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SELEZIONE CONCORSO LETTERARIO “PENSIERI IN ARIA” Effettuata in data 27 marzo 2011-03-27 CATEGORIA GIOVANI/ ADULTI Sezione Narrativa 1° classificato “Le pietre del muro” di Bruno Galletti – Capannoli (PI) ………………………………..……2 2° classificato “Sulle scale con passi leggeri” di Antonio Chiades – Pieve di Cadore (BL)………… ……5 3° classificato “Il mondo è bello perché è Mario” di Cristian Natali – Almenno S. B. (BG)…………. ……8 Segnalati perché meritevoli: “Combattenti” di Paola Rivolta – Macerata ……………………………………………………………………10 “Ciò che si è perduto” di Patrizia Paganelli – Bergamo………………………………………………… ..…13 “Quando si dice la precisione” di Alessandro Cuppini – Bergamo…………………………………………..15 CATEGORIA GIOVANI/ADULTI Sezione Poesia 1° classificato “Poetessa” di Giovelli Maria Francesca – Piacenza…………………………………………17 2° classificato “Una conchiglia” di Rosanna Nossa – Brignano G.A. (BG) ……………………………….. 18 3° classificato “Bambola di stracci” di Umberto Druschovic – Sarre (Aosta)……………………………… 19 Segnalati perché meritevoli: “Decadenza” di Salvatore d’Aprano – Canada………………………………………………………………. 21 “La tua voce” di Pietro Baccino – Savona……………………………………………………………………. .23 “Luna piegata” di Silvia Lorenzi – Bergamo CATEGORIA RAGAZZI Sezione Narrativa 1° classificato “Storia di un eroe” di Lisa Venniro – Brembate di Sopra (BG) ………………….. …… …25 2° classificato “Cara Dixie” di Claudia Augeri – Terno d’Isola (BG) …………………………………… …28 3° classificato “Il lupo Ezechiele” di Manuel Villan – Terno d’Isola (BG) ………………………………… 29 Segnalati perché meritevoli: “La storia di Elly belli capelli” di Anna Zanaga – Terno d’Isola (BG) …………………………………….…31 “Una decisione importante” di Giorgia Masper – Terno d’Isola (BG) ………………………………………32 CATEGORIA RAGAZZI Sezione Poesia 1° classificato “Novembre” di Valentina Barbieri – Roveleto di Cadeo (PC) …………………………….. 33

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SELEZIONE CONCORSO LETTERARIO “PENSIERI IN ARIA”Effettuata in data 27 marzo 2011-03-27

CATEGORIA GIOVANI/ ADULTISezione Narrativa

1° classificato “Le pietre del muro” di Bruno Galletti – Capannoli (PI) ………………………………..……22° classificato “Sulle scale con passi leggeri” di Antonio Chiades – Pieve di Cadore (BL)………… ……53° classificato “Il mondo è bello perché è Mario” di Cristian Natali – Almenno S. B. (BG)…………. ……8

Segnalati perché meritevoli:

“Combattenti” di Paola Rivolta – Macerata ……………………………………………………………………10“Ciò che si è perduto” di Patrizia Paganelli – Bergamo………………………………………………… ..…13“Quando si dice la precisione” di Alessandro Cuppini – Bergamo…………………………………………..15

CATEGORIA GIOVANI/ADULTISezione Poesia

1° classificato “Poetessa” di Giovelli Maria Francesca – Piacenza…………………………………………172° classificato “Una conchiglia” di Rosanna Nossa – Brignano G.A. (BG)……………………………….. 183° classificato “Bambola di stracci” di Umberto Druschovic – Sarre (Aosta)………………………………19

Segnalati perché meritevoli:

“Decadenza” di Salvatore d’Aprano – Canada………………………………………………………………. 21“La tua voce” di Pietro Baccino – Savona……………………………………………………………………. .23“Luna piegata” di Silvia Lorenzi – Bergamo

CATEGORIA RAGAZZISezione Narrativa

1° classificato “Storia di un eroe” di Lisa Venniro – Brembate di Sopra (BG) ………………….. …… …252° classificato “Cara Dixie” di Claudia Augeri – Terno d’Isola (BG) …………………………………… …283° classificato “Il lupo Ezechiele” di Manuel Villan – Terno d’Isola (BG) ………………………………… 29 Segnalati perché meritevoli:

“La storia di Elly belli capelli” di Anna Zanaga – Terno d’Isola (BG) …………………………………….…31“Una decisione importante” di Giorgia Masper – Terno d’Isola (BG) ………………………………………32

CATEGORIA RAGAZZISezione Poesia

1° classificato “Novembre” di Valentina Barbieri – Roveleto di Cadeo (PC) …………………………….. 332° classificato “La terra perduta” di Francesco Chiapparini - Parma……………………………… …… . 343° classificato “Fuoco” di Deborah Carrara – Presezzo (BG) ……………………………………………....35

Segnalati perché meritevoli:

“La prigionia” di Lucia Testa – San Vito Romano (Roma) ……………………………………………………36“La baita dei nonni” di Nicolò Bianchin – Brembate di Sopra (BG) ………………………………………… 37Un lavoro di due classi dell’Istituto Comprensivo di Stornarella (Foggia) con: …………………….………38“Quando mamma – Poeti – L’estate se n’è andata – Mia madre – Il mare – Il tuono – Estate – Fredda primavera – Calda stagione – Benvenuta, primavera!”

Le motivazioni delle scelte della giuria sono redatte da Rosella Bongiovanni

- NARRATIVA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

1° CLASSIFICATO

Bruno Galletti – Capannoli (PI)

Il racconto è costruito efficacemente su tre elementi: il paesaggio, il ricordo e il rimorso.Il paesaggio è quello di un borgo in collina con la piazza addossata ad un muro; il ricordo

appartiene al protagonista, un vecchio solitario e scontroso; ed è suo anche il rimorso d'essere stato il testimone impotente di una strage nazifascista, i cui segni sono graffi nel muro.

Il muro sbrecciato è dunque insieme un monumento o un monito, forse ormai in-comprensibile per le giovani generazioni. Ce lo dicono le immagini che si susseguono crudeli e frammentarie, come lampi nella mente del vecchio ma che, grazie all'autore, raggiungono tutti i lettori.

LE PIETRE DEL MURO

La palla rimbalza con tonfi sordi sulle pietre un po' sporgenti del muro.

Sono incastonate di licheni, le pietre, e dalle fessure traboccano piante di

cappero. Le pietre del muro sono vecchie e non riescono a intaccarle quei

battiti ripetuti. Le pietre del muro sono antiche, e non le corrode l'acqua della

pioggia. Qualcuna è coperta da manifesti sbiaditi e stropicciati, altre sono

legate tra loro da scritte sgocciolate.

Sotto il muro di pietra c'è una piazza, che si chiama con un nome famoso.

Una piazza in cui certamente si fermarono dei cavalieri in uniforme, in cui due

amanti si scambiarono il primo timoroso bacio, una piazza dove un ricco

signore, all'ombra, sorseggiava caffè. Pietre in terra, calpestate ogni giorno,

che hanno accolto i percorsi di passi lenti e veloci, sicuri e strascicati, a fare da

specchio e compimento al muro sovrastante, dritto, possente.

È una piazza antica, e il bambino che lancia la palla non lo sa. Ma il

vecchio col cappello marrone che quando cammina sputa in terra lui sì, lo sa e

ricorda. Anche le pietre del muro sanno e ricordano, hanno una memoria lunga,

profonda, irraggiungibile; e si rammentano di quelle scalfitture e di quei buchi

che si portano addosso. Sono buchi e scalfitture più profonde dei segni che col

sasso appuntito, ieri, ha tracciato un ragazzo. Sono graffi che restano, quelli sì,

più di ogni altro, anche se l'attacchino ogni tanto li copre. E se il bambino lo

sapesse, se solo lo immaginasse, allora non si volterebbe più, schifato, quando

passa lento e zoppicante il vecchio che sputa; perché capirebbe perché, e lo

guarderebbe con deferenza, e non si curerebbe più di quella traccia di saliva

che lascia a terra, sul muro sdraiato, specchio di un’improbabile lumaca.

Sul muro si sono accaniti i giorni e gli anni, il sole calcinoso e secco, il

vento freddo e carico d’acqua. Sul muro hanno camminato lucertole e insetti,

ignorandosi, inseguendosi, divorandosi, definendo i loro fatali tragitti di vita e

di morte. È lì, su quel muro, in un angolo preciso di quel muro, che ogni tanto il

vecchio si appoggia, lascia il bastone vicino e si appoggia, come a un fratello. È

in quell’angolo del muro che il vecchio si appoggiava una sera, quando ancora

non sputava, e sulla testa aveva fili più scuri, e nelle mani imbarazzate un

cappello marrone. Si appoggiava a quell’angolo, e la notte era quieta, calda,

zeppa di stelle; le luci spente. Sulla piazza la gente era molta, come ogni sera

d'estate, e sussurrava invece di parlare, come ogni sera di quell’estate, di

quell’estate fatta di paure, di divieti, di vite nascoste. Anche il vecchio che non

era vecchio sussurrava, e sorrideva a quel volto celato dal buio, il volto dei suoi

sogni, che gli rispondeva evocando speranze. Gli scoppi arrivarono dalla valle,

improvviso temporale che sbuca da dietro i colli. Sulla strada si videro bagliori

profanare la notte e avvicinarsi serpeggianti al paese. Alcuni fuggirono, alcune

mani si persero, il vecchio con quei fili così scuri sulla testa si ritrovò nel buco

di una fogna, davanti al muro. Udì quelle voci secche come colpi di frusta; dalla

sua prigione, illuminato dalle lampade traballanti degli oppressori, vide un

corteo di persone incredule avvicinarsi al muro, spinte e insultate, con gli occhi

che cercavano un appiglio, una misura, un perché; con due occhi senza più

speranze che cercavano lui. Gli spari strapparono il canto insonne dei grilli, poi

il fracasso lasciò il posto al gelo. La macchia rossa che scivolava da quelle

sorgenti inanimate si mescolò al piscio di un cane, passato a rimarcare il suo

dominio.

Sì, il vecchio ricorda, e l’impulso arcaico di quella notte gli fa muovere un

dito sulle scalfitture che solo lui e il muro sanno riconoscere, quelle cicatrici che

nacquero nella notte dei sussurri e degli spari; quelle cicatrici da cui si erano

staccati piccoli frammenti, figli degeneri della pietra antica, che il vecchio

conserva ancora negli abissi di una tasca, promesse solidificate di ciò che non

fu mai.

Il vecchio ricorda, e minaccia il bambino col bastone. Il bambino gli mostra

la lingua, gli dice vaffanculo, riprende a colpire il muro che rimbomba, sordo;

sordo e rimbombante, come il grido che gli rimase dentro senza traboccare,

come una palla che rimbalza all’infinito su un muro di rimorso.

Tante mani si sono posate sul muro; tanti sguardi l’hanno indagato.

Sarebbe ora di lasciarlo stare, di non tormentarlo più. Non sapete chi raccolse

le pietre, chi le scolpì, chi le cucì insieme. Non dovete cospargerlo d'intonaco,

dovete solo aspettare che si stanchi, e crolli sotto il suo stesso peso. Aspettare

che crepi anche lui, e si polverizzi sotto il martellare dei secoli, con tutto il suo

carico di passioni e dolori; e che la sua memoria evapori, come il respiro

dell'ultimo uomo. Anche questo sa il vecchio. Anche questo vorrebbe il vecchio.

Ed ogni suo sputo che sbatte in terra è un rimprovero al mondo.

- NARRATIVA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

2° CLASSIFICATO

Antonio Chiades – Pieve di Cadore (BL)

La vicenda si svolge in una casa di riposo ed è scandita dal ritmo delle visite di Otello, maturo impiegato di banca, alla madre novantenne.

L'uomo è dapprima diffidente di fronte alle premure che un'assistente africana ha per sua madre, poi rimane colpito dalla grazia e dalla dignità della giovane straniera, infine sente incrinarsi la corazza dei pregiudizi e irrompere nuove emozioni nella solitudine un po' rigida della sua vita.

Nel racconto anche le scelte linguistiche, a partire dal titolo, accompagnano con le immagini la trasformazione del protagonista.

SULLE SCALE CON PASSI LEGGERI

Angela era diventata molto vecchia. Il passare degli anni l’aveva resa più vulnerabile. Temeva ogni realtà che andasse oltre la sua esperienza.Viveva in una casa di riposo confortevole, dentro la quale i rapporti umani erano però freddi e convenzionali. Le sue giornate erano scandite dalla visita del figlio Otello, un uomo alto che amava cucinare cibi dal sapore deciso e che, da qualche tempo, si stava appassionando alla politica: da quando era diventato parlamentare, in modo imprevisto e inatteso, un suo antico compagno di lavoro.

Qualcosa era cambiato nella vita di Angela quando aveva fatto la sua comparsa Fatiha, una giovane assistente dalla pelle ambrata e dal linguaggio privo di tonalità aspre. Aveva faticato non poco ad accettarla, per la diversità della sua provenienza, come se gli occhi vividi e scuri della ragazza nascondessero storie indecifrabili.

Quando aveva saputo della presenza di Fatiha, Otello era rimasto disorientato, scuotendo più volte il capo in segno di disappunto. Lui, da sempre, manifestava una ferma chiusura verso quanti provenivano da territori lontani.“E’ gentile, ha sempre una parola rassicurante” aveva sottolineato la madre.“E’ bene non fidarsi. Di sicuro sta studiando la situazione”.“Cosa può farmi di male?”.“Non si sa mai. Questa gente ha sempre qualche obiettivo”.

Frattanto Fatiha continuava a presentarsi con regolarità nella stanza di Angela, per controllare la pressione arteriosa ed informarsi sulle sue condizioni. Si sedeva sul bordo del letto, ascoltando confidenze e ricordi. Poi la incoraggiava a guardare senza rimpianti alla vita, ad assaporare le rare occasioni di serenità che le venivano concesse.Angela aveva novant’anni.Anche Fatiha le parlava di se stessa, del tempo passato in Africa prima del trasferimento in Italia, del non facile periodo di ambientamento, della dura nostalgia che talvolta la attraversava. Parlava in modo tranquillo, come se l’esperienza dello sradicamento dalla sua terra l’avesse aiutata a maturare più in fretta.

Otello l’aveva intravista un giorno mentre stava conversando con la madre. Le aveva lanciato un’occhiata severa, rimanendo però colpito dalla leggerezza dei suoi movimenti, dal sorriso lieve e disarmato.Dopo che era uscita, aveva rinnovato ad Angela le consuete raccomandazioni: “Bisogna fare attenzione, essere prudenti”.“Nella vita non mi sono mai fidata di nessuno. Vuoi che mi faccia incantare adesso, dalla prima venuta?”.“Con il passare degli anni si diventa più fragili”.

“Ti presento Fatiha”, aveva detto un giorno in cui il figlio era giunto in visita ad un’ora insolita. Lui aveva stretto mollemente, non senza titubanza, quella mano morbida e nervosa, incrociando il sorriso della ragazza e i suoi occhi scuri che spiccavano sul chiarore della veste e sulla pelle dai riflessi amaranto. Si era sentito attraversare da una sorta di trasalimento.E quella sera, a casa, Otello aveva rivissuto, quasi senza accorgersene, la sensazione di piacevolezza provata nel breve contatto con la giovane infermiera.Non si era mai sposato, non sapeva neppure lui perché. O meglio, pensava che a fermarlo fosse stato il timore di andare incontro, col tempo, a sgradevoli sorprese, come era successo a qualche suo conoscente.Ma, con la madre ormai molto anziana, sentiva pungergli dentro una solitudine crescente, un senso di sconforto, dinanzi alla constatazione della brevità della vita.Si chiedeva per quali motivi Fatiha, al di là della ricerca di una più confortevole condizione sociale ed economica, fosse stata spinta ad abbandonare il suo paese. E provava un senso di stupore dinanzi al modo dolce e rassicurante che aveva nell’accostarsi ad Angela.

Un giorno l’aveva incontrata casualmente sulle scale. Si era fermato, senza saper cosa dire.“Non ha nostalgia dei suoi familiari lontani?” era riuscito a mormorare, con parole arrugginite.Lei lo aveva guardato con occhi morbidi e fiammeggianti: “Nostalgia? Si, succede, ma cerco di non pensarci”.Aveva denti bianchi, un portamento che ricordava quello delle gazzelle che apparivano in certi documentari televisivi.“Dev’essere difficile stare lontani per tanto tempo”.“Esistono egualmente dei modi per sentirsi bene. Magari cercando di fare il proprio lavoro con passione”.“In mezzo a questi vecchi….”.“Non di rado sono riconoscenti, riescono a comunicare affetti delicati, più delle persone che vivono fuori da qui”.

Poi era rimasto a guardarla, quando lei si era allontanata scendendo le scale con passi leggeri, provando una sorta di trasalimento. E mentre faceva ritorno a casa, era sorpreso di se stesso, per la facilità con cui si era aperto improvvisamente al dialogo. Forse quella ragazza, pensava, gli aveva fatto tornare in mente la purezza dell'infanzia. Non esistevano, allora, convenzioni o ruoli da rispettare. Forse era stato il tipo di lavoro che svolgeva, nella prevedibile metodicità di una banca, a fargli guardare a uomini e situazioni scoprendo ben poco di emozionante. Adesso Fatiha, con la scura regolarità degli occhi e quel seno che si intuiva appena sotto la veste, lo aveva sorpreso e disorientato. Anche nel modo con cui era corsa giù per le scale, quasi danzando, come se il suo corpo esprimesse l'ironia di chi accoglie la vita senza paura.E camminando più lentamente del solito, Otello osservava con insolita curiosità il verde intenso dell’erba cresciuta sulle crepe delle mura della città, la vaporosa intensità dei saluti che le donne in bicicletta lanciavano qua e là, la purezza della chiesa trecentesca davanti alla quale era passato per tanti anni, quasi con indifferenza.

- NARRATIVA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

3° CLASSIFICATO

Cristian Natali – Almenno San Bartolomeo (BG)

Un monologo un po' stralunato, un'assurda orazione funebre per descrivere un tipo molto originale.

Mario era un amico pieno di difetti eppure era un uomo insostituibile, capace di dare memorabili lezioni di comportamento a proposito di donne, di amici e del mondo intero.

Da Petrolini a Jannacci a Celentano c'è tutta una serie di testi che insegnano a non prendersi troppo sul serio: anche questo ci spinge a giocare con le parole, a mescolare un giudizio con il suo contrario, a immaginare un personaggio come un ossimoro vivente.

Il mondo è bello perché è Mario

Che forza Mario. Non ricordo quando lo conobbi: forse dieci anni fa, forse quindici; a Treviso credo, o forse era Londra o forse a casa dei suoi nonni, o di due estranei. O erano tre? Senz’altro era un mercoledì, lo ricordo bene perché veniva dopo un martedì.Che tipo ragazzi... Non saprei dire se fosse un favoloso eccentrico o la più ordinaria delle creature. Era il classico individuo che quando chiede un gelato non va oltre il “panna e cioccolato”, ma poi era capace di succhiarlo dalle narici. Che portento Mario...Più lo conobbi e più maturai il sempre più solido sospetto che in realtà non fosse Mario a vivere la vita, ma la vita stessa a vivere Mario. Avevo l’idea che l’Esistenza lo “usasse” per sperimentare nuovi approcci col Mondo, una Cavia Fantasmagorica, un Topolino Bianco Sulla Ruota Della Gabbietta Del... basta, mi dilungo sempre troppo e so che neanche a Mario sarebbe piaciuto.Lui era uno diretto, schietto e di ghirigori ne faceva pochi. O troppi. Perché Mario era un po’ tutto e come tutti quelli che sono un po’ tutto, era un po’ niente. Ma con le femmine ragazzi, era il numero uno. O almeno ci provava. La prima cosa che lo colpiva di una donna? In genere uno schiaffo. Ma come lo prendeva lui ragazzi, non c’era proprio nessuno: la grazia con cui assorbiva il colpo sulla guancia gommosa e ruvida era di sublime bellezza, quasi commovente. Che forza con le donne Mario, era il numero duecentomila.Odiava chi non sapeva chiedere scusa. Non sopportava quel genere di scuse che di questi tempi si usa, quelle frasi tipo “Se col mio comportamento ti ho fatto star male, allora ti chiedo scusa...”. Ma che vuol dire? Come “se”? Allora tanto vale dire “Io ritengo di non aver fatto nulla di sbagliato, o quantomeno nulla per cui io mi debba scusare - per giunta con te stupida larvetta - ma se ti fa star meglio che io mi scusi, allora, dall’alto della mia magnanimità: scusa. E vaffanculo”. Secondo Mario le parole “scusa” e “se” non dovevano mai entrare nella medesima frase. Mario la sapeva lunga. Mario accettò nella sua vita ventisette scuse. Solo nove avevano il se.Mario non aveva la patente. Eppure guidava. Era semianalfabeta, ma scriveva poesie bellissime, usando come penna la propria lingua sui parabrezza delle Fiat Punto. Era bruttissimo, ma somigliava a Leonardo Di Caprio. Non si lavava

molto, ma appena uno gli si avvicinava non poteva fare a meno di chiedergli che fragranza si fosse messo e dove l’avesse acquistata. Tra l’altro Mario non è che acquistasse molte cose: quando non andava a scrocco rubava, ma poi si pentiva e restituiva tutto. Così veniva arrestato, ma rilasciato immediatamente per non aver commesso il fatto. Allora tutto contento tornava a scroccare, poi a rubare, poi a restituire. Che dolce Mario.Agli amici dava tutto. Che non era poi tanto, ma era pur sempre qualcosa di Mario, quel genere di cose che non si discutono insomma. Una sua stretta di mano era un Dogma, un suo sorriso (Mario non aveva tutti i denti, in genere un paio se li dimenticava in ascensore) era un Trattato Sopra La Verità Assoluta. Mario era divertentissimo. E dolorosissimo, di quel dolore che non riesci a comprendere, che nasce dalle parti più terribili atroci splendide del tuo cuore smarrito in una notte che è troppo fredda porca miseria per essere primavera. Agli amici Mario non dava niente. Dovevi essere tu a prenderti quello che ti serviva. E poche storie. A Mario gli si voleva bene, almeno io sì, e parecchio, ma tutti in fondo lo amavano. Mario non conosceva nessuno. Era un eremita. E il suo eremo era il genere umano.Abitava anche in me, e penso ci abiti ancora a dire il vero. Certe volte credo che mi scriva con la lingua delle poesie sulle pareti dell’anima, ma visto che la cosa mi disgusta cerco di pensarci il meno possibile. Mario in effetti era stomachevole. Divino meraviglioso santo bastardo di un Mario...Come sia morto? E che ne so? Ci sono mille ipotesi e non starò certo qui ad elencarvele, da lui ho imparato proprio che di certe stupidaggini non bisogna certo disquisire; diciamo solo che per evitare il propagarsi di qualche inutile pettegolezzo - che già ho sentito per la verità strisciare per le vie del globo - voglio escludere l’autocombustione. Quella di sicuro no. Anche se credo che in qualche modo il fuoco c’entri.Che forza Mario. Non ricordo quando lo conobbi: forse quindici anni fa, forse quell’estate a Palermo - ma non in Sicilia - ma comunque sia, niente mi potrà togliere dalla testa che era un mercoledì.E da allora, dannazione, per me i mercoledì hanno un sapore strano; di quella stranezza che ti fa ridere quando stai male e piangere quando senti che forse è la volta buona, di quella stranezza così delirante e accesa che è l’unica cosa che può tenerti in piedi quando ti viene da svenire. Di quella stranezza che a chi non ha conosciuto Mario, è inutile neppure che gliela spieghi.

- NARRATIVA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

Segnalato

Paola Rivola - Macerata

COMBATTENTI

Il capitano Alfredo Badovino era steso nel fango mentre il pallido sole di novembre calava all'orizzonte. Steso nel fango, a cinque chilometri dal confine tra Istria e Italia, e ad un'eternità dalla propria vita passata.Era stato tra i primi a cadere in quell'insensato attacco. Erano ormai dieci ore che giaceva a terra, colpito da una proiettile dirompente. Nessun sibilo premonitore, solo un rumore assordante ed improvviso, e il terribile e bruciante dolore alla gamba che lo aveva sorpreso.Era caduto in ginocchio, dapprima; poi a faccia avanti, svenuto.Riavutosi, aveva inutilmente tentato di strisciare via. Via dal pericolo, ma anche dai mille lamenti di chi come lui giaceva ferito. Erano lamenti vicini e lontani che si sovrapponevano, provenendo da tutto il fronte dell'azione.Ora non sentiva più molto dolore e il non sentirlo non lo rassicurava. Non lo rassicurava soprattutto il non udire più le voci provenire dalla trincea che aveva alle sue spalle.Sarebbe sicuramente morto così. Abbandonato vivo in prima linea.Nei rari momenti di lucidità pensava ai propri genitori. A quanto avrebbero sofferto per la morte di un altro figlio. A come avrebbe voluto, almeno, avere la possibilità di scrivere loro. Di confortarli.Quattro dei suoi fratelli erano morti, seppur protetti dalle mura domestiche, di febbre gialla.E ora lui. Il quinto figlio. Lo scapestrato studente universitario che aveva deciso, contro la loro volontà, di partire per il fronte.Non ci credeva a quella guerra. In realtà, non credeva alle guerre. Era stata, quella, solo l'occasione propizia per quietare i sensi di colpa, per pagare il suo conto con la vita. Aveva vissuto, protetto dalla famiglia, anni di inconsapevole superficialità, mentre a casa i suoi fratelli morivano uno dietro l'altro.

L'attendente Gavino Piras cercava di allontanare dal pensiero l'immagine dei propri figli, mentre strisciava su quella terra aspra e sassosa, che dolorosamente gli ricordava la sua Sardegna.

C'era stato un attacco italiano quella mattina. - Uscite dalle trincee!!! - sentiva ancora la voce vibrante del capitano Badovino. Avevano tutti una fottuta paura, le gambe molli e il cuore che mancava.- Uscite dalle trincee!!! - la voce del suo capitano si era fatta più ferma. Gavino si fidava di quell'uomo così era uscito allo scoperto insieme agli altri: la baionetta innestata. Un minuto, forse due, e i colpi di fucile e i proiettili dell'artiglieria nemica avevano cominciato a falcidiare i suoi compagni.Lui stava ancora correndo quando dalle retrovie avevano cominciato a ordinare la ritirata.- Capitano! Capitano! - lo aveva chiamato a lungo inutilmente. Il frastuono, le urla, i lamenti si confondevano con la sua invocazione.Tornato in trincea, lo aveva cercato. Cercato ovunque. Aveva chiesto di lui ad ogni sfinito soldato.Ancora dopo molte ore il pensiero del suo ufficiale lasciato a morire in prima linea non gli dava tregua.Calato il sole, aveva deciso di uscire a cercarlo.Man mano che si allontanava dalla trincea strisciando, incontrava sempre più corpi a terra. Cadaveri, e feriti che chiedevano aiuto.Tastava ognuno di loro. Li scuoteva un poco. Sussurrava - Capitano ...Ad un tratto - ... Gavino? - era solo un filo di voce, ma ne era sicuro, era proprio lui.Gli si avvicinò. Lo guardò in volto.- Cosa ci fai qui... - il capitano cercava inutilmente di alzare la testa.- Sssss... Faccia silenzio, signor capitano - Gavino lo prese sotto le braccia, lo aiutò a sedersi e se lo caricò sulle spalle.Il piccolo attendente sardo camminava chino a sorreggere il peso di quell'uomo ben più grande di lui. Si fermò solo quando giunse alla linea italiana. Rovesciò il corpo del capitano nel fango putrido della trincea.- Capitano?Sì, Gavino ... sono vivo.

Paola stava rovistando, seduta per terra, in un vecchio ed impolverato scatolone nel quale erano stati accumulati negli anni i ricordi di famiglia. Vecchie foto, piccoli monili di nessun valore, una ciocca di capelli, un cappellino con una piuma di struzzo...Sua nonna era seduta vicino a lei su una poltrona nel soggiorno. Gli occhiali sul naso e la lunga treccia di capelli grigi appuntata, con delle forcine d'osso, in una crocchia dietro la nuca.Paola aveva appena preso tra le mani una foto di sua nonna da giovane. Aveva guardato la fotografia, sollevato la testa e osservato sua nonna. Non era per nulla cambiata da allora: magrissima, con i capelli appuntati, sempre elegantemente

vestita, il filo di perle al collo. Erano passati forse cinquantanni, ma sembrava che la vita non avesse minimamente intaccato la fierezza e l'aspetto di quella donna, nonostante le molte difficoltà che aveva dovuto superare nella vita. Aveva visto due guerre quella eterea donna. Aveva cresciuto tre figli nelle ristrettezze economiche del dopo-guerra. Era stata il pilastro, che nessuno aveva mai visto vacillare, della sua famiglia. Aveva assistito amorevolmente suo marito negli ultimi anni di vita, con una forza fisica inimmaginabile in una donna così esile.Paola si era rimessa a cercare nello scatolone. Scansando le foto aveva intravisto sul fondo un cofanetto di velluto blu. - Nonna, cos'è questa medaglia? - chiese dopo aver aperto la scatola dagli angoli ammaccati e consunti. - È la medaglia che nonno Alfredo ha ricevuto dopo la guerra. La medaglia al valor militare. - C'è anche un foglio nella scatola! - Paola lo stava aprendo e lo rigirava nella mani. - Sono le motivazioni per cui gliel'hanno data. - Ma com'è che nonno Alfredo ha potuto scrivere dei conti a penna sul rovescio di questo foglio? Avrebbe dovuto esserne orgoglioso! - Non credo lo fosse. Diceva sempre che quella medaglia non doveva toccare a lui. Non so il perché. Il nonno non parlava volentieri della guerra. - La nonna richinò il capo sul giornale che aveva tra le mani.Paola ripiegò il foglio. Chiuse la scatola e la ripose dove l'aveva trovata.Quando alzò lo sguardo verso la nonna, pronta a farle mille altre domande, vide i suoi occhi che si erano fatti lucidi.

NARRATIVA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

Segnalato

Patrizia Paganelli – Bergamo

CIO’ CHE SI E’ PERDUTO

Era l’estate del sessantatre. Una della tante domeniche al lago d’Iseo, trascorsa con i genitori. A un soffio di vento le chiome degli alberi a riva oscillavano lievi. La madre era intenta nel ricamo, Claudia seduta su una panca all’ombra di un salice, teneva in grembo un volume dell’enciclopedia della fiaba. Leggeva le fiabe, sfogliava le pagine, osservava le illustrazioni e sognava di essere la principessa al ballo con il principe. Cresceva con l’illusione che l’amore fosse un diritto.Ecco spuntare da una pagina una viola del pensiero essiccata, ora una foglia ingiallita come segnalibro. Claudia scriveva a matita a bordo pagina osservazioni, cambiava l’espressione della frase, perchè ne possedeva il senso, un talento innato con le parole. Il padre e il fratello pescavano sulla riva. Silenziosi osservavano i cerchi nell’acqua che a volte si formavano. Sollevavano la lenza, la lanciavano nell’acqua e attendevano pazienti. D’un tratto una nube oscurò il sole, pochi attimi, lo scroscio sorprese tutti. Claudia lasciò il libro lì, sulla panca sotto il salice, aiutò la madre a caricare le cose in auto. Arrivarono anche il padre e il fratello. Veloci salirono e ripartirono verso casa.- Ho dimenticato il libro - Esclamò Claudia.- Quale libro?- Chiese la madre.- L’enciclopedia della fiaba.- Non sei mai attenta.- Ne abbiamo altri tre - Esclamò il fratello, che non era mai stato un lettore accanito.Il padre non tornò indietro. L’enciclopedia rimase incompiuta e il libro fu dimenticato.

Le case dei genitori che ci hanno ormai lasciato si dissolvono pian piano. Un oggetto dopo l’altro scompare in qualche anfratto, o discarica, così ci si libera di ciò che non serve più.Claudia prese i tre volumi dell’enciclopedia e li mise sulla libreria che occupava l’intera parete del soggiorno. Le fiabe della sua infanzia: Barbablù, quella che più la intimoriva, ma che leggeva e rileggeva come una sfida, Biancaneve e Cenerentola.Una sera, di fronte all’ennesimo reality in tv, si alzò e si accostò alla libreria. Lo sguardo cadde su quei tomi con la copertina di tessuto verde, un po’ sbiadito. Prese un volume, l’edizione era del 57. Pensò che avrebbe potuto recuperare quello che aveva smarrito.

- Vorrei una ristampa del primo volume dell’Enciclopedia della Fiaba.Il commesso prese il catalogo e la guardò come se avesse chiesto un reperto archeologico.- Signora, l’ultima edizione è del 1957.- Non è più stata ristampata?- No. Mi dispiace.Claudia cercò in tutte le librerie della città, ma del volume neppure l’ombra.

Tornò a casa. Sfilò il cappotto e sprofondò sul divano con un libro.Il trillo del telefono ruppe il silenzio. Claudia si alzò a rispondere. Il viso le si illuminò. Parlava concitata.-Va bene, va bene. Ti aspetto. Ciao.“Arrivo sabato per la settimana di Natale. Poi ripartirò per Parigi”, le parole della figlia impresse nella mente. Già la vedeva disfare le valigie per poi rifarle qualche giorno dopo, diretta in una capitale europea o nella città in cui studiava. Ma era felice della sue scelte, della curiosità con cui leggeva il mondo.

Natale arrivò in fretta. Tanti pacchi sotto l’albero. Ne spiccava uno con la carta rossa. Quando venne il momento dello scambio dei regali, Laura consegnò alla madre il pacco rosso.Claudia tolse la carta che l’avvolgeva. Apparve un grosso volume con la copertina verde, scritto a caratteri dorati il titolo: “Enciclo-pedia della fiaba”.- Ma come l’hai trovato?- Una ricerca in internet. L’ho scovato in una vecchia libreria di Napoli e ho chiesto che me lo spedissero.- Grazie. Sei stata bravissima.Sfogliò le pagine. Sbucarono una foglia ingiallita, un fiore essiccato. Trovò delle annotazioni scritte a matita a bordo pagina. Controllò l’edizione. Era del 57. Un brivido le percorse il corpo.Un pezzo della sua infanzia fra le mani. Guardava il libro.- Grazie, grazie! E’ bellissimo! - disse con un filo di voce.

- NARRATIVA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

Segnalato

Alessandro Cuppini - Bergamo

Q U A N D O S I D I C E L A P R E C I S I O N E

Non è stato difficile stabilirlo, naturalmente, disse il dottore.Davvero?, chiesi un po’ stupito.Per nulla: lei è pazzo al 92.6%.Aveva ragione di sicuro, anche se mi aspettavo una diagnosi più articolata.E…c’è qualche speranza?, domandai senza nessuna speranza.Sì, naturalmente. Si possono fare un sacco di cose: sedativi, elettroshock, training autogeno, esercizi comportamentali, sedute psichiatriche.Ruotò sulla sedia girevole per osservare fuori dall’enorme vetrata alle sue spalle il giardino dell’ospedale, qualche decina di metri sotto. Poi aggiunse:Naturalmente tutto questo sarà inutile.Sembrava che l’avverbio naturalmente fosse una rassicurante premessa o conclusione di qualsiasi affermazione o risposta intendeva darmi. Quasi per dispetto risposi:Naturalmente.Si dovrà accettare, capisce?Sì, lo capivo, ma non era facile abituarsi a quel sistema moderno di considerare la salute come fosse un sondaggio o la concentrazione di una soluzione. Oggi ero pazzo al 92.6%; e domani? Sarei sceso all’89 o salito preoccupantemente al 97%? Dovevo accettare il mio stato, diceva lui.Oh, certo!, dissi. Dovrò farmene una ragione.Col rimanente 7.4% del mio intelletto, aggiunsi mentalmente. Il dottore tornò a girarsi verso di me:Non dovrebbe avere grandi problemi nella sua vita futura. Potrà continuare a giocare a golf, ad evacuare regolarmente, ad emettere succhi come saliva, sudore o sperma, a comando e non, a lèggere libri gialli, ad andare in auto… Quello che cambierà sarà l’interpretazione della vita che le scorrerà accanto. Non sarà mai sicuro che le cose siano come le appaiono o diverse. Se i fenomeni fisici che osserverà siano sogni o realtà. Un problema minore, tutto sommato.

Questione di opinioni. Mi permisi una citazione:‘Vida es sueño’, diceva Goya.Vida… chi è Goya?Oh, un vecchio artista spagnolo di tanto tempo fa…, risposi con noncuranza.

Sì, naturalmente, fece il dottore che non aveva capito nulla. Quindi io per lei potrei essere il suo dottore questa mattina, ma un giardiniere oggi pomeriggio e un minatore o uno scienziato domani. La settimana prossima noi due per lei potremmo essere due soldati che presidiano un avamposto in una trincea sul fronte orientale.E così via, chiosai.Già: e così via, naturalmente.Riflettevo sulla vita che il dottore mi aveva prospettato: senza punti di riferimento, senza certezze, in un limbo di cocci temporali e fenomenologici. Avrei dovuto perdere l’esperienza integrale del tempo e cominciare a vivere in un mondo di impressioni isolate. Mi chiedevo se l’accumulo di esperienze così frammentate e incongrue non mi avrebbe fatto perdere il rimanente dell’intelletto.Ha qualche altro consiglio o raccomandazione da darmi?, domandai al dottore.Sì: si diverta, caro, si diverta! Si rassegni, tiri avanti e si diverta. La maggior parte di noi vive una vita molto più malinconica della sua prossima futura.Pareva ci fosse una traccia di invidia nelle sue parole, invidia per un pazzo al 92.6%: forse lui lo era al 100%.Mi alzai. Il dottore mi porse la sinistra con la cartella clinica e la destra per stringermela. Decisi di comportarmi come il pazzo che mi aveva descritto e afferrai la cartella con la destra stringendogli la mano con l’altra. E contemporaneamente scoppiai in una risata artefatta, sussultante come un singhiozzo. Lui guardò le mie mani incrociate, poi alzò lo sguardo sulla mia bocca sguaiatamente aperta. Io completai la recita spingendo con la lingua una gocciolina di saliva sul labbro inferiore fino a farla cadere sul piano di vetro della scrivania, a dieci centimetri dalle carte che aveva davanti. Il dottore riabbassò lo sguardo, prese un fazzolettino di carta e l’asciugò.Interruppi la risata di botto e senza salutare uscii con la cartella sotto braccio. Le diedi un’occhiata mentre camminavo verso l’ascensore: ero ufficialmente pazzo, al 92.6%.Uscii dall’ingresso principale e guardai il giardino davanti all’ingresso dell’ospedale. Era una bella giornata di primavera. C’era una giostra, uno scivolo e altri giochi per bambini in un prato alla mia sinistra, e una panchina libera. Mi sedetti.Mi sentivo stanco e chiusi gli occhi quasi appisolandomi. Mi riscossi sentendo una voce al mio fianco:Permette?Era un signore circa della mia età, vestito con cura, dal volto pallido e con gli occhi cerchiati e stralunati, come se non avesse dormito a sufficienza.Prego, si accomodi, dissi spostandomi lungo la panchina. Si sente bene?Sì,sì. Devo solo riprendere fiato.

Il signore pallido si sedette e chiuse gli occhi come fosse stanchissimo. Poi li riaprì e disse:

È una bella soddisfazione scoprire che si sbagliava!Chi?Il dottore. Ma mi scusi, la sto scocciando. Ognuno ha i guai propri e…Ma no, non si preoccupi. Vede?, e aprii la cartella clinica mostrandogliela. Io sono quasi totalmente pazzo, la realtà mi appare diversa da quella che è, così dice il mio dottore, e dunque nulla può turbarmi, ‘naturalmente’. Lei adesso mi appare come un malato, ma tra un attimo potrebbe essere un giardiniere oppure lei ed io potremmo essere per me gli ultimi due soldati in un avamposto in trincea… Dunque non si preoccupi, mi dica.Il signore pallido fece una smorfia:Il dottore mi ha appena detto che ho un cancrolampo all’ 88.7%, cioè una forma di cancro dirompente che non dà speranza. Poi ha aggiunto che voleva ricoverarmi, non tanto per curarmi quanto perché non ce l’avrei fatta a tornare a casa. Ma io mi sono alzato e sono corso fuori, in corridoio, mentre lui mi urlava dietro: ‘Venga qui, ma dove va? Non riuscirà nemmeno ad uscire dall’ospedale!’ E invece, vede?, eccomi qui! Ci ho messo parecchio, perché ogni tanto mi assale la nausea e una gran debolezza, ma sono fuori da quella gabbia di matti…Oh! Mi scusi.Perché si scusa?, lo tranquillizzai. Non sono mica pazzo al 100%. Ma mi dica: quanto tempo le ha detto che le resta?Non molto a sentir lui.Cioè?Il signore pallido diede un’occhiata all’orologio, sembrò fare un calcolo mentale, poi disse:Tredici minuti e otto secondi.

- POESIA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

1° CLASSIFICATOGiovelli Maria Francesca – Piacenza

Otto distici per una riflessione sul mestiere del poeta, cullati dalla rima e segnati da un ritmo molto personale. Le immagini dicono che l'ispirazione nasce da aspetti della natura e da momenti della vita, è aperta al dolore, dona conforto, ma coglie anche i segni piccoli e misteriosi che svelano il destino di questa nostra terra.

POETESSA

Anche oggi catturi la scia di un bagliore

tra l’erba medica tagliata nel riflesso del sole.Quante volte un alito di terra, di cielo e di ventoper te non era più muto; ma parola, frammentoti ha svelato i suoi sommersi, silenziosi segretiun lontano odore di mosto, di offuscati vigneti,lo specchio della vita nel fiume chiaro che corre

o anime perse a cercare la chiave della chiusa torre.Tu che mai alla vita hai chiuso la porta e la manosai che le acque degli occhi non straripano invanoe alle vibrazioni di uno straniero straziato doloredoni guarite parole nel silenzio acceso del cuore.

Ma oggi che la calura del cielo forte rinserrail tuo dolore contadino rivolto alla vivida terra,

senti che il tempo rimasto è sempre poco,conosci anche il vento che piega il fragile croco.

- POESIA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

2° CLASSIFICATORosanna Nossa – Brignano G.A. (BG)

La breve lirica è molto evocativa perché dona alla conchiglia il valore di un talisma-no.Per mezzo suo la memoria di una vacanza irrompe nella quotidianità e i granelli di sabbia

che ancora custodisce sono frammenti inattesi di un tempo lontano restituiti così alle 'mani stupite' del poeta.

UNA CONCHIGLIA

Sei passata da una spiaggia lontanaa un cassetto dimenticato.

Oggi sei quinella mia mano stupita

attenta a non disperderela sabbia che ancora porti dentro.

- POESIA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

3° CLASSIFICATOUmberto Druschovic – Sarre (Aosta)

Cinque strofe raccontano i ricordi infantili di una donna: gli odori della campagna e della casa, i giochi e i paesaggi di un tempo passato, un colloquio affettuoso con alcune presenze amiche avvertite soltanto dalla voce narrante: la bambola e i vecchi.

La bambola dorme, i vecchi sono chiamati a vegliare per proteggere la donna nel passare dei giorni.

Le scelte linguistiche rendono bene le immagini e i suoni di una natura animata e partecipe.

BAMBOLA DI STRACCI

Nella mia campagna di bambinale sere d’autunno sapevanodi terra, di nebbia e di mosto.

Non ho mai voluto togliermi di dossol’odore dei giorni andati, l’acre fumo della stufa e il sigaro dei vecchi consumato lentamente.

Li porto con me ogni giornonelle narici, nel sangue.

Giocavo nel cortilesotto file di panni appesisu corde tirate fra due lembid’orizzonte, rosso di tramonto,salutavo con mano di bimbagarruli stormi di rondoniin partenza verso cieli d’Africa.

Dov’è ora la mia bambola di stracci,l’amica più cara, la fedele compagna ?

Parlate piano, forse dorme ancoranella vecchia stalla, adagiata nella greppiatra foglie secche e paglia di grano.

Ora che il vento ha sfogliato nuvolecome pagine di cielo sul libro del tempovi chiedo, dove siete voi vecchi di alloradi cui ogni sera cerco ancora la mano ?

Vi prego, non dormite anche voicome la mia bambola perduta,restate accanto a mecome un panno caldo a lenire questo maleche è l’andare dei giorniche scorre come l’acqua, non fa rumorema consuma e scava dentro.

- POESIA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

SegnalatoSalvatore d’Aprano - Canada

“Decadenza“Tal un moderno Icaro volteggiotra rosee nubi ovattatenella concava volta celeste.Il magico poteredella -polverina bianca-a poco a poco si sfuocae all’euforica ascesasubentra uno statodi profonda ebetudine.Schiaffeggiato dalla realtàmi desto dal torporee con onerose alidiscendo verso il fondo,come la sabbia nella clessidrae s’inabissa inesorabilmentequest’arida mia vita.Languisco ormainella fanghiglia del baratrosenza alcuna volontà di riemergere.Non ho più la forza, né il coraggiodi contenere le tempestose acquedella mia decadenza.Sento ormai prossimal’ora della mia agonia.E mi congedo dal mondocol solo rimpiantoma senza rancorecome si congedano gli amantiquando morto è l’amore.

“ Décadence “

Tel un moderne Icareje voltige parmi les nuagesdans l’immense voûte céleste.Le pouvoir magiquede la -poudre blanche-peu à peu s’évaporeet à l’euphorie de la montéesuccède un état

de profonde hébétude.Giflé par la réalitéJe m’ éveille de la torpeuret avec des ailes alourdiesje redescends vers le fond,comme le sable dans la clepsydreet inexorable s’engouffrema vie si aride.Je languis désormaisdans la fange de l’abîmesans aucun espoir d’émerger.Je n’ai plus la force,ni le courage de contenir le eauxtumultueuses de ma décadence.Je sens très prochel’heure de mon agonie.Et je me congédie du mondeavec des regrets mais sans rancunecomme les amants qui se quittentdans une nuit sans lune.

- POESIA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

Segnalato

Pietro Baccino - Savona

La tua voce

Io sento la tua voce,vibra sulle paretidella stanza celesteche accoglie la mia animae poi si scioglie prestonel mormorio lieve del ruscelloche carezza le sponde del mio cuoree ancora si trasformain una cascatella di note saltellanti sulla pietra per vaporare infinenegli spruzzi d’argentodi un fresco arcobaleno.E’ per me la tua voce incanto e sogno,desiderio di prati aperti al vento,di corse tra le nuvole,di sguardi intensi, mano nella mano.La tua voce è l’eco di silenzi antichi, di ricordi ormai lontanidegli anni nostri giovaniquando le mie parolenon furon mai preludioad un gesto d’amore.E’ la tua voce musicache oggi mi ritorna trasportatada un vecchio treno stanco,da una corriera ansanteo da un barroccio di cavalli bai:ma forse è tardi ormai,passato il tempo della giovinezza,per domandarti il dono di un’ultima carezza.

- POESIA - CATEGORIA GIOVANI/ADULTI

SegnalatoSilvia Lorenzi – Bergamo

LUNA PIEGATA

Luna piegata come il tuo labbroRagnatela coerente al suo filo

Ciliegie sulle labbraMatassa dal capo incomprensibile

La punta si spezzaLa notte rotola via

Forse di qua ci sono già passataO vento o nebbia

I frammenti sono la mia stanchezza di anima bagnata

- NARRATIVA - CATEGORIA RAGAZZI

1° CLASSIFICATO

Lisa Venniro – Brembate di Sopra (BG)

La persecuzione degli ebrei raccontata dal punto di vista di un bambino con i bruschi trapassi tra illusione e delusione, fiducia e paura. Come fotogrammi emergono le catture, il trasporto, il campo e le violenze.

Alla fine, però c'è un soldato che si credeva nemico, ma si rivela un eroe. Egli salva il piccolo protagonista a prezzo della vita dimostrando che, quando il male è troppo insopportabile, la giovane fantasia può creare un 'lieto fine'.

STORIA DI UN EROE

Il mio nome è Bruno e questa è la mia storia.Una storia che condizionò la vita mia e quella del mio popolo.La nostra era una “razza” per le persone cattive.Dovevamo portare una stella cucita sui vestiti; mamma diceva che era come una carta d’identità e che eravamo speciali per questo. Ma non era vero!Non so perché, ma fu quello l’inizio … l’inizio della fine.Un giorno arrivò una lettera: papà subito si preoccupò, mamma disse che avremmo traslocato. Ma anche questo non era vero.Io ero piccolo e non capivo cosa accadeva, ma molto presto l’avrei capito fin troppo bene.Trascorsi cinque giorni di attesa e ansia bussarono violentemente alla porta due soldati e, col fucile puntato su mio padre, ci diedero dieci minuti per fare le valigie. “Ma per andare dove?” mi chiesi pensando al mare o ai monti.Scesi in strada i soldati diventarono tre, poi dieci e forse più.Trovai in fila accanto a noi Ciccio il fornaio, Marta la fioraia, il mio amico Carlo con famiglia … Eravamo tutti lì!Avevo paura, essere con i miei genitori mi rassicurava un po‘, ma la paura non riusciva a svanire. Salimmo su un furgone zeppo di adulti e bambini. Poi su un treno dove c’era molta più gente ed io avevo molta più paura di prima.Ero confuso, tutti piangevano e i miei genitori mi sorridevano.Boh! Capivo solo che le cose si mettevano male, ma il peggio doveva ancora arrivare.Il viaggio fu lungo, eravamo ammassati e senza bagno, i bisogni li facevamo in un secchio e ad ogni scossone tutto andava dappertutto.Sentivo che i cuori delle persone si erano già spenti.Prima erano illuminati dell’immensa luce della libertà. Ora erano illuminati di immenso nero, paura profonda e rabbia oscura.Un immenso che era spento come una lampadina ormai rotta.Dopo ore o giorni di lungo viaggio, arrivammo.Era bruttissimo! Solo urla e freddo. Cercavo disperatamente di non staccarmi da mia madre.Fu orribile poi!I soldati dividevano le famiglie.Ero terrorizzato!

Volevo piangere ma non ci riuscivo. Ero pieno di rabbia e malinconia dei miei ricordi felici di pochi giorni prima, ma già troppo lontani nella mia memoria.Improvvisamente due soldati cercarono di allontanare da me i miei genitori dandogli colpi di fucile sulla schiena.Mia madre urlava e mi stringeva al petto sopportando il dolore dei colpi. Non voleva, non poteva lasciarmi. Ma loro furono più forti! Rimasi solo.Dopo un paio di secondi, per me un tempo infinito mentre vedevo spaventato mia madre allontanarsi col suo pianto disperato, un altro soldato con un’enorme pistola si avvicinò a me.Il soldato era bruttissimo e pieno di rughe e buchi sul viso, però accadde una cosa strana ….Dietro quegli occhi colore del ghiaccio intravidi un cuore immenso e, improvvisamente, non avevo più paura.Mi prese per un braccio e mi portò verso un’enorme baracca.Mentre camminavamo vidi ciò che avrei preferito non vedere, per non sapere e non ricordare.Fu orribile! La gente era incatenata, con visi inquietanti. Non sembravano più persone!Poi avvenne una cosa fuori da ogni pensiero umano.Un uomo camminava con molta fatica, aveva per scarpe delle pezze fradice.Ad un certo punto cadde a terra.Un soldato, che lo osservava da un po’ schernendolo, gli corse incontro ma non per aiutarlo.Lo prese per un braccio e lo trascinò al centro del piazzale, incurante del viso immerso nel fango, bruscamente lo fece alzare in piedi, lentamente puntò il fucile e …Con una gelida risata rivolta ai suoi compagni, premette il grilletto e con un colpo secco lo uccise.In quel momento un brivido mi percorse tutto il corpo. Volevo mia madre. Volevo che mi svegliasse da quell’incubo.Avevo paura di piangere perché quel soldato mi guardava come se aspettasse solo una mia lacrima per puntare il fucile contro me.Il corpo di quel ragazzo era disteso a terra con il viso girato dalla mia parte e mi colpì il suo sorriso. Nel momento in cui stava incontrando la morte, sorrideva. Doveva avere la mia stessa età, ma capisco oggi che aveva sofferto già molto di più.Il soldato, per umiliarlo ancora, gli sputava addosso. Sputava su un ragazzo morto!Il mio soldato mi spinse nella baracca. C’era una puzza terribile! Visi pallidi e paurosamente magri mi guardavano dalle loro cuccette ed io non mi sentivo affatto a mio agio. Con aria innervosita mi fece spogliare, poi mi rasò i capelli. Non avevo più i riccioli che mia madre avvolgeva fra le dita mentre la sera mi raccontava una storia.Ero molto triste per quel ricordo, il soldato sembrò capire e disse che così non avrei avuto i pidocchi, poi mi diede un pigiama a strisce, molto grande per me a dire il vero, e un paio di scarponi di almeno tre misure in più.Io mi fidavo di lui, così smisi di piangere.Poi quei visi inumani saltarono giù dalle cuccette.Erano bimbi come me e corsero non da me ma dal mio soldato.Quel viso orribile si illuminò della luce di bontà che avevo già scorto nei suoi occhi e dalle tasche tirò fuori pezzi di pane e formaggio.Quella mano grande e rozza si poggiava delicatamente sulle nostre teste mentre pregava tutti di fare silenzio.Lo sapevo! Il mio soldato ci avrebbe protetto.Nacque una grande amicizia. Ci dava più cibo e lavoro meno pesante.La sera, quando non era di guardia, ci raccontava storie assurde e divertenti.

Avevamo inventato un gioco: non potendo guardare le nuvole, raccoglievamo dei sassi e cercavamo in essi le immagini nascoste; la più bella avrebbe vinto. Io vincevo sempre.Un giorno mi ammalai, anche con le febbre dovevo lavorare e svenni.Il comandante del campo non ebbe pietà ed ordinò al mio soldato di fucilarmi.Lui puntò il fucile, prese la mira e … non sparò.Non poteva, non avrebbe mai potuto uccidere nessuno, nemmeno un bambino ebreo.Fu giustiziato al posto mio.Il comandante ebbe il suo spettacolo e per quella volta mi graziò.Dopo pochi giorni finì la guerra.Non ho più rivisto la mia famiglia, ma mi piace pensare che a darmi la vita furono mia madre, mio padre e Roger, come lo chiamavo io perché il suo vero nome era troppo difficile da pronunciare.

- NARRATIVA - CATEGORIA RAGAZZI

2° CLASSIFICATO

Claudia Augeri – Terno d’Isola (BG)

Una pagina di diario raccoglie le emozioni suscitate dall'incontro con una coetanea africana, Zalika, che aveva raccontato in classe le peripezie e le sofferenze della sua gente.

L'esperienza è descritta in modo chiaro, è ricca di informazioni ed è tanto più apprezzabile in quanto capace di far riflettere sulle diverse opportunità e sui privilegi di pochi.

CARA DIXIE

Cara Dixie,

credo che oggi il mio modo di vedere il mondo sia cambiato per sempre. Da questo giorno la parola “sfortuna” avrà per me un significato diverso. Devi sapere che a scuola è arrivata Zalika, una ragazzina di tredici anni proveniente dalla Sierra Leone. Zalika è stata assegnata alla nostra classe; è alta, piuttosto magra, ha i capelli lunghi, ricci e neri e i due occhi color nocciola più grandi e belli del mondo. La professoressa le ha chiesto di raccontare un po’ di sé, della sua famiglia e della sua vita. Zalika, il cui nome significa “nata bene”, sa parlare in modo più o meno scorrevole l’italiano; è fuggita dalla Sierra Leone con la sua famiglia e si è rifugiata a casa degli zii che vivono qua in Italia. Cara Dixie, Zalika è riuscita a raccontare, seppur con voce strozzata dal pianto, l’orribile situazione del suo paese, poco più di settantatremila kilometri quadrati di pura sofferenza, guerra e morte. Questo sfortunato stato è straziato da oltre dieci anni da una devastante guerra civile ed oggi è il primo paese per mortalità infantile sotto i cinque anni. La piccola Zalika ha raccontato con le lacrime agli occhi che donne e bambini sono vittime di terribili abusi; migliaia di ragazzini tra i quattro e i sedici anni sono stati arruolati come bambini-soldato, mentre il novanta per cento delle bambine rapite dai ribelli sono state violentate e poi uccise o ridotte in schiavitù. Cara Dixie sono sconvolta. Certo avevo già sentito dai telegiornali le pene e le sofferenze dei paesi in guerra, ma sentire la testimonianza di una ragazza che ha vissuto e ha assistito a queste atrocità, trasmette emozioni totalmente differenti. Trovo assurdo e ingiusto che ragazzine come Zalika non possono vivere la propria infanzia con spensieratezza e serenità a causa della follia degli uomini. Adesso mi vergogno di essermi lamentata, fino a ieri, perché non avevo i cellulari, i computer o i giochi più nuovi e costosi e di essermi ritenuta “sfortunata” perché non potevo ottenere tutti i vestiti, le scarpe o le cose tecnologiche e innovative che desideravo. I miei problemi non sono niente in confronto a quello che sta vivendo la gente della Sierra Leone; penso che loro darebbero qualunque cosa per vivere come faccio io. Vorrei poterli aiutare ma sono solo una bambina e sarei inutile. Mi impegnerò, allora, ad accontentarmi di quello che ho e di ritenermi fortunata per la vita che conduco. Cara Dixie ora devo andare e sono sicura che queste mie promesse saranno mantenute.

A domani mio caro diario,

Claudia

- NARRATIVA - CATEGORIA RAGAZZI

3° CLASSIFICATOManuel Villan – Terno d’Isola (BG)

Un presentatore intervista con fare professionale il famoso personaggio dei cartoni animati. Ezechiele risponde rievocando le fiabe tradizionali in cui compare un lupo e sostenendo per ciascuna di esse una versione diversa da quella mistificatoria degli autori.

Il dialogo è vivace, le battute sono spiritose e lo scambio tra i personaggi mantiene un buon ritmo fino alla sorpresa finale.

IL LUPO EZICHIELE

INTERVISTA IL PERSONAGGIO DI UNA FIABA CHE CONOSCI, RICOSTRUENDO LE SUE VICENDE CON DOMANDE E RISPOSTE E ARRICCHENDO L’INTERVISTA DI PARTICOLARI CHE LA RENDANO PIÙ INTERESSANTELegenda :P:Pubblico; L: Lupo Ezechiele; G: GiornalistaG: Signori e Signore benvenuti alla nostra trasmissione dedicata agli eroi e antieroi delle fiabe. Questa sera è con grande emozione che abbiamo l’onore di avere con noi un ospite eccezionale che ha deciso di rilasciare ai nostri microfoni un’intervista esclusiva, inedita e straordinaria … Per la prima volta a noi di “Teleceraunavolta” racconterà le fatiche di essere sempre l’antagonista, il perdente di tutte le fiabe, il furbastro gabbato, l’affamato atavico, il cattivone tanto temuto dai bambini, spesso tenuti buoni dai genitori con la minaccia della sua venuta … È con grande onore che vi presento … lupo Ezechiele !!!P: clap … clap … clap … clap … clap …(applausi)G: Buongiorno lupo, grazie per aver accettato il nostro invito, è un onore averla con noiL: Grazie a voi di avermi invitatoG: Partiamo subito con la prima domanda … A quante fiabe ha partecipato?L: È difficile quantificare a quante fiabe abbia partecipato nella mia lunga e straordinaria carriera … Sono innumerevoli dalle più note come : “Cappuccetto rosso” e “I tre porcellini” ad altre meno note come “I sette capretti” …G: In ogni fiaba va sempre vicino ad ottenere i suoi scopi, ma alla fine risulta sempre perdente, deluso e umiliato …L: Anche questo non è vero e risulta spesso frutto di travisamenti e di indebite modificazioni delle fiabe originali. Per chiarire questo concetto posso fare un esempio emblematico : nella fiaba dei tre porcellini, in quella originale dico, dopo aver spazzato le loro precarie casette con il mio potente soffio, riesco a mangiarne due su tre … Ma, ahimè, in alcune versioni edulcorate per i bimbi moderni non riuscirei a mangiarne neanche uno.G: Abbiamo ricevuto numerose e-mail dal pubblico. La domanda più frequente rimane quella relativa alla fiaba dei “Sette capretti”. Il pubblico si chiede per quale motivo, dopo averli catturati, lei si addormenti consentendo a mamma caprona di liberarli … Ma perché non se li è mangiati subito?L: Il pubblico tocca un tasto dolente … Lei non sa che litigate con i narratori … Ho sempre sostenuto anche io che un lupo affamato non può addormentarsi con sette teneri capretti da mangiare … Almeno un paio, diamine! Avrei dovuto mangiarli subito … Che un lupo si addormenti affamato non è verosimile, andiamo ! G: Tornando ai classici … In “Cappuccetto rosso” non fa proprio una bella fine!

L: È assolutamente vero … I soliti “due pesi e due misure” … Tanta sensibilità quando si tratta di truccare la storia dei “Tre porcellini” o di non consentirmi di mangiare almeno un capretto e poi si lascia che il cacciatore mi squarti impunemente per tirare fuori una bisbetica nonna cicciona e “mangia biscotti” …G: Effettivamente non ha tutti i torti!L: “Non ha tutti i torti!!???” Un lupo fa il gentillupo, non si mangia subito una bimba con il suo cestino, va a mangiarsi una nonnetta tutt’altro che tenera ed anche un po’ indigesta ed ecco che arriva quel cacciatore dei miei stivali per tagliarmi la pancia … Sinceramente … Mi dissocio!!!G: Veniamo ai suoi progetti per il futuro … Sta lavorando per qualche altra fiaba?L: Tutti i copioni che ho letto fin ora non hanno nulla di speciale … Alla fine faccio sempre la figura del fesso e non riesco a mettere nulla sotto i denti … Mi piacerebbe leggere un copione nel quale sono il protagonista e mi aggiro sprezzante del pericolo mangiando a sazietà, oppure dotato di superpoteri come la super-vista, il super-udito ecc … Insomma tutto ciò che mi aiuti a fare pantagrueliche scorpacciate …G: Interessante … Ringraziandola e prima di congedarla vorrei darle la possibilità di lanciare un messaggio o confidare un segreto al nostro pubblico …L: Ma non so se …G: Forza coraggio, non sia timidoL: Veramente … Una cosa ci sarebbe, ma non so se è il caso, non so come la prenderebbero i miei fans …G: Forza, è un’occasione irripetibile …L: Ok, va bene … Lo confesso … SONO VEGETARIANO

- NARRATIVA - CATEGORIA RAGAZZI

Segnalato

Anna Zanaga – Terno d’Isola (BG)

LA STORIA DI ELLY BELLI CAPELLI

In un luogo lontano, ma vicino, distante ma prossimo, c’era una folta foresta, dove tutti vivevano vicini vicini, sopra una terra tonda e accigliata.La loro vita trascorreva giorno dopo giorno, in un susseguirsi d’inondazioni, alluvioni e schiume colorate e profumate, tempeste di vento caldo e rastrellamenti di pettine o spazzola.In questa foresta, un giorno spuntò Elly Belly Capelli era piccola, ma in pochi mesi diventò lunga, liscia e lucida e si fece spazio in quella giungla capillifera. Con le sue amiche e vicine andava molto d’accordo e passavano le giornate a chiacchierare del più e del meno, o meglio del lungo e del corto e delle ultime mode in fatto di taglio e piega.A volte parlavano di cose tristi: di quelle voci che arrivavano da mondi lontani ma vicini, che parlavano d’interi pianeti deserti e lucidi, dove non c’era vita per loro. Ogni due o tre giorni, a volte ogni settimana, aspettavano la grande inondazione schiumosa e fra loro si accendeva una grande eccitazione: erano felici e giocavano con la schiuma, che grandi animali dal corpo affusolato facevano montare come fosse panna montata.Erano sempre gli stessi e lei li aveva nel tempo contati: erano dieci o meglio cinque coppie di gemelli, due tozzi e robusti, due più grandi, due più alti, due un poco più della media e per ultimi due piccolini. A volte passavano, anche senza montare schiume strane, ed erano veloci e rapidi oppure si fermavano a grattare la terra in cerca di chissà quali pensieri.Ogni volta che passava un’inondazione schiumosa arrivava sempre un vento caldo, rumoroso e dispettoso, che rendeva Elly Belly e le sue amiche a volte dritte come delle stecche e a volte arrotolate come delle vorticose girandole di fili.I giorni passavano e passavano, uno dopo l’altro, molte sue amiche si staccavano da terra e cominciavano a librarsi nell’aria in un volo misterioso, verso un altro mondo sconosciuto che tutti avrebbero voluto vedere, per poi tornare a raccontarlo, ma nessuna di loro vi era riuscita. A volte si sentivano voci le quali raccontavano ciò che era successo in questi mondi lontani, ma quelli che erano tornati non erano più gli stessi…sembravano spaesati, strani…finti, oppure arroganti e antipatici come vecchi parrucconi.Infine, passarono gli anni ed Elly Belly e le sue amiche si erano trovate colorate d’infiniti colori: dai più chiari ai più scuri, ai più inverosimili arcobaleni; ma ormai si sentivano strane non erano più lucenti e lisce, si erano un po’ sbiadite in un bel riflesso bianco argentato.Avevano visto tante stagioni e tanti anni erano passati ed erano ancora inondate di schiuma e asciugate dal vento caldo, ma non era più tanto dispettoso e sempre più spesso erano coperte da una grande nuvola lanosa che le impediva di vedere la luce calda del sole.Non so per quale imperscrutabile ragione Elly Belly sentiva dentro di sé che la sua ora di volare stava arrivando, la maggior parte delle sue amiche era già partita e a volte si soffermava a fantasticare di questo o quel volo. Chissà!

Fu un giorno qualsiasi, in quel qualsiasi mondo, vicino ma lontano, prossimo ma distante, in una qualsiasi ora, in un qualsiasi momento, che Elly Belly volò…volò via nel vento che non era lo stesso caldo e dispettoso, ma era fresco… anche un po’ freddo, ma libero nell’universo immenso e infinito e non ritornò mai più con le sue radici su quella terra ma volò, volò … volò via.

- NARRATIVA - CATEGORIA RAGAZZI

Segnalato

Giorgia Masper – Terno d’Isola (BG)

UNA DECISIONE IMPORTANTE

Caro diario,oggi ho la febbre e sono stata a casa da scuola, ero annoiata, non avevo voglia né di vedere la televisione, né di giocare al computer, allora mia mamma si è seduta vicino a me per farmi compagnia. Abbiamo parlato di tante cose e poi si è messa a raccontare di quando era incinta di me. è stato un periodo molto duro per lei.All’inizio c’era la gioia del mio arrivo, ma subito, al primo esame del sangue, è stata chiamata dalla sua dottoressa, che voleva vederla con urgenza il mattino seguente, perché aveva un’infezione ed era meglio interrompere la gravidanza.Lei era disperata, non voleva abortire, perché, sin dal primo giorno della sua gravidanza, si era innamorata di me.Il giorno dopo, all’ospedale, le hanno rifatto il test e purtroppo era positivo alla TOXOPLASMOSI, quindi io potevo avere dei seri problemi : non mi si sarebbe sviluppato il cervello, o minore dei mali, potevo essere cieca.La mamma non si lasciò convincere, andò in un ospedale a Milano, dove curano queste patologie, si mise in cura con la dottoressa Fiore, che subito la tranquillizzò, le fece fare un’amniocentesi, le diede una cura antibiotica per tutta la gravidanza e la seguì sempre, passo per passo.I nove mesi furono duri, con tutte le medicine che prendeva stava spesso male, ma a lei non importava, voleva darmi la possibilità di vivere.La mattina che decisi di venire al mondo, lo feci di fretta, se il papi non avesse corso come un matto a portarla in ospedale, sarei nata in macchina.Lei era spaventata, ormai era arrivato il momento, dopo tante angosce, speranze e paure, era il momento della verità.Io sono nata il ventinove maggio alle dieci e venti di mattina, pesavo tre chili e seicentocinquanta grammi e mia mamma mi ha detto, che appena mi ha visto, ha capito che ero sana, ero la fotocopia di mio fratello e lei era finalmente felice e orgogliosa di aver combattuto per me.Mi hanno portato subito a fare degli esami e l’esito era che ero sanissima, anche avrei dovuto fare controlli per il primo anno di vita, ma finalmente il peggio era passato.Per fortuna mia mamma è testarda e non ha voluto prendere la strada più facile, ha fatto di testa sua e io le sarò grata per tutta la vita.Io oggi ho dodici anni, sono sana, felice e ogni tanto la faccio disperare.Ora sono stanca morta, la medicina per la febbre fa effetto.Ci sentiamo domani così ti dico come sto, un bacione.

- POESIA - CATEGORIA RAGAZZI

1° CLASSIFICATO

Valentina Barbieri – Roveleto di Cadeo (PC)

I poeti vedono ogni cosa come se fosse animata, per ciò la loro figura preferita è la personificazione: qui un mese invernale è descritto come un essere un po' trascurato che ha bisogno di protezione e di affetto, una persona di cui è dolce la compagnia. Solo così se ne colgono i segni nel tempo e nella natura.

NOVEMBRE

Novembre ha preso posto nei giardini,nei parchi, sui cigli delle strade.Già lo avvertivo nell'aria,lo chiamavo, lo volevo novembre è ora qui.Lo guardo negli occhie mi perdo nella sua nebbia,novembre ha un cuore tiepido,freme dal forte vento.Io lo accolgocome vagabondo,come nomade disperso,come mendicante sparitoda strade troppo calde.Novembre è un terremoto,io lo inseguo e lo proteggoè un silenzio solitario,io lo curo, me ne innamoro.Novembre è il vento del mattino,il lento sbadiglio all'alba,la leggera impronta tra le zolle,novembre è un crepuscolo nascosto.

- POESIA - CATEGORIA RAGAZZI

2° CLASSIFICATO

Francesco Chiapparini - Parma

Chi scrive poesie può immaginare anche la forma di concetti mai sperimentati, come 'l'eternità' e il 'non-luogo' di una vita immateriale.

Nei versi si delinea uno spazio infinito per anime ignare di tutto. Tuttavia l'angoscia che regna in quel luogo immaginario rimanda alla colpa reale dell'uomo che sta distruggendo la terra.

LA TERRA PERDUTA

Io sono morto ancor prima che il nulla mi risucchi nelle sue profondità infinite. Lì non c’è inizio né fine e il tempo è solo una metafora vuota. Sono in una terra perdutadove tutti sono uguali, non sannocome vi sono arrivati e perché.In quel luogo, sei come un’anima purache vede la prima luce e non ha ancora conosciuto niente. Siamo spiriti vuoti nel regno che non c’è. Chi crede sa che esiste questoluogo pieno di angoscia.Terribilmente simile alla terrache l’uomo sta uccidendo. Giorno dopo giorno. Per sempre.

- POESIA - CATEGORIA RAGAZZI

3° CLASSIFICATO

Deborah Carrara – Presezzo (BG)

Il fuoco del camino evoca immagini e sentimenti che appaiono e si rincorrono nello spazio ritmato dei versi.

Nella parola “fuoco” ripetuta e invocata non ci sono solo il passato e il presente in una dimensione familiare, ma c'è anche il simbolo delle memorie e dei valori collettivi.

FUOCO

Seduta vicino al camino,guardo il fuoco.

In esso danzano figure anticheche accendono nel mio cuore

il primitivo ricordo dei nostri avi.Fuoco,

fuoco che arde nel mio cuorecon l’affetto delle persone care

che mi hanno lasciata.Fuoco,

sorgente antica di un amoreche si tramanda in ogni generazione.

Fuoco,assidua fonte di speranza

che si accende nei nostri cuori.Fuoco,

ricordo presente di un passato lontano.Fuoco,

meraviglioso sogno di libertà.Fuoco,

fuoco che porta con séil ricordo di ogni era,di ogni generazione,

il ricordo di un passato che non si può dimenticare!

- POESIA - CATEGORIA RAGAZZI

Segnalato

Lucia Testa – San Vito Romano (Roma)

LA PRIGIONIA

Una rete che uccide la libertà.Metallo crudele impregnato di peccatoche divide la vita dalla morte.Spiragli di luce,che illuduno a fuggire da un cielo inesistente.E due mani che si toccanno,impaurite.Pallide, si desiderano,vogliono di nuovo la vita.E gridano,e urlano,pietà, amore, libertà.Graffiano la morte,graffiano la prigione,graffiano loro stesse.E mentre le mani si incontrano,le labbra tremano,zitte, peccaminose, tristi, affrante, straziatedal dolore della rete che arde,e produce odio e limita la libertà.Due fronti impalpabili tra loro,con il peccato che le divide.volere, desiderare bramare.Cercare di toccarsi,e di riprovare a vedere insieme il mondo.E mentre tutto crolla.Resta in piedi solo la rete che divide l’amore.

- POESIA - CATEGORIA RAGAZZI

SegnalatoNicolò Bianchin – Brembate di Sopra (BG)

LA BAITA DEI NONNISperduto sulla montagna, sopra Fuipiano un luogo bellissimo mi attende la domenica mattina.Il sole è alto nel cielo la bandiera italiana sventola sopra lo stallino.Le aquile e le poiane volano nel cielo,osservano dall’alto quella reggia incantata.Pini, ginepri, noccioli sembrano separarla dal resto del mondo.Un’enorme distesa di abeti fa capolino dietro la montagna,come se volesse giocare a nascondino.Lepri e volpi sbucano dalla vicina riserva di caccia, con l’animo di chi deve scampare ad un pericolo imminente,attraversano la verde distesaincuranti della nostra sorpresa presenza.Il cielo è azzurrogli uccelli cinguettano La legna brucia nel cammino di pietrala griglia è accesail fuoco scoppiettala carne arrostiscei profumi si espandono.All’interno tutto è incantatomobili e letti d’abete ricordano i vecchi tempi.Chiudo gli occhiImmaginoMi immergo nelle emozioni.

Segnalati perché meritevoli alcune opere delle classi

II° e III° B della S.S. I Grado – Istituto Comprensivo “Aldo Moro” - StornarellaFoggia

Docente referente: prof.ssa Paola Grillo

Monaco Emilia - nata a Foggia il 14 maggio 1998

BENVENUTA PRIMAVERA!Con passi di danzaleggeri ed elegantisei arrivata…

Il tuo vello variopintohai steso delicatamentesui prati e sui monti…

Hai svegliato dolcementela natura,che ora canta spensierata:“Benvenuta, Primavera!”.

Nicola Gerardo Trombetta – nato a Foggia il 28 gennaio 1999

CALDA STAGIONE

Estate.

Calda stagione

in cui il sole

splende alto

tra nuvole

di colore trasparente.

In spiaggia

si ode

un silenzio assordante.

Quercia Francesco – nato a Foggia il 20 giugno 1997

ESTATE

Palla infuocatalancia pezzetti di gomma incandescenti e lasciascie di fuoco.Mucchi di ovattasoffiano,dando caloread una distesa di terra e cemento,procurandopiacevoli inferni.

Mariacristina Lombardi – nata a Foggia il 26 maggio 1998

FREDDA PRIMAVERA

I fiori

ormai sbocciati

cercano di ripararsi

da un insolito vento gelido,

che fa tremare le foglie.

Il timido sole

si nasconde

dietro le nuvole minacciose.

Marco Ognissanti – nato a San Giovanni Rotondo il 28 novembre 1997

IL MARE

In un rapido sospiro

cerco ciò che mi può consolare

non dal sole cocente

ma dal mare

che ondeggia cautamente

e sugli scogli si infrange.

Il fruscio del mare

mi risuona nelle orecchie

come un dolce cullare..

profumo di mare.

Fabio Ognissanti – nato a San Giovanni Rotondo il 28 novembre 1997

IL TUONO

Arriva veloce

e con una pugnalata di luce

colpisce la terra.

L’atterrisce.

Alcuni alberi

resistono.

Altri

cadono al suolo.

Il tuono si ritira,

per poi ricomparire

da quell’oscuro velo nero.

Annarita Cassanelli – nata a Foggia il 7 maggio 1998

L’ESTATE SE N’E’ ANDATA

L’estate se n’è andata

senza far rumore

e tra i rami

ha lasciato

pezzi di sole.

Foglie rosse, gialle, brune,

foglie d’oro e di fuoco.

L’albero

ha un brivido di freddo:

è arrivato l’autunno.

Francesco Dirienzo – nato a Foggia il 24 dicembre 1998

MIA MADRE

Mia madre, molto prudente,

mi ha cresciuto amorevolmente.

Dappertutto mi ha sempre seguito

e non mi ha mai toccato con un dito.

Mia madre, scherzosa e sorridente,

a volte, però, sembra un sergente!

Francesca Lattarulo – nata a Foggia il 17 settembre 1997

POETI

I momenti belli passanoe mai ritornanose non nelle paroledi una poesia.Come raggientrano nei nostri cuorie li trafiggono.Le parole rivelano segreti nascosti.Esprimono ineffabiliemozioni.I poeti sonola voce del cuore.

Potito Quercia – nato a Foggia l’8 gennaio 1999

QUANDO MAMMA

Quando mamma mi guarda felice,

ascolto volentieri quello che mi dice.

Se il suo sguardo è cupo,

mi sento solo come un lupo.

Per lei provo un amore profondo,

che supera i confini del mondo.