Schockenhoff Un´Etica per la Vitta

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Eberhard Schockenhoff Etica della vita Un compendio teologico QUERINIANA

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Schockenhoff hace una reflecion sobre temas actuales de Etica, sobre todo en relacion a cuestiones bioeticas

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Eberhard Schockenhoff

Etica della vitaUn compendio teologico

QUERINIANA

INDICE GENERALE

P r e f a z i o n e .................................................................................................................................. 5

I n t r o d u z i o n e ........................................................................................................................... 7

parte prima

BASI DELL’ETICA DELLA VITA

C a p it o l o IETICA TEOLOGICA DELLA VITA E BIOETICA SECOLARE . . 19

I. Concetto e compiti della bioetica ........................................... 21

IL Fasi e punti focali della b ioe tica ........................................................24

III. Retroterra filosofico dell’odierna b i o e t i c a .......................................28

IV. Predecisioni filosofiche occulte ....................................................... 351. Il modello etico di fondazione 362. Il principio etico: nessuna violenza contro innocenti 373. Il criterio etico di selezione: essere personale e essere umano 38

C a p it o l o IIBASI DELL’ETICA DELLA VITADAL PUNTO DI VISTA FILO SO FIC O ....................................................... 45

I. La controversia sulla teleologia ....................................................... 481. Cause efficienti e cause finali 492. L’ampliamento del pensiero teleologico

nella tradizione stoico-cristiana 513. La rimozione del pensiero teleologico

da parte delle scienze naturali moderne 544. Liquidazione filosofica o rinnovamento filosofico

del pensiero teleologico? 58

508 Indice generale

II. Modello biocentrico o antropocentrico della v ita ? ......................601. L’etica del rispetto della vita 621.1. Esposizione 621.2. Valutazione e critica 652. Il principio di uguaglianza

e la comunità giuridica della natura 692.1. Esposizione 702.2. Valutazione e critica 713. La dignità personale dell’uomo

e il valore specifico della vita extraumana 744. Il superamento di una falsa alternativa 784.1. Immagine del mondo e concetto interpretativo 794.2. L’attualità della filosofia della natura di Schelling 80

III. I presupposti naturali dell’essere um ano...................................... 851. Identità della persona e continuità del corpo 872. Autoesperienza e corporeità 903. Intersoggettività e corporeità 94

IV. Il rapporto fra persona e n a tu r a ................................................. 98

C a p it o l o IIIBASI D ELL’ETICA DELLA VITADAL PUNTO DI VISTA T E O L O G IC O ........................................................103

I. La falsa alternativa: creazione o storia? ......................................1051. Il capovolgimento dell’esegesi veterotestamentaria 1062. Il collegamento fra creazione e storia 108

IL II concetto di vita nell’Antico Testam ento......................................1091. La professione di fede in Jahvé, Dio vivente 1102. L ’uomo vivente: essere relazionale 1113. L ’uomo vivente: essere responsabile 1124. L ’uomo vivente: essere personale 1145. L ’uomo vivente: essere complessivo 1145.1. L ’uomo pieno di aspirazioni 1155.2. L’uomo autorizzato 1175.3. L’uomo caduco 118

III. Il concetto di vita nel Nuovo Testam ento.......................................1201. L ’irripetibilità della vita attuale 1212. La definitività della vita eterna 123

IV. Le basi bibliche del divieto di u c c i d e r e ....................................... 1241. La limitazione del divieto di uccidere 1252. L ’ampliamento della tutela della vita 1263. Dalla limitazione negativa al comandamento positivo 128

Indice generale 509

V. L ’immagine di Dio nell’u o m o ......................................................1311. Somiglianza con Dio e essere personale 1322. Distinzioni necessarie 1352.1. Persona e personalità 1352.2. Persona e individuo 1362.3. Persona e soggettività 1373. Differenza ecumenica nella concezione della persona? 1383.1. La persona nella sua relazione con l’esterno e in se stessa 1393.2. Dipendenza e autonomia della creatura 1403.3. Forme complementari di pensiero 1424. Due conseguenze 147

VI. Il mondo come parabola di D io ............................................................1521. Il mondo come illustrazione di Dio:

il modello antico-medioevale 1562. Il mondo come illustrazione di Dio:

il modello degli inizi dell’evo moderno 1593. Il mondo come illustrazione di Dio: il modello odierno 1634. Due conseguenze 167

C a pito lo IVPRINCIPI ETICI DELL’ETICA DELLA V IT A ......................................171

I. La garanzia della dignità um ana............................................................ 1721. L ’origine storica dell’idea della dignità umana 1752. La fondazione oggettiva dell’idea della dignità umana 1773. Il contenuto normativo dell’idea della dignità umana 182

IL La portata del divieto di u c c i d e r e .................................................. 1861. Un argomento insufficiente:

la sovranità di Dio e la santità della vita 1892. Il significato etico del divieto di uccidere 1933. La funzione sociale pacificatrice del divieto di uccidere 1974. Uccidere e lasciar morire 201

III. Criteri di valutazione etica al di sotto del livello personale . . 2081. La giustificazione dei fini 2092. La responsabilità delle conseguenze 212

510 Indice generale

parte seconda

CAMPI PROBLEMATICI CONCRETI

C a p it o l o VLA RESPONSABILITÀ DELLA PROPRIA VITA:SALUTE E M A L A T T IA ........................................................................... 219

I. Definizioni delimitanti..................................................................... 221IL II rapporto tra salute e malattia nella storia della cultura . 228III. Questioni normative nel campo della salute e della malattia . 234

1. Problemi etici connessi con l’ampliamento della concezionedella malattia 236

1.1. Concezione della malattia e giudizio morale 2361.2. Concezione della malattia e attesa sociale 2371.3. Concezione della malattia e servizi medici 2392. Problemi etici connessi con l’ampliamento del metodo dia­

gnostico 2422.1. Rilevamento diagnostico senza terapia? 2452.2. Rilevamento monocausale di rischi genetici? 2462.3. Coraggio di affrontare una gravidanza a rischio o eterode-

terminazione della vita non nata? 2482.4. Rischio individuale o solidarietà della società? 2533. Questioni etiche connesse con Lampliamento dei metodi te­

rapeutici 2553.1. Limiti della medicina intensiva 2563.2. Criteri del trapianto degli organi 260a) La problematica dell’accertamento della morte (definizione

della morte cerebrale) 262b) Il dovere della pietà verso il cadavere umano 265c) La valutazione etica della donazione di organi: dovere cri­

stiano o atto lasciato pienamente alla libera volontà? 266d) La regolamentazione giuridica della donazione di organi:

consenso o diniego? 26S3.3. Possibilità e limiti della terapia genetica 272

IV. L ’interpretazione religiosa della m a l a t t i a .................................27f1. Malattia e guarigione nell’Antico Testamento 28(1.1. L ’isolamento religioso dei malati 2811.2. La guarigione, un monopolio di Jahvé 2811.3. Il limite della concezione veterotestamentaria della malattia 28'2. Malattia e guarigione nel Nuovo Testamento 28'2.1. Le guarigioni di malati operate da Gesù 2812.2. La fede dei guariti 282.3. La critica dell’idea della ritorsione 2832.4. Il con-soffrire con Cristo 28'3. Modelli religiosi di interpretazione della malattia 29

Indice generale 511

C a p it o l o VILA RESPONSABILITÀ DELL’ALTRUI VITA:ABORTO E EUTANASIA................................................................................. 299

I. Precisazioni terminologiche......................................................................300

IL Lineamenti di storia della cultura..................................................... 3031. L ’evoluzione del divieto di abortire 3041.1. Il diritto mediorientale-antico, ebraico e romano 3051.2. L ’atteggiamento negativo della chiesa antica 3071.3. La legislazione dello stato dell’evo moderno 3102. L ’evoluzione dell’idea di eutanasia 3132.1. La buona morte nella letteratura antica 3142.2. L ’eutanasia nei manuali di medicina dell’evo moderno 3152.3. Eutanasia fra etica della compassione e darwinismo sociale 316

III. L ’interpretazione antropologica dell’inizio della vita umana . . 3181. Le conoscenze della biologia umana moderna 3192. Il significato antropologico dello sviluppo dell’embrione

umano 3232.1. L ’aspetto dell’identità 3242.2. L ’aspetto della potenzialità 3252.3. L ’aspetto della continuità 3282.4. L ’asimmetria fra inizio e fine della vita 329

IV. La valutazione morale dell’aborto e dell’eutanasia..................... 3311. La valutazione morale dell’aborto 3321.1. Il diritto di vivere del bambino e i diritti di autodetermi-

narsi della madre 3331.2. Il diritto di vivere del bambino e le situazioni conflittuali

della madre 3371.3. Il diritto di vivere del bambino e la responsabilità del padre 3391.4. Excursus: la sentenza della Corte Costituzionale Tedesca sul

canone 218 3412. La valutazione morale dell’eutanasia 3422.1. L ’eutanasia promuove la libertà dei moribondi? 3452.2. L ’eutanasia è l’unico rimedio? 3472.3. Gli argomenti della rottura della diga sono infondati? 348

V. L ’atteggiamento religioso verso l’inizio e la fine della vita . 353

512 Indice generale

C a p it o l o VIILA RESPONSABILITÀ GLOBALE PER LA VITA MINACCIATA: CRESCITA DEMOGRAFICA E PIANIFICAZIONE FAMILIARE . . 357

I. Precisazioni term inologiche.................................................................. 3591. Esplosione demografica e sovrappopolazione? 3602. Dal controllo delle nascite alla pianificazione familiare 363

Π. Lineamenti di storia della cu ltu ra ....................................................... 3661. Le dottrine demografiche ottimistiche dell’illuminismo 3672. La catastrofica teoria malthusiana 3693. La teoria del cambiamento demografico 371

III. Principi etici della regolamentazione demografica e della pianifi­cazione familiare.......................................................................................3761. Criteri insufficienti di valutazione 3782. Il primo criterio: la libera responsabilità personale e il con­

senso illuminato 3803. Il secondo criterio: la tollerabilità del bene comune 3834. Il terzo criterio: la giustizia sociale 3875. La valutazione etica di alcuni metodi della pianificazione

familiare 3926. Excursus: valore e limiti della pianificazione familiare naturale 397

IV. Atteggiamenti religiosi verso la pianificazione familiare e la poli­tica demografica.......................................................................................401

C a p it o l o V iliLA RESPONSABILITÀ UMANA PER LA VITA ANIMALE . . . 407

I. Chiarificazioni terminologiche preliminari............................................. 4091. Gli animali sono persone? 4112. Gli animali hanno diritti? 412

IL Lineamenti di storia della cu ltu ra ........................................................414

III. Principi e t i c i ............................................................................................ 42C1. Il doppio punto di partenza dell’etica animale 42C1.1. Tappe dello sviluppo storico 42C1.2. Il rispetto morale dell’uomo per se stesso 4241.3. La sensibilità dell’animale 4262. Campi conflittuali pratici dell’etica animale 42S2.1. Esperimenti sugli animali 43C2.2. Allevamento di animali da macello 43¿2.3. Applicazione di tecniche biogenetiche nell’allevamento del

bestiame 43Í2.4. Protezione delle specie 44:

IV. Il rapporto fra l’uomo e l’animale sotto il profilo biblico e teologico 441

Indice generale 513

considerazioni finali

ATTEGGIAMENTI CRISTIANI FONDAMENTALI DELL’ETICA DELLA VITA

I. Rispetto e stu p o re ........................................................................... 4541. L ’equilibrio fra vicinanza e distanza 4562. Il rispetto quale autoriconoscimento della creatura davanti

a Dio 4573. Il rispetto quale percezione della maestà di Dio nell’altro

uomo 4594. Il rispetto quale ringraziamento per il servizio reso dalla

creazione 4604.1. Il testo del Cantico delle creature 4614.2. Il retroterra biografico 4644.3. Il retroterra teologico 465

II. Compassione e sollecitudine................................................................. 4681. Compassione come solidarietà nella sofferenza 4692. La diversa interpretazione del motivo della compassione 470

III. Autolimitazione e moderazione.............................................................4721. Il riconoscimento dei nostri limiti 4732. L ’accettazione dei nostri limiti 474

postfazione per l ’edizione italiana

IL SIGNIFICATO DELL’ENCICLICA EVANGELIUM VITAE

1. Il vangelo della vita e la dignità della persona umana . . . 477

2. Divieto di uccidere, aborto e eutanasia .......................................481

3. Il significato di alcune singole questioni normative........................... 482

4. L ’invito alla conversione e alla riconciliazione.................................485

5. Un segnale p r o fe t ic o ............................................................................. 488

6. La civiltà dell’amore e Tanti-cultura della m o rte ............................489

Indice analitico................................................................................................... 493

Indice dei nomi 498

litica teologica della vita e bioetica secolare 37

a loro volta bisogno di essere fondate. Tuttavia si può effettuare una fondazione etica ultima anche per via riflessiva, scoprendo le affermazio­ni fondamentali al di là delle quali non possiamo spingerci e cui non possiamo negare il nostro assenso senza cadere in contraddizione22. Stu­pisce constatare come la bioetica americana non abbia finora preso se­riamente in considerazione simili modi trascendentali di fondazione. La diagnosi, che dichiara fallite tutte le strategie di legittimazione di valori etici, poggia in ogni caso su un pregiudizio affrettato, che non tiene conto dello stato attuale della discussione filosofico-morale23 * 2.

2. Il p r i n c i p i o e t i c o : n e s s u n a v i o l e n z a c o n t r o i n n o c e n t i

Un esempio sintomatico di come il senso di un principio a quanto pare ovvio si trasformi inavvertitamente nel suo opposto ci viene forni­to dall’interpretazione del principio: «nessuna violenza contro innocenti». Il comandamento basilare di una morale del reciproco rispetto, univer­salmente e assolutamente valido, viene introdotto da H.T. Engelhardt in una forma che esclude il diretto uso della forza contro innocenti senza il loro consenso («Do not use unconsented-to force against thè inno­cent»). Questo ricorda, nella sua forma apodittica, il tentativo dell’etica classica di concepire il principio dell’inviolabilità della vita come un ri­goroso divieto di uccidere degli innocenti. Ma nel collegamento con il dovere del consenso si nasconde una trappola, che mina il concetto di violenza.

La tradizione europea dei diritti umani ha interpretato la proibizione dell’uso della violenza nel senso del diritto individuale alla difesa, il cui nucleo duro tutela la vita umana nella sua integrità fisica. Nella sua validità di principio il divieto di uccidere degli innocenti non è mai stato contestato ed è unanimemente riconosciuto da tutte le corren­ti del pensiero etico, a cominciare dalla teologia morale cattolica classica

22 Sulla fondazione trascendentale pragmatica ultima dell’etica, cfr. soprattutto K.O. Apel, Das Aptiori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik. Zum Problem einer rationalen Begründung der Ethik im Zeitalter der Wissenschaft, in Id., Transformation der Philosophie ¡I, Frank­furt 1973, 359-435, spec. 424-431, e W. Kuhlmann, Reflexive Letztbegründung. Untersuchungenzur Transzendentalpragmatik, Freiburg - München 1985.

2S Cfr. al riguardo la critica di K. Steigleder, Das Abenteuer der Bioethik. Ein kritischer Ver­gleich der Ethikkonzeption H. Tristrams Engelhardts und Peter Singers, in J.-P. Wils (ed.), Streitfall Euthanasie. Singer und der ‘Verlust des Menschlichen’, Tübingen 1991, 17-27, spec. 18.

38 Basi dell’etica della vita

fino all 'ethos dell’evo moderno dei diritti umani. Ma nella nuova veste in cui la bioetica secolare lo presenta, cioè come una strategia per la soluzione dei conflitti di una società postilluministica, esso perde il suo significato originario. Ora esso non tutela più la vita di persone inno­centi, ma la libertà di tutti i cittadini di vivere secondo le loro proprie concezioni morali. Il principio, destinato a garantire l ’inviolabilità della vita umana, può ora essere chiamato in causa anche per rivendicare un diritto morale a compiere azioni che feriscono la vita umana nei suoi beni fondamentali o addirittura la annientano completamente. Le conseguenze, che di qui derivano per le questioni controverse dell’etica medica, sono di un’evidenza palmare. Il divieto di uccidere innocenti non tutela più l’embrione di fronte alla violenza del medico o della madre; questo intervento medico non viene più valutato come un uso della violenza o come un’azione che cade sotto la proibizione di uccide­re. L’uccisione di una creatura umana non è più considerata un uso della violenza perché essa viola i suoi diritti inalienabili di persona e distrugge la sua integrità fisica, bensì perché viene effettuata senza il suo consenso. Come atti violenti sono considerati ormai solo gli inter­venti fittizi, perché interdetti dalle regole del gioco di una società aper­ta, mediante cui le autorità statali o la polizia potrebbero impedire ai cittadini l ’esercizio dei loro diritti morali. Il principio che vieta la vio­lenza contro innocenti li tutela contro il fatto di essere costretti, senza il loro assenso, a omettere azioni che concordano con le loro proprie concezioni morali. Il divieto di usare la violenza garantisce ora loro in egual misura l’accesso indisturbato alle droghe che alterano la coscienza e alla pornografia, così come garantisce a tutti i cittadini il libero diritto di abortire, di suicidarsi e di praticare l’eutanasia. Per un’etica che può tener conto solo dei desideri individuali delle persone agenti, tutto è per forza di cose alla fine moralmente lecito, fintanto che esso viene effettuato con il consenso degli interessati2,1.

3. Il c r i t e r i o e t i c o d i s e l e z i o n e ;

E S S E R E P E R SO N A L E E E S S E R E U M A NO

La modestia filosofica neutrale, che finge di passare sopra a tutte le costellazioni e problematiche storiche del pensiero filosofico, si mani- 24

24 Cfr. H .T. E ngelhardt, The Foundations o f Bioethics, cit., 94.141 [trad. it., 11 ls. 166]; cfr. Id., Bioethics and Secular Humanism, cit., 115.

Etica teologica della vita e bioética secolare 39

festa anche nel modo in cui molte correnti dell’odierna bioetica dibatto­no il concetto di persona. Affinché una società aperta possa trovare un’in­tesa per stabilire chi, tra i bambini non nati e neonati, tra gli adulti incapaci di prendere decisioni e sofferenti di demenza senile, possa o non possa più essere considerato una ‘persona’, bisogna escludere da tale concetto tutti i significati e le accezioni religiose e metafisiche. Ma nel corso di un simile processo di ripulitura non si eliminano solo presupposti metafisici, che riguardano singole questioni speculative co­me la concezione dell’anima spirituale o la forma dell’animazione del corpo umano. Esclusi rimangono anche presupposti dell’essere umano al di là dei quali non possiamo spingerci, presupposti la cui chiarificazio­ne fenomenologica sarebbe richiesta dalle basi della stessa bioetica. Per­fino il richiamo incontestabile dell’importanza antropologica dell’unità fra il corpo e l’anima, la cui spiegazione è costitutiva per la comprensio­ne della persona umana, viene spesso liquidato come un’idea religiosa particolare, che non può più esser presa in considerazione in una bioeti­ca secolare25. Il tentativo di limitarsi all’evidenza di quel che appare agli occhi finisce piuttosto per contentarsi di dire che può esser conside­rato persona solo chi dispone dei distintivi empirici delle persone. Sono considerate persone solo quelle creature umane che possono dimostrare attualmente di possedere la facoltà dell’uso della ragione e dell’autoco­scienza26. Che cosa questa condizione significhi per le persone in stato di sonno è una questione di cui dovremo ancora occuparci. Qui ci basta formulare una prima obiezione, che riguarda la presunta aproblematicità filosofica della soluzione proposta. Non è possibile saltare semplicemen­te a pié pari le problematiche filosofiche collegate con il concetto di persona, senza che questo porti oggettivamente a correre il pericolo di dare delle interpretazioni riduttive dell’uomo. A ciò si aggiunge il fatto che il punto di vista di una dimenticanza filosofica consapevole dei pro­blemi rimane pur sempre prigioniero di una determinata posizione filo­sofica. Un concetto metafisico di persona non si distingue da una conce­zione meramente empirica per il fatto che esso fa delle presupposizioni filosofiche, mentre quest’ultima sarebbe evidente da qualsiasi punto di

25 Cfr. Id., The Foundations o f Bioethics, cit., 26s. [trad. it., 35s.]. Il fatto che il teologo prote­stante Paul Ramsey, distanziantesi su questo punto da H .T. Engelhardt, adduca il significato antro­pologico dell’unità corpo-anima come argomento contro l’inseminazione artificiale, non autorizza a dichiarare irrilevante il fenomeno antropologicamente incontestabile.

26 Cfr. ibid., 109 [trad. it., 128s.].

40 Basi dell’etica della vita

vista. La differenza sta piuttosto nel fatto che tali presupposti in un caso sono dim ostrati e verificabili, mentre nell’altro si evita la questione della precomprensione addotta già mediante un divieto di addentrarsi in controversie filosofiche.

Per chi segue il decorso del dibattito bioetico sui principi solo dalla prospettiva dell’area di lingua tedesca, le conseguenze pratiche delle pre­decisioni fin qui illustrate appaiono in piena luce soltanto nella terza fase di tale dibattito. Ora il dialogo bioetico, che sul continente europeo era stato condotto solo fra teologi moralisti, cultori di filosofia etica e cultori delle scienze naturali, trova vasta risonanza pure nell’opinione pubblica tedesca. Se vogliamo porre anche questa fase in relazione a titoli di libri influenti, viene da pensare in primo luogo alla traduzione tedesca di due opere del filosofo moralista australiano Veter Singer. Co­me lasciano intendere i titoli Befreiung der Tiere (1982) [trad. it., Libera­zione animale, LA V , Roma] e Praktische Ethik (1984) [trad. it., Etica pratica, Liguori, Napoli 1989], la problematica bioetica si concentra adesso fortemente sulla fondazione di un’etica animale. Quali conseguenze que­sto abbia per la protezione della vita umana diventerà di colpo chiaro all’opinione pubblica tedesca nel 1989, in occasione di un giro di confe­renze di Singer prematuramente interrotto dopo le proteste tumultuose di associazioni di handicappati27. Alla luce della ribalta vengono qui in particolare le tesi provocatorie, con cui egli illustra la sua teoria della valutazione dei reciproci interessi. Secondo questa teoria dobbiamo rico­noscere ai bambini handicappati un diritto definitivo alla vita solo nelle settimane successive alla loro nascita, qualora possiamo ritenere con si­curezza che essi saranno in grado di svilupparsi ulteriormente. Simil­mente i genitori di un emofiliaco hanno il diritto di scambiarlo con un bambino sano, se non vogliono superare il numero dei figli desidera­ti28. Norbert Hoerster, filosofo tedesco del diritto, ha successivamente ripreso tali affermazioni e cercato di convalidarle con argomenti diretti contro il divieto di abortire29.

L’orrore molte volte espresso contro le aberrazioni di un’etica che non vede più gli individui umani come portatori di diritti inalienabili, ma li valuta esclusivamente in base al contributo che essi possono porta­

27 Cfr. al riguardo il rapporto in Zeit-Extra del 23.6.89.28 Cfr. P. Singer, Praktische Ethik, Stuttgart 1984 , 268s.l84s. [trad. it., Etica pratica, Liguori,

Napoli 1989, 196s.l37s.).29 N. Hoerster, Abtreibung im säkularen Staat. Argumente gegen den § 218, Frankfurt 1991.

Etica teologica della vita e bioetica secolare 41

re alla somma totale della felicità universale, rimane una protesta impo­tente fintanto che non mettiamo in luce i retroterra filosofici che soli rendono possibili simili ragionamenti. Strano a dirsi, tali presupposti sotterranei comuni sono percepibili anche in cultori di bioetica che, nel loro modo di argomentare, seguono teorie etiche contrapposte. Nella questione se gli embrioni e i neonati umani o i bambini gravemente handicappati abbiano un diritto inalienabile di vivere, non gioca chiara­mente alcun ruolo il fatto che tutta l’etica sia fondata mediante un principio morale deontologico come quello del rispetto dell’autonomia o sia concepita come un calcolo utilitaristico degli interessi al fine di accrescere il più possibile la felicità. H.T. Engelhardt considera espressa- mente il suo fondamentale principio bioetico dell’autonomia come deon­tologicamente valido, mentre P. Singer annette in determinate circostan­ze al rispetto dell’autonomia degli individui umani un peso minore ri­spetto alla valutazione utilitaristica della loro vita ‘misera’ o all’effetto dell’uccisione su altri50. I presupposti decisivi, che di fronte ad embrio­ni e feti umani, ma anche di fronte a lattanti e bambini piccoli possono, in caso di dubbio, indurre a riconoscere un diritto alla vita, rimangono dissociabili dalle idee basilari apertamente sostenute nella rispettiva teo­ria della fondazione dell’etica. Essi non sono affatto garantiti dal princi­pio morale indicato, ma devono la loro plausibilità ad idee ulteriori, che non sono più esposte in maniera chiara e che non reggono a una verifica filosofica.

Il rimprovero di ‘specismo’ , trasformato da Singer in una maneggevo­le moneta verbale, cerca di chiudere questa falla. Tale parola d ’ordine suggestiva, che da allora è entrata nelle pubblicazioni scientifico-divulgative e filosofico-specialistiche, serve soprattutto a denunciare il discorso della posizione particolare dell’uomo nel cosmo come un pregiudizio razzista nei confronti del mondo extraumano. Esso ripeterebbe l’errore morale fondamentale di una distinzione particolare, che le epoche passate avreb­bero fatto nei confronti degli appartenenti a popoli stranieri o di mino­ranze etniche viventi sul proprio territorio. Tale ‘specismo’ viene visto come un prolungamento del razzismo e del sessismo, che estende l’arro­ganza del maschio bianco e la sua pretesa di dominio sul sesso femmini­le alla natura extraumana. Invece, secondo questa teoria, un comporta­mento non discriminante verso la vita extraumana esige che l’uomo dica

30 Cfr. H .T. E ngelhardt, The Foundations o f Bioethics, cit., 82 [trad. it., 98s.] e P. Singer,Praktische Ethik, cit., 116s. [trad. it., 88s.].

42 Basi dell’etica della vita

addio all’illusione della sua preminenza e riconosca, in linea di princi­pio, come paritetiche tutte le forme fenomeniche della natura. Come l’appartenenza a una determinata razza o a un determinato sesso non autorizza alcun diverso trattamento, così anche l’appartenenza alla spe­cie biologica homo sapiens è del tutto irrilevante per quanto riguarda il riconoscimento di particolari possibilità di vita31.

Questa tesi di filosofia della natura viene ulteriormente accentuata quando viene collegata con la menzionata concezione della persona, che fa dipendere l’essere persona dell’uomo dalla presenza attuale di distinti­vi della personalità empiricamente constatabili. Discriminante per il rico­noscimento di un diritto alla vita non è l’appartenenza a una determina­ta specie biologica, ma soltanto il grado di autocoscienza, di uso della ragione e di capacità di pianificare il futuro che un essere vivente raggiunge32. Non possiamo perciò attribuire alla vita di un feto umano un valore maggiore di quello che attribuiamo al feto di un essere viven­te non umano su un piano paragonabile in fatto di razionalità e capacità sensitiva; il confronto imparziale fra queste qualità moralmente rilevanti riconoscerà addirittura in molti casi un chiaro vantaggio agli esemplari adulti di mammiferi più altamente sviluppati33. Anche se la ricerca sul­l’attività cerebrale non umana non permette ancora di dare alcun giudi­zio sicuro, dobbiamo tuttavia tener conto del fatto che gli scimpanzé, le balene e i delfini sono dotati di ragione, hanno coscienza di sé e dispongono, di conseguenza, di rilevanti qualità delle persone. L ’uccisio­ne di una scimmia è, di conseguenza, più grave che non l’uccisione di un uomo seriamente handicappato sotto il profilo psichico, cui in virtù dei medesimi criteri dobbiamo negare la qualità di persona. Le conseguenze pratiche derivanti da una simile considerazione per la legit­timità degli esperimenti sugli animali sono evidenti; esse ci dicono che o interrompiamo tutti gli esperimenti sui mammiferi più altamente svi­luppati, oppure li estendiamo con ugual diritto ai bambini piccoli e alle creature umane psichicamente handicappate34.

Se l’essere persona è una qualità che spetta a singoli esseri viventi

31 Cfr. P. Singer, Befreiung der Tiere, München 1982, 26 [trad. it., Liberazione animale, Mon­dadori, Milano 1991]; cfr. anche N. H oerster, Abtreibung im säkularen Staat, cit., 59-66.

32 Cfr. P. S inger, Praktische Ethik, cit., 73.104 [trad. it., 62.80] e H.T. E ngelhardt, The Foundations o f Bioethics, cit., 107 [trad. it., 126s.].

33 Cfr. P. Singer, Praktische Ethik, cit., 135s. [trad. it,, 103s.] e H.T. E ngelhardt, The Foun­dations o f Bioethics, cit., 113 [trad. it., 133s.].

34 Cfr. P. Singer, Praktische Ethik, cit., 76s. [trad. it., 60s.].

Etica teologica della vita e bioetica secolare 43

indipendentemente dalla specie cui essi appartengono, tale alternativa è incontestabile. Se vale la premessa che possiamo considerare l’essere uomo e l’essere persona come due qualità che di fatto coincidono nella stragrande maggioranza dei casi, ma che non dobbiamo pensare come necessariamente tra loro congiunte, allora contro le tesi sconvolgenti di Singer non è più possibile addurre alcun argomento convincente. L’esse­re persona in senso morale e l’essere uomo in senso biologico si comporta­no allora come due entità indipendenti, che accanto a una casuale super­ficie comune presentano ai due lati zone marginali non comuni. Ciò premesso, il loro reciproco rapporto potrebbe essere effettivamente de­scritto con la formula provocante, secondo cui non tutte le persone sono creature umane e non tutte le creature umane sono persone” .

Nella sua prima parte tale formula non è affatto nuova. La ricerca storica del nostro vocabolario filosofico ha mostrato che il concetto di persona, dopo che il suo significato si è sganciato dalle sue prime origini nell’arte teatrale antica (come ‘ruolo’ o ‘maschera’), deve gli ulteriori impulsi decisivi alla spiegazione teologica dell’idea di Dio e alla com­prensione della professione di fede cristologica. La sua trasposizione al­l’antropologia rappresenta invece un fenomeno secondario, in cui possia­mo riconoscere un contributo importante fornito dalla fede cristiana al- l’autointerpretazione filosofica dell’essere umano. Ma il riferimento alla dottrina trinitaria e la speculazione sugli angeli del dogma cristiano, pre­supponenti ambedue l’esistenza di persone non umane, sono ben lungi dall’autorizzare la conclusione inversa, che nella seconda parte della for­mula dovrebbe permettere di negare ad alcuni appartenenti alla nostra specie, che portano come noi un volto umano, la qualità di persone. Possiamo negare agli embrioni e neonati umani, ai bambini psichicamen­te handicappati o ai pazienti in coma dopo la perdita irreversibile della coscienza i diritti dovuti alle persone umane ed espellerli dal campo protetto della dignità umana? Questa è la domanda chiave dell’odierna bioetica, che rende indispensabile una chiarificazione dei suoi impliciti presupposti di filosofia della natura. 55

55 Cfr. ;bid., 134 [trad. it., 102] e H.T. E ngelhardt, The Foundations o f Bioethics, cit., 107 [trad. it., 126s.].

Basi d e ll’etica della vita dal punto di vista teologico 131

ni Calvino, in conformità al suo principio secondo il quale ogni proibi­zione, perché possa essere pienamente osservata, è accompagnata da un comandamento corrispettivo, spiega il quinto comandamento (sesto nella sua enumerazione) su due piani. Il suo primo significato ci vieta qualsia­si forma di ingiustizia e di violenza verso il prossimo (innocente). Oltre a ciò, però, esso riassume il senso di tutti i comandamenti della seconda tavola in una ‘somma’ positiva, chiedendosi che cosa l’amore del prossi­mo esige in ordine alla sua esistenza fisica: «Questa somma non è infatti un divieto, ma un comandamento chiaro e esplicito: ama il prossimo tuo. Il nostro comandamento la applica semplicemente in modo partico­lare alla vita del prossimo»34.

V. L ’immagine di Dio nell’uomo

La tensione fra l’esistenza naturale e l’essere definitivo dell’uomo, che incontriamo all’interno del concetto biblico di vita, caratterizza an­che la concezione più precisa della proposizione centrale che sta a base di qualsiasi antropologia teologica. Le testimonianze bibliche sulla somi­glianza dell’uomo con Dio vanno in una doppia direzione: da un lato la consapevolezza che tutti gli uomini sono creati a immagine di Dio è una delle affermazioni (anche se rare) più alte dell’Antico Testamento (cfr. Gen 1,27; 5,1-3; 9,6; Sap 2,23; Sir 17,3; Sai 8), affermazione che anche il Nuovo Testamento occasionalmente riprende per motivare sin­gole esigenze etiche (cfr. 1 Cor 11,7; Gc 3,9). Dall’altro lato proprio per il Nuovo Testamento solo Gesù Cristo è la vera e unica «immagine del Dio invisibile» (Col 1,15; cfr. Rm 8,29; 1 Cor 15,45-49; 2 Cor 3,18), in conformità alla quale siamo rinnovati per grazia di Dio nel battesimo e nella cui gloria saremo trasformati al momento del risuscitamento fina­le dei morti. In Gesù Cristo il vero volto dell’uomo appare come in un’immagine chiaramente illuminata, senza quelle deformazioni e punti oscuri insiti in ogni immagine di sé fatta dall’uomo o che di lui si fanno altri. In Gesù Cristo Dio ci pone davanti agli occhi la propria immagine e somiglianza, affinché riconosciamo a quale dignità siamo chiamati. So­lo in Gesù Cristo, quale immagine originaria della vera umanità, diventa

34 Auslegung der Heiligen Schrift, Π/ l , Neukirchen 1901ss., 616s.

132 Basi dell’etica della vita

visibile che cosa significa una vita libera e piena di amore, giusta e solidale nei confronti degli uomini. Perciò già i teologi della chiesa pri­mitiva operano nell’idea della somiglianza con Dio una distinzione, che cerca di cogliere concettualmente in maniera più netta la differenza fra Cristo, unica immagine di Dio, e gli uomini, che sono creati in ordine a questa immagine. Secondo tale distinzione solo il Lògos divino è im­magine del Dio invisibile; gli uomini sono invece creati non come imma­gine, bensì secondo l ’immagine di Dio, più precisamente ancora come immagine dell’immagine, che devono riprodurre nella loro vita. La par­tecipazione dell’uomo a questa immagine divina originaria non rappre­senta un privilegio statico della sua essenza; da un lato essa è concepita come indelebile e dall’altro lato come permanentemente imperfetta. Tra l’uno e l’altro polo si stende il cammino storico dell’uomo, il cui essere immagine e il cui divenire immagine appaiono così come entità dinami­che capaci di progredire e di regredire35.

1 . S o m i g l i a n z a c o n D io e e s s e r e p e r s o n a l e

Un’impostazione sistematica, che fa dell’idea dell’immagine il cardine di un’antropologia teologica, deve cercare di salvaguardare la ricchezza della testimonianza biblica e la sua ricezione teologica da parte della chiesa primitiva meglio di quanto sia riuscita a fare la tradizione succes­siva. La teologia scolastica e quella protestante corsero il pericolo di fallire questa bipolarità, perché ne misero in risalto un lato solo in ma­niera riduttiva o lo ignorarono addirittura completamente. La somiglian­za con Dio fu allora vista o come un privilegio essenziale generale del­l’uomo naturale e posta in relazione con le facoltà particolari della sua anima, oppure la sua rivendicazione antropologica fu ridotta mediante una concezione attualistica della persona e limitata al campo della sola conoscenza della fede. Nell’un caso l’orientamento dell’uomo all’imma­gine di Cristo conosciuta mediante la fede appare offuscato, nell’altro non si vede bene perché e mediante che cosa in Cristo è apparsa l’im- magine dell’uomo, rivendicata dall’umanità di tutti gli uomini.

Pure le interpretazioni che dell’idea della somiglianza dell’uomo con Dio sono state date nell’antropologia teologica odierna rimangono espo­

35 Cfr. al riguardo H. Crouzel, Théologie de l'Image de Dieu chez Ongène, Paris 1956, 217-236 e Id., Bild Gottes II. Alte Kirche, in TR E VI, 499-502.

Basi dell'etica della vita d al punto di vista teologico 133

ste a questi pericoli speculari. L ’accentuata posizione di cerniera del discorso della somiglianza con Dio, che collega insieme antropologia e etica teologica, lo pone di fronte a particolari difficoltà di comprensio­ne. Esso, poiché echeggia i grandi temi dei trattati dogmatici della crea­zione, del peccato e della redenzione, attira su di sé come una lente focale problemi teologici di enorme portata. Il più delle volte questi sono già stati risolti in una o nell’altra direzione in seno allo schema generale presupposto, prima che la teologia cominci a riflettere sulla somiglianza dell’uomo con Dio.

Tuttavia il dialogo ecumenico odierno e l’incontro fra teologia biblica e teologia sistematica hanno fatto maturare un ampio consenso, che può essere considerato un valido fondamento di un’etica teologica sovracon­fessionale. Secondo tale consenso la somiglianza dell’uomo con Dio non è fondata su di un privilegio essenziale statico o in distintivi particolari propri della specie umana; il discorso teologico dell’uomo quale immagi­ne di Dio è al riparo dall’obiezione di ‘specismo’ già per il fatto che esso non deduce tale somiglianza dalla sua differenza rispetto agli ani­mali, bensì dalla sua comunione con Dio36. Né la sua forma esteriore, né la sua anima spirituale immortale, né il compito di dominare sulla creazione, né il dono della ragione e la libertà stanno alla base dell’affer­mazione della somiglianza dell’uomo con Dio, anche se questa presenta un’intima connessione con ognuna di queste entità antropologiche rela­zionali37. Né la somiglianza con Dio consiste in un distintivo aggiun­to alla creaturalità dell’uomo o in una particolare qualità, che gli sareb­be concessa al di là della sua umanità creaturale. Essa non consiste in un ‘qualcosa’ che l’uomo è o fa di per sé: «Essa sussiste in quanto l’uomo stesso, così com’è, sussiste come creatura di Dio. Egli non sareb­be uomo se non fosse immagine di Dio»38 39. La particolare dignità del­l’uomo non è fondata su di lui, in una «qualità» della sua essenza, ma in una relazione che lo sorregge, nella «esteriorità» di una relazione co- munionale inaugurata dalla parola creatrice di Dio59. L ’essere creatura­le dell’uomo è completamente frutto dell’appello potente della parola

36 Ciò è espressamente riconosciuto da N. Hoerster, Abtreibung im säkularen Staat, cit., 118. Egli rimprovera tuttavia alle chiese cristiane di contrabbandare in «forma mimetizzata» la loro convinzione, dettata dalla fede, della somiglianza dell'uomo con Dio nel diritto costituzionale secolare.

37 Cfr. al riguardo G. E beling, Dogmatik des christlichen Glaubens I, Tübingen 1979, 406-410 [trad. it., Dogmatica della fede cristiana I, Marietti 1990].

38 K. Barth, KD III/l, 206s.39 H. T iiielicke, Theologische Ethik I, Tübingen 1951, 263.

134 Basi dell’etica della vita

di Dio, l’uomo è se stesso solo perché Dio Io chiama e continua a chia­marlo. La Bibbia sottolinea la comparsa dell’uomo ad opera della parti­colare chiamata divina, a differenza del semplice comando con cui Dio crea le stelle e la terraferma, le piante e gli animali. Mediante la sua parola creatrice Dio pone l’uomo in un rapporto diretto con lui, rappor­to che lo contraddistingue come una creatura particolare; egli si pone in relazione con l’uomo in maniera tale che questi può corrispondere a questa propria distinzione particolare mettendosi creaturalmente di fronte a Dio40.

Ma dove Dio fonda una relazione con l’uomo, dove egli lo chiama con la libera iniziativa di un inizio non altrimenti spiegabile e Io incon­tra nella sua parola creatrice, lì l ’uomo è nel medesimo tempo chiamato a se stesso e collocato nella sua autonomia umana. Il concetto teologico della somiglianza con Dio e della chiamata da parte di Dio, in cui è riassunta la doppia relazione di Dio con l’uomo mediante la creazione e la redenzione, trova perciò una corrispondenza anche sul piano antro­pologico nel concetto di persona. Come il titolo onorifico di immagine di Dio, così anche l’essere personale dell’uomo è una categoria che supe­ra la sua realtà fattuale, categoria non deducibile dai suoi distintivi em­pirici, né individuabile nella sua differenza specifica rispetto agli altri esseri viventi. La categoria della persona denomina l’uomo chiamato da Dio nel suo essere più proprio, in cui non può essere posseduto da alcun’altra istanza interumana. Essa non risponde alla domanda: «Che cosa sono?», mediante cui l’uomo cerca di capire se stesso confrontando­si con gli altri esseri viventi, bensì alla domanda: «Chi sono?», domanda che sola fa emergere l’incomparabilità di ogni singolo uomo41.

Dal momento che l’idea di persona interpella l’uomo nella sua non rappresentabilità da parte di altri, nella quale egli è affidato a se stesso con esclusione di tutti gli altri nomini, all’uomo spetta all’interno di un’etica cristiana una funzione inalienabile di protesta. Tale funzione mette a nudo le coercizioni effettive delle condizioni sociali di vita, nonché le riduzioni della sua propria autocomprensione, che impediscono all’uo­mo di corrispondere alla sua dignità di persona e di vivere nel rapporto

40 L ’idea delT«uomo corrispondente a Dio» viene sviluppata nella teologia protestante, nella scia di K. Barth e G. Ebe'ing, soprattutto da E. Jttngel (cfr. Id., Der Gott entsprechende Mensch. Bemer­kungen zur Gottebenbildlichkeit des Menschen als Grundfigur theologischer Anthropologie, in H.G. Gadamer - P. Vogler (edd.), Philosophische Anthropologie, I, München 1975, 342-372.

41 Questi due piani sono stati chiaramente indicati da R. G uardini, Welt und Person. Versuche zur christlichen Lehre vom Menschen, Mainz - Paderborn 19886, 121-128.

Basi dell'etica della vita dal punto di vista teologico 135

creaturale con Dio: «La fede cristiana, insistendo sull’essere personale dell’uomo, la cui dimostrazione pone in linea di principio esigenze mol­to alte agli uomini, salvaguarda la dignità di tutto l’uomo rispetto alla sua riduzione a aspetti, ruoli e funzioni parziali»42. Poiché il concetto di persona è una categoria transempirica, che supera il lato esteriore percepibile della vita, l’accento cade qui su tutto l’uomo, che deve corri­spondere al proprio Creatore in qualità di interlocutore creaturale in tutte le dimensioni della propria vita corporea, psichica e spirituale. Tutto l’uomo è tuttavia più della somma dei privilegi, che egli a giudizio degli altri possiede o che egli cerca di scoprire in se stesso. In qualità di interlocutore creaturale di Dio egli è, nel giudizio divino, l’uomo giusti­ficato e reso vero, che in nessun momento deve la propria esistenza a una potenza estranea.

2 . D i s t i n z i o n i n e c e s s a r i e

La dignità di persona conferita all’uomo, superante la sua esistenza empirica e ancorata nell’appello creatore di Dio, va perciò accuratamen­te distinta da tutte le altre determinazioni antropologiche aggiuntive. La caratteristica di individuo o di soggetto responsabile, o anche l’ideale pedagogico d’una personalità educata e colta prospettano l’uomo sotto profili diversi. In essi il suo essere personale si espande senza con essi identificarsi o in essi risolversi. L’uomo è persona, non può farsi tale, così come non lo possono fare altri. Il suo divenire persona dipende solo da Dio, il suo divenire come una persona è invece un compito a lui stesso affidato e dipendente da molte condizioni sociali.

2.1. Persona e personalità

Che un uomo utilizzi le possibilità in lui insite e diventi una persona­lità matura o le trascuri e perverta la propria umanità è cosa che dipen­de da molti fattori: dalla sua propria libertà, dall’energia con cui lavora su se stesso, dall’educazione che lo ha plasmato e dagli aiuti che ha ricevuto dai compagni di viaggio o che gli sono stati negati in ore decisi­

42 J .u . D alfertii — E . JÜNGE1., Person und Gottebenbildlichkeit, in F. Böckle (ed.), Christli­cher Glaube in moderner Gesellschaft, XXIV, Freiburg 1981, 66-86.

136 Basi dell’etica della vita

ve della sua vita. L ’uno può avvicinarsi molto all’ideale di un’umanità raffinata ed essere quindi stimato dal proprio ambiente come una perso­nalità equilibrata, brillante e simpatica. Un altro invece non riesce a sviluppare in maniera equilibrata le proprie predisposizioni a motivo del proprio temperamento chiuso e della scarsa partecipazione a quanto suc­cede attorno a lui. Alla base di queste differenze nello sviluppo della personalità non c’è però un grado maggiore o minore di essere persona­le. L ’uomo è persona in tutti i momenti della sua maturazione caratte­riale, spirituale e emotiva. Se stimiamo, rispettiamo e troviamo sponta­neamente più simpatico l’uno, non per questo possiamo rispettare meno l’altro in quanto persona. La carente distinzione tra persona e personali­tà è emersa già a livello filosofico come un errore categoriale fondamen­tale del pensiero, errore che contiene l’impossibile pretesa di verificare empiricamente la richiesta di ogni singolo di essere trattato moralmente e giuridicamente in maniera paritetica agli altri, malgrado tutte le diffe­renze di fatto esistenti. Sotto il profilo teologico tale pretesa è respinta a limine già per il fatto che l’uomo esiste come persona nel rapporto creaturale con Dio, davanti al quale non si dà preferenza di persone (cfr. Di 1,17; E f 6,9). L ’etica teologica ha perciò sempre visto nell 'ac­ceptio personarum, nella preferenza accordata a singole persone o nei danni loro arrecati in quanto persone, un peccato particolarmente grave contro la giustizia43.

2.2. Persona e individuo

Pure il modo dell’autoespansione individuale dell’uomo è mediato da modelli interpretativi culturali. Il pathos accentuato per l’individualità, che caratterizza il mondo dell’uomo moderno, è legato a un determinato grado di sviluppo di forme sociali umane, che rispetto a certe interpreta­zioni collettive possono rappresentare un recupero di una genuina uma­nità, ma che possono anche contenere la perdita d’una solidarietà ele­mentare. Tuttavia il nucleo dell’essere personale dell’uomo non è tocca­to da queste forme sociali di vita, così come esso va distinto dal concet­to biologico di individuo, che presenta un essere vivente o come esem­plare di pari valore o come unicum, come essere unico della sua specie. Neppure il concetto filosofico di individuo, che esprime soprattutto l’in­

43 Cfr. Tommaso d ’Aquino, Summa theologiae II-II, 63,1.

Basi dell'etica della vita dal punto di vista teologico 137

centramento su se stesso e l’indivisibilità di un esistente quale presuppo­sto del suo essere personale, coincide in pieno con l’idea teologica di persona, che esiste nella corrispondenza alla sua chiamata divina. Pro­prio la definizione della persona data da Boezio, definizione che ebbe una grandissima influenza nella storia della filosofia e che concepisce l’essere personale come una sostanza individuale dotata di natura razio­nale, non riesce a spiegare i molteplici condizionamenti dell’uomo da parte delle singole relazioni in cui egli vive. Essa rimane perciò un’astra­zione capace si di definire l’essenza della persona, ma non di coglierne l’esistenza concreta. L ’uomo, poiché in quanto persona perviene al suo vero essere nell’appello da parte di Dio, è già da sempre più di quanto possa fare di sé come individuo. Come persona egli è al riparo proprio dall’esigenza esagerata di un’autostilizzazione singolare, mediante la quale deve continuamente verificare la propria individualità davanti a se stes­so e davanti agli altri'’4.

2.3. Persona e soggettività

Non meno deviante dell’identificazione tra persona e individuo è l’i­dentificazione corrente nella coscienza moderna tra persona e soggetto. L ’idea moderna di soggetto non è certo pensabile senza la preistoria della concezione cristiana della persona, però si evolve storicamente e oggettivamente in una diversa direzione. L’essere una persona non può coincidere per l’uomo con l’essere un soggetto già per il fatto che egli è da sempre una persona, mentre il compito di divenire un soggetto sta ancora davanti a lui. Fino a che punto un uomo sia capace di auto- determinarsi moralmente è cosa che dipende dal processo biografico del­la sua maturazione, processo che sottostà a sua volta a molteplici influs­si sociali. Il fatto di essere una persona è invece dato all’uomo indipen­dentemente dal grado di sviluppo del suo sé cosciente; essendogli garan­tito da Dio, egli lo può affermare o mancare con la propria azione, ma non può aumentarlo o distruggerlo. Di conseguenza l’uomo può di­sperare del proprio compito morale e dichiarare fallimento come sogget­to responsabilmente agente e, ciò malgrado, rimanere una persona. Pure 44

44 Sulla necessaria distinzione tra persona e individuo, cfr. R. G uardini, Welt und Person, cit., 113; G. Rovira, Die Erhebung des Menschen zu Gott, Salzburg 1979, 184; Β. Welte, Person und Welt. Überlegungen zur Stellung der Person in der modernen Gesellschaft, in Id . - A. Schavan (edd.), Person und Verantwortung. Zur Bedeutung und Begründung der Personalität, Düsseldorf 1989, 10s. e J.U . D alferth - E. J üngel, Person und Gottebenbildlichkeit, cit., 89-91.

138 Basi dell'etica della vita

lì ove l’uomo vive di fatto in contraddizione con il proprio compito davanti a se stesso e davanti a Dio, pure lì cioè dove egli vive come peccatore, la sua destinazione ontologica a esistere nel dialogo creaturale con Dio continua a sussistere. Tale destinazione, essendo fondata sul­l’appello creatore di Dio, preesiste a qualsiasi risposta dell’uomo. Pure il peccatore che vive in contraddizione con la sua destinazione divina continua ad esistere come persona; egli vive in virtù della fedeltà di Dio, che permane al di sopra dell’abisso del suo essere creaturale, per­ché egli risponde alla chiamata del suo Creatore già con la semplice sua esistenza.

3. D ifferenza ecumenica nella concezione della persona?

E una convinzione fondamentale comune a ogni teologia cristiana che la dignità di persona dell’uomo non sia fondata su di lui, ma nel mistero della sua origine da Dio e nella chiamata alla comunione con Dio. Sul piano ecumenico si nota però una qualche differenziazione quando si passa alla domanda successiva e ci si chiede come si possa spiegare teolo­gicamente e esprimere filosoficamente la chiamata da parte di Dio antece­dente qualsiasi essere personale dell’uomo. Teologi protestanti come Emil Brunner, Karl Barth, Gerhard Ebeling e Eberhard Jüngel, o cultori di etica sociale come Helmut Thielicke e Martin Honecker avanzano in particola­re una riserva contro il concetto di ‘anima spirituale’ dell’uomo in uso nella teologia cattolica. Essi vi scorgono il relitto metafisico superfluo di una superata ontologia della sostanza, relitto che nella ricerca antro­pologica del nostro secolo è stato sostituito da concetti sociopsicologici come ‘io’, ‘sé’ e ‘identità’·45. Tuttavia riconoscono che il discorso di un’anima spirituale sostanziale e immortale dell’uomo può oggi svolgere una funzione di protesta, che si oppone alla cosificazione dell’uomo e alla sua riduzione a puro portatore di una funzione in una società anoni­ma di scambio. L ’antico termine ‘anima’ indica infatti l’intimo impreve­dibile di ogni singolo essere umano, il «punto focale della sua libertà» (B. Welte), in virtù del quale uno può dire ‘io’ e andare incontro al proprio ambiente. Quando parliamo dell’anima di un uomo indichiamo

45 Cfr. al riguardo W . Pannenberg, Anthropologie in theologischer Perspektive, Göttingen 1983, 151-235 [trad. it., Antropologia in prospettiva teologica, Queriniana, Brescia 1987, 179-359].

Basi dell’etica della vita dal punto di vista teologico 139

l’area protetta della sua intimità e del suo essere specifico, che deve rimanere al riparo dalla presa sociale. L ’espressione e il concetto di ‘ani­ma spirituale’ indica quindi l’uomo come persona, in quanto egli sta in se stesso e forma il proprio centro, attorno a cui tutto si organizza e diventa il suo mondo particolare46.

3.1. La persona nella sua relazione con l ’esterno e in se stessa

Ma l’obiezione mossa dalla teologia protestante all’idea di ‘anima spi­rituale’ è diretta soprattutto contro un’interpretazione ontologica, che vede nella persona umana un essere ultimo, in sé stante, che è l’origine autonomamente responsabile del proprio agire e che non può più delega­re tale responsabilità ad alcuna istanza stante dietro di lei. In questo affidamento inalienabile a se stesso sono fondate per la teologia medioe­vale la dignità ontologica dell’uomo quale sostanza individuale dotata di una natura razionale, nonché la sua qualità unica di essere ‘perfettis­simo’ tra tutti quelli esistenti47. Invece l’odierna teologia protestante vorrebbe concepire l’uomo, nella scia di Martin Lutero, con l’aiuto di un’ontologia relazionale, che sostituisce l’idea di sostanza con la catego­ria della relazione. La sua è una concezione della realtà e dell’essere al cui centro non sta quel che un esistente è in se stesso, bensì quel che esso è nella relazione con altri. Applicato all’uomo ciò significa: l’uomo non è primariamente visto come un singolo che sviluppa la pro­pria vita autonoma nella relazione con altri, bensì lo sguardo si dirige in primo luogo sui rapporti esterni portanti e sulle «relazioni esterne» (G. Ebeling), mediante le quali soltanto egli diventa colui che è.

Questo cambiamento di prospettiva porta in Martin Lutero al capovol­gimento paradossale dei concetti antropologici chiave classici che fino ad allora, malgrado tutte le correzioni teologiche, avevano goduto d’un ovvio diritto di cittadinanza nella teologia48. Al posto della descrizio­ne concentrica di Boezio, in cui la persona appare come il soggetto por-

46 Cfr. R. Guardini, Welt und Person, cit., 134; B. Welte, Person und Welt, cit., 12s.47 Tommaso d’Aquino, Summa theologiae I, 29,3: «...persona significat id quod est perfectissimum

in tota natura, scilicet subsistens in rationali creatura·».

48 Sull’ulteriore elaborazione della definizione di Boezio ad opera di Tommaso, cfr. S. Pinc- KAERS, La dignité de l ’homme selon Saint Thomas d ’Aquin, in A. Holderegger e altri (edd.), De dignitate hominis (= FS C.-J. Pinto de Oliveira), Freiburg 1987, 89-106 e E . Sciiockenhoff, Personsein und Menschenwürde bei Thomas von Aquin und Martin Luther, in ThPh 65 (1990) 481-512, spec. 483-491.

Basi dell’etica della vita dal punto di vista teologico 139

l’area protetta della sua intimità e del suo essere specifico, che deve rimanere al riparo dalla presa sociale. L ’espressione e il concetto di ‘ani­ma spirituale’ indica quindi l’uomo come persona, in quanto egli sta in se stesso e forma il proprio centro, attorno a cui tutto si organizza e diventa il suo mondo particolare46.

3.1. La persona nella sua relazione con l'esterno e in se stessa

Ma l’obiezione mossa dalla teologia protestante all’idea di ‘anima spi­rituale’ è diretta soprattutto contro un’interpretazione omologica, che vede nella persona umana un essere ultimo, in sé stante, che è l’origine autonomamente responsabile del proprio agire e che non può più delega­re tale responsabilità ad alcuna istanza stante dietro di lei. In questo affidamento inalienabile a se stesso sono fondate per la teologia medioe­vale la dignità ontologica dell’uomo quale sostanza individuale dotata di una natura razionale, nonché la sua qualità unica di essere ‘perfettis­simo’ tra tutti quelli esistenti47 48. Invece l’odierna teologia protestante vorrebbe concepire l’uomo, nella scia di Martin Lutero, con l’aiuto di un’ontologia relazionale, che sostituisce l’idea di sostanza con la catego­ria della relazione. La sua è una concezione della realtà e dell’essere al cui centro non sta quel che un esistente è in se stesso, bensì quel che esso è nella relazione con altri. Applicato all’uomo ciò significa: l’uomo non è primariamente visto come un singolo che sviluppa la pro­pria vita autonoma nella relazione con altri, bensì lo sguardo si dirige in primo luogo sui rapporti esterni portanti e sulle «relazioni esterne» (G. Ebeling), mediante le quali soltanto egli diventa colui che è.

Questo cambiamento di prospettiva porta in Martin Lutero al capovol­gimento paradossale dei concetti antropologici chiave classici che fino ad allora, malgrado tutte le correzioni teologiche, avevano goduto d’un ovvio diritto di cittadinanza nella teologia'”. Al posto della descrizio­ne concentrica di Boezio, in cui la persona appare come il soggetto por­

46 Cfr. R. Guardini, Welt und Person, cit., 154; B. Welte, Person und Welt, cit., 12s.47 Tommaso d’A quino, Summa theologiae I, 29,3: «...persona significat id quod est perfectissimum

in tota natura, scilicet subsistens in rationali creatura».

48 Sull’ulteriore elaborazione della definizione di Boezio ad opera di Tommaso, cfr. S. Pinc- KAERS, La dignité de l ’homme selon Saint Thomas d'Aquin, in A. Holderegger e altri (edd.), De dignitate hominis (= FS C.-J. Pinto de Oliveira), Freiburg 1987, 89-106 e E. Sciiockenhoff, Personsein und Menschenwürde bei Thomas von Aquin und Martin Luther, in ThPh 65 (1990) 481-512, spec. 483-491.

140 Basi dell'etica della vita

tante ultimo e autonomo delle proprie qualità, subentra una visuale ra­dicalmente eccentrica, in cui la persona non è più definita in base a quel che essa è in sé, quindi antecedentemente alle relazioni in cui è collocata, bensì nella quale «l’essere personale stesso è un simile atto relazionale»49 50. Ora, il discorso della sostanza dell’uomo non indica più una sua qualità, il modo inalienabile del suo possesso di se stesso, bensì una qualificazione che gli viene dall’esterno: il potere che lo fa sussistere e perdurare e da cui il suo essere completamente dipende. In questo senso, nella sua disputa sull’uomo del 1536, Lutero può concepire il messaggio paolino della giustificazione (cfr. Rm 3,28) come una breve formula antropologica precisa, contenente una definizione dell’uomo in senso stretto (tesi 32). Quel che l’uomo è può essere compreso in una prospettiva concreta e nel medesimo tempo completa, collegante fra di loro le svolte dell’esistenza rappresentate dal peccato e dalla grazia, solo alla luce dell’evento della giustificazione. L'essere dell’uomo è definibile solo come l’azione di Dio verso di lui; senza l’evento permanentemente attuale da parte di Dio, mediante cui il peccatore è «quotidianamente sempre più giustificato» (tesi 39), l’uomo non perviene al proprio essere. Egli non è, ma ricade nella nullità del peccato e della morte. Poiché l’azione di Dio non fa parte della definizione dell’uomo solo come un anello fra gli altri, ma è in maniera esclusiva la perfetta definizione dell’uomo, anche la sopravvivenza creaturale dell’uomo può essere fon­data solo su Dio. Se esiste una continuità della persona umana al di là della frattura del peccato, ciò non è frutto della sua sostanza indi­struttibile, bensì solo del fatto che essa è ancorata nella «continuità della fedeltà di Dio» (H. ThielickeY0.

3.2. Dipendenza e autonomia della creatura

Esposto in questa forma accentuata, il contrasto fra le due interpreta­zioni filosofiche, cioè fra quella di un’ontologia della sostanza e quella di un’ontologia relazionale, appare considerevole. Nella concezione teo­logica della persona umana esso si accompagna inoltre, da ambo i lati, a categorie confessionali tipiche, che lo aggravano ulteriormente. Così l’accentuazione dell’aspetto evenemenziale conduce nel pensiero prote­

49 W. J oest, Ontologie der Person bei Luther, Göttingen 1967, 36.50 Cfr. al riguardo G. E beling, Lutherstudien II/1, Tübingen 1977, 45 e H. Thieucke, Theolo­

gische Ethik I, cit., 365.

Basi dell’etica della vita dal punto di vista teologico 141

stante a concepire la chiamata divina, in cui è fondato l’essere personale dell’uomo, come un evento verbale continuamente attuale, che non la­scia più spazio alla sostanza creaturale dell’uomo. Invece la teologia cat­tolica pensa di più partendo dalle strutture creaturali dell’uomo e inter­preta l’appello di Dio come una relazione creativa verso l’uomo, che10 raggiunge nel suo intimo e lo qualifica permanentemente nel suo esse­re creaturale. La parola divina fonda la persona umana affidandola a se stessa e chiamandola all’esistenza come un interlocutore autonomo. L ’idea filosofica di sostanza sta qui al servizio di un asserto teologico; essa spiega la qualità dell’azione creatrice di Dio che supera realmente la distanza infinita tra essere e non essere, qualità priva di analogie e diversa da ogni appello umano. Rinunciare alla categoria della sostanza significherebbe nel quadro di questo pensiero ontologico pensare la rela­zione di Dio verso l’uomo in maniera diversa da un comportamento creatore rispondente al suo amore e alla sua potenza divina, comporta­mento che raggiunge in maniera sovrana e senza fatica il proprio scopo, come la Bibbia ci dice quando parla della creazione mediante la Parola.

La teologia cattolica odierna formula la propria cornice intellettiva come un assioma fondamentale formale, che traspare come una filigrana teologica in tutti i suoi enunciati. Esso è formulato in termini così vasti da abbracciare tutta la storia di Dio con l’uomo, vale a dire la creazio­ne, la redenzione e il compimento finale. Secondo tale principio fonda- mentale, formulato da Karl Rahner nella scia di Tommaso d'Aquino, la dipendenza radicale e l’autonomia reale della creatura chiamata da Dio crescono in misura uguale e non in misura inversa51. L ’uomo perviene tanto più vicino a sé quanto più è vicino a Dio; viceversa si allontana da sé, nel tentativo di appropriarsi di sé, nella misura in cui cerca di sfuggire a Dio. La teologia, quando dimentica questo principio, corre11 pericolo di cadere vittima di una cattiva logica esclusivistica. Essa testimonia la propria povertà quando ritiene di dover salvaguardare o la prerogativa di Dio o l’autonomia creaturale dell’uomo. Tuttavia, an­che quando cerca di tener contemporaneamente presente e il rapporto creatore di Dio verso il mondo e il rapporto di dipendenza dell’uomo

51 Cfr. K. R ahner, Grundkurs des Glaubens. Einführung in den Begriff des Christentums, Frei­burg 1976, 85-87 [trad. it., Corso fondamentale sulla fede. Introduzione a l concetto di cristianesimo, Paoline, Cinisello B. 19905, 111-115]; lo stesso assioma viene illustrato per la prima volta nel saggio Probleme der Christologie von heute (cfr. Schriften zur Theologie 1, 183 [trad. it., Problemi della cristologia d ’oggi, in Saggi di cristologia e di mariologia, Paoline, Roma 1967, 26]. Sul retroterra tommasiano, cfr. De ventate 22,4, Summa contra Gentiles III, 69.

142 Basi dell’etica della vita

da Dio, si trova pur sempre di fronte a possibili interpretazioni alterna­tive. A seconda che essa sottolinei teologicamente di più la permanente derivazione da Dio o la crescente autonomia della creatura, si ha anche una diversa concezione della situazione fondamentale paradossale del­l’uomo sul piano antropologico. Mentre il pensiero cattolico scopre il mistero dell’uomo creato e dotato di grazia precisamente nel fatto che «qualcosa è puro dono, ma è nel medesimo tempo, anzi appunto per questo, intimamente proprio del gratificato», l’etica protestante conti­nua a vedere maggiormente nella dignità personale dell’uomo una digni­tà a lui «estranea», che egli possiede solo al di fuori di sé, nel suo modello divino52 * *.

3.3. Forme complementari di pensiero

Il riferimento a diverse interpretazioni filosofiche e a forme teologi­che di pensiero contrapposte conduce le teologie cristiane a porre accen­ti diversi anche lì ove bisogna discutere per arrivare a una giusta conce­zione teologica della persona umana. All’interno dell’enunciato fonda- mentale comune, secondo cui la particolare dignità dell’uomo e la sua elevazione allo status di persona sono ancorate nella chiamata creatrice di Dio, la relazione fra rapporto con Dio e rapporto con se stesso è interpretata da punti di vista contrapposti e conferendo una diversa rilevanza alle singole affermazioni. A lungo andare questo porta necessa­riamente anche a una crescente divergenza sul terreno dell’etica? Le posizioni divergenti tra le chiese cristiane, posizioni che attualmente vanno costituendosi sulla questione del diritto alla vita dei bambini non nati e della portata della protezione statale della vita, possono richia­marsi a differenze teologiche di natura fondamentale? Le diverse inter­pretazioni, che oggi si danno nelle chiese cristiane dell’essere personale dell’uomo e della sua somiglianza con Dio, rendono impossibile una di­fesa comune della dignità umana nei casi conflittuali controversi?

Tali domande sono sempre più frequentemente poste nel dialogo ecu­menico. Ma il richiamo storico alla concezione della persona di Martin Lutero non autorizza a discostarsi dagli elementi comuni fin qui condi­

52 Le due citazioni contraddittorie lumeggiano paradigmáticamente la forma di pensiero cattoli­ca e quella protestante, che si ripercuotono sull’antropologia teologica. Esse ricorrono in R. G uar­dini, Welt und Persott, cit., 161 e H. Thieucke, Theologische Ethik I, cit., 244; cfr. anche Id ., Mensch sein - Mensch werden. Entwurf einer christlichen Anthropologie, München 1976, 102s.

Basi dell'etica della vita dal punto di vista teologico 143

visi. Il riformatore protestante stesso si oppone a un simile tentativo di legittimazione. Il suo specifico profilo teologico non si manifesta, infatti, solo nel fatto che egli ancora l’uomo in una rete di relazioni sociali che procurano a questi comprensione e calore di affetti, nonché prestigio sociale e riconoscimento da parte del prossimo. Questa «situa­zione pubblica» (G. Ebeling) interumana, che pone l’uomo di fronte alle potenze benevole e minacciose della sua esistenza, è in lui fin dall’inizio sovrastata dalla relazione esterna con Dio. Mai Lutero permette di dubi­tare che la relazione-coram-Deo domini in maniera insuperabile il com­plesso delle relazioni in seno alle quali l’uomo perviene ad essere tale. Fintanto che il cristianesimo protestante rimane integralmente fedele al suo compito di parlare del diritto di Dio sull’uomo, in conformità alla sua massima centrale di un solus Deus, non può — così come non lo può qualsiasi altro tipo di teologia cristiana — legare la dignità di un singolo uomo a un criterio diverso dalla sua approvazione da parte dell’appello creatore di Dio.

Del resto anche nella teologia protestante attuale la contrapposizione fra ontologia relazionale e ontologia della sostanza non viene vista come una contraddizione, che esclude una difesa comune della libertà, della giustizia e della dignità umana. Se concepiamo le due visuali come inter­pretazioni complementari, che pongono di volta in volta accentuatamen­te al centro un lato del rapporto uomo-Dio e ritengono nel contempo che l’altro lato diventa così ‘sfocato’ , avremmo già ottenuto una correla­zione formale tra le due. Come la fisica dei quanti concepisce gli atomi ora come onde, ora di nuovo come particelle, senza poter ridurre le due cose a un modello fisico unitario fondamentale, così l’antropologia teologica, nel concepire l'essere umano personale, sarebbe costretta a prestare una particolare attenzione o alla relazione esterna dell’uomo con Dio o alla sua autonomia creaturale, senza poter assolvere nel mede­simo tempo questo doppio compito5*. Similmente anche sotto il profi­lo contenutistico si delinea un interesse oggettivo comune che, al di là di punti focali contrari e di diverse forme concettuali di articolazione, mira ad ottenere un’affermazione convergente. Se l’istanza particolare di un’ontologia relazionale può essere considerata quella di riflettere «sul 55

55 II confronto con i modelli delT'onda' e dei ‘corpuscoli’ della fisica dei quanti e del ‘principio di indeterminazione’ di Heisenberg è stato proposto da H. Thielickf., Theologische Ethik I, cit., 349. Il punto di confronto tra ontologia relazionale e pensiero sostanziale sta nella coesistenza complementare delle due prospettive: esse non si contraddicono, ma non possono neppure essere contemporaneamente utilizzate.

144 Basi dell'etica della vita

fatto e sul modo in cui il tutto della realtà si raccoglie neH’uomo»5i, in ciò essa si trova in piena sintonia con la concezione classica della persona della teologia cattolica. Tale concordanza la si può seguire, al di là della distanza cronologica epocale che ha operato una rottura della tradizione nell’uso del concetto e del termine di sostanza, fin nel mede­simo suono letterale di affermazioni centrali. Tommaso d'Aquino usa la formula desunta da Aristotele, secondo la quale «l’anima è in certo qual modo la totalità delle cose»54 55, non solo per analizzare la conoscen­za sensibile e sovrasensibile, bensì la legge fin dall’inizio come un’affer­mazione sullo status ontologico dell’uomo all’interno di tutta la realtà dell’essere. Egli concepisce la facoltà dell’anima umana di conoscere tut­to come un’apertura universale all’orizzonte dell’essere e come trascen­denza attiva verso l’infinito, in virtù della quale l’uomo è capace di conoscere e amare Dio56.

Grazie a questo doppio orientamento dello spirito umano al tutto della realtà e a Dio quale fondamento di tutta la realtà, l’«uomo è in certo qual modo tutto l’essere»57. In ciò Tommaso riconosce, in ma­niera non diversa dall’odierna concezione relazionale della persona, l’ul­timo fondamento ontologico della persona. In virtù dell’apertura univer­sale della sua natura spirituale nella persona è ‘presente’ in maniera irripetibile tutto l’essere; in essa si raccoglie di volta in volta tutta la realtà per apparirvi in modo attuale e per avervi un’esistenza irripetibi­le. La persona non si presenta in seno alla realtà che la circonda come le altre cose di fatto esistenti. Essa è piuttosto in relazione con il tutto del mondo e risponde alla chiamata del reale, cosicché in ogni persona viene presa in maniera unica e irripetibile la decisione sul senso del mondo. Questo è il motivo ultimo per cui la persona non può più essere vista come parte di un tutto superiore, ma è essa stessa un tutto indivi­sibile. La sola idea di sostanza — qui l ’obiezione della moderna analisi esistenziale ha ragione rispetto al concetto classico di persona — con­

54 G. E beling, Dogmatik des christlichen Glaubens I, cit., 348.55 Aristotele, De anima III, 8 (431 b 21).56 Cfr. Summa contra Gentiles III, 112 (2860); Summa theologiae I, 76, 5 ad 4; III, 4, 1 ad

2. La valutazione di G. E beling, Lutherstudien 11/2, Tübingen 1982, 266, secondo cui l’antropolo­gia scolastica conosce solo un successivo «inserimento del rapporto con Dio nella ratio», inserimen­to non più capace di «cambiare alcunché nella presupposta struttura fondamentale», non regge nei confronti di Tommaso. Cfr. al riguardo E. Sciiockeniioff, Personsein und Menschenwürde bei Thomas von Aquin und Martin Luther, cit., 491-495.

5; De anima III, 13 (790): «...u t sit homo quodammodo totum ens».

Basi dell’etica della vita dal punto di vista teologico 145

dannerebbe l’individualità e la sussistenza concreta della persona alla mancanza di relazioni58. Ma se si tiene conto del retroterra su cui Tommaso cerca di lumeggiare ontologicamente l’esperienza umana della realtà, la persona umana appare come un tutto aperto che tende alla realtà dell’essere e che già da sempre lo ha radunato presso di sé.

Se la concezione della persona della teologia classica concorda con un’istanza centrale dell’ontologia relazionale della persona, dobbiamo d’al­tra parte anche interrogarci sul vero e proprio motivo intellettuale che ha procurato all’idea di sostanza un diritto di cittadinanza nell’antropo­logia teologica. Dietro di questo c’è in primo luogo l’intenzione teologi­ca di pensare la relazione di Dio con l’uomo come una relazione entita- tiva creatrice, mediante la quale l’uomo è chiamato alla sua esistenza creaturale. Ma a questo interesse teologico primario si accompagna an­che un’intenzione antropologica, perché l’uomo supera, in virtù di que­sta relazione diretta con Dio, tutte le altre relazioni in seno a cui egli sta nella sua esistenza concreta. Egli non si risolve nelle sue relazioni interumane ma, pur dipendendo dall’interesse degli altri per lui e dal riconoscimento sociale, è distinguibile dalle relazioni in seno a cui si trova e in seno a cui vive come uomo59. Proprio nel fatto ch’egli non è costituito da queste relazioni orizzontali e possiede la propria esisten­za ‘per sé’ indipendentemente da esse, sta il motivo per cui una persona umana non può disporre di un’altra persona umana. Questa e solo que­sta ultima non disponibilità dell’uomo, che ci obbliga a rispettarci a vicenda in maniera incondizionata, l’ idea di sostanza vuole affermare nell’antropologia. Essa mi garantisce che nell’altro io incontro un uomo, il quale deve la propria esistenza in maniera originaria all’amore creatore di Dio esattamente come me. Poiché noi uomini non riceviamo la nostra vita gli uni dagli altri e in ultima analisi neppure dalla relazione esistente tra noi, bensì la riceviamo dal Dio trascendente, che sta dietro a tutti noi,

58 Cfr. le obiezioni, che vanno nella stessa direzione, di M. Schiller, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Weltethik, Bern 19806, 371-475 e M. Heidegger, Sein und Zeit, Tübin­gen 19761*, 47-50 [trad. it., Essere e tempo, Utet, Torino 19862].

59 La persona consegue la propria autonomia nell’incontro con altri, ma non deve il proprio essere a tale incontro: «In verità la persona non è solo dynamis, ma anche essere; non solo atto, ma anche forma. NelTincontro essa non nasce, ma si attua soltanto. Però dipende dal fatto che ci siano altre persone. Essa ha un senso solo se esistono altri con cui potersi incontrare» (R. G uardini, Welt und Person, cit., 136s.). Cfr. al riguardo W. Kasper, Der Gott Jesu Christi, Mainz 1982, 187-198.342s. [trad. it., Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1985, 203-215.374s.] e W. Pannenberg, Systematische Theologie I, Göttingen 1988, 464-466 [trad. it., Teologia sistemati­ca I, Queriniana, Brescia 1990, 478-480].

146 Basi dell'etica della vita

ogni altro essere umano è nei miei confronti un essere affidato a se stesso, la cui dignità io devo incondizionatamente rispettare. Questo nesso fra essere immagine di Dio e non disponibilità dell’esistenza uma­na, che l’idea di sostanza vuol esprimere nel contesto di un concetto teologico di persona, è già prefigurato nella Bibbia (cfr. Gen 9,6). Quale dato fondamentale di qualsiasi antropologia teologica esso va tenuto pre­sente anche da una concezione della persona completamente prospettata alla luce della realtà relazionale interumana.

Il discorso della somiglianza dell’uomo con Dio, nella misura in cui parla del suo essere creaturale e non presuppone altri segni distintivi, ha un’importante conseguenza per il campo dell’etica. La proposizione del primo libro della Bibbia, secondo la quale Dio ha creato l’uomo come maschio e femmina a sua immagine, sta a indicare l’essere umano in quanto tale e non una qualche sua parte (una singola facoltà) o un qualcosa che si spinge al di là di esso (una particolare predisposizione religiosa). Essa si riferisce con la stessa uguale serietà a tutti gli uomini indipendentemente dalla loro condizione sociale, dalla loro formazione culturale, dal loro sviluppo spirituale, dalla loro figura esteriore o dalle loro convinzioni filosofiche e religiose. Nel concetto di immagine di Dio risuona perciò fin dall’inizio una punta polemica, che mira a supera­re le linee di demarcazione e di divisione imperanti tra gli uomini: «Non il re è l’immagine di Dio, come nell’ideologia elitaria del medio oriente, quindi non l’uomo eccezionale, il detentore del potere e della gloria più eccelsa. Immagine di Dio è piuttosto — cosa che rappresenta un’an­titesi inaudita — ogni uomo, pure quello più povero e debole»60.

Il passaggio da una morale tribale particolare a un ethos universa­le dell’uomo non avviene solo nella filosofia stoica o nel cristianesimo antico; pure la via particolare percorsa da Dio con il suo popolo eletto (cfr. Es 6,7; Ger 30,22; 31,33) guarda fin dall’inizio a tutta l ’umanità. La teologia del documento sacerdotale nella Genesi è, accanto alla pro­fezia postesilica, la corrente principale che testimonia, all’interno del­l’Antico Testamento, questa tendenza espansionistica. Già nel secolo vi a.C. essa ricorda che la storia di Jahvé con il popolo eletto si svolge nell’orizzonte della storia universale dell’umanità e rimanda a un evento tra il Creatore e le sue creature che include tutti gli uomini. Claus We­stermann, specialista in esegesi veterotestamentaria, così riassume la prospettiva universale di Gen 1,27: «Ogni uomo in qualsiasi religio-

60 G . E beling, Dogmatik des christlichen Glaubens I, cit., 379.

Basi dell’etica della vita dal punto dì vista teologico 147

ne e in qualsiasi campo, in cui le religioni non sono più riconosciute, è creato a immagine di Dio»61.

La validità di questo ethos umano universale non è perciò legata al riconoscimento sociale di una religione istituzionalizzata. Che ogni uo­mo sia creato a immagine di Dio è considerata un’affermazione valida alPinterno e all’esterno delle singole comunità religiose organizzate. Il riconoscimento della somiglianza dell’uomo con Dio non può essere li­mitato a un gruppo istituzionalizzato né a un particolare periodo della storia delle religioni; esso protegge gli uomini di un’epoca postcristiana e pone loro esigenze non diverse da quelle che poneva a un’epoca pre­cristiana o cristiana.

4. D ue conseguenze

La chiesa cristiana ha espresso la dignità divina di ogni uomo in una doppia direzione, che include un no all’idolatria del potere, della bellez­za e dell’efficienza umana e un sì alla vita umana nella sua forma debole e caduca. La protesta contro il segreto culto della vita, celantesi dietro simili idoli, si dirige contro questo o quell’obiettivo particolare a secon­da della situazione sociale e delle costellazioni del potere politico di una determinata epoca. Nel culto dell’imperatore praticato nell’antichità la chiesa primitiva vide una trasgressione del comandamento che vietava di fabbricare delle immagini, comandamento che in qualità di rifiuto di qualsiasi culto delle persone conserva la propria attualità in tutti i tempi. Venerare l’imperatore come immagine terrena di Dio e offrire in sacrificio incenso davanti alla sua statua in segno di sottomissione religiosa viola il diritto di Dio e i diritti degli uomini. Venerando in modo esagerato un uomo si calpesta la dignità comune che loro spetta nel loro modello divino. L’opposizione della chiesa primitiva all’abuso politico di una teologia secolarizzata dell’immagine va perciò vista come il rovescio necessario dell’estensione dell’idea di immagine a tutti gli uomini. La cristianità primitiva, contrapponendo all’imperatore il pro­prio Kyrìos Cristo e rivendicandone il diritto esclusivo di dominio sul mondo, non opera solo in nome di una minoranza religiosa. La trasposi­zione del titolo di immagine a Cristo, che essa contrappone al culto politico dell’imperatore, non è diretta, a differenza di quest’ultimo, a

61 C. Westermann, Genesis, cit., 218.

148 Basi dell’etica della vita

mettere in evidenza una figura di dominatore alTinterno dell’umanità. L ’unicità assoluta, che la sua fede riconosce con questo titolo a Cristo, ha piuttosto un significato inclusivo, in quanto essa mira a tutti gli uo­mini nella loro qualità di immagini di Dio.

Così anche la celebrazione cristiana primitiva del battesimo opera una democratizzazione simbolica dell’antico rito della consacrazione dei re, democratizzazione che equivale a un insediamento dell’uomo nella sua dignità, sottratta a qualsiasi potere mondano. La chiesa primitiva, adot­tando nella sua liturgia battesimale il rito dell’unzione dei re e ungendo il battezzando con il crisma (termine che deriva da Cristo = l’Unto), esprime la propria convinzione che davanti a Dio ogni uomo vale quanto un re. Il medesimo procedimento cristologico di inclusione sta dietro il collegamento del comandamento gesuano dell’amore con l’idea vetero­testamentaria della somiglianza con Dio, collegamento che nel Nuovo Testamento viene intrapreso almeno in maniera indiretta. Poiché Cri­sto, degno di adorazione nella sua qualità di luogotenente e rappresen­tante di Dio, estende di nuovo a tutti gli uomini la propria presenza mediante l’identificazione col più piccolo dei fratelli (cfr. Mt 25,31-46), per il quale è morto (cfr. Rm 14,15), tutti gli uomini devono onorare e tutelare l’immagine di Dio in ogni uomo.

Il fatto che la somiglianza con Dio sia riconosciuta in maniera tanto accentuata all’uomo indipendentemente dalla sua posizione sociale o re­ligiosa e che non venga collegata con alcun’altra condizione racchiude nel medesimo tempo un’affermazione sul valore di ogni singola vita umana. L’apprezzamento particolare del singolo è un tratto fondamentale degli scritti biblici, che percorre come un filo conduttore il messaggio profeti­co e la predicazione di Gesù. Qui il valore infinito di ogni vita umana non è fondato sugli eventuali privilegi dell’individuo, ma unicamente sulla considerazione riservatagli da Dio: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo» (Ger 1,5). L ’ebraismo e la chiesa primitiva ri­prendono nella loro prassi del conferimento del nome in occasione della circoncisione e del battesimo l’interpellanza rivolta da Dio a ogni uomo: «Ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni» (Is 43,1). Questo rito religioso dell’iniziazione appaga un desiderio umano originario, che non ha cessato di farsi sentire anche in una cultura secolare. Ogni nome esprime il desiderio che colui che lo porta veda la propria esistenza rispettata e non sia trattato da alcuno come un semplice numero e una sigla interscambiabile. La protesta contro la numerazione quantificabile di un uomo non è diretta nella Bibbia solo contro la sua oppressione

Basi dell'etica della vita dal punto di vista teologico 149

da parte di sistemi mondani di potere, bensì anche contro il tentativo di stabilire surrettiziamente il suo valore in base al bilancio delle sue prestazioni religiose. Stando alla logica evangelica paradossale del suc­cesso, in cielo c’è più gioia per un peccatore che si converte che non per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di perdono. A tale immagine viene espressamente affiancata l’esortazione: «Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli... Il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Alt 18,10-14).

Un tono ancora più minaccioso questo avvertimento assume in un passo del Talmud, che può essere considerato un passo parallelo oggetti­vo all’alta valutazione espressa da Gesù per i piccoli e i deboli. In esso il valore particolare attribuito al singolo nell’antropologia biblica è meta­foricamente equiparato al valore di tutto il mondo. Questo non significa che il valore di una singola creatura umana regga il confronto con quello del resto del mondo, ma che la vita umana, contrariamente al parere lapidario di Caifa (cfr. Gv 18,14), non è in linea di principio quantifica­bile e non è soggetta ad alcun calcolo utilitaristico intramondano: «Ada­mo fu creato come un individuo incomparabile per insegnarti che chiun­que annienta una persona deve essere trattato come se avesse annienta­to tutto un mondo, e per insegnarti che chiunque mantiene in vita una per­sona va trattato come se avesse mantenuto in vita tutto un mondo»62 63 *.

Con questa equiparazione metaforica tra il singolo e tutto il mondo, equi­parazione che mira a mettere in luce l’incommensurabilità della vita uma­na, l’antropologia biblica compie un passo decisivo al di là del pensiero fi­losofico dell’antichità. Per Platone non era il singolo uomo, ma il cosmo nel suo complesso l’immagine terrena del divino. Perfino un pensatore come Aristotele, tanto attento al quadro fenomenico concreto della vita, quan­do parla dell’ ‘anima’, pensa alla ragione universale del mondo, cui ogni uomo partecipa. Questo distacco dall'esistenza concreta del singolo co­stituisce il limite dell’immagine filosofica dell’uomo prima dell’incontro con la rivelazione biblica. Il pensiero antico, essendo capace di fare solo affermazioni di tipo essenziale ia //’uomo e sulla sua natura universale, sul tò ti èn éinai dell’essere umano, non riesce di per sé a cogliere l’irri­petibilità di ogni singola creatura umana65. Esso riconosce l’uguaglian-

62 Aboth Rabbi Naathan, 31 (citato da H.L. Strack - P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch I, München 1922, 750).

63 Cfr. Platone, Timeo 29 b; 92 c; Aristotele, Metafisica IV, 4 (1007a 21-28); De animaΠ, 1 (412 a 1-413 a 10). Cfr. al riguardo G. Rovira, Die Erhebung des Menschen zu Gott, cit.,91 e J.M . Rist, Human Value. A Study in Ancienl Philosophical Ethics, Leiden 1982, 145-152.

150 Basi dell’etica della vita

za di tutti gli uomini, ma non riesce stranamente a cogliere con uguale chiarezza la dignità inalienabile di ogni singolo uomo.

Il confronto tra la filosofia antica e le tendenze del pensiero sociofilo­sofico e etico del nostro secolo è per vari motivi assai istruttivo. Esso mostra che la consapevolezza del valore incalcolabile della vita umana non è un patrimonio tranquillo dell 'ethos dell’umanità, ma che va riac­quisita e salvaguardata in ogni epoca. Il sociodanvinismo degli inizi e l’utilitarismo della fine del secolo xx contestano con argomenti concor­danti fin nel suono delle parole che ogni uomo abbia di per sé un valore inalienabile64. Il problema d’aritmetica, che determina il valore di ogni uomo in base alla differenza fra la gioia e il dolore suo personale e in base al confronto comparativo tra l’utilità e il danno per la comunità, affiora già poco dopo la prima guerra mondiale nelle opere di giuristi e medici rinomati, appartenenti all’avanguardia del mondo accademico tedesco. Tale calcolo ritorna nell’odierna etica utilitaristica e si accom­pagna alla richiesta di poter uccidere un bambino malato e handicappa­to, affinché faccia posto a un bambino sano che contribuirà verosimil­mente di più alla somma complessiva della felicità65.

L’indignazione di fronte a simili proposte rimane inefficace fintanto che stigmatizza solo il cinismo con cui un simile calcolo sacrifica una vita umana inerme a una strategia impersonale di massimizzazione. La critica rivolta a simili concezioni deve colpire i presupposti, che portano coerentemente a considerare insignificante la vita individuale rispetto all’utilità complessiva quantificabile dell’umanità. L ’obiezione filosofica principale contro una simile riduzione dell’etica a un semplice calcolo bilanciato degli interessi dal punto di vista del benessere generale è già stata menzionata nel capitolo precedente: il fatto di dover giustificare la propria esistenza in seno alla somma delle vite rappresenta una richie­sta esagerata per ogni uomo; di conseguenza è una cosa che non si può pretendere da alcun uomo in qualsiasi momento della sua esistenza. Alla luce delle riflessioni proposte circa il rapporto tra somiglianza con Dio e status di persona dell’uomo possiamo ora completare il quadro da un punto di vista teologico: il giudizio sul valore di un uomo non può essere demandato ad alcun foro umano, perché tale giudizio è già stato pronun-

64 Una analisi comparata dell’argomentazione e del linguaggio di P. Singer e della propaganda sociodarwinistica dell’eutanasia tra le due guerre mondiali si trova in E. Schockenhoff, Sterbehilfe und Menschenwürde. Begleitung zu einem eigenen T o i , Regensburg 1991, 62-66.

65 Cfr. P. S inger, Praktische Ethik, cit., 183 [trad. it. cit., 137],

Basi dell’etica della vita dal punto di vista teologico 151

dato da Dio. Se la massima dignità dell’uomo consiste nell’essere inter­pellato da Dio e nell’essere degno della comunione con lui, allora resi­stenza di ogni uomo è legittimata prima di qualsiasi incontro interuma­no, indipendentemente dalla misura più o meno adeguata in cui egli possiede o non possiede i contrassegni naturali che distinguono l’essere umano dalle altre creature. Egli sottosta all’esigenza di esistere come interlocutore creaturale di Dio, ma non deve render conto della propria esistenza creaturale ad alcuno. Poiché la legittimazione della sua esisten­za gli è già garantita dal giudizio di Dio, non ha l’obbligo né di produrla da solo, né di farla ratificare da qualche altra istanza umana: «Il rispetto che gli si deve glielo si deve perciò in qualità di persona concreta, inter­pellata da Dio e chiamata insieme a tutti gli altri uomini a entrare in una storia con Dio... Tale rispetto gli è dovuto indipendentemente da qualsiasi valore esterno o interno ch’egli può avere in sé o in seno alla società umana»66.

In questo modo la vita umana non viene surrettiziamente trasformata in un valore etico ultimo, la cui protezione non può più essere oggetto di una ulteriore valutazione comparata con altri beni? L ’interpretazione teologica della persona come interlocutrice creaturale di Dio non rappre­senta una strategia di immunizzazione messa in atto dal pensiero al fine di eliminare tutte le situazioni etiche conflittuali? Su tali interrogativi dovremo tornare nel prossimo capitolo, quando tratteremo delle im­plicazioni normative del nostro discorso sulla dignità umana e della por­tata del divieto di uccidere. Qui ci basta fissare un punto: anche per un’etica cristiana della vita vale il principio che la vita terrena dell’uo­mo non è il bene supremo. La portata di tale principio diventa tuttavia chiara solo alla luce della complessa motivazione che gli sta a base. Que­sta vita, proprio perché non è tutto, ma è chiamata a partecipare per sempre alla vita eterna di Dio, rimane degna di essere vissuta in qualsia­si sua forma; essa non è costretta a legittimarsi dimostrando di essere effettivamente dotata di senso. La fede cristiana, quando insiste sulla dignità personale di ogni uomo, presuppone sempre la verità di questo principio, perché solo se la vita non è tutto possiamo accettare la sua caducità e limitatezza. Il fatto che la vita umana non sia il massimo dei beni non depone infatti contro il nostro dovere di rispettarla in tutte le sue forme, bensì depone contro il culto segreto della vita che sta alla base dei nostri criteri in fatto di successo, efficienza e felicità.

66IV . Dalfertii — E. JÜNC-EL, Person und Gottebenbildlicbkeit, cit.. 85.

152 Basi deU’etica della vita

Il discorso teologico della somiglianza della persona umana con Dio as­solve perciò anche una funzione ideologico-critica in seno alla nostra società. Essa obietta ovunque non si rispetta la vita ma solo singole sue manifestazioni e ovunque, nella percezione dell’esistenza umana, si dimenticano i suoi limiti inevitabili.

VI. Il mondo come parabola di Dio

Il discorso biblico della somiglianza dell’uomo con Dio non parla dei distintivi naturali specifici, che fondano la sua posizione eminente nel mondo animale. Esso non parla di una qualche grandezza di per sé spet­tante all’uomo, ma del fatto e del come egli è chiamato a partecipare alla gloria di Dio. Il compito di esistere come interlocutore creaturale di Dio lo chiama a vivere in una speciale vicinanza al suo Creatore; nel medesimo tempo egli sottosta tuttavia a una destinazione comune a tutte le creature, perché con la sua esistenza corporeo-psichica egli esiste come parte di quel mondo che il Creatore ha reso, nel suo comples­so, parabola della propria gloria. Quando le moderne concezioni filosofi- che della natura interpretano l’evoluzione della vita come un processo di crescente interiorizzazione e incentramento su se stessi, incentramento che mira a produrre forme sempre più complesse di vita, la teologia odierna è in grado di riconoscere in tali gradi diversamente intensi di vita le tap­pe della sua crescente partecipazione alla vita creatrice di Dio67. A que­sto scopo essa ha solo bisogno di trasporre nelle coordinate teologi­che intellettive di un’immagine evolutiva del mondo la distinzione tra l’uomo quale immagine particolare di Dio e tutto il creato quale realtà piena delle orme di Dio, distinzione familiare fin dal tempo dei padri della chiesa. Tale distinzione mira a mettere in risalto l'imago Dei pre­sente nell’uomo rispetto ai vestigia Dei presenti nella natura, però non intende separare il carattere personale di immagine dell’uomo, stampato nella relazione paritetica fra l’uomo e la donna, dal carattere figurativo di tutta la natura nei confronti di Dio. Poiché ogni distinzione presup­pone la mutua appartenenza originaria delle realtà distinte, essa esprime contemporaneamente la presenza permanente di Dio in tutte le creature.

6' Cfr. a! riguardo R. G uardini, Welt und Person, cit., 113s. e W. Pannenberg, Systematische Theologie II, Göttingen 1991, 48 [trad. it. cit.].

Principi etici dell’etica della vita 1 1 1

resto anche al dato storico, trascurato dalle tesi della secolarizzazione di varia provenienza, che le proclamazioni dei diritti umani dei tempi moderni sono avvenute in larga misura prendendo consapevolmente le distanze dalle loro fonti cristiane. Tuttavia, guardando le cose retrospet­tivamente, non la disparità filosofico-religiosa, bensì la convergenza su importanti affermazioni antropologiche di fondo caratterizza il risultato dello sviluppo storico. Il confronto culturale storico fra le radici antiche, cristiane e moderne dell’idea della dignità umana porta ad ammettere che «le tre correnti, per quanto diversi siano i loro punti di partenza e il loro modo di argomentare, sono contraddistinte da una forte reci­proca affinità, che si spiega storicamente con le loro molteplici recipro­che relazioni»8.

Nell’idea della dignità umana convergono perciò i vari tentativi messi in atto dall’autointerpretazione filosofica dell’uomo. Essa è parte dell’e­redità culturale comune del mondo moderno e appartiene perciò al nu­cleo di un ethos naturale tendente all’universalità, quale è stato elabora­to dalla ragione storico-sociale dell’evo moderno9. L ’idea della dignità umana e la sua esplicitazione in diritti umani prestatali, preesistenti a qualsiasi ordinamento sociale, formulano una soglia conoscitiva al di là della quale la convivenza degli uomini non può più regredire nemmeno in un’epoca postmoderna. Esse rappresentano il nucleo esperienziale du­ro politico-etico, che sta alla base delle società democratiche e conferisce loro la legittimazione morale rispetto alle forme totalitarie di stato.

2. La f o n d a z i o n e o g g e t t i v a d e l l ’ i d e a d e l l a d i g n i t à u m a n a

La panoramica dello sviluppo storico dell’idea della dignità umana sfata il sospetto che essa dipenda in maniera particolare o addirittura esclusiva da un unico movimento storico culturale, che avrebbe impres­so il suo sigillo sulla cultura dei tempi moderni. Tale idea è stata piutto­sto capace, ogniqualvolta passava da un’epoca all’altra, di liberarsi dei legami e delle motivazioni concrete, che fino ad allora l ’avevano con­traddistinta, e di entrare in una nuova costellazione intellettiva. Tutta

8 A. Schwan, Grundwerte der Demokratie, cit., 50.9 Cfr. A. Auer, Die Bedeutung der christlichen Botschaft für das Verständnis und die Durchsetzung

der Grundwerte, in A. Paus (ed.), Werte - Rechte — Normen, Kevelaer - Graz 1979, 29-85, spec. 62.

178 Basi deU'etica della vita

la storia della cultura europea costituisce Vhumus ideale da cui è nata l’idea della dignità umana; questa non è perciò un veicolo drappeggiato, di cui oscure potenze del passato si servirebbero per compensare la loro perdita di validità culturale nella situazione spirituale odierna. Sotto il profilo storico è piuttosto vero il processo inverso: l’idea della dignità umana si serve delle correnti filosofiche e delle potenze plasmatrici della vita di ogni epoca come di un veicolo che la trasporta attraverso tutte le tappe della storia della cultura occidentale e ne favorisce lo sviluppo. Giustamente è stato perciò detto che il concetto della dignità umana, così come Vethos moderno dei diritti umani, rimangono in linea generale compatibili con tutte le fondazioni filosofico-religiose che hanno in qual­che modo contribuito alla loro formazione.

In questo contesto risulta valida anche la distinzione tra genesi storica e validità normativa, che si è cristallizzata nella discussione circa la legit­timità della storia della libertà dell’evo moderno10. Riferita al rapporto tra cristianesimo e ethos moderno dei diritti umani tale distinzione si­gnifica: l’idea della dignità umana, che sta alla base della nostra cultura democratica, deve al cristianesimo impulsi decisivi, ma tale influsso sto­rico non fonda alcuna dipendenza sistematica permanente, nel senso che il riconoscimento di tale idea rimanga legato ai presupposti intellettuali della fede cristiana. Dal punto di vista di una società pluralistica ciò significa che l’idea della dignità umana fa parte del nucleo irrinunciabile di un ethos naturale razionale che pretende di essere universalmente riconosciuto. Viceversa, nella prospettiva della teologia e della chiesa

10 II discorso della genesi e della validità è stato introdotto dallo studioso americano di teoria della scienza H. Reiciienbach, il quale nella sua opera: Expérience and Prédiction. An Analysis 0} thè Foundations and Structure o f Knowledge, Chicago ■ London 1938, 19662, distingue tra con­testo della scoperta (context o f discovery) e contesto della legittimazione (context of justification) (3-16). Il vero compito epistemologico, una ricostruzione razionale del sapere, può secondo tale teoria essere svolto solo mediante una esposizione interna del contesto della legittimazione, esposi­zione che astrae dalle condizioni esterne (storiche, sociologiche, psicologiche, ecc.), in cui esso è nato. Nel campo della teoria della scienza la distinzione di Reichenbach è oggi ulteriormente svi­luppata soprattutto da J . MittelstraB, che differenzia la preistoria delle odierne forme di sapere in base ai contesti che hanno influito su di loro [Wirkungszusammenhänge] e ai contesti su cui si fondano [Gründezusammenhänge] (cfr. Id., Der Flug der Ente. Von der Vernunft der Wissenschaft und der Aufgabe der Philosophie, Frankfurt 1989, 187). In ordine alla validità dei diritti umani J. Scttwartläneer, Die Menschenrechte und die Notwendigkeit einer praktischen Weltorientierung, in H. Kohlenberger - W. Lütterfelde (edd.), Von der Notwendigkeit der Philosophie in der Gegenwart ( = FS K. Ulmer), Wien - München 1976, 166-189, spec. 177, elabora la distinzione tra provenienza storico-situativa e origine normativa. Il ruolo di questa distinzione nel contesto delle questioni della fondazione dell’etica è stato ultimamente discusso a fondo da V. Hösle, Die Krise der Gegenwart und die Verantwortung der Philosophie, München 1990, 143-147.

Principi etici dell’etica della vita 179

la distinzione fra genesi e validità esige una necessaria autolimitazione sotto il profilo teoretico e pratico. L’idea della dignità umana sta, nei confronti dell’idea cristiana specifica della somiglianza di ogni uomo con Dio, in un rapporto di corrispondenza oggettiva, ma non in un rapporto di fondazione esclusivau. Ciò non esclude naturalmente che l’impegno ecclesiale per il riconoscimento della dignità umana si distingua dai fini preminenti perseguiti da altri gruppi mediante proprie accentuazioni, in cui il messaggio cristiano e i suoi contenuti si ripercuotono in manie­ra più netta.

Un punto focale particolare delle direttive socioetiche della chiesa sta nel fatto che questa non chiede solo che la dignità inalienabile di ogni uomo sia giuridicamente garantita, bensì anche che sia concretamente rispettata, nonché nel fatto che essa chiede che tale dignità non venga messa a libera disposizione della società neppure nei casi conflittuali. Così pure non poche considerazioni depongono nel senso che la nostra disponibilità a riconoscere di non poter disporre della vita umana nep­pure in situazioni difficili dipende dal fatto se, nella nostra esistenza, ci sappiamo sorretti dalla potenza infinita di Dio e se ci sappiamo chia­mati a rispondere davanti ad essa. Il riconoscimento effettivo della digni­tà umana va parimenti incontro a una strisciante perdita di validità lì ove la fede cristiana perde la propria plausibilità teoretica e vitale mon­dana. L’ultimo capitolo ha cercato di mostrare perché la fede cristiana pretende di comprendere l’uomo alla luce del suo rapporto con Dio in maniera più completa e profonda di quanto sia possibile a un ethos ra­zionale autonomo, che lo considera solo come un essere affidato a se stesso e fine a se stesso: alla luce della fede il soggetto morale uomo è fondato in una relazione in cui l’uomo non può da solo porsi, è fonda­to cioè nell’amore creatore di Dio, che gli viene promesso come il com­pimento della sua libertà. Per la fede cristiana la verità definitiva del­l’uomo è perciò manifesta solo nella verità di Dio su di lui; l’uomo non è in grado di procurarsela da solo, ma la può percepire unicamente nella fede facendo propria la verità di Dio11 12.

11 La distinzione tra ‘fondazione’ e ‘corrispondenza’ è spiegata da K. H ilpert, Die Menschen­rechte, cit., 189.

12 Sulla linea di una simile fondazione a un doppio livello della dignità e dei diritti umani si muovono le affermazioni del concilio Vaticano II e la loro interpretazione da parte della Pontifi­cia Commissione Justitia et Pax contenuta in uno schema provvisorio del 1976. Secondo tale docu­mento l’affermazione della particolare dignità dell’uomo e dei suoi diritti inalienabili è «fonda­ta in primo luogo dalla ragione e dalla legge naturale sulle esigenze della natura umana». Essa

180 Basi dell'etica della vita

La motivazione più profonda che la dignità umana e i diritti umani che la tutelano vengono ad avere, qualora siano posti nel contesto più ampio del vangelo, non elimina tuttavia la loro evidenza naturale. Que­sto dato riveste un’importanza decisiva quando si tenta di definire il carattere etico vincolante dell’idea della dignità umana e la portata della sua pretesa normativa. Se le motivazioni proposte da diversi punti di vista si ripercuotono in ultima analisi sui contenuti concreti della digni­tà umana e ampiamente determinano quale rilevanza effettiva spetti ai singoli diritti dell’uomo, la fondazione teologica ultima della dignità umana e il suo ancoramento nell’orientamento trascendente della persona uma­na non contraddicono tuttavia il suo carattere vincolante universale. La dignità personale dell’uomo e il suo specifico dinamismo naturale posso­no essere riconosciuti senza che ci sia bisogno di appellarsi a Dio o di ricorrere alla risposta data a questa questione da una religione storica rivelata come il cristianesimo. Essa è già fondata nella pariteticità origi­naria di tutti i membri della comunità giuridica e nell’autoesperienza dell’uomo come essere morale, allorché viene ancora una volta ancorata, alla luce del vangelo, in una maniera specificamente teologica. Questa fondazione definitiva, nella misura in cui si oppone, dall’orizzonte di una realtà trascendente e definitivamente valida, alla perdita minacciosa di validità della dignità umana, svolge una funzione importante dalla prospettiva del tutto. La battaglia per il riconoscimento della dignità umana può porre in certi casi conflittuali le società democratiche davanti

è perciò «accessibile alla nostra comprensione naturale» (Die Kirche und die Menschenrechte, Mün­chen - Mainz 1976, n. 36 e 40), ma trova una fondazione ancora più profonda nel messaggio dell’incarnazione di Dio: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo... Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso (hominem ipsi homini plene manifestat) e gli manifesta la sua altissima vocazione» (G5 22). Questo modello evita il dilemma di alcune teorie protestanti, che o collegano la fondazione teologica della dignità umana esclusivamente con la rivelazione cristiana e la fanno valere solo per i credenti, oppure la riducono a una motivazione aggiuntiva in sé non necessaria. Cfr. al riguardo W. Kasper, Theologische Bestimmung der Men­schenwürde im neuzeitlichen Bewußtsein von Freiheit und Geschichte, in J . Schwart- länder (ed.), Modernes Freiheitsethos und christlicher Glaube. Beiträge zur juristischen, philosophi­schen und theologischen Bestimmung der Menschenrechte, München - Mainz 1981, 285-302, spec. 299s. e L. Honnefelder, Menschenwürde und Menschenrechte. Christlicher Glaube und die sittliche Substanz des Staates, in K.W. Hempfer - A. Schwan (edd.), Grundlagen der politischen Kultur des Westens, Berlin 1987, 239-264, spec. 247-253. Sul rapporto tra fondazione dei diritti umani in base al diritto naturale e fondazione in chiave cristologica nella dottrina dei papi Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II cfr. J. Punt, Die Idee der Menschenrechte. Ihre geschichtliche Entwicklung und ihre Rezeption durch die moderne katholische Sozialverkündigung, Paderborn 1987, 226-242.

Principi etici dell'etica della vita 181

a prove dure e laceranti, ma né singoli gruppi sociali possono qui recla­mare per sé una competenza esclusiva, né la società può delegare loro questo compito. La preoccupazione per la salvaguardia delle potenzialità solidali della nostra società e del rispetto della dignità di uomini deboli e bisognosi di protezione esige precisamente, in una società aperta, la comune responsabilità di sistemi filosoficamente e religiosamente diver­si. La società e lo stato non possono rimettere questa responsabilità né alle chiese cristiane, né a qualsivoglia altro gruppo sociale.

Il fatto che l’idea della dignità umana sia compatibile con diverse sue fondazioni antropologiche non significa infatti che una società de­mocratica potrebbe affidarne il riconoscimento all’arbitrio di singoli gruppi. Quale principio intrinseco della costruzione della nostra cultura demo­cratica l’idea della dignità umana è infatti evidente da qualsiasi punto di vista ed è, di conseguenza, un dovere morale vincolante per chiun­que. La validità di questa proposizione non poggia infatti su una sua deduzione arbitraria da eventuali premesse religiose o metafisiche, ma poggia su un argomento riflessivo, che mette in luce i presupposti che tutti noi immettiamo nel nostro comune agire e nella nostra convivenza sociale in uno stato democratico. Il riconoscimento della dignità umana non può essere contestato senza contraddirsi, perché esso è già da sem­pre presupposto quando cerchiamo di spiegare la nostra cultura. Chi pretende da tutti gli altri uno spazio giuridicamente garantito per agire e farsi una vita sotto la propria responsabilità non può negare ad essi, secondo il principio di una reciprocità ragionevole, la dignità e l’autode­terminazione che rivendica per sé.

Con la conoscenza della dignità umana di tutti i suoi membri la co­munità giuridica viene ad avere in partenza un fondamento capace di essere razionalmente riconosciuto. Noi non lo possiamo ragionevolmente contestare, perché chiunque è in grado di capire che una società aperta può risolvere umanamente i suoi conflitti solo se tutti si impegnano a rispettare l’autonomia e la dignità umana. E perciò d’importanza deci­siva definire nel modo giusto il nesso tra autonomia e dignità umana. Pure in una società aperta esse non garantiscono solo una generale liber­tà di azione in armonia con le relative convinzioni morali del singolo, come prevede il principio liberale dell’autonomia nella bioetica america­na. Oltre a ciò l’autonomia e la dignità dell’uomo esigono il riconosci­mento di un limite imposto in partenza dal principio di giustizia, limite tracciato a tutti dal fatto che essi, nel perseguire i loro scopi, non posso­no violare i diritti inalienabili di altri. Questo ci porta alla questione

182 Basi dell’etica della vita

del contenuto centrale normativo della dignità umana, questione che non è ancora affatto risolta col riconoscimento universale di tale dignità.

3. Il c o n t e n u t o n o r m a t i v o d e l l ’ i d e a d e l l a d i g n i t à u m a n a

Il sospetto che il discorso della dignità umana serva solo a mascherare enunciati della fede cristiana, che non godono più di un consenso uni­versale, significa tuttavia ancora qualcos’altro. Esso non riguarda solo la fondazione di questo concetto, bensì anche i contenuti concreti ad esso associati. In effetti la formula della dignità umana diventa la porta aperta di ingresso di connotazioni filosofiche e religiose non appena es­sa, come avviene nel nostro linguaggio pubblico dalla rivoluzione france­se in poi, è concepita come una definizione massimale che riassume tutte le esigenze di una vita ‘umanamente degna’ . La vera difficoltà nel coa­gulare un consenso etico con l’aiuto dell’argomento della dignità umana sta perciò nel comprendere il contenuto centrale normativo della dignità umana dalle ulteriori idee antropologiche che i diversi gruppi religiosi e ideologici ad esso associano. Quel che costituisce la dignità di un uo­mo deve risultare esprimibile indipendentemente dalle forme concrete di ethos e dai contenuti di un’esistenza umana piena, su di cui in una società aperta non è più possibile alcuna intesa.

Il contenuto vincolante della dignità umana, che in uno stato demo­cratico di diritto è rivendicabile e protetto da sanzioni, può perciò esse­re espresso solo in un concetto minimale13. Questo non enumera tutte le condizioni in cui l’esistenza umana può fare una buona riuscita nei diversi campi della vita, bensì delimita lo spazio vitale reciprocamente inviolabile che a vicenda devono concedersi quegli uomini che vogliono rispettarsi come liberi esseri razionali. II nucleo duro dell’idea della di­gnità umana non riguarda altro che quello che fa dell’uomo un uomo: la sua capacità di agire liberamente e di autodeterminarsi moralmente in maniera responsabile. Questo ultimo «residuo dell’essere se stesso» (R. Spaemann), al di là del quale non è possibile spingersi, è il motivo per cui l’uomo non possiede solo un valore economico e un’utilità socia­le, bensì anche una ‘dignità’ che gli spetta in quanto «fine a se stes-

15 Cfr. al riguardo R. S paemann, Ü ber den B egriff der M enschenwürde, in E.-W. Böckenförde — R. Spaemann (edd.), M enschenrechte und M enschenwürde, cit., 307.

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del contenuto centrale normativo della dignità umana, questione che non è ancora affatto risolta col riconoscimento universale di tale dignità.

3. Il c o n t e n u t o n o r m a t i v o d e l l ’ i d e a d e l l a d i g n i t à u m a n a

Il sospetto che il discorso della dignità umana serva solo a mascherare enunciati della fede cristiana, che non godono più di un consenso uni­versale, significa tuttavia ancora qualcos’altro. Esso non riguarda solo la fondazione di questo concetto, bensì anche i contenuti concreti ad esso associati. In effetti la formula della dignità umana diventa la porta aperta di ingresso di connotazioni filosofiche e religiose non appena es­sa, come avviene nel nostro linguaggio pubblico dalla rivoluzione france­se in poi, è concepita come una definizione massimale che riassume tutte le esigenze di una vita ‘umanamente degna’ . La vera difficoltà nel coa­gulare un consenso etico con l’aiuto dell’argomento della dignità umana sta perciò nel comprendere il contenuto centrale normativo della dignità umana dalle ulteriori idee antropologiche che i diversi gruppi religiosi e ideologici ad esso associano. Quel che costituisce la dignità di un uo­mo deve risultare esprimibile indipendentemente dalle forme concrete di ethos e dai contenuti di un’esistenza umana piena, su di cui in una società aperta non è più possibile alcuna intesa.

Il contenuto vincolante della dignità umana, che in uno stato demo­cratico di diritto è rivendicabile e protetto da sanzioni, può perciò esse­re espresso solo in un concetto minimale13. Questo non enumera tutte le condizioni in cui l’esistenza umana può fare una buona riuscita nei diversi campi della vita, bensì delimita lo spazio vitale reciprocamente inviolabile che a vicenda devono concedersi quegli uomini che vogliono rispettarsi come liberi esseri razionali. Il nucleo duro dell’idea della di­gnità umana non riguarda altro che quello che fa dell’uomo un uomo: la sua capacità di agire liberamente e di au todeterminarsi moralmente in maniera responsabile. Questo ultimo «residuo dell’essere se stesso» (R. Spaemann), al di là del quale non è possibile spingersi, è il motivo per cui l’uomo non possiede solo un valore economico e un’utilità socia­le, bensì anche una ‘dignità’ che gli spetta in quanto «fine a se stes- 13

13 Cfr. al riguardo R. Spaemann, Über den Begriff der Menschenwürde, in E.-W. Böckenförde — R. Spaemann (edd.), Menschenrechte und Menschenwürde, cit-, 307.

Principi etici dell’etica della vita 183

so»14. Dalla formula dell’uomo fine a se stesso non è perciò possibile dedurre alcun catalogo di diritti, il cui rispetto il singolo potrebbe pre­tendere dalla società in nome della sua esistenza umanamente degna. Essa ricorda in primo luogo solo il confine e la condizione limitante, sotto cui ogni attività individuale e statale sta in una società democrati­ca: ogni uomo va rispettato di per se stesso, e nessuno può essere sacri­ficato esclusivamente come mezzo per un fine estraneo, neppure per amore di un grande bene come la salute di future generazioni.

Da un punto di vista metaetico alla formula dell’inalienabile dignità umana viene spesso rimproverato di servire solo a convalidare appellati­vamente le nostre cognizioni etiche, senza però minimamente contribui­re a definire il contenuto di ciò che è moralmente giusto15. Ciò è sen­za dubbio vero nel caso di numerosi conflitti decisionali bioetici, in cui bisogna accuratamente comparare tra di loro vari beni e valutare le conseguenze. Il richiamo alla dignità umana, nella sua qualità di crite­rio negativo di valutazione, che ci interdice qualsiasi strumentalizzazione illimitata della vita umana, non ci indica ancora in maniera esauriente alcun fine positivo, che ci permetta di stabilire in quale direzione do­vremmo orientare in futuro la ricerca nel campo della vita umana. In breve: il principio della dignità umana formula soltanto pochi doveri incondizionati circa quel che dobbiamo tralasciare di fare, ma non for­mula alcun catalogo completo delle azioni che dobbiamo compiere. Esso ci ricorda solo quel che in nessun caso ci è lecito fare, ma non ci dice tutto quel che dobbiamo compiere per far fronte alla sfida lanciata dalle crescenti possibilità tecnologiche di manipolazione della vita.

L ’obiezione ignora però che, proprio nelle situazioni etiche conflit­tuali, simili barriere normative comportano già, grazie alla categorica esclusione di determinati modi di agire, una delimitazione del conte­nuto di ciò che è moralmente giusto. Nella questione della liceità etica degli esperimenti sull’uomo può servire qui da esempio il divieto di stu­diare gli embrioni fino a consumarli (o addirittura della coltivazione di embrioni umani con l’intenzione previa di ucciderli). Gli interventi negli stadi primitivi della vita umana possono avere come conseguenza una decisione presa in partenza circa lo spazio della libertà personale

14 I. Kant, Grundlegung der Metaphysik der Sitten, a cura di W. W eischedel, IV, Darmstadt 1963, 68 [trad. it., Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, Bari 1990} , 61]; cfr. al ri­guardo spec. W, Wolbekt, Der Mensch als Mittel und Zweck. Die Idee der Menschenwürde in norma­tiver Ethik und Metaethik, München 1987, 15-26.

15 Così W. Wolbert, Der Mensch ah Mittel und Zweck, cit., 115-117.

184 Basi dell’etica della vita

di un’altra creatura umana, decisione che equivale a una eterodetermi- nazione perentoria del suo destino futuro. Pertanto nel campo protetto della dignità umana bisogna inserire anche il processo naturale dello sviluppo, che abiliterà un essere umano a autodeterminarsi eticamente in un momento successivo della sua esistenza. Questa conclusione non è affatto frutto di un argomento ad hoc, che verrebbe costruito specifi­camente per i primi stadi della vita umana per motivare il divieto dello studio di embrioni umani spinto fino alla loro consumazione. Essa rap­presenta piuttosto Γ applicazione sensata di un principio generale a un campo particolarmente sensibile della difesa della vita, principio che va­le per i conflitti tra nati e non nati in maniera non diversa da come vale per i conflitti tra coloro che sono già nati. Esso ci dice, come abbiamo visto parlando dell’unità corporeo-psichica complessiva dell’uo­mo, che ci rispettiamo realmente a vicenda solo se ci rispettiamo già al livello più basso della nostra esistenza corporea, cioè solo se rispettia­mo già l’integrità della nostra esistenza corporea.

Il riconoscimento di tale principio quale criterio decisionale etico non presuppone né una particolare antropologia filosofica, né l’immagine bi­blica dell’uomo, in cui incontriamo per la prima volta il pensiero olisti- co. Esso corrisponde piuttosto alla logica dello sviluppo della ragione storico-sociale, la quale cerca di cogliere sempre meglio la pretesa norma­tiva della dignità umana. L ’inviolabilità del corpo e della vita costituisce il nucleo di tutte le formulazioni dei diritti umani, a partire dalla legge dell 'Habeas corpus (1679) al Bill o f Rights della Virginia (1776) e fino alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948"’. Il dirit­to all’integrità corporea viene qui enumerato fra quei diritti e quelle libertà individuali che tutelano ogni uomo da qualsiasi uso ingiustificato della forza. In corrispondenza alle diverse circostanze storiche cambiano anche le forme dell’arbitrio e dell’ingiustizia che violano il diritto alla 16

16 Così leggiamo già nel primo capoverso del Bill of Rights della Virginia: «Tutti gli uomini sono per natura ugualmente liberi e indipendenti e possiedono determinati diritti innati, ch’essi non possono né togliere né sottrarre con alcun contratto alla loro discendenza, allorché si associano in uno stato, diritti che sono precisamente il godimento della vita e della libertà, i mezzi per acquisi­re e possedere beni e l’aspirazione e il desiderio della felicità e della sicurezza» [cit. da W. Heidel- meyer (ed.), Die Meschenrechte. Erklärungen, Verfassungsartikel, Internationale Abkommen, Pader­born 19772, 54], La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 dichiara nel primo arti­colo: «Tutti gli esseri umani... nascono liberi e uguali in dignità e diritti». Da ciò segue nell’art. 3 l’esigenza: «Tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita, alla sicurezza e alla libertà della persona» (cit. da B. Simma — U. Fastenrath (edd.), Menschenrechte. Ihr Internationaler Schutz. Textausga­be mit ausführlichem Sachverzeichnis und einer Einführung, München 1985-2, 6).

Principi etici dell’etica della vita 185

vita. Oggi di tali forme fanno parte non solo i crimini classici contro la vita (uccisione, aborto, eutanasia) e i soprusi da parte della polizia statale (tortura, detenzione giuridicamente non autorizzata, terrore), bensì anche le forme dell’uso strutturale della violenza che impediscono agli uomini di accedere ai beni della vita (guerra, corsa agli armamenti, di­soccupazione, analfabetismo, fame)17. Questa estensione dei diritti di di­fesa originari dell’individuo fino a includervi i diritti di partecipazione sociale, economica e culturale è nella logica dello sviluppo della ragione storico-sociale, che cerca di tutelare il diritto alla vita di fronte alle cangianti minacce epocali. Ma qualsiasi partecipazione sociale o cultura­le ai beni della vita è campata in aria, se il diritto alla vita non è salva- guardato nel suo nucleo basilare che è la protezione dell’integrità corpo­rea. La libertà di comportarsi personalmente secondo le proprie prefe­renze culturali non può rimettere in discussione i diritti originari della difesa e della protezione della vita individuale. Il disprezzo di tali diritti non contraddice solo le idee morali particolari di singoli gruppi, bensì contraddice il nucleo duro esperienziale politico-etico, che si è andato formando nello sviluppo storico dei diritti umani quale contrappeso alle loro molteplici violazioni.

In verità significa perciò svuotare il principio dell’autonomia e andare contro la morale del reciproco rispetto, quando bioetici americani come H. Tristram Engelhardt e Peter Singer ritengono inviolabili nelle società aperte dei tempi moderni solo le convinzioni morali dei cittadini, ma non la vita corporea di bambini non nati, di lattanti handicappati o di persone moribonde. Quel che certe teorie liberali dicono a proposito dei beni materiali, e cioè che essi costituiscono il necessario spazio pro­tettivo della libertà e indipendenza personale, vale a maggior ragione a proposito del bene della vita fisica, che noi dobbiamo rispettare come mezzo indispensabile dell’autorappresentazione personale di un’altra crea­tura umana: «La sua protezione è presupposto, limite e contenuto par­ziale dell’atto libero»18. La Costituzione della Repubblica Federale Te-

iJ Cfr. al riguardo l’elenco contenuto nel messaggio sui diritti umani e sulla riconciliazione in­viato a conclusione del sinodo romano dei vescovi del 1974, in HerKorr 28 (1974) 625.

18 A. Schwan, Grundwerte der Demokratie, cit., 50. H .T. Engelhardt, The Foundations o f Bioe­thics, cit., 128 [trad. it. cit., 150s.] riconosce questo principio, ma lo vuole limitare all’uomo solo dopo la nascita, perché solo allora questi dispone dell’estensione spazio-temporale della propria esistenza. Per quanto riguarda la linea dell’estensione temporale questo non è certamente vero, e anche per quan­to riguarda la presenza ‘spaziale’ dell’embrione bisogna in ogni caso ritenere che esso condivide con la madre fino alla nascita uno spazio vitale comune. Pertanto bisogna domandarsi: può un volume di stazza della grandezza di centimetri cubici essere un criterio per riconoscere un uomo?

186 Basi dell'etica della vita

desea, che molto ha imparato dall’esperienza storica negativa del di­sprezzo sistematico della vita umana durante i dodici anni della dittatu­ra nazista, protegge perciò il diritto alla vita e all’integrità fisica e la libertà della persona come d’un sol fiato (art. 2, comma 2 GG). Solo insieme questi due diritti possono garantire «le condizioni giuridiche elementari di un’esistenza umanamente degna»19.

II rispetto della libertà dell’altro non può perciò riguardare solo le sue convinzioni, i suoi desideri e i suoi piani in ordine al futuro. Esso esige anche il rispetto dell’inviolabilità della sua esistenza corporea, per­ché solo se noi rispettiamo la sua vita fisica garantiamo quello spazio in cui la persona fine a se stessa può espandersi. Il fatto che dobbiamo semplicemente lasciar ‘esistere’ l’altro e non attentare alla sua vita corri­sponde al contenuto centrale normativo della nostra comune dignità, che non è legata ad altro criterio che non sia quello della nostra natura umana. Poiché noi nasciamo come uomini in virtù di un nostro proprio diritto e non siamo chiamati a divenire membri della società umana dalla volontà di una maggioranza, pure nelle situazioni conflittuali può essere determinante solo l’appartenenza naturale alla specie biologica, il distintivo della discendenza umana o, qualora la linea di confine nei campi dell’attività bioetica dovesse spostarsi in avanti, il distintivo della procreazione da parte di creature umane. Perciò l’idea della dignità umana vale, nel suo contenuto normativo centrale, anche per gli stadi primitivi della vita umana, in cui comincia a delinearsi l’essere personale dei no­stri figli. Essa non chiede altro se non che rispettiamo le possibilità di vita di cui non possiamo reciprocamente disporre e non impone alla ricerca biomedica limiti diversi da quelli che impone all’azione responsa­bile degli uomini anche in altri campi.

II. La portata del divieto di uccidere

Nessun altro comandamento è tanto apprezzato in tutte le culture come il quinto: «Non uccidere». Esso non fa solo parte delYethos mon­diale comune delle grandi religioni, ma è riconosciuto nella sua forma positiva di diritto alla vita e all’integrità fisica in tutte le costituzioni

19 K. Hesse, Grundzüge des V’erfassungsreckts der Bundesrepublik Deutschland, cit., 146.