Schiavitù, l’eredità Quale pace senza giustizia? che …...Il senso della preghiera in una nuova...

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Il senso della preghiera in una nuova pagina pensata per i bambini e le bambine PAGINA 4 La Federazione delle donne evangeliche in Italia e il Coronavirus: un allarme per le Pari opportunità ALL’INTERNO Finalmente iniziano a riaprire le chiese PAGINA 11 RIFORMA · L’ECO DELLE VALLI VALDESI · VIA SAN PIO V, 15 · 10125 TORINO EURO 1,55 12 GIUGNO 2020 ANNO XXVIII · NUMERO 23 Vai sul nostro sito www.riforma.it iscriviti gratuitamente alla newsletter quotidiana ISSN 2498-9452 (online) ISSN 2036-8593 (print) POSTE ITALIANE S.P.A. · SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE · D.L. 353/2003 · CONV. IN L. 27/02/2004 N.46 · ART. 1, COMMA 1, · NO/TORINO Schiavitù, l’eredità che non passa Le violenze contro gli afroamericani sono un retaggio associato alla sindrome bellica ALESSANDRO PORTELLI * I l 5 giugno 2020, mentre tutti gli Usa ribollivano di prote- ste contro la violenza razzista della polizia per l’assassi- nio di George Floyd a Minneapolis, Bruce Springsteen ha aperto il suo programma sulla radio SyriusXM con una delle sue canzoni più controverse: American Skin (41 Shots) , sull’as- sassinio di un giovane immigrato africano, Amadou Diallo, crivellato con 41 colpi di arma da fuoco da una squadra di po- liziotti di New York: «Questa canzone dura quasi otto minu- ti», ha aggiunto: «il tempo che il poliziotto [Derek Chauvin] ha tenuto il ginocchio sul collo di George Floyd». Springsteen ha definito questo delitto come un “linciaggio visuale”, e lo ha sottolineato mandando in onda Strange Fruit, la canzone di Billie Holiday e Nina Simone sui linciaggi nel Sud. «Abbia- mo 40 milioni di disoccupati – ha detto –, e più di centomila cittadini sono morti per il Covid-19, con una risposta debole e insensibile da parte delle istituzioni. Incombe ancora su di noi, generazione dopo generazione, il fantasma della schia- vitù, il nostro peccato originale e il dilemma irrisolto della società americana». L’uccisione di George Floyd è solo uno della lunga serie di episodi di violenza da parte della polizia che colpiscono in modo sproporzionato afroamericani, latini, nativi. Nel 2020, le persone uccise a colpi di arma da fuoco dalla polizia negli Stati Uniti sono 329, una media di almeno due al giorno. Abbiamo reimparato a parlarci MARIANO DE MATTIA L ’esperienza della quarantena ha inevita- bilmente prodotto anche effetti positivi e importanti spunti di riflessione. La prova di resilienza fatta in questo periodo così faticoso, indubbiamente ci ha obbligati a riflettere sul prima, durante e dopo. Se, come credo di poter sostenere sinte- tizzando, la resilienza può essere intesa come la capacità di tirare fuori il meglio dal peggio, credo che qualcosa di utile e stra- ordinario sia accaduto. Tutti, con modalità e intensità diversa, abbiamo sperimentato la resilienza. A esempio, proprio grazie alle limitazioni imposte dai vari decreti, abbiamo scoperto di essere passati dalla chiusura degli spazi aperti all’apertura degli spazi chiusi. Quando parlo di chiusura degli spazi aperti, mi riferisco alla nostra capacità relazionale ante-Coronavirus; mi riferisco a quando eravamo liberi di andare ovunque senza incontrare nessuno; mi riferisco a quando avevamo occhi e sguardi solo per lo scher- mo del nostro cellulare, per cui qualsiasi luogo di transito come autobus, treni, metropolitane, sale d’attesa, ascensori, bar, ristoranti, pizzerie, erano scanditi da una presenza desertica dove nessuno parlava con nessuno; ognuno era impegnato, nel rapporto uno a uno, con il proprio cellulare. Oserei dire che dopo romanticismo, illumini- smo e decadentismo, siamo riusciti a creare il capochinismo! Quale pace senza giustizia? New York: le manifestazioni per l’uccisione di George Floyd si sovrappongono ai saccheggi gratuiti, poco repressi a differenza dei cortei: sullo sfondo i rischi da contagio del Covid19 CATERINA MUSATTI * È giovedì [4 giugno, ndr], sono giorni che manifestazioni spontanee sfi- lano in questo o quel quartiere di New York, e in decine di altre città ame- ricane, per protestare contro la violenza istituzionale che da sempre si abbatte sul- la comunità afroamericana e per ricorda- re tutti i neri uccisi per mano della polizia statunitense. In bicicletta verso Central Park, ecco quindi che sento le voci, e poi vedo, mi- gliaia di giovani neri, bianchi, latinos, asiatici. Vogliono giustizia e la vogliono ora. E come non condividere questa ri- chiesta? Una intera comunità si sente te- nuta a terra con un ginocchio sulla gola e non può respirare, come George Floyd, l’uomo ucciso così a Minneapolis, il 25 maggio da un poliziotto. Ma quest’anno non è un anno normale. Le settimane passate le abbiamo spese chiusi in casa, separati dai nostri amici, familiari, colle- ghi, studenti. Il mondo tutto è alle prese con un’epidemia che solo nell’area metro- politana di New York ha già ucciso più di 40.000 persone. E per contenere il virus, abbiamo fermato, per la prima volta nella storia americana, ampie porzioni dell’e- conomia creando una recessione seconda solo a quella degli anni ’30. Quaranta mi- lioni di americani hanno perso il lavoro e chiesto il sussidio di disoccupazione. Mi- lioni di famiglie e di piccole imprese que- sto mese non sanno come pagare l’affitto. Vicino a me vedo, anche lui in bicicletta, un uomo in camice da infermiere e gli chiedo: «Ma lei che lavora in ospedale non si pre- occupa che queste manifestazioni facciano riprendere l’epidemia?». Ma, calmo mi ri- sponde che è troppo tardi, che questi gio- vani non li si può più fermare. Che si preoc- cupa per loro, ma devono poter protestare. E, lo incalzo io, non è tanto per loro che ci si deve preoccupare, sono ventenni e trenten- ni e probabilmente non si ammaleranno, ma è per le loro comunità, i loro anziani, genitori e nonni. Perché la disuguaglianza americana si è manifestata anche così con le comunità nera e latina in cui pochi svol- gono lavori che si possono fare “da remoto”, comunità colpite più duramente sia dalla disoccupazione sia da casi gravi di Covid19. SEGUE A PAGINA 3 SEGUE A PAGINA 10 SEGUE IN ULTIMA PAGINA Bruce Springsteen

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Finalmente iniziano a riaprire le chiesePAGINA 11

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Schiavitù, l’eredità che non passa

Le violenze contro gli afroamericani sono un retaggio associato alla sindrome bellica

AlessAndro Portelli*

I l 5 giugno 2020, mentre tutti gli Usa ribollivano di prote-ste contro la violenza razzista della polizia per l’assassi-nio di George Floyd a Minneapolis, Bruce Springsteen ha

aperto il suo programma sulla radio SyriusXM con una delle sue canzoni più controverse: American Skin (41 Shots), sull’as-sassinio di un giovane immigrato africano, Amadou Diallo, crivellato con 41 colpi di arma da fuoco da una squadra di po-liziotti di New York: «Questa canzone dura quasi otto minu-ti», ha aggiunto: «il tempo che il poliziotto [Derek Chauvin] ha tenuto il ginocchio sul collo di George Floyd». Springsteen ha definito questo delitto come un “linciaggio visuale”, e lo ha sottolineato mandando in onda Strange Fruit, la canzone di Billie Holiday e Nina Simone sui linciaggi nel Sud. «Abbia-mo 40 milioni di disoccupati – ha detto –, e più di centomila cittadini sono morti per il Covid-19, con una risposta debole e insensibile da parte delle istituzioni. Incombe ancora su di noi, generazione dopo generazione, il fantasma della schia-vitù, il nostro peccato originale e il dilemma irrisolto della società americana».

L’uccisione di George Floyd è solo uno della lunga serie di episodi di violenza da parte della polizia che colpiscono in modo sproporzionato afroamericani, latini, nativi. Nel 2020, le persone uccise a colpi di arma da fuoco dalla polizia negli Stati Uniti sono 329, una media di almeno due al giorno.

Abbiamo reimparato a parlarciMAriAno de MAttiA

L’esperienza della quarantena ha inevita-bilmente prodotto anche effetti positivi e importanti spunti di riflessione. La

prova di resilienza fatta in questo periodo così faticoso, indubbiamente ci ha obbligati a riflettere sul prima, durante e dopo.Se, come credo di poter sostenere sinte-tizzando, la resilienza può essere intesa come la capacità di tirare fuori il meglio dal peggio, credo che qualcosa di utile e stra-ordinario sia accaduto. Tutti, con modalità e intensità diversa, abbiamo sperimentato la resilienza. A esempio, proprio grazie alle limitazioni imposte dai vari decreti, abbiamo scoperto di essere passati dalla chiusura degli spazi aperti all’apertura

degli spazi chiusi. Quando parlo di chiusura degli spazi aperti, mi riferisco alla nostra capacità relazionale ante-Coronavirus; mi riferisco a quando eravamo liberi di andare ovunque senza incontrare nessuno; mi riferisco a quando avevamo occhi e sguardi solo per lo scher-mo del nostro cellulare, per cui qualsiasi luogo di transito come autobus, treni, metropolitane, sale d’attesa, ascensori, bar, ristoranti, pizzerie, erano scanditi da una presenza desertica dove nessuno parlava con nessuno; ognuno era impegnato, nel rapporto uno a uno, con il proprio cellulare. Oserei dire che dopo romanticismo, illumini-smo e decadentismo, siamo riusciti a creare il capochinismo!

Quale pace senza giustizia?New York: le manifestazioni per l’uccisione di George Floyd si

sovrappongono ai saccheggi gratuiti, poco repressi a differenza dei cortei: sullo sfondo i rischi da contagio del Covid19

CAterinA MusAtti*

È giovedì [4 giugno, ndr], sono giorni che manifestazioni spontanee sfi-lano in questo o quel quartiere di

New York, e in decine di altre città ame-ricane, per protestare contro la violenza istituzionale che da sempre si abbatte sul-la comunità afroamericana e per ricorda-re tutti i neri uccisi per mano della polizia statunitense.

In bicicletta verso Central Park, ecco quindi che sento le voci, e poi vedo, mi-gliaia di giovani neri, bianchi, latinos, asiatici. Vogliono giustizia e la vogliono ora. E come non condividere questa ri-chiesta? Una intera comunità si sente te-nuta a terra con un ginocchio sulla gola e non può respirare, come George Floyd, l’uomo ucciso così a Minneapolis, il 25 maggio da un poliziotto. Ma quest’anno non è un anno normale. Le settimane passate le abbiamo spese chiusi in casa, separati dai nostri amici, familiari, colle-ghi, studenti. Il mondo tutto è alle prese con un’epidemia che solo nell’area metro-politana di New York ha già ucciso più di 40.000 persone. E per contenere il virus,

abbiamo fermato, per la prima volta nella storia americana, ampie porzioni dell’e-conomia creando una recessione seconda solo a quella degli anni ’30. Quaranta mi-lioni di americani hanno perso il lavoro e chiesto il sussidio di disoccupazione. Mi-lioni di famiglie e di piccole imprese que-sto mese non sanno come pagare l’affitto.

Vicino a me vedo, anche lui in bicicletta, un uomo in camice da infermiere e gli chiedo: «Ma lei che lavora in ospedale non si pre-occupa che queste manifestazioni facciano riprendere l’epidemia?». Ma, calmo mi ri-sponde che è troppo tardi, che questi gio-vani non li si può più fermare. Che si preoc-cupa per loro, ma devono poter protestare. E, lo incalzo io, non è tanto per loro che ci si deve preoccupare, sono ventenni e trenten-ni e probabilmente non si ammaleranno, ma è per le loro comunità, i loro anziani, genitori e nonni. Perché la disuguaglianza americana si è manifestata anche così con le comunità nera e latina in cui pochi svol-gono lavori che si possono fare “da remoto”, comunità colpite più duramente sia dalla disoccupazione sia da casi gravi di Covid19.

SEGUE A PAGINA 3

SEGUE A PAGINA 10 SEGUE IN ULTIMA PAGINA

Bruce Springsteen

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Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 2

ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA

Non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. (…) Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. (…) Non siate dunque in ansia, dicendo: “Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?” Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.

(Matteo 6, 25-34, passim)

GiAnni Genre

In questa primavera 2020, in molte delle no-stre chiese, non hanno avuto luogo i consueti battesimi o le confermazioni previste. Qua-si tutto è rimasto sospeso nelle nostre vite e ogni giorno siamo aggrediti da tante preoccu-pazioni che ci tolgono serenità e fiducia.

Che cosa è possibile dire a coloro che hanno attra-versato e ancora conoscono il tempo della malattia e del lutto e adesso si trovano ad affrontare una crisi sociale e economica gravissima?

Questa parola di Gesù, in cui veniamo paragonati ai gigli dei campi e agli uccelli del cielo, può suona-re come un insopportabile discorsetto naïf che non prende sul serio le difficoltà, le contraddizioni, le pre-occupazioni della vita reale che invece ci assediano.

Facile dire «guarda i gigli dei campi che non filano e non mietono…» quando la strada si fa brutalmente in salita e non sai che cosa sarà del domani…

Eppure in queste poche parole trovo sempre anche un profumo di verità… parole che seducono perché sono immagini di pura poesia.

Sono sicuro che anche tu, come me, hai già capito che nella vita il mangiare e il bere e un minimo di sicurezza sono essenziali per guardare al futuro, ep-pure sai che c’è qualcosa che è ancora più importan-te, qualcosa che ha a che fare con il tuo cuore, con il senso della tua vita…

yIl verbo “preoccupare” viene da “occupare”. E oc-

cupare ha a che fare con qualcosa che ti invade: non hai più la mente e il cuore sgombri se sei stato occu-pato. E così perdi le cose, gli eventi, gli affetti della quotidianità, non ti accorgi più delle cose belle che ti circondano perché con la testa e con il cuore sei altrove. La preoccupazione può diventare malattia, lo dice anche la psicanalisi: sei malato se sei sempre occupato, se diventi ossessionato.

Gesù, invece, sapeva che Dio ti conosce e ti accom-pagna. Lo sperimentava ogni giorno. Sapeva che cosa può dare contenuto alla tua vita: non quello che hai fatto, non quello che farai, ma l’amore di cui sei stato oggetto.

Gesù qui ti dice: «C’è chi si prende cura di te. Pen-saci. E prova almeno a dire grazie per quello che hai, è un piccolo esercizio che può aiutarti a comprendere il senso della vita».

Quindi smetti di pre-occuparti, di voler controlla-re tutto per poi sperimentare una frustrazione mor-tale quando l’enigma resiste. Perché la vita – la tua vita – non è una tua proprietà, e la pretesa di essere maestro di ogni cosa te ne fa perdere la bellezza.

yIn questo suo discorso Gesù ripete un ordine:

«Guardate, guardate, guardate…». Come mai questo

imperativo ritorna in modo così insistente? Perché molto spesso sei talmente preoccupato da cammina-re sempre con gli occhi bassi, da non alzare lo sguar-do, così pre-occupato da non vedere più il cielo.

Ma se invece riesci a rialzare lo sguardo, recupe-rerai la dimensione dell’incanto, dello stupore. Nel vedere le cose, Gesù sapeva vivere l’incanto. Quando mangiava rendeva grazie, sapeva rimanere meravi-gliato, incantato per un attimo. Quando incontrava una donna, un uomo, ne coglieva la parte meraviglio-sa, quando guardava la natura ne coglieva il dono. Sa-peva vivere la vita non da cieco ma da vedente, cioè vedendo il dono.

ySapeva sostare, Gesù. Per vivere l’incanto devi in-

dugiare sulla soglia di ciò che ti circonda. La fretta è nemica dell’incantamento, dello stupore.

“Guarda”, non scivolare via, come in uno stato di perenne stordimento. Non lasciarti stordire da tutto ciò che ti vuole occupare e preoccupare. Tieni gli oc-chi del cuore in avanti, in alto, aperti.

Anche ai tempi di Gesù tutti vedevano i gigli dei campi e gli uccelli del cielo. Lui si stupiva, senza però essere per nulla imbambolato. Lui s’incantava, cioè vedeva oltre. Vedeva ogni cosa e ogni essere umano come un dono. Gesù sapeva vedere oltre, vedere tutto come un dono. Il dono è l’emozione di essere pensa-ti, è l’emozione di sapersi amati. Tu sei pensata, sei amata da Dio. E Lui sa ciò di cui hai bisogno. Amen.

La meditazione biblica del pastoreGianni Genre è andata in onda

domenica 7 giugno durante il «Cultoevangelico», trasmissione di Radiouno

a cura della Federazione delle chieseevangeliche in Italia

Vedere tutto come un dono

Gesù ci invita a smettere di preoccuparci per ogni cosa, e a rialzare lo sguardo e recuperare la dimensione dello stupore.

Per vivere l’incanto occorre avere gli occhi del cuore aperti, rivolti a ciò che nella vita è dono ricevuto da Dio

PREGHIERADio nostro, oggi ti chiediamo solo di mantenerci nello stupore, in modo che i nostri occhi possano illuminarsi e brillare come quelli dei gatti nella notte. (…) Mantienici stupiti in modo che il bambino rimanga in noi, anche quando gli anni si avvolgono attorno ai nostri cuori e ai nostri corpi. (…)Sì, ti chiediamo lo stupore. A te è piaciuto stupire quelli che non ti conoscevano e quelli che ti conoscevano troppo. Ti è piaciuto parlare e agire in modo diverso da come ci si aspettava da te. Ti è piaciuto vivere da bambino a Nazareth e morire, troppo giovane, a Gerusalemme. Ti è piaciuto lodare la donna cananea e il centurione romano. Ti è piaciuto rivelarti attraverso lo stupore, non attraverso l’evidenza.Quindi, Dio nostro, mantienici stupiti di te, degli altri e di noi stessi, in modo che ciascuno dei nostri giorni sia rispolverato dall’energia della tua grazia e che noi possiamo rimanere bambini, figli tuoi, per l’onore e la felicità del mondo. Amen.

(André Dumas)

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VILLAGGIO GLOBALE

Cec: Sauca riconfermato segretario generaleResterà in carica sino al prossimo Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle chiese che si riunirà nel 2021

I oan Sauca è stato (ri)con-fermato segretario genera-le (ad interim) del Consiglio

ecumenico delle chiese (Cec) nella riunione (online) tenutasi lo scorso 3 giugno. Sauca, dunque, resterà in ca-rica sino al prossimo Comitato centrale del Cec che si riunirà nel giugno 2021.La direzione del Comitato cen-trale aveva deciso in passato di rinviare la riunione della Commissione centrale del Cec che doveva tenersi dal 18 al 24 marzo 2020 e di unire quest’ul-tima a quella del Comitato esecutivo alla luce delle preoc-cupazioni e delle implicazioni relative all’attuale diffusione internazionale del Covid-19.Sauca è originario della Chiesa ortodossa in Romania; profes-sore di Missiologia e Teologia ecumenica presso l’Istituto ecumenico di Bossey sin dal 1998, del quale è direttore dal 2001. Dal 2014 ha ricoperto il ruolo di vicesegretario gene-rale del Cec. Entrandone nel direttivo nel 1994 con il ruolo di segretario esecutivo per gli studi e per le relazioni orto-dosse in missione.

Cronaca di dimissioni annunciateFanno molto parlare le dimissioni del presidente della Chiesa protestante svizzera Gottfried Locher

M olti responsabili ecclesiastici se le aspettavano: le dimissioni del presidente della Chiesa evan-gelica riformata in Svizzera (Cers), Gottfried

Locher. Alcuni ritengono che si tratti di una «logica con-seguenza» della situazione venutasi a creare nelle ultime settimane, secondo altri sarebbe in corso una «condanna a priori». Il presidente del Consiglio sinodale della Chiesa riformata di San Gallo, Martin Schmidt, ritiene che si tratti di «un passo diventato ormai inevitabile». Michel Müller, presidente riformato zurighese, afferma addirittura che fos-se «tempo ed ora» che Locher lasciasse il suo posto.

Nelle ultime settimane la pressione nei confronti di Gottfried Locher si era intensificata. Parecchi esponen-ti ecclesiastici riformati avevano chiesto informazioni e trasparenza sui motivi che avevano spinto la teologa Sabine Brändlin a dare le dimissioni dal Consiglio del-la Cers. Quattro presidenti cantonali, tra i quali anche lo zurighese Michel Müller, avevano inoltrato una lettera al Consiglio della Cers nella quale chiedevano chiarimen-ti. Una dozzina di pastore e pastori avevano pubblicato una lettera aperta nella quale esigevano risposte chiare. Gli estensori della lettera affermavano che ci sarebbero «diversi e seri indizi» in base ai quali ritenere che i proble-mi all’interno del Consiglio fossero legati a non precisate forme di abuso. Le testate del gruppo Tamedia avevano ri-portato la notizia secondo cui contro Locher sarebbe stata inoltrata una denuncia. La pastora Sibylle Forrer, firmata-ria della lettera aperta, ha affermato: «Le dimissioni pos-sono essere interpretate come una conferma che le accuse abbiano un certo fondamento».

Le accuse contro Locher non sono state rese pubbliche, né sono state ufficialmente confermate. Si tratta dunque di illazioni, e in simili casi vale il principio della presunzione di innocenza. Per questo motivo Michel Müller insiste con la richiesta, rivolta al Consiglio della Cers, di fare chiarezza sulla vicenda. Nel mirino non c’è solo il ruolo di Locher, bensì quello dell’intero Consiglio. «Proprio per questo – insiste Müller – abbiamo bisogno di risposte esaustive, an-che dopo le dimissioni del presidente».

A favore di Gottfried Locher interviene il presiden-te della Chiesa evangelica riformata di Basilea-cit-tà, Lukas Kundert. La decisione di Locher di lasciare il suo incarico suscita in Kundert «un profondo dispiace-re», in quanto il presidente dimissionario ha posto «pie-

tre miliari» sul cammino a esempio dell’unità delle chiese riformate in Svizzera e ha gettato «promettenti basi per un rinnovato dialogo ecumenico con la Chie-sa cattolica romana in Svizzera e a livello europeo». Anche se le accuse dovessero rivelarsi infondate, sostiene invece Michel Müller, Locher non era più in grado di eser-citare la sua funzione di presidente. La Cers e il suo presi-dente avrebbero sempre opposto il silenzio nei confronti di tutte le accuse, «e ciò non ha certamente contribuito a ripristinare la fiducia», conclude Müller.

Ora si tratta di raccogliere i cocci, afferma Martin Schmidt. «Dobbiamo ripartire da zero e ricostruire un clima di fidu-cia». E per fare questo, suggerisce il presidente della chiesa sangallese, occorre esaminare anche il lavoro del Consiglio della Cers e riflettere sul difficile ruolo della presidenza.

Anche Sibylle Forrer chiede un esame approfondito del-la situazione. «Occorre far luce sulla vicenda», dice la pa-stora, «senza dimenticare di verificare la posizione di chi era a conoscenza dei fatti, ma ha deciso di non interveni-re». Inoltre auspica che siano prese misure tese a impedire abusi di ogni genere. «Dobbiamo riflettere attentamente su quali strutture possano impedire abusi di potere. Perché simili abusi si verificano ovunque. Anche nelle chiese».

Tratto da Voce Evangelica

Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 3

DALLA PRIMA PAGINA

E invece l’infermiere è proprio per i ventenni che si preoccupa, come incapace di comprendere appieno la natura infida di questa pandemia che resta silente finché il contagio si muove tra persone giovani e sane per poi esplodere quando raggiun-ge i più deboli, i malati e gli anziani. Eppure ogni sera alle sette, i newyorchesi applaudono e fanno il tifo per i medici e gli ospedalieri, ma anche per loro stessi tutti, che con disciplina sono riusciti a frenare il virus.

L’infermiere però ha ragione. Le manifestazioni non solo non si possono fermare ma, sono convin-ta, non si devono fermare. Malgrado, il Covid19 che ancora ci minaccia. Malgrado si fosse vicini a riaprire i cantieri e qualche negozio ridando lavo-ro, già solo in città a più di trecentomila persone. Malgrado anche gli episodi di violento vandalismo e saccheggio che si sono diffusi a macchia d’olio usando le proteste come scusa e copertura. Sotto

le nostre finestre abbiamo visto decine di ragazzet-ti che spaccavano vetrine con mazze da baseball e accette da pompiere per portarsi via un paio di occhiali neri, un cellulare, o un paio di scarpe e le loro azioni così violente e gratuite facevano paura. Ora la città, già piegata economicamente, è anche coperta di legno compensato e molti negozianti ora sono un passo più vicini alla bancarotta.

Ma è da qui che parte una importante conside-razione. Perché di sera la polizia non ha fermato vandali e ladri. C’era in massa, camionette su ca-mionette, le luci lampeggianti qualche isolato più a nord. Ma ha lasciato fare. Tuttavia, qualche ora più tardi, a Brooklyn ha accerchiato, picchiato, e arre-stato i pacifici manifestanti.

Queste sono forze dell’ordine che hanno perso ogni direzione morale. Invece di proteggere i citta-dini proteggono e difendono i loro membri razzisti e violenti. Invece di garantire il diritto costituzio-nale di libertà di parola arrestano i manifestanti e

lasciano andare liberi i ladri. Ha dunque ragione chi chiede cambiamenti radicali. Tutti i paesi del mondo hanno corpi di polizia, ma questi non han-no bisogno di essere pericolosi eserciti interni per-cepiti dai neri come temibili forze di occupazione. Penso ai miei genitori, cresciuti durante l’occupa-zione tedesca e alle regole di sicurezza che i miei nonni insegnarono loro perché potessero andare e tornare da scuola e giocare liberi malgrado i soldati stranieri.

Come si può vivere in un paese dove i genitori neri sentono di dover fare lo stesso con i loro figli per assicurarsi che non vengano uccisi dalla polizia?

E mentre scrivo, oggi è domenica 7, migliaia di persone sfilano sotto le mie finestre. Black lives matter! E io mi aggiungo a loro. Certamente la vita di ogni donna o uomo conta. E senza giusti-zia per ogni creatura del Signore, che pace potrà mai esserci?

* vive a New York, insegna Economia alla Co-lumbia University e NYU

Quale pace senza giustizia?CAterinA MusAtti*

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VITA DELLE CHIESE

LA PAGINA PER I BAMBINI

La preghiera (Matteo 6, 5-14)

G esù ci ha dato tanti insegna-menti, e uno di questi ri-guarda la preghiera. Quando

preghiamo, ci dice Gesù, non dobbia-mo preoccuparci della forma, e cioè di quanti e quali paroloni diciamo. Quando preghiamo, parliamo con Dio, e lui sa già molto bene quello di cui abbiamo bisogno, perché siamo suoi figli e sue figlie. Le nostre pre-ghiere vengono ascoltate, accolte ed esaudite da Dio, non perché parliamo in modo perfetto, elegante o compli-cato. Bastano delle semplici parole: Dio ci conosce molto bene, sa quali sono le nostre preoccupazioni, le no-stre paure, le nostre speranze, le no-stre necessità, prima ancora che gliele diciamo in preghiera.

Dietro il raccontoHelene FontAnA

P regare “nella cameret-ta” (v. 6): Gesù qui tratta le preghiere “private” dei

credenti (cioè non quelle fatte nel culto). Era usanza degli ebrei pregare in momenti fissi durante la giornata, in particolare la sera quando nel Tempio veniva fat-to il sacrificio. In quel momento, anche chi si trovava in strada o in piazza si fermava per pregare. La critica di Gesù si rivolge però a coloro che usavano la preghiera come un mezzo per mettersi in mostra e per avere l’approvazione delle persone. Una preghiera fatta con questo scopo in realtà non è rivolta a Dio. Gesù perciò ricorda che la preghiera vera è indirizza-ta a Dio soltanto. Per sottolinea-re questo fatto dice di pregare da soli, in privato, come contrasto all’ipocrisia di coloro che invece ostentano la loro preghiera. Gesù non si oppone al culto comunita-rio, né è da prendere alla lettera la raccomandazione di pregare nella cameretta, di cui la maggior

parte delle case di quei tempi non disponevano... è piuttosto un’im-magine per sottolineare il vero senso del pregare: riguarda il no-stro rapporto con Dio e a lui solo è rivolta.

Pregare senza troppe parole (vv. 7-8): a questo punto viene aggiun-to un secondo esempio negativo a proposito della preghiera: quello dei pagani che pensano che una preghiera lunga e piena di parole produca effetti superiori. La pre-ghiera, secondo questa concezio-ne, è una specie di formula ma-gica con cui è possibile indurre Dio a seguire la nostra volontà. In realtà Dio sa già di che cosa abbia-mo bisogno prima che glielo chie-diamo, la preghiera è più che altro un modo in cui possiamo “sinto-nizzarci” con la sua volontà: non serve a imporre a Dio la nostra volontà, ma a noi per comprende-re e seguire la volontà di Dio.

(Trovate il testo completo nel pdf scaricabile)

In questa puntata della serie sul “Sermo-ne sul monte” incontriamo una preghiera conosciuta da tutti, grandi e piccoli, anzi

potremmo dire “la” preghiera per antono-masia: il Padre Nostro. E scopriamo che non si prega soltanto con le parole, ma anche

con il canto, la danza e… il gioco!Trovate i materiali completi nel pdf scaricabile dal QR code qui a fianco.

Riflettiamo insiemeParlare con Dio è parlare con qualcuno di cui ci fidiamo e che ci vuole bene: ma che cosa vuol dire pregare, come si fa?

• Per chi, o per che cosa pregate (ringraziare, chiedere scusa, chiedere aiuto per le persone…)?

• Quando pregate? Ci sono momenti della giornata (a pranzo, a cena, la mattina ap-pena svegli, la sera prima di addormentarvi…) o occasioni particolari (prima di una verifica o di una gara, dopo un litigio, quando siete tristi, quando siete felici…)?

• Che cosa raccontate a Dio nelle vostre preghiere? Che cosa gli chiedete? Come vi sentite se non si realizza quello che avete chiesto?

• Esistono tanti tipi di preghiere e modi di pregare (preghiera silenziosa, preghiera collettiva, canto, danza…), voi quali conoscete?

• Leggete le parole del Padre nostro: che cosa vogliono dire le sue richieste?

Pagina in collaborazione con La

Scuola domenicale e L’Amico dei fanciulli

Pregare… cantando

Ci sono diverse versioni cantate del Padre Nostro: il n. 217 dell’”Innario cri-

stiano” (Claudiana, 2000), che potete ascoltare nel bel video creato da una “corale virtuale” sul canale YouTube “Commis-sione Musica Ced I”. Sul sito www.chiesavaldese.org/riserv trovate le basi di questo e di molti altri inni.Nella raccolta “Celebriamo il Risorto”, usata soprattutto nelle chiese battiste (Clau-diana, 2014), ce ne sono ben cinque: potete scaricare gli spartiti, le tracce audio e i karaoke dal sito www.ucebi.it nella sezione Ucebinmusica/Innario multimediale.

“La preghiera” nella copertina di gennaio 1884 de “L’Amico dei fanciulli” Diventiamo creativi

Il dado della preghiera Occorrente: cartoncino bianco A4; sagoma del dado come nell’esempio qui a fianco e nel pdf scaricabile; colori; colla stick; forbici. Stampate la sagoma del dado su un cartoncino bianco. Su ciascuna faccia del dado disegnate e colorate i motivi delle vostre preghiere: i più piccoli possono disegnare, per esempio, cibo, animali, famiglia, amici… I più grandi possono scrivere queste parole: natura, grazie, aiuto, lode, gioia, benedi-zione, e poi decorare ciascuna faccia del dado come preferiscono.Ritagliate la sagoma e, dopo aver piegato le linguette verso l’interno, incollate-le in modo da ottenere il dado. Lanciando il dado potrete scegliere per cosa pregare!

Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 4

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VITA DELLE CHIESE

LA PAGINA PER I BAMBINI

VITA DELLE CHIESE

IN ITALIA

Innario Cristiano: disponibili le nuove basiIl Ministero musicale battista propone un repertorio di materiali su alcuni inni

L a Commissione del Ministero musicale dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi) ha avvia-to una sperimentazione per creare delle basi dell’In-

nario Cristiano (Claudiana, 2000) che hanno delle carat-teristiche specifiche: possono essere utilizzate per incontri di preghiera, per una liturgia comunitaria (qualora manchi l’organista o il gruppo musicale), o possono essere anche di semplice ascolto per assaporare la bellezza artistica e spiri-tuale del repertorio innologico del Protestantesimo.

Il lavoro è organizzato in varie cartelle: 1. Scheda, dove vengono indicati gli inni proposti e inseriti nelle “stanze liturgiche”, le indicazioni metronomiche e le corrispon-denze con l’innario Celebriamo il Risorto (Claudiana, 2014); 2. Insegnamento, dove viene riprodotto l’inno con una voce guida in evidenza; 3. Voce-orchestra, dove l’in-no viene riprodotto ad alta fedeltà per l’ascolto. Alle car-telle 4 e 5, poi, si trovano le basi “solo pianoforte” o “solo orchestra”. Il lavoro si conclude con le cartelle 6 e 7 dove sono riportati sia i testi degli inni in Word sia in Power-Point, strumento oggi quanto mai utile, date le disposi-zioni governative anti-Covid.

«Balzerà subito alla vista – afferma Carlo Lella, respon-sabile del Ministero musicale – che nella didattica abbia-mo utilizzato il pianoforte piuttosto che l’organo. Questo per due ragioni: abbiamo pensato che il pianoforte è uno strumento più utilizzato per la didattica, dovendo oltretut-to fare uso di suoni campionati; la seconda, è che già sono state prodotte basi organistiche di notevole valore (a esem-pio, quelle del maestro Iolando Scarpa per il lavoro della Commissione Culto e liturgia battista, valdese e metodi-sta). L’organo poi non manca (e non può mancare, come del resto anche l’Harmonium), lo si ritroverà nella cartella 3. Voce-orchestra, dove tra l’altro è stata scelta una voce solista contemporanea: l’idea è di offrire una rivisitazione del repertorio innologico secondo un’ottica musicale e di ascolto contemporanea.

Infine, sia per il rispetto della nostra tradizione inno-logica, che ha fatto la storia della musica occidentale, sia soprattutto per la bellezza artistica del Corale, la Commis-sione del Ministero musicale ha messo in cantiere la pro-duzione di alcuni inni anche con le quattro voci (soprano, contralto, tenore e basso) da inserire sia nella parte didat-tica che nell’ascolto».

Chi vuole ricevere i materiali può scrivere a [email protected] un’e-mail con l’oggetto “Innario Cristia-no-basi musicali-inserimento nel database”.

Brescia La chiesa valdese solidale con i rifugiati A Collebeato, a pochi chilometri da Brescia, un centro Sprar era stato attaccato a colpi di pistola

M artedì 2 giugno, Festa della Re-pubblica: una data perfetta per manifestare solidarietà e dire

no alla violenza, come hanno fatto nel Co-mune di Collebeato, circa 4600 abitanti a 6 km da Brescia, per iniziativa dell’Ammini-strazione comunale e dell’Associazione per l’Ambasciata della democrazia locale (Adl) a Zavidovici.

Nella notte tra sabato e domenica era stato compiuto un «vile atto intimidatorio» (si legge nel comunicato), sparando cinque colpi di pistola contro l’abitazione di alcuni benefi-ciari dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che, secondo le prime indagini, avevano visto “qualcosa che non dovevano vedere”, uno scambio di droga tra spacciatore e cliente.

Immediata la reazione dell’associa-zione Adl, nata ai tempi della guerra in Bosnia Erzegovina per portare aiuto e soccorso alla popolazione civile, e acco-gliere profughi da quelle terre. Zavidovici è infatti una cittadina bosniaca dove nel tempo è nata una sede Adl, così come nelle zone di Alba e Cremona, oggi parte

di una rete che promuove l’integrazione sociale e culturale di rifugiati e cittadini stranieri, la cooperazione internazionale e la tutela dei diritti umani.

L’associazione ha mobilitato il territo-rio invitando «a compiere un semplice gesto simbolico di vicinanza, portando una bandiera della pace con indicato il nome dell’associazione e un breve mes-saggio scritto».

Le bandiere raccolte sono state appese al balcone dell’appartamento, per eviden-ziare «i valori della pace, dell’accoglienza e della solidarietà che vogliamo continuino a contraddistinguere la realtà collebeatese».

Tra coloro che hanno aderito all’appel-lo, una cinquantina di organizzazioni e un centinaio di persone presenti insieme al sindaco, anche la chiesa valdese di Brescia, che attraverso la pastora Anne Zell ha te-stimoniato la propria vicinanza. Anche se non si è trattato di un gesto a sfondo raz-zista, ha commentato il sindaco, è molto grave che ragazzi che scappano da scenari di guerra (Siria, Iraq, Somalia, Gambia) ri-cevano in casa dei proiettili, per qualun-que motivo.

Invito al culto«Cristo dice ai suoi discepoli: “Chi ascolta voi ascolta me; chi respinge voi, respinge me”» (Luca 10, 16)

14 giugno – 2a Domenica dopo Pentecoste

Testi bibliciSalmo della settimana: 132Giona 1, 1-2, 2 (3-10) 11; I Giovanni 4, (13-16a) 16b-21; Luca 16, 19-31Testo della predicazione: Atti degli apostoli 4, 32-37

La chiesa non è un club; non è nemmeno un plotone di truppe scelte dell’evangelo; è una comunità di peccatrici e peccatori radunata dallo Spirito nel nome di Gesù. Se però è veramente lo Spirito che raduna, e se l’elemento che unisce è veramente il nome di Gesù, qualcosa cambia, nella vita delle singole persone e del gruppo.

Lezionario comune rivedutoGenesi 18, 1-15; Salmo 116, 1-2.12-19; Romani 5, 1-8; Matteo 9, 35–10,8

Un’occasione da non perdere, quella di predicare sul testo di Genesi 18, che ha dato spunto per la creazione di uno dei capolavori dell’arte cristiana, l’icona della Trinità di Andrej Rubljov, detta anche icona della filoxenìa (ospitalità, amore per lo straniero) di Abramo e Sara.

InniInnario cristiano: nn. 148, 149. Celebriamo il Risorto: nn. 26, 28, 55, 56.

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VITA DELLE CHIESE

IN ITALIA

Servizio cristiano Il ricordo del capomastro Michelangelo Bastile

I l 31 maggio è scomparso Michelangelo Ba-stile, che fu capomastro del cantiere di fon-dazione del Villaggio Monte degli ulivi del

Servizio cristiano a Riesi (Caltanissetta). Lo ha ricordato il direttore Gianluca Fiusco sulla pa-gina Facebook della struttura: «Si è spento uno degli ultimi testimoni dell’epopea di Tullio Vi-nay e Leonardo Ricci in Sicilia, a Riesi – si legge nel post –. Michelangelo Bastile, nato nel 1933, fu coinvolto da Tullio Vinay nella realizzazione di quello che sarebbe diventato il Servizio cri-stiano. Affidato a Leonardo Ricci ne fu collabo-ratore, appassionato e intelligente esecutore dei progetti dell’architetto fiorentino.

Di quel periodo conservava ricordi lucidis-simi e riconoscenza verso quella che percepiva già allora come una esperienza che avrebbe at-traversato la storia di questi decenni. Michelan-gelo Bastile, ogni tanto lo si vedeva passeggiare tra gli ulivi del villaggio e, per chi lo incontrava, era sempre fonte di racconti, aneddoti e curiosi-

tà di quella esperienza di cui serbava memoria.Il Servizio Cristiano deve molto ai riesini

come Michelangelo che hanno avuto il coraggio e la forza di partecipare a quella che, altrimenti, sarebbe stata poco più di una esperienza avulsa dal territorio.

Michelangelo ieri, il figlio Peppe, attuale ma-nutentore del Servizio cristiano oggi, e molti al-tri e altre, hanno permesso all’utopia del Mon-do Nuovo di Vinay di incarnarsi nelle persone dei luoghi senza restarne estranea.

Michelangelo ha contribuito a seminare in una terra difficile un grande seme di speranza che, ancora oggi, testimonia il lavoro suo e delle persone che, con lui, si adoperarono. Questa spe-ranza sia la forza che ci sostenga anche nel tempo buio della sofferenza, della tristezza, della morte.

Alla moglie, Grazia, ai figli Peppe, Rosa, Gae-tano e Tanina, vanno il nostro affetto e la forza della speranza che, come ci ricorda l’epistola ai Romani, non delude». ( fonte: Nev)

MUSICA AL TEMPIOMILANO – “Musica al Tempio” con-tinua a offrire musica online: il 13 giugno alle 18 sul sito www.musica-altempio.it sarà caricato un video con una scelta di musiche di J. S. Bach per duo pianistico, interpretate da Maria Grazia Petrali e Andrea Turini, artisti molto noti, già presenti nelle passate stagioni. Nella sezione “Archivio” si trovano anche nuove registrazioni: “La petite messe” di G. Rossini (video della versione integrale); audio del concerto con musiche di Beethoven, Copland e Schumann del Quartetto Werter;

video con musiche di Brahms, Webern e Wagner del Quartetto Sigfried e Sandra Conte.

CENTRO CULTURALE PROTESTANTEMILANO – In attesa di riprendere le attività nella sala di via Francesco Sforza, il Ccp propone “Anteprime”: video inediti che anticipano futuri incontri su questioni teologiche, bibliche, storiche e politiche. Dopo Eric Noffke e i libri apocrifi, è cominciato un ciclo sulla spiritualità protestante con Raffaele Volpe e la spiritualità anabattista, che prosegue con Ema-

nuele Fiume e la spiritualità riformata. Tutti i video si possono guardare sul canale YouTube del Ccp. Per info: www.centroculturaleprotestante.info; [email protected].

“PROTESTANTESIMO”La prossima puntata andrà in onda domenica 14 giugno alle ore 8,00 (circa) su Rai Due e in replica martedì 16 giugno alle ore 2,30 e domenica 21 giugno alle ore 1,00. In questa puntata: “Scuola: quale futuro?”: scuole chiuse. Aule vuote. Corridoi deserti. Campa-nella muta. Banchi impolverati. Ma an-

che didattica a distanza, video-lezioni e verifiche online. Negli ultimi mesi è stata questa la scuola per milioni di ragazzi. Il Coronavirus ha travolto il sistema scolastico e accentuato le disuguaglianze. Ma a settembre che situazione ritroveremo? Quali scorie lascerà questa pandemia sul nostro sistema didattico? E soprattutto come la vogliamo la scuola del futuro? Per rivedere le puntate precedenti: https://www.raiplay.it/programmi/protestantesimo

Foggia Celeste Fiorella, colonna della comunità valdeseMiCHele loFFredo

«L a sorella valdese Celeste Fiorel-la lascia un vuoto umano e spi-rituale veramente incolmabile»:

questo il ricordo della nostra sorella nelle parole di Angelo Chirico, segretario del Consiglio ecumenico di Foggia. «Sempre al servizio degli ultimi e degli emarginati», continua Chirico nella sua testimonianza. Celeste infatti è stata il volto e la voce val-dese nel Consiglio ecumenico di Foggia. Una sorella amata e apprezzata per il suo spirito di servizio.

Nata cattolica, da oltre un trentennio si era totalmente integrata nella comunità valdese della intera Capitanata. Infatti an-che le chiese di Cerignola e Orsara la ricor-dano commosse, con affetto e gratitudine. Nella tarda mattinata del 26 maggio, infat-ti, la nostra cara sorella Celeste si è prema-turamente addormentata nel Signore.

Una vera colonna della comunità foggia-na. Anziana del consiglio di chiesa, sempre presente nelle assemblee di Circuito e alle Conferenze distrettuali. Spesso è stata anche deputata al Sinodo per la chiesa di Foggia.

Celeste concretizzava nella vita di tutti i giorni la parola di Gesù «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Madre e nonna piena d’amore per le sue figlie, per suo figlio e i suoi nipoti. Sorella di chiesa instancabile e generosa, amica sempre pre-sente. Ci mancherà tanto, ma ringraziamo Dio per averla conosciuta.

Sapendo che vale anche per lei ciò che scrisse l’apostolo Paolo a Timoteo: «Ho combattuto il buon combattimento, ho fi-nito la corsa, ho conservato la fede» (II Ti-moteo 4, 7).

L’informazione evangelica a portatadi pollicePietro roMeo

Q uello di Riforma è uno sforzo costante: pro-durre informazione di qualità sul e dal mon-do protestante, difficilmente reperibile in

Italia (o in italiano) e proporvela, ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, tramite i canali che abbiamo scelto quali i più idonei e fruibili. Lo abbiamo fat-to, in particolare, per tutta la durata dell’emergenza, mettendo anche a disposizione gratuita, ogni setti-mana, il PDF del numero cartaceo.

A quelli già conosciuti, da qualche giorno, abbiamo aggiunto Telegram. Per chi non la conoscesse è un’app di messaggistica istantanea per smartphone (esatta-mente come Whatsapp, Messenger e altri), con poten-zialità superiori che la rendono particolarmente adatta alla divulgazione immediata delle informazioni.

Utilizzata da numerose testate online, è stata scel-ta anche dal ministero della Salute, in occasione de-gli aggiornamenti alla popolazione sull’emergenza del Covid-19.

Tramite i suoi cosiddetti “canali” permette di ri-cevere, sul proprio smartphone, i link cliccabili agli articoli appena pubblicati, con un’anteprima del tito-lo, sottotitolo e foto. Ci si iscrive e si ricevono, senza poter replicare o rendere il proprio numero telefo-nico pubblico, come nei gruppi Whatsapp e con la possibilità di silenziare la chat (per chi teme notifi-che continue), lasciandoci liberi di consultare le news quando si preferisce.

In questo modo potrete seguire, sul vostro cellula-re, gli aggiornamenti di riforma.it accedendo diretta-mente da mobile agli articoli: lo smartphone li leggerà in modalità, appunto, mobile, quindi confezionati ad hoc per i piccoli schermi dei vostri dispositivi mobili, ovunque voi siate.

Per unirsi al nostro canale è sufficiente scaricare l’app (disponibile per iOs e Android) e cliccare il se-guente link: https://t.me/riformaecovalli.

Non vi resta che unirvi al canale e aspettare la prossima news!

Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 6 Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 7

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Fascicolo interno a RIFORMA n. 23 del 12 giugno 2020 Reg. Trib. Pinerolo n. 176/1951. Resp. ai sensi di legge: Luca Maria Negro Edizioni Protestanti srl, via San Pio V n. 15, 10125 Torino Stampa: Alma Tipografica srl - Villanova Mondovì (CN)

FederazioneDonne

EvangelicheIn ItaliaNotiziario

FdeiNumero 66

La Fdei scrive alla ministra per le Pari OpportunitàIl Comitato Nazionale della Fdei nel suo

ultimo incontro ha deciso di scrivere una lettera in particolare alla Ministra Elena Bonetti (Pari Opportunità e Famiglia) e per conoscenza alla Ministra Nunzia Catalfo (La-voro e Politiche Sociali) e al ministro Roberto Speranza (Salute) e, tramite loro, a tutto il Governo, per esprimere la sua preoccupazio-ne sulla situazione peggiorativa delle donne nella pandemia, avanzare delle proposte per una ripartenza e il necessario cambiamento che mettano i bisogni e le potenzialità delle donne al centro.

G entile Ministra, innan-zitutto vorremmo espri-mere il nostro ringrazia-mento per quanto è stato

pensato e fatto per venire incontro alle donne in questi mesi di pande-mia. Il Governo ha dovuto affrontare una sfida immane, non sempre asse-condato da una critica costruttiva: giudicare è molto più facile che gover-nare. Per cui, il nostro auspicio è che chi ha il compito di dirigere il Paese non si lasci demotivare, nonostante le mille difficoltà e le incomprensioni.

Noi donne evangeliche, in questo periodo di isolamento fisico ma non sociale, oltre ad attivarci per contri-buire in maniere diverse ad alleviare le sofferenze, guardando al presente e pensando al futuro, non possiamo fare a meno di rilevare motivi di pre-occupazione. Ma non vogliamo limi-tarci solo a questo, vorremmo anche esprimerLe alcune nostre riflessioni per contribuire a costruire un futuro migliore.

Cominciamo con le preoccupazioni: la situazione delle donne in questo pe-riodo di pandemia, come anche Lei ha avuto modo di constatare, è notevol-mente peggiorata per svariate ragioni.

La violenza contro le donne è par-ticolarmente aumentata. Ma non solo, le varie situazioni in cui le don-ne si sono venute a trovare e che han-no condizionato le loro scelte rischia-no di farle retrocedere di molto nella scala sociale. Non vorremmo che si riaffermasse un modello patriarcale che riveda l’egemonia dei più forti a danno dei più deboli.

Costrette a casa, la mole di lavoro delle donne che continuano anche a svolgere un’attività è notevolmente aumentata. Altre, non riuscendo a sopportare il carico, hanno dovuto rinunciare al lavoro remunerato. Le donne guadagnano meno degli uomi-ni, anche a parità di impiego, è quindi normale che, se qualcuno deve sacri-ficare o rinunciare alla propria attivi-tà per il bene della famiglia, siano le donne a farlo. Ci spiace però vedere tante donne costrette a scegliere tra carriera e maternità.

Ma moltissime non hanno avu-to neppure la possibilità di scegliere perché hanno perso il loro posto di lavoro.

In questo, il divario tra nord e sud ha penalizzato molto le abitanti delle aree meno servite. Una percentuale troppo alta di donne del sud sono riuscite a

trovare lavoro solo in nero e quindi in questi mesi non hanno avuto neppu-re quel piccolo sostegno familiare che talvolta è vitale per la famiglia.

Lo slogan “Io resto a casa”, che ci ha accompagnati/e durante l’emer-genza, può rivelarsi una triste profe-zia per le donne. Si rischia di perdere le conquiste sociali con tanta fatica conquistate e di rinvigorire il sistema economico passato che ha penalizza-to la dignità a vantaggio del profitto.

Molti lavori di cura di cui si oc-cupano principalmente i/le migranti sono svolti da persone spesso preca-rie, malpagate, non garantite, impos-sibilitate a curarsi, vittime di emargi-nazione e razzismo.

Inoltre, essendo gli ospedali ob-bligati a occuparsi dell’emergenza Covid 19, le donne malate di altre pa-tologie hanno dovuto interrompere le cure con gravissime conseguenze; anche i trattamenti oncologici sono

stati sospesi, e chi faceva riabilitazio-ne ha dovuto fermarsi per 3 mesi e ha subito danni incalcolabili.

Anche qui si è notata la discrepan-za tra sud e nord. I tagli fatti alla sa-nità in passato hanno rivelato tutta la loro gravità, nonostante la prova eroica del personale sanitario che si è speso senza risparmiarsi. E pensan-do poi all’immediato futuro, finita la fase emergenziale, si noterano altre conseguenze in aggiunta alle fragili-tà del passato: ci riferiamo agli effetti pesanti che questa pandemia avrà a livello psicologico.

Ma non vogliamo solo rilevare i problemi, vorremmo anche provare a pensare a un futuro migliore senz’al-tro del presente, ma anche migliore del passato. Come qualcuno/a diceva: non è tanto auspicabile ritornare alla “normalità” così come essa è stata de-clinata in precedenza.

La fiducia vince la paura (Matteo 14: 22-33) Daniela lucci

I discepoli sulla barca ebbero paura nel vedere Gesù che camminava sopra le acque. “Sarà un fanta-sma”, gridarono impauriti! I discepoli esprimono

legittimamente le loro paure, come lo facciamo noi quando ci sentiamo smarriti. Gesù non ingigantisce le loro paure, ma le sgonfia con una parola di fiducia: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. La sua parola è in grado di schiodare le paure più profonde.

Possiamo rinascere se la Sua presenza allontana i fantasmi e genera fiducia e forza d’animo. Quando si vive sotto la cappa soffocante della paura, siamo inesorabilmente trascinati nell’ansietà e rischia-mo di aggiungere dolore al dolore. Come afferma lo scrittore Giorgio Bassani nel suo celeberrimo romanzo Il giardino dei Finzi-Contini, «la paura è

sempre una pessima consigliera». La paura può es-sere paralizzante più di qualsiasi altro dolore per-ché riduce la nostra capacità di reagire con fiducia, con coraggio e con speranza.

Nella fase di transizione che stiamo vivendo, il nodo della questione non è quello di vivere senza paura. La prudenza è d’obbligo perché rivela non solo la paura, ma anche il senso di responsabilità per noi e per il prossimo. Bisogna però non farsi vincere dalla paura e comprendere, con l’aiuto di Dio, come la fiducia in Dio e nella prossimità ci possa aiutare a convivere in modo sano con i fanta-smi che fanno capolino nel nostro animo.

Se la luce di Dio illumina la nostra esistenza, le nebbie della paura vengono relegate in periferia,

perché noi non viviamo più in funzione della paura. Anche se viviamo un momento di sconcerto, anche se tutto può sembrarci buio, l’amore e la fiducia in Dio possono aprirci nuove possibilità, dissipare i fantasmi dei nostri timori più nascosti.

Vorrei concludere questa riflessione con una pre-ghiera: «Dio nostro, timori eccessivi possono intrap-polare la nostra vita perché ci inchiodano a ciò che siamo e a ciò che non possiamo cambiare. Eppure Tu sei un Dio benevolo! Vuoi insegnarci la via della fiducia che ci insegna a dare un nome alle nostre paure, per vincerle e non per lasciarci asservire dal-le ombre di cui è costellato il nostro cammino. Che l’amore e la fiducia in Te possano essere i cardini della nostra vita». Amen

SEGUE A PAGINA 4

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Notiziario Fdei · numero 66 · 12 giugno 2020 · pagina 2

NOTIZIARIO FDEI

La FDEI scrive alle donne delle chiese

C are sorelle, la FDEI ha pensato di scrivervi in questo momento di lenta e faticosa ripresa delle attività, per conoscere le esperienze vissute nelle

comunità, per riallacciare i rapporti resi complicati dal lungo periodo di confinamento.

Le nostre chiese hanno saputo affrontare l’emergenza fornendo servizi a distanza e il rapporto pastorale non si è interrotto. Ma cosa fare ora per ricominciare? Non basta riprendere il lavoro interrotto e non sempre sarà possibile. L’emergenza della pandemia ci ha costretto a riflettere sul nostro modo di vivere e di pensare, ha mes-so in luce problemi che conoscevamo e che ora appaio-no ancora più drammatici. Si deve ripensare il mondo partendo dall’esperienza, non ancora conclusa, del vivere con la precarietà.

Desideriamo sottoporvi alcune riflessioni e temi su cui lavorare, adattandoli al contesto comunitario, agli indirizzi di attività già consolidati.

Il primo e drammatico tema è quello della violenza domestica, che la forzata reclusione ha amplificato e insieme nascosto. Molte chiese sono in relazione con Case per donne maltrattate e hanno già proposto ap-profondimenti sull’argomento e programmato attività. Invitiamo tutte a rafforzare l’attenzione e la presa di pa-rola sulla violenza e ad aver cura delle situazioni di cui vengono a conoscenza. Sempre a questo proposito, non dimentichiamo le donne prostituite, la cui condizione

di vita nella violenza non sempre viene riconosciuta da altre donne. La domesticità forzata piace pericolosamen-te a molti e viene considerata un vantaggio per le donne con figli piccoli, così come la scuola in forma di DAD (didattica a distanza). Certamente ogni supporto tecno-logico è utile, se non si dimentica il rischio di esclusione delle persone e delle categorie più svantaggiate e quello complessivo dell’affermarsi di una società senza vera co-munità.

Ripensare il territorio e dunque l’abitare, assistere e cu-rare in termini di sistemi di relazione, di reciprocità, è compito di tutte e di tutti, ma le donne sono sicuramen-te portatrici di punti di vista necessari.

Collegato a quanto espresso è il tema della solitu-dine. Non occorrono esempi, li abbiamo sperimentati. Cerchiamoci con ogni mezzo a disposizione, in questo tempo incerto di limitazione di movimento, proponia-mo incontri, appuntamenti anche online, per parlare e conoscersi meglio.

La FDEI invita le sorelle delle chiese che ne fanno parte a raccontarsi e raccontarci, rimanendo in ascol-to reciproco. Attraverso i suoi strumenti comunicativi, i Notiziari FDEI, i 16 giorni, il gruppo FDEI facebook, le voci delle donne avranno spazio e modi per costruire memoria e progettare futuro.

Che Dio vi benedica e vi sostenga.Per il Comitato Nazionale FDEI, pastora Gabriela Lio

maggio 2020

Nel bisogno una mano ti sostieneMarina Bertin, luserna san Giovanni

I l giorno che ci è stato imposto il con-finamento ci ha trovati tutti impre-parati e tutti abbiamo cercato le linee

guida sul da farsi per proteggere il nostro “nido” affinché i nostri cari fossero al sicu-ro; le nostre relazioni personali e di amici-zia sono da quel giorno diventate possibili solo su connessione tramite le varie forme di social.

Vivo nelle Valli Valdesi, dove inizialmen-te si pensava che le precauzioni e il confina-mento obbligato ci preservassero dal conta-gio, ma ai primi casi nella nostra cittadina abbiamo avuto un attimo di apprensione, poi paura e angoscia: paura di essere attac-cati dalla malattia poiché tutti consapevoli che il virus era ovunque, angoscia perché insicuri sulla durata del confinamento.

Si è reagito presto però allo sconforto, pensando ai concittadini in difficoltà, an-ziani soli, famiglie con bisogni di aiuti im-mediati. È stata una gara alla solidarietà tra associazioni, protezione civile, negozi di alimentari, servizi sociali e amministrazio-ni comunali che hanno individuato questi soggetti e sono riusciti a portare loro aiuti e soprattutto è stato possibile distribuire di-spositivi covid alle case di riposo e comuni-tà disabili presenti sul territorio.

Questa esperienza ci ha permesso di co-noscere e apprezzare il “lato buono delle persone”, con la certezza che nel momento del bisogno c’è sempre una mano che ti so-stiene e ti accompagna.

Il valore del contatto umanoFranca collavo, roMa

D opo l’8 marzo, al moltiplicarsi dei conta-gi e delle vittime, ho avuto l’impressione che una valanga mi cadesse addosso: con il

blocco totale e l’obbligo di restare in casa, il primo pensiero è stato “e adesso come faccio ad andare in ufficio a Roma?” (da Fiumicino). Subito ho realizzato che era sciocco preoccuparmi delle scartoffie, meno importanti rispetto a sorelle e fratelli di chiesa. Ho perciò cominciato a chiamare e videochiamare, in particolare le sorelle immigrate per sapere se aves-sero bisogno di qualsiasi aiuto.

Quando poi sono iniziate ad arrivare le notizie

del contagio di loro parenti e amici del Perù, dell’E-cuador e del Brasile, le telefonate sono diventate il mio impegno quotidiano soprattutto per ascolta-re, incoraggiare e sostenere. Un aiuto morale, ma anche pratico: alcune di loro hanno avuto bisogno di aiuto per la compilazione delle domande per ot-tenere sostegni economici da parte della Regione Lazio e del Comune di Roma, aiuto che io potevo dare da casa.

Malgrado la “segregazione”, questo periodo mi è trascorso velocemente e mi ha permesso di risco-prire il valore dei contatti umani, che troppo spesso trascuriamo per la nostra vita frettolosa e frenetica.

LE DONNE E LE CHIESE EVANGELICHE NEI GIORNI DEL CORONAVIRUS LE DONNE E LE CHIESE EVANGELICHE NEI GIORNI DEL CORONAVIRUS

È certo che i giorni che abbiamo vissuto e che abbiamo ancora davanti hanno segnato e segneranno tutte e tutti. In queste due

pagine, abbiamo raccolto alcune testimonianze di come le donne delle varie comunità hanno reagito, negli ambiti delle loro attività, per andare incontro alle persone più fragili e cercare di rispondere alle paure di tutt*. Pubblichiamo inoltre la lettera che la FDEI rivolge alle donne delle chiese evangeliche per incoraggiarle e indi-rizzarle e, a concludere, una preghiera scritta da due pastore per il culto di questa Pasqua diversa.

Comitato Nazionale FDEIGabriela Lio, presidente, [email protected]; Marina Bertin, [email protected]; Dora Bognandi, [email protected]; Franca Collavo, [email protected]; Martina Goetze, [email protected]; Daniela Lucci, [email protected]; Virginia Longo, [email protected]; An-nie Marcelo, [email protected]; Laura Nitti, [email protected]; Barbara Oliveri Caviglia [email protected].

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Notiziario Fdei · numero 66 · 12 giugno 2020 · pagina 3

NOTIZIARIO FDEI

Il beneficio della condivisioneDaniela lucci, locarno

I n questo tempo ferito, come famiglia pastorale (mio marito è pastore a Locarno) ci siamo sentiti come un campo di battaglia nel quale sono con-

fluite emozioni, paure e domande di chi bussava alla porta di casa, chi ha scritto o telefonato per cercare di sentire una voce amica, una parola di incoraggiamen-to e di speranza. Non è facile provare ad essere una bussola quando insieme ci si trova nella stessa barca sballottata dalla tempesta. Ciononostante, ho com-preso che si può donare conforto ed esprimere solida-rietà nella condivisione delle stesse paure, paure non solo per se stessi, ma anche e soprattutto per i propri cari e per la comunità. La notte non è finita, ma i tan-ti dialoghi che in questo tempo ferito abbiamo avuto all’interno e all’esterno della famiglia, a volte anche pieni di tensione, hanno rafforzato il nostro legame come famiglia e come comunità. Credo di poter dire che la condivisione in sé è una strada che alleggerisce il cammino.

La didattica a distanza: meglio del previstoMartina Goetze, Milano

D al 21 febbraio le scuole sono chiu-se e docenti e alunni cercano per quanto possibile di sostituire la

normale routine scolastica con la cosiddet-ta didattica online.

Come si può immaginare questo mette tutto il sistema davanti ad una grande sfida in cui ci vuole innanzitutto pazienza e l’u-miltà di imparare ad utilizzare e applicare strumenti nuovi oltre ad una grande flessi-bilità da parte di tutti.

Io insegno conversazione tedesca in una scuola superiore in Lombardia. La mia scuola ha organizzato un orario di video- lezioni di tre ore al mattino per tutte le classi, alle quali si affiancano le consegne e le correzioni dei compiti scritti.

Devo dire che funziona meglio del pre-visto. A parte alcuni singoli casi in cui i coordinatori di classe hanno fatto salti mortali, nonché diverse chiamate alle fa-miglie per riuscire a far partecipare tutti gli alunni, la maggior parte accoglie con piacere i momenti di condivisione che, ol-tre a dare comunque un ritmo alle giorna-te, permettono agli alunni di non sentirsi “persi” o dimenticati e offrono momenti di riflessioni insieme. Vedo che per alcuni alunni o classi particolarmente “vivaci” in classe, il profitto è ottimo perché vengono meno tanti fattori che spesso disturbano la normale routine didattica.

La chiesa, un bene da tenere stretto lina Ferrara, roMa

«La lontananza forzata ci ha permes-so di riscoprire il grande dono della chiesa, un bene da tenerci stretto».

«Fermarsi ci ha aiutato a valorizzare i rap-porti umani». «Quando perdiamo qualcosa ne comprendiamo l’importanza». Sono alcu-ne delle reazioni di donne avventiste dopo la chiusura dei luoghi di culto. Ma non si sono fermate. Donne comunicative, hanno creato iniziative locali - telefonate, video chiamate, chat – per essere ancora comunità e confor-tare chi era sola e scoraggiata; hanno condivi-

so la serie video «Contagiati dalla Speranza», prodotta dai Ministeri Femminili nazionali. Donne solidali, in varie città si sono orga-nizzate per fare la spesa e distribuire alimen-ti alle famiglie rimaste senza niente. «Meno male sei venuta, ieri ho finito l’ultimo pacco di riso» ha detto un residente di Amatrice. Don-ne di preghiera, ogni lunedì sera si riunisco-no virtualmente per presentare al Signore le varie situazioni causate dal virus e dall’“Io-RestoACasa”. Donne di fede, sanno che: “Chi abita al riparo dell’Altissimo, riposa all’ombra dell’Onnipotente» (Salmo 91:1).

Cura pastorale vicina grazie allo Spirito (e al web)virGinia Pavoni lonGo

A ll’inizio del 2020, chi avrebbe mai imma-ginato che un virus, che circolava in un Paese tanto lontano dal nostro, avrebbe

potuto diffondersi tanto velocemente e avrebbe causato tanti problemi per la salute e per il siste-ma sanitario ed economico?

Non so se quando questi miei pensieri saran-no letti, saremo usciti dalla pandemia, ma men-tre scrivo tutto il mondo sta ancora combattendo contro questo nemico invisibile. Le nostre abitu-dini di vita sono cambiate, con negozi e industrie chiusi per rispettare le disposizioni e le normative del nostro Governo. Anche le nostre chiese sono rimaste chiuse e di conseguenza abbiamo dovu-to pensare e adattarci alla nuova situazione: come poterci “riunire senza riunirci!” Abbiamo dovuto fare affidamento sulla tecnologia: un grande aiu-to! Con i pastori e le pastore delle Chiese milane-si abbiamo così raggiunto i membri delle nostre chiese, e non solo, con dei video-culti.

Tuttavia, ognuno/a di noi ha cercato di mantenere i contatti con i propri membri di chiesa, soprattut-to con le persone anziane e le persone sole. La cura pastorale è “corsa attraverso i fili del telefono e del web”. È stato un modo nuovo e insolito di essere vi-cini: una cura pastorale fatta a “distanza ma vicina!”.

Le parole di incoraggiamento e di speranza che ho rivolto sempre a tutti e a tutte è che non dob-biamo mai dimenticare che sulla terra è all’opera una potenza invisibile ed incredibile, ancora più forte del “nemico invisibile”: lo Spirito Santo, at-traverso il quale Dio è al controllo di ogni cosa!

LE DONNE E LE CHIESE EVANGELICHE NEI GIORNI DEL CORONAVIRUS

Una preghiera e una invocazionecristina arciDiacono e Daniela Di carlo

D io della strada, in questo tempo di distanza e isolamento aiutaci a non stare distanti da te. Tu che conosci i nostri cuori aprili alla tua

Parola. Guarda con misericordia alle nostre parole, così spesso impoverite dalla paura e dalla tristezza. Dona a loro la leggerezza del tuo spirito nel toccare chi è stanca, la profondità del tuo soffio vitale, per es-sere portatrici di solidarietà e di giustizia. Dona alle nostre parole la compagnia della tua Parola, per fare strada con te.

Nostro Cristo, che dai vita nuova, riconciliaci tra noi e con te e donaci una visione del mondo piena d’opportunità, per tutte e tutti. Apri le nostre menti e i nostri cuori affinché usciamo dall’isolamento del-la disperazione. La tua parola di salvezza guarisca le ferite di quanti e quante hanno vissuto e stanno vi-vendo una perdita: un genitore, una sorella, un amico, un/una collega di lavoro, un/una nonna. Dacci le pa-role per confortare, la sapienza per ascoltare, il corag-gio per non rimuovere la morte.

Nostro Spirito di Sophia, ci hai raccolto e rese tue figlie e figli, aiuta coloro che vivono nella malattia e coloro che non trovano senso alle loro giornate, quel-le che hanno perso il loro lavoro e quelli che non ar-rivano mai a mettere a tavola il cibo. Il mondo in cui viviamo continua a nutrirsi di scarti: bambini e bam-bine visti come scarti; migranti visti e trattati come scarti, disabili scartati come anche anziani e donne.

Spirito di vita, che non ci lasci sole, apri i nostri occhi, gli occhi delle persone che fanno politica, af-finché le decisioni che vengono prese riconoscano la necessità di un sistema in cui ogni persona è soggetto, ogni bambino abbia il diritto d’essere ascoltato, ogni persona anziana di raccontare, ogni donna ed ogni uomo di vivere e di contribuire alla costruzione di una comunità umana solidale. Amen

LA FDEI INFORMA

In conseguenza della sospensione del Sinodo Valdese-Metodista per questo anno 2020, anche la FDEI sospende il Presinodo Donne

I progetti che erano in cantiere (v. n.65 del Notiziario) non si sono potuti realizzare, ma sono stati sospesi e rimandati o a data da destinarsi (come il Convegno della Rete delle donne luterane sui “Diritti umani delle donne” e l’8 marzo “speciale violenza” nella chiesa pentecostale Bethel di Cosenza) o a una data già indivi-duata (come il Convegno FFEVM “Voci di donne. La predicazione femminile dalla Riforma al pastorato” a Riesi, rinviato al 24-25 aprile 2021).On line sono attive varie piattaforme (zoom, meet etc. ), che permetteranno nei prossimi mesi di partecipare a incontri sugli argomenti di nostro interesse, pertanto invitiamo tutte a seguire la pagine Facebook della FDEI dove ne sarà data notiziaProsegue la campagna del Giovedì in nero nel cui ambito partecipiamo anche alla Preghiera del giovedì organizza-ta dall’Osservatorio Interreligioso contro la violenza sulle donne, di cui la FDEI è membro.

Hanno collaborato a questo numero del Notiziario:Claudia Angeletti, Cristina Arcidiacono, Marina Bertin, Franca

Collavo, Daniela di Carlo, Margherita Eynard, Lina Ferrara, Mar-tina Goetze, Gabriela Lio, Virginia Longo, Daniela Lucci, Gianna

Urizio, grafica e impaginazione Pietro Romeo

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Notiziario Fdei · numero 66 · 12 giugno 2020 · pagina 4

NOTIZIARIO FDEI

Come donne evangeliche più volte abbiamo espresso, anche con una petizione nazionale, il bi-sogno di sostenere maggiormente le strutture di accoglienza per donne maltrattate e per i loro figli, ma anche di agevolare la nascita di nuove strutture perché non siano presenti a macchia di leopardo sul territorio nazionale.

Riteniamo necessario pensare a un lavoro agile per uomini e donne quando ci sono minori a casa o quando c’è bisogno di cura per familiari invalidi. Il carico maggiore della cura non può pesare solo sulle spalle delle donne. Esse in genere pagano il prezzo più alto e lo si è visto particolarmente anche in questo periodo di pandemia. È necessario rimo-dulare i tempi del lavoro e riorganizzare la vita so-ciale, vegliando e facendo rispettare la parità di re-tribuzione e i diritti delle persone, anche migranti.

Pensiamo che le risorse economiche non siano il problema principale, si potrebbero ad esempio utilizzare di più i fondi europei dedicati, ma biso-gna convogliare tutte le energie possibili per ide-are un futuro migliore. Se vogliamo veramente rendere la vita delle donne meno gravosa, è indi-spensabile potenziare i servizi essenziali come la sanità, la libertà della persona, la sicurezza pub-blica, la sicurezza nei trasporti, la scuola, i servizi culturali.

Pensiamo che mai come ora, in una fase di ri-lancio della società, ci sia bisogno della presenza femminile nelle istituzioni per progettare un futu-ro più equilibrato, che tenga conto della vita reale delle persone e delle famiglie, che contribuisca a debellare gli stereotipi negativi che tanto condi-zionano l’agire quotidiano, che si mettano in atto dinamiche capaci di far crescere i bambini nel ri-spetto delle differenze fisiche, culturali, sociali.

C’è bisogno anche dell’apporto femminile per affrontare il tema dello sviluppo sostenibile, senza più sacrificare l’ambiente alle logiche del profitto che favoriscono enormi squilibri, inquinamento e malattie mortali. In un momento di scelte pubbli-

che importanti, il nostro principale auspicio è che si provi a ideare un futuro più ricco di diritti, di uso assennato delle risorse e di emancipazione.

Noi evangeliche, che da molti anni lavoriamo per valorizzare le donne, rendere la loro vita più agevole nelle comunità, ascoltare la loro voce e le loro istanze, essere attente ai segnali di violenze varie che colpiscono il mondo femminile, vorrem-mo lavorare sempre più in rete per contribuire a sviluppare una società più equa e solidale.

Ci congratuliamo per la squadra di esperte da Lei scelte con un obiettivo preciso: “Donne per un nuovo Rinascimento” e ci chiediamo se non sia possibile allargare la consultazione anche ad altre realtà che lavorano capillarmente sul territorio na-zionale per agevolare la vita delle donne e difendere i loro diritti. Diamo perciò la nostra disponibilità, per quanto ritiene possiamo fare, per essere di sup-porto al mondo femminile nella nostra società.

L’occasione ci è gradita per inviarLe i sensi della nostra stima e della nostra più alta considerazione.

Per il Comitato Nazionale FDEI

DALLA PRIMALa Fdei scrive alla ministra per le Pari Opportunità

Una sorella di Bergamo racconta il dramma della sua città Intervista a Margherita Eynard(a cura Di clauDia anGeletti)

D opo l’inizio dell’epidemia da coronavirus nella cittadina di Codogno, è balzato in primo piano il nome della città di Bergamo

come “occhio del ciclone” in cui ci siamo poi trovati coinvolti tutt*, in Italia. Quali emozioni hai vissuto all’inizio, da guida turistica bergamasca?

«All’inizio di marzo il contagio arriva a Bergamo ed in breve s’impadronisce con violenza della città e di buona parte della provincia. Allerta immediata presso l’ospedale pubblico Giovanni XXIII e pres-so tutte le strutture sanitarie pubbliche e private della provincia. In pochissimi giorni la situazione precipita: sirene di ambulanze giorno e notte, affol-lamento presso gli ambulatori dei medici di base, chiamate continue ai telefoni dei pronto soccorso. E, purtroppo, l’inizio dei decessi in tutta la Provin-cia. All’inizio sono stata presa da un crescendo di sentimenti: sorpresa, incredulità, preoccupazione, paura di non poter fronteggiare un nemico invisibi-le che colpisce soprattutto le persone anziane».

– Successivamente, le restrizioni di movimento imposte dai decreti governativi quali cambiamenti hanno apportato al tuo stile di vita quotidiano e con quale disposizione psicologica le hai accettate?

«Dal 4 marzo mio marito ed io siamo rimasti sempre in casa, salvo rarissime uscite per le prov-viste di alimentari e farmaci. Posso dire di avere accettato con serenità il cambiamento che sicura-mente ha ribaltato il mio stile di vita. Sono stata agevolata dalla presenza continua di mio marito e dalla posizione della mia casa situata verso le col-line che circondano la città, una zona molto verde circondata da ampi giardini pubblici. Passo le mie giornate praticando ginnastica, leggendo, occu-pandomi dei pasti e delle faccende domestiche dato che la colf, in questo periodo, è impossibilitata a raggiungere casa mia».

– Ci sono persone della tua cerchia sociale o fa-miliare che sono state colpite da questo virus? Vuoi parlarci della loro vicenda?

«Il coronavirus ha interessato anche la mia fa-miglia. All’inizio di marzo il padre di mia nuora, a causa di gravi problemi respiratori, è stato d’ur-genza ricoverato in ospedale in terapia intensiva dove è deceduto dopo pochi giorni. Contagiata è stata pure la moglie che a sua volta ha trasmesso il virus alla figlia (mia nuora), al genero (mio figlio)

trasferiti presso di lei per assisterla e contagiati an-che i loro due figli . Fortunatamente ora sono tutti guariti. Mio marito ed io, reclusi in casa, siamo ancora indenni. Situazioni analoghe sono state vis-sute da moltissime famiglie.

– Come hai/avete in famiglia fatto fronte al do-lore della perdita di questa persona cara? Avete po-tuto celebrare il funerale?

Nessuno della famiglia ha avuto il permesso di accompagnare il mio consuocero, nessuno ha po-tuto essergli accanto nel momento della morte, nessuno ha potuto vedere la salma. Non è stato neppure possibile fare il funerale. Le sue ceneri sono ora in un piccolo loculo nel cimitero di Ber-gamo. Almeno non si è trovato tra le centinaia di bare trasportate da colonne militari in altre città, poiché il forno crematorio di Bergamo, pur fun-zionando giorno e notte, non era più sufficiente. Cortei agghiaccianti. Un dolore lacerante, infini-to che difficilmente si potrà dimenticare».

– So che tu appartieni alla chiesa valdese di Ber-gamo dove sei una fedele molto attiva. Quanto ti manca la possibilità di frequentare i culti e tutte le altre riunioni, anche quelle promosse dal Centro culturale?

«Mi manca la possibilità di frequentare i cul-ti, le riunioni della chiesa e del Centro culturale. Mancano i rapporti diretti con i fratelli e le sorelle, manca l’insieme della comunità, mancano i saluti e gli scambi di notizie a fine culto».

– In moltissime chiese evangeliche le attività di culto o studio biblico sono state spostate sul Web, con dirette Facebook o altro tipo di comunicazioni. È successo così anche a Bergamo?

«Il nostro pastore è sempre in contatto con la comunità e trasmette on line avvisi, informazio-ni varie, spunti di riflessione e soprattutto il cul-to completo per ogni giorno festivo. Da circa due mesi anche il Consiglio di Chiesa ed altre riunioni si svolgono per via telematica».

– Ritieni che questa modalità online possa sosti-tuire adeguatamente la relazione diretta con sorel-le e fratelli o la relazione di cura pastorale?

«Data la situazione, personalmente ritengo che il collegamento on line sia l’unica possibilità per mantenere le varie attività della Chiesa in modo soddisfacente e anche per sentirci vicini».

– Non pochi studi hanno messo in correlazione la

particolare virulenza di questo (e di altri) virus con la concentrazione di polveri sottili nell’aria, ovvero con l’inquinamento atmosferico determinato dalla presenza di industrie. Pensi che sarebbe opportuno progettare in Italia di qui in avanti una “decrescita felice” della produzione industriale per evitare il ri-petersi di simili tragedie?

«Per sopravvivere, penso che sia indispensabile da parte di tutti una presa di coscienza che spinga ad un radicale cambiamento di abitudini e di stili di vita».

– In questa circostanza, hai potuto vedere incre-mentarsi il livello di solidarietà sociale oppure hai dovuto costatare un ulteriore acuirsi degli egoismi individuali?

«La condivisione di questo dramma umano ha dato il via ad impensabili iniziative di solidarietà quali generose e cospicue donazioni di denaro e di materiale sanitario, l’impegno sovrumano del per-sonale in tutti gli ospedali, la notevole presenza di volontari (giovani e anziani), per consegne a domi-cilio di cibo, di medicinali, di mascherine ecc…».

– Quanto ti ha aiutato la tua fede ad affrontare questa situazione? C’è un versetto o un brano della Bibbia che ti ha confortato più di altri?

«Di fronte a tanto dolore inizi a porti delle do-mande sul senso della vita, della tua vita, a fare un bilancio di quanto hai fatto di bene e di male. In questa drammatica circostanza ho ricordato i versetti della Lettera ai Romani, al capitolo 5 “…l’afflizione produce pazienza, la pazienza espe-rienza e l’esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato”».

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Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 6 Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 7

NELLE VALLI VALDESI

Chi riapre (e chi no), quando e comeRiaperture graduali dei templi nelle chiese metodiste e valdesi: il punto sulle valli valdesi e qualche cenno sugli altri Distretti

C ’è voglia di ripartire, con prudenza ma an-che con speranza. Riaprono così, gradual-mente, anche le porte dei templi (vi aggior-

neremo nei numeri successivi). A Firenze e Trieste, per esempio, questo è già avvenuto fin dal 24 mag-gio, e il 31, domenica di Pentecoste, si sono avuti culti “dal vivo” a Torino, a Palermo, a Corato-Bari o in Campania, dove le comunità metodiste e val-desi si sono ritrovate al Centro Casa Mia-E. Nitti di Ponticelli, e anche la strada successiva è tutt’altro che lineare. Molti hanno riaperto domenica 7 giu-gno (Roma piazza Cavour, Milano valdese), ma per molte comunità, soprattutto piccole, ci sono anco-ra diverse preoccupazioni, non soltanto di natura “sanitaria” ma anche economica, e alcune (come Milano metodista) stanno valutando la possibilità di scegliere spazi alternativi, magari all’aperto, più adeguati alle necessità.

E nel Primo Distretto? La situazione è abbastanza ben delineata: le prime a riaprire sono le chiese del secondo circuito (indicativamente val Chisone e Pinerolese), dove i culti si sono tenuti il 7 giugno a Pramollo, Prarostino, San Germano, San Secon-do e Villar Perosa (qui però è ancora da decidere la cadenza settimanale, quindicinale o mensile) dei culti successivi. A Pinerolo si è optato invece per il 21 nel giardino del tempio, ma in caso di maltempo il culto non si terrà.

Le chiese della val Pellice (primo circuito) hanno optato quasi tutte per culti il 21 giugno all’aperto, tranne Bobbio Pellice che lo terrà già il 14 (con cadenza quindicinale): Angrogna nel giardino della casa pastorale, Rorà nel prato da-vanti al tempio, Luserna San Giovanni alla Ca-scina Pavarin (in caso di maltempo, al tempio). A Torre Pellice e Villar Pellice, in caso di mal-

tempo si terrà rispettivamente al tempio e alla sala polivalente.

Gli ultimi ad aprire saranno i templi della val Germanasca, dove è previsto il culto il 21 giugno a Prali e Pomaretto (nella sala del teatro), il 5 luglio nelle comunità di Perrero, Massello e Villasecca, ma solo in caso di bel tempo e all’aperto, in caso di pioggia saranno annullati.

VITA DELLE CHIESE

Tutti negativi al Rifugio Re Carlo AlbertoSituazione stabile all’istituto per anziani di Luserna San Giovanni, con nessun caso positivo

N ella struttura del Rifu-gio Re Carlo Alberto, attualmente, non vi è al-

cun caso positivo al Coronavirus. Esattamente un mese fa – era

il 6 maggio – il Rifugio riceveva gli esiti dei tamponi effettuati in data 30 aprile: su 78 ospiti pre-senti in struttura 11 risultavano positivi, di questi solo 2 sintoma-tici, mentre gli altri 9 asintomati-ci o paucisintomatici. Per quanto riguardava gli operatori, su 71 sottoposti al test, 11 erano positi-vi ma asintomatici.

A oggi, lunedì 8 giugno, sia gli 11 ospiti sia gli 11 operatori posi-tivi si sono negativizzati; rimane un’operatrice ancora positiva, nonostante risulti asintomatica.

Consapevoli che il risultato odierno non sia una garanzia per il futuro e che sia necessario continuare a essere attenti, met-tendo in atto le buone pratiche da rispettare sia in struttura che nella vita privata, la direzione della Diaconia Valdese Valli e il responsabile di struttura, pro-fondamente soddisfatti da que-sti risultati, colgono l’occasione

per ringraziare il personale tut-to che in questo periodo compli-cato, specialmente per le Rsa, si è impegnato e si sta impegnan-do tantissimo, dimostrando un forte attaccamento agli ospiti e al proprio lavoro, veramente esemplare.

«In ultimo, – dicono dalla struttura – ma non per impor-tanza, un pensiero e un ringra-ziamento anche a tutti gli ospiti del Rifugio e ai loro famigliari: per la fiducia accordata, per la pazienza e la disponibilità, per la resilienza e la capacità di adat-tamento che questi mesi hanno richiesto e continueranno a chie-dere! Perché insieme “andrà tut-to bene”».

Nelle altre strutture gestite dalla Diaconia la situazione è de-cisamente rassicurante: al Foyer di Angrogna tutti negativi (ospiti e operatori), così come alle Dia-conesse di Torre Pellice e all’A-silo dei Vecchi di San Germano Chisone; anche all’Uliveto di Lu-serna San Giovanni tutti negati-vi, ma a due ospiti devono essere rifatti i tamponi.

In spiaggia con Radio Beckwith evangelicaIn Liguria il segnale della radio di Luserna San GiovannisAMuele revel91,5 Fm. Radio Beckwith evan-

gelica sbarca in Liguria tra-smettendo via etere in mo-

dulazione di frequenza. Un grande passo per la radio di Luserna San Giovanni che ha allargato il proprio bacino di ascoltatori accendendo un ripetitore su un traliccio a Ven-timiglia. «Un secondo verrà atti-vato prossimamente nel Savonese, nel comune di Cengio – ci spiega il direttore Matteo Scali – con l’o-biettivo di coprire una parte della riviera di Ponente, dove è forte e radicata la presenza delle chiese valdesi». Dopo essersi stabilizzati nelle zone storiche del nord-ovest, con notevoli migliorie alle trasmis-sioni del segnale, che hanno fatto sì che Rbe diventasse facilmente e chiaramente ascoltabile nei terri-tori che l’hanno vista nascere, ha deciso di espandersi oltre l’Appen-nino. La zona del Ponente ha una certa continuità con il Piemonte e quindi è stato naturale guardare in quella direzione. «Rbe è una radio differente rispetto ad altre che di solito acquistano una frequenza e iniziano a trasmettere in un ter-ritorio; il nostro progetto è quello di costruire qualcosa insieme alle

chiese valdesi così come accade dove arrivano le onde medie».

Ma l’Fm non è l’unico modo uti-lizzato da Rbe per raggiungere gli ascoltatori, questo fa parte di un sistema più complesso. «A esempio trasmettiamo in Dab, in streaming – aggiunge Scali – perché c’è la vo-lontà di continuare ad allargarsi, di rispondere a esigenze che rispetto ai primi anni della radio sono de-cisamente cambiate. Rimanere nel locale non era più la soluzione mi-gliore, è necessario guardare oltre i confini tradizionali e questa oppor-tunità di sbarcare in Liguria non ce la siamo lasciata sfuggire». L’Fm rischia però di essere una tecnolo-gia ormai destinata a essere supera-ta con l’avvento del Dab e di altre forme di “ascolto”. «In un prossimo futuro – conclude Scali – forse as-sisteremo al passaggio al digitale, ma per i prossimi anni i due siste-mi conviveranno ed è importante “esserci” in entrambi oltre agli altri canali. Inoltre l’Fm ci permette di raggiungere luoghi più difficili da coprire con il segnale digitale». Da venerdì 5 giugno quindi Rbe è ascol-tabile in Liguria, una sfida interes-sante per una radio che continua a crescere e allargare i propri confini.

Culto nel tempio valdese di Torino (foto pagina Facebook chiesa valdese di Torino)

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Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 9

L’ECO DELLE VALLI VALDESI

Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 8

L’ECO DELLE VALLI VALDESI

Strade e parcheggi a pagamento in val PelliceComba dei Carbonieri e Villanova al centro delle novitàPiervAldo rostAn

Il Comune di Bobbio Pellice ha deciso di istituire un ecopass per chi vuol salire in auto lungo le principali vie di accesso alle

conche del Pra e del Barbara.Si tratta di zone che nel fine settimana sono

molto frequentate dai turisti, con il risultato che spesso il traffico va in tilt: le vie di acces-so sono strette, i parcheggi pochi, così come i punti in cui si può incrociare agevolmente un altro veicolo; se aggiungiamo l’imperizia di alcune delle persone che si avventurano su queste strade, è evidente la difficoltà di gestio-ne del traffico.

Probabilmente già dal fine settimana del 13 e 14 giugno, per salire la strada della Comba dei Carbonieri che raggiunge il rifugio Bar-bara Lowrie e per accedere al tratto di strada che dal piazzale di Villanova porta all’imboc-co della pista agrosilvopastorale che porta alla Conca del Pra, sarà necessario pagare un eco-pass di 3 euro.

«Posizioneremo un punto di controllo alla borgata Perlà per accedere alla Comba dei Carbonieri e lì per salire si dovranno pagare 3 euro – spiega il sindaco Mauro Vignola –; in più si verificherà anche il numero di auto nella zona dei tumpi: se saranno troppe, verrà

bloccato l’accesso».Si pagherà anche per utilizzare il tratto di

strada a Villanova compreso fra il parcheggio della borgata e l’inizio della pista forestale.

Resteranno i parcheggi al Pra?«Sono confermati i 40 posti in quota –

conferma il sindaco –; e in considerazione del fatto che si paga per parcheggiare a valle, alla conca la cifra aumenterà, da 5 a 8/10 euro ad auto. In compenso appena al di là del ponte di Villanova verranno individuati dei posti auto per i clienti della trattoria».

Tutto il sistema dei pagamenti dell’ecopass, va ricordato, sarà in vigore solo nei week end e fino a settembre; non dovranno pagare, ovvia-mente, i proprietari di case e terreni a monte, gli operatori turistici della zona e gli agricol-tori.

«Speriamo che con l’ecopass, oltre a farci introitare un po’ di fondi utili alla manuten-zione delle strade, si riesca a regolamentare un po’ gli accessi in auto sulle nostre montagne – aggiunge Vignola; – ma sta diventando un problema serio anche quello dei ciclisti: arri-vano veloci e silenziosi e i rischi nei confronti di chi sale a piedi cominciano a diventare ele-vati. Oltretutto abbiamo assistito a incidenti anche pericolosi».

Bilancio partecipativo

N ella seconda edi-zione del bilan-cio partecipativo

del Comune di Pinerolo è risultato vincitore, parzial-mente inatteso, il progetto di riqualificazione dell’area degradata di via Midana con la realizzazione di una serie di campi per lo sport (basket e calcio), campi da bocce, zona per i bambini. Il bilan-cio partecipativo è uno stru-mento di democrazia con il quale i cittadini possono esprimersi manifestando con un voto la loro preferenza tra i nove progetti presentati quest’anno. Chi prende più voti vince e il Comune asse-gna 100.000 euro alla realiz-zazione. Quest’anno si sono espresse poco più di 5.000 persone, comunque il dop-pio dei votanti dello scorso anno e il 28% ha votato per la riqualificazione del “parco di via Midana” nel quartiere di S. Lazzaro. Un intervento “popolare” gradito dalle di-verse fasce di età, che è stato ritenuto più urgente rispetto alle terrazze Acaia (centro storico) o a Palazzo Vittone. Un certo peso lo ha anche avuto quest’anno il sistema di voto on line che, al di là del merito, ha avvantaggia-to chi ha saputo servirsene meglio. (m.r.)

Sierologici per tutta l’Asl

I l Servizio medico compe-tente dell’Asl To3 ha ese-guito e processato i test

sierologici per SARS-CoV-2 su tutto il personale sanita-rio, tecnico e amministrativo che ha lavorato a vario titolo presso le strutture aziendali durante questi mesi di emer-genza.

Sono stati effettuati 4.140 test su dipendenti che non erano mai stati sottoposti a tampone oppure che ave-vano avuto esclusivamente tamponi con esito negativo: 3.940 (il 95,2%) sono risul-tati negativi e 200 (il 4,8%) sono risultati positivi. Per questi ultimi è stato quindi eseguito anche un tampone di controllo: 9 (lo 0,2% del totale), benché asintomatici, sono risultati positivi anche al tampone e posti in isola-mento in via precauzionale per 14 giorni.

Sono inoltre stati effettuati test sierologici (con esito po-sitivo) su altri 191 dipendenti che nei mesi scorsi erano già stati sottoposti a tampone con risultato positivo, erano stati messi in isolamento e, dopo avere effettuato al-tri due tamponi negativi a distanza di almeno 24 ore, erano stati dichiarati guari-ti. Nel caso specifico non si tratta dunque di nuovi casi: il test sierologico ha semplice-mente confermato l’avvenuta malattia, già nota dopo il primo tampone.

Maratona virtuale al Liceo valdese

L a didattica a distanza realizzata a segui-to dell’emergenza sanitaria per il Covid-19 ha sicuramente penalizzato maggiormente

le materie pratiche come i laboratori e le Scien-ze motorie e sportive. A tal proposito era prevista per il 3 giugno una giornata sportiva che avrebbe coinvolto tutta la scuola. Gli insegnanti di Scien-ze motorie e sportive, Claudia Negrin, e Discipli-ne sportive, Stefano Richard, hanno comunque trovato una brillante alternativa che ha coinvol-to studenti e insegnanti: una maratona virtuale. Settanta persone tra studenti e professori hanno percorso 600 metri di corsa (i sei studenti dell’in-dirizzo sportivo 32 metri in più per raggiungere il totale della maratona: 42 km 195 m), hanno regi-

strato la loro performance su un’apposita applica-zione e con tanto di foto hanno mandato il tutto al prof. Richard, che ha assemblato i dati. L’obiet-tivo era stare sotto le 4 ore, ma è stato mancato di un soffio: 4h 1’ 20”, con una media di 3’ e 26” per percorrere i 600 metri. Il tempo migliore tra i professori è di 1’ 55”, tra gli studenti 1’ 58”, tempo massimo tra i professori 6’ 15”, tra gli studenti 5’ 19”. La classe migliore è risultata la terza con una media di 2’ 49”. È stato realizzato un video di sin-tesi che, oltre a essere stato diffuso sui vari social, resterà a ognuno a ricordo della bella esperienza. Il prossimo anno, in presenza o a distanza, si cer-cherà di abbassare il tempo.

Il video è visibile a questo link: bit.ly/3cDDdmR.

SEGUE A PAGINA 13

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Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 9

L’ECO DELLE VALLI VALDESI

Lavori per fognatureDecine di famiglie interessate dai lavori nel Comunedi Torre Pellice

PiervAldo rostAn

S ono iniziati da circa una setti-mana i lavori per realizzare il collettore fognario nel tratto

Fassiotti – Chabriols inferiori a Torre Pellice. Il progetto ha radici lontane, quando venne costituito un consorzio fra privati per portare l’acqua potabile nella zona Chabriols – Bonnet.

Poi, siccome da cosa nasce cosa, venne valutata la situazione comples-siva della zona, non servita da acque-dotto né da fognature.

L’acquedotto, allacciato alla con-dotta principale e con l’ausilio di una pompa di rilancio, è ormai completa-to da un paio d’anni portando l’acqua fino ai Bonnet. Ora tocca alle fogna-ture. Tutta l’area a monte dell’ex seg-giovia Vandalino di Torre Pellice ne era sprovvista; «A quel punto coinvol-gemmo le decine di famiglie della zona – spiega il geom. Michel Armand Pi-lon –; da parte dell’autorità d’Ambito

To3 è arrivata l’assegnazione dei fondi per la tratta principale e così la Smat ha potuto andare all’appalto».

Eccoci dunque ai lavori sulla con-dotta principale, su un itinerario che percorre via Vandalino e poi corso Lombardini, fino ai Chabriols. Sarà poi il Consorzio ha realizzare le ope-re di collegamento fra l’asta principale e le borgate servite. Ai privati viene chiesto un contributo una tantum di 1800 euro a famiglia.

In tutto dovrebbero essere più di 100 le abitazioni allacciate alla nuova fognatura. Sarà poi a carico dei singoli la realizzazione dell’ultimo tratto ver-so la propria abitazione.

«L’intero cantiere – sottolinea il geom. Armand Pilon – dovrebbe chiu-dersi entro la fine del 2020».

Vale la pena ricordare che l’allaccia-mento alla pubblica fognatura, per le abitazioni poste fino a 100 metri dal servizio, è obbligatorio.

Non tutti peraltro si mostrano entusiasti della scelta del Comune; sebbene le strade a pagamento siano sempre più diffuse sulle Alpi, varie perplessità si levano dal Cai. «Non siamo contro la regolamentazione del traffico in montagna ma dobbiamo considerare che le nostre strutture stanno vi-vendo un periodo difficile: hanno già dovuto ridurre note-volmente i coperti e i posti per dormire a causa delle norma-tive per il distanziamento sociale, dice Giacomo Benedetti. Preoccupata dei costi e del disincentivo a salire anche Cin-zia Fornero, che gestisce il rifugio Barbara. Concorda con la decisione del Comune invece Roby Boulard, guida alpina e gestore del rifugio Jervis nella Conca del Pra: «A Torino si paga 2,50 euro all’ora per il parcheggio, non vedo perché non si possa pagare 3 euro per una giornata qua».

La mia esperienza a IndianapolisQuando due settimane fa mi sono imbattu-to nella notizia di quanto accaduto a George

Floyd a Minneapolis in Minnesota (Usa), sono letteralmente rabbrividito.La rabbia e l’indignazione della gente di fronte a quei fatti è sfociata in una rivolta civile ininterrotta in quasi tutta l’America che dura ormai da giorni e che sta mettendo a dura prova quella grande nazione piena di opportunità e di contraddizioni.Io sono rimasto particolarmente colpito da questa vicenda perché ho sperimentato in prima persona quale sia l’atteg-giamento di una parte dei poliziotti americani – ma non di tutti, come abbiamo di nuovo visto in questo frangente in cui molti di loro si sono inginocchiati nel ricordo di George Floyd. Due anni fa, prima di iscrivermi all’Università qui in Italia, ho avuto il privilegio di vivere sei mesi a Indianapolis, ospite di una famiglia di amici. È stata per me un’esperienza straordinaria, che mi ha insegnato moltissimo, con la mac-chia però di un episodio che ancora oggi ha per me qualcosa di surreale.Erano passati ormai quasi tre mesi dal mio arrivo in America, quando andammo, come spesso capitava, a cena fuori con la mia famiglia “adottiva americana” e alcuni loro amici in un ristorante messicano nel pieno centro di Indiana-polis. Finita la cena ci salutammo e mi apprestai a tornare a casa con la vecchia auto che mi avevano messo a disposi-zione per spostarmi in quel periodo e che usavo quotidiana-mente per il mio lavoro di volontariato. Salito in auto, pensai subito a impostare il navigatore per ritrovare la via di casa e, sovrappensiero, mi dimenticai di accendere i fari, anche

perché c’era ancora una buona luce naturale sulla strada. Dopo due curve incrociai subito una volante della polizia lo-cale che fece inversione e si mise nella mia scia. Lì per lì non ci feci troppo caso e continuai tranquillo quando, sempre nello specchietto, vidi che le auto della polizia dietro di me erano aumentate di numero e avevano azionato le sirene. Quando capii che stavano seguendo proprio me, realizzai che la causa di tutto erano le mie luci spente e le accesi subito, poi cercai di accostare cercando la prima piazzola disponibile per non bloccare il traffico visto che la strada era molto stretta. Oltre alle sirene della polizia, iniziai a sentire le urla del megafono di una delle volanti. Tra il terrorizzato e l’incredulo, con la sensazione di essere nel bel mezzo di una scena di un film poliziesco, mi fermai in mezzo alla strada. Una volta fermo, mi puntarono i fasci abbaglianti delle loro luci e iniziarono a susseguirsi gli ordini del poliziotto che urlava nel megafono. Mi ordinò prima di abbassare il fine-strino e di far uscire lentamente il braccio sinistro, appog-giando con esso le chiavi sul tettuccio della macchina. Poi di aprire lentamente, sempre con il braccio sinistro, la portiera uscendo con tutte e due le braccia alte e bene in vista, dando le spalle alla polizia. Una volta uscito dalla macchina con le braccia in alto mi fecero girare verso di loro e fu lì che vidi schierate le tre auto, compreso un Suv, e i poliziotti con il megafono e le pistole puntate verso di me. Mi fu ordinato di inginocchiarmi incrociando le mani dietro la nuca, vennero ad ammanettarmi e fui sbattuto a terra come se fossi il più pericoloso dei criminali. Incredulo, iniziai a spiegare che ero italiano e che sapevo di aver dimenticato di accendere le luci dell’auto. Dopo aver perquisito me, l’auto e aver controllato

i miei documenti, il mio visto e dopo aver fatto varie telefo-nate alla centrale, mi dissero che il grosso errore che avevo fatto era stato quello di non accostare subito. Io provai a scusarmi spiegando che stavo solamente cercando il primo spiazzo per fermarmi, come si è soliti fare in Italia. Final-mente mi tolsero le manette e mi dissero che potevo tornare a casa scortato però da loro. Quella notte iniziai a documen-tarmi sui numerosi omicidi dovuti ad abusi di potere della polizia americana. Capii facilmente che quella sera mi salvai per due ragioni: per il colore della mia pelle e perché capivo l’inglese e potevo interloquire con loro. La vicenda di George Floyd ha evidenziato ancora una volta come una parte della polizia degli Stati Uniti crede di essere al di sopra delle leggi ed è purtroppo ancora contagiata dal virus del razzismo, mai estirpato in quel Paese che vorrebbe essere la patria delle libertà. Ogni anno la polizia uccide più di mille persone, anche per colpa del sistema della libera vendita delle armi, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Mi piace concludere con le parole di qualche giorno fa di speranza e di invito per tutti a costruire un futuro migliore di Michael Jordan, forse il più grande campione di basket di tutti i tempi, che ha dato cento milioni di dollari ai gruppi di giustizia sociale che si battono contro il razzismo, per ricor-dare George Floyd: «Le nostre voci, tutte insieme, devono mettere pressione ai nostri leader affinché cambino le leggi, oppure dobbiamo usare il nostro voto per provocare il cam-biamento. Ognuno di noi deve essere parte della soluzione e dobbiamo lavorare uniti per assicurare giustizia a tutti».

William Genre, Pinerolo

DA PAGINA 12

Alma Charbonnier e il suo impegno nella chiesa

R icoverata da alcuni mesi alla Casa valdese Miramonti di Villar Pellice, la scorsa settimana è scomparsa Alma Charbonnier Pa-schetto. La comunità valdese e la famiglia, seppur nelle forme

contenute dall’emergenza Covid, hanno potuto salutarla sul sagrato del tempio valdese di Torre Pellice.

Figura carismatica, Alma ha dedicato molto del suo tempo libero alla “sua” chiesa; chi non la ricorda a guidare il team di volontari che ogni anno garantiscono a deputati e ospiti del Sinodo un ricco buffet nei momenti di pausa delle riunioni? La sua voce potente “governava” i vari settori, dove ogni anno si inserivano nuovi volontari, giovani e giova-nissimi anzitutto.

Ma Alma Charbonnier è stata per tanti anni anche impegnata in azioni a favore del Rifugio Re Carlo Alberto; il bazar la vedeva protago-nista per mesi in vista della festa di fine luglio, così come il laboratorio di recupero e vendita di capi di abbigliamento dismessi e riproposti in vendita nel seminterrato al Rifugio.

Insomma, una di quelle figure che ogni chiesa vorrebbe avere, grazie alle quali la fede trova la sua essenzialità anche attraverso l’impegno manuale quotidiano. (pvr)

Tempo scaduto“Tempo scaduto”; è l’incipit di una lettera diffusa da Italia Viva di Pinerolo a firma Caterina Manzi e Ste-fano Ricchiardi a proposito di politica locale: il 2021 sarà l’anno delle elezioni comunali nella cittadina.«Da mesi la frase che più sentiamo dire è: “nulla sarà più come prima e saremo obbligati a ripen-sare i nostri modelli e stili di vita”. In questi mesi aziende, enti pubblici e associazioni hanno in-trapreso – tutti – percorsi volti a ripensare i loro modelli organizzativi e di business, e i cittadini hanno dovuto adattarsi a stili comportamentali talvolta anche radicalmente differenti da quelli ai quali erano abituati. Purtroppo, però, sembra chiaro che Pinerolo e il Pinerolese faticheranno più di altri territori ad emergere dalla crisi. Schiac-

ciata tra le comprensibili necessità organizzative per la gestione dell’emergenza sanitaria e un programma politico che ha puntato tutto, tranne pochissime eccezioni, sulla gestione dell’ordinaria amministrazione, Pinerolo ha abdicato da anni al suo ruolo di guida e indirizzo. A un anno o poco più dalle prossime elezioni è obiettivo prioritario delle forze riformiste mettere in campo proposte, idee e persone che diano nuovo slancio al territorio e ne consentano il rilancio strategico con un orizzonte temporale di medio lungo periodo. A un simile progetto inserito all’interno di un quadro chiaro, autenticamente riformista e popolare, che dovrà coniugare sviluppo, coesione sociale e territoriale, non faremo mancare il nostro contributo».

Aperture al museo valdese di Torre Pellice

Il museo, storico ed etnografico del Centro culturale valdese di Torre Pellice, insieme alla mostra “Giorno dopo giorno... chine e colori di Valerio Papini”, saranno aperti da giugno due giorni a settimana, il giovedì e la domenica

dalle 15 alle 18. Gli ingressi verranno contingentati e perciò viene richiesta la prenotazione al n. 0121- 932179 (da martedì a venerdì in orario 9-12; giovedì e domenica 15-18); o all’indirizzo e-mail: [email protected].

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Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 10

COMMENTI

L’autorità nella chiesa, le forme e i rischiDiverse possono essere le modalità del suo esercizio, purché essa stessa non si sovrapponga a Cristo

Fulvio FerrArio

U na premessa: queste considerazioni non intendono in alcun modo commentare la dolorosa vicenda che coinvolge la Co-

munità di Bose e il suo fondatore, Enzo Bianchi. Quest’ultima ne è solo l’occasione. I fatti sono noti: in seguito a difficoltà interne al monastero, il Va-ticano è intervenuto, su richiesta della comunità stessa, e ha deciso, con decreto «inappellabile», l’allontanamento da Bose di Bianchi e di altre tre persone.

Tra le innumerevoli reazioni, mi ha colpito quella del gesuita Bartolomeo Sorge, per anni direttore de La Civiltà cattolica, poi dell’Istituto di Formazione politica “Pedro Arrupe” di Palermo. Sorge invita Bianchi ad «accettare con amore la sofferenza del-la prova», perché «la croce si accetta anche senza capirne le ragioni»; «quando la Chiesa interviene, si bacia la mano della Chiesa che è nostra madre»; «le botte prese sono l’autenticazione dell’opera di Dio» (cito da un articolo di Luciano Moia su Avve-nire del 29 maggio). Tale linguaggio non è nuovo, naturalmente: un’obbedienza di tal genere è stata richiesta e spesso ottenuta innumerevoli volte nella storia anche recente del cattolicesimo. Spesso chi colpiva citava l’obbedienza dei colpiti del passato (ad esempio Chenu, Congar, Mazzolari e innume-revoli altri) come esempio per i colpiti più recenti (Küng, Schillebeeckx, Boff, ecc.).

Come credente evangelico sono impressionato. Credo sarebbe un grave errore liquidare questo atteggiamento spirituale in nome, che so, della libertà evangelica o, ancor meno appropriata-

mente, della democrazia o dei diritti dell’essere umano. Discorsi come quelli di padre Sorge non sono a cuor leggero e manifestano un amore per la chiesa e un rispetto della sua autorità che do-vrebbero far riflettere la fede protestante. Quan-to spesso trattiamo la chiesa come una sempli-ce associazione, preferibilmente anarcoide, e ci mostriamo del tutto incapaci di comprendere il senso dell’esercizio dell’autorità nella comunità cristiana. Basta qualche citazione imparaticcia di Lutero o di qualcun altro per trasformare la nostra cosiddetta coscienza nel tribunale (an-ch’esso inappellabile, come la curia romana!) dal quale dipende il nostro operare e, se ci riesce, an-che quello della comunità. Usata in rapporto alla chiesa e a chi ha il compito di dirigerla, una paro-la come “obbedienza” ci appare non solo estranea, bensì ripugnante: e parlo anche di me stesso. Da un certo punto di vista, le parole di Bartolomeo Sorge meritano di essere meditate in preghiera. Non basta dire (anche se con ragione): quella evangelica è una vera chiesa. Bisogna anche pen-sare, sentire, vivere la chiesa e, in essa, l’autorità.

Detto questo, non riesco a respingere, di fronte a questo sentire cattolico, un’impressione di subli-mazione mistica dell’obbedienza che mi inquieta almeno quanto le tendenze anarcoidi in ambito evangelico. Gli aspetti di perplessità sono diversi e vanno dalla naturalezza nell’uso del linguaggio della “croce” (che a mio giudizio andrebbe, proprio in questo contesto, problematizzato), all’immagi-nario del “baciare la mano” che ti schiaffeggia. Non potendo però, in questa sede, entrare in dettagli, mi concentro sul punto principale.

L’amore per la chiesa come corpo terreno del Risorto (chi si scandalizzasse per queste espressioni sappia che sono di Ernst Käsemann, uno che non ha biso-gno di lezioni di protestantesimo, né di critica bi-blica) non deve accecare di fronte al fatto che essa è anche una realtà umana, la quale non può fare a meno di forme di potere. Esse restano tali anche se intendono porsi a servizio della comunità. De-monizzarle non ha alcun senso. Nessun corpo so-ciale può vivere senza autorità, la quale deve avere strumenti per essere efficace. Questo è il “potere” nella chiesa.

Se le forme del suo esercizio, tuttavia, anziché essere analizzate criticamente, sono trasfigurate in una mistica della chiesa, che identifica in modo diretto l’autorità con Cristo stesso, la frittata è fat-ta. Non solo il potere sfugge al controllo della co-munità, ma risulta direttamente divinizzato e co-manda obbedienza a se stesso, identificandosi con Cristo; con ciò esso si pone, in linea di principio, al di sopra di ogni critica, che viene bollata come ribellione malvagia alla propria “madre”. Tutto ciò, come si può facilmente constatare, presuppone l’i-dentificazione secca, nonostante ogni appassiona-ta difesa della tesi contraria, tra chiesa e autorità ecclesiastica. Se la dimensione umana della chiesa risulta (per dirla molto, ma molto prudentemente) sottovalutata in questo modo, ciò inibisce un’ana-lisi spregiudicata delle dinamiche di potere in essa all’opera, con conseguenze di enorme rilievo.

Credo che essere protestanti significhi prendere le distanze non solo da tali effetti, ma anche dalle loro cause, assumendosi i rischi, spesso non piccoli, che questo comporta.

DALLA PRIMA PAGINA

Le scene che mi hanno colpito di più sono state quelle nei luoghi di incontro, che talvolta avevano connotazioni di intimità, come bar, ristoranti, pizzerie. Un tempo, se-dendosi al tavolo di un ristorante, in attesa che arrivas-se ciò che avevamo ordinato, la prassi era chiacchierare e mangiare grissini. Sono fallite un’infinità di aziende che producevano grissini! Perché nessuno li mangiava più, la gente si sedeva a tavola, non chiacchierava e non mangiava grissini, ma si catapultava con la testa nello schermo del telefonino e sui grissini calava la polvere.L’era in cui eravamo chiusi negli spazi aperti, era l’era dell’altrove, dove l’altrove aveva sempre priorità rispetto al “qui e ora”! Se si voleva parlare con qualcuno era necessario sperare di averne il numero di cellulare, essere distante qualche isolato e imbastire una “comu-nicazione” a colpi di messaggi.Di converso e per causa di forza maggiore, nel periodo della reclusione domestica, gradualmente siamo appro-dati all’era dell’apertura degli spazi chiusi! Con ciò mi riferisco alla capacità di relazione sviluppatasi sponta-neamente nei tempi dettati dal Coronavirus. Circostanza in cui, pur essendo obbligati in casa, abbiamo mostrato la capacità di incontrare chiunque. I balconi sembravano tutti affluenti di un’unica grande piazza in cui “incon-trarsi e scambiare” vissuti. G. García Marquez ha scritto L’amore ai tempi del colera, noi potremmo scrivere “La socialità ai tempi

del Coronavirus”! In questo libro si parlerebbe di gente affacciata a un balcone che comunica, che si offre, che regala sguardi e sorrisi, che racconta storie, che legge poesie, che balla, che ascolta musica, che celebra la vita in tutti i modi possibili, suonando mestoli e cantando canzoni. Si racconterebbe di un anonimo quartiere di periferia che si trasforma in una corte familiare, dove gli sconosciuti iniziano a salutarsi per strada, dove ogni persona è rappresentata da due occhi nascosti dietro a una mascherina.Ho visto gente incontrare altra gente che non aveva mai visto, e dirsi “Buongiorno”, “Buonasera”, come a dire “sono ancora viva”, “sei ancora vivo”, “siamo ancora vivi”.Lo stato di quarantena e le sue limitazioni, forse ci aiuteranno a guarire da un virus molto più potente del Covid 19, un virus che potremmo chiamare “V.A.I. 2000”: il Virus dell’Autoisolamento Involontario, che ci siamo scambiati a colpi di indifferenza piuttosto che a colpi di tosse, da circa vent’anni.Adesso che iniziamo nuovamente a prender possesso degli spazi comuni, speriamo di ricordarci di alzare la testa, di sollevare lo sguardo dal telefono, di guardare verso e con occhi nuovi. Di incontrare, con desiderio e gratitudine, quelle stesse persone che nell’incertezza e nella paura hanno imparato a parlarsi e riconoscersi dai balconi.

Abbiamo reimparato a parlarciMAriAno de MAttiA

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Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 11

Argentina: pane e pesci per sostenere la vitaDi fronte alla veloce propagazione del

Covid-19, la Chiesa evangelica me-todista argentina (Iema) e il Centro

Regional Ecumenico de Asesoria y Servi-cio (Creas), hanno inteso un accordo di co-operazione per dare sostegno e solidarietà alle famiglie e alle comunità colpite dall’e-mergenza sanitaria, economica e sociale, ge-nerata dalla pandemia in Argentina.

Iema e Creas hanno identificato e orien-tato la loro solidarietà nel fortificare la capacità delle congregazioni di reagire in base ai bisogni generati dall’emergenza sanitaria e alimentare, e poter fornire gli strumenti per l’educazione pubblica e so-ciale con materiali educativi e materiali a

tutela della salute nelle comunità più de-boli.

Tutto il sostegno mirerà alla sicurezza alimentare delle famiglie con la consegna di provviste per un periodo di due mesi. Per questo servizio, c’è una squadra pasto-rale e di volontariato nelle comunità, con adeguati permessi di circolazione, che ha ricevuto una formazione sui protocolli e sulle misure di protezione per la gestione e la fornitura degli aiuti nel contesto umani-tario del Covid-19.

Natalia Ochoa, responsabile della Se-cretaria de Proyectos y Diaconia Iema così racconta il progetto: «Attraverso questo accordo possiamo offrire sostegno a circa

380 famiglie in 10 congregazioni nelle pro-vince di Buenos Aires, Santa Fé, Cordoba, e Mendoza, relativi alla fornitura di pacchi alimentari, e, in certi casi, di elementi di protezione e di igiene nelle località dove gli aiuti non riescono ad arrivare».

Iema e Creas, ispirati dal passaggio bi-blico della moltiplicazione dei pesci e pani, hanno deciso di chiamare questa inizia-tiva di cooperazione e diaconia ecumeni-ca Panes y peces para la sostenibilidad de la vida (Pane e pesci per il sostegno della vita) e cercano così di dare testimonianza di fede e dell’abbondanza di vita in Gesù, attraverso l’espressione di solidarietà con chi soffre di più in questo momento.

Riforma · l’Eco delle Valli ValdesiRedazione centrale • Torino via S. Pio V, 15 • 10125 Torinotel. 011/655278 e-mail: [email protected] Redazione di Napoli recapito postale: via Foria, 93 • 80137 Napoli tel. 366/9269149 e-mail: [email protected] Redazione Eco delle Valli Valdesi recapito postale: via Roma 9 10066 Torre Pellice (To) tel. 338/3766560 oppure 366/7457837 e-mail: [email protected] Direttore Alberto Corsani ([email protected]) Direttore responsabile Luca Maria Negro

In redazione Marta D’Auria (coord. per il Centro-Sud), Claudio Geymonat (coord. newsletter quotidiana), Gian Mario Gillio, Samuele Revel (coord. Eco delle Valli Valdesi), Piervaldo Rostan, Sara Tourn.Progetto grafico Giulio SansonettiGrafica Pietro Romeo Amministrazione Ester Castangia([email protected]) Abbonamenti Daniela Actis ([email protected]) Promozione Lucilla Tron([email protected]) Stampa Alma Tipografica srl Villanova Mondovì (CN) tel. 0174-698335 Editore Edizioni Protestanti s.r.l. via S. Pio V 15, 10125 Torino

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La testata Riforma•L’Eco delle valli valdesi è registrata dal Tribunale di Torino ex tribunale Pinerolo con il n. 175/51 (modifiche 6-12-99).

Il numero 22 del 5 giugno 2020 è stato spedito dall’Ufficio CPO di Torino, via Reiss Romoli, 44/11, mercoledì 3 giugno 2020 .

2020 Associato alla Unione stampa periodica italiana

CULTORADIO Le vite dei neri contanoPAolo nAso

L ’America è in fiamme e di nuovo per la morte di un uomo di colore disarmato, ucciso da un poliziotto che gli ha schiac-ciato lo sterno per oltre sette minuti. Una scena terribile

arrivata fino a noi con una nitidezza pari alla sua drammaticità. Le immagini che ci arrivano non sono nuove: violenze, saccheggi, distruzioni, la rabbia di tanti giovani di colore che non si sentono né tutelati né protetti dalla propria polizia. Una generazione fru-strata dal tradimento della promessa di libertà e giustizia per tutti solennemente espressa in ogni cerimonia civile che si svolge negli Stati Uniti. Qualcuno ha definito il razzismo il peccato originale dell’America. Pensiamo al famoso passaggio della Dichiarazione d’indipendenza in cui si afferma che tutti gli uomini sono uguali e che sono a loro intestati alcuni diritti fondamentali tra i quali, il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.

yPeccato che i Padri della patria che nel 1776 firmavano queste

affermazioni, fossero essi stessi proprietari di schiavi. La pratica dello schiavismo si concluse nel 1865 con la guerra di secessione, ma non fu la fine del razzismo. Bianchi e neri restavano divisi da un muro di segregazione che condannava i primi a ruoli sociali e a lavori marginali, sottopagati e sostanzialmente disprezzati. Anco-ra negli anni Sessanta c’erano bar, ristoranti, scuole, ospedali per soli bianchi, nettamente distinti da quelli nei quali era consentito l’accesso agli afroamericani. Ancora negli anni Sessanta il diritto di voto era di fatto negato a 20 milioni di afroamericani, e quando finalmente fu loro riconosciuto, fu duramente ostacolato da grup-pi razzisti militanti e largamente diffusi.

yCerto, negli stessi anni esplodeva il movimento per i diritti ci-

vili guidato dal pastore battista Martin Luther King che, sotto la sua autorevole leadership, adottò una strategia nonviolenta di mo-bilitazione e di disobbedienza civile di massa. L’America sembrò toccata da quell’onda positiva che voleva distruggere le barriere razziali e, come sognava King, costruire una comunità riconciliata

nella quale, un giorno, i suoi figli potessero vivere in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle ma per le qualità del loro carattere; un giorno in cui i figli di colo-ro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero degli schiavi, sapranno sedere assieme al tavolo della fratellanza.

Quel sogno non si è realizzato. E, oltre cinquant’anni dopo, molti afroamericani vivono piuttosto l’incubo della discrimina-zione di minacce violente di apparati dello Stato che non sanno o non vogliono tutelare i loro diritti fondamentali. Diversamente che in passato, però, dalla Casa Bianca non arriva un messaggio di mediazione, una parola tesa a calmare gli animi nella difesa della giustizia. Arrivano invece parole virulente contro chi manifesta, e l’immagine del Presidente con la Bibbia in mano che si compiace per le azioni repressive della polizia. Non sappiamo quanto Trump conosca dell’Esodo e del Sermone sulla montagna, ma visto che ha la Bibbia in mano potrebbe leggere quelle pagine che tanto ispira-rono negli anni Cinquanta e Sessanta la protesta nonviolenta del movimento per i diritti civili.

King spiegava che l’America deve redimere se stessa e liberarsi dal demone del razzismo che avvelenava i rapporti sociali. Paro-le che suonano eccezionalmente attuali. Nei giorni scorsi persi-no alcuni generali hanno criticato il presidente Trump per la sua incapacità di capire la forza dei sentimenti e delle frustrazioni che hanno portato tante persone a disobbedire al coprifuoco e a proseguire nella protesta nonviolenta. Alcuni poliziotti hanno ab-bracciato i dimostranti, e altri ancora hanno esibito lo slogan che caratterizza le proteste di questi giorni: «le vite dei neri contano». Il sogno di King non si è realizzato ma è ancora vivo e muove la coscienza di tanti americani, bianchi e neri.

La rubrica «Essere chiesa insieme», a cura di P. Naso, è andata in onda domenica 7 giugno durante il «Culto evangelico», trasmissione di

Radiouno a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

LETTERE E COMMENTI

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Riforma · numero 23 · 12 giugno 2020 · pagina 12

ULTIMA PAGINA

DALLA PRIMA PAGINA

Non è chiaro se la statistica comprenda anche quelli uccisi con altri mezzi, come a esempio un gi-nocchio sul collo o una presa di lotta libera sul col-lo (come Eric Garner a New York – o Radio Rahe-em nel film di Spike Lee, Fai la cosa giusta). Gli afroamericani sono il 13% della popolazione degli Stati Uniti, ma sono il 24% delle 231 vittime di cui è nota l’identità “razziale” – e la sproporzione si fa ancora più drammatica nei grandi contesti urbani, che peraltro sono i più visibili.

La violenza della polizia è solo un aspetto particolar-mente traumatico dell’eredità della schiavitù di cui parla Springsteen, che si è estesa e radicata in una presenza endemica e strutturale del razzismo nella società e nelle istituzioni (non va dimenticato che il gruppo con la percentuale più alta sono i nativi americani, e che anche i latinos hanno una quota sproporzionata di vittime). La vicenda della pande-mia, in cui le minoranze hanno subito una quota assolutamente sproporzionata di vittime, non è che la conseguenza di una sistematica discriminazione nei servizi sanitari in cui il razzismo si intreccia con i rapporti di classe in una società sempre più dise-guale e polarizzata in termini di reddito e potere.

Alla storia della schiavitù e del razzismo si è in-trecciata, specialmente dopo le guerre del Golfo e l’11 settembre, la sindrome bellica e militarista anch’essa fortemente radicata nelle istituzioni. Le risorse sem-pre più abbondanti messe a disposizione dei tutori della “legge e ordine” e della “sicurezza nazionale” sono state usate per armare la polizia letteralmente come un esercito in guerra. Lo Homeland Security

Program ha incentivato la riassegnazione alla polizia di mezzi militari usati e ha dato ai dipartimenti di polizia i fondi necessari per acquistare “armi e veicoli da guerra”. Le forze di polizia che sono scese in cam-po durante la ribellione dei giorni scorsi a Minneapo-lis erano armate con «un arsenale di cui sarebbe an-dato orgoglioso qualunque piccolo esercito: blindati, elicotteri da guerra, proiettili di gomma e di legno, bombe a mano, bombole di gas lacrimogeno» (Tod Nolan, ricercatore, ex poliziotto, https://theprint.in/opinion/militarisation-of-us-police-since-9-11-ma-kes-it-see-protesters-as-enemy-writes-an-offi-cer/436284/). Fin dagli anni ’60, Stokely Carmichael e i militanti del Black Power parlavano della polizia nei ghetti come di un esercito d’occupazione; oggi è quasi istintivo, per poliziotti armati come in guerra, sentirsi in guerra. Durante le proteste seguite all’as-sassinio di Michael Brown a Ferguson, Missouri, nel 2014 la Guardia nazionale usava «un linguaggio al-tamente militarizzato, parlando di “forze nemiche” e di “avversari” a proposito di manifestanti che sono cittadini. I documenti che davano le direttive della missione distinguevano, nella folla che la Guardia nazionale avrebbe incontrato, fra “forze amiche” e “forze nemiche” – di queste ultime facevano parte, a quanto pare, i “manifestanti in genere”» (J. Walters, The Guardian, 14 aprile 2015).

Per questo è particolarmente significativo il fatto che proprio membri della polizia di Ferguson si-ano stati fra i tanti che, dopo la morte di George Floyd, si sono inginocchiati o hanno espresso in altro modo la solidarietà con la comunità nera e

con le vittime. Nonostante la sproporzionata e op-portunistica insistenza dei media (anche alcuni fra i più insospettabili in Italia) sulla “violenza”, i “sac-cheggi”, l’”odio” che si sono mischiati alle manife-stazioni di protesta, è emerso chiaramente che il problema non erano loro ma la polizia stessa.

Ha scritto Federico Rampini su La Repubblica che i poliziotti americani sono «ipersindacalizzati e quindi iperprotetti». Se questo fosse vero, i no-stri metalmeccanici della Cgil dormirebbero fra due cuscini. L’impunità dei poliziotti americani non deriva dal fatto che hanno un sindacato, ma dal fatto che questo sindacato è sostenuto e inco-raggiato dalla controparte stessa, dalle gerarchie, dal sistema giudiziario, dalle istituzioni politiche, e non li protegge dai datori di lavoro ma dalla po-polazione che loro dovrebbero proteggere. Perciò un esito delle proteste di questi giorni è che questa impunità comincia a sgretolarsi. Da un lato, gruppi forse minoritari ma significativi di poliziotti dico-no basta a questi crimini commessi in loro nome. Dall’altro, le istituzioni cominciano a rendersi con-to di dov’è che bisogna intervenire. Minneapolis ha sciolto il Dipartimento di polizia, riconoscendo che Derek Chauvin non è una “mela marcia” ma la normalità; New York e altre città si preparano a tagliare i fondi alla polizia. Qualcosa si muove. Ma c’è voluto un morto e un’ondata di rabbia per ottenere questi, per ora minimi ma incoraggianti, segnali di cambiamento.

* già professore di Letteratura americana alla Sapienza – Università di Roma

Schiavitù, l’eredità che non passaAlessAndro Portelli*

unione delle Chiese metodiste e valdesi