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SECRETARIA STATUS BOLLETTINO PER LE RAPPRESENTANZE PONTIFICIE __________________________________________________________________ ______________ ANNO XVIII, N. 17 – MARTEDÌ 17 GENNAIO 2017 __________________________________________________________________ ______________ DOCUMENTAZIONE INFORMAZIONE UDIENZE E IMPEGNI S. PADRE * AGENDA DEL PAPA * RINUNCE E NOMINE * COMUNICAZIONI SANTA SEDE DISCORSI PONTIFICI INIZIO MISSIONE NUNZI MESSAGGI PONTIFICI CALENDARIO SETTIMANALE OMELIE DEL SANTO PADRE VARIAZIONI ANNUARIO UDIENZA GENERALE * CHIESA NEL MONDO ANGELUS DOMINI NECROLOGIE STAMPA E AGENZIE COMUNICATI SALA STAMPA * RADIO VATICANA

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SECRETARIA STATUS

BOLLETTINOPER LE RAPPRESENTANZE PONTIFICIE

________________________________________________________________________________

ANNO XVIII, N. 17 – MARTEDÌ 17 GENNAIO 2017________________________________________________________________________________

DOCUMENTAZIONE INFORMAZIONE UDIENZE E IMPEGNI S. PADRE * AGENDA DEL PAPA

* RINUNCE E NOMINE * COMUNICAZIONI SANTA SEDE

DISCORSI PONTIFICI INIZIO MISSIONE NUNZIMESSAGGI PONTIFICI CALENDARIO SETTIMANALEOMELIE DEL SANTO PADRE VARIAZIONI ANNUARIOUDIENZA GENERALE * CHIESA NEL MONDO

ANGELUS DOMINI NECROLOGIE

STAMPA E AGENZIE

COMUNICATI SALA STAMPA * RADIO VATICANA

* RASSEGNE DI STAMPA AGENZIE CATTOLICHE

* ARTICOLI E DOCUMENTI AGENZIE DI STAMPA

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DOCUMENTAZIONE

RINUNCE E NOMINE

Nomina del Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Medellín (Colombia)

Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Medellín (Colombia) il Reverendo José Mauricio Vélez García, del clero della medesima Arcidiocesi, finora Vicario Episcopale della zona occidentale e Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora de Belén”, assegnandoli la sede titolare di Lapda.

Curriculum VitaeS.E. Mons. José Mauricio Vélez García, è nato a Medellín il 17 giugno 1964. Compì gli

studi ecclesiastici di Filosofia e di Teologia presso la Pontificia Università Bolivariana.Ha ottenuto la Licenza in Matrimonio e Famiglia presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo

II di Roma ed ha frequentato studi di specializzazione in Teologia Morale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e di Bioetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Ha ricevuto l’Ordinazione sacerdotale il 5 dicembre 1992 per l’Arcidiocesi di Medellín. Ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della Parrocchia “Santa Gertrudis” in Envigado, Cappellano di CONFENALCO, Professore presso l’Università Cattolica “Luis Amigó” di Medellín, Cappellano del Comune di Medellín, Segretario del Dipartimento di Comunione Ecclesiale e Dialogo del CELAM, Parroco della Parrocchia “La Inmaculada” e, dal 2013, Vicario Episcopale della zona occidentale e Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora de Belén”.

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INFORMAZIONE

AGENDA DEL PAPA

I SENZATETTO NEL CUORE DEL PAPA, NON SI PUÒ MORIRE DI FREDDO A ROMA (RADIOGIORNALE DELLA RADIO VATICANA DEL 16.01.17)Morire di freddo a Roma: è il tragico destino che ha già fatto tre vittime tra i senzatetto in questo inverno. L’ultimo, due giorni fa, un clochard trovato morto per gli stenti e il freddo in un parcheggio della capitale. Una situazione drammatica, tante volte denunciata da Papa Francesco, che vede l’impegno di numerosi volontari per fronteggiare l’emergenza. Ne abbiamo parlato con mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma:R. – La prima considerazione che faccio è questa: in tutta Italia ci sono stati sei morti; tre solo a Roma. Questo ha un significato molto alto e, soprattutto, erano anni che non si verificano questi decessi. Quindi non si può piangere dopo, ma bisogna pensarci prima. Questo è quello che cerchiamo di dire continuamente: non si può affrontare il freddo sempre come un’emergenza correndo dietro a quello che si potrebbe o si deve fare. Bisogna assolutamente mettere in atto un piano preventivo per evitare che succedano queste cose; con il freddo di quest’anno, in questo momento, bisogna pensare al freddo che ci sarà a dicembre 2017, a gennaio e febbraio 2018 e organizzarci, perché se non c’è un’organizzazione che prevede la possibilità di dare la risposta a tante persone - proprio perché la povertà sta aumentando e rimangono in mezzo alla strada - credo che la nostra civiltà sia regredita tantissimo.D. - Il Vescovo di Roma è particolarmente vicino a questa gente, forse la sente proprio come la gente più vicina. Che cosa rappresenta questo anche per la Caritas della diocesi di Papa Francesco?R. - Papa Francesco, il nostro Vescovo, ci sottolinea continuamente questo, e noi lo ringraziamo per lo stimolo che ci dà. Mi permetto di dire anche che la sua Chiesa, quindi la Chiesa di Roma, in tutte le sue sfaccettature – Caritas, parrocchie, Comunità di Sant’Egidio e tutte le altre associazioni cristiane cattoliche che lavorano – stanno rispondendo in maniera egregia a quanto il Papa ci dice e credo che proprio le organizzazioni che vanno in giro la notte – e sono tante, tantissime – hanno evitato che invece di tre diventassero molti di più.D. - Si coglie che il Papa è informato: informato sia sulla situazione di emergenza che su quelli che aiutano chi è nel bisogno. Un Papa dunque molto presente con questa situazione …R. - Direi che Papa Francesco forse la mattina, quando si sveglia, la prima preghiera che fa è proprio per i poveri e anche per coloro che stanno vicino a questo mondo. È come si dicesse: “Il Signore è lì”, come ci diceva Gesù nel Vangelo: non andava a cercarlo nel Tempio, ma nel povero che ha bisogno. Papa Francesco ci sta dicendo dove bisogna incontrare il Signore lì, dove c’è l’uomo che soffre. Questo ce lo dice continuamente e credo che sia anche lo stimolo, la spinta, la bellezza di quello che ci sta dicendo e sta facendo per noi.D. - Lei parlava appunto della programmazione già da adesso per l’inverno che addirittura verrà il prossimo anno. Nello stretto adesso, concretamente, che cosa le istituzioni, soprattutto locali, possono fare per aiutare e sostenere quelli che già volontari, la Caritas e tante denominazioni cattoliche stanno cercando di far fronte a questa emergenza?R. - Una risposta a questa domanda è difficile, perché non si può con un problema così grande improntare un piano in 24 ore. Significa che lo sforzo deve essere ancora maggiore e che ci deve essere veramente una volontà forte e tenace. Io chiederei proprio questa creatività, che è una volontà molto profonda, mettendoci veramente la testa perché se nei prossimi giorni la temperatura ancora cala e diventa insopportabile, poi non possiamo piangere! Allora rimbocchiamoci le maniche, diamoci da fare perché finora non abbiamo fatto a sufficienza. Avremmo dovuto fare molto, molto di più.

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COMUNICAZIONI DELLA SANTA SEDE

TELEGRAMMA DI CORDOGLIO DEL SANTO PADRE, A FIRMA DELL’EM.MO SIGNOR CARDINALE PIETRO PARIOLIN, SEGRETARIO DI STATO, PER LE VITTIME DEL DISASTRO AEREO IN KAZAKISTAN (16.01.17)

Papa Francesco si è detto profondamente addolorato per il tragico incidente aereo avvenuto ieri in Kirghizistan: un cargo si è schiantato su un villaggio nei pressi dell’aeroporto di Bishkek, con un bilancio di 32 vittime, tra cui 13 bambini. In un telegramma a firma del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, il Pontefice invia le proprie condoglianze a quanti hanno perso i loro cari, in particolare nella zona dello scalo di Manas, e affida le anime dei defunti alla misericordia di Dio. Francesco prega inoltre per i soccorritori, invocando la benedizione divina di forza e consolazione per la nazione.

Deeply saddened to learn of the tragic crash of a cargo plane near Bishkek, Pope Francis sends his condolences to all those who have lost loved ones, particularly in Manas, and commends the souls of the deceased to the mercy of Almighty God. In praying for the search and rescue efforts, His Holiness invokes upon the nation the divine blessings of strength and consolation.

Cardinal Pietro ParolinSecretary of State

HOW POPE FRANCIS ADDRESSES WORLD PROBLEMS. INTERVIEW WITH ARCHBISHOP PAUL GALLAGHER BY EDWARD PENTIN (THE NATIONAL CATHOLIC REGISTER DEL 16.01.17)In a Register interview, the Vatican’s ‘foreign minister,’ Archbishop Paul Gallagher, discusses the Holy Father’s distinctive approach to international issues.In his annual “survey of the world” to the diplomatic corps accredited to the Holy See last Monday, Pope Francis unequivocally reaffirmed that people can “never kill in God’s name,” adding that the world is “dealing with a homicidal madness which misuses God’s name in order to disseminate death, in a play for domination and power.” Addressing representatives of 182 nations with diplomatic ties to the Holy See, Francis said “fundamentalist terrorism is the fruit of a profound spiritual poverty, and often is linked to significant social poverty,” and can “only be fully defeated with the joint contribution of religious and political leaders.” In his lengthy discourse, devoted this year to peace and security, the Holy Father also covered all of the world’s trouble spots and recalled the many persecuted Christians around the world. He stressed that peace depends on justice, adding

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that “peace is a gift, a challenge and a commitment,” which can “only come about on the basis of a vision of human beings capable of promoting an integral development respectful of their transcendent dignity.” Sitting to his left in the Vatican’s Sala Regia was Archbishop Paul Gallagher, secretary for relations with states — the Holy See’s “foreign minister.” In this Jan. 12 email interview with the Register, Archbishop Gallagher reflected on the highlights of the speech, how the Pope thinks radicalization can be eliminated, and how his “clarity” in foreign affairs has helped the Holy See abroad. The English archbishop also spoke about concerns held by some that the Pope’s approach to foreign relations, especially with Russia and China, can be overly pragmatic at the expense of respecting the interests of Catholics on the ground.

The Holy Father covers much ground in his address, but what are the most significant areas of concern to him in the world today?

I think that the Holy Father’s main concern is the need for peace. We live in a world which apparently is mostly in peace, but people are often scared and live in fear, concerned about their future. Furthermore, there are many “senseless conflicts” that altogether make what the Pope calls “a world war fought piecemeal.” Syria indeed is the most dramatic. But there are many other areas of conflict that are of great concern for the Holy Father.One of the consequences of these conflicts is the great number of refugees that escape from war and seek protection in safer countries. The Pope encouraged public authorities not to forget that migrants are persons. Thus, they need to use wisdom and foresight, in order not to exclude those who are seeking assistance, especially those truly in need of protection, and without prejudice to the common good of their own citizens.Another area of concern is, of course, fundamentalist-inspired terrorism, which the Holy Father defined as a “homicidal madness which misuses God’s name in order to disseminate death, in a play for domination and power.” At the origin of all these dramatic situations there is what Pope Francis called a “reductive vision” of the human person that paves the way to the spread of injustice, social inequality and corruption.How is the Holy See helping to resolve conflicts and end fundamentalist terrorism in parts of the world?

In one word, I would say “dialogue.” Pope Francis made that very clear in his speech, as he stressed the importance of dialogue at all levels: diplomatic, interreligious and intercultural. I think that the Holy Father, through many of his courageous gestures, has clearly shown us that dialogue is not only necessary and productive, but, first and foremost, it is possible! In this perspective, Pope Francis underlined the positive role of religion in society and the contribution of religiously inspired works to the pursuit of the common good through education and social assistance, especially in areas of great poverty and in theaters of conflict. Education is essential in the prevention of radicalization.In his message, the Pope speaks of a number of agreements signed or ratified. How much are the Holy See’s relations with other states showing concrete signs of improvement, especially with those states that have yet to make formal diplomatic ties with the Holy See?

The number of countries which have established diplomatic relations with the Holy See, or have signed agreements with it, continues to increase, as do the numbers of ambassadors resident in Rome. It is an encouraging sign of the attention that the Holy See is given by many countries

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around the world. Besides the formally established diplomatic relations, there is a “non-resident representative” to Vietnam, and there are constant, often informal, contacts with various other countries, with whom we discuss several topics, mainly related to the presence of the Catholic Church in their territories. It is a continuous and mostly positive dialogue, which is very useful to increase mutual knowledge, understanding and trust.What is the Pope’s great strength when it comes to foreign policy, both in your view and from reactions you hear from around the world?

First of all, I think in the clarity of his judgment, when he speaks about the world’s problems, and this clarity comes from his faith in the Lord. The Holy Father calls everything by its name. He is not worried about the political fallout. He cares about people and their suffering. Then there is his personal testimony. For example, in the past few years, he did not simply speak about granting hospitality to refugees. He encouraged Catholics all around the world to do so, and when he visited Lesbos, he took back with him to the Vatican some refugees. People clearly perceive that the Pope’s word and gestures are true and sincere. That is his greatest strength.Some have criticized this pontificate for engaging in “ostpolitik” — being too pragmatic at the expense of those who feel they are victims of authoritarian or aggressive regimes (e.g. Ukrainian and Chinese Catholics). How true is this?

I don’t think that’s true at all. It is not a matter of pragmatism vis-à-vis defending an ideal. As I said before, the Holy Father seeks dialogue at all levels, but that does not mean that for the sake of dialogue itself he is willing to give up the truth, the good of the people, or of the Church. In diplomacy, dialogue is all about finding a way forward in order that people who suffer may not suffer anymore. But that is possible if there is no prejudice between the interlocutors and if we do not forget that dialogue takes time and patience, while most of the time we are impatient and we would like to see results immediately.

“LA RILEVANZA DEI DIRITTI UMANI NELL’AZIONE DELLA SANTA SEDE”. INTERVENTO DI S.E.R. MONS. PAUL RICHARD GALLAGHER, SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI (UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE, ROMA; 12.01.17)

Si veda versione integrale del discorso di S.E. MOns. Paul R. Gallagher cliccando il segunete linK:https://youtu.be/1tyGfDkXa6k

TWEET HANDLE @TERZALOGGIA (SEGRETERIA DI STATO) MONSIGNOR ANTOINE CAMILLERI, UNDER-SECRETARY FOR RELATIONS WITH STATES OF THE HOLY SEE, KEYNOTE SPEECHAT THE CONFERENCE ON COMBATING INTOLERANCE AND DISCRIMINATION AGAINST CHRISTIANS (VIENNA, 14 DECEMBER 2016)

Christians should be allowed to express publicly their religious identity,

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free from any pressure to hide or disguise it

CHIESA NEL MONDO

SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI: 18-25 GENNAIO 2017. SECONDA LETTERA DI SAN PAOLO AI CORINZI 5,14-20 “L’AMORE DI CRISTO CI SPINGE VERSO LA RICONCILIAZIONE” (17.01.17)Incomincerà domani la settimana per l’unità dei cristiani. Si proporranno nel Bollettino per le Rappresentanze Pontificie le riflessioni e la preghiera di ogni giorno, a partire da domani. Oggi pubblichiamo un’introduzione al tema di quest’anno.

SUGGERIMENTI PER L’ORGANIZZAZIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI Cercare l’unità: un impegno per tutto l’anno – La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.Consapevoli di una tale flessibilità nella data della Settimana, incoraggiamo i fedeli a considerare il materiale presentato in questa sede come un invito a trovare opportunità in tutto l’arco dell’anno per esprimere il grado di comunione già raggiunto tra le chiese e per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso. Adattamento del testo – Il testo viene proposto con l’avvertenza che, ove possibile, sia adattato agli usi locali, con particolare attenzione alle pratiche liturgiche nel loro contesto socio-culturale e alla dimensione ecumenica. In alcune località già esistono strutture ecumeniche in grado di realizzare questa proposta, ma ove non esistessero se ne auspica l’attuazione.Utilizzo del testo – Per le chiese e comunità cristiane che celebrano la Settimana di preghiera in una singola liturgia comune viene offerto un servizio di culto ecumenico.Le chiese e comunità cristiane possono anche inserire il testo della Settimana di preghiera in un servizio liturgico proprio. Le preghiere della celebrazione ecumenica della parola di Dio, gli “otto giorni”, nonché le musiche e le preghiere aggiuntive possono essere utilizzate a proprio discernimento.Le comunità che celebrano la Settimana di preghiera in ogni giorno dell’ottavario, durante la loro preghiera, possono trarre spunti dai temi degli “otto giorni”.Coloro che desiderano svolgere studi biblici sul tema della Settimana di preghiera possono usare come base i testi e le riflessioni proposte negli “otto giorni”. Ogni giorno l’incontro può offrire l’occasione per formulare preghiere di intercessione conclusive. Chi desidera pregare privatamente per l’unità dei cristiani può trovare utile questo testo come guida per le proprie intenzioni di preghiera. Ricordiamo che ognuno di noi si trova in comunione con i

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credenti che pregano nelle altre parti del mondo per costruire una più grande e visibile unità della Chiesa di Cristo.

TESTO BIBLICOL’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione (2 Cor 5, 14-20)Infatti, l’amore di Cristo ci spinge, perché siamo sicuri che uno morì per tutti, e quindi che tutti partecipano alla sua morte. Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per lui che è morto ed è risuscitato per loro. Perciò, d’ora in avanti non possiamo più considerare nessuno con i criteri di questo mondo. E se talvolta abbiamo considerato così Cristo, da un punto di vista puramente umano, ora non lo valutiamo più in questo modo. Perché quando uno è unito a Cristo, è una creatura nuova: le cose vecchie sono passate; tutto è diventato nuovo. E questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ha dato a noi l’incarico di portare altri alla riconciliazione con lui. Così Dio ha riconciliato il mondo con sé per mezzo di Cristo: perdona agli uomini i loro peccati e ha affidato a noi l’annunzio della riconciliazione. Quindi, noi siamo ambasciatori inviati da Cristo, ed è come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo da parte di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.

INTRODUZIONE TEOLOGICO-PASTORALE Germania: la terra della Riforma luterana – Nel 1517 Martin Lutero espresse preoccupazione per quelli che egli considerava abusi nella chiesa del suo tempo, rendendo pubbliche le sue 95 tesi. Il 2017 marca il 500° anniversario di questo evento chiave all’interno dei movimenti di Riforma che hanno segnato la vita della chiesa occidentale per diversi secoli. Questo evento ha costituito un tema controverso lungo tutta la storia delle relazioni tra le chiese in Germania, e fino ai nostri giorni. La Chiesa Evangelica di Germania (EKD) ha cominciato a programmarlo dal 2008, focalizzando ogni anno un aspetto particolare della Riforma, ad esempio, la Riforma e la politica, la Riforma e la formazione. L’EKD ha anche invitato i partners ecumenici, a vari livelli, perché contribuissero a commemorare l’evento del 2017.Dopo ampi dibattiti, talvolta difficili, le chiese in Germania si sono trovate d’accordo sul fatto che il modo per commemorare ecumenicamente l’evento della Riforma fosse quello di farne una “Celebrazione di Cristo” (Christusfest). Se, infatti, l’enfasi viene posta su Gesù Cristo e la sua opera di redenzione quale centro della fede cristiana, allora tutti i partners ecumenici dell’EKD (cattolici, ortodossi, battisti, metodisti, mennoniti e altri) potranno partecipare alle festività dell’anniversario. Dato il fatto che la storia della Riforma è stata segnata da dolorose divisioni, si è trattato di un traguardo notevole. La Commissione luterano-cattolica sull’unità ha lavorato instancabilmente per giungere ad una comprensione comune della commemorazione. Il suo importante rapporto Dal conflitto alla comunione riconosce che entrambe le tradizioni si accostano a questo anniversario in un’epoca ecumenica, con i risultati di cinquant’anni di dialogo al loro attivo, e con una rinnovata comprensione della loro storia e della loro teologia. Distinguendo gli aspetti polemici dagli stimoli teologici della Riforma, i cattolici sono ora in grado di ascoltare la sfida di Lutero alla Chiesa di oggi, riconoscendolo un “testimone del vangelo” (Dal conflitto alla comunione n. 29). E così, dopo secoli di reciproche condanne e vilipendi, nel 2017 i cristiani luterani e cattolici, per la prima volta, commemoreranno insieme l’inizio della Riforma. Da questo accordo, e in considerazione del più ampio contesto ecumenico, emerge il forte tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno: “L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione” (cfr. 2 Cor 5, 14-20).Il Consiglio delle chiese in Germania (ACK) e l’anniversario della RiformaIl Consiglio delle chiese in Germania ha lanciato molti progetti per commemorare il 1517. Uno di questi, intitolato: “Discover Anew the Bible’s Treasures” (Riscoprire i tesori della Bibbia) ha prodotto una piccola pubblicazione in cui tutte le chiese membro dell’ACK hanno descritto il proprio approccio alla Bibbia, memori dell’importanza che Martin Lutero attribuiva alla Bibbia. L’ACK ha inoltre condotto un “pellegrinaggio” simbolico nelle varie chiese membro di Wittenberg;

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ogni comunità visitata ha espresso e celebrato il proprio specifico modo di relazionarsi alla Bibbia. Nell’aprile del 2015 l’ACK ha anche organizzato una conferenza intitolata: “Irreparably Divided? Blessed Renewal? – 500 Years of Reformation in Various Ecumenical Perspectives” (Una divisione irreparabile? O un rinnovamento benedetto? – 500 anni di Riforma secondo varie prospettive ecumeniche), di cui sono stati pubblicati gli atti. È stato nel contesto di questo anniversario che il Consiglio delle chiese in Germania (ACK), su invito del Consiglio ecumenico delle chiese, ha accettato l’incarico di redigere il testo del materiale per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 2017. Una Commissione composta da dieci rappresentanti di diverse chiese si è riunita tre volte nel biennio 2014-2015 per stilare il testo. Un’attenzione particolare è stata posta sulla preparazione del testo per la comune liturgia della Settimana. Il materiale intende servire lo scopo generale della Settimana di preghiera, e allo stesso tempo commemorare la Riforma luterana.

Il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2017Quando il Comitato organizzativo nazionale tedesco si riunì nell’autunno del 2014, risultò subito chiaro che il materiale per la Settimana di preghiera 2017 doveva avere due punti focali: da una parte doveva esserci una celebrazione dell’amore e della grazia di Dio, la “giustificazione dell’umanità solo per grazia”, che rifletteva l’istanza cruciale delle chiese marcate dalla Riforma di Martin Lutero. Dall’altra parte il materiale doveva anche riconoscere il dolore della conseguente profonda divisione che ha segnato le chiese, chiamando per nome le colpe, e prospettando opportunità per offrire passi di riconciliazione. È stata, infine, l’esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii Gaudium (La gioia del vangelo) che ha suggerito il tema per quest’anno con la citazione, al paragrafo n.9, “L’amore di Cristo ci spinge”. Con questo versetto (2 Cor 5, 14), preso nel contesto dell’intero quinto capitolo della Seconda Lettera ai Corinzi, il Comitato tedesco ha formulato il tema della Settimana di preghiera del 2017.Il testo biblico: 2 Corinzi 5, 14-20 – Il testo biblico enfatizza che la riconciliazione è un dono che viene da Dio, inteso per l’intera creazione. “Dio ha riconciliato il mondo con sé per mezzo di Cristo: perdona agli uomini i loro peccati e ha affidato a noi l’annunzio della riconciliazione” (v.19). Quale risultato dell’azione di Dio, la persona, che è stata riconciliata in Cristo, è chiamata a sua volta a proclamare questa riconciliazione in parole e opere: “L’amore di Cristo ci spinge”. “Quindi, noi siamo ambasciatori inviati da Cristo, ed è come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo da parte di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (v.20). Il testo sottolinea che questa riconciliazione non è senza sacrificio. Gesù ha dato la sua vita; è morto per tutti. Gli ambasciatori di riconciliazione, similmente, sono chiamati, nel suo nome, a dare la loro vita. Essi non vivono più per loro stessi; essi vivono per Colui che è morto per loro.

PRESENTAZIONE DEGLI ORGANISMI CHE HANNO PREPARATO IL MATERIALE PER LA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI 2017Il lavoro preparatorio del materiale per la Settimana di quest’anno è stato portato avanti da un gruppo di rappresentanti di diverse comunità cristiane della Germania. Questo Gruppo locale è stato

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costituito dal gruppo di lavoro delle Chiese cristiane in Germania (Arbeitsgemeinschaft Christilicher Kirchen/ACK) guidate dalla Dottoressa Elisabeth Dieckmann.Un ringraziamento particolare va ai leaders della ACK, ai membri del Gruppo locale e a quanti hanno contribuito alla stesura del presente materiale.

Rev.do Dr Eberhard Amon (Prelate, Conferenza episcopale tedesca)Pastore Bernd Densky (Pastore battista, Consultore dell’ACK)Dott.ssa Elisabeth Dieckmann (Segretaria dell’ACK, Chiesa cattolica)Rev.da Leonie Grüning (Pastore, Chiesa evangelica di Germania/EKD) Rev.da Anette Gruschwitz (Pastore, Chiesa metodista)Arciprete Constantin Miron (Conferenza episcopale ortodossa)Rev.do Scott Morrison (Pastore, Chiesa evangelica luterana indipendente)Sig.ra Ruth Raab-Zerger (Chiesa mennonita) Dott.ssa Dagmar Stoltmann-Lukas (Consultore del Vicariato generale episcopale) Rev.do Jan-Henry Wanink (Pastore, Chiesa riformata in Germania)Rev.da Allison Werner-Hoenen (Pastore, Chiesa evangelica di Germania/EKD)Sig. Marc Witzenbacher (Consultore della Chiesa evangelica di Germania/EKD)

I testi proposti in questo sussidio sono stati revisionati durante un incontro della Commissione internazionale nominata dalla Commissione Fede e Costituzione (Consiglio ecumenico delle chiese) e dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (Chiesa cattolica).I membri della Commissione internazionale hanno incontrato i membri del Gruppo locale nel settembre 2015 presso l’Hotel Luther di Wittenberg, in Germania. Essi ringraziano l’ACK per aver ospitato l’incontro e per la generosa accoglienza, in particolare desiderano ringraziare il pastore Bernd Densky, la cui assistenza ha facilitato molto il lavoro. Il Gruppo di lavoro è stato anche accompagnato dal Rev. Jürgen Dittrich, un pastore luterano locale che è responsabile dell’attività ecumenica della chiesa locale di Saxony-Anhalt, a visitare Wittenberg e Eisleben.La visita è iniziata da Wittenberg dove Martin Lutero visse con la sua famiglia e dove lavorò dopo aver lasciato il Monastero di Erfurt. Il Gruppo è successivamente andato a visitare la famosa chiesa-castello dove il riformatore tedesco probabilmente affisse le 95 tesi, e ha visitato anche il luogo di nascita di Lutero e la chiesa dove è stato battezzato a Eisleben. Queste visite sono state occasione per acquisire prospettive profonde sul significato e l’influsso di Martin Lutero sulla Riforma in Germania. Altrettanto istruttivo è stato l’incontro serale con i rappresentanti locali delle diverse comunità cristiane per conoscere più a fondo il panorama religioso in Germania, soprattutto nella Germania dell’Est.

DOSSIER LA CHIESA CATTOLICA E LA CRISI IN VENEZUELA

I. VENEZUELA: VESCOVI DENUNCIANO GRAVE CARENZA DI CIBO E FARMACI (RADIOGIORNALE DELLA RADIO VATICANA DEL 16.01.17)I presuli del Venezuela tornano a esprimere profonda preoccupazione per la grave situazione nel Paese e sottolineano che «il 2016 è finito in malo modo, con grande disperazione. L’attuale realtà venezuelana è estremamente critica. Una grande oscurità copre il nostro Paese. Stiamo vivendo situazioni drammatiche». Nell’esortazione pastorale intitolata «Gesù Cristo luce e cammino per il Venezuela» - rende noto l’Osservatore Romano - la Conferenza episcopale riunita nei giorni scorsi a Caracas, in occasione della 107.ma Assemblea plenaria ordinaria, sottolinea la «grave carenza di cibo e di medicine. Mai prima d’ora abbiamo visto tanti nostri fratelli rovistare nella spazzatura per cercare cibo!».Uno studio dell’Università centrale del Venezuela stima che nel 2017 il tasso di denutrizione dei bambini in età scolare aumenterà del 3% rispetto al 2016, e raggiungerà tra i 350.000 e i 380.000 minori. Inoltre, si prevede che la mancanza di generi alimentari si aggraverà, a causa della semina insufficiente del 2016 e della mancanza di risorse per importare cibo. «Il deterioramento della salute pubblica, l’alta malnutrizione nei bambini, l’ideologizzazione dell’istruzione, l’alto tasso di

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inflazione e la conseguente perdita del potere di acquisto, la corruzione diffusa e l’impunità — sottolineano i vescovi venezuelani — dipingono un quadro a tinte fosche che peggiora ogni giorno che passa».Attualmente, nel Paese vivono 3.200.000 bambini al di sotto dei cinque anni. Tra questi, il 12% soffrirà di denutrizione acuta grave nel 2017 se non si interverrà al più presto. La mancanza di cibo e di medicine, inoltre, colpirà anche le donne incinte, le persone anziane, i malati psichiatrici e i detenuti. C’è il rischio che possa registrarsi una maggiore propensione alle malattie perché il sistema immunitario non avrà difese. La grave crisi economica che affligge il Venezuela è caratterizzata da livelli di inflazione altissimi, da una forte caduta del prodotto interno lordo, oltre che dalla gravissima emergenza alimentare in genere legata alla penuria di prodotti di prima necessità. Il Paese, infatti, produce solo il 30% degli alimenti necessari e per importare quanto manca servirebbero 900 milioni di dollari al mese solo per quest’anno.L’episcopato esprime profonda preoccupazione anche per «l’odio e la violenza politica, gli alti tassi di criminalità e di insicurezza, con conseguenze oppressive e distruttive» che «generano una cultura della morte». Durante i lavori della conferenza, il presidente, vescovo di Cumaná, mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, ha ricordato «i 29.000 decessi per morte violenta» e gli oltre 120 prigionieri politici detenuti. Il presule ha citato alcuni fatti accaduti nelle ultime settimane: «il massacro di Barlovento, commesso da gruppi paramilitari, saccheggi e atti di vandalismo a Cumaná, Ciudad Bolívar e altre città, l’aggressione al monastero trappista di Mérida».I vescovi, nella lettera, hanno ricordato il tentativo della Santa Sede di favorire il dialogo tra le parti, rammaricandosi del fatto che al momento non sono arrivati i risultati di questo sforzo. Di qui, l’appello affinché tutte le parti in causa intervengano per «intraprendere azioni che portino al superamento della crisi nel Paese», per «riattivare l’apparato produttivo, garantendo lo stato di diritto e la ricostruzione del tessuto sociale», per «promuovere onestà e responsabilità nella vita pubblica e promuovere la riconciliazione tra le persone».

II. MONSEÑOR ROBERTO LÜCKERT: “EL GOBIERNO NO PODRÁ CON LA DIVINA PASTORA” (EL IMPULSO DEL 17.01.17)La devoción por la Divina Pastora está profundizada en el pueblo venezolano y aunque el gobierno intente, valiéndose del control sobre los medios televisivos, de impedir que se transmite la extraordinaria procesión que se hace en Barquisimeto, cada vez aumentará el número de feligreses que acompañarán a la imagen que representa a la madre de Jesucristo.La opinión fue dada por monseñor Roberto Lückert, obispo emérito de Coro, al ser entrevistado vía telefónica por EL IMPULSO en relación a la cadena de radio y televisión que se desarrolló la tarde del sábado cuando precisamente en esos momentos la imagen era llevada en hombros hacia la Catedral de Barquisimeto. El Presidente Nicolás Maduro realizó un acto en el que dijo pedir paz y felicidad por Venezuela.Aquí en Falcón hay devociones por la Divina Pastora y se hacen peregrinaciones en la parroquia Divina Pastora que tenemos en este estado, manifestó. Esto no quiere decir que voy a hacer una competencia para acabar con la procesión que se hace en Barquisimeto.Esto no lo acaba nadie. Porque está en el corazón de los venezolanos, de los larenses, de los barquisimetanos.Puede hacer maravillas el señor Maduro, dijo. Ya intentaron en otro momento de la historia venezolana aún más dividir a la Iglesia y nombrar obispos católicos, apostólicos venezolanos: la Iglesia Católica venezolana en contra de la Iglesia Católica institucional. Eso ahora no va a fructificar y menos por parte de Maduro con todo el poder que tiene para hacer cadenas nacionales.Lo que no quiere él es ver la magnitud de la devoción a la Divina Pastora. No va a acabar Maduro con la devoción de la Divina Pastora, ni con la devoción de la Virgen del Valle, ni con la devoción a Nuestra Señora de la Chiquinquirá. Es un ridículo. Yo no sé quién está aconsejando a Maduro para que esté metiendo la pata en esta forma. Así como a él no le gusta que yo intervenga en sus asuntos políticos, cosa que no hago, tampoco él puede intervenir, como en un país totalitario, en las cuestiones religiosas. Me parece una arbitrariedad de él.

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Si quiere ser devoto de la Divina Pastora, que vaya a una iglesia en Caracas donde esté la Divina Pastora, ya que no puede ir a Barquisimeto. Pero es que yo creo que Maduro ni a misa va. Que se ponga ahora de católico mariano a promover la Divina Pastora, eso no se lo cree ni él.- ¿Será que ya dejó de creer en el gurú Sathya Sai Baba?- Dicen eso: que fue a ver a ese gurú y que va a no sé dónde a besarle el tobillo a un braham. No lo puedo asegurar, pero ese es el comentario que hay. Pero que no me venga ahora a ponerme una bandera cristiana para intentar dividir al pueblo venezolano. Eso no lo va a lograr nunca. Como no logró Fidel Castro arrancarle del corazón a los cubanos la devoción a la Virgen de la Caridad del Cobre. Pero, Fidel fue inteligente. No se metió con eso. Ah, pero éste si lo va a hacer.Ni él ni Diosdado Cabello van a lograr sus objetivos. Él, como Cabello, tienen discursos agresivos, explosivos y buscan enemigos donde no lo hay. Los enemigos que no ven son el hambre, la falta de medicinas, la inseguridad. ¿Crees que los gringos se van a meter en Venezuela? Aquí los dólares frescos son los que vienen por el petróleo. No sabemos que si siguen insultando al imperio se ponga bravo Trump y ordene que las empresas no compren más petróleo a Venezuela.- ¿Conoce a monseñor Antonio López Castillo?- Claro. Fue mi alumno del seminario de Maracaibo. No oí el contenido de su homilía del sábado, pero tengo entendido que fue muy valiente, ardiente, llamando al despertar del pueblo – No podemos seguir callados.Denunció que hay un proyecto de convertir La Basílica de Chiquinquirá de Maracaibo en patrimonio de los guardias nacionales y que nombren de párroco de La Basílica de Chiquinquirá a un capellán de la Guardia Nacional. Eso es meterse en camisa de once varas. Eso es meterse donde no le toca. Eso no es asunto de él. Es una cuestión de la Iglesia, no del presidente de la República. Y menos de la Guardia Nacional.Es cierto que la Guardia Nacional tiene como patrona a la Chiquinquirá. Pero no para asumir La Basílica.

III. VENEZUELA ISSUES NEW BANK NOTES BECAUSE OF HYPERINFLATION (THE NEW YORK TIMES DEL 17.01.17)Venezuela‘s government began to issue new bank notes on Monday to replace the 100-bolívar bill, made virtually worthless by hyperinflation.President Nicolás Maduro announced early last month that new notes would be issued to replace the old ones, a measure that promised to lighten the load for many Venezuelans, who must carry around bags of cash for even the simplest transactions.

The 100-bolívar note is worth about 2.8 American cents at Monday’s black market rate. The new notes range from 500 to 20,000 bolívars, and the largest of the bills is worth about $5.60 on the black market. But they were not available everywhere on Monday. One bank received only the 500-bolívar bills and had run out by 2 p.m. Although the move was intended to make life simpler, there was chaos in mid-December when Mr. Maduro abruptly announced that the 100-bolívar notes would be removed from circulation. The reason, he said, was that organized crime groups were hoarding the 100-bolívar bills. Venezuelans rushed to exchange their bills, only to find that banks refused to accept them because they had no larger bills to offer in exchange. There were outbreaks of looting, and some people even burned the 100-bolívar notes, believing they were nothing more than paper after Mr. Maduro’s announcement. Mr. Maduro was forced to relent and allowed the 100-bolívar notes to remain in place. He blamed his political opponents for the delay, as well as the United States, which, he said, had prevented cargo planes carrying the new bills from reaching

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Venezuela. Finally, on Sunday, Mr. Maduro said the new bank notes would be phased in beginning on Monday. The 100-bolívar note is to remain in circulation until Feb 20. The new deadline appeared to head off any panic on Monday, and it gives the government time to introduce the new notes. Some bank customers did not even know that the new notes were being introduced. Although Mr. Maduro announced the measure in December, the new notes were dated Aug. 18, 2016.“The central bank had probably taken the decision to release new bills and coins,” said Asdrúbal Oliveros, an economist. “Since the Central Bank doesn’t act independently here, it had to wait for the O.K. from the national government.” “Venezuela needed new bills and coins two years ago,” he added. “It is a measure that has been delayed for a long time. The technical decision was in some way conditioned to a political decision.”

LE UCCISIONI DI PRETI IN MESSICO, UN MISTERO NON ANCORA CHIARITO (VATICAN INSIDER DEL 17.1.17)In 27 anni uccisi 44 sacerdoti e il copione è sempre lo stesso: bugie, depistaggi, calunnie, intimidazioni anticlericali e raramente giustizia. I «dubbi» insidiosi e dolorosi. Joaquín Hernández Sifuentes è l’ultimo sacerdote ucciso in Messico. Era scomparso il 3 gennaio nella città di Saltillo, Coahuila, e nove giorni dopo il suo corpo è stato trovato insieme con altri due in una periferia del comune di Parras. Secondo la polizia locale il sacerdote è stato strangolato, probabilmente poco tempo dopo il momento della sua scomparsa. L’anno scorso in Messico altri tre sacerdoti sono stati giustiziati quasi con la stessa dinamica: sequestro-scomparsa-uccisione. In totale, negli ultimi quattro anni sono stati uccisi 16 sacerdoti e dal 2006 a oggi 37. Negli ultimi 27 anni, dal 1990 a oggi, i sacerdoti uccisi sono 44. Il Siame, Sistema informativo dell’Arcidiocesi di Città del Messico, e il Ccm, Centro cattolico multimediale, nelle loro ricerche documentano una situazione del clero messicano, in particolare diocesano, allarmante: omicidi, sequestri, torture, estorsioni, profanazioni di luoghi di culto, minacce di morte e aggressioni o intimidazioni varie. Mistero, bugie, paura e omertàQuesti elementi sono alla base di un dato di fatto ormai incontrovertibile e confermato da molte inchieste, anche giornalistiche: il Messico è da diversi anni il paese più pericoloso del mondo per i sacerdoti e più in generale per gli agenti pastorali. Attorno a questa sorta di «maledizione» è possibile individuare una serie di considerazioni che rendono la questione molto complessa per l’intreccio di bugie, omertà, depistaggi, vendette, paure, ricatti e intimidazioni anticlericali. Nell’uccisione di tutti questi sacerdoti, incluso padre Hernández Sifuentes, l’ultima vittima del lungo elenco, il copione si è ripetuto con precisione quasi meccanica. Cambia il nome della vittima mentre il «modello», corretto e riveduto, è sempre più efficiente. È chiaro che sulle uccisioni mirate di preti ormai sembra che i mandanti, quasi mai individuati, abbiano collaudato un metodo criminale che ricorda quello del «colpirne uno per educarne cento». Spesso le vittime designate erano preti con un rilevante radicamento territoriale e grandi capacità comunicative, quasi sempre attive nel denunciare e condannare la criminalità che è endemica in molte regioni del Messico. Persone dunque molto impegnate nella pastorale sociale con grande capacità di mobilitazione, in grado di mettere in moto, con forte partecipazione cittadina, progetti di promozione umana, e al contempo in grado di organizzare e dar voce alle proteste contro le ingiustizie, i soprusi e l’inquinamento delle indagini che le organizzazioni criminali impongono alle comunità rurali e nelle città - spesso con la connivenza e la corruzione di quello stesso potere che dovrebbe proteggere i cittadini - per gli interessi di quel mostro che divora il Messico: il narcotraffico. Individuato l’obiettivo la criminalità messicana privilegia il sequestro, prodromo dell’omicidio, perché sa trarre profitto anche dalla scomparsa della vittima e in questa fase del suo piano criminale può contare anche su curiosi appoggi della stampa. Ormai è risaputo che poche ore dopo la notizia del sequestro di un sacerdote sono scontati gli articoli che inoculano nell’opinione pubblica i soliti dubbi: le ragioni della tale scomparsa sono forse legate a questioni sentimentali; la vittima era al

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centro di pettegolezzi per alcuni suoi comportamenti sessuali; aveva comportamenti pedofili; spendeva i soldi delle elemosina nel gioco d’azzardo o nelle scommesse; nella sua vita passata ci sono passaggi poco chiari e un oscuro passato è tornato per esigere il conto e via discorrendo. L’anno scorso, in un caso molto amplificato dalla stampa, le più importanti testate messicane diffusero addirittura un video in cui, dicevano, si «vede uscire il prete scomparso da un albergo in compagnia di ragazzino» con il quale avrebbe passato la notte. Quando il signore del video, che ovviamente non era il prete sequestrato, si presentò alla polizia per dichiarare che il bimbo era suo figlio, nessuna di queste testate ebbe la cura di smentire la bugia e la calunnia. E non è mai accaduto che su queste vittime, che quando già erano cadaveri, magari non ancora scoperti, venivano calunniate sulla stampa con ogni tipo d’infamia, o, nella migliore delle ipotesi, di congetture fantasiose e sensazionaliste, ci sia stata poi una smentita, una correzione o una precisazione.

Quanto sta accadendo in Messico con l’uccisione di sacerdoti è sempre più evidente e lo sostengono tutti gli analisti dei centri di studi più seri e autorevoli: in questo Paese le diverse forme e organizzazioni del narcotraffico, cartelli e microcriminalità, hanno dichiarato guerra a quella parte della Chiesa cattolica, soprattutto sacerdoti, che è un argine di denuncia e contrasto per i loro interessi criminali. Lo sostiene, da anni e in diversi rapporti, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America e i principali centri internazionali e regionali che monitorano la realtà messicana. I comportamenti conniventi con i crimini Che la situazione sia questa non sembra però essere un’opinione condivisa in modo ampio e convinto, anzi. In generale le autorità governative, federali e statali, spesso provano ad abbassare il profilo della gravità di questi fatti e non poche volte alti funzionari governativi, contribuiscono a creare confusione, depistare le indagini, uccidere per la seconda volta la vittima con il terrorismo delle chiacchiere. Sembrerebbe che la parola d’ordine sia sempre e comunque «sdrammatizzare», con ogni mezzo, soprattutto contestando le statistiche; così, con tecniche mediatiche omertose e denigratorie, si tramutano questi crimini del narcotraffico in «tristi e deplorevoli» fatti di cronaca nera, frutto di liti casuali, furti con violenza finiti male, o affari squisitamente privati. Nel frattempo, ovviamente, il crimine organizzato tace: non rivendica mai nulla, fa finta di essere estraneo ai fatti, o peggio ancora, dove può far circolare voci scandalistiche contro gli uccisi lo fa con grande entusiasmo e sicurezza, appoggiandosi su quella parte di tessuto sociale inquinato e connivente con il narcotraffico. In diversi casi si sono visti, nei giorni del sequestro e nel corso delle indagini, numerosi «testimoni» fare dichiarazioni sullo scomparso con il chiaro scopo di denigrare la sua figura e la sua opera, quasi a voler sentenziare: se lo hanno sequestrato ci sarà qualche ragione. L’analisi della Chiesa messicana Sorprende però che la stessa Chiesa cattolica in Messico, in questa materia, abbia una condotta singolare e ondulatoria. Le numerose dichiarazioni che molti vescovi hanno rilasciato in questi anni sono accomunate da una preoccupazione generale: quella di non far passare l’idea che dietro tanti crimini ci sia una persecuzione religiosa, giudizio che sicuramente è vero e giusto. Nella meravigliosa storia della Chiesa cattolica messicana c’è un passato, terribile e lacerante, di persecuzione e questa memoria dolorosa spesso condiziona molte delle sue condotte. In questa comunità ecclesiale è sempre vivo il timore di rivedere situazioni simili e dunque, istintivamente, tende ad allontanare il fantasma di nuove persecuzioni. Ecco perché di fronte a questa sorta di ecatombe di preti la gerarchia è perentoria: non c’è nessuna persecuzione religiosa. Come già detto è un giudizio sostanzialmente veritiero, ma… È chiaro che non si tratta di azioni criminali in odio alla fede e dunque in questo senso non sarebbe corretto parlare di persecuzione religiosa. È però ugualmente chiaro e indiscutibile che i sacerdoti messicani sono da anni un obiettivo specifico del narcotraffico e perciò la chiesa non può essere riduttiva nelle sue considerazioni e analisi. Un tale modo di ragionare può essere fuorviante e diseducativo, e forse ingiusto nei confronti di coloro che hanno perso la vita in questa guerra sotterranea. Padre Alfonso Miranda Guardiola, responsabile della Conferenza episcopale messicana per le comunicazioni, i primi d’ottobre dell’anno scorso nel suo primo incontro con la stampa ha

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dichiarato: «Non vediamo una persecuzione aperta contro i sacerdoti come se fossero un target. Per noi sono fatti da inserire nel clima sociale che vive il Paese» (...) e in questo clima «i sacerdoti non sono immuni, sono come ogni cittadino. Come Chiesa dobbiamo stare attenti e prepararci per sapere come trattare questo clima poiché i sacerdoti si trovano in tutti gli angoli del Paese, inclusi quelli dove esiste la massima violenza e dove c’è una presenza del crimine». Si capisce bene il senso ultimo delle parole di padre Miranda, in particolare dove senza dirlo esplicitamente associa, giustamente, la sorte dei preti messicani a quella del loro popolo, anch’esso coinvolto nel martirio. C’è però qualcosa che convince un po’ meno, e cioè che i sacerdoti di questa nazione non siano un obiettivo specifico delle violenze che dilaniano il Paese. Le statistiche sommariamente ricordate qualcosa stanno dicendo e non si può evitare di trarre le conseguenze almeno per quanto riguarda la pastorale della Chiesa che nella difesa della dignità umana di ogni messicano l’avvicina, con audacia profetica e coraggio evangelico, al confine del crimine. È vero che le vittime non sono state giustiziate perché erano sacerdoti ma è anche vero che sono state giustiziate perché erano fedeli al loro ministero e alla loro missione. Due volte vittime In America Latina quante uccisioni di preti, suore, catechisti, laici impegnati, vescovi (e un cardinale, proprio in Messico, il 24 maggio 1993, Jesús Posadas Ocampo) sono state, anni addietro, spacciate come frutto della violenza generalizzata, salvo poi scoprire che erano tutte «due volte vittime»; vittime dell’odio delle dittature pagane, della stampa a loro asservita, dei timorati ben pensanti, dei cosiddetti moderati per convenienza, del crimine mafioso, delle guerriglie marxisti-leniniste e maoiste, dei paramilitari della destra integrista, nonché dell’indifferenza di tanti, troppi!, inclusi non pochi uomini di Chiesa. (1) Vengono subito alla mente parole di papa Francesco: «Il martirio di monsignor Romero non avvenne solo al momento della sua morte; fu un martirio-testimonianza, sofferenza anteriore, persecuzione anteriore, fino alla sua morte. Ma anche posteriore, perché una volta morto — io ero un giovane sacerdote e ne sono stato testimone — fu diffamato, calunniato, infangato, ossia il suo martirio continuò persino da parte dei suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. Non parlo per sentito dire, ho ascoltato queste cose. (...) Solo Dio conosce le storie delle persone, e quante volte persone che hanno già dato la loro vita o che sono morte continuano a essere lapidate con la pietra più dura che esiste al mondo: la lingua» (30 ottobre 2015).

Quindi, che i preti in Messico, in particolare coloro che si battono a viso aperto contro i cartelli della droga, non siano un obiettivo preferenziale è un’affermazione molto discutibile e pericolosa. Sarebbe opportuno, come già detto, non dimenticare il passato recente e lontano dell’America Latina. Questo è un terreno sul quale la storia, i fatti, l’esperienza, raccomandano di camminare con cautela, senza cedimenti di nessun tipo. Non si deve cedere al panico, alla paura, all’esagerazione e all’allarmismo. Però non si deve cedere neanche al compromesso ipocrita del «buon vicinato» con il potere, nascondendo la verità per non irritare i governanti di turno.

*** (1) In America Latina si ricordano casi tragici emblematici in questo senso. Ecco alcuni: sul beato Oscar Arnulfo Romero (El Salvador), ucciso il 24 marzo 1980, per molti anni si fece circolare la voce seconda la quale le cause della sua morte andavano cercate nel suo «estremismo fanatico e nella sua imprudenza politica nonché nel suo zelo eccessivo». Sull’assassinio del cardinale Posadas Ocampo, Messico, il 24 maggio 1993, vescovi e diplomatici vaticani per anni accreditarono la versione secondo la quale il porporato era rimasto vittima di uno scontro tra bande di narcotrafficanti che non sapevano neanche chi fosse. Solo negli ultimi anni si è riconosciuto che i narcotrafficanti avevano sentenziato la morte del Porporato. E in Argentina, monsignor Enrique Angelleli, ucciso dalla dittatura di Jorge Videla, il 4 agosto 1976, e sulla cui morte la quasi totalità della gerarchia si adeguò alla versione ufficiale: «Doloroso incidente stradale»“. Sono decine i casi quasi identici in tutti i paesi della regione latinoamericana.

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STAMPA E AGENZIE

COMUNICATI DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

PRESS RELEASE IN RELATION TO THE EVENTS OF RECENT WEEKS CONCERNING THE SOVEREIGN MILITARY ORDER OF MALTA AND THE HOLY SEE (ROME, 17 JANUARY 2017

In relation to the events of recent weeks concerning the Sovereign Military Order of Malta, the Holy See wishes to reiterate its support and encouragement for the commendable work that members and volunteers carry out in various parts of the world, in fulfilment of the aims of the Order: tuitio fidei (the defence of the Faith) and obsequium pauperum (service to the poor, the sick and those in greatest need).

For the support and advancement of this generous mission, the Holy See reaffirms its confidence in the five Members of the Group appointed by Pope Francis on 21 December 2016 to inform him about the present crisis of the Central Direction of the Order, and rejects, based on the documentation in its possession, any attempt to discredit these Members of the Group and their work.

The Holy See counts on the complete cooperation of all in this sensitive stage, and awaits the Report of the above-mentioned Group in order to adopt, within its area of competence, the most fitting decisions for the good of the Sovereign Military Order of Malta and of the Church.

RASSEGNE DI STAMPA

Rassegna Stampa Italiana

SANTO PADRE

Ricevuto dal Papa il Presidente della GuineaPapa Francesco ha ricevuto ieri in Vaticano il Presidente della Repubblica di Guinea Alpha Condé. Al centro del colloquio la lotta alla povertà, la preservazione dell’ambiente e lo sviluppo di politiche adeguate per affrontare la questione migranti.AVVENIRE

Il dolore del Papa la tragedia aerea in KirghizistanIn un telegramma a firma del Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, il Santo Padre si è detto profondamente addolorato per il tragico incidente costato la vita a 31 persone tra cui molti bambini. Il Pontefice ha inviato le proprie condoglianze a quanti hanno perso i loro cari.AVVENIRE

RELIGIONE

Milano, il Cardinale Scola in sinagoga con il Rabbino ArbibOggi pomeriggio l’Arcivescovo di Milano, nella Giornata del dialogo con l’ebraismo, incontrerà Alfonso Arbib, Rabbino Capo della città lombarda e Presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia, nella sinagoga di via della Guastalla.

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AVVENIRE

POLITICA INTERNAZIONALE

GRAN BRETAGNATheresa May sceglie la Hard Brexit: «Fuori da tutto»Secondo l’anticipazione dell’atteso discorso per la trattativa con Bruxelles per la Brexit, la Premier, scegliendo la linea dura, spiegherà oggi che il governo britannico è pronto a rinunciare a un mercato unico e all’unione doganale: «Nessuna parziale appartenenza alla Ue, nessuna associazione con essa, niente che ci lasci metà dentro, metà fuori».LA REPUBBLICA; IL SOLE 24 ORE

URCHIAStrage di Capodanno, preso il killerL’uzbeko Masharipov, principale sospettato della strage della discoteca Reina, è stato catturato ieri e arrestato insieme ad altre quattro persone, in un quartiere di Istanbul. Intanto, domenica scorsa ad Ankara il Parlamento ha approvato la riforma costituzionale che cambierà volto al Paese consegnando enormi poteri al Presidente Erdogan.CORRIERE DELLA SERA; LA REPUBBLICA; IL SOLE 24 ORE

USAIl Presidente eletto critica la Nato e la UeA tre giorni dall’investitura, Donald Trump lancia i suoi strali sulla Nato, definendola «obsoleta», e attacca la Ue, in particolar modo la sua leader Angela Merkel: «Ha fatto un errore catastrofico sui migranti, accogliendo tutti quei clandestini in Germania». Il Presidente eletto ha poi definito la Brexit un successo: «Accordo di libero scambio fra Usa e Regno Unito. Presto altri Paesi lasceranno l’Europa».CORRIERE DELLA SERA; LA REPUBBLICA; LA STAMPA

Rassegna Stampa Internet

SANTO PADRE

ORDINE DEI CAVALIERI DI MALTAI Cavalieri di Malta cercano di screditare l’indagine del Papa Insistendo di aver seguito le Costituzioni, il Capo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, Fra’ Matthew Festing, sta tentando di screditare l’indagine del Vaticano sulle procedure che hanno portato al licenziamento di uno dei principali funzionari dell’Ordine. THE WASHINGTON POST (Stati Uniti)

POLITICA INTERNAZIONALE

GRAN BRETAGNATheresa May pronta all’idea di un hard Brexit per tentare di calmare i mercatiNel suo discorso di oggi, Theresa May proporrà che la Gran Bretagna si separi in maniera decisa dall’Unione Europea senza ricercare compromessi che secondo lei la metterebbero in una posizione di «un piede dentro un piede fuori». THE TIMES (Gran Bretagna); si veda testo sottoTHE GUARDIAN (Gran Bretagna); DIE WELT (Germania); ABC (Spagna) IRLANDA DEL NORD

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Spinti dallo Sinn Fein, si stabiliscono elezioni anticipate all’ombra del Brexit Lo Sinn Fein, il partito cattolico che ha spinto a favore del voto anticipato, sembra sperare che le preoccupazioni sulla possibilità di lasciare l’Unione Europea indeboliranno i suoi rivali unionisti.THE NEW YORK TIMES (Stati Uniti) si veda testo sotto

UNIONE EUROPEABattaglia elettorale per il potere nel Parlamento EuropeoI deputati europei eleggono il successore di Martin Schulz. La corsa è tesa come mai prima d’ora: due italiani hanno le migliori possibilità, il conservatore Tajani e il socialdemocratico Pittella. Il ritiro improvviso liberale Verhofstadt potrebbe risultare determinante. SÜDDEUTSCHE ZEITUNG (Germania); LE MONDE (Francia); EL MUNDO (Spagna); RZECZPOSPOLITA (Polonia)

VENEZUELAIl Paese emette nuove banconote a causa dell’iperinflazioneLa misura dovrebbe allentare il peso dei venezuelani che da più di un mese devono trasportare in giro borse cariche di contanti. THE NEW YORK TIMES (Stati Uniti) si veda testo sopra

SEGNALAZIONI

STATI UNITIMentre arriva l’era Trump, un senso di incertezza colpisce il mondoAvendo fatto commenti contraddittori, il Presidente eletto Donald J. Trump, sta causando tra molte Nazioni numerose questioni sulla sua politica. Ma c’è anche un senso che le sue parole non debbano essere prese in maniera troppo letterale. La sua imprevedibilità è forse la sua caratteristica più prevedibile. THE NEW YORK TIMES (Stati Uniti)

Rassegna Stampa Internazionale

POLITICA INTERNAZIONALE

CINALa donna accanto a XiFinora, le donne dei Capi dello Stato cinesi non hanno mai avuto alcun ruolo. Peng Liyuan è diversa: la moglie di Xi Jingping finora sta rubando la scena al marito. NEUE ZÜRCHER ZEITUNG 15.01.2017

CIPROLa riunificazione di Cipro compromessaIl Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan si rifiuta di ritirare i suoi trentamila soldati di base sull’isola dal 1974.LE MONDE 16.01.2017

SEGNALAZIONI

TURCHIALe fratture di IstanbulVacillante per il colpo di Stato mancato del 15 luglio 2016, traumatizzata dall’attentato jihadista di Capodanno contro il club privato Reina, la città turca appare sempre più divisa e incapace di unirsi per piangere i suoi morti.

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LE MONDE 16.01.2017

ARTICOLI E DOCUMENTI

THE TIMES del 17 gennaio 2017May sets out hard Brexit vision in bid to calm marketsTheresa May will rule out Britain staying in the European single market today as she makes immigration controls a priority in Brexit talks.Britain should not be “half-in, half-out” of the EU or “hold on to bits of membership as we leave”, the prime minister will say in a speech laying out her negotiating objectives. She will be less definitive on whether Britain will seek to remain in the bloc’s customs union, which allows goods to move freely without customs checks. Boris Johnson, the foreign secretary, has been among cabinet ministers pressing her to commit to a “clean Brexit”, ruling out any chance of remaining in the customs union. Allies of Philip Hammond, the chancellor, were confident last night that he had won a battle to leave the option on the table. Mrs May is expected to acknowledge for the first time that transitional deals may be necessary to avoid businesses facing a “cliff-edge” after Britain quits the EU. No 10 hopes that the concessions will ease market fears over a hard Brexit, which have driven sterling to a three-month low. Mrs May’s spokeswoman yesterday echoed Mr Hammond’s threat that Britain could become a low-tax, low-regulation economy if talks on trade with the rest of Europe broke down. However, the prime minister will seek to reassure European leaders who are concerned that the Trump administration will try to use Britain to break up the EU. Mrs May will insist that the UK will remain “reliable partners, willing allies and close friends”.

Ending unlimited EU immigration and abolishing the European Court of Justice’s role in British courts will be among 12 “negotiating principles”, Mrs May will say during a speech at Lancaster House in London, along with creating the freedom to negotiate bilateral trade deals outside Europe.Mrs May will say for the first time that Britain will not retain its access to the single market as it delivers voters’ desire to take back control over immigration. She will remain vague about what sort of immigration system would be imposed, however, to avoid worsening a cabinet split on the issue.The prime minister was last night reported to be leaning in favour of a work permit system that supporters say would allow ministers to tailor EU migrant numbers to economic needs. Lord Hague, the former foreign secretary, recently spelt out an alternative approach that would allow any EU national with a job to work in Britain but retain an “emergency brake”.Speaking before the Supreme Court ruling on whether parliament must vote to trigger the formal Article 50 negotiations, expected next week, Mrs May will seek to reassure voters that she has a detailed plan for the talks. “We seek a new and equal partnership — between an independent, self-governing, global Britain and our friends and allies in the EU,” she will say. “Not partial membership of the European Union, associate membership of the European Union, or anything that leaves us half-in, half-out. We do not seek to adopt a model already enjoyed by other countries. We do not seek to hold on to bits of membership as we leave. The United Kingdom is leaving the European Union. My job is to get the right deal for Britain as we do.”

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Mrs May will present Brexit as an opportunity for a “great moment of national change”. Controlling immigration will enable a “fairer” society and ease tensions, she will claim. “I want this United Kingdom to emerge from this period of change stronger, fairer, more united and more outward-looking than ever before,” she will say. Last night Mark Carney, the Bank of England governor, said that consumers were shrugging off uncertainties over Brexit to spend, but issued a warning about increased debt.

THE NEW YORK TIMES del 17 gennaio 2017Northern Ireland, Forced by Sinn Fein, Sets Early Election in Shadow of ‘Brexit’Voters in Northern Ireland will go to the polls on March 2 in a snap election that was forced by the main Catholic party, Sinn Fein, after the collapse of a regional government in which Catholics and Protestants shared power. The election will be held in the shadow of uncertainty over Britain’s planned withdrawal from the European Union, a move that is broadly unpopular in Northern Ireland. Though a majority of Britons voted in a June referendum for “Brexit,” as the withdrawal is known, the vote in Northern Ireland was 56 to 44 percent against.Many in the region fear that security and customs checks will be reimposed along the border with Ireland, harming the economy, escalating tensions and threatening a return to sectarian conflict.Sinn Fein hopes to use the snap election to gain clout and weaken its unionist opponents, especially the Democratic Unionist Party, which holds the most seats in the regional Assembly, with Sinn Fein in second place. The unionists are allied in London with the Conservative Party, which is pursuing Brexit, while Sinn Fein wants Northern Ireland to stay in the European Union and eventually reunite with Ireland. The political crisis in the North began last week when Sinn Fein’s leader, Martin McGuinness, resigned as deputy first minister. Under the 1998 Good Friday Agreement that ended decades of sectarian conflict in the region, if Sinn Fein did not nominate a replacement for Mr. McGuinness within seven days, a new election would have to be called. The party let that deadline pass on Monday. The stated reason for his resignation was to protest what he called the mishandling of a regional renewable energy program. The program was set up by the first minister, Arlene Foster, the leader of the Democratic Unionists, and ran hundreds of millions of pounds over budget.Critics have accused Ms. Foster and her team of corruption and mismanagement of the program, and Sinn Fein has demanded that she step aside while the program is investigated; she has refused.The current Assembly was elected in early May, about seven weeks before the Brexit referendum; its term was due to run until 2021. The secretary of state for Northern Ireland, James Brokenshire, announced the dissolution of the Assembly and the timing of the election Monday evening.After Mr. McGuinness resigned last week, the Democratic Unionists tried to persuade Sinn Fein not to force an early election by restoring a government subsidy for study of the Irish language that Sinn Fein favored. Prime Minister Theresa May also held talks with Ms. Foster and Mr. McGuinness on Monday in hopes of resolving the crisis. But the Sinn Fein leader remained adamant. “In conversations this morn with the British P.M. and her secretary of state, I said society and I felt badly let down by both the D.U.P. and the British government,” Mr. McGuinness said on Twitter.There is little sign that Northern Ireland has been a significant concern in London as the British government works out its strategy for Brexit. But the political crisis in Belfast may prevent Mrs. May from formally beginning the Brexit process in March, as she intends. The Supreme Court is considering whether she needs the consent of the Northern Ireland Assembly to formally set the process in motion by invoking a European Union treaty provision known as Article 50.Support is growing in Northern Ireland for political parties that have no sectarian links, but even so, Sinn Fein and the Democratic Unionists are expected to emerge once again as the two leading parties after the election. They will then have three weeks to form a new government — a process likely to be acrimonious, especially if the Democratic Unionists lose seats, as is widely expected. Ms. Foster, the Democratic Unionist leader, accused Sinn Fein of putting its partisan interests ahead of the public good.

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“They have forced an election that risks Northern Ireland’s future and its stability, and suits nobody apart from themselves,” she said. In his announcement, Mr. Brokenshire appealed for calm: “While it is inevitable that debate during an election period will be intense, I would strongly encourage the political parties to conduct this election with a view to the future of Northern Ireland and re-establishing a partnership government at the earliest opportunity after that poll.” The Irish foreign minister, Charlie Flanagan, also called for party leaders in the North to “come together respectfully, in accordance with the principles of the Good Friday Agreement, to deliver solutions for all of the people of Northern Ireland.”

DOSSIER. CONFERENZA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE (PARIGI 15.01.17)

I. CONFERENCE FOR PEACE IN THE MIDDLE EAST (15 JANUARY 2017)Over 70 countries and international organisations attended this conference hosted by Jean-Marc Ayrault, at which the French President François Hollande spoke.

Contents1. Why was the Middle East Peace initiative launched? 2. Who will be taking part in the meeting in Paris on 15 January? 3. How will this differ from the meeting on 3 June 2016? 4. Is there really any hope of a result? 5. Middle East Peace Conference Joint Declaration

WHY WAS THE MIDDLE EAST PEACE INITIATIVE LAUNCHED?Because the situation in Israel and the Palestinian Territories is getting worse in the absence of prospects for negotiations. Growing threats are weighing on the two-State solution, particularly the continuation of settlement-building and security problems facing the region’s peoples. The crises engulfing the region (Syria, Iraq, Yemen, etc.) have in no way reduced the significance or the symbolic importance of the Israeli-Palestinian conflict. It is our responsibility not to negotiate in place of the two parties, which is neither possible nor desirable, but to act to create political momentum conducive to new negotiations between the Israelis and Palestinians themselves.WHO WILL BE TAKING PART IN THE MEETING IN PARIS ON 15 JANUARY?Over 70 countries and international organisations will attend this conference hosted by Jean-Marc Ayrault, at which the French President François Hollande will speak. The major international players concerned are: the Quartet (United States, European Union, Russia, United Nations), the five permanent members of the UN Security Council, Arab and European partners, G20 countries and other actors committed to peace. This is a wider international conference in terms of participation than that of 3 June 2016, resulting from the momentum we have managed to generate for our initiative. It will be France’s role to inform Israel and the Palestinian Authority of the Conference’s message.HOW WILL THIS DIFFER FROM THE MEETING ON 3 JUNE 2016?On 3 June last year, 28 countries or international organizations met in Paris at France’s invitation. That meeting sought to send a signal of the international community’s remobilization in support of peace between the Israelis and Palestinians, putting this absolute necessity back on the diplomatic agenda. Following the 3 June 2016 meeting, there were a number of developments: report from the Middle East Quartet, published on 1 July 2016; Russian and Egyptian initiatives; adoption on 23 December 2016 of resolution 2334 which, as Jean-Marc Ayrault has underlined, “recalls the importance of the solution of the two States, Israel and Palestine, living in peace and security.” Moreover, work on the incentives announced on 3 June 2016 has moved forward in the three following fields:civil society; economic incentives; capacity building for the future Palestinian State.

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IS THERE REALLY ANY HOPE OF A RESULT?Everyone is well aware of the difficulties dealing with a conflict that has lasted several decades. But we cannot remain as onlookers of a deadlocked situations that creates despair and insecurity. Our aim remains to mobilize the entire international community so that it actively commits by supporting a resumption of the peace process.To achieve this, we must first together reaffirm our commitment to the two-State solution, which is the only way to ensure a fair and sustainable solution to the conflict.We also need to make peace an attractive option again, by assembling the concrete contributions that all international partners are prepared to provide. These contributions will be central to the Conference on 15 January thanks to the reports from the working groups created in summer 2016.

MIDDLE EAST PEACE CONFERENCE JOINT DECLARATIONI) Following the Ministerial meeting held in Paris on 3 June 2016, the Participants met in Paris on 15 January 2017 to reaffirm their support for a just, lasting and comprehensive resolution of the Israeli-Palestinian conflict. They reaffirmed that a negotiated solution with two states, Israel and Palestine, living side by side in peace and security, is the only way to achieve enduring peace.They emphasized the importance for the parties to restate their commitment to this solution, to take urgent steps in order to reverse the current negative trends on the ground, including continued acts of violence and ongoing settlement activity, and to start meaningful direct negotiations.They reiterated that a negotiated two-state solution should meet the legitimate aspirations of both sides, including the Palestinians’ right to statehood and sovereignty, fully end the occupation that began in 1967, satisfy Israel’s security needs and resolve all permanent status issues on the basis of United Nations Security Council resolutions 242 (1967) and 338 (1973), and also recalled relevant Security Council resolutions.They underscored the importance of the Arab Peace Initiative of 2002 as a comprehensive framework for the resolution of the Arab-Israeli conflict, thus contributing to regional peace and security.They welcomed international efforts to advance Middle East peace, including the adoption of United Nations Security Council resolution 2334 on 23 December 2016 which clearly condemned settlement activity, incitement and all acts of violence and terror, and called on both sides to take steps to advance the two-state solution on the ground ; the recommendations of the Quartet on 1 July 2016 ; and the United States Secretary of State’s principles on the two-state solution on 28 December 2016.They noted the importance of addressing the dire humanitarian and security situation in the Gaza Strip and called for swift steps to improve the situation.They emphasized the importance for Israelis and Palestinians to comply with international law, including international humanitarian law and human rights law.II) The Participants highlighted the potential for security, stability and prosperity for both parties that could result from a peace agreement. They expressed their readiness to exert necessary efforts toward the achievement of the two-state solution and to contribute substantially to arrangements for ensuring the sustainability of a negotiated peace agreement, in particular in the areas of political and economic incentives, the consolidation of Palestinian state capacities, and civil society dialogue. Those could include, inter alia : a European special privileged partnership ; other political and economic incentives and increased

private sector involvement ; support to further efforts by the parties to improve economic cooperation ; continued financial support to the Palestinian authority in building the infrastructure for a viable Palestinian economy ; supporting and strengthening Palestinian steps to exercise their responsibilities of statehood

through consolidating their institutions and institutional capacities, including for service delivery ; convening Israeli and Palestinian civil society fora, in order to enhance dialogue between the

parties, rekindle the public debate and strengthen the role of civil society on both sides.III) Looking ahead, the Participants :

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call upon both sides to officially restate their commitment to the two-state solution, thus disassociating themselves from voices that reject this solution ; call on each side to independently demonstrate, through policies and actions, a genuine

commitment to the two-state solution and refrain from unilateral steps that prejudge the outcome of negotiations on final status issues, including, inter alia, on Jerusalem, borders, security, refugees and which they will not recognize ; welcome the prospect of closer cooperation between the Quartet and Arab League members and

other relevant actors to further the objectives of this Declaration.As follow-up to the Conference, interested Participants, expressing their readiness to review progress, resolved to meet again before the end of the year in order to support both sides in advancing the two-state solution through negotiations.France will inform the parties about the international community’s collective support and concrete contribution to the two-State solution contained in this joint declaration.

II. DOCUMENTO FINALE DELLA CONFERENZA DI PARIGI PER RILANCIARE LA SOLUZIONE DEI DUE STATI (L’OSSERVATORE ROMANO DEL 17.01.17)Parigi, 16. «Una mano tesa». Così il ministro degli esteri francese, Jean-Marc Ayrault, ha definito l’esito della conferenza di pace voluta dalla Francia e tenutasi a Parigi, alla presenza delle delegazioni di oltre settanta Paesi. In base a quanto emerge dal comunicato finale, ne esce rafforzata l’ipotesi della soluzione dei due Stati, che prevede la costituzione di uno stato autonomo di Palestina accanto a quello israeliano. Tuttavia, non sono mancate le tensioni, non solo per le critiche avanzate da entrambe le parti (israeliani e palestinesi, le cui delegazioni non erano presenti), ma anche per le recenti dichiarazioni del presidente eletto statunitense, Donald Trump, sulla volontà di spostare la sede dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.Secondo quanto si è appreso da fonti presenti nelle fasi del negoziato, Ayrault ha attuato una strategia diplomatica molto serrata, cercando di evitare rotture e scontri. Sulla possibilità di un trasferimento della sede dell’ambasciata statunitense, Ayrault ha detto che «sarebbe una decisione molto gravida di conseguenze», aggiungendo poi che «se ci fosse una decisione del genere si tratterebbe di una provocazione». Ayrault ha parlato di una dichiarazione «che viene incontro» ai due governi, quello israeliano di Benjamin Netanyahu — che aveva accusato la conferenza di rappresentare «un passo indietro» nei negoziati — e quello del presidente palestinese Mahmoud Abbas, che era invece più che disponibile a partecipare all’assise ma che, per non irritare ulteriormente l’altra parte, si è fatto in modo che non fosse presente nei locali del centro conferenze del Quai d’Orsay, bensì in un altro edificio. La dichiarazione finale indica con chiarezza che non verranno riconosciute azioni unilaterali intraprese da Israele o dallo Stato di Palestina, in particolare per quanto riguarda le frontiere, lo status di Gerusalemme e la situazione dei rifugiati. Il documento ribadisce inoltre che la soluzione al conflitto deve fondarsi sulle frontiere del 1967 e sulle principali risoluzioni delle Nazioni Unite sull’argomento. In particolare, si sottolinea la necessità che Israele si ritiri dai territori occupati dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. «Se ci siamo riuniti così numerosi — ha dichiarato Ayrault nel messaggio di apertura della conferenza — è perché abbiamo coscienza dell’urgenza di risolvere la situazione. Abbiamo altresì coscienza della necessità di mobilitarci collettivamente per ridare al processo di pace uno slancio indispensabile». È infatti «indispensabile risolvere questo conflitto. Venticinque anni dopo la conferenza di Madrid, questo cammino deve ancora essere intrapreso». La Francia — ha aggiunto — «è impegnata da oltre un anno nel tentativo di sbloccare l’impasse». Il tema degli insediamenti ebraici in Cisgiordania è stato uno dei punti critici su cui le delegazioni si sono concentrate. La tensione, su questo tema, si è fatta molto elevata nelle ultime settimane dopo la risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che condannava le decisioni del governo israeliano: per la prima volta gli Stati Uniti non hanno posto il veto, facendo passare il documento. E proprio ieri, nell’ultimo giorno della conferenza, in una telefonata diretta con il premier israeliano, il segretario di Stato americano, John Kerry, che tempo fa criticò duramente la

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politica israeliana, si sarebbe impegnato a far sì che da parte del Consiglio di sicurezza Onu non ci siano nuovi interventi contro Israele. Osteggiando poi, durante il summit, qualsiasi riferimento alla questione Gerusalemme nel documento.

III. PARIGI, 70 LEADER DEL MONDO CHIEDONO DUE STATI: MA ISRAELE E PALESTINA NON SONO AL TAVOLO (IL MESSAGGERO DEL 17.01.17)Una conferenza di pace senza i due protagonisti quella voluta dalla Francia a Parigi, oltre 70 Paesi presenti e un risultato che - secondo il capo del Quai d’Orsay, Jean-Marc Ayrault - rappresenta «una mano tesa». Esce rafforzata l’ipotesi della «soluzione a due Stati» e si raggiunge una dichiarazione finale. Ma sulla sala delle conferenze incombe l’avvento di Trump alla Casa Bianca e la sua minaccia di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Hanno insistito con decisione molti dei paesi arabi presenti affinché nella dichiarazione finale fosse inserito anche soltanto un accenno di censura alla possibilità che il presidente americano eletto, che si insedierà fra soli 5 giorni, possa rendere operativa la sua idea di considerare di fatto Gerusalemme capitale di Israele. Alla fine, secondo quanto si è appreso da fonti presenti al negoziato, gli arabi si sono convinti a cedere, ma Ayrault ha dovuto fare qualche sforzo in più esponendo diplomaticamente la Francia: «Sarebbe una decisione molto gravida di conseguenze», ha detto il capo della diplomazia francese, aggiungendo che se ci fosse una decisione del genere si tratterebbe di «una provocazione».

Lo stesso Ayrault ha parlato di una dichiarazione che rappresenta una «mano tesa» ai due governi, quello di Benyamin Netanyahu - che ha accusato questa conferenza di rappresentare «un passo indietro» e di essere «futile» - e quello di Abu Mazen, che era invece più che disponibile a partecipare ma che, per non irritare ulteriormente il governo israeliano, si è fatto in modo che non fosse presente nei locali del centro conferenze del Quai d’Orsay bensì in un altro edificio. La dichiarazione finale ricalca, grosso modo, quella stilata il 6 gennaio scorso in una preconferenza con alti funzionari e sherpa. E immaginata lo scorso giugno, in una prima edizione di questa conferenza, con un numero molto inferiore di partecipanti. Oggi, all’ultimo momento, è saltata anche la presenza del nuovo segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che si è fatto rappresentare dall’inviato speciale Onu per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov. Presenti invece sia il segretario di Stato Usa uscente, John Kerry, sia l’alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini. Alfano ha insistito sul ruolo dell’Italia, determinante con il suo «contributo» per l’inserimento nella dichiarazione finale di almeno due elementi precisi: le violenze, l’incitamento al terrorismo, le parole ‘che infiammanò, tutti elementi dai quali vengono messe in guardia le due parti. E l’impossibilità di sostituire, in qualsiasi modo, «il negoziato diretto fra le due parti», elemento indispensabile per ogni passo avanti. È emersa «una posizione equilibrata grazie anche al nostro contributo», ha sottolineato il titolare della Farnesina, secondo il quale il problema del Medio Oriente non può ridursi agli insediamenti israeliani: «C’è il tema di chi incita alla violenza e chi considera eroi o martiri i terroristi. Finché sarà così, non ci sarà pace e sicurezza in Israele».La Conferenza di Parigi era stata convocata per rianimare un processo di pace che, agli occhi di Parigi, sta stagnando, e al quale farebbe ombra soprattutto la situazione siriana e quella più in generale dei territori in mano all’Isis. Il timore di Israele e Stati Uniti - stavolta concordi nella contrarietà ad inserire nella dichiarazione finale il nodo di Gerusalemme, Kerry si è opposto in modo piuttosto netto - era che un documento troppo sbilanciato diventasse la base di discussione domani a Bruxelles del Consiglio dei ministri degli Esteri Ue (al quale Alfano si recherà direttamente da Parigi); e soprattutto che desse sostanza a un’ipotetica dichiarazionè dell’altrettanto imminente riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che avrebbe potuto fare proprio il documento uscito dalla conferenza di oggi. Un’eventualità che la diplomazia ha dovuto sventare, a cinque giorni dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, un evento che ha pesato in modo determinante su un appuntamento già considerato soltanto simbolico come quello di Parigi.

RADIO VATICANA

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Radio Giornale delle ore 14,00 del 16 gennaio 2017

Il Radio Giornale delle ore 14 di oggi è disponibile sul sito ufficiale della Radio Vaticana entro le ore 15 di Roma. Per accedervi è sufficiente cliccare sul collegamento qui di seguito, tenendo schiacciato il tasto “Ctrl”: http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

TRUMP: CRITICHE ALLA NATO E ALL’UNIONE EUROPEAFanno discutere le affermazioni del Presidente americano eletto, Donald Trump, su Nato e Unione Europea. In una serie di interviste a testate tedesche e britanniche il neo capo della Casa Bianca ha detto che l’Alleanza Atlantica, che non si occupa di terrorismo, è ormai obsoleta e che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è solo la prima di altre defezioni. Ne abbiamo parlato con Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (IAI):R. – La Nato si occupa di terrorismo fin dall’attacco alle Torri Gemelle, ha partecipato largamente alla guerra in Afghanistan ed è stata coinvolta in tutta una serie di altre operazioni. Per cui dire semplicemente che la Nato non si occupa di terrorismo è banale e devo dire anche che non vero. Io credo che Trump stia cercando di fare un po’ di rumore per vedere poi cosa fare. Probabilmente la Nato, ma in particolare l’Europa, avranno bisogno di una discussione seria con Trump, se Trump la vorrà fare, perché il problema è quale rapporto avere, non tanto con il terrorismo, che tutti stanno combattendo, quanto con la Russia, la Cina e in genere con la situazione in Medio Oriente.D. – Comunque l’organizzazione atlantica secondo lei ha bisogno di una riforma?R. – Certamente l’organizzazione atlantica deve adeguarsi al mutare della situazione, però questo restyling va pensato. Io credo che Trump stesse soprattutto reagendo alla decisione di Obama di dare appoggio alla Polonia e alle Repubbliche baltiche in questi ultimi giorni e quindi volesse in qualche maniera prendere le distanze da Obama. Ma queste sono ancora polemiche di politica interna americana.D. – Certo è una Nato in cui gli Stati Uniti continuano a sostenere i costi maggiori…R. – Sì, gli Stati Uniti sostengono quasi il 70-75% dei costi della Nato. Certamente c’è un problema di rapporto con l’Europa da questo punto di vista, però è anche evidente che se fai pagare di più agli alleati, gli alleati contano di più.D. – Parole critiche di Trump anche nei confronti dell’Europa: secondo il presidente eletto la Brexit sarebbe solo la prima delle uscite dall’UE…R. – Evidentemente è possibile. Ma finora, di fatto, non abbiamo avuto neanche la Brexit, anzi non è neanche cominciata: la Gran Bretagna non ha ancora depositato la sua domanda di uscita dall’Unione, quindi non sono ancora stati avviati i negoziati. Per cui finora parliamo in astratto. Vedremo all’atto pratico cosa succederà e se altri Paesi vorranno seguire questo esempio. Credo che Trump pensasse soprattutto all’Ungheria.D. – E’ un’Europa che rischia di spaccarsi sul problema immigrazione e sul fatto che economicamente va a due velocità?R. - Sì, certamente. C’è il problema del rapporto tra nord e sud. Questo è una grossa questione che però ha poco a che fare con questo tipo di polemiche e ha molto invece a che fare con il funzionamento effettivo dell’Unione. Certo, se l’Unione non riuscirà a funzionare dal punto di vista economico-finanziario e direi anche dal punto di vista politico è possibile che inizi una grossa crisi. Ma io devo dire che mi sembra che la maggior parte dei Paesi europei sia molto più attenta oggi di quanto non fosse ieri alle conseguenze di determinati gesti sull’insieme dell’Unione. Vedremo… Io credo che Trump tenti di dividere gli europei per avere poi una serie di negoziati bilaterali – che

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sono le cose poi che ha detto fin dalla sua campagna elettorale – però dovrebbe anche ricordarsi che ci sono competenze, specialmente in campo commerciale ed economico, che non sono più nazionali, ma sono dell’Unione. Io credo che Trump dovrà imparare a fare politica estera.

ERITREA: IN MIGLIAIA IN FUGA DA CRISI ALIMENTARE E PERSECUZIONIIn Eritrea quasi due milioni di persone vivono nell’insicurezza alimentare: oltre la metà sono bambini. L’allarme è lanciato dall’Unicef che riferisce di scarsi raccolti e avverse condizioni meteo dovute al El Nino. Una crisi umanitaria e sociale acuita dalla chiusura del regime eritreo e dalla fuga di migliaia di giovani che cercano di raggiungere l’Europa. La siccità e i conseguenti scarsi raccolti hanno portato due milioni di eritrei all’insicurezza alimentare. Di questi, il 60% sono minori. In pratica, nel Paese del Corno d’Africa su una popolazione di sei milioni e mezzo di persone quasi un cittadino su tre ha difficolta di accesso a una nutrizione adeguata. Non è facile tuttavia avere contezza di questo dramma poiché Asmara nega qualsiasi problema, limitando il movimento delle associazioni umanitarie. Sentiamo Franca Travaglino, fondatrice della Ong ‘HEWO’ (Hansenians’ Ethiopian Welfare Organization), che riferisce di un rapporto inviato dai collaboratori in Eritrea:R. - Abbiamo dei riscontri che ci presentano veramente una situazione disastrosa! Una nostra collaboratrice sul posto ci dice: “Qui manca tutto! C’è fame, c’è miseria, c’è mancanza degli alimenti necessari. Mancano la luce, il petrolio, il carbone. Il costo della vita galoppa in modo impressionante ed inaccettabile! Quello che trovi, è a un prezzo molto alto e molte persone non hanno la possibilità di comprarlo”.D. – Quali sono i problemi che si riscontrano ogni giorno?R. – Sono soprattutto di carattere alimentare e sono proprio quotidiani. Faccio qualche esempio: un tempo i pomodori costavano 10-15 nacfa (la moneta locale), invece ora costano 80 nacfa al kg; e così anche le patate… Per lunghi periodi manca del tutto l’energia elettrica. La situazione economica e sociale è molto critica. E’ indescrivibile.La situazione è aggravata da una crisi migratoria senza precedenti che solo negli ultimi due anni ha visto 60 mila giovani lasciare il Paese alla volta dell’Europa. Uno dei più ingenti gruppi di profughi dopo i siriani. Una fuga da fame e miseria ma anche dal regime di Isaias Afewerki. Ascoltiamo ancora il commento della Travaglino: “E’ da tenere presente che ci sono delle carestie climatiche cicliche. E poi al momento l’Eritrea è purtroppo una nazione chiusa: non ha rapporti con le altre nazioni. Come si può pensare ad uno sviluppo economico in un Paese dove scappano i giovani, dove le forze lavoro non ci sono più? Non c’è possibilità di sviluppo. Non possono parlare, non possono studiare liberalmente. E’ una prigione a cielo aperto”!E in Eritrea preoccupa anche la recrudescenza della persecuzione anti-cristiana. Secondo il Rapporto 2017 dell’organizzazione internazionale “Porte Aperte”, fondata nel 1955 dal missionario olandese “fratello Andrea”, l’Eritrea è tra i 10 Paesi dove i cristiani sono maggiormente oppressi: “Fino agli anni Settanta-Ottanta non c’era differenza tra cristiani e islamici: era un Paese veramente libero dal punto di vista religioso. Ora, invece, il regime eritreo è sostenuto dagli arabi. Dopo l’indipendenza, l’Eritrea si è trovata per forza a fare una scelta, perché è stata abbandonata. E quelli che l’hanno maggiormente sostenuta e la sostengono sono i Paesi arabi. Questo pericolo di una arabizzazione dell’Eritrea è anche un tentativo da parte degli islamici di penetrare in Etiopia, che rimane ancora spiritualmente cristiana”.

DAVOS. OXFAM: TROPPE DISEGUAGLIANZE, SERVE ECONOMIA CENTRATA SULL’UOMO Vigilia dell’annuale Forum Economico Mondiale di Davos in Svizzera che avrà al centro il futuro della finanza, dell’ energia, dell’ innovazione, ma anche grandi tematiche internazionali, dal crisi in Medio Oriente, allo sviluppo dell’Africa e dell’America Latina. Forte l’appello che arriva dall’Oxfam,Ong britannica che denuncia le crescenti diseguaglianze sociali con 8 persone che sul pianeta posseggono quanto 3,6 miliardi di poveri.

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Tema del Forum quest’anno è la “Leadership responsabile”? Ad oggi cosa significa ed è possibile realizzarla? Lo abbiamo chiesto a Elisa Bacciotti, direttrice Campagne Oxfam Italia:R. – Per Oxfam dovrebbe significare cambiare questo modello economico che sta producendo una diseguaglianza estrema; significa avere dei governi che tornino ad avere un ruolo regolatore in maniera da evitare elusione fiscale che porta grandi ricchi e grandi corporation a non contribuire come potrebbero alle casse dei nostri Stati e quindi a non poter più garantire servizi pubblici e di qualità per i loro cittadini; significherebbe anche garantire ai cittadini un salario dignitoso e non solo un salario minimo che di fatto poi porta una persona su dieci a vivere sotto la soglia di povertà e, in molti casi, ad essere un povero che lavora.D. - Le tematiche di Davos saranno tante: si parlerà soprattutto di futuro, finanza, energia, innovazione, politica monetaria, e poi ci saranno dei focus internazionali. Il richiamo all’uomo, che il Papa fa sempre: ecco, si può costruire ad oggi un futuro basato sull’uomo?R. - Non solo si può, ma si deve costruire un’economia che lavori per il 100% di noi, un’economia fondata sul rispetto della sostenibilità ambientale perché questo modello economico non serve l’uomo, ma di fatto lo sfrutta sfruttando anche l’ambiente; non sarà più possibile nel breve e nel medio periodo costruire un futuro dignitoso per la vita di tutti noi.D. - La lista dei presenti e degli assenti di solito a Davos, spiega meglio di tante analisi cosa accade negli equilibri mondiali. Quest’anno è la prima volta della Cina, che spinge per una globalizzazione che sia inclusiva. Qual è il significato di questa presenza?R. - È importante che Davos come appuntamento, seppur informale dell’élite politica ed economica del nostro pianeta, possa ospitare più voci e voci come quelle delle Cina cioè di un Paese che è una potenza economica globale che ha compiuto passi importanti anche per la riduzione della povertà e che ultimamente ha anche preso impegni molto ambiziosi rispetto al tema del cambiamento climatico. Ci auguriamo che come collettivo di leader politici ed economici, sappiano costruire una globalizzazione che davvero non lasci indietro la grandissima maggioranza di noi.D. – Sono otto le persone più ricche del pianeta a possedere quanto 3,6 miliardi di poveri, lo avete scritto nel rapporto Oxfam. Di queste persone molte sono proprio di quell’America che ora diventa l’America di Trump. Fa paura o no alle Ong, questa figura, che per l’altro non sarà presente a Davos, ma manderà degli emissari, per un miglior funzionamento del pianeta?R. - Quello che possiamo dire è che il tema della diseguaglianza economica, di ricchezza e di reddito, è stato uno dei temi all’origine del successo della Campagna elettorale di Trump. Quindi il tema ha influenzato anche le opinioni di molti elettori negli Stati Uniti. Di fatto però, la risposta che noi vorremmo vedere, anche dal prossimo Presidente eletto, perché no, è una risposta che disegni un modello economico non divisivo perché di fronte a queste sfide dobbiamo essere in grado di cooperare tutti. Ci auguriamo appunto che le leadership mondiali, compresa quella statunitense, facciano questo.

VESCOVI A CRISTIANI DI BETLEMME: PREGATE PER NOSTRE SOCIETÀ OCCIDENTALI“Tutto il Medio Oriente ha sete di misericordia, israeliani, palestinesi, cristiani, musulmani, ebrei. Abbiamo tutti bisogno di pace. Aiutateci!”. È stato l’appello che il parroco della parrocchia latina della “Annunciazione” a Beit Jala, padre Faysal Hijazeen, ha lanciato al Coordinamento dei vescovi per la Terra Santa (Hlc) che ieri, in delegazione, hanno partecipato alla Messa della comunità.Mancanza di lavoro, occupazione militare israeliana e instabilità politica sono tra le cause dell’emigrazione dei cristiani, problema molto sentito dalla Chiesa locale che vede ridursi “lentamente e inesorabilmente” i propri fedeli. “Solo la garanzia di un futuro migliore potrà trattenerli”, ha affermato il sacerdote. Pronta la risposta di mons. Declan Lang, moderatore dell’Hlc, che, nell’omelia, rivolgendosi ai tanti fedeli che affollavano la chiesa, ha detto: “Siamo qui per pregare per voi. Ci impegniamo, una volta tornati a casa, a fare il possibile perché possiate essere più liberi”. Anche mons. Peter Burcher, vescovo di Reijkavik e rappresentante della Conferenza episcopale dei Paesi nordici, ha ribadito l’impegno: “Siamo venuti a Betlemme non come magi ma come pastori. Una volta ritornati racconteremo ciò che abbiamo visto e udito. Grazie per la fede che

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testimoniate”. “Pregate per le nostre società occidentali – hanno a loro volta chiesto i due vescovi ai fedeli – che devono affrontare sfide molto difficili. La vostra fede ci è di sostegno”.

CHIESA ECUADOR: APPELLO PER INDIOS SHUAR CACCIATI PER FARE POSTO A UNA MINIERAUn nuovo appello a favore del popolo indigeno Shuar dell’Ecuador arriva dalla Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica, che – riferisce l’agenzia Sir – ha diffuso un articolato comunicato stampa per manifestare la propria “preoccupazione e ferma denuncia per i fatti recenti che hanno coinvolto il popolo Shuar dell’Ecuador, nella provincia di Morona Santiago e in particolare la cacciata di indigeni e agricoltori della comunità Nankints, per fare posto agli interessi dell’impresa estrattiva cinese Ecuacorrientes S.A”. Secondo la Repam quanto sta accadendo è in relazione “alla politica di super sfruttamento dei beni naturali che è stato imposto nella regione amazzonica, concedendo vantaggi a gruppi privati e danneggiando gravemente i diritti umani e la protezione dell’ecosistema”. Il comunicato prosegue: “Comprendiamo la vocazione per lo sviluppo sociale delle donne e degli uomini dell’Ecuador, però la soluzione non può limitarsi alla prosecuzione dell’estrazione di risorse naturali in spazi tanto fragili e vulnerabili, poiché la povertà che si vuole combattere momentaneamente, tornerà ugualmente in modo più drammatico per questi territori”. Da qui, anche in riferimento alla parole pronunciate da Papa Francesco durante la sua visita in Ecuador, la richiesta del rispetto dei diritti delle popolazioni e in particolare della consultazione previa e libera, del dialogo e di non ripetere atti di forza e violenti.

--- QUESTO BOLLETTINO È STATO CHIUSO ALLE ORE 13,08 DI ROMA ---