché in quel momento il figliodiventa finalmente una creatura libera che cam-mina per il mondo da sola. Il gesto che Dio fa sul monte Moria vuol signifi-care dunque che il credere deve essere fruttototale e assoluto di una decisione libera dell'uo-mo, non dipendere cioè dall'aver ricevuto deidoni, con la relativa certezza quindi che il crede-re sia simile a un evento economico, un dare ericevere. È per questo motivo allora che nel fina-le si dà del monte Moria un'etimologia che,come spesso succede nelle etimologie bi-bliche,filologicamente non è probabilmente fondata:secondo tale etimologia il significato del terminesarebbe "là sul monte Dio provvede"; è dunqueil monte della provvidenza di Dio, dell'amore diDio nei confronti della sua creatura, è il luogo nelquale Dio vede che ormai la fede di Abramo ètotale e assoluta, pronta anche a strapparsi ilfiglio dalle proprie viscere. Seconda considerazione a proposito del monte

TEOLOGIA E MISTICA DELLA MONTAGNA BIBLICAL’allenamento per chi vuole salire di Gianfranco Ravasi

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Sion. Facciamo riferimento a Isaia (2, 1-5). Sitratta di una pagina anche questa di grandebellezza letteraria, è il grande Isaia, il Dantedella letteratura ebraica. Qui si rappresenta ilmonte Sion avvolto di luce mentre delle tenebreplanetarie, potremmo dire, si stendono su tutto ilmondo. All'interno di questa oscurità si muovonoprocessioni di popoli e queste processionihanno come punto di riferimento questo monte,che certo non è il più importante della terra. Ipopoli vengono da regioni diverse, salgono ilmonte, il monte della parola di Dio, e una voltache sono saliti in Sion ecco che lasciano caderedalle mani le armi; le spade vengono trasfor-mate in vomeri e le lance in falci e Isaia dice:"Essi non si eserciteranno più nell'arte dellaguerra". Sion diventa il luogo nel quale tutti ipopoli della terra convergono e là fanno caderel'odio e costruiscono invece la pace; cancellanola guerra e costruiscono un mondo di armonia. E qui, per inciso, possiamo osservare come iltesto di Isaia sia attuale; sempre nella storia diIsraele le pietre di Sion sono striate di sangue, eancor più, purtroppo, ai nostri giorni. Tutti ipopoli hanno dunque, come dice la Bibbia, dirit-to di cittadinanza in Sion, non solo gli Ebrei; etutti i popoli, quando trasformano i vomeri inspade, gli strumenti per lavorare la terra in stru-menti di guerra, compiono un atto blasfemo neiconfronti del sogno di Dio. Nel salmo 87 possiamo incontrare una ulterioreconferma a quanto abbiamo appena detto.Troviamo qui una formula che in ebraico èripetuta tre volte, anche se con una variazione:jullad sham / jullad bah, "tutti là sono nati / inessa sono nati" tutti i popoli della terra. Questaformula, tecnicamente parlando, era la formulapropria dell'anagrafe, dell'iscrizione nei registridi una città. Nel salmo in questione l'elenco dellenazioni, dei luoghi che vengono citati, è in prati-ca la planimetria del mondo allora conosciuto; siva da Rahab, che indica l'Egitto, a Babel, cheindica Babilonia, la superpotenza occidentale equella orientale, quindi. Viene nominata anchela Palestina, i Filistei, anche loro con diritto di cit-tadinanza in Gerusalemme; vengono nominatitutti i popoli della terra, anche i più remoti: tuttitrovano in Gerusalemme il loro luogo di nascita,tutti hanno un diritto nativo in Gerusalemme. Allafine il poeta immagina che tutti questi popoli cosìdiversi tra loro siano in Sion e siano là cantandoe danzando, ripetendo questa loro professioned'amore nel monte Sion, il monte del tempio: "Inte sono tutte le nostre sorgenti". Terza considerazione: dopo il monte della fedee il monte della pace, ecco ora profilarsi in Sionil monte di Dio per eccellenza, il monte dell'in-

crocio e dell'abbraccio tra Dio e l'uomo. È bellis-simo il termine con cui viene definito nella Bibbiail tempio; di per sé è il termine che viene usatoquando si parla del santuario mobile nel deser-to, lo si chiama in ebraico 'ohel mo'ed, cioè "latenda dell'incontro", naturalmente la tenda del-l'incontro degli Ebrei tra di loro: è, infatti, il luogodell'assemblea, qahal in ebraico, l'assembleadei figli di Israele. Ma è anche il luogo dell'incon-tro e dell'abbraccio dell'uomo con Dio. Possiamoosservare allora come il santuario di Sion noncorrisponda ai templi magici: qui si tratta dell'in-crocio, dell'intreccio, dell'abbraccio di duelibertà. Tant'è vero che, se Israele è peccatore,Dio non è costretto a stare nel tempio di Sion.Conosciamo la riflessione che fanno, ad esem-pio, i profeti Geremia ed Ezechiele a propositodella presenza di Dio in Sion. Secondo Geremia,se Sion si trasforma in una spelonca di ladri, Dioallora non è più lì, non è costretto nel perimetrosacro e consacrato, quasi per una costrizionemagica. È significativo il capitolo ottavo del Primo Librodei Re dove si parla della grande preghiera didedicazione del santuario di Sion che Salomonepronuncia dopo aver eretto il tempio. Vi sonodue frasi che ora riporteremo e che mostranoveramente come lì si compia il mo'ed, cioè l'in-contro, il convegno. Al versetto 27 si dice: "I cielie i cieli dei cieli, o Signore, non ti possono con-tenere, quanto meno questa casa che io hocostruita!". Dio, che è infinito, non può esserecompreso nel perimetro sacro di un tempio, Dionon può essere costretto magicamente a esserelì, ma come si dice al versetto 30: "Ascolta lasupplica del tuo (...) popolo, quando pregheran-no in questo luogo. Ascoltali dal luogo della tuadimora". Possiamo qui osservare come Diogiunga dalla sua dimora celeste, che è il simboloappunto della trascendenza, ad ascoltare il gridoche l'uomo eleva verso di lui: ecco allora che iltempio di Sion diventa il luogo del dialogo. Di Sion abbiamo dato dunque tre definizioni: inprimo luogo monte della fede, della fede piùpura, più assoluta, sotto il nome di monte Moria,il monte sul quale Abramo, padre di Israele,padre della nostra fede di cristiani, padre attra-verso Ismaele dell'Islam, compie il suo atto difede. Ciò che è importante qui non sono leopere, ma il suo atto di fede in Dio, fede pura etotale. Seconda definizione: luogo della pace,del sogno di Dio in un'umanità che si incrocia esi riunisce in Sion. Infine, terzo momento, luogodell'intreccio delle mani di Dio e dell'uomo attra-verso il santuario. Passiamo ora al secondo monte che costituisceun momento obbligato di riflessione: il monte

TEOLOGIA E MISTICA DELLA MONTAGNA BIBLICA � 91

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Sinai, un monte evidentementecarico di risonanze, a propositodel quale vorrei però anche inquesto caso indicare solamentetre dimensioni. La prima: il Sinai èil luogo della teofania, dellagrande manifestazione del Diomisterioso. "Sul far del mattino vifurono tuoni e lampi, una nubedensa sul monte, un suono fortis-simo di tromba, tutto il popolo cheera nell'accampamento fu scossoda terrore" (Esodo, 19-26). Siamodi fronte alla celebrazione pereccellenza del tremendum di Dio,è il luogo questo nel quale Dio ci fa scoprire tuttal'impotenza dell'uomo - chi è stato sul Sinairiesce anche a intuirlo proprio nell'atmosferastessa di questo monte, monte solitario, montedesolato, arido, attraversato dal vento, prosciu-gato dall'incandescenza del sole, mutevoleanche per i cangianti colori delle sue pietredurante la giornata. Seconda riflessione: è anche il luogo della "teo-logia", cioè non solo della manifestazione, del-l'apparizione di Dio, ma anche della parola diDio. A questo proposito vorrei ricordare, oltre alDecalogo che ci giunge da questo monte - ledieci parole fondamentali sulle quali si organizzaancora la nostra pur dispersa e tante volteanche disordinata e distratta società - soprattut-to un bellissimo versetto del quinto libro dellaBibbia, il Deuteronomio, laddove Mosè, ricor-dando quell'esperienza, dice: "Il Signore vi parlòdal fuoco, voi udivate soltanto qôl devarîm [cioèuna voce di parole, un suono di parole], ma nonvedevate alcuna figura", non c'era nessunatemunah, nessuna figura, zulatî qôl, ma "soltan-to una voce". Bellissima questa intuizione che ciricorda come sul monte noi scopriamo soltantola voce circondata dal silenzio. Eccoci dunque auna seconda esperienza fondamentale: la paro-la da scoprire sul monte, la "teo-logia". In terzo luogo vorrei porre l'accento su di unvocabolo che non è evidentemente nella Bibbiae neppure è normalmente usato nella teologia; èun vocabolo coniato da Pierre Teilhard deChardin per parlare del manifestarsi di Dio chesi riflette in noi: egli utilizza il termine "diafania".Teofania, teologia e ora diafania, ovvero il pas-sare di un Dio "diafano" attraverso di noi, attra-verso la terra, attraverso il monte in questocaso. È dunque per questo motivo che il Sinai diventaanche il luogo dell'intimità di Dio, non unica-mente del Dio terribile, affatto diverso da noi,totalmente altro, non soltanto del Dio che ti dà la

sua parola, ma anche del Dio chepersino si adatta a te, entrandomisteriosamente accanto a te contenerezza. A questo punto non possiamoallora prescindere da due riferi-menti biblici molto significativi.Innanzitutto quella bellissima,indimenticabile esperienza di Eliasul monte Horeb - un altro nomeper il Sinai - che viene descrittanella Bibbia nel primo libro dei Re.Dio non si presenta qui con l'ap-parato teofanico, pur legittimo,Dio non è nel vento che spacca la

roccia, non è nel fulmine, nella folgore, non è nelterremoto che sommuove la terra, ma semplice-mente Dio è in "un mormorio di vento leggero".In ebraico tutto ciò viene espresso con treparole, tre parole che sono veramente un ca-polavoro anche dal punto di vista dell'intuizione:Elia scopre soltanto qôl demamah daqqah, cioèqôl "voce, suono", demamah "silenzio", daqqah"sottile". Dio diventa una voce di silenzio sottile,un silenzio "bianco" che riassume in sé tutti icolori, come il bianco riassume tutto lo spettrocromatico. Dio si adatta talmente da avvolgercipacatamente con la quiete del silenzio.Un'esperienza appunto che anche il laico, incon-trando il silenzio, prova sulla montagna. L'altro riferimento è al Sinai cristiano, cioè almonte delle Beatitudini. Come sappiamo gliesegeti spiegano che seppur la tradizione l'ab-bia identificato con quel bellissimo poggio che siaffaccia sul lago di Tiberiade, in realtà si tratta diun monte teologico più che di un monte orografi-co, topografico. Tant'è vero che una parte deldiscorso che Matteo mette sul monte, Luca, nelcapitolo sesto del suo Vangelo, lo ambienta inun luogo pianeggiante, campestre. LeBeatitudini probabilmente sono enunciate inun'area attorno alla sponda del lago diTiberiade, abbiamo però bisogno di collocarleproprio su un monte, il monte della teofania,della teologia, della diafania perché in MatteoCristo diventa il nuovo Mosè, il Mosè per eccel-lenza, che raccoglie e compendia tutto l'inse-gnamento di Mosè. Noi sappiamo che Gesù fariferimento proprio ai testi del Sinai portandoliall'estreme conseguenze, radicalizzandoli,mostrando la vicinanza assoluta di Dio che,attraverso le Beatitudini e il discorso della mon-tagna, si presenta come il Dio d'amore, dellapienezza, della intimità assoluta. Lutero usavaun'espressione paradossale in latino, persinoironica potrebbe apparire, per rappresentareCristo in quel momento. Egli diceva che sul

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monte delle beatitudini Cristo è MosissimusMoses, è il Mosè all'ennesima potenza. Tuttoquello che Mosè aveva rappresentato ora Cristoce lo rappresenta mostrandoci non solo latrascendenza, non solo la parola di Dio maanche la sua intimità. Giungiamo così al terzo e ultimo monte dellaBibbia. Il monte che ora citeremo, quasiinesistente dal punto di vista orografico, è unpunto di passaggio obbligato per noi cristiani: sitratta infatti del Golgota, del Calvario. Un monteche di sua natura è, come abbiamo detto, irrile-vante - chi è stato a Gerusalemme sa che ilmonte è inglobato ormai all'interno della basilicadel Santo Sepolcro -: si tratta di uno speroneroccioso di sei o sette metri, chiamato Golgota,in aramaico "cranio", probabilmente per la suaforma tondeggiante, o forse perché lì vicinoc'erano le sepolture dei condannati a morte.L'etimologia qui ora non ci interessa; vogliamoperò sottolineare come in Occidente tutti, anchecoloro che non hanno nessuna fede in Cristo,sanno che cos'è il Calvario (traduzione latinadella parola aramaica Golgota), tanto che l'e-spressione "un calvario di sofferenze" è diventa-ta un modo di dire comune. Se analizziamo questo luogo, soprattutto attra-verso la teologia dei Vangeli e in particolare delquarto Vangelo, ci accorgiamo che esso è, sì, ilmonte della morte ma anche, a ben vedere, ilmonte della vita; è il monte dell'umanità, dellatragedia di un Dio che assume la finitudine finoal punto da bere il calice della sofferenza, dellasolitudine, della tristezza, del silenzio di Dio("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandona-to?"); ma è insieme anche il luogo nel qualeGiovanni già ci mostra la gloria dell'elevazione,della resurrezione. Il Calvario è già anche ilmonte dell'ascensione, è già il monte degli Ulivi,è il monte anche della glorificazione, dell'e-saltazione, della speranza. Il Calvario è dunqueinsieme monte del dolore e del sangue e montedella gloria e dell'infinito. A questo punto giun-giamo a capire come il Calvario riesca a rias-sumere quelle due dimensioni a cui sempreabbiamo fatto riferimento. Sul monte infatti èsempre Dio che noi cerchiamo, però siamo noi asalire, siamo noi che con la nostra fatica ascen-diamo. Vorrei concludere parlando della mistica dellamontagna. Sappiamo infatti come tutta latradizione mistica abbia usato spesso la mon-tagna come una parabola. Voglio qui accennare- sperando che magari qualcuno abbia l'occa-sione di riprendere in mano o di leggerlo se nonl'ha mai fatto - a un libro, in verità arduo e che,tra l'altro, ha come punto di riferimento un monte

biblico: intendo riferirmi alla Salita del monteCarmelo, uno dei capolavori, insieme con ilCommento al Cantico dei Cantici, di Giovannidella Croce, Juan de la Cruz. Giovanni della Croce scrive questo libro nel1578, libro che poi non completa. È un testo raf-finatissimo dal punto di vista della ricerca intel-lettuale, ma anche soprattutto dal punto di vistadella mistica, un testo carico di simboli, maanche di esperienze interiori. È curioso tra l'altrocome il santo abbia disegnato più volte - tant'èvero che ne esistono più copie di sua mano emolte altre fatte dai suoi discepoli - un bozzettodel monte Carmelo, micrografandolo poi conscritte che indicano i vari percorsi, i vari itineraridi ascesi, di purificazione oltre che di illumi-nazione. Questo disegno, con le indicazioni re-lative al percorso di salita rappresentato inmaniera folgorante, Giovanni lo dava alle suoredi cui era confessore perché lo tenessero nelloro libro di preghiere. Nel descrivere questa salita al monte egli iniziacon una poesia, dichiarando di volerla poi com-mentare, mentre in realtà ne commenterà effet-tivamente solo una strofa. Nel monte Carmelo, ilmonte di Elia, il monte della sfida con l'idolatria(1 Re, 18), il monte dell'ordine carmelitano a cuiGiovanni apparteneva, egli riassume tutta unaserie di significati insieme ascetici e mistici. Iltermine "ascesi" a noi purtroppo evoca solol'idea della fatica, della purificazione in sensonegativo; questo non è del tutto vero in quantoqui l'ascesi si intreccia già con la mistica. "Ascesi" infatti, come dice il termine greco àske-sis, non vuol dire "penitenza", ma semmai "eser-cizio". Pensiamo ad esempio all'acrobata, a queidisegni così improbabili che egli fa e che sfidanole leggi stesse della fisica; l'acrobata compietutto ciò con estrema facilità perché alla base c'èun esercizio che alla fine diventa creatività, di-segno. E pensiamo anche alla professione dellaballerina. Osservandone gli eleganti e dinamicitratti nell'atto della danza ci si rende conto dicosa voglia dire riuscire a costruire l'equilibriosulla punta di un piede, che cosa comporti tuttoquel gioco di movimenti che anche in questocaso rappresentano una sfida continua alle leggidella fisica. Per lei, però, tutto ciò non avvieneora attraverso il calcolo e la fatica, ma semmaiattraverso un libero abbandono che produce esuppone divertimento e creatività. Questa è l'ascesi, è fatica indubbiamente, èesercizio pesante, ma alla fine giunge a esseregrande creatività che è al tempo stesso grandelibertà.�L’Osservatore Romano30-31 agosto 2010

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IL SENTIMENTO NAZIONALE ATTRAVERSA LE MONTAGNEUn evento che rilancia il senso di appartenenza

Per produrre i francobolli speciali «Gottardo 2016», con interspazio, è stato applicato uno strato di polvere di roccia dagli scavi del Gottardo.

A memoria d’uomo il gigante Gottardo non si è mai mosso dal suo rifugio di gneiss e granito: cosìvuole un’antichissima leggenda. Ostinato, spartisce corsi d’acqua, venti e punti cardinali, divide cul-ture, lingue, mentalità, e si oppone a ogni sogno di mobilità e libera circolazione. Naturalmente aqualche raro avventuriero è sempre riuscito di arrampicarsi alla bell’e meglio sulle spalle del gigante.Ma la barriera alpina fu attaccata sistematicamente solo a partire dal 1200, quando grazie apasserelle pericolanti, e poi a un ponte costruito con l’aiuto del diavolo, si riuscì a rendere accessi-bile la temibile gola della Schöllenen. Ben presto si svilupparono in entrambe le direzioni i trasportiper mezzo di animali da soma. E così iniziò la storia infinita delle code sul Gottardo...Con la trasformazione della mulattiera in strada di montagna ebbe inizio invece l’epoca delle diligen-ze postali. E’ celebre il dipinto di Rudolf Kollers che ritrae i cavalli della diligenza del San Gottardoal galoppo in val Leventina. A quel tempo c’erano almeno quindici corse giornaliere in entrambe ledirezioni. Ma evidentemente non erano abbastanza.L’apertura del tunnel in quota nel 1882 - un capolavoro di tecnica ferroviaria - rese popolare in tuttoil mondo la locomotiva Coccodrillo e la galleria elicoidale. Nel 1980 seguì l’apertura del tunnelstradale, ma la storia del San Gottardo era destinata a non finire.Con la galleria di base si aprono nuove prospettive per i rapporti tra Nord e Sud. La galleria è lunga 57 chilometri - tunnel da record. Per costruirla sono state rimosse 28.200.000tonnellate di roccia, e ogni giorno l’attraverseranno ben 325 treni.Chissà se il gigante Gottardo si darà finalmente per vinto?

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IL SENTIMENTO NAZIONALE ATTRAVERSA LE MONTAGNE � 95

I l San Gottardo si estende per ben 20 km

di lunghezza in un’area compresa tra il

Passo della Furka a ovest e il Passo

dell’Oberalp a nord-est.

Al centro del massiccio, a 2106 m slm, si trova il

passo del San Gottardo che congiunge le loca-

lità Andermatt nel Cantone di Uri e Airolo in

Ticino. Il massiccio deve il suo nome al vescovo

Godehard von Hildesheim, uno dei santi più si-

gnificativi del Medioevo.

Punto d’incontro fra diverse culture, il San

Gottardo rappresenta lo spatiacque fra il

Mediterraneo e il Mare del Nord e la principale

traversale alpina svizzera passa proprio per

questo massiccio.

Oltre alla galleria ferroviaria (1882) e la galleria

autostradale (1980), la galleria di base del San

Gottardo (2016) costituisce l’ultimo miracolo

della tecnica moderna.

L’idea di base del San Gottardo risale agli anni

Trenta. L’allora ingegnere di Basilea Eduard

Gruner sviluppò il progetto di una galleria

stradale e ferroviaria a due piani, lunga circa 50

chilometri, tra Amsteg e Bodio. Negli anni a

seguire nuove idee e nuovi tracciati vennero

presi in considerazione. Nel 1996 iniziarono i

lavori di preparazione a Sendrun, nel 2000 a

Bodio fu eseguita la prima esplosione e nel 2004

furono avviati i lavori nel portale nord a Erstfeld.

La perforazione principale è avvenuta nel 2010.

Accorcia di 30 km il vecchio tragitto tra Altdorf

(UR) e Bellinzona (TI).

La galleria del San Gottardo è stata

inaugurata il 1°

giugno 2016.

Lunga 57 km

rappresenta il

tunnel ferrovia-

rio più lungo

del mondo.

Essa è costitui-

ta da due tubi a

senso unico

che si trovano

a una distanza di 40 metri, non presenta

salite e il punto di altitudine massima è

di 550 metri sul livello del mare, la stes-

sa altitudine di Berna.

Per la galleria di base i minatori hanno

scavato nella montagna un sistema di

tunnel per una lunghezza totale di 153

km. Due stazioni multifunzione a Faido

e Sendrun suddividono la galleria in tre

sezioni più o meno della stessa lunghezza. Esse

fungono da aree di emergenza e di cambio cor-

sia, permettendo di invertire la marcia grazie al

passaggio da un tubo all’altro. I tubi sono colle-

gati fra loro da cunicoli trasversali presenti ogni

325 metri. In caso di emergenza, essi fungono

da vie di fuga verso gli altri tubi, Proprio per

questo i cunicoli sono dotati di porte antincendio.

Nella galleria di base sono stati fissati 1400 km

di rotaie.

Il traffico ferroviario è interamente automatizza-

to. Il tracciato all’interno della galleria di base è

dotato del sistema elettronico di segnalazione

per la cabina di guida «European Train Control

System» di secondo livello (ETCS).

Tramite segnali radio il macchinista riceve tutte

le informazioni sul display nella cabina di guida.

Il sistema ETCS consente di garantire la velo-

cità pianificata per i treni passeggeri fino a 250

km/h. Esso aumenta il livello di sicurezza e per-

mette un incremento delle capacità grazie a

tempi di percorrenza ridotti. La nuova linea è

stata progettata in modo tale da permettere il

passaggio di treni ogni tre minuti.

Il 12 maggio 2016 la Posta ha emesso due fran-

cobolli speciali «Gottardo 2016».

Sui francobolli è possibile ammirare una fedele

riproduzione del massiccio del Gottardo e del

tunnel visto da entrambi i portali, quello di

Erstfeld e quello di Bodio. Vi sono inoltre raffigu-

rate le due attuali locomotive, Cargo e Re 460.

Sull’interspazio è riportata la lunghezza esatta

del tunnel, pari a 57’104 metri.

Per la stampa dei francobolli è stata

impiegata la tecnica della subli-

mazione termica, con la quale sono

stati polverizzati e impressi sulla

carta frammenti autentici di rocce

ricavati dallo scavo della sacca di

Piora. L’annullo primo giorno ripro-

duce la testa della trivella durante lo

sfondamento dell’ultimo diaframma di

roccia.�

La Lente N.2/2016

Le locomotiveCargo e Re 460in servizionel galleriaInteri postali

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L ’attività giovanile è stata voluta fortemente un paio di anni or sono onde assi-curare al GFM una continuità nel tempo a venire che certamente i soci attual-mente iscritti non gli avrebbero potuto dare.

L’art. 5bis recita infatti: “Onde avvicinare i giovani alla filatelia e, in particolare, alla Filateliadi Montagna, e attraverso la filatelia infondere in loro la conoscenza e l’amore per laMontagna, a partire dall’anno 2014 è costituita in seno al GFM la Sezione Giovani”.In loro è stato posto tutto l’impegno possibile e crediamo nel loro futuro.La Sezione Giovani del GFM si è aggiudicato il 3° posto al concorso "Si vive solo duevolte.... la seconda nel ricordo" indetto dall'Associazione Nazionale Bersaglieri diCopertino - con l'alto patrocinio del Capo dello Stato - avente per tema la 1a GuerraMondiale. La partecipazione al concorso è stata molto ampia ed ha coinvolto tutte lescuole della provincia di Lecce e qualcuna del brindisino. Una bella soddisfazione per il i giovani del GFM al loro primo impegno ufficiale. Merito delloro coordinatore e nostro responsabile per il Sud Luigi Pennino al quale vanno i compli-menti di tutto il GFM. Va anche menzionata la collaborazione svolta dal Prof. AmericoGiannelli, punta di diamante della filatelia giovanile leccese.�

Copertino. I giovani del Gruppo Filatelici di Montagna, unitamente al Prof. A. Giannelli, chehanno preso parte al Concorso “Si vive solo due volte... la seconda nel ricordo” indetto dallaAssociazione Nazionale Bersaglieri.

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SI VIVE SOLO DUE VOLTE...Uno sguardo all’attività giovanile

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®

trevisostampa.it

Rilassatevi. Pensate. Noi lo realizziamo.

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Cypripedium calceolus. Dolomiti di Auronzo - Gravazecca foto R. Zanette