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SE LA BLU LINE SI ALLUNGA DI

...200 MIGLIAELIA CUOCO

Panorama Internazionale

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Il caldo teatro mediorientale vive ormai da ses-sant’anni un’epoca di continua tensione e tur-bolenza, fatta di guerre non solo minacciate ma

spesso anche combattute. Il mutuo riconoscimentotra gli stati e la conseguente e concomitante de-finizione dei confini sia terrestri che marittimi sonocapisaldi essenziali nel processo di stabilizzazionee successiva pacificazione dell’area cui tutte lemaggiori potenze mondiali lavorano ormai da anni.Ovviamente il pomo della discordia dell’area è lostato d’Israele, creato nel 1948 e da allora osteg-giato e combattuto dagli stati vicini, tutti a mag-gioranza musulmana. Libano, Siria, Giordania, Iraned Egitto lavorano da decenni al rientro dei pale-stinesi nella terra da cui sono stati, a loro dire, cac-ciati. La preponderanza militare israeliana,supportata neanche tanto celatamente dalla superpotenza americana, se da un lato ha contribuito inmaniera decisiva alla sua sopravvivenza, dall’altroha acuito ancor di più la questione. I conflitti re-gionali che ne sono seguiti hanno portato morte edistruzione un po’ in ogni stato dell’area, costrin-gendo le Nazioni Unite ad intervenire con svariatemissioni. Definire i confini, pertanto, è un passaggio obbli-gato nella road map della pace. In questo senso,all’interno della missione UNIFIL, le Nazioni Unitesi stanno adoperando attivamente a fare da me-diatore tra i due stati per trasformare la Blue Linein un confine mutuamente riconosciuto. La Blue Line è la linea che le Nazioni Unite utiliz-zarono nel 2000 per verificare la ritirata israelianadal sud del Libano. Essa è definita come “the bestapproximation, found by the UN verification teamin the year 2000, of the 1923 Boundary and the1949 Armistice Demarcation Line.” Dal 2000 adoggi, tra alti e bassi, la definizione punto per puntodella blue line è andata avanti con ottimi risultati,tali da rendere la definizione di un confine terrestreaccettato da entrambe le parti non più una chi-mera ma una seria possibilità. Lo stesso discorsonon può dirsi per il confine marittimo: qui il primopunto è assolutamente condiviso tra le due parti(il pillar 1 della Blue Line), il secondo, e la retta che

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ne discende, sono ad oggi argomento non trattatodai contendenti, ma dietro il quale si celano inte-ressi per miliardi di dollari.

Il quadro normativo: Montego Bay

La cornice legale sottesa alla definizione del con-fine marittimo tra stati è rappresentata dalla Con-venzione di Montego Bay del 1982 (nota anchecome UNCLOS – United Nations Convention of theLaw Of the Sea). Un testo chiaro e condiviso dallastragrande maggioranza dei membri della comu-nità internazionale, Libano compreso, ma mai fir-mato né, di conseguenza, ratificato, da Israele.Secondo tale convenzione internazionale lo spaziomarittimo viene suddiviso in tre fasce: acque ter-ritoriali, zona contigua e zona economica esclusi-va. Nelle acque territoriali, lo stato mantiene la“sovranità che si estende allo spazio aereo sopra-stante il mare territoriale come pure al relativofondo marino e al suo sottosuolo.” Quindi territo-rio dello stato a tutti gli effetti, per una distanzafino a 12 miglia nautiche dalla costa.Nella cosiddetta Zona Economica Esclusiva ricadeil tratto di mare che va dalla linea di base di unostato costiero fino a 200 miglia nautiche. In essalo Stato costiero gode, tra le altre cose di “dirittisovrani sia ai fini dell’esplorazione, dello sfrutta-mento, della conservazione e della gestione dellerisorse naturali, biologiche o non biologiche, chesi trovano nelle acque soprastanti il fondo delmare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo,sia ai fini di altre attività connesse con l’esplora-zione e lo sfruttamento economico della zona,quali la produzione di energia derivata dall’acqua,dalle correnti e dai venti”.

Teorie a confronto

Per la definizione del confine tra gli stati, semprela Convenzione, all’art. 15 stabilisce che “quandole coste di due Stati si fronteggiano o sono adia-centi, nessuno dei due Stati ha il diritto, in assenzadi accordi contrari, di estendere il proprio mare

territoriale al di là della linea mediana di cui cia-scun punto è equidistante dai punti più prossimidelle linee di base dalle quali si misura la larghezzadel mare territoriale di ciascuno dei due Stati.”Sulla base dell’articolo sopra riportato, il Libano,supportato in questa campagna dall’avallo con-vinto delle Nazioni Unite individua il confine ma-rittimo con Israele sull’asse Est-Ovest passante peril Punto Zero della Blue Line terrestre. Di contro Israele, non condividendo l’enunciatodella Convenzione, ha basato la definizione delconfine marittimo su due linee di principio, en-trambe conducenti ad un risultato similare. Laprima teoria si basa proprio sulla Blue Line e iden-tifica il confine sul prolungamento della retta cheunisce i primo due pilastri. La linea ritaglia un an-golo di circa 20° verso nord a quella tracciata dalleNazioni Unite. Basandosi su quest’idea, e tanto pernon lasciare adito a incomprensioni, nel 2006Israele ha posizionato 8 boe in mare, allineate pro-prio su questa linea immaginaria e tracciando difatto una separazione visibile almeno per i primi6000 metri.Per la seconda teoria, Israele ha poi convocato unacommissione di esperti. A loro ha affidato il com-pito di studiare l’orografia della piattaforma con-tinentale e da lì definire il confine. Al termine delleindagini il confine risultava essere aperto non più20 ma 30° verso nord. Tuttavia la linea delle boenon è stata modificata e Israele, di fatto, si è ac-contentato di rivendicare solo 20° di mare. Un faz-zoletto di mare relativamente piccolo e di interessestrategico assolutamente trascurabile nell’otticadi un processo di stabilizzazione dell’area. Un faz-zoletto che da qualche anno a questa parte na-sconde dentro di sé la porta d’accesso a miliardidi dollari di oro nero e gas.

L’oro nero conteso: un piatto da miliardi di dollari

L’esplorazione del territorio israeliano e della piat-taforma continentale del bacino levantino, unazona di mare su cui si affacciano, tra gli altri, Israe-

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le, Palestina e Libano, in cerca di idrocarburi iniziòverso la fine degli anni novanta del secolo scorso.Sulla terraferma la compagnia Zion Oil and Gascominciò studi e trivellazioni spinto, secondo leparole del CEO John Brown, dalla fede e dalla Bib-bia. Gli studi, iniziati negli anni ottanta del secoloscorso non hanno dato, per ora, alcun esito ma laforza della fede e la evidente constatazione di oc-cupare una posizione geografica in un’area chetrabocca di petrolio non possono che costringerea non demordere. Ad oggi la Zion ha concessioniper effettuare trivellazioni in 300 mila acri sparsisu tutto il territorio. In mare invece, la compagnia petrolifera statuni-tense NOBLE ENERGY, con il beneplacito del Mi-nistero delle Infrastrutture del governo di Tel Aviv,portò avanti uno studio accurato dell’area e fecepoi le prime trivellazioni concentrandosi in duepunti precisi, saldamente in territorio israeliano(secondo qualsiasi teoria) ma molto vicino a quelloche potrebbe essere il confine con il Libano. Icampi di trivellazione furono denominati Levia-than e Tamar. Nel 2009 la NOBLE Energy pubblicòi primi risultati delle ricerche condotte sul campo

Tamar stimando in 142 trilioni di metri cubici leriserve di gas disponibili (+ 60% rispetto alle primeprospezioni)1. Cifre enormi che, accompagnatedalle altrettanto lusinghiere previsioni provenientidal secondo bacino, garantivano a Israele indipen-denza energetica per decine di anni. Nel giugnodel 2010 le previsioni sono state ulteriormente ri-toccate verso l’alto, permettendo a Yitzhaz Tshuva,proprietario della Delek, azionista in Noble, di ce-lebrare l’arrivo, nel 2013, di un secolo di indipen-denza energetica per Israele. Un proclamaaltisonante che cela le dispute tra stato e compa-gnie petrolifere per la ripartizione dei proventi.Alla luce della scoperta lsraele ha subito cercato,ove possibile, di dirimere questioni territoriali cheavrebbero potuto creare ulteriori tensioni nell’area.Così è stato con Cipro: i due governi hanno pron-tamente definito i limiti delle reciproche ZoneEconomiche Esclusive e proprio nel febbraio 2011la Noble Energy ha stipulato un accordo con il go-verno cipriota per iniziare, già dal 2012, le trivel-lazioni nell’area2. Con il Libano la questione resta in bilico perché ilcalderone di oro nero e gas nascosto sotto il baci-

1 http://www.haaretz.com/hasen/spages/1063180.html2 http://www.ansamed.info/it/cipro/news/MI.XAM41115.html

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no levantino si somma a innumerevoli motivi dicontesa. Il Libano, che dal 2006 vive una condi-zione di stabilità politica ed economica davveroprecaria, non ha sempre dimostrato di avere acuore il tema ma ai proclami non ha mai fatto se-guire fatti concreti. Solo alla fine del 2010 in con-comitanza con un periodo ricco di visite di capi distato culminato con quella del presidente iranianoAhmadinejad, il parlamento di Beirut ha varato lalegge che istituiva una autorità nazionale per gliidrocarburi. A questo sono seguite le prime scher-maglie mediatiche, proprio ad opera di Hizballah,contro il governo di Tel Aviv. La successiva cadutadel governo Hariri ha rigettato il paese nell’incer-tezza e rallentato l’azione governativa in tema diidrocarburi. E dato tempo prezioso a Israele. La

presenza di gas e petrolio nel bacino levantino co-stituisce una enorme possibilità sia per Israele cheper il Libano. Lo sfruttamento di questa immensaricchezza potrebbe modificare in maniera sensibiletutta la politica sia interna sia estera dei due paesi.Nell’attuale contesto geopolitico una scoperta inprospettiva così esaltante arriva come manna dalcielo per Tel Aviv; l’ondata di rivolta che attraversatutto il maghreb e la penisola arabica, così comela virata che negli ultimi dieci anni ha avuto la po-litica estera turca rischiano di destabilizzare un si-stema in cui la supervisione statunitense garantivaun certo equilibrio. Israele ad oggi dipende per il40% da Egitto (la cui politica a seguito della de-stituzione di Mubarak è ad oggi un’incognita) edalla piattaforma Mari-B (che, secondo le stime,

In apertura: la blu line sul terreno e segnalata da una serie dibidoni dipinti di blu. Sopra: Controlli da parte delle pattuglie di UNIFIL

Esercitazione delle FA libanesi con personale di UNIFIL "NeptuneThunder" (Pasqual Gorriz UNIFIL)

Una nave indonesiana con le Forze UNIFIL pattuglia le coste libanesi - (UN - Photo/indobatt MP10)

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sarà esaurita proprio nel 2013) ma i nuovi giaci-menti lo affrancheranno senza dubbio anche dal-l’Egitto. Se fino a qualche mese fa la prospettivadi vendere parte di questa ricchezza sul mercatomondiale sembrava davvero remota, per evitare dicreare motivi di dissidio con i già bellicosi vicini ecause per ulteriori imbarazzi alla leadership sta-tunitense, oggi lo scenario si è notevolmente mo-dificato. L’affossamento del Nabucco e la vittoriastrategica di un sistema di approvvigionamento diidrocarburi che lega a doppia mandata l’UnioneEuropea all’asse Iran-Russia-Turchia potrebbe ve-dere in Israele una pericolosa alternativa che gliStati Uniti, che proprio sul Nabucco avevano pun-tato, potrebbero giocare. Una linea di forniture cheda Israele passa per Cipro (dove agisce proprio laNoble) e Grecia è più che una semplice ipotesi epiù che una minaccia. In questa chiave assumonoun nuovo significato sia il rinsaldamento dei le-gami tra Iran e Hizballah, sia l’allontanamento traTurchia e Israele culminato con l’incidente dellaMavi Marmara. Per il Libano la pioggia di petrol-dollari sarebbe una vera boccata di ossigeno sia

per il malcapitato debito pubblico locale (nel 2009pari al 150% del PIL), sia soprattutto una soluzioneall’annoso problema energetico che affligge tuttala nazione, costretta regolarmente a black outprogrammati di almeno 3-4 ore giornaliere. Il Li-bano, forte dell’appoggio politico proveniente siadal Medio Oriente sia da alcuni paesi Occidentali,sente molto la questione e proprio nel mese diagosto del 2010 ha varato la nuova legge energe-tica, primo passo per la vendita poi dei diritti diestrazione.

Conclusioni

Un teatro caldissimo. E a settanta miglia nautichedalla costa un nuovo motivo di contesa tra Libanoe Israele. Un motivo da miliardi di dollari. Tel Avivha investito tempo e risorse per garantirsi una in-dipendenza energetica fondamentale per la suasopravvivenza. E non cederà tanto facilmente allepretese libanesi. La legge nazionale per lo sfrutta-mento delle risorse petrolifere catapulta il Libanosulla scena come un attore non più disposto a su-bire passivamente lo strapotere dell’ingombrantevicino ma deciso a far valere le sue ragioni, fortedello storico supporto francese e tedesco maanche della mutata linea politica statunitensenell’area, che vede nel rafforzamento della leader-ship economica e politica libanese una chiave divolta nel processo di stabilizzazione dell’area enella contemporanea eliminazione o ridimensio-namento di Hizballah. Tante questioni, equilibridelicati, che ogni giorno vengono contestati. An-cora una volta la pace nel Medio Oriente non puòprescindere dall’intervento americano e da unmutuo riconoscimento tra stati. Sarà questo il tri-buto che Tel Aviv dovrà pagare a Beirut? Sarà di-sposto a pagarlo? Sarà costretto a farlo? Prima dimollare la presa, Tel Aviv vorrà a cambio concretegaranzie. Che dovranno arrivare non solo dai pa-lazzi euroamericani ma anche, e soprattutto, dallealtre potenze regionali: Turchia, Siria, Iran e Egitto.Un nuovo fronte quindi, ma anche una nuova pos-sibilità di pace.