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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 24 maggio 2018 anno LXXI, numero 21 (3.945) Segno dell’universalità della Chiesa

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 24 maggio 2018anno LXXI, numero 21 (3.945)

Segnodell’universalitàdella Chiesa

L’Osservatore Romanogiovedì 24 maggio 2018il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

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GIANLUCA BICCINICo ordinatore

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L’

La santitàdei papi

annuncio in concistoro della canonizzazione diGiovanni Battista Montini, che eletto nel con-clave del 1963 prese il nome di Paolo VI, segnauna novità nella storia della Chiesa romana.Durante il rito sarà infatti sancita la santità an-che di Óscar Romero, l’arcivescovo martire, edi altre figure esemplari, in prevalenza fonda-trici e fondatori di ordini religiosi. E appuntoquesta è la novità, perché nel corso dei secoli ipapi sono stati elevati agli onori degli altari dasoli o, in anni recenti, insieme ad altri pontefi-ci.

È anche storicamente noto che, da quandoalla fine del Cinquecento la sede romana hascelto di centralizzare e governare i processiper il riconoscimento formale della santità, po-chissimi sono i papi canonizzati o beatificati.La maggior parte dei successori di Pietro vene-rati tradizionalmente come santi appartiene in-fatti ai primi sei secoli, cioè fino a GregorioMagno, autore della Regula pastoralis e model-lo indiscusso di governo episcopale, in una

idealizzazione agiografica che considera marti-ri tutti quelli prima dell’età costantiniana.

Mezzo millennio più tardi, intorno al 1075,Gregorio VII nel Dictatus papae afferma che «ilromano pontefice, se sia stato ordinato canoni-camente, per i meriti del beato Pietro senzadubbio diviene santo». A questa rinnovata vi-sione del papa a cui è stata legata la riformadella Chiesa, che appunto da Gregorio VIIprende il nome, si ispira la celebrazione dei

suoi immediati successori negli affreschi delloscomparso oratorio lateranense di San Nicola,in un accostamento trasparente tra le grandi fi-gure della tradizione romana, Leone e Grego-rio, e i pontefici riformatori tra i secoli XI eXII.

La santità papale riappare, non a caso dopola perdita del potere temporale e in qualchemodo per compensarla, grazie al riconosci-mento formale del culto di una serie di ponte-fici medievali. Ma a rilanciarla è soprattuttoPio XII, che nell’arco di cinque anni beatifica ecanonizza Pio X, predecessore da lui servitopersonalmente, e proclama beato InnocenzoXI.

Tutto cambia nel decennio successivo quan-do, opponendosi alle polarizzazioni all’internodella Chiesa acutizzatesi al tempo del VaticanoII, Paolo VI decide per i suoi due immediatipredecessori l’avvio simultaneo e per via nor-male delle cause di canonizzazione, come di-chiara apertamente in concilio il 18 novembre1965: sarà così «evitato che alcun altro motivo,che non sia il culto della vera santità e cioè lagloria di Dio e l’edificazione della sua Chiesa,ricomponga le loro autentiche e care figureper la nostra venerazione» dice Montini.

Con il nuovo secolo si succedono dunque labeatificazione di Pio IX e di Giovanni XXIII il3 settembre 2000, la beatificazione rapidissimadi Giovanni Paolo II il primo maggio 2011, lacanonizzazione di Roncalli e Wojtyła il 24aprile 2014 e, sei mesi più tardi, il 19 ottobre,durante un’assemblea sinodale, la beatificazio-ne di Montini. Ora, per la prima volta, un cri-stiano divenuto papa verrà proclamato santoinsieme ad altre figure esemplari. «Per esseresanti non è necessario essere vescovi, sacerdoti,religiose o religiosi» ha ribadito nell’ultimaesortazione apostolica il suo attuale successore.E con la decisione annunciata oggi in conci-storo Bergoglio sottolinea che la radice dellasantità è la stessa in ogni donna e ogni uomotestimoni di Cristo.

g. m .v.

#editoriale

Montini e Romerocanonizzatiil 14 ottobre

Giovanni Battista Montinie Óscar Arnulfo RomeroGaldámez sarannocanonizzati il prossimo 14ottobre. Lo ha annunciatoil Papa nel Concistoroordinario pubblico peril voto su alcune causedi canonizzazione, svoltosila mattina di sabato 19.Nella stessa cerimonia oltrea Paolo VI e all’a rc i v e s c o v omartire di San Salvadorsaranno proclamati altriquattro santi: due sacerdotidiocesani italiani —Francesco Spinelli,fondatore delle suoreAdoratrici del SantissimoSacramento, e VincenzoRomano — e due religiose,la tedesca Maria CaterinaKasper, fondatrice dellePovere ancelle di GesùCristo, e la spagnolaNazaria Ignazia di SantaTeresa di Gesù (al secoloMarch Mesa), fondatricedelle suore Misionerascruzadas de la Iglesia.

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di ANTONIOZANARDI LANDI

In questi giorni i quotidiani presentano un’am-plissima varietà di articoli e di commenti sulladecisione presa dal presidente Trump di ritira-re gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare ira-niano concluso nel 2015 da Teheran e dai cin-que membri permanenti del Consiglio di sicu-rezza delle Nazioni Unite più la Germania. Ladenuncia unilaterale dell’accordo, contro i pa-reri e le richieste espresse da Francia, Germa-nia e Gran Bretagna, non rappresenta una bel-la pagina nella storia del rapporto transatlanti-co, che pure va considerato un pilastro essen-ziale e irrinunciabile per l’Europa e per l’Ita-lia, tanto che sul «Sole 24 Ore» Adriana Cer-retelli ha posto l’interrogativo «e se fosse finital’idea stessa di Occidente?».

La grande maggioranza degli articoli prendein esame quelle che potranno essere per le im-prese europee le conseguenze delle sanzioni“secondarie” che Washington ha annunciatonei confronti di chi continuerà a intrattenererapporti commerciali e finanziari con l’Iran. Ilperimetro di queste sanzioni è peraltro ancoramolto vago e lo stesso Trump ha affermatoche esse verranno messe a punto e applicate inuno spazio temporale da tre a sei mesi, mentrela questione è stata discussa il 16 maggio inoccasione del Consiglio europeo di Sofia ed èstata oggetto di ferme prese di posizione daparte di molti esponenti europei. Vi sono statein particolare critiche molto nette da parte delministro francese Bruno Le Maire e di alcunimembri del governo tedesco, oltre che dei pre-sidenti della commissione e del consiglio.

Un secondo interrogativo, di ordine geostra-tegico, riguarda il prevedibile rafforzamentodei rapporti dell’Iran con la Cina, che già oggiè il maggior acquirente di idrocarburi prodottiin Iran, e con la Federazione russa. China

F i rs t ! scrive il «South China Morning Post»sottolineando un effetto paradossale delle re-centi scelte dell’amministrazione americana. Ein effetti il rischio rappresentato da un marca-to rafforzamento dei rapporti di Teheran conpaesi che con gli Stati Uniti hanno rapportinon facili esiste, e va considerato.

Altra domanda, sollevata dal ministro LeMaire, è quanto rischioso possa essere il per-durante ricorso da parte di Washington a san-

zioni con effetti extraterritoriali e a sanzionisecondarie. Queste infatti costituiranno inevi-tabilmente un motivo di frizione acuta non so-lo con gli europei, ma soprattutto con cinesi,turchi, indiani e pakistani.

Ma è necessario considerare la questione an-che, se non principalmente, dalla prospettivadegli equilibri di quella vasta parte di mondoche va dalla Cina al Mediterraneo. Teheran,grazie anche all’involontaria ma attiva collabo-razione occidentale, ha potuto estendere la suainfluenza dall’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria,al Libano, allo Yemen e nelle acque del Golfo.Non sarà con le sanzioni o con azioni militariche si conterrà l’Iran, che è un interlocutoreinevitabile e complesso, ma che potrà essereanche un elemento per la ricerca di stabilità inuna grande area instabile e per l’Europa essen-ziale.

Solo un franco e aperto confronto conTeheran consentirà di trovare un modus viven-di nelle tante aree di frizione che vedono StatiUniti e parte dell’occidente contrappostiall’Iran. Gli iraniani sono dotati di grandepragmatismo e compromessi sono raggiungibi-li anche nei settori oggi più contenziosi. Unsolo grande tema si frappone a un dialogo ve-ro e di lungo respiro con Teheran: l’E u ro p a ,per le tragedie del secolo scorso e non solo, hauna responsabilità nei confronti del popoloebraico a cui non può e non potrà rinunciare,indipendentemente da chi sia al governo inIsraele. La ricerca di una difficilissima soluzio-ne è la sfida di un futuro vicino.

Quale partitasi gioca in Iran

#ilpunto

La decisionedi Trumpdi ritiraregli Stati Unitidall’a c c o rd osul nuclearecon Teheran

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Deve essere stato veramente duro scrivere questoromanzo, perché di un romanzo si tratta, enon di una agiografia, anche se la protagonistaè una santa. E di un bellissimo romanzo. Ed èquasi troppo duro leggerlo, tanto l’autrice hasaputo entrare nella mente e nell’esp erienzadella bambina schiava africana, così bene dascrivere un libro che ha scalato tutte le classifi-che in Francia, meritando il premio Fnac (Vé-ronique Olmi, Bakhita, Paris, Albin Michel,2018, pagine 464, euro 22,90). È duro soprat-tutto perché, mentre lo leggiamo, sappiamoche non si tratta solo di “cose dell’O ttocento”ma di una realtà terribile, vera ancora oggi,che si affianca e si intreccia alla nostra vita dioccidentali civili e perfino cristiani.

Non si tratta infatti solo di una narrazionedi fatti di per sé sconvolgenti, ma dell’effettodi questi nella mente, nel corpo e nel cuoredella bambina di sette anni che viene rapita eche dallo choc subito non ricorda più, maipiù, il suo nome né quello della sua tribù edei suoi genitori. Rimarranno frammenti dimemoria, più legati a esperienze di pace e diprotezione, sulle quali incombe sempre il peri-colo dei razziatori, che a persone precise. Me-morie di corpi, della madre e della sua gemel-la, di canzoni e di abbracci. La bambina senzanome perde anche la sua lingua, non incontre-rà mai più nessuno che parla il suo dialetto eper tutta la vita si esprimerà con difficoltà, inun miscuglio di lingue diverse. Ma capisce nelprofondo di sé il dolore, lo smarrimento,l’esclusione che lei ha vissuto quando li sentenegli altri. È solo grazie al fatto che ha cono-sciuto l’amore di sua madre che riuscirà amantenere la sua umanità anche nella vita daschiava, anche se questo le costerà una mag-giore sofferenza: amare in una condizione dioppressione totale vuol dire soffrire, soffrire dipiù di quanto già abitualmente sia costretta afare. Nella sua vita di schiava infatti dovrà sof-frire per la morte, la tortura o la separazionebrutale da coloro con i quali la lega un senti-mento umano di condivisione e di affetto. Og-getto del suo amore erano soprattutto bambi-ni, più piccoli di lei. La muove la nostalgiadella madre, e insieme il voler diventare comelei, l’unica figura che le ha dato protezione eamore: «Ed è lì che tra gli schiavi Bakhita sen-te vagire un bambino. Istantaneamente, pensache sua madre si trovi fra gli schiavi. Si gira discatto verso di loro. Cerca sua madre con losguardo, è una carovana piccola, li squadratutti in un attimo, e nello stesso attimo capisceche si è sbagliata. Lei non c’è. E tuttavia quelpensiero non la lascerà più. Per tutta la vita,fino all’ultimo istante, ogni volta che sentirà

piangere un bambino crederà che sia in brac-cio a sua madre. Anche quando sua madrenon avrà più l’età per essere madre. E poi l’etàper essere in vita. Ogni bambino che piangesarà in braccio a lei e aspetterà che lei lo con-soli».

Anche se il trasferimento in Italia segna perla giovane schiava — rimane schiava, bisognaricordarlo, anche nei primi anni italiani — unindubbio miglioramento di condizione, il di-

sprezzo e l’indifferenza perla sua volontà e i suoi senti-menti la faranno sempresoffrire nel corso della sualunga vita. Anche fra le suo-re canossiane. E in Italia siaggiunge una nuova tortu-ra: essere l’unica nera, guar-data ed esposta come un fe-nomeno da baraccone, con-siderata una creatura deldiavolo, o come minimouna che sporca perché lasua pelle è sempre sospetta-ta di stingere. In ogni situa-zione che vivrà in Italia, inogni posto nuovo, sino allafine, lei dovrà superare que-sto pregiudizio, farsi cono-scere nella sua bontà con fa-tica e pazienza. Anche lesuore, che la spostano diconvento in convento per ifini dell’istituto, non pensa-no mai a proteggerla daquesto choc iniziale, daquesta prova che deve vin-cere ogni volta, perfino

Il romanzodi una schiava

#culture

di LU C E T TA SCARAFFIA

Bakhita raccontatada Véronique Olmi

quando, già vecchia, viene trasferita al conven-to di Vimercate, dove deve istruire le giovanisuore che partono per la missione etiope. A lo-ro Bakhita «parla del paese dell’infanzia, che èuguale per tutti, dice loro che laggiù il giornoè benedetto, la notte rispettata, la natura rin-graziata. “È lo stesso per voi, no?”». Parla delpadre, della madre e di «quelli che aspettanodi venire al mondo. “È lo stesso per voi, no?”ed è proprio questo a turbarli. Hanno pauradi riconoscersi nelle vite degli africani, e diconfondercisi. Di perdersi nelle speranze e lemiserie altrui, tanto simili alle loro». Bakhitaha ritrovato in Italia le stesse sofferenze, lestesse incomprensioni, la stessa violenza cheaveva lasciato al suo paese: la Olmi descrive lasua reazione davanti alla povertà e alla fame,quando scopre le leggi razziali, quando assistea guerre e bombardamenti, quando assiste i fe-riti.

Con pudore estremo e grande delicatezzal’autrice affronta il tema della vita spiritualedella schiava africana. Ricava dai suoi raccontitrascritti che il contatto con Dio avvenga giàmolto prima di incontrare il cristianesimo, dabambina, mentre con un’altra bambina schiavatenta la fuga. Durante una notte di paura, tor-mentata dalle ferite e dalla stanchezza, dallafame e dalla sete, «ed ecco che accade. Unaluce tenuissima, una mano che si posa dentrodi lei e porta via il dolore, dell’anima e delcorpo, che la avvolge senza urtarla, come unvelo che ricada. Bakhita respira senza che fac-cia male. Vive senza che sia terrificante. Aspet-ta, un po’ stupita, si chiede se durerà; dura, al-lora si siede e guarda la notte. È limpida e vi-bra di un calore che passa su di lei, e a quelcalore si abbandona».

In Cristo riconoscerà lo schiavo crocefisso, edal cristianesimo, dal fatto che sta per esserebattezzata, ricaverà la forza di opporsi alla suacondizione di schiava e ottenere la libertà dirimanere a Venezia, sfuggendo a un destinogià scritto che l’attende in Sudan, dove i pa-droni italiani la vogliono riportare.

Véronique Olmi fa capire quanto sia com-plessa la vita di questa donna, quanto pro-fonda e personale la sua spiritualità, toglien-dola dal mondo prefabbricato delle santeesemplari per inserirla in quello delle donne,di allora e di oggi, della loro capacità di sop-portare dolore e umiliazione, della loro capaci-tà di amare.

Janet McKenzie«Santa Bakhita»

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di GI A N PA O L ORO M A N AT O

IIl cattolicesimonell’età del colonialismo

primi chiari segnali che l’ideologia imperialeera al tramonto si ebbero durante la primaguerra mondiale. La rivoluzione in Russia e ladiffusione delle teorie leniniste sull’imp eriali-smo ne furono uno degli aspetti. Ma in quelmomento il nazionalismo trionfante oscuravatutto e impediva di vedere che tutto il vecchiomondo ottocentesco era alla fine. L’unico go-verno europeo che ebbe chiaramente, subito,tale consapevolezza, fu il governo pontificio.

Non essendo legato a interessi di parte epotendo osservare gli eventi dall’alto, diversa-mente dai contendenti, il papato colse imme-diatamente la portata epocale della guerra, latrasformazione irreversibile che essa stava pro-ducendo nei rapporti fra le nazioni e i conti-nenti. Benedetto X V, eletto il 3 settembre 1914,solo un mese dopo l’inizio del conflitto, parlòsubito della guerra come del «suicidio dell’Eu-ropa», espressione che egli poi riprese in nu-merosi documenti ufficiali, fino alla celebre

Lettera ai capi dei popoli belligeranti del 1°agosto 1917, nella quale bollò la guerra con lafrase divenuta famosa di «inutile strage». Nes-suno allora volle o poté dar retta al pontefice,che tuttavia seppe tenere la barra dritta, incu-rante della solitudine in cui si venne a trovareanche di fronte alla maggior parte del cattoli-cesimo e dell’episcopato europei, come hachiaramente dimostrato il convegno storico or-ganizzato a Roma da questo Pontificio Comi-

tato di scienze storiche nel mese di novembredel 2014.

Dopo la guerra Benedetto fu altrettanto sol-lecito nell’indicare che proprio il mondo mis-sionario doveva cambiare strada, abbandonarel’ideologia coloniale nella quale si era adagiatoe promuovere l’autonomia, l’indip endenza,l’autogoverno ecclesiastico in tutte le areeextra-europee. I popoli nuovi bussavano allaporta della storia ed era tempo di dar loro lospazio che reclamavano. L’enciclica Ma x i m u mIllud, promulgata il 30 novembre 1919, mentrei paesi vincitori stavano imponendo ai paesivinti la loro “pace cartaginese”, fu il manifestodi una rivoluzione missionaria e politica la cuiimportanza non è stata ancora valutata comemerita dalla storiografia. Le «nazioni nonmuoiono», aveva ammonito profeticamente ilpontefice il 28 luglio 1915, e se vengonoschiacciate covano rancori e desideri di ven-detta destinati, prima o poi, a riesplodere con

#culture

fragore. Nell’enciclica il papa imponeva aimissionari europei di liberarsi dal nazionali-smo, dall’idea della superiorità europea sui po-poli fino ad allora sottoposti, di promuovere lelingue locali in luogo delle lingue del conqui-statore, di formare e valorizzare il clero indige-no, affinché questo «possa un giorno assumereegli stesso il governo di una cristianità», per-ché, aggiunse, la cristianità non è «per nullastraniera presso nessun popolo» e tutti devono

Missione di pace

Pubblichiamo partedi una relazione tenutail 23 maggio duranteil convegno intitolato«La missione di pacedelle Chiese cristianenel XX secolo». L’incontro —iniziato il 22 maggionella sede dellaCongregazione per il clero— è stato organizzatodal Pontificio comitatodi scienze storiche insiemeal Dipartimento relazioniecclesiastiche esternedel patriarcato di Moscae all’Istituto di storiamondiale dell’Accademiarussa delle scienze.

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essere messi in grado di raggiungere «l’eternasalute» attraverso sacerdoti e vescovi «propriconnazionali». Benedetto sapeva di precorrerei tempi, dato che il mondo missionario nonera ancora pronto a recepire tale rivoluzione eprobabilmente il clero indigeno non era ancorain grado di fare da sé, ma non ebbe esitazioni,consapevole che questa era l’unica strada per-corribile. Diversamente, anche la Chiesa catto-lica sarebbe stata travolta dalla fine imminentedelle strutture coloniali.

In questa prospettiva si comprendono lemotivazioni per cui Roma fu contraria agli ac-cordi anglo-francesi sulla spartizione del Me-dio oriente, originati dall’intesa Sykes-Picotdel 1916. Quegli accordi, in cui dobbiamo ve-dere la lontana scaturigine di tutti i disordinisuccessivi in quell’area, non erano che una ri-petizione tardiva della volontà di sopraffazio-ne degli interessi e degli egoismi europei, chein un’area multilinguistica, multietnica e multi-religiosa, sostituirono la diarchia anglo-france-se, due potenze coloniali, ai vecchi e consoli-dati equilibri dell’Impero ottomano.

Pio XI, succeduto nel febbraio del 1922 a Be-nedetto, ribadì con forza le direttive del prede-

cessore con una nuova enciclica, la Rerum Ec-clesiae, emanata il 28 febbraio 1926. Contempo-raneamente Roma rafforzava la volontà di stac-care tutto l’imponente apparato missionariodalle subordinazioni politiche e coloniali tra-sferendo a Roma dalla Francia — nonostante lastrenua resistenza di Parigi — la direzione delleopere missionarie. Ed è importante ricordareche in quest’operazione fu coinvolto AngeloRoncalli, il futuro Giovanni XXIII, che fu allorachiamato a Roma a cooperare con la nuovastrategia missionaria. Strategia la cui valenzapolitica di lungo periodo non deve sfuggire.Sarà poi sempre Pio XI, consacrando negli annitrenta i primi vescovi cinesi, giapponesi, vietna-miti e africani, a imprimere una nuova accele-razione alla nascita di quelle che oggi chiamia-mo le Chiese locali. Era la prosecuzione dellapolitica del predecessore, ma all’interno di unsolco che Roma aveva imboccato in tempi lon-tani, ancora alla fine dell’Ottocento, cioè alculmine dell’imperialismo europeo, come hascritto Bernard Droz affermando che fin da al-lora «fu dal Vaticano che arrivò una presa didistanza destinata a diffondersi» rispetto allapolitica di potenza dei governi.

Sempre Pio XI, poi, promosse con forza lanascita di un’autonoma chiesa cattolica in Ci-na, superando difficoltà e resistenze che risali-vano addirittura al XVII secolo, quando inizia-rono le diatribe legate ai cosiddetti “riti cinesi”e alla strategia missionaria voluta da MatteoRicci e dai primi missionari gesuiti. Sarà CelsoCostantini, mandato dal papa nel 1922 comedelegato apostolico a Pechino, a imporre conforza la volontà della Santa Sede, che tendevaad aprire una nunziatura apostolica in Cina ea sottrarre i missionari a qualsiasi forma diprotettorato straniero, in particolare francese.Sappiamo che in Cina Costantini dovette resi-stere a durissime opposizioni provenienti dalgoverno di Parigi. Si deve alla sua tenacia lacelebrazione del primo concilio plenario cine-se, nel 1924 a Shanghai, e la consacrazione aRoma dei primi sei vescovi cinesi, nel 1926.

Anche in questo caso va segnalata la tenaciae la lungimiranza con cui la Santa Sede portòavanti la propria politica di sganciamento da-gli interessi europei e di promozione delleChiese locali, incurante delle fortissime resi-stenze che questa incontrava nelle vecchie po-tenze del continente. Ma va detto che non mi-nori resistenze, anche se meno note, questapolitica incontrò negli stessi ambienti missio-nari, non tutti disponibili ad abbandonarel’idea che, sbrigativamente, possiamo indicarecome “colonialismo missionario”, a causa deimolteplici legami che vincolavano molti mis-sionari ai loro paesi di provenienza.

Pio XII, che era stato il primo collaboratoredi Pio XI, come suo segretario di Stato per no-ve anni, eletto al papato nel 1939, tenne fermatale politica, benché in contesto profondamen-te mutato, dopo la guerra, dalla rottura fra Este Ovest e dagli sviluppi della Guerra fredda.Mentre infatti Pio XII ancorò saldamente la li-nea vaticana alla causa dell’Occidente contro ilblocco sovietico, al contempo però acceleròl’indigenizzazione della Chiesa in tutte le areeextra-europee, che allora si cominciarono a de-finire Terzo mondo.

Quest’operazione fu possibile perché il cat-tolicesimo era, e continua a essere, l’unica veraistituzione globale, garantita da un solido po-tere centrale — la Santa Sede — che ha tutte lecaratteristiche della statualità: autonomia, au-tosufficienza, riconoscimento internazionale.La Santa Sede però è presente in ciascun pae-se non come un’entità estranea bensì come unistituto locale, interno al paese stesso. Eradunque indispensabile e indifferibile eliminaretutto ciò che, localmente, poteva far apparirela Chiesa un’entità straniera.

#culture

Stefano Galli «Alla ricercadi Livingstone» (2017)

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di ROBERTORIGHETTO

Anni fa fece discutere la stampa italiana un in-tervento del cardinale Ratzinger dal titolo cu-rioso, Dall’Homunculus al Golem, tutto dedica-to all’idea di poter “f a b b r i c a re ” l’uomo. Unpensiero che ha trovato probabilmente la suaprima espressione nell’ebraismo della Cabala,con l’idea del Golem appunto, cui era sottesaquella del potere creativo dei numeri. «La piùnota variante dell’idea di Homunculus — scri-veva Ratzinger — si trova nella seconda partedel Faust di Goethe. L’omiciattolo dell’alam-bicco, dalla provetta in cui si trova, riconoscesubito in Mefistofele il suo cugino: in tal mo-do Goethe stabilisce un’intima parentela tra ilmondo artificiale e autoprodottosi del positivi-smo e lo spirito della negazione. È proprio perquesto il momento del massimo trionfo. Goe-the mette chiaramente in risalto due forze mo-trici presenti nel tentativo di produrre artifi-cialmente l’uomo». In poche parole, per Rat-zinger si vuole criticare un certo tipo di scien-za della natura: in primo piano si colloca ildesiderio di comprendere il segreto del mon-do, riducendolo a piatta razionalità. Ma Goe-the vede all’opera anche un disprezzo dellanatura in favore di una razionalità calcolatrice.«Il simbolo della falsità di questo tipo di ra-gione e delle sue creazioni è la provetta; l’Ho-munculus vive in vitro».

Questa lunga citazione ci consente d’i n t ro -durre un altro sogno dell’uomo, meno contur-bante rispetto alla fabbricazione dell’individuoma altrettanto legato alla tecnica e alla magia.Si tratta del cosiddetto autòmatosbìos, che uni-sce il desiderio di rendere vivi gli oggetti ina-nimati e perciò di trasformarli ancor più al no-stro servizio, pensando così di liberarci dallaschiavitù delle necessità materiali. È un sognoche prende vita nella mitologia antica e vienereso palese in maniera evidente nel cinemad’animazione. Pensiamo a Fa n t a s i a , il film diDisney ispirato all’Apprendista stregone (ancoraGoethe!) dove Topolino con l’aiuto della ma-gia infonde vita a scope e secchi per evitare lafatica di pulire lo studio sotterraneo del magodi cui è discepolo. Ma mentre il simpatico to-po si addormenta, gli oggetti, stregati, diven-tano incontrollabili, finché non interviene ilsuo padrone che riesce a domare questo eserci-to impazzito.

D ell’affinità fra i miti antichi e i film diWalt Disney parla il curioso libretto di EricaGallesi Da Pigmalione a Pinocchio (Jouvence):il titolo si riferisce alla vicenda dell’artista gre-co che s’innamora della bellissima scultura didonna che ha realizzato e perde la testa alpunto da impetrare l’intervento di Afroditeper chiederle di dare la vita alla donna che hacreato. La dea l’accontenta e una volta tanto ilmito non finisce male. Così Pinocchio, il bu-rattino che dopo tante peripezie riesce a di-ventare bambino: «Come nel mito di Pigma-lione alla fine amor vincit omnia. La paraboladi Pinocchio riassume quello che sarà il per-

corso della liberazione e umanizzazione del-l’autòmatosbìos esclusivamente disneyano» scri-ve Gallesi.

Come in altri film, da La bella addormentatanel bosco a La spada nella roccia, da Mary Pop-pins ad Al a d d i n e fino alle più recenti invenzio-ni della Pixar, dove gli oggetti non solo vo-gliono diventare umani ma prendono il postodell’uomo stesso. Il libro illustra come il feno-meno degli oggetti che prendono vita o deiprodotti alimentari che si cucinano da soli na-

sce con la commedia arcaica greca. Si legge adesempio in Cratete: «Dov’è la tazza? Va’ a la-varti da sola! Lievita, focaccia. La pentola do-vrebbe scolare le bietole. Pesce, fatti avanti».«Ma non sono ancora cotto dall’altra parte».«E allora, che aspetti a rivoltarti e a spargertidi sale ungendoti d’olio?». Come scrive GiulioGiorello nella prefazione, Disney emerge anco-ra di più come «un genio americano che attin-ge al cuore arcaico europeo».

Oggetti chediventano umani

Un sognorisalente

alla mitologiag re c a

prende formanel cinema

d’animazionedi Disney

Il burattino di legno Pinocchio

#scaffale

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C

Tr epreo ccupazioni

ari fratelli, buonasera!Benvenuti in Vaticano. Ma credo che quest’au-la [quella del Sinodo] è in Vaticano soltantoquando c’è il Papa, perché è sul territorio ita-liano. Anche l’Aula Paolo VI... Dicono che ècosì, non è vero?

Grazie tante della vostra presenza per inau-gurare questa giornata di Maria Madre dellaChiesa. Noi diciamo dal nostro cuore, tutti in-sieme: “Monstra te esse matrem”. Sempre:“Monstra te esse matrem”. È la preghiera: “Fa c c isentire che sei la madre”, che non siamo soli,che Tu ci accompagni come madre. È la ma-ternità della Chiesa, della Santa Madre ChiesaGerarchica, che è qui radunata... Ma che siamadre. “Santa Madre Chiesa Gerarchica”, cosìpiaceva dire a Sant’Ignazio [di Loyola]. CheMaria, Madre nostra, ci aiuti affinché la Chie-sa sia madre. E — seguendo l’ispirazione deipadri — che anche la nostra anima sia madre.Le tre donne: Maria, la Chiesa e l’anima no-stra. Tutte e tre madri. Che la Chiesa sia Ma-dre, che la nostra anima sia Madre.

Vi ringrazio per questo incontro che vorreifosse un momento di dialogo e di riflessione.Ho pensato, dopo avervi ringraziato per tuttoil lavoro che fate — è abbastanza!—, di condivi-dere con voi tre mie preoccupazioni, ma nonper “bastonarvi”, no, ma per dire che mipreoccupano queste cose, e voi vedete… E perdare a voi la parola così che mi rivolgiate tuttele domande, le ansie, le critiche — non è pec-cato criticare il Papa qui! Non è peccato, sipuò fare — e le ispirazioni che portate nel cuo-re .

La prima cosa che mi preoccupa è la crisidelle vocazioni. È la nostra paternità quella cheè in gioco qui! Di questa preoccupazione, an-zi, di questa emorragia di vocazioni, ho parla-to alla Plenaria della Congregazione per gliIstituti di Vita Consacrata e le Società di VitaApostolica, spiegando che si tratta del fruttoavvelenato della cultura del provvisorio, del re-lativismo e della dittatura del denaro, che al-lontanano i giovani dalla vita consacrata; ac-

canto, certamente, alla tragica diminuzionedelle nascite, questo “inverno demografico”;nonché agli scandali e alla testimonianza tiepi-da. Quanti seminari, chiese e monasteri e con-venti saranno chiusi nei prossimi anni per lamancanza di vocazioni? Dio lo sa. È triste ve-dere questa terra, che è stata per lunghi secolifertile e generosa nel donare missionari, suore,sacerdoti pieni di zelo apostolico, insieme alvecchio continente entrare in una sterilità vo-

cazionale senza cercare rimedi efficaci. Io cre-do che li cerca, ma non riusciamo a trovarli!

Propongo ad esempio una più concreta —perché dobbiamo incominciare con le cosepratiche, quelle che sono nelle nostre mani —,vi propongo una più concreta e generosa con-divisione fidei donum tra le diocesi italiane, checertamente arricchirebbe tutte le diocesi chedonano e quelle che ricevono, rafforzando neicuori del clero e dei fedeli il sensus ecclesiae e ilsensus fidei. Voi vedete, se potete… Fare unoscambio di [sacerdoti] fidei donum da una dio-cesi a un’altra. Penso a qualche diocesi delPiemonte: c’è un’aridità grande… E penso allaPuglia, dove c’è una sovrabbondanza… Pe n s a -te, una creatività bella: un sistema fidei donumdentro l’Italia. Qualcuno sorride… Ma vedia-mo se siete capaci di fare questo.

Seconda preoccupazione: povertà evangelica et ra s p a re n z a . Per me, sempre — perché l’ho im-parato come gesuita nella costituzione — lapovertà è “m a d re ” ed è “m u ro ” della vita apo-stolica. È madre perché la fa nascere, e muroperché la protegge. Senza povertà non c’è zeloapostolico, non c’è vita di servizio agli altri...È una preoccupazione che riguarda il denaro ela trasparenza. In realtà, chi crede non puòparlare di povertà e vivere come un faraone. Avolte si vedono queste cose... È una contro-te-stimonianza parlare di povertà e condurre unavita di lusso; ed è molto scandaloso trattare ildenaro senza trasparenza o gestire i beni dellaChiesa come fossero beni personali. Voi cono-scete gli scandali finanziari che ci sono stati inalcune diocesi... Per favore, a me fa molto ma-le sentire che un ecclesiastico si è fatto mani-polare mettendosi in situazioni che superanole sue capacità o, peggio ancora, gestendo inmaniera disonesta “gli spiccioli della vedova”.Noi abbiamo il dovere di gestire con esempla-rità, attraverso regole chiare e comuni, ciò percui un giorno daremo conto al padrone dellavigna. Penso a uno di voi, per esempio — loconosco bene — che mai, mai invita a cena o apranzo con i soldi della diocesi: paga di tasca

Crisidelle vocazionipovertà evangelicariduzionee accorpamentodelle diocesi

#francesco

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sua, sennò non invita. Piccoli gesti, come pro-posito fatto negli esercizi spirituali. Noi abbia-mo il dovere di gestire con esemplarità attra-verso regole chiare e comuni ciò per cui ungiorno daremo conto al padrone della vigna.Sono consapevole — questo voglio dirlo — e ri-conoscente che nella CEI si è fatto molto negliultimi anni soprattutto, sulla via della povertàe della trasparenza. Un bel lavoro di traspa-renza. Ma si deve fare ancora un po’ di più sualcune cose..., ma poi ne parlerò.

cessivo numero delle diocesi”; e successiva-mente, il 23 giugno del ’66, tornò ancorasull’argomento incontrando l’Assemblea dellaCEI dicendo: «Sarà quindi necessario ritoccarei confini di alcune diocesi, ma più che altro sidovrà procedere alla fusione di non pochediocesi, in modo che la circoscrizione risultan-te abbia un’estensione territoriale, una consi-stenza demografica, una dotazione di clero edi opere idonee a sostenere un’o rg a n i z z a z i o n ediocesana veramente funzionale e a sviluppare

E la terza preoccupazione è la riduzione e ac-corpamento delle diocesi. Non è facile, perché,soprattutto in questo tempo... L’anno scorsostavamo per accorparne una, ma sono venutiquelli di là e dicevano: “È piccolina la dioce-si... Padre, perché fa questo? L’università è an-data via; hanno chiuso una scuola; adesso nonc’è il sindaco, c’è un delegato; e adesso anchevoi...”. E uno sente questo dolore e dice: ”Cherimanga il vescovo, perché soffrono”. Ma cre-do che ci sono delle diocesi che si possono ac-corpare. Questa questione l’ho già sollevata il23 maggio del 2013, ossia la riduzione dellediocesi italiane. Si tratta certamente di un’esi-genza pastorale, studiata ed esaminata più vol-te — voi lo sapete — già prima del Concordatodel ’29. Infatti Paolo VI nel ’64, parlando il 14aprile all’Assemblea dei vescovi, parlò di “ec-

un’attività pastorale efficace ed unitaria”. Finqui Paolo VI. Anche la Congregazione per iVescovi nel 2016 — ma io ne ho parlato nel ’13— ha chiesto alle Conferenze episcopali regio-nali di inviare il loro parere circa un progettodi riordino delle diocesi alla Segreteria Gene-rale della CEI. Quindi stiamo parlando di unargomento datato e attuale, trascinato pertroppo tempo, e credo sia giunta l’ora di con-cluderlo al più presto. È facile farlo, è facile...Forse ci sono un caso o due che non si posso-no fare adesso per quello che ho detto prima— perché è una terra abbandonata —, ma sipuò fare qualcosa.

Queste sono le mie tre preoccupazioni cheho voluto condividere con voi come spunti diriflessione. Ora lascio a voi la parola e vi rin-grazio per la p a r re s i a . Grazie tante.

#francesco

L’assemblea dei vescovi italianiL’invocazione allo Spirito santo, con l’inno del Ve n ic re a t o r, ha aperto nel pomeriggio di lunedì 21maggio, nell’aula nuova del Sinodola settantunesima assemblea generaledella Conferenza episcopale italiana (Cei) dedicataal tema: «Quale presenza ecclesiale nell’attualecontesto comunicativo». Papa Francesco ha guidatoun momento di preghiera con l’i n t ro n i z z a z i o n edell’evangeliario, la lettura del passo di Giovanniin cui si narrano gli ultimi istanti della vita di Gesù,con Maria e il discepolo amato ai piedi della croce,e le intenzioni dedicate alla Chiesa perché possasempre aprire il cuore alla voce dello Spirito.In un clima di cordialità e semplicità, primadel discorso del Pontefice ha preso la parolail cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei:

«Le vogliamo dire — ha detto rivolgendosi al Papa— che lei stasera è a casa sua, non solo perchésiamo in Vaticano, è evidente, ma soprattuttoperché noi la sentiamo, padre, la sentiamo fratello,la sentiamo amico. Quindi questa sua presenzaci riempie di gioia e di gratitudine».E, prima di lasciare il microfono al Pontefice,lo ha ringraziato anche «per il dono alla Chiesa»dei nuovi cardinali annunciati la domenicaprecedente durante il Regina caeli. In particolare,per gli italiani Angelo Becciu, sostitutodella Segreteria di Stato, Angelo De Donatis,vicario generale di Roma, e Giuseppe Petrocchi,arcivescovo dell’Aquila.Dopo il discorso di Papa Francesco, l’assembleagenerale è proseguita a porte chiuse.

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Cari giovani, insieme a voi desidero rifletteresulla missione che Gesù ci ha affidato. Rivol-gendomi a voi intendo includere tutti i cristia-ni, che vivono nella Chiesa l’avventura dellaloro esistenza come figli di Dio. Ciò che mispinge a parlare a tutti, dialogando con voi, èla certezza che la fede cristiana resta sempregiovane quando si apre alla missione che Cri-sto ci consegna. «La missione rinvigorisce lafede» (Lett. enc. Redemptoris missio, 2), scrive-va san Giovanni Paolo II, un Papa che tantoamava i giovani e a loro si è molto dedicato.

L’occasione del Sinodo che celebreremo aRoma nel prossimo mese di ottobre, mese mis-sionario, ci offre l’opportunità di comprenderemeglio, alla luce della fede, ciò che il SignoreGesù vuole dire a voi giovani e, attraverso divoi, alle comunità cristiane.

La vita è una missioneOgni uomo e donna è una missione, e que-

sta è la ragione per cui si trova a vivere sullaterra. Essere a t t ra t t i ed essere inviati sono i duemovimenti che il nostro cuore, soprattuttoquando è giovane in età, sente come forze in-teriori dell’amore che promettono futuro espingono in avanti la nostra esistenza. Nessu-no come i giovani sente quanto la vita irrompae attragga. Vivere con gioia la propria respon-sabilità per il mondo è una grande sfida. Co-nosco bene le luci e le ombre dell’essere giova-ni, e se penso alla mia giovinezza e alla miafamiglia, ricordo l’intensità della speranza perun futuro migliore. Il fatto di trovarci in que-sto mondo non per nostra decisione, ci fa in-tuire che c’è un’iniziativa che ci precede e ci faesistere. Ognuno di noi è chiamato a rifletteresu questa realtà: «Io sono una missione in que-sta terra, e per questo mi trovo in questo mon-do» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 273).

Vi annunciamo Gesù CristoLa Chiesa, annunciando ciò che ha gratuita-

mente ricevuto (cfr. Mt 10, 8; At 3, 6), puòcondividere con voi giovani la via e la veritàche conducono al senso del vivere su questaterra. Gesù Cristo, morto e risorto per noi, sioffre alla nostra libertà e la provoca a cercare,scoprire e annunciare questo senso vero e pie-no. Cari giovani, non abbiate paura di Cristoe della sua Chiesa! In essi si trova il tesoro cheriempie di gioia la vita. Ve lo dico per espe-rienza: grazie alla fede ho trovato il fondamen-

to dei miei sogni e la forza di realizzarli. Hovisto molte sofferenze, molte povertà sfigurarei volti di tanti fratelli e sorelle. Eppure, per chista con Gesù, il male è provocazione ad amaresempre di più. Molti uomini e donne, moltigiovani hanno generosamente donato sé stessi,a volte fino al martirio, per amore del Vangeloa servizio dei fratelli. Dalla croce di Gesù im-pariamo la logica divina dell’offerta di noistessi (cfr. 1 Cor 1, 17-25) come annuncio delVangelo per la vita del mondo (cfr. Gv 3, 16).Essere infiammati dall’amore di Cristo consu-ma chi arde e fa crescere, illumina e riscaldachi si ama (cfr. 2 Cor 5, 14). Alla scuola deisanti, che ci aprono agli orizzonti vasti di Dio,vi invito a domandarvi in ogni circostanza:«Che cosa farebbe Cristo al mio posto?».

Trasmettere la fedefino agli estremi confini della terra

Anche voi, giovani, per il Battesimo sietemembra vive della Chiesa, e insieme abbiamola missione di portare il Vangelo a tutti. Voistate sbocciando alla vita. Crescere nella graziadella fede a noi trasmessa dai Sacramenti dellaChiesa ci coinvolge in un flusso di generazionidi testimoni, dove la saggezza di chi ha espe-rienza diventa testimonianza e incoraggiamen-to per chi si apre al futuro. E la novità deigiovani diventa, a sua volta, sostegno e spe-ranza per chi è vicino alla meta del suo cam-mino. Nella convivenza delle diverse età dellavita, la missione della Chiesa costruisce pontiinter-generazionali, nei quali la fede in Dio el’amore per il prossimo costituiscono fattori diunione profonda.

Questa trasmissione della fede, cuore dellamissione della Chiesa, avviene dunque per il“contagio” dell’amore, dove la gioia e l’entu-siasmo esprimono il ritrovato senso e la pie-

Alla scuoladei santi

Me s s a g g i oper la giornatamissionariamondiale

#francesco

Eric Wagoner, «Volare alto»

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nezza della vita. La propagazione della fedeper attrazione esige cuori aperti, dilatatidall’amore. All’amore non è possibile porre li-miti: forte come la morte è l’amore (cfr. Ct 8,6). E tale espansione genera l’incontro, la testi-monianza, l’annuncio; genera la condivisionenella carità con tutti coloro che, lontani dallafede, si dimostrano ad essa indifferenti, a volteavversi e contrari. Ambienti umani, culturali ereligiosi ancora estranei al Vangelo di Gesù ealla presenza sacramentale della Chiesa rap-presentano le estreme periferie, gli “e s t re m iconfini della terra”, verso cui, fin dalla Pasquadi Gesù, i suoi discepoli missionari sono invia-ti, nella certezza di avere il loro Signore sem-pre con sé (cfr. Mt 28, 20; At 1, 8). In questoconsiste ciò che chiamiamo missio ad gentes. Laperiferia più desolata dell’umanità bisognosadi Cristo è l’indifferenza verso la fede o addi-rittura l’odio contro la pienezza divina dellavita. Ogni povertà materiale e spirituale, ognidiscriminazione di fratelli e sorelle è sempreconseguenza del rifiuto di Dio e del suo amo-re .

Gli estremi confini della terra, cari giovani,sono per voi oggi molto relativi e sempre facil-mente “navigabili”. Il mondo digitale, le retisociali che ci pervadono e attraversano, stem-perano confini, cancellano margini e distanze,riducono le differenze. Sembra tutto a portatadi mano, tutto così vicino ed immediato. Ep-pure senza il dono coinvolgente delle nostrevite, potremo avere miriadi di contatti ma nonsaremo mai immersi in una vera comunione divita. La missione fino agli estremi confini dellaterra esige il dono di sé stessi nella vocazionedonataci da Colui che ci ha posti su questaterra (cfr. Lc 9, 23-25). Oserei dire che, per ungiovane che vuole seguire Cristo, l’essenziale èla ricerca e l’adesione alla propria vocazione.

Testimoniare l’a m o reRingrazio tutte le realtà ecclesiali che vi per-

mettono di incontrare personalmente Cristo vi-

vo nella sua Chiesa: le parrocchie, le associa-zioni, i movimenti, le comunità religiose, lesvariate espressioni di servizio missionario.Tanti giovani trovano, nel volontariato missio-nario, una forma per servire i “più piccoli”(cfr. Mt 25, 40), promuovendo la dignità uma-na e testimoniando la gioia di amare e di esse-re cristiani. Queste esperienze ecclesiali fannosì che la formazione di ognuno non sia soltan-to preparazione per il proprio successo profes-sionale, ma sviluppi e curi un dono del Signo-re per meglio servire gli altri. Queste forme lo-devoli di servizio missionario temporaneo sonoun inizio fecondo e, nel discernimento voca-zionale, possono aiutarvi a decidere per il do-no totale di voi stessi come missionari.

Da cuori giovani sono nate le PontificieOpere Missionarie, per sostenere l’annunciodel Vangelo a tutte le genti, contribuendo allacrescita umana e culturale di tante popolazioniassetate di Verità. Le preghiere e gli aiuti ma-teriali, che generosamente sono donati e distri-buiti attraverso le POM, aiutano la Santa Sedea far sì che quanti ricevono per il proprio biso-gno possano, a loro volta, essere capaci di da-re testimonianza nel proprio ambiente. Nessu-no è così povero da non poter dare ciò che ha,ma prima ancora ciò che è. Mi piace ripeterel’esortazione che ho rivolto ai giovani cileni:«Non pensare mai che non hai niente da dareo che non hai bisogno di nessuno. Molta gen-te ha bisogno di te, pensaci. Ognuno di voipensi nel suo cuore: molta gente ha bisogno dime» (Incontro con i giovani, Santuario di Mai-pu, 17 gennaio 2018).

Cari giovani, il prossimo Ottobre missiona-rio, in cui si svolgerà il Sinodo a voi dedicato,sarà un’ulteriore occasione per renderci disce-poli missionari sempre più appassionati perGesù e la sua missione, fino agli estremi confi-ni della terra. A Maria Regina degli Apostoli,ai santi Francesco Saverio e Teresa di GesùBambino, al beato Paolo Manna, chiedo di in-tercedere per tutti noi e di accompagnarcis e m p re .

#francesco

«Insieme ai giovani,portiamo il Vangeloa tutti»: è l’invito che PapaFrancesco rivolgenel messaggioper la novantaduesimagiornata missionariamondiale che si celebreràdomenica 21 ottobre,nel mese in cui la Chiesasarà impegnata — dal 3 al 28— nella quindicesimaassemblea generale ordinariadel sinodo dei vescovisul tema «I giovani, la fedee il discernimentovocazionale». Il messaggiopontificio è statopubblicato, comedi consueto, nella solennitàdi Pentecoste.

Foto dell’archivio dell’O p e radella santa infanziacon un gruppo di orfaneassistite a Pechino

il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 24 maggio 2018

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Appello per Gazaalla messadi Pentecoste

Il nome di Gaza oggi risuona particolarmente«doloroso». Per questo Papa Francesco, nellamessa di Pentecoste celebrata domenica 20maggio in basilica vaticana, ha espressol’auspicio che «lo Spirito cambi i cuori e levicende e porti pace nella Terra santa».Lo Spirito, ha spiegato il Pontefice all’omelia,«sblocca gli animi sigillati dalla paura. Vincele resistenze. A chi si accontenta di mezzemisure prospetta slanci di dono. Dilata icuori ristretti. Spinge al servizio chi si adagianella comodità. Fa camminare chi si sentearrivato. Fa sognare chi è affetto datiepidezza». Ecco allora, ha proseguito, «ilcambiamento del cuore. Tanti promettonostagioni di cambiamento, nuovi inizi,rinnovamenti portentosi, ma l’esp erienzainsegna che nessun tentativo terreno dicambiare le cose soddisfa pienamente il cuoredell’uomo. Il cambiamento dello Spirito èdiverso: non rivoluziona la vita attorno a noi,ma cambia il nostro cuore; non ci libera dicolpo dai problemi, ma ci libera dentro peraffrontarli; non ci dà tutto subito, ma ci facamminare fiduciosi, senza farci mai stancaredella vita. Lo Spirito mantiene giovane ilcuore». Anche perché, ha aggiunto il Papa,«la giovinezza, nonostante tutti i tentativi diprolungarla, prima o poi passa; è lo Spirito,invece, che previene l’unico invecchiamentomalsano, quello interiore. Come fa?Rinnovando il cuore, trasformandolo dapeccatore in perdonato. Questo è il grandecambiamento: da colpevoli ci rende giusti ecosì tutto cambia, perché da schiavi delpeccato diventiamo liberi, da servi figli, dascartati preziosi, da delusi speranzosi». Daqui l’invito del Papa a invocare lo Spirito«quando siamo a terra, quando fatichiamosotto il peso della vita, quando le nostredebolezze ci opprimono, quando andareavanti è difficile e amare sembra impossibile»e «ci servirebbe un “ricostituente” forte.Quanto ci farebbe bene — ha concluso —assumere ogni giorno questo ricostituente divita».

«S Segno dell’universalitàdella Chiesa

Il Papa annunciache il 29 giugno

creerà quattordicic a rd i n a l i

Macha Chmackoff«Pentecoste nel cenacolo»

#copertina

gio tutti i bambini che partecipano a diffondere ilVangelo nel mondo. Grazie!

Rivolgo il mio cordiale saluto a voi, pellegrini venu-ti dall’Italia e da diversi Paesi. In particolare, aglialunni del Colegio Irabia-Izaga di Pamplona, al grup-po del Colégio São Tomás di Lisbona e ai fedeli diNeuss (Germania).

Saluto la Schola cantorum di Vallo della Lucania, ifedeli di Agnone e quelli di San Valentino in AbruzzoCiteriore, i ragazzi della Cresima di San Cataldo, laCooperativa sociale “Giovani Amici” di Terrassa Pado-vana e l’Istituto Scolastico “Caterina di Santa Rosa”di Roma, che festeggia i suoi 150 anni.

Infine il Papa ha annunciato il concistoro per la nominadi quattordici porporati.

Cari fratelli e sorelle,Sono lieto di annunciare che il 29 giugno, terrò un

Concistoro per la nomina di 14 nuovi Cardinali. La lo-ro provenienza esprime l’universalità della Chiesa checontinua ad annunciare l’amore misericordioso di Dioa tutti gli uomini della terra. L’inserimento dei nuoviCardinali nella diocesi di Roma, inoltre, manifestal’inscindibile legame tra la sede di Pietro e le Chieseparticolari diffuse nel mondo.

Ecco i nomi dei nuovi Cardinali:1. Sua Beatitudine Louis Raphaël I Sako — Pa t r i a r -

ca di Babilonia dei Caldei.2. S. E. Mons. Luis Ladaria — Prefetto della Con-

gregazione per la Dottrina della Fede.3. S. E. Mons. Angelo De Donatis — Vicario Gene-

rale di Roma.

4. S. E. Mons. Giovanni Angelo Becciu — Sostitutoper gli Affari Generali della Segreteria di Stato e De-legato Speciale presso il Sovrano Militare Ordine diMalta.

5. S. E. Mons. Konrad Krajewski — E l e m o s i n i e reAp ostolico.

6. S. E. Mons. Joseph Coutts — Arcivescovo di Ka-rachi.

7. S. E. Mons. António dos Santos Marto — Ve s c o -vo di Leiria-Fátima.

8. S. E. Mons. Pedro Barreto — Arcivescovo diHuancayo.

9. S. E. Mons. Desiré Tsarahazana — Arcivescovo diTo a m a sina.

10. S. E. Mons. Giuseppe Petrocchi — A rc i v e s c o v ode L’Aquila.

11. S. E. Mons. Thomas Aquinas Manyo [Maeda] —Arcivescovo di Osaka.

Insieme ad essi unirò ai membri del Collegio Cardi-nalizio: un Arcivescovo, un Vescovo ed un Religiosoche si sono distinti per il loro servizio alla Chiesa:

12. S. E. Mons. Sergio Obeso Rivera — A rc i v e s c o v oEmerito di Xalapa.

13. S. E. Mons. Toribio Ticona Porco — P re l a t oEmerito di Corocoro.

14. R. P. Aquilino Bocos Merino — C l a re t i a n o .Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché, confer-

mando la loro adesione a Cristo, Sommo Sacerdotemisericordioso e fedele (cfr. Eb 2, 17), mi aiutino nelmio ministero di Vescovo di Roma per il bene di tuttoil Santo Popolo fedele di Dio.

ono lieto di annunciare che il 29 giugno, terrò un Con-cistoro per la nomina di 14 nuovi Cardinali»: lo ha dettoil Papa al termine del Regina caeli recitato con i fedelipresenti in piazza San Pietro a mezzogiorno di domenica20 maggio. Dopo aver celebrato la messa di Pentecostenella basilica vaticana, Francesco si è affacciato alla fine-stra dello studio del Palazzo apostolico per la preghieramariana del tempo pasquale, commentando le letture dellasolennità.Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Nell’odierna festa di Pentecoste culmina il tempo pa-squale, centrato sulla morte e risurrezione di Gesù.Questa solennità ci fa ricordare e rivivere l’effusionedello Spirito Santo sugli Apostoli e gli altri discepoli,riuniti in preghiera con la Vergine Maria nel Cenacolo(cfr. At 2, 1-11). In quel giorno ha avuto inizio la storiadella santità cristiana, perché lo Spirito Santo è la fon-te della santità, che non è privilegio di pochi, ma voca-zione di tutti.

Per il Battesimo, infatti, siamo tutti chiamati a par-tecipare alla stessa vita divina di Cristo e, con la Con-fermazione, a diventare suoi testimoni nel mondo.«Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santopopolo fedele di Dio» (Esort. ap. Gaudete et exsultate,6). «Dio volle santificare e salvare gli uomini non in-dividualmente e senza alcun legame tra loro, ma vollecostituire di loro un popolo, che lo riconoscesse se-condo la verità e lo servisse nella santità» (Cost.dogm. Lumen gentium, 9).

Già per mezzo degli antichi profeti il Signore avevaannunciato al popolo questo suo disegno. Ezechiele:«Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere se-condo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pra-tica le mie norme. […] Voi sarete il mio popolo e iosarò il vostro Dio» (36, 27-28). Il profeta Gioele: «Ef-fonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverrannoprofeti i vostri figli e le vostre figlie. […] Anche sopragli schiavi e sulle schiave in quei giorni effonderò ilmio spirito. […] Chiunque invocherà il nome del Si-gnore sarà salvato» (3, 1-2.5). E tutte queste profezie sirealizzano in Gesù Cristo, «mediatore e garante dellaperenne effusione dello Spirito» (Messale Romano,Prefazio dopo l’Ascensione). E oggi è la festa dell’ef-fusione dello Spirito.

Da quel giorno di Pentecoste, e sino alla fine deitempi, questa santità, la cui pienezza è Cristo, vienedonata a tutti coloro che si aprono all’azione delloSpirito Santo e si sforzano di esserle docili. È lo Spiri-to che fa sperimentare una gioia piena. Lo SpiritoSanto, venendo in noi, sconfigge l’aridità, apre i cuorialla speranza e stimola e favorisce la maturazione inte-riore nel rapporto con Dio e con il prossimo. È quan-to ci dice San Paolo: «Il frutto dello Spirito è amore,gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà,mitezza, dominio di sé» (Gal 5, 22). Tutto questo fa loSpirito in noi. Per questo oggi festeggiamo questa ric-chezza che il Padre ci dona.

Chiediamo alla Vergine Maria di ottenere anche og-gi alla Chiesa una rinnovata Pentecoste, una rinnovatagiovinezza che ci doni la gioia di vivere e testimoniareil Vangelo e «infonda in noi un intenso desiderio diessere santi per la maggior gloria di Dio» (Gaudete etexsultate, 177).

Al termine dell’antifona mariana il Papa ha lanciato unappello per la pace in Terra santa e in Venezuela, haricordato che «l’evento di Pentecoste segna l’origine dellamissione universale della Chiesa» e ha salutato i gruppip re s e n t i .

Cari fratelli e sorelle,la Pentecoste ci porta col cuore a Gerusalemme. Ierisera sono stato spiritualmente unito alla veglia di pre-ghiera per la pace che ha avuto luogo in quella Città,santa per ebrei, cristiani e musulmani. E oggi conti-nuiamo a invocare lo Spirito Santo perché susciti vo-lontà e gesti di dialogo e di riconciliazione in TerraSanta e in tutto il Medio Oriente.

Desidero dedicare un particolare ricordo all’amatoVenezuela. Chiedo che lo Spirito Santo dia a tutto ilpopolo venezuelano — tutto, governanti, popolo — lasaggezza per incontrare la strada della pace e dell’uni-tà. Anche prego per i detenuti che sono morti ieri.

L’evento di Pentecoste segna l’origine della missioneuniversale della Chiesa. Per questo oggi viene pubbli-cato il Messaggio per la prossima Giornata Missiona-ria Mondiale. E mi piace anche ricordare che ieri sisono compiuti 175 anni dalla nascita dell’O peradell’Infanzia Missionaria, che vede i bambini protago-nisti della missione, con la preghiera e i piccoli gestiquotidiani d’amore e di servizio. Ringrazio e incorag-

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Eccellenze,Sono lieto di ricevervi in occasione della pre-sentazione delle Lettere con le quali venite ac-creditati presso la Santa Sede come Ambascia-tori straordinari e plenipotenziari dei vostriPaesi: Tanzania, Lesotho, Pakistan, Mongolia,Danimarca, Etiopia e Finlandia. Vorrei corte-semente chiedervi di trasmettere i miei senti-menti di gratitudine e di rispetto ai vostri Ca-pi di Stato, con l’assicurazione della mia pre-ghiera per loro e per i vostri concittadini.

Il paziente lavoro della diplomazia interna-zionale nel promuovere la giustizia e l’armonianel concerto delle nazioni si fonda sul condivi-so convincimento dell’unità della nostra fami-glia umana e dell’innata dignità di ciascunodei suoi membri. Per questa ragione, la Chiesaè persuasa che il fine complessivo di tutta l’at-tività diplomatica debba essere lo sviluppo,quello integrale di ogni persona, uomo e don-na, bambino e anziano, e quello delle nazioniall’interno di un quadro globale di dialogo edi cooperazione a servizio del bene comune.Quest’anno, che segna il settantesimo anniver-sario dell’adozione, da parte delle NazioniUnite, della Dichiarazione Universale dei Dirittidell’Uomo, dovrebbe servire da appello per unrinnovato spirito di solidarietà nei riguardi ditutti i nostri fratelli e sorelle, specialmente diquanti soffrono i flagelli della povertà, dellamalattia e dell’oppressione. Nessuno può igno-rare la nostra responsabilità morale a sfidare laglobalizzazione dell’indifferenza, il far finta diniente davanti a tragiche situazioni di ingiusti-zia che domandano un’immediata rispostaumanitaria.

Cari Ambasciatori, il nostro è un tempo dicambiamenti veramente epocali, che richiedesapienza e discernimento da parte di tutti co-loro che hanno a cuore un futuro pacifico eprospero per le generazioni a venire. È mio

auspicio che la vostra presenza e attività all’in-terno della comunità diplomatica presso laSanta Sede contribuisca alla crescita di quellospirito di collaborazione e mutua partecipazio-ne, essenziale in vista di una risposta efficacealle radicali sfide di oggi. Da parte sua, laChiesa, convinta della responsabilità che ab-biamo l’uno per l’altro, promuove ogni sforzoa cooperare, senza violenza e senza inganno,

alla costruzione del mondo in uno spirito digenuina fraternità e pace (cfr. Gaudium et spes,92).

Tra le questioni umanitarie più pressanti chela comunità internazionale ha ora di fronte viè la necessità di accogliere, proteggere, pro-muovere e integrare quanti fuggono da guerrae fame o sono costretti da discriminazioni,persecuzioni, povertà e degrado ambientale alasciare le loro terre. Come ho avuto occasionedi ribadire nel mio messaggio per la GiornataMondiale della Pace di quest’anno, tale pro-blema ha una dimensione intrinsecamente eti-ca, che trascende confini nazionali e concezio-ni limitate circa la sicurezza e l’interesse pro-prio. Nonostante la complessità e la delicatez-za delle questioni politiche e sociali implicate,le singole nazioni e la comunità internazionalesono chiamate a contribuire al meglio delle lo-ro possibilità all’opera di pacificazione e di ri-conciliazione, mediante decisioni e politichecaratterizzate soprattutto da compassione, lun-gimiranza e coraggio.

Accogliere e proteggerechi fugge da guerra e fame

#francesco

Nella mattinadi giovedì 17maggio il Papaha ricevuto nellaSala Clementinai nuoviambasciatoridi TanzaniaLesotho, PakistanMo n g o l i aD a n i m a rc aEtiopiae Finlandiain occasionedella presentazionedelle letterecon cui sono statia c c re d i t a t i

Cari Ambasciatori, all’inizio della vostranuova missione vi porgo i miei più sentiti au-guri. Colgo anche l’opportunità per assicurarvicirca la costante premura dei vari uffici dellaCuria romana per assistervi nell’adempimentodelle vostre responsabilità. Su di voi e sullevostre famiglie, sui vostri collaboratori e sututti i vostri concittadini, invoco divine bene-dizioni di gioia e di pace.

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GIOVEDÌ 17Contro il veleno della maldicenza

Con la tecnica della «finta unità» si ingannada sempre il popolo per fare ancora oggi i col-pi di stato, condannare i giusti — come conGesù — ma anche per distruggere la vita nellecomunità cristiane, facendo fuori le persone acolpi di chiacchiere. È da questo «atteggia-mento assassino» che il Papa ha messo inguardia nella messa del mattino, riproponendol’essenza della vera unità testimoniata da Cri-sto nella sua preghiera al Padre «perché tuttisiano una sola cosa».

Commentando la liturgia del giorno il Pon-tefice vi ha individuato «due strade, due pesi,due misure, per arrivare all’unità». Insomma«due tipi di unità», di cui la prima — ha spie-gato Francesco riferendosi al Vangelo di Gio-vanni 17, 20-26 — è quella per cui «Gesù pregail Padre per noi, “perché tutti siano una solacosa”, una, “come tu, Padre, sei in me e io inte”». È «l’unità alla quale ci porta Gesù» ed è«costruttiva, coinvolgente; fa la Chiesa una».E «lo Spirito Santo — ha detto Francesco — ciporta sempre verso questa unità di salvezza,perché Gesù vuol salvare tutti».

Inoltre è anche «un’unità che non finisce:andrà verso l’eternità, cioè ha grandi orizzon-ti». Perciò «quando noi, nella vita, nella Chie-sa o nella società civile, lavoriamo per l’unità,stiamo su questa strada». Consapevoli che«ogni persona che lavora per l’unità è sullastrada che Gesù ha tracciato».

Ma, ha subito avvertito il Papa, c’è anche«un altro tipo di unità “finta” o unità con-giunturale: quella che hanno gli accusatori diPaolo nella prima lettura» (Atti degli apostoli22, 30; 23, 6-11). Questi accusatori infatti «sipresentano come un blocco ad accusare»l’apostolo di blasfemia. Al punto che «il pro-curatore romano vede questa gente e dice “maè tutto il popolo, uno”».

Però «Paolo, che era svelto — perché lo Spi-rito Santo anche ci permette di essere umana-mente svelti — e sapeva che quella unità erafinta, era congiunturale soltanto, butta la pie-tra di divisione». Si legge infatti nella paginadegli Atti che l’apostolo «sapendo che unaparte era dei sadducei e una parte dei farisei,disse nel sinedrio: “Fratelli, io sono fariseo, fi-glio di farisei; sono chiamato in giudizio amotivo della speranza nella risurrezione deimorti”». E «“Appena ebbe detto questo, scop-piò una disputa tra farisei e sadducei”. Sisciolse l’unità. Prima disputavano contro Paoloper accusarlo e condannarlo a morte; ma Pao-lo distrugge quell’unità finta», che «non avevaconsistenza».

Del resto, ha proseguito il Papa, «lo stessoabbiamo visto nelle persecuzioni di Paolo aGerusalemme» o «con gli operatori della im-magine di Artèmide degli efesini, quando nes-suno sapeva il motivo per il quale gridava». Inpratica: «Il popolo diventa massa, anonimo: fauna unità anonima e i dirigenti dicono “devigridare contro questo” e gridano». Anche se«poi non sanno perché» e «cosa vogliono».

Per il Papa «questa strumentalizzazione delpopolo è anche un disprezzo del popolo, per-ché lo converti da popolo in massa» ha detto,facendo notare che «è un elemento che si ripe-te tanto» nella storia. Basti pensare alla dome-nica delle Palme quando «tutti acclamano“Benedetto sei tu, che vieni in nome del Si-g n o re ”» ma il «venerdì dopo la stessa gentegrida “cro cifiggilo”». Infatti c’è stato un lavag-gio del cervello e le cose sono cambiate: inpratica «hanno convertito il popolo in massache distrugge». Di più, ha suggerito France-sco, «pensiamo a Stefano: cercano subito duefalsi testimoni e così la gente va a lapidarlo».È sempre lo stesso meccanismo: «si creanocondizioni scure, “nebbiose”, per condannareuna persona». Sì, «poi quella unità» costruitafinisce per sciogliersi, intanto però «la personaè condannata». E «anche oggi questo metodoè molto usato» ha messo in guardia il Papa.«Per esempio nella vita civile, nella vita politi-ca, quando si vuole fare un colpo di stato, imedia incominciano a sparlare della gente, deidirigenti e, con la calunnia, la diffamazione, lisporcano. Poi entra la giustizia, li condanna e,alla fine, si fa il colpo di stato. È un sistemafra i più disdicevoli». Ma proprio «con questometodo — ha chiarito Francesco — è persegui-tato Paolo» e sono stati perseguitati «Gesù,Stefano tutti i martiri». Certo, ha aggiunto ilPontefice, alla fine è «la gente che andava alcirco e gridava per vedere come si faceva lalotta fra i martiri e le fiere o i gladiatori, masempre, l’anello della catena per arrivare allacondanna, o a un altro interesse dopo la con-danna, è questo ambiente di unità finta, diunità falsa».

In proposito il Papa ha ricordato che «inuna misura più ristretta», tutto questo accadeanche oggi «nelle nostre comunità parrocchia-li, per esempio quando due o tre incomincianoa criticare un altro e incominciano a sparlaredi quello e fanno una unità finta per condan-narlo». Insieme, ha proseguito Francesco, «sisentono sicuri e lo condannano: lo condanna-no mentalmente, come atteggiamento; poi siseparano e sparlano uno contro l’altro, perchésono divisi». E proprio per questo, ha rimarca-to, «il chiacchiericcio è un atteggiamento as-sassino, perché uccide, fa fuori la gente, fafuori la “fama” della gente». Ed «è lo stessoche facevano con Paolo» o «che hanno fattocon Gesù: screditarlo» per farlo fuori.

Da qui l’invito conclusivo del Pontefice apensare «alla grande vocazione alla quale sia-mo stati chiamati: l’unità con Gesù, il Padre».E «su questa strada — ha esortato — dobbiamoandare, uomini e donne che si uniscano e chesempre cercano di andare avanti sulla stradadell’unità». Però, ha insistito il Papa, «non leunità finte che non hanno sostanza e che ser-vono soltanto per dare un passo oltre e con-dannare la gente e portare avanti interessi chenon sono i nostri», ma sono gli «interessi delprincipe di questo mondo, che è la distruzio-ne». E così Francesco ha auspicato «che il Si-gnore ci dia la grazia di camminare sempresulla strada della vera unità».

Le omeliedel Pontefice

Peter Andrasko, «Unità»

#santamarta

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VENERDÌ 18La bussola del pastore

C’è un passo del Vangelo di Giovanni (21,15-19) nel quale ogni cristiano, ma soprattutto ipastori della Chiesa, guardando a Pietro pos-sono comprendere molto della propria identi-tà. È la «bussola di ogni pastore»: un passointimo, profondo, dove attraverso un gioco disguardi e di parole tra Gesù e l’apostolo, egrazie al prezioso ausilio della «memoria», siarriva a delineare con chiarezza il senso di unamissione.

È il brano — commentato dal Papa nellamessa della mattina — in cui «i discepoli eranoin mare» e Giovanni riconosce Gesù sulla riva:allora Pietro, «“emotivo” come era, si strinse levesti e si gettò in mare, per andare a trovare ilSignore». Il passo è alla fine del vangelo diGiovanni, dove viene dato conto dell’«ultimo

dialogo» tra Pietro e il maestro. Un dialogointenso, durante il quale «Pietro ritorna con lamemoria ai dialoghi che aveva avuto con il Si-gnore: è il momento della memoria di Pietro».

Il Pontefice ha immaginato il flusso di me-moria che in quegli attimi ha agitato il cuoredell’apostolo, come una serie di istantanee chegli hanno fatto rapidamente rivivere gli annipassati a fianco di Gesù. Ha ricordato certa-mente «la prima volta, quando il Signore glicambia il nome», e quando «Andrea è andatoentusiasta a dirgli: “Abbiamo trovato il Mes-sia”, e Gesù lo guarda negli occhi e gli dice:“Tu ti chiamerai Pietro”». Poi, «quando è an-dato a casa sua e ha guarito la suocera. Poi,quando ha avuto il coraggio di dire quello chesentiva nel cuore: “Tu sei il Cristo”». Ancoraricordi: quando la debolezza di Pietro «volevarisparmiare il Signore, il dolore della pazien-za...». E Gesù lo riprende: «Va’ dietro a me,Satana», correggendolo perché «questo pen-siero non è di Dio».

Momenti belli come nella trasfigurazione,quando Pietro «voleva rimanere lì con il Si-gnore, fare tre tende»; e momenti dolorosi, co-

me quando Gesù gli disse: «Prima che canti ilgallo tu mi rinnegherai». Poi «il canto del gal-lo» e «quel dialogo silenzioso, lo sguardo diGesù, tenero, sofferente». Quando egli «pian-se». Tutte queste cose, ha detto Francesco,«venivano nella mente di Pietro in quel mo-mento». Tant’è che Gesù lo chiama «Simone,figlio di Giovanni», usando il vecchio nome.È, ha spiegato il Papa, un momento che puòinsegnare qualcosa a ogni cristiano: «Il Signo-re vuole che noi tutti facciamo memoria delnostro cammino con lui. Forse questo è il gior-no per farla».

In questo momento decisivo il Signore dicea Pietro tre cose: “Amami, pascola e prepara-ti”. Innanzitutto, ha sottolineato il Papa, Gesùchiede a Pietro: «Amami più degli altri, ama-mi come puoi ma amami». Ed è «quello che ilSignore chiede ai pastori e a tutti noi». Perché«il primo passo nel dialogo col Signore èl’amore». Il secondo è «“Pa s c o l a ”. Tu sei pa-store, pascola. Non spendere il tempo in altrecose. Tu sei chiamato a pascolare, la tua iden-tità è essere pastore. L’identità di un vescovo,di un prete, è essere pastore. “Pascola conamore, non fare altra cosa”». Quindi la terzaindicazione. Si potrebbe infatti dire: «E dopo,Signore, mi darai il premio? — Sì, preparati,perché ti porteranno dove tu non vuoi. Prepa-rati alle prove, preparati a lasciare tutto perchévenga un altro e faccia cose diverse. Preparatia questo annientamento nella vita. E ti porte-ranno sulla strada delle umiliazioni, forse sullastrada del martirio». Le parole di Gesùall’apostolo appaiono allora ripetute anche og-gi: «Quelli che quando tu eri pastore ti loda-vano e parlavano bene di te adesso sparleran-no perché l’altro che viene sembra più buono.Preparati. Preparati alla croce quando ti porta-no dove tu non voi».

Dunque tre semplici concetti — amami, pa-scola, preparati — sono per il Pontefice «il fo-glio di rotta di un pastore, la bussola per nonperdersi»: amare e lasciarsi amare dal Signore,fare la veglia sul gregge «giorno e notte», pre-pararsi perché «a te arriverà la croce; non sap-piamo se interiore o esteriore ma arriverà, co-me al Signore». Un insegnamento chiaro esemplice, al quale Francesco, proseguendo nel-la lettura del Vangelo, ha fatto un’aggiunta:sembra, ha detto, «che se un pastore fa tuttoquesto, va bene. No, c’è un’altra cosa ancora».Il dialogo tra Gesù e Pietro, infatti, prosegue:«Pietro sente lo sguardo di Gesù, è contento,si sente forte». Voltandosi vede dietro di séGiovanni e dice a Gesù: «Signore, tu mi haidetto cosa sarà di me. E cosa sarà di lui?».Cioè Pietro «cade in un’altra tentazione: guar-dare nella vita altrui, mettere il naso nella vitadegli altri. E Gesù lo riprende con forza», nonin maniera dura come quando gli disse: «Va’dietro a me, Satana», ma gli risponde: «Se iovoglio che egli rimanga finché io venga, a teche importa?». Ha spiegato il Papa: «Il pasto-re ama, pascola, si prepara alla croce e nonmette il naso nella vita degli altri, non perde iltempo nelle cordate, nelle cordate ecclesiasti-che. Ama, pascola e si prepara, e non cadenella tentazione».

Ivan Klimenko, «Gesù e Pietro»( p a r t i c o l a re )

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LUNEDÌ 21La Chiesa è donna e madre

Francesco ha celebrato per la prima volta lamessa nella memoria della beata Vergine Ma-ria madre della Chiesa: da quest’anno infatti laricorrenza nel calendario romano generale sicelebra il lunedì dopo Pentecoste, come dispo-sto dal Pontefice con il decreto Ecclesia materdella Congregazione per il culto divino e ladisciplina dei sacramenti (11 febbraio 2018),per «favorire la crescita del senso materno del-la Chiesa nei pastori, nei religiosi e nei fedeli,come anche della genuina pietà mariana».

«Nel Vangeli ogni volta che si parla di Ma-ria si parla della “madre di Gesù”» ha fattosubito notare il Papa nell’omelia, riferendosi alpasso di Giovanni 19, 25-34. E se «anchenell’Annunciazione non si dice la parola “ma-d re ”, il contesto è di maternità: la madre diGesù» ha affermato il Papa, sottolineando che«questo atteggiamento di madre accompagnail suo operato durante tutta la vita di Gesù».Tanto che «alla fine Gesù la dà come madre aisuoi, nella persona di Giovanni: ». Ecco, dun-que, «la maternalità di Maria».

«Le parole della Madonna sono parole dimadre» ha spiegato il Pontefice. E lo sono«tutte: dopo quelle, all’inizio, di disponibilitàalla volontà di Dio e di lode a Dio nel Ma g n i -ficat, tutte le parole della Madonna sono paro-le di madre». Lei è sempre «con il Figlio, an-che negli atteggiamenti: accompagna il Figlio,segue il Figlio». E ancora «prima, a Nazareth,lo fa crescere, lo alleva, lo educa» e «poi lo se-gue». Dunque «è madre dall’inizio, dal mo-mento in cui appare nei Vangeli, dal momentodell’Annunciazione fino alla fine». Di lei «nonsi dice “la signora” o “la vedova di Giusep-p e”» ma sempre «è madre».

«I padri della Chiesa hanno capito benequesto — ha affermato il Pontefice — e hannocapito anche che la maternalità di Maria nonfinisce in lei; va oltre». Infatti «dicono cheMaria è madre, la Chiesa è madre e la tua ani-ma è madre: c’è del femminile nella Chiesa,che è maternale». Perciò, ha spiegato France-sco, «la Chiesa è femminile perché è “chiesa”,“sp osa”: è femminile ed è madre, dà alla lu-ce». È, dunque «sposa e madre», ma «i padrivanno oltre e dicono: “Anche la tua anima èsposa di Cristo e madre”».

«In questo atteggiamento che viene da Ma-ria che è madre della Chiesa — ha fatto pre-sente il Papa — possiamo capire questa dimen-sione femminile della Chiesa: quando non c’è,la Chiesa perde la vera identità e diventaun’associazione di beneficienza o una squadradi calcio o qualsiasi cosa, ma non la Chiesa».

«La Chiesa è “donna” — ha rilanciato Fran-cesco — e quando pensiamo al ruolo delladonna nella Chiesa dobbiamo risalire fino aquesta fonte». E «la Chiesa è “donna” p erchéè madre, perché è capace di “partorire figli”: lasua anima è femminile perché è madre, è capa-ce di partorire atteggiamenti di fecondità».

«La maternità di Maria è una cosa grande»ha insistito il Pontefice. Dio infatti «ha volutonascere da donna per insegnarci questa stra-

da». Di più, «Dio si è innamorato del suo po-polo come uno sposo con la sposa». Comeconseguenza, ha proseguito Francesco, «noipossiamo pensare» che «se la Chiesa è madre,le donne dovranno avere funzioni nella Chie-sa: sì, è vero, dovranno avere funzioni, tantefunzioni che fanno, grazie a Dio sono di piùle funzioni che le donne hanno nella Chiesa».Ma «questo non è la cosa più significativa» hamesso in guardia il Papa, perché «l’imp ortanteè che la Chiesa sia donna, che abbia questo at-teggiamento di sposa e di madre». Con laconsapevolezza che «quando dimentichiamoquesto, è una Chiesa maschile senza questa di-mensione, e tristemente diventa una Chiesa dizitelli, che vivono in questo isolamento, inca-paci di amore, di fecondità».

Dunque, ha affermato il Pontefice, «senzala donna la Chiesa non va avanti, e questo at-teggiamento di donna le viene da Maria».Francesco, a questo proposito, ha anche volu-to indicare «il gesto che distingue maggior-mente la Chiesa come donna, la virtù che ladistingue di più». E ha suggerito di ricono-scerlo nel «gesto di Maria alla nascita di Ge-sù: “Diede alla luce il suo figlio primogenito,lo avvolse in fasce e lo pose in una mangia-toia”». Un’immagine in cui si riscontra «la te-nerezza di ogni mamma con suo figlio: curarloperché non si ferisca, perché stia ben coper-to».

Del resto San Paolo ricordando le virtù del-lo Spirito «parla della mitezza, dell’umiltà, diqueste virtù cosiddette “passive”» ha affermatoil Papa, mentre invece «sono le virtù forti del-le mamme».

Infine il Papa ha fatto notare anche comesia «curioso il linguaggio di Maria nei Vange-li: quando parla al Figlio, è per dirgli delle co-se di cui hanno bisogno gli altri; e quandoparla agli altri, è per dire loro: “fate tuttoquello che lui vi dirà”».

Frederic Belaubre« Ma t e r n i t à »

#santamarta

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Giovedì 17«Davanti all’imponenza e pervasività degliodierni sistemi economico-finanziari», non bi-sogna «rassegnarci al cinismo. In realtà, cia-scuno di noi può fare molto, specialmente senon rimane solo»: è la principale conclusionecui giunge il documento della Congregazioneper la dottrina della fede e del Dicastero per ilservizio dello sviluppo umano integrale Oeco-nomicae et pecuniariae quaestiones, contenente«considerazioni per un discernimento eticocirca alcuni aspetti dell’attuale sistema econo-mico-finanziario». Approvato dal Papa, il do-cumento è stato presentato in Sala stampadall’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer,e dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson,prefetti rispettivamente della Congregazione edel Dicastero.

Venerdì 18Ricevuto in mattinata, nel Palazzo apostoli-

co vaticano, il presidente della Repubblica delBenin, Patrice Talon. Nella stessa giornata ilPontefice ha incontrato in due distinte udien-ze il consiglio direttivo della Federazione euro-pea per la Vita e la dignità dell’Uomo “O neof us” e il Comitato permanente della Com-missione degli episcopati della comunità euro-pea (Comece). Nella serata, infine, ha comple-tato, nell’auletta dell’aula Paolo VI, l’ultimodei quattro appuntamenti con i 34 vescovi cile-ni, consegnando una lettera a ognuno di loro.Nel testo il Papa li ringrazia per avere accoltol’invito a fare insieme «un discernimento fran-co di fronte ai gravi fatti che hanno danneg-giato la comunione ecclesiale e indebolito illavoro della Chiesa in Cile negli ultimi anni».Francesco ricorda come «alla luce di questieventi dolorosi rispetto agli abusi — di minori,di potere e di coscienza», questi incontri sianostati occasione per approfondire «la gravità»di tali fatti e «le tragiche conseguenze chehanno avuto in particolare per le vittime». Vit-time alle quali, sottolinea, «io stesso ho chie-sto di cuore perdono». Perdono a cui i presulisi sono uniti «in una sola volontà e con il fer-

La consegna di essere «testimoni audaci dell’a m o redi Dio in un mondo ferito» è stata affidata dal Papaai fedeli della diocesi francese di Pontoise riunti dal 19

al 20 nella “grande assemblea” della Pentecoste sul tema«La missione è la nostra vocazione». Francesco

ha inviato un videomessaggio ai partecipantialle celebrazioni, conclusesi con la messa durante la quale

sono stati cresimati più di mille giovani e adulti.

«È motivo di ringraziamentoa Dio quando i leader religiosi

si impegnano a coltivarela cultura dell’incontro e dannoesempio di dialogo e collaborano

fattivamente al servizio della vita,della dignità umana e

della tutela del creato». Lo hadetto il Papa ai partecipanti

a un convegno su «Dharma eLogos. Dialogo e collaborazione

in un’epoca complessa», svoltosia Roma tra cristiani, induisti,

buddisti, giainisti e sikh.Francesco li aveva ricevuti

a Santa Marta (foto sopra)nel primo di due incontriorganizzati dal Pontificio

consiglio per il dialogointerreligioso, prima dell’udienzagenerale di mercoledì 16. Subito

dopo infatti il Ponteficeha salutato nell’auletta dell’Au l a

Paolo VI (foto a destra)una delegazione di buddistadella Thailandia che hanno

recato in dono il loro Sacro Librotradotto in lingua contemporaneadai monaci del tempio Wat Pho

”Documento sul sistemaeconomico-finanziario

Decreti della Congregazionedelle Cause dei santi

mo proposito di riparare i danni provocati».In conclusione il Papa rinnova il grazie ai ve-scovi per «la piena disponibilità che ciascunoha manifestato nell’aderire e collaborare in tut-ti quei cambiamenti e risoluzioni che dovremoporre in essere nel breve, medio e lungo termi-ne, necessari per ristabilire la giustizia e la co-munione ecclesiale». E, «dopo questi giorni dipreghiera e riflessione», invita «a continuarenella costruzione di una Chiesa profetica, chesappia mettere al centro ciò che è importante:il servizio al suo Signore nell’affamato, nel car-cerato, nel migrante e nell’abusato».

Sabato 19Nel pomeriggio, all’altare della Cattedra

della basilica vaticana, Francesco ha presiedu-to il rito dell’«ultima commendatio» e della«valedictio» al termine delle esequie del cardi-nale Darío Castrillón Hoyos, prefetto emeritodella Congregazione per il clero, già presiden-te della Pontificia commissione Ecclesia Dei.Appresa la notizia della morte, avvenuta lanotte tra il 17 e il 18, il Papa aveva fatto perve-nire al cardinale decano un telegramma in cuiha ricordato «il generoso servizio alla Chiesa,specialmente la preziosa collaborazione presta-ta alla Santa Sede» dal porporato colombiano.Nello stesso giorno il Pontefice ha autorizzatola Congregazione delle cause dei santi a pro-mulgare i decreti riguardanti le virtù eroiche didodici servi di Dio. Tra loro il cardinale sale-siano Augusto Giuseppe Hlond, arcivescovodi Gniezno e Warszawa, primate di Polonia,fondatore della società di Cristo per gli emi-granti; e la suora tedesca Maria del Cuore diGesù, uccisa nel lager di Birkenau.

#7giorniconilpapa

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Dopo le catechesi sul Battesimo, questi giorniche seguono la solennità di Pentecoste ci invi-tano a riflettere sulla testimonianza che lo Spi-rito suscita nei battezzati, mettendo in movi-mento la loro vita, aprendola al bene degli al-tri. Ai suoi discepoli Gesù ha affidato unamissione grande: «Voi siete il sale della terra,voi siete la luce del mondo» (cfr. Mt 5, 13-16).Queste sono immagini che fanno pensare alnostro comportamento, perché sia la carenzasia l’eccesso di sale rendono disgustoso il cibo,così come la mancanza o l’eccesso di luce im-pediscono di vedere. Chi può davvero rendercisale che dà sapore e preserva dalla corruzione,e luce che rischiara il mondo, è soltanto loSpirito di Cristo! E questo è il dono che rice-viamo nel Sacramento della Confermazione oCresima, su cui desidero fermarmi a rifletterecon voi. Si chiama “Confermazione” perché con-ferma il Battesimo e ne rafforza la grazia (cfr.Catechismo della Chiesa Cattolica, 1289); comeanche “C re s i m a ”, dal fatto che riceviamo loSpirito mediante l’unzione con il “crisma” —olio misto a profumo consacrato dal Vescovo—, termine che rimanda a “Cristo” l’Unto diSpirito Santo.

Rinascere alla vita divina nel Battesimo è ilprimo passo; occorre poi comportarsi da figlidi Dio, ossia conformarsi al Cristo che operanella santa Chiesa, lasciandosi coinvolgere nel-la sua missione nel mondo. A ciò provvedel’unzione dello Spirito Santo: «senza la suaforza, nulla è nell’uomo» (cfr Sequenza di Pen-tecoste). Senza la forza dello Spirito Santo nonpossiamo fare nulla: è lo Spirito che ci dà laforza per andare avanti. Come tutta la vita diGesù fu animata dallo Spirito, così pure la vi-ta della Chiesa e di ogni suo membro sta sottola guida del medesimo Spirito.

Concepito dalla Vergine per opera delloSpirito Santo, Gesù intraprende la sua missio-ne dopo che, uscito dall’acqua del Giordano,viene consacrato dallo Spirito che discende erimane su di Lui (cfr. Mc 1, 10; Gv 1, 32). Egli

lo dichiara esplicitamente nella sinagoga diNazaret: è bello come Gesù si presenta, qual èla carta identitaria di Gesù nella sinagoga diNazaret! Ascoltiamo come lo fa: «Lo Spiritodel Signore è sopra di me, per questo mi haconsacrato con l’unzione e mi ha mandato aportare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4, 18).Gesù si presenta nella sinagoga del suo villag-gio come l’Unto, Colui che è stato unto dalloSpirito.

Gesù è pieno di Spirito Santo ed è la fontedello Spirito promesso dal Padre (cfr. Gv 15,26; Lc 24, 49; At 1, 8; 2, 33). In realtà, la seradi Pasqua il Risorto alita sui discepoli dicendoloro: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20, 22);e nel giorno di Pentecoste la forza dello Spiri-to discende sugli Apostoli in forma straordina-ria (cfr. At 2, 1-4), come noi conosciamo.

Il “R e s p i ro ” del Cristo Risorto riempie divita i polmoni della Chiesa; e in effetti le boc-

che dei discepoli, «colmati di Spirito Santo»,si aprono per proclamare a tutti le grandi ope-re di Dio (cfr. At 2, 1-11).

La Pentecoste — che abbiamo celebrato do-menica scorsa — è per la Chiesa ciò che perCristo fu l’unzione dello Spirito ricevuta alGiordano, ossia la Pentecoste è l’impulso mis-sionario a consumare la vita per la santificazio-ne degli uomini, a gloria di Dio. Se in ognisacramento opera lo Spirito, è in modo specia-

Colmatidallo Spirito

Il Papa parladel sacramento

della confermazione

Joëlle Dalle«Una luce ha brillato»

#catechesi

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Per Jorge Milia, lo scrittore argentino che negli annisessanta al Colegio de la Inmaculada Concepción diSanta Fe fu allievo del giovane docente diletteratura Jorge Mario Bergoglio, incontrare«l’antico maestro e ora amico significa sempre unfiume di ricordi». E, in quel crocevia di incontri cheè piazza San Pietro, la sua memoria corre a quandoBergoglio sostenne lui e i suoi amici nel progetto diformare «un gruppo musicale sul modello deiBeatles»: Milia non poteva che rivivere questoepisodio, segno dell’apertura e dell’attenzione delmaestro gesuita, dato che sul sagrato della piazzaaveva accanto la rockstar Rod Stewart. Una “vitasp ericolata” che l’artista britannico, vera e proprialeggenda della musica, ha voluto presentare a PapaFrancesco mercoledì mattina, 23 maggio,condividendo anche le tante iniziative di carità dalui promosse. Del resto, confida Milia, «Bergoglioha sempre amato lanciare sfide e spingeva noigiovani alla scrittura creativa».L’udienza è stata anche occasione per rilanciare ildialogo ecumenico: per il terzo anno consecutivo,nel quadro degli scambi culturali tra la Santa Sedee il Patriarcato di Mosca, undici giovani ortodossiguidati dal vescovo Arsenij di Juriev hanno salutatopersonalmente il Pontefice. Sono a Roma per unavisita di studio che consenta loro di conoscere davicino la Chiesa cattolica. «Questa iniziativa ha un

Volevamo essere i Beatles

le nella Confermazione che «i fedeli ricevonocome Dono lo Spirito Santo» (Paolo VI, Cost.ap. Divinae consortium naturae). E nel momen-to di fare l’unzione, il Vescovo dice questa pa-rola: “Ricevi lo Spirito Santo che ti è stato da-to in dono”: è il grande dono di Dio, lo Spiri-to Santo. E tutti noi abbiamo lo Spirito den-tro. Lo Spirito è nel nostro cuore, nella nostraanima. E lo Spirito ci guida nella vita perchénoi diventiamo sale giusto e luce giusta agliuomini.

Se nel Battesimo è lo Spirito Santo a im-mergerci in Cristo, nella Confermazione è il

Cristo a colmarci del suo Spirito, consacrando-ci suoi testimoni, partecipi del medesimo prin-cipio di vita e di missione, secondo il disegnodel Padre celeste. La testimonianza resa daiconfermati manifesta la ricezione dello SpiritoSanto e la docilità alla sua ispirazione creativa.Io mi domando: come si vede che abbiamo ri-cevuto il Dono dello Spirito? Se compiamo leopere dello Spirito, se pronunciamo parole in-segnate dallo Spirito (cfr. 1 Cor 2, 13). La testi-monianza cristiana consiste nel fare solo e tut-to quello che lo Spirito di Cristo ci chiede,concedendoci la forza di compierlo.

carattere fraterno di reciprocità e di scambio, perchélo stesso tipo di visita viene compiuto anche dasacerdoti cattolici che vengono accolti a Mosca dalpatriarca Cirillo» spiega padre Hyacinthe Destivelle,officiale del Pontificio consiglio per la promozionedell’unità dei cristiani.A presentare a Francesco il loro servizio diapostolato sono venuti in San Pietro anchequattrocento cooperatori paolini, giunti daventicinque paesi, che stanno partecipando alleiniziative promosse per ricordare il centenario difondazione tra Roma e Alba, i luoghi cari a donGiacomo Alberione. Con affetto il Papa ha poiaccolto le persone ammalate e con disabilità. Unparticolare incoraggiamento ha riservato ai cinquebambini che hanno vinto il concorso promossodall’Associazione volontari lotta ai tumori (Anvolt)in Italia, Bulgaria, Macedonia, Romania e Serbiaper sensibilizzare a uno stile di vita più corretto.Con i piccoli anche i loro genitori affetti dapatologia tumorale. E una carezza Francesco haavuto per i bambini della scuola materna romana“L’Aquilone”, con in testa il vivacissimo Samuel.Tenerezza per i più piccoli che il Papa ha mostratoanche invitando sei ragazzini a salire sulla jeepbianca: tre femmine e tre maschi, tutti vestiti con ilsaio della prima comunione.

#catechesi

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di GUA LT I E R OBASSETTI

Mai come in questo periodo, torna d’attualità lafigura di un grande uomo di Dio: il cardinaleElia Angelo Dalla Costa. Per molti anni arci-vescovo di Firenze, nel 2012 è stato riconosciu-to “giusto tra le nazioni” da Yad Vashem e nel2017 è stato proclamato venerabile da PapaFr a n c e s c o .

Dalla Costa è una figura attuale. Prima ditutto, per la sua enorme caratura pastorale. Aldi là di ogni retorica, fu davvero un gigante,prototipo del vescovo pastore indicato dalconcilio di Trento: austero, presente, obbe-diente, coerente. Originario di Villaverla nelvicentino e creato cardinale nel 1933, era statoconsacrato vescovo di Padova nel 1923 e poinel dicembre 1931 era stato promosso arcive-scovo di Firenze, dove sarebbe morto nel 1961.

Senza ombra di dubbio, è stato un protago-nista assoluto di quella storia di popolo dellaChiesa fiorentina che viene spesso riassuntacon il binomio «del pane e della grazia». Ed èrimasto, ancora oggi, una figura amata e unmodello ideale di pastore. Guardando a lui siaveva infatti una testimonianza immediata diquali dovessero essere le caratteristiche delprete in cura d’anime: rigore e carità eranodue facce della stessa medaglia. E non casual-mente un famoso aneddoto ne delinea la cifraspirituale: al conclave del 1939 il cardinaleMarchetti Selvaggiani, vicario di Roma, avreb-be detto che se avessero votato gli angeliavrebbero eletto Dalla Costa.

La sua grandezza di pastore tridentino glifece mettere in mostra, inoltre, quelle virtù ci-viche per le quali gli fu attribuita la cittadi-nanza onoraria di Firenze e il riconoscimentopostumo di “giusto tra le nazioni”. Ottant’an-ni fa, nel maggio 1938, in occasione del pas-saggio a Firenze di Hitler e Mussolini disertò

ogni celebrazione ufficiale, decidendo di tene-re chiuse le porte e le luci del palazzo arcive-scovile. E riferendosi alla croce uncinata nazi-sta disse che non si potevano venerare altrecroci se non quella di Cristo.

Ma non solo. Se chiuse simbolicamente leporte ai lupi che passavano nella sua città,Dalla Costa fu anche colui che aprì le portedel suo ovile alle pecore indifese. Scelse, infat-ti, di aprire le porte delle chiese e dei conventi

per salvare i profughi ebrei che cercavano unposto dove rifugiarsi. Avvalendosi, infatti,dell’aiuto di don Leto Casini e di padre Ci-priano Ricotti, accolse nei monasteri e negliistituti religiosi della diocesi gli ebrei persegui-tati dalle odiose leggi razziali: una delle pagi-ne più drammatiche della storia recente. Aquesta eroica rete di salvataggio partecipò an-che il ciclista Gino Bartali che faceva la staf-fetta tra Firenze e Assisi.

Questo spirito e queste gesta che rendonoattuale il cardinale Dalla Costa sono, ancoraoggi, un monito per l’Italia. Carità e coraggiosi possono combinare, infatti, con la difesadella fede autentica e con l’accoglienza di chifugge la persecuzione. Proprio in questo pe-riodo, caratterizzato da un clima di opinionein cui le presunte ragioni dell’identità sembra-no essere contrapposte a quelle della solidarie-tà, la figura dell’arcivescovo di Firenze ricordache invece si possono creare luoghi di incontroe ponti di dialogo senza negare se stessi e ilproprio credo religioso.

Se infatti esiste una reale volontà e un’a l t re t -tanto autentica vocazione di andare verso l’uo-mo, si può veramente dare vita a un clima dipace sociale che è la base da cui partire perpoter costruire un futuro di sviluppo e di cre-scita per l’intera comunità nazionale. Bisognaperò mettere da parte ogni spirito di divisione,senza dare spazio alle voci dei profeti di sven-tura sempre pronti a identificare nel forestieroe nel diverso un nemico a cui addossare ognitipo di responsabilità. «Fare la pace è un lavo-ro artigianale» ha detto Francesco. Da fare in-sieme per ricostruire un’Italia più solidale, ci-vile e collaborativa. E più giusta.

Un’Italiapiù giusta

Antonio Berti, «Il cardinaleDalla Costa» (1938)

#dialoghi

Torna d’attualitàla figuradel cardinaleElia Dalla Costa

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di ENZOBIANCHI

Q

Il dono di tuttala vita di Gesù

Domenica3 giugno

Santissimo Corpoe Sangue di Cristo

Marco 14, 12-16.22-26

Soichi Watanabe «Siamo tuttiuno in Cristo»(2009, particolare)

uesta festa dell’eucaristia, o del Corpo del Si-gnore (Messale di Pio V), o solennità del San-tissimo Corpo e Sangue di Cristo (Messale diPaolo VI), come la solennità della Trinità diDio celebrata domenica scorsa è tardiva. Infat-ti, è stata istituita nel XIII secolo, e nel secoloseguente ha faticato a imporsi in occidente, re-stando invece sempre sconosciuta nella tradi-zione ortodossa. L’intenzione della Chiesa èquella di proporre, fuori del santissimo triduopasquale, la contemplazione, l’adorazione e lacelebrazione del mistero eucaristico del qualeviene fatto memoria il giovedì santo, in cenaDomini. Quanto al brano evangelico scelto, ilmessale italiano in questa annata B propone lalettura del racconto dell’ultima cena nel vange-lo secondo Marco, che ora cerchiamo di acco-gliere come parola del Signore.

Prima del suo arresto e della sua morte incroce, Gesù ha voluto celebrare la Pasqua coni suoi discepoli, e proprio per questo duranteil suo ultimo soggiorno a Gerusalemme, nelprimo giorno della festa dei pani azzimi, inviadue suoi discepoli affinché preparino l’o ccor-rente per la cena pasquale. Gesù sa di esserebraccato, di non potersi fidare neppure di tuttii suoi discepoli, perché uno l’ha ormai tradito(cfr. Ma rc o 14, 10-11), dunque predispone ognicosa perché quella cena pasquale possa avveni-re, ma agisce con molta circospezione, come senon volesse che si sappia dove la celebrerà.

Per questo i due discepoli da lui inviati de-vono incontrare un uomo che porta una broc-ca d’acqua (cosa insolita, perché erano le don-ne a svolgere tale operazione, ma questo è ilsegno convenuto), devono seguirlo fino a unacasa, dove costui indicherà loro la «camera al-ta», la sala al piano superiore già arredata epronta, in cui predisporre tutto per la cena pa-squale. Occorre infatti preparare il pane, il vi-no, l’agnello, le erbe amare, per ricordare inun pasto — come prevedeva la Legge (cfr. Eso-do 12) — l’uscita di Israele dall’Egitto, la libe-razione dalla schiavitù, la nascita del popoloappartenente al Signore. E così, in obbedienzaall’ordine dato da Gesù con autorità e gravità

ai due discepoli inviati, tutto è preparato perquella celebrazione pasquale, per quell’ora so-lenne, per quell’ora ultima di Gesù con i suoidiscepoli, per quell’ora nella quale la Pasquadell’agnello diventerà la Pasqua di Gesù.

E quando Gesù siede a tavola per la cena,compie dei gesti e dice alcune parole sul panee sul vino, dando origine alla celebrazione del-la nuova alleanza con la sua comunità. Diquesta scena abbiamo quattro racconti, tre neivangeli sinottici (cfr. Ma rc o 14, 22-25; Ma t t e o26, 26-29; Luca 22, 18-20) e uno, il più antico,nella prima lettera ai Corinzi (cfr. 11, 23-25):racconti che riportano parole tra loro un po’diverse, a testimonianza di come non si trattidi formule magiche da ripetersi tali e quali,ma di parole che manifestano l’intenzione diGesù e spiegano i suoi gesti. Le prime comu-nità cristiane, dunque, volendo restare fedeliall’intenzione di Gesù, hanno ridetto le sueparole, hanno ripreso i suoi gesti, e da allorala cena del Signore è sempre e dovunque cele-brata nelle chiese.

Innanzitutto Gesù compie un’azione rituale:prende il pane azzimo che è sulla tavola delseder pasquale, pronuncia la benedizione a Dioper quel dono, quindi lo spezza e lo porge aidiscepoli. Prendere il pane, spezzarlo e darlo è

#meditazione

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un gesto quotidiano fatto da chi presiede la ta-vola, ma Gesù lo compie con un’intensità econ una forza che lo rendono carico di signifi-cato, ne fanno un gesto che si imprime nellamente e nel cuore dei commensali di quella ce-na pasquale. Gesù assume l’atteggiamento e laparola della Sapienza di Dio che parla e invitaal banchetto (cfr. P ro v e r b i 9, 1-6), fa sue le pa-role del profeta che chiama al pasto dell’al-leanza eterna (cfr. Isaia 55, 1-3), e offre come

ferto, anche Giuda il traditore. A tutti, nessu-no escluso, Gesù offre la sua vita e il suo amo-re gratuito, che non deve mai essere meritato.

Ma qui si deve cogliere anche il compimen-to a cui Gesù vuole portare le parole che sigil-lavano l’alleanza tra Dio e Israele al monte Si-nai, quando, con il sangue delle vittime del sa-crificio Mosè asperse l’altare, trono di Dio, e ilpopolo riunito in assemblea, dicendo: «Que-sto è il sangue dell’alleanza» (cfr. Esodo 24, 6-

cibo la sua vita, il suo corpo, se stesso! Vi è inquesto gesto e in queste parole di Gesù il suodonarsi fino all’estremo, perché egli ha amatoe ama fino al dono della sua vita (cfr. Giovanni13, 1). Di fronte a questa azione i discepoli fu-rono certamente scossi e solo dopo la morte erisurrezione di Gesù compresero ciò che nonavevano potuto dimenticare.

Non si dimentichi inoltre che il gesto dellospezzare il pane già nei profeti indicava il con-dividere il pane con i poveri, i bisognosi e gliaffamati (cfr. Isaia 58, 7), esprimendo in talmodo una condivisione di ciò che fa vivere,che manifesta la comunione tra tutti quelli chemangiano lo stesso pane. Ecco perché il primonome dato all’Eucaristia dai discepoli e daicristiani delle origini è «frazione del pane»( c f r. Luca 24, 35; Atti degli apostoli 2, 42; 20, 7;Didaché 9, 3). Quanto alle parole che accom-pagnano il gesto — «prendete, questo è il miocorpo» — esse vogliono significare che Gesùconsegna e dona la sua intera vita ai discepolii quali, mangiando quel pane, si fanno parteci-pi della sua vita spesa e consegnata per amore,«fino alla morte e alla morte di croce» (Filip-pesi 2, 8). In questo modo Gesù spiega in anti-cipo e in piena libertà, con gesti e parole, ciòche accadrà di lì a poco: la sua morte dovràessere percepita come dono della sua vita agliuomini, vita offerta in sacrificio a Dio.

Poi Gesù prende anche il calice tra le suemani, rende grazie a Dio per il frutto della vi-te e con solennità dichiara: «Questo è il miosangue, il sangue dell’alleanza, che è sparsoper le moltitudini». Come ha dato il suo cor-po porgendo il pane, così dà il suo sangueporgendo il calice del vino da bere ai discepo-li; ovvero, Gesù dona la sua vita, significatanella cultura semitica dal sangue. L’evangelistasottolinea che a questo calice «bevvero tutti»,perché il dono di Gesù è per tutti, nessunoescluso. C’è un contrasto tra questo “tutti”,che indica tutti i discepoli, e le parole dette inprecedenza: «Uno di voi mi tradirà» (Ma rc o14, 18). Ma ciò mette ancor più in risalto il fat-to che tutti sono associati al bere al calice of-

8). Al Sinai, in quella celebrazione dell’allean-za, il sangue, la vita, univa Dio e il suo popo-lo in un patto di appartenenza reciproca, inuna comunione fedele nella quale Dio si mo-strava come «il Signore misericordioso e com-passionevole, lento all’ira, grande nell’amore enella fedeltà» (Esodo 34, 6). Ma l’alleanza cheGesù stipula con il dono della sua vita non èpiù ristretta al popolo di Israele, bensì univer-sale, aperta a tutte le genti, un’alleanza nelsuo sangue sparso «per le moltitudini» (ra b -bim, pollói: cfr. Isaia 53, 11-12): non «per molti»dunque, ma «per tutti» (cfr. concilio VaticanoII, Ad gentes 3).

L’apostolo Paolo, proprio per affermarequesta destinazione universale del dono delsangue di Cristo, scrive nella lettera ai Roma-ni: «La prova che Dio ci ama tutti è che ilCristo è morto per noi, mentre noi eravamopeccatori» (cfr. 5, 7-8). È morto per tutti, an-che per Giuda, come per tutti noi che siamonella malvagità e nell’inimicizia con Dio. Quidovremmo cogliere come il dono dell’eucari-stia non è un premio, un privilegio per i giu-sti, ma un farmaco per i malati, un viatico peri peccatori. L’eucaristia altro non è che narra-zione in parole e gesti dell’amore di Dio, è lasintesi di tutta la vita del figlio Gesù Cristo, lasintesi di tutta la storia di salvezza.

Ricordiamo infine che quell’anticipazionedella morte di Gesù, nel rito del ringraziamen-to sul pane spezzato e nel rito del calice con-diviso, è un’anticipazione anche del Regnoche viene, dove la morte sarà vinta per sem-pre. Per questo Gesù dice: «Amen, io vi dicoche non berrò più del frutto della vite, fino algiorno in cui lo berrò nuovo, nel regno diDio» (Ma rc o 14, 25). Il pasto eucaristico prelu-de dunque al banchetto del Regno, dove Ge-sù, il kýrios risorto, mangerà con noi e berràcon noi il calice della vita futura, al banchettonuziale, dove il vino sarà nuovo, cioè altro, ul-timo e definitivo, vino della stessa vita divina,la sua vita che è agápe, amore: e noi berremoquel vino nuovo vivendo in lui e con lui pers e m p re .

#meditazione

Ivan Guaderrama, «Ultimacena» (particolare)

Il 24 maggio ricorre l’annuale festadella Beata Vergine Maria

“Aiuto dei cristiani”particolarmente venerata nel santuario

di Sheshan presso Shanghai, in CinaTale ricorrenza ci invita ad essere uniti

spiritualmente a tutti i fedeli cattoliciche vivono in Cina

Per loro preghiamo la Madonnaperché possano vivere la fede

con generosità e serenitàe perché sappiano compiere gesticoncreti di fraternità, concordia

e riconciliazione, in piena comunionecon il Successore di Pietro

Carissimi discepoli del Signore in Cinala Chiesa universale prega con voi

e per voi, affinché anche trale difficoltà possiate continuare

ad affidarvi alla volontà di DioLa Madonna non vi farà mai

mancare il suo aiuto e vi custodiràcol suo amore di madre

Udienza generale, 23 maggio

#controcopertina