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SCHEMA THERAPY La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità JEFFREY E. YOUNG JANET S. KLOSKO MARJORIE E. WEISHAAR Edizione italiana a cura di Alessandra Carrozza, Nicola Marsigli e Gabriele Melli ECLIPSI

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SCHEMA THERAPYLa terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità

jeffrey e. young • janet s. klosko • marjorie e. weishaar

Edizione italiana a cura di Alessandra Carrozza, Nicola Marsigli e Gabriele Melli

ECLIPSI

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Traduzione italiana di:

Schema Therapy Traduzione: Elena PaoliCura: Alessandra Carrozza, Nicola Marsigli, Gabriele MelliEditing: Enza RicciardiVideoimpaginazione: Camilla Romoli

Copyright © 2003 The Guilford Press A Division of Guilford Publications, Inc. 72 Spring Street, New York, NY 10012 www.guilford.com

Copyright © 2007 Eclipsi di Mindgest srl Via Mannelli 139 50132 Firenze Tel. 055-2466460 – Fax 055-2008414

978-88-89627-08-2

I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

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SOMMARIO

1. Schema Therapy: il modello teorico 1

2. La fase di assessment e psicoeducazione 69

3. Le strategie cognitive 101

4. Le tecniche esperenziali 121

5 Il cambiamento dei comportamenti disfunzionali 159

6. La relazione terapeutica 193

7. Unastrategiaspecificaperognischema 227

8. Strategie d’intervento sui mode (mode work) 305

9. Schema Therapy per il Disturbo Borderline

di Personalità 341

10. Schema Therapy per il Disturbo Narcisistico

di Personalità 415

Bibliografia 469

Appendice 475

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La terapia cognitiva nasce negli anni 60 con il lavoro di A.T. Beck e di A. Ellis che giungono alla formulazione di una teoria ed una pratica clinica fondata sulla modificazionedeipensieridisfunzionali,neilorocontenutienellemodalitàorga-nizzative, come il punto focale dell’intervento psicoterapico.

Inizialmente, questo approccio viene utilizzato per il trattamento dei disturbi depressivi e dei disturbi d’ansia; successivamente, le dimostrazioni di efficaciaportano allo sviluppo di nuovi protocolli di intervento, imponendo, nel corso degli anni, la terapia cognitivo-comportamentale come trattamento preferenziale per i più comuni disturbi di Asse I.

Negli ultimi decenni l’interesse della terapia cognitiva si è rivolto verso l’area dei disturbi di personalità, da sempre terreno delle terapie di derivazione psico-dinamica. Ancora una volta è Beck, insieme ad Arthur Freeman, a proporre un protocollo di intervento, una forma di terapia cognitiva più articolata e mirata per ciascun cluster di disturbo di personalità. Da allora sono stati prodotti diversi protocolli clinici per trattare i pazienti con disturbi di Asse II, differenti modelli chehannoanalizzatoestudiatoladifficoltàelacomplessitàdeltrattamentodeipazientidifficili,comeilmodellodialettico-comportamentalediM.Linehan,laterapia metacognitiva-interpersonale di A. Semerari e collaboratori o l’approccio cognitivo-evoluzionista proposto da G. Liotti e colleghi.

Negli ultimi anni, le tecniche cognitive e comportamentali sono state integrate constrategiedialettiche,finalizzateall’accettazione,allavalidazioneedallaregola-zione delle emozioni, con attenzione al potenziamento delle abilità metacognitive delpaziente,alfinedipotermodificarelaqualitàdellesuerelazioniinterpersonali,oltre alla sua capacità di adattamento.

Fra le nuove proposte, la Schema Therapy di Jeffrey Young si presenta come un approccio sistematico, organizzato e metodico per il trattamento dei pazienti con disturbi della personalità o con una grande resistenza al cambiamento, che colma alcune lacune del modello cognitivista attraverso l’integrazione di contri-buti derivati da altre teorie, come la teoria dell’attaccamento, la teoria della Ge-stalt, quella psicodinamica e il comportamentismo.Nellospecifico,comeillettorepotràcogliere,nellaSchemaTherapyl’attenzio-

ne per relazione terapeutica, tema spesso sottovalutato o addirittura dimenticato dalla terapia cognitivo-comportamentale, acquisisce un peso strategico fondamen-tale; inoltre, viene dato particolare peso alle tecniche immaginative ed esperienziali, sottolineando il valore terapeutico delle esperienze di correzione emotiva.

PREFAZIONE

ALL’EDIZIONE ITALIANA

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VI Schema Therapy

Assunto fondamentale della Schema Therapy è che ciascun essere umano ha, findall’infanzia,deibisognifondamentali(comeadesempioilbisognodisentirsiprotetto, accudito, contenuto), che richiedono una naturale soddisfazione. Se nel-l’ambiente evolutivo ciò è mancato in modo continuativo, il bambino sperimenta l’impossibilità di soddisfare i propri “normali” bisogni e sviluppa una valutazione negativa di sé e dell’altro. È in questo contesto che si sviluppano gli Schemi Mala-dattivi Precoci, che condizioneranno nel tempo lo sviluppo relazionale.

Questi Schemi, fortemente radicati e stabili, sono i fattori di mantenimento deldisturboneipazientidifficiliecondisturbidellapersonalità.

L’obiettivo terapeutico della Schema Therapy è quello di rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento di questi schemi e di aiutarlo a tro-varestrategiedicopingpiùefficaciperriuscireasoddisfareipropribisogni.

Gli autori, inoltre, hanno proposto un intervento più complesso per trattare i pazienti più gravi, come quelli affetti da Disturbo Borderline o Narcisistico di Perso-nalità. Questo tipo intervento, che il lettore troverà ben descritto nell’ultima parte del manuale, è suggerito quando il paziente presenta repentini cambiamenti emotivi e un numerodischemimoltoelevato,cherendonodifficileillavorosulsingoloschema.

In questo caso il modello che propongono si basa sul concetto di Mode - forse il concetto più innovativo di questo nuovo approccio - inteso come l’insieme degli stati emotivi e degli stili di coping attivi in un individuo in un determinato momento.

Abbiamo deciso di tradurre questo manuale e di seguirne personalmente la cu-ratela perché riteniamo che l’approccio di Young e collaboratori offra un contributo significativo,anchesenonesaustivo,al trattamentodeidisturbidipersonalità inun’ottica prevalentemente cognitivo-comportamentale. Pensiamo, comunque, che il trattamento dei pazienti gravi non possa prescindere da un certo eclettismo tera-peutico e che, di conseguenza, ogni manuale strutturato abbia i suoi grossi limiti.

Apprezzando enormemente e utilizzando ogni giorno le strategie per il tratta-mento dei disturbi di personalità proposte dai ricercatori, italiani e non, sopra citati, il nostro auspicio non è quello di promuovere in Italia un approccio terapeutico ri-voluzionario o migliore di altri, quanto di mettere a disposizione dei colleghi ulterio-ristrategiechepossonorisultareutiliquandosihaachefareconqueicasidifficilidifronteaiqualiqualunquetecnicaterapeuticanonsembramaiabbastanzaefficace.

Ci auguriamo, quindi, che questo nostro contributo possa essere utile a tutti quelli che, come noi, pur avendo una formazione cognitivo-comportamentale, si cimentano nell’impegnativo lavoro terapeutico con i pazienti gravi.

Alessandra CarrozzaNicola MarsigliGabriele Melli

Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva, IPSICO, Firenze

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GLI AUTORI

Jeffrey E. Young, PhD. Docente di psichiatria presso la Columbia Universi-ty; è il fondatore e il direttore del Cognitive Therapy Center di New York e del Connecticut oltre che dello Schema Therapy Institute ([email protected]). Tiene conferenze sulla terapia cognitiva e sulla Schema Therapy da oltre vent’anni a livello internazionale; ha formato migliaia di professionisti che ope-rano nel campo della salute mentale ed è ampiamente apprezzato per le capacità dimostrate nell’insegnamento.

Young è il fondatore della Schema Therapy, nuovo approccio terapeutico in-tegrato per il trattamento dei disturbi di personalità e per i pazienti che mostrano maggiore resistenza alle terapie tradizionali; è inoltre autore di numerose pubbli-cazioni, tra le quali i due importanti volumi “Cognitive Therapy for Personality Disorders: A Schema-Focused Approach”, un manuale per gli operatori del set-tore, e “Reinventa la tua vita”, un libro a carattere divulgativo, che ha ottenuto un notevole successo tra il grande pubblico, di cui Janet S. Klosko è co-autrice. Young è ricercatore sulla terapia cognitiva e sulla Schema Therapy e ha lavorato a molti progetti di ricerca, tra i quali il Collaborative Study of Depression, promosso dal National Institute of Mental Health; in ambito editoriale collabora alle seguenti riviste: Cognitive Therapy and Research e Cognitive and Behavioral Practice.

Janet S. Klosko, PhD. È co-direttrice del Cognitive Therapy Center di Long Island a Great Neck, New York e psicoterapeuta presso lo Schema Therapy Insti-tute di Manhattan e il Woodstock Women’s Health di Woodstock, New York. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in psicologia clinica alla State University of New York (SUNY) ad Albany, New York, e ha svolto il tirocinio alla Brown University Medical School. Durante la sua permanenza alla SUNY, ha svolto atti-vità clinica e di ricerca per il trattamento dei disturbi d’ansia sotto la supervisione del dr. Davide H. Barlow. Ha ricevuto l’Albany Award for Excellence in Research e il Dissertation Award in Clinical Psichology as a Science dall’American Psicho-logical Association Section. È autrice di numerose pubblicazioni accademiche e co-autrice, insieme a William Sanderson, del volume “Trattamento cognitivo-comportamentale della depressione” e del popolare libro di auto-aiuto “Rein-venta la tua vita”, insieme a Jeffrey E. Young. La dott.ssa Klosko ha conseguito inoltre una laurea specialistica in letteratura inglese.

Marjorie E. Weishaar, PhD. Professore di psichiatria e comportamento umano alla Brown University Medical School, dove ha ricevuto ben due premi

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VIII Schema Therapy

per l’insegnamento, insegna terapia cognitiva a medici e psicologi. Laureata alla University of Pennsylvania, ha conseguito tre lauree specialistiche alla Pennsyl-vania State University; si è specializzata in terapia cognitiva con Aaron T. Beck e in Schema Therapy con Jeffrey E. Young. È autrice di “Aaron T. Beck”, un libro sulla terapia cognitiva e sul suo fondatore, recentemente tradotto in cinese. La dott.ssa Weishaar tiene regolarmente conferenze, è autrice di numerosi articoli e capitoli di volumi di terapia cognitiva e, in particolare, sul rischio di suicidio. Attualmente, svolge attività clinica come libera professionista a Providence, nel Rhode Island.

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PREFAZIONE

Perquantorisultidifficiledacredere,sonogiàtrascorsinoveannidallapubbli-cazione del nostro primo volume sulla Schema Therapy. Nel corso dell’ultimo de-cennio, l’interesse per il nostro modello terapeutico è andato man mano crescendo e consolidandosi. Molti colleghi negli anni ci hanno rivolto la stessa domanda: “Quando pubblicherete un manuale aggiornato ed esaustivo sulla Schema The-rapy?”. Con un certo imbarazzo, eravamo costretti ad ammettere che non aveva-mo ancora trovato il tempo per intraprendere un progetto così impegnativo.Nonostanteledifficoltàiniziali,dopotreannidiintensolavorosiamofinal-

mente riusciti a portare a termine quella che ci auguriamo possa diventare una vera e propria “bibbia” per tutti coloro che praticano la Schema Therapy. Per rendere il nostro lavoro il più esaustivo possibile, abbiamo inserito tutti gli aggiornamenti e gli approfondimenti degli ultimi anni, il nostro modello concettuale revisionato e una descrizione dettagliata delle varie strategie terapeutiche; abbiamo inoltre presentato numerosi casi clinici insieme ad alcuni dialoghi estratti dalle sedute. In particolare, ci siamo dedicati alla stesura di due capitoli che descrivessero in ma-nieradettagliataunprotocolloterapeuticopiùampio,specificamentesviluppatoper il trattamento dei disturbi borderline e narcisistico di personalità. Negliultimianni,sisonoverificatimolticambiamentinelcampodellasalute

mentale e molti di essi hanno avuto un impatto profondo sulla Schema Therapy. La crescente insoddisfazione dei clinici di vario orientamento per i limiti dei pro-tocolli terapeutici tradizionali è andata di pari passo ad un crescente interesse per lo sviluppo di modelli nuovi, il cui obiettivo fosse quello di integrare i diversi ap-procci terapeutici. La Schema Therapy è stata uno dei primi approcci a muoversi in questa direzione ed è riuscita ad attrarre molti dei professionisti, dei clinici e dei ricercatori che erano alla ricerca di una legittimazione, così come di una guida, perandareoltreiconfinideimodelliterapeuticiesistenti.

Un chiaro indicatore del crescente interesse che i clinici nutrono nei confronti della Schema Therapy è la diffusione capillare che lo Young Schema Question-naire (YSQ) ha riscontrato a livello internazionale; il questionario, impiegato nella pratica clinica e nella ricerca, è già stato tradotto in spagnolo, greco, olandese, francese,giapponese,norvegese,tedescoefinlandese,percitaresoltantoalcunidei paesi nei quali la Schema Therapy viene praticata.Unaltroimportantesegnaleèilsuccessocheiduevolumifinorapubblicati

sull’argomento continuano ad avere a distanza di dieci anni dalla prima uscita: “Cognitive Therapy for Personal Disorders: A Schema Focused Approach”, at-tualmente alla terza edizione, e “Reinventa la tua vita”, un manuale di auto-aiuto

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Schema Therapy

che ha venduto più di 125.000 copie, è stato tradotto in svariate lingue ed è ancora disponibile sugli scaffali delle principali librerie.

Nel corso dell’ultimo decennio, gli ambiti di applicazione della Schema The-rapy si sono moltiplicati: oltre che per i disturbi di personalità, essa viene impiega-ta nel trattamento di una vasta gamma di problematiche cliniche, fra cui i disturbi depressivi cronici, i traumi infantili, gli atti criminali, i disturbi alimentari, la tera-pia di coppia e la prevenzione della ricaduta nell’abuso da sostanze. Inoltre, viene spesso utilizzata per lavorare sui tratti patologici di personalità predisponenti o sottostanti ai disturbi di Asse I.

Un’altra importante evoluzione è stata raggiunta con lo sviluppo di diversi ap-procci basati sull’integrazione tra la Schema Therapy e le pratiche meditative. Su come sia possibile combinare la Schema Therapy con la Mindfulness o con altre pratiche tradizionali di derivazione religiosa sono già stati pubblicati tre volumi: “Alchimia emotiva” di Tara Bennett-Goleman, “Praying Through Our Lifetraps: A Psycho-Spiritual Path to Freedom” di John Cecero e “The Myth of More” di Joseph Novello.

Un ostacolo allo sviluppo della Schema Therapy si è invece avuto in seguito all’aumento, negli Stati Uniti, dei programmi di contenimento dei costi per il trat-tamento dei disturbi di personalità. Per i clinici e per i ricercatori che lavorano in questoambitoèdiventatosemprepiùdifficileottenereirimborsidalleassicura-zionieavereaccessoaifinanziamentiperiprogrammidiricerca,poichéiltemponecessario per il trattamento dei disturbi di Asse II è mediamente più lungo di quello previsto dai protocolli terapeutici tradizionali. Per questo, gli Stati Uniti si trovano adesso in netto svantaggio rispetto a molti altri paesi sia per la promozio-ne della ricerca sia per il trattamento dei disturbi di personalità.Iltagliodeifinanziamenti,infatti,hapostounfrenoallaricerca,ostacolando

fortementelosviluppodivalidistudidiefficaciarivoltiall’indaginedeltrattamen-to dei disturbi di personalità (un’importante eccezione è rappresentata dall’ap-proccio comportamentale dialettico sviluppato da Marsha Linehan per il tratta-mento del disturbo borderline di personalità). Questo ha comportato anche per noidellenotevoli difficoltà, impedendocidi ottenere ifinanziamenti necessariper portare avanti progetti di ricerca in grado di fornire evidenze empiriche alla Schema Therapy.

Per questo motivo, recentemente ci siamo rivolti ad altri paesi, per poter svi-luppare questo ambito di ricerca che riteniamo fondamentale. In particolare, guardiamoconsperanzaadunostudiodiefficacia,direttodaArnoudArntz,chesta per giungere al termine nei Paesi Bassi. Si tratta di uno studio multicentrico, condotto su vasta scala, che mette a confronto la Schema Therapy con l’approc-cio sviluppato da Otto Kernberg per il trattamento del Disturbo Borderline di Personalità e del quale attendiamo con ansia i risultati.

Nel primo capitolo il lettore che non ha familiarità con la Schema Therapy può trovare una sintesi dei principali vantaggi che questo approccio terapeutico

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offre rispetto alle terapie cognitivo-comportamentali tradizionali. Innanzitutto, rispetto alla maggior parte dei protocolli standard, la Schema Therapy presenta un modello teorico e terapeutico più articolato, che amplia ed integra elementi mutuati da vari approcci, quali la terapia cognitivo-comportamentale, le teorie psicodinamiche, la teoria dell’attaccamento e quella della Gestalt. Inoltre, anche se gli elementi della terapia cognitivo-comportamentale sono alla base della Sche-ma Therapy, il cambiamento emotivo, le tecniche esperienziali e la relazione tera-peutica rivestono un ruolo altrettanto importante.

Il modello degli schemi da un lato è dotato di una apparente semplicità, dall’al-tro possiede aspetti più profondi e molto complessi; questa sua versatilità facilita l’approccio e la comprensione sia del terapeuta che del paziente. Anche se il suo modello teorico si fonda, come abbiamo detto, su concetti complessi che spesso, in altri approcci terapeutici, risultano poco comprensibili o addirittura confusivi per il paziente, la Schema Therapy ha il merito di esplicitarli in maniera chiara e comprensibile, mantenendo l’immediatezza della terapia cognitivo-comportamen-tale (TCC), senza dover rinunciare alla complessità delle teorie psicodinamiche.

La Schema Therapy fa proprie due caratteristiche fondamentali della TCC: è strutturata e sistematica allo stesso tempo. Il terapeuta si attiene alle procedure di assessment e di trattamento descritte. La fase di valutazione include la som-ministrazione di una serie di questionari volti a misurare l’eventuale presenza di schemi e di stili di coping. La terapia è attiva e direttiva, non limitandosi a pro-muovere l’insight ma cercando di ottenere il cambiamento cognitivo, emotivo, interpersonaleecomportamentale.LaSchemaTherapysièdimostrataefficace,oltre che nella terapia individuale, anche nella terapia di coppia, per aiutare en-trambi i partner a riconoscere e contrastare i propri schemi.

Un altro vantaggio della Schema Therapy consiste nel suo elevato livello di specificità.Nonsolodefinisceschemi,stilidicopingemodespecifici,maforni-sce anche strategie dettagliate per i singoli schemi, fornendo per ciascuno di essi indicazioni dettagliate circa la più appropriata forma di intervento. Anche per quanto riguarda la relazione terapeutica, la Schema Therapy fornisce un metodo semplice e lineare che consente al terapeuta di utilizzarla per comprendere le dif-ficoltàdelpazienteelavorarcisopra.Ècompitodelterapeuta,atalescopo,mo-nitorare, nel corso delle sedute, anche l’attivazione dei propri schemi, dei propri stili di coping e dei propri mode.

Inoltre, la Schema Therapy si distingue per un altro aspetto, probabilmen-te il più importante: rispetto alle psicoterapie tradizionali la sua impostazione è decisamente più orientata al paziente. Essa tende a normalizzare piuttosto che a patologizzare i disturbi psicologici. Tutti noi sviluppiamo degli schemi, degli stili di coping e dei mode; l’unica differenza è che queste caratteristiche sono piùaccentuateerigideneisoggetticlinici.Infine,l’approcciodellaSchemaThe-rapy è empatico e rispettoso nei confronti dei pazienti, soprattutto di quelli più gravi e, in particolare, di quelli affetti da Disturbo Borderline di Personalità, ai

Prefazione

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�II Schema Therapy

quali spesso viene riservato un trattamento decisamente poco empatico, per non dire “rimproverante”, nel contesto delle terapie tradizionali. Gli stessi concetti di “confronto empatico” e “parziale reparenting” inducono i terapeuti a sviluppare un atteggiamento accudente nei confronti del paziente. Lavorare sui “mode”, inoltre, facilita il processo di confronto, permettendo al terapeuta di contrastare con forza i comportamenti rigidi e disfunzionali del paziente, senza per questo compromettere l’alleanza terapeutica.

Per concludere, è stato dato particolare rilievo ad alcuni degli sviluppi che han-no interessato la Schema Therapy negli ultimi dieci anni: innanzitutto, abbiamo incluso la nuova lista degli Schemi Maladattivi Precoci, revisionata ed ampliata finoacomprenderne18,suddivisiincinquedomini.Abbiamo,inoltre,sviluppatodue nuovi protocolli terapeutici comprensivi di strategie dettagliate per i Disturbi Borderline e Narcisistico di Personalità. Questi protocolli ampliano e integrano la Schema Therapy, soprattutto attraverso l’utilizzo del nuovo concetto di “mode”. Abbiamo,infine,postounamaggioreenfasisuglistilidicoping,inparticolaresuquelli di evitamento e di ipercompensazione, e sul processo di cambiamento dei comportamentidisfunzionalivoltoamodificarli.Loscopoèquellodiaiutareilpaziente a sostituire i propri stili di coping disadattivi con altri più funzionali, che gli permettano di soddisfare i propri bisogni emotivi di base.

Con la pratica clinica e il maturare della nostra esperienza, il “parziale reparen-ting” ha assunto un ruolo sempre più importante nella terapia, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei pazienti più gravi. Per questo motivo, riteniamo fondamentale che il terapeuta cerchi di soddisfare, ovviamente entro i limiti della relazione terapeutica, i bisogni che il paziente non ha potuto soddisfare durante l’infanzia. Con il passare del tempo, si è posta maggiore enfasi anche sugli schemi e sugli stili di coping del terapeuta, soprattutto nel contesto della relazione tera-peutica.

Ci auguriamo che questo manuale possa offrire al clinico una prospettiva nuo-vaperaffrontareipazientipiùdifficiliecheilnostroapproccioterapeuticopossadarerisultatisignificativiconipazientipiùgravieproblematici,periqualièstatoappositamente sviluppato.

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RINGRAZIAMENTI

Gli autoriDesideriamo ringraziare tutti i collaboratori della Guilford Press per aver-

ci sostenuto in questo lungo e impegnativo percorso: Kitty Moore, il direttore editoriale, per i suoi preziosi consigli e per averci guidato nella progettazione del volume; il direttore di produzione, Anna Nelson, per aver supervisionato le varie fasi di produzione con tanta professionalità e disponibilità; Elaine Kehoe, per il suoaccuratolavorodiediting;e,infine,tuttolostaff,peraverciseguitoesoste-nuto in tutte le fasi di realizzazione.

In particolare, ringraziamo il dr. George Lockwood, che ci ha fornito nu-merosi chiarimenti e riferimenti storici sui vari approcci psicoanalitici e al quale dobbiamo la maggior parte del materiale sulle altre psicoterapie presentato nel primo capitolo. Lavorare con lui è stata un’esperienza estremamente stimolante, che speriamo di poter ripetere in futuro.

Siamo, inoltre, riconoscenti a tutto lo staff dello Schema Therapy Institute di Manhattan e, in particolare, a Nancy Ribeiro e Sylvia Tamm. Il loro impegno e la loroaffidabilitàcihannodatoilcoraggioelaserenitàdiportareavantiilnostroprogetto.Infine,ringraziamoinostripazienti,checihannodimostratocomesiapossi-

biletrasformareanchelerealtàpiùdifficiliinmomentidisperanzaedesperienzedi recupero.

Jeffrey E. Young Sono molte le persone che desidero ringraziare per il prezioso contributo ed

il sostegno che mi hanno dato, sia nello sviluppo della Schema Therapy, sia nella stesura di questo libro.

Sono grato ai miei amici più cari per l’affetto e la disponibilità dimostratemi nel corso degli ultimi anni e per il ruolo fondamentale che hanno avuto nel-l’elaborazione di questo approccio terapeutico. Sono stati come una famiglia perSono stati come una famiglia per me: Wendy Behary, Pierre Cousineau, Cathy Flanagan, Vivian Francesco, George Lockwood, Marty Slogane, Bob Sternberg, Will Swift, Dick e Diane Wattenmaker e William Zangwill.

Ringrazio i miei colleghi, che hanno contribuito in vari modi a sviluppare la Schema Therapy, sia negli Stati Uniti che in altri paesi: Arnoud Arntz, Sam Ball, Jordi Cid, Michael First, Vartouhi Ohanian, Bill Sanderson, Glenn Walzer e Da-vid Weinberger.

Ringrazio Nancy Ribeiro, la mia assistente amministrativa, per la devozione

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dimostrata nella realizzazione del progetto e per aver saputo sopportare le mie stranezze giorno dopo giorno.

Grazie a mio padre, che con il suo amore incondizionato mi ha fornito un ottimo modello di accudimento e riaccudimento. Infine,graziealmiomentore,TimBeck,cheèstatosiaunamico,siaunagui-

dafindall’iniziodellamiacarriera.

Janet S. KloskoOltre alle persone già citate, vorrei ringraziare tutti i miei colleghi per l’ap-

poggio che mi hanno saputo dare. In particolare, sono grata a Jayne Rygh, KenIn particolare, sono grata a Jayne Rygh, Ken Appelbaum, David Bricker, William Sanderson e Jenna Smith. Desidero inoltreDesidero inoltre ringraziare la mia famiglia e i miei amici, in particolare Michael e Molly, per aver costituito la base sicura sulla quale ho potuto costruire la mia carriera.

Marjorie E. WeishaarRingrazio i miei professori, in particolare Aaron T. Beck, per i loro saggi con-

sigli e la loro guida. Grazie ai miei colleghi e ai miei studenti per l’importante contributo che mi hanno dato e grazie a tutti i membri della mia famiglia per l’ottimismo, l’onestà e l’amore incondizionato che mi hanno dimostrato.

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SCHEMA THERAPY:

IL MODELLO TEORICO

La Schema Therapy, sviluppata da Young (1990-1999) e colleghi, consiste in un modello teorico e in un approccio terapeutico innovativo e articolato che inte-gra e amplia la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e le teorie su cui essa si basa, prendendo spunto da diversi altri modelli teorici, quali la teoria dell’attacca-mento, la teoria costruttivista, la scuola psicoanalitica e quella della Gestalt.

Questo approccio terapeutico è rivolto in particolare ai pazienti affetti da pro-blematiche psicologiche ben radicate, considerati casi difficili da trattare. Evi-denzeclinichedimostranocomelaSchemaTherapysiauntrattamentoefficaceper i disturbi di personalità e per quei tratti patologici di personalità che spesso costituiscono un fattore di mantenimento della sintomatologia di Asse I.

DALLA CBT ALLA SCHEMA THERAPYAlcune considerazioni sulla CBT1 sono utili per capire l’importanza che ha

avuto per Young lo sviluppo della Schema Therapy. I progressi nella ricerca e nella terapia hanno consentito di sviluppare protocolli di

trattamento soddisfacenti per la maggior parte dei disturbi di Asse I; si tratta di terapie brevi (in media 20 sedute) che mirano alla riduzione della sintomatologia, allo sviluppo dialcuneabilitàeallarisoluzionedelleproblematichecheaffliggonoilpaziente.

1 In questa sede, il termine “terapia cognitivo-comportamentale” si riferisce a svariati protocolli elaborati da Beck (Beck, Rush, Shaw e Emery, 1979), Barlow (Crasse, Barlow e Meadows, 2000) ed altri autori per trattare i disturbi di Asse I. In ambito cognitivo-comportamentale, alcuni terapeuti hanno modificato i protocolli standard per adattarli ai casi difficili, sviluppando modelli compatibili con la Schema Therapy (Beck, Freeman, e colleghi, 1990). Discuteremo di alcune di queste modifiche più avanti (pagg. 50-57). È tuttavia opportuno sottolineare che, a tutt’oggi, i protocolli standard utilizzati in terapia cognitivo-comportamentale raramente tengono conto di questi adattamenti.

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Schema Therapy

Glistudichesisonooccupatidivalutarel’efficaciadeitrattamentibasatisuquesti protocolli hanno evidenziato un’elevata percentuale di risultati positivi (Barlow, 2001); tuttavia, considerando un intervallo di tempo più esteso, in mol-ti casi essi si sono rivelati inefficaci.Ad esempio, nel trattamento dei disturbidepressivi la percentuale di successo è del 60%, ma la percentuale di ricaduta adistanzadiunannodallafinedella terapia si aggira intornoal30%(Young,Weinberger e Beck, 2001). È noto, inoltre, come la CBT standard abbia una scar-sa efficacianel trattamentodeipazienti affettidadisturbidipersonalitào chepresentino tratti di personalità patologici (Beck, Freeman e colleghi, 1990). Non a caso, oggigiorno, la ricerca nell’ambito della CBT ha come principale obiettivo la sperimentazione di protocolli di trattamento che diano risultati soddisfacenti nella cura del paziente grave.

Sono diverse le situazioni in cui si nota come i tratti patologici di personalità possanoridurrel’efficaciadellaCBT.Unesempiotipicopuòesserequellodeipa-zienti in trattamento per un disturbo di Asse I che si bloccano durante il percorso terapeutico o presentano una ricaduta al suo termine. Prendiamo il caso di una don-na che aveva effettuato una terapia per superare il suo disturbo agorafobico. Attra-verso l’utilizzo di esercizi di respirazione e di una gerarchia di esposizione graduale, accompagnatidallaristrutturazionedeipensiericatastrofici,ladonnaerariuscitaadottenereunasignificativariduzionedellasintomatologiaeavincere,diconseguen-za, la paura di numerose situazioni. Al termine del trattamento, tuttavia, la paziente eratornatarapidamenteadessereafflittadallostessodisturbo.Seanalizziamolastoria di vita di questa persona, ci troviamo di fronte a un passato caratterizzato dall’assenza di autonomia personale e dalla presenza di sentimenti di vulnerabilità einefficienza–quellichenoidefiniamo“schemidiDipendenzaeVulnerabilità”–chehannosempreinfluitosullasuacapacitàdiaffrontaredasolaleincombenzedellavitaquotidiana.Privadellafiducianecessariaperprenderedelledecisioni,nelcorso della sua esistenza la donna non è mai riuscita ad acquisire alcune capacità ele-mentari, come ad esempio prendere la patente, orientarsi nel quartiere in cui abita, gestireildenaroofissareobiettivialungotermine.Unavoltaconclusalaterapia,lapaziente non era stata in grado di esporsi alle situazioni temute senza la guida del terapeuta,vanificandoiprogressiottenutiduranteiltrattamento.

È frequente, inoltre, che una terapia cognitivo-comportamentale venga intra-presa per affrontare un disturbo di Asse I, ma che, una volta ottenuta la riduzione della sintomatologia, i pazienti si trovino a dover fare i conti con i propri tratti patologici di personalità. Per comprendere meglio ciò che accade in queste si-tuazioni, prendiamo in considerazione il caso di un paziente affetto da disturbo ossessivo-compulsivo. Grazie ad un breve trattamento basato sull’esposizione e la prevenzione della risposta, l’uomo era riuscito a liberarsi dai pensieri ossessivi edairitualicompulsivichefinoaquelmomentoavevanoimpegnatolamaggiorparte del suo tempo. Finalmente in grado di dedicarsi ad altre attività, si era trova-to a dover affrontare la sua pressoché totale mancanza di rapporti sociali, naturale

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conseguenza di una vita trascorsa in solitudine. Il paziente presentava quello che noidefiniamo“schemadiInadeguatezza”,cheloavevaportato,findall’infanzia,asperimentaresentimentidirifiutoeadevitare,diconseguenza,ilcontattocongli altri e qualsiasi rapporto interpersonale. Infine,dobbiamoconsiderare tuttiqueicasi incui ilpazientenonpresenta

sintomispecifici,mariferisceproblematichevagheegeneriche,privedi fattoriscatenantifacilmenteidentificabilieperiqualièdifficileimpostaredegliobiettiviterapeutici.AncheinquestecircostanzelaCBTrisultapocoefficace:ilpazientesentechequalcosanonvaoècarentenellasuavita,manonsadefinireilproble-ma.Ciòcheinconsapevolmentevorrebbemodificareècostituitodaitrattipato-logicidipersonalitàe,dallaterapia,siaspettaunaiutoperrisolvereledifficoltàche ha sempre avuto nel gestire le relazioni interpersonali in ambito familiare o lavorativo, ma poiché non ha alcun disturbo evidente in Asse I, o ne ha troppi, puòtrarrepochibeneficidallaCBTstandard.

Perché i pazienti con tratti patologici di personalità non sono adatti alla terapia cognitivo-comportamentale

La CBT si basa su alcuni presupposti riguardanti le caratteristiche del paziente che vengono a mancare in coloro che presentano tratti patologici di personalità. Queste persone, infatti, si differenziano dai pazienti affetti dai classici disturbi di Asse I per una serie di caratteristiche psicologiche che li rendono meno adatti alla CBT tradizionale.

Uno dei presupposti a cui ci riferiamo, ad esempio, è la capacità del paziente di aderire al protocollo di trattamento. In terapia cognitivo-comportamentale, si parte dal principio che il paziente sia motivato ad affrontare il percorso di ridu-zione dei sintomi, di acquisizione delle abilità e di soluzione dei problemi che lo affliggonoeche,diconseguenza,congliadeguatistimolierassicurazioni,riescaad aderire alle procedure terapeutiche necessarie. Tuttavia, nel caso di pazienti con tratti patologici di personalità, la motivazione al trattamento e l’aderenza alle prescrizioni terapeutiche sono spesso altalenanti e, talvolta, si nota la mancanza di volontà o l’incapacità di seguire il percorso terapeutico. In alcuni casi, il paziente non esegue i compiti che dovrebbe svolgere al di fuori delle sedute, oppure ma-nifesta una grande riluttanza nel mettere in pratica le strategie di autocontrollo o, ancora, si mostra più interessato ad ottenere consolazione dal terapeuta piuttosto che ad apprendere strategie adeguate per aiutare se stesso.

Un altro presupposto su cui si basa la CBT è la capacità del paziente di impa-rare tempestivamente a riconoscere, e riferire al terapeuta, i pensieri e le emozio-ni. Tuttavia, chi presenta tratti patologici di personalità, tende ad avere una scarsa capacitàdiaccederealleproprieemozionieaipropripensierieperciòdifficil-mente riesce ad osservarli e ad annotarli, soprattutto nelle prime fasi della terapia. Molti di questi pazienti, infatti, operano inconsapevolmente un evitamento emo-tivo e cognitivo, rifuggendo dai pensieri, dai ricordi, dalle immagini sgradevoli,

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dalle sensazioni negative e risultano, di conseguenza, incapaci di un qualsiasi tipo di autoanalisi. In questi soggetti, l’evitamento si instaura tendenzialmente come un meccanismo di difesa che tende a consolidarsi nel tempo, poiché funzionale alla riduzione delle sensazioni negative. In presenza di stimoli associati a ricordi dell’infanzia, si possono scatenare alcune emozioni sgradevoli, quali l’ansia o la depressione,portandol’individuoadevitarequestistimoli,alfinedisottrarsialdisagio, e favorendo l’instaurarsi di un automatismo di evitamento estremamente difficiledamodificare.LaCBTpresuppone,inoltre,cheilpazientesiaingradodimodificareicom-

portamenti disfunzionali e i pensieri negativi attraverso l’applicazione di tecniche quali l’ABC, la ristrutturazione cognitiva, l’esposizione alle situazioni temute e così via; nel caso di pazienti con tratti patologici di personalità, raramente questo èpossibile.L’esperienza cihadimostrato conchiarezzaquanto siadifficile ri-strutturare i pensieri distorti e gli atteggiamenti disfunzionali in soggetti con tratti patologici di personalità utilizzando la sola CBT. Spesso, infatti, anche dopo mesi dilavoro,nonsinotaalcunmiglioramentosignificativo.

In questi casi, la terapia cognitivo-comportamentale è, come abbiamo detto, digranlungamenoefficaceenecessitaditempipiùlunghiperdarerisultatisigni-ficativiancheacausadellarigiditàmentalechecontraddistinguetuttiidisturbidipersonalità (American Psychiatric Association, 1994, pag. 633). Dobbiamo con-siderare, inoltre, che i pazienti con questi disturbi, presentando tratti patologici egosintonici, sono pessimisti circa le possibilità di trattamento e considerano i meccanismi disfunzionali di cui si avvalgono una parte così importante della pro-pria identità personale da non riuscire a prendere in considerazione un eventuale cambiamento. Il tentativo di smuoverli dalle loro posizioni, spesso, si traduce in un attaccamento rigido, automatico e talvolta aggressivo alla consueta visione che hanno di se stessi e del mondo che li circonda.

Un altro fattore da prendere in considerazione è la relazione terapeutica: nella CBT il rapporto terapeuta-paziente non è considerato un “elemento attivo” del percorso di trattamento. L’assunto di base è che, essendo il paziente collaborativo e motivato, si possa sviluppare in poche sedute una buona intesa e che la relazio-ne, di conseguenza, non costituisca uno degli obiettivi primari della terapia, ma piuttosto un obiettivo secondario, da perseguire esclusivamente per supportare il paziente nel superamento degli ostacoli che può incontrare nel percorso te-rapeutico. Questo presupposto può costituire un grosso limite nel trattamento dei pazienti gravi, poiché essi presentano un altro elemento distintivo di tutti i disturbidipersonalità,ovverounadifficoltà cronicanelle relazioni interperso-nali (Millon, 1981), che gli impedisce di instaurare legami stabili, tanto nella vita privata quanto nella terapia. Alcuni pazienti, come ad esempio quelli affetti da disturbo borderline o dipendente di personalità, sono così presi dal far sì che il te-rapeutasoddisfiilorobisogniemotivi,daperderedivistaleproblematichevereeproprie da affrontare nel trattamento; altri ancora, come quelli affetti da disturbo

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narcisistico, paranoide, schizoide o ossessivo-compulsivo di personalità, tendono ad essere così distaccati o ostili da non riuscire a collaborare con il terapeuta. Per questo motivo, l’analisi approfondita della relazione terapeutica è un elemento estremamente importante, sia per la valutazione del caso che per il trattamento di questi disturbi.

In conclusione, la CBT è stata concepita per trattare quei casi che presentano unasintomatologiafacilmenteidentificabile.Nonèpossibile,dunque,impostareuna terapia di questo tipo per i pazienti che presentano aspetti di personalità pa-tologici, poiché, come già detto, essi presentano problemi vaghi e cronici: sono sempre insoddisfatti, non riescono a vivere relazioni di coppia durature, la realiz-zazioneincampoprofessionaleèdifficoltosaesonodominatidaungransensodivuoto.Tuttiquestiaspettiesistenzialinonsolosonodifficilidadecodificare,ma anche da affrontare con la sola CBT. Piùavanticercheremodispiegarecomeidiversischemiidentificabilineipa-

zienti con tratti patologici di personalità possano ostacolare il buon esito della terapia cognitivo-comportamentale.

LO SVILUPPO DELLA SCHEMA THERAPYPer tutte le ragioni che abbiamofinqui analizzato,Young (1990, 1999)ha

sviluppatolaSchemaTherapyconl’obiettivoprincipalediallargareiconfinidellaCBT tradizionale, integrando tecnichedidiverse scuole, alfinediottenereunmodelloterapeuticoefficaceneltrattamentodeidisturbidipersonalità.Rispettoalla CBT, la Schema Therapy – che, a seconda dei casi, può essere di breve, media o lunga durata – dà molta più importanza all’analisi delle diverse fasi dello svilup-po del disturbo (a partire dall’infanzia o dall’adolescenza), alla sfera emotiva, alla relazione terapeutica e alle modalità di coping disfunzionali.

Nel trattamento di molti disturbi di Asse I e II che hanno origine da tratti patologicidipersonalità,laSchemaTherapypuòesseremoltoefficaceunavoltacheèstataridottalasintomatologiaacuta.Questotipoditerapia,infatti,èfina-lizzato al trattamento di quegli aspetti patologici di personalità che sottostanno al disturbo o lo mantengono attivo, anziché dei sintomi psichiatrici acuti (come la depressione maggiore o gli attacchi di panico ricorrenti); per questo motivo, è spessoaffiancataadaltritipidiintervento,comelaCBTstandardeiltrattamentofarmacologico.LaSchemaTherapysièdimostrataefficaceneltrattamentodeiproblemi cronici di ansia e depressione, dei disturbi alimentari, delle problemati-chedicoppiaedelledifficoltàrelazionali,oltrechenelpercorsodiriabilitazionedei criminali e nella prevenzione della ricaduta nei tossicodipendenti.

Come discuteremo in dettaglio nel prossimo paragrafo, questo nuovo approc-cioterapeuticoècentratosull’individuazioneelamodificazionedialcuniaspettipsicologici profondi, detti “schemi maladattivi precoci” (SMP), tipici dei soggetti che presentano tratti patologici di personalità. Il terapeuta che applica la Schema Therapy tenta di ricostruire lo sviluppo di questi schemi dalla prima infanzia al

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presente, dedicando particolare attenzione, nella loro analisi e comprensione, alle relazioni interpersonali del paziente. Utilizzando il modello, il paziente riesce a rendere egodistonici i propri tratti di personalità disfunzionali e, di conseguenza, è facilitatonelmodificarli.Ilterapeutaloaiutaamodificareiproprischemipatogeni,attraverso l’utilizzo di strategie cognitive, emotive, comportamentali e interperso-nali. Quando il paziente mette in atto i meccanismi disfunzionali tipici dello sche-ma maladattivo precoce, il terapeuta, in modo empatico, gli ricorda i vantaggi che otterrebbe dal cambiamento e, svolgendo una funzione di parziale reparenting, cerca di colmare, in parte, le carenze che il paziente ha subito durante l’infanzia.

GLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI (SMP)

Genesi del concetto di schemaAnalizziamo, adesso, i concetti di base della Schema Therapy, partendo dalla

storia e dallo sviluppo del termine “schema”. Esso rientra nel lessico di diverse discipline. Nel linguaggio comune, uno schema equivale ad una struttura, ad un modello,adunprofilo.Nellafilosofiadell’anticaGrecia,gliStoici,inparticola-re Crisippo (ca. 279-206 a.C.), presentavano i principi di logica sotto forma di “schemiinferenziali”(Nussbaum,1994).NellafilosofiadiKant,loschemaerauna rappresentazione di ciò che è comune a tutti i membri di una classe sociale. Il concetto di schema viene utilizzato anche nella teoria degli insiemi, nell’alge-bra, nelle scienze dell’educazione, nell’analisi letteraria, nella programmazione informaticaeinmoltialtrisettori.Essohaunsignificatoparticolarmenteimpor-tante in psicologia, e in particolare nell’ambito dello sviluppo cognitivo, dove lo schema rappresenta la struttura che l’individuo utilizza per interpretare la realtà eleesperienzevissuteedicuisiavvalepertrovaredellespiegazioni,perfiltrarele percezioni e per guidare le proprie reazioni. Uno schema è dunque una rap-presentazione astratta delle caratteristiche di un evento, una sorta di traccia dei suoi elementi più rilevanti.

In psicologia il concetto di schema è comunemente associato al lavoro di Piaget, che ha descritto dettagliatamente gli schemi che caratterizzano le diverse fasi dello sviluppo cognitivo infantile. In ambito cognitivista, uno schema viene definitoanchecomeunpianocognitivoastrattotesoall’interpretazionedellein-formazioni e alla risoluzione dei problemi. Si può pensare, ad esempio, ad uno schema linguistico o ad uno schema culturale come strumenti psicologici da uti-lizzare, rispettivamente, per interpretare una frase o un mito. Nello sviluppo della terapiacognitiva,Beck(1967)hautilizzatoilconcettodischemafindall’inizio,come testimoniano i suoi primi scritti. Ad ogni modo, nell’ambito della psicologia edellapsicoterapia,disolitositendeadefinireschemaunqualunqueprincipioorganizzativo tramite il quale l’individuo può interpretare le esperienze vissute. In baseataledefinizione,unoschemapuòesseresiapositivochenegativo,funzio-nale all’adattamento o meno, e può avere origine sia nell’infanzia che in età adulta.

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�Schema Therapy: il modello teorico

È noto, in ambito psicoterapeutico, come gli schemi, che solitamente si formano durante l’infanzia, tendano a riattivarsi e a ripresentarsi durante le esperienze vis-sute in età adulta, anche quando non risultano più adeguati. Questo fenomeno, dovuto a un bisogno di “coerenza cognitiva”, ha la funzione di mantenere una certa stabilità nella visione di se stessi e del mondo, anche quando questa visione risulta inappropriata o distorta.

La definizione di schema secondo YoungSecondo Young (1990, 1999), alcuni schemi – in particolare quelli che si svi-

luppano in seguito ad un’esperienza negativa vissuta nell’infanzia – potrebbero essere all’origine dei tratti di personalità patologica o dei veri e propri disturbi di personalità, nonché di molte patologie croniche di Asse I. Per sviluppare questa teoria, Young ha individuato un gruppo di schemi che ha denominato schemi maladattivi precoci (SMP).SecondoladefinizionediYoungunSMPè:

• un concetto o modello omnicomprensivo;• formato da ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche; • utilizzato per comprendere se stessi e il rapporto con gli altri;• sviluppato nell’infanzia o nell’adolescenza;• presente in tutte le fasi della vita;• evidentemente poco funzionale.

In sintesi, un SMP è una struttura emotiva e cognitiva disfunzionale, che si consolida nelle prime fasi dello sviluppo e si mantiene per tutta la vita. È impor-tantenotarecome,secondoquestadefinizione,ilcomportamentodiunindividuonon faccia parte dello schema. Young considera, infatti, i comportamenti mala-dattivi delle risposte ad uno schema; essi, quindi, sono innescati dagli schemi ma non ne fanno parte.

LE CARATTERISTICHE DEGLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI

Esaminiamo, adesso, alcune delle principali caratteristiche degli schemi (d’ora in avanti utilizzeremo i termini “schema” e “schema maladattivo precoce” come sinonimi). Prendiamo, ad esempio, il caso di un paziente che presenta uno dei quattro schemi più ostinati e devastanti tra i diciotto elencati nella tabella 1.1 (pag.14):Abbandono/Instabilità;Sfiducia/Abuso;Deprivazioneemotiva;Inade-guatezza/Vergogna. Se da bambino il paziente ha subito un abbandono o un abu-so,èstatotrascuratoorifiutato,inetàadultailsuoschemamaladattivosiattiveràdi fronte a situazioni che ritiene inconsciamente simili alle esperienze traumatiche vissute nell’infanzia e proverà una forte emozione negativa, che può essere di dolore, di vergogna, di paura o di rabbia.

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� Schema Therapy

Non tutti gli schemi hanno origine da un trauma o da un maltrattamento subi-to da bambini, ma la maggior parte di essi sono causati da esperienze nocive che si protraggono per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Un individuo, ad esempio, può sviluppare uno schema di Dipendenza/Incapacità senza aver vissuto da bambino alcun evento traumatico, ma, al contrario, essendo cresciuto in una famiglia iper-protettiva o in un ambiente estremamente rassicurante.

Gli schemi maladattivi precoci sono resistenti al cambiamento; questo, come abbiamo già detto, è dovuto al bisogno di coerenza insito nell’essere umano: essi sono, infatti, un qualcosa di ben conosciuto dal soggetto e, pur essendo fonte di sofferenza, risultano sicuri e familiari. Le persone tendono ad essere attratte proprio dalle situazioni che attivano gli SMP e questo è uno dei motivi per cui ècosìdifficilemodificarli.Ipazienti,inoltre,consideranoglischemidelleveritàassolute e, di conseguenza, continuano ad utilizzarli nel tempo per interpretare gli eventi. Gli schemi giocano, dunque, un ruolo fondamentale nel modo di pensare, di sentire, di relazionarsi con gli altri e di agire del paziente e, paradossalmente, lo inducono a ricreare senza volere, in età adulta, lo stesso tipo di situazioni che lo hanno ferito maggiormente da bambino.

Gli SMP si originano nell’infanzia o nell’adolescenza come rappresentazioni realmente fondate dell’ambiente nel quale si è vissuti. La nostra esperienza ci ha dimostrato,infatti,comeglischemiriflettanoabbastanzafedelmentel’atmosferain cui ha vissuto l’individuo che li presenta. Ad esempio, quando un paziente descrive i propri genitori come freddi e poco affettuosi, ha generalmente ragione, anche se probabilmente non comprende perchélasuafamigliaavessetalidifficoltàa dimostrargli affetto o ad esprimere i propri sentimenti. Le spiegazioni che at-tribuisce al loro comportamento tendono ad essere sbagliate, ma la percezione dell’emotività e dell’atteggiamento della famiglia nei suoi confronti risulta quasi sempre realistica.

La natura invalidante degli schemi, solitamente, si fa notare in età adulta, quan-do il paziente inizia a manifestarli nei rapporti interpersonali, pur non essendo in grado di averne una reale consapevolezza. Gli schemi maladattivi precoci e le relative modalità di risposta, infatti, sono spesso all’origine di alcuni problemi cronici di Asse I, come ad esempio l’ansia, la depressione, la tossicodipendenza e i disturbi psicosomatici.

Gli SMP sono dimensionali, nel senso che possono essere più o meno gravi e invalidanti, e la gravità di uno schema è direttamente proporzionale al numero disituazionicapacidiattivarlo.Unindividuocheèstatooggetto,findabambino,di critiche aspre e ricorrenti da parte di entrambi i genitori, tenderà ad esperire lo schema di Inadeguatezza ogni qual volta si troverà in contatto con altre persone; colui che ha subito, a partire dall’adolescenza, critiche meno aspre, occasionali e da parte di un solo genitore, tenderà a manifestare lo stesso schema, ma molto piùraramenteemagarisoltantoinpresenzadifigureautoritarieedesigentidellostesso sesso del genitore criticante. La gravità di uno schema, inoltre, è propor-

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�Schema Therapy: il modello teorico

zionale all’intensità e alla durata della sensazione negativa che scatena quando si attiva.

Come già accennato, gli schemi, in generale, possono essere sia positivi che negativi e possono instaurarsi sia nell’infanzia che in età adulta; tuttavia il no-stro obiettivo è quello di analizzare esclusivamente gli schemi maladattivi pre-coci, quindi non prenderemo in considerazione né gli schemi positivi né quelli che si sviluppano in età adulta. Alcuni studiosi sostengono che ad ogni SMP ne corrisponda uno adattivo (Elliot e Lassen, 1997); del resto, considerando le fasi psicosociali di Erikson (1950), si potrebbe avanzare l’ipotesi che il superamento o meno di una fase psicosociale si traduca, rispettivamente, in uno schema adattivo o disadattivo. Tuttavia, l’attenzione di questo libro è rivolta ai pazienti affetti da patologie croniche e non alle persone “sane”, per cui analizzeremo princi-palmente gli schemi disfunzionali che riteniamo essere all’origine dei disturbi di personalità.

COME SI SVILUPPANO GLI SCHEMI

I bisogni primari Il presupposto su cui ci basiamo è che gli schemi derivino dalla frustrazione,

durante l’infanzia, di almeno uno dei cinque bisogni primari2 dell’essere umano:

• legami stabili con gli altri (bisogno di protezione, stabilità, cura e ac-cettazione);

• autonomia, senso di competenza e d’identità;• libertà di esprimere i bisogni e le emozioni fondamentali;• spontaneità e gioco;• limiti realistici e autocontrollo.

Questi bisogni sembrano essere universali e comuni a tutti gli individui, sebbe-ne in alcuni siano più marcati e in altri meno. Una persona in buona salute men-tale è capace di trovare delle strategie funzionali al soddisfacimento dei propri bisogni emotivi primari.

L’interazione tra il temperamento innato del bambino e l’ambiente in cui cresce può portare alla frustrazione, piuttosto che alla soddisfazione, dei suoi bisogni primari. Scopo della Schema Therapy e di tutte le modalità d’intervento relative è di aiutare il paziente a trovare delle strategie funzionali al soddisfacimento di questi bisogni.

2 La presente lista è avvalorata da svariate teorie, nonché da osservazioni cliniche da noi condotte personalmente, ma non è ancora stata sottoposta a test empirici; è nostro auspicio riuscire a condurre delle ricerche in tal senso, che ci permettano di continuare ad aggiornare o modificare l’elenco dei bisogni primari. Anche l’elenco dei domini degli schemi (vedi tabella 1.1. a pag. 14) rimane aperto ad eventuali modifiche, laddove esse si rendessero necessarie in seguito ad evidenze empiriche e cliniche.

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10 Schema Therapy

Le esperienze della prima infanziaAll’origine degli SMP possiamo quasi sempre associare delle esperienze nega-

tive vissute durante l’infanzia. In generale, le modalità con le quali un bambino si approccia al mondo esterno coincidono con le dinamiche che ha vissuto nel contesto familiare. Di solito, gli schemi maladattivi precoci si attivano quando il soggetto si trova in situazioni che gli ricordano un evento traumatico vissuto in ambito familiare, generalmente durante l’infanzia, per lo più nella relazione con uno dei genitori. Altri fattori, quali le amicizie, l’ambiente scolastico, il gruppo dei pari e i condizionamenti sociali, diventano sempre più importanti via via che il bambino cresce e possono essere anch’essi responsabili dello sviluppo di alcuni SMP; in linea di massima, tuttavia, questi schemi sono meno persistenti e meno invalidanti (lo schema Esclusione sociale, ad esempio, tende ad instaurarsi negli ultimiannidell’infanziaonell’adolescenzaenonriflettenecessariamenteleespe-rienze familiari).

Abbiamo individuato quattro tipi di esperienze che favoriscono la formazione degli schemi maladattivi precoci in età infantile. La prima è la frustrazione dei bisogni primari, che porta allo sviluppo di schemi quali quello della Deprivazione emotiva o dell’Abbandono; ciò accade quando il bambino soffre di una qualche carenza emotiva, vive in una situazione d’instabilità, non trova l’adeguata comprensione o non riceve abbastanza amore. La seconda consiste nel trauma o nel maltrattamento; in questo caso, il bambino viene ferito emotivamente o maltrattato e sviluppa schemidel tipoSfiducia/Abuso,Inadeguatezza/VergognaoVulnerabilità.Unaterza situazione è quella in cui il bambino riceve troppe attenzioni e i genitori riversano su di lui eccessive manifestazioni di affetto e di stima o elevate aspetta-tive,atteggiamentiche,ingiustamisura,sarebberopositivi.Difficilmenteschemicome quelli di Dipendenza/Incompetenza o Pretese/Grandiosità scaturiscono da episodi di maltrattamento; è più facile che il bambino sia stato troppo cocco-lato o viziato e che i suoi bisogni primari connessi allo sviluppo di autonomia e di limiti realistici siano rimasti insoddisfatti, così come è probabile che i genitori siano stati troppo presenti nella sua vita, che lo abbiano protetto troppo o, al contrario, che gli abbiano dato troppa libertà e autonomia.

Il quarto tipo di esperienza che favorisce l’instaurarsi degli SMP è la co-siddetta interiorizzazione dell’altro significativo o, in altre parole, l’identificazione con un familiare.Ilbambinosceglie ilgenitoreconcui identificarsiene introietta ipensieri, le emozioni, le esperienze e i comportamenti. Consideriamo, ad esem-pio, i casi di Ruth e Kevin, due pazienti che avevano subito violenza durante l’infanzia. Da bambina, Ruth aveva assunto il ruolo della vittima quando il padre la picchiava; invece di reagire, era sempre rimasta passiva e sottomessa, subendo ilcomportamentoviolentodelpadresenzaidentificarsiconlui;avevasperimen-tato i sentimenti della vittima, senza interiorizzare quelli dell’abusatore. Kevin, invece, si era sempre ribellato alle violenzedel padre, identificandosi con lui,interiorizzando i suoi pensieri, le sue emozioni e i suoi comportamenti violenti e

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11Schema Therapy: il modello teorico

diventando a sua volta violento (i casi descritti si riferiscono a situazioni estreme, dato che, in realtà, i bambini tendono sia a sentirsi vittime che a interiorizzare alcuni dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti dell’adulto dal quale subiscono violenza).

Immaginiamo due pazienti che hanno avuto dei genitori poco affettuosi e che, da bambini, sentendosi soli e poco amati hanno sviluppando lo schema Depriva-zione emotiva. Dovremmo per forza supporre che entrambi siano diventati adulti poco affettuosi? Non necessariamente! Un bambino che ha sofferto della man-canza di affetto non è inevitabilmente destinato a diventare a sua volta una perso-na poco affettuosa. Come vedremo nel capitolo dedicato alle modalità di risposta agli schemi, questi bambini, nel crescere, potrebbero reagire alla loro depriva-zione emotiva diventando premurosi o, al contrario, esigenti e dispotici, invece di interiorizzare gli atteggiamenti freddi dei loro genitori. Il nostro modello non presupponenéunanecessariaidentificazioneconigenitori,néun’indiscrimina-ta interiorizzazione dei loro comportamenti da parte del bambino; l’esperienza clinicaciinsegnacomeilbambino“selezioni”lapersonaconcuiidentificarsiegli aspetti da interiorizzare, sviluppando i propri schemi e le relative modalità di risposta.

Anche il temperamento di un individuo determina la propensione ad iden-tificarsiomenoconunadellepersoneamateeadinteriorizzarnelecaratteri-stiche.Unbambinocontemperamentodistimico,adesempio,difficilmentesiidentificheràcon l’ottimismodelgenitoredi fronteadunevento sfortunato,poiché questo atteggiamento è totalmente contrario alla sua predisposizione naturale.

Il temperamentoLo sviluppo di uno schema in un bambino non è determinato esclusiva-

mente dall’ambiente nel quale trascorre i primi anni dell’infanzia; il suo tem-peramento di base, innanzitutto, può giocare un ruolo fondamentale. Come ben sanno tutti i genitori, ogni bambino è dotato di una “personalità” o di un temperamentounico ebendistintofindallanascita: può esserepiùomenonervoso, più o meno timido, più o meno aggressivo e cosi via. L’importanza dei fattori biologici nello sviluppo della personalità è documentata da un gran numero di ricerche. Kagan e colleghi (Kagan, Reznick e Snidman, 1988), ad esempio, hanno ampiamente studiato i tratti distintivi del temperamento nei primissimi mesi di vita, rilevando come essi siano notevolmente stabili nel cor-so di tutta l’esistenza di un individuo. Di seguito riportiamo alcuni aspetti del temperamentochesembranoessereinnatiechelapsicoterapia,dasola,diffi-cilmenteriesceamodificare:

• emotività/mancanza di emotività;• pessimismo/ottimismo;

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1� Schema Therapy

• ansia/calma;• ossessività/superficialità;• passività/aggressività;• irritabilità/pacatezza;• introversione/estroversione.

Potremmorappresentareiltemperamentosuungraficoincuivengaripor-tato come si colloca l’individuo riguardo ad ognuna delle suddette dimensioni, ottenendosempregraficidiversieirripetibili.PossiamoipotizzarechegliSMPscaturiscano dall’interazione tra il temperamento del bambino e le esperienze negative vissute.

A seconda del suo temperamento di base, inoltre, un bambino potrà essere più esposto di un altro a determinate situazioni. Ad esempio, è più probabile che sia un bambino aggressivo a suscitare la rabbia di un genitore violento, piuttosto che un bambino calmo e mansueto. Il temperamento può determinare anche il grado di sensibilità di un bambino di fronte a determinati avvenimenti: due bambini che sono stati trattati dai genitori allo stesso modo, infatti, possono reagire molto di-versamente l’uno dall’altro. Se consideriamo, ad esempio, una madre che ha avuto unatteggiamentorifiutanteneiconfrontideifigli,possiamonotarecomequellodal temperamento introverso conduca una vita ritirata e, man mano che cresce, dipenda sempre più dalla mamma, mentre quello dal temperamento estroverso sia più intraprendente e vada alla ricerca di altre persone con cui stabilire rapporti piùgratificanti.Lacapacitàdisocializzaresièpiùvoltedimostrataunarisorsaimportante per quei bambini che crescono senza problemi pur essendo stati tra-scurati o maltrattati dai genitori.

In alcuni casi, è il contesto familiare particolarmente favorevole o, al contrario, avversoadinfluenzareiltemperamento.Unambientedomesticorassicuranteepieno d’affetto può rendere anche un bambino timido relativamente socievole in molte situazioni; al contrario, un bambino socievole che viene continuamente ri-fiutatopuò,asuavolta,diventareriservato.Perglistessimotivi,unbambinoconuntemperamentoparticolarmentedifficilepuòsviluppareunapsicopatologiapurcrescendo in un contesto familiare normale.

CLASSIFICAZIONE DEGLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI

Nel modello a cui si fa riferimento, sono stati individuati diciotto schemi, clas-sificatiincinquecategorie,chiamate“dominideglischemi”,perindicareibisognifrustrati che sottostanno allo schema. Nella tabella 1.1, le cinque categorie sono riportateincorsivoalcentrodellapagina(adesempio,Distaccoerifiuto)mentrei diciotto schemi sono numerati e allineati sul margine sinistro della pagina (ad esempio, “1. Abbandono/Instabilità”).

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1�Schema Therapy: il modello teorico

Dominio I: Distacco e rifiuto I pazienti che presentano gli schemi di questa categoria sono incapaci di sta-

bilire delle relazioni sicure ed appaganti, perché sono convinti che il loro biso-gno di stabilità, sicurezza, cura, amore e accettazione non sarà mai soddisfatto. Solitamente, in questi casi, la famiglia di origine è una famiglia instabile (Ab-bandono/Instabilità),violenta(Sfiducia/Abuso),pocoaffettuosa(Deprivazioneemotiva), troppo esigente (Inadeguatezza/Vergogna) o isolata dal mondo esterno (Esclusione sociale/Alienazione). Da questo dominio, e specialmente dai primi quattro SMP, si originano alcune tra le più gravi patologie relazionali, in quanto la maggior parte delle persone con questi schemi ha subito un trauma nell’infanzia e tende a passare da un relazione disastrosa all’altra o ad evitare qualsiasi tipo di legame importante. Il rapporto terapeuta-paziente è, in questi casi, uno strumen-to terapeutico estremamente importante.

Abbandono/Instabilità: questi soggetti hanno la sensazione che i legami affetti-vi fondamentali siano instabili; pensano che l’altro li abbandonerà o li sostituirà conqualcunomiglioredi loro;valutano l’altrocome inaffidabiledaunpuntodi vista affettivo o troppo poco presente; considerano tutte le relazioni come destinate a morire.

Sfiducia/Abuso: questi soggetti hanno la convinzione che gli altri vogliano ap-profittarsidi loro;hannopauradi subiredelleviolenze,una fortedelusioneoun’umiliazione; temono che l’altro dica loro delle bugie, che li inganni o che li manipoli.

Deprivazione emotiva: questi soggetti ritengono di non riuscire ad avere dei lega-mi soddisfacenti da un punto di vista emotivo. Ne esistono tre forme: (1) dovuta a carenza di cure (mancanza di affetto o attenzione); (2) dovuta a carenza di em-patia (mancanza di ascolto e comprensione); (3) dovuta a carenza di protezione (mancanza di persone forti o capaci di fungere da guida).

Inadeguatezza/Vergogna: questi soggetti hanno la sensazione di essere inade-guati, sbagliati, inferiori o immeritevoli e di non piacere agli altri. Di solito, si vergognano dei difetti che sono convinti di avere, nascosti (ad esempio, egoismo, impulsi aggressivi, desideri sessuali inaccettabili) o manifesti (ad esempio, aspetto fisicopocoattraenteodifficoltànelsocializzare)chesiano.

Esclusione sociale/Alienazione: al di fuori del contesto familiare, questi soggetti si sentono diversi o incompatibili con gli altri e, generalmente, non trovano alcun gruppo o comunità di cui sentirsi parte.

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1� Schema Therapy

taBella 1.1. schemi maladattivi precoci e rispettivi domini

Distacco e rifiutoChi presenta uno o più schemi in questo dominio è convinto che probabilmente i propri bisogni di sicurezza, stabilità, cura, empatia, condivisione delle emozioni, accettazione e rispetto non sarannosoddisfatti.Latipicafamigliadioriginediquestisoggettièdistaccata,fredda,rifiutante,iperprotettiva, poco socievole, instabile, imprevedibile o abusante.

1. Abbandono/InstabilitàQuesto schema comporta una percezione di instabilità o inaffidabilitànellepersonesignifi-

cative. Chi presenta questo schema ha la sensazione che esse non continueranno a fornire nel tempo il loro sostegno emotivo, il loro affetto, la loro forza o la loro protezione perché sono emotivamente instabili e imprevedibili (ad esempio a causa delle loro esplosioni di rabbia), inaf-fidabiliotroppopocopresenti,perchépotrebberomoriredaunmomentoall’altrooperchépotrebbero decidere di abbandonarli per qualcun altro.

2. Sfiducia/Abuso Chipresentaquestoschemahalaconvinzionecheglialtriabuserannoosiapprofitteranno

di lui, lo feriranno, lo umilieranno, lo raggireranno, lo manipoleranno, oppure che gli mentiran-no. Generalmente il soggetto crede che il dolore o il danno causato dagli altri sia intenzionale o chescaturiscadaunaloroingiustificataedeccessivanegligenza.Lapersonasipuòsentiredesti-nata ad essere ferita dagli altri o può credere di essere sempre l’unica a rimetterci.

3. Deprivazione emotivaQuesto schema comporta la sensazione che i propri bisogni emotivi non verranno adegua-

tamente soddisfatti nelle relazioni con gli altri. Le tre principali forme di deprivazione sono:• carenza di cure (mancanza di affetto, attenzione, calore o compagnia); • carenza di empatia (mancanza di ascolto, comprensione, intimità e possibilità di

confidarsiecondividereiproprisentimenticonglialtri);• carenza di protezione (mancanza di persone forti, capaci di dare consigli o fungere

da guida).

4. Inadeguatezza/VergognaChi presenta questo schema ha la sensazione di essere inadeguato, sbagliato, poco desiderato,

inferiore o carente in alcuni ambiti fondamentali della propria vita ed è convinto che le persone significativenonloamerebberopiùsesimostrasseloroperquellocheèveramente.Tendeadessereparticolarmentesensibileallecritiche,airifiutioairimproveri;ètroppoattentoaciòchediceeaciòche fa, si paragona agli altri e si sente insicuro nelle situazioni sociali; si vergogna di quelli che consi-dera i propri difetti, nascosti (ad esempio, egoismo, impulsi aggressivi o desideri sessuali inaccettabi-li)omanifesti(adesempio,aspettofisicopocoattraenteodifficoltànelsocializzare)chesiano.

(segue)

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1�Schema Therapy: il modello teorico

taB: 1.1. (continua)

5. Esclusione sociale/AlienazioneQuesto schema induce il soggetto a sentirsi escluso dal resto del mondo, a percepirsi diverso

dagli altri, e gli impedisce di sentirsi parte di qualsiasi gruppo o comunità.

Mancanza di autonomia e abilitàLe persone con uno o più schemi in questo dominio hanno delle aspettative nei confronti di se stesseedelmondocheinterferisconoconlalorocapacitàdidifferenziarsidallefiguregenitoriali,di vivere senza l’aiuto degli altri e di crearsi una vita indipendente o acquisire determinate abilità. Generalmente questi soggetti crescono in famiglie invischiate o iperprotettive, hanno genitori che hannominatolalorofiduciainsestessiochenonsonoriuscitiafornirelorostimoliasufficienzaper acquisire le abilità necessarie per agire e vivere adeguatamente al di fuori del contesto familiare.

6. Dipendenza/Incompetenza

Chi presenta questo schema si considera incapace di gestire adeguatamente le responsabilità della vita quotidiana senza un aiuto considerevole da parte degli altri (è convinto, ad esempio, di non essere in grado di occuparsi di se stesso, di risolvere i problemi di tutti i giorni, di agire con buon senso, di affrontare nuovi compiti o di prendere decisioni adeguate). Spesso lo schema è accompagnato da una sensazione di impotenza.

7. Vulnerabilità al pericolo o alle malattie

Questo schema provoca nel soggetto il timore esagerato che possa accadere da un momento all’altroqualcosadicatastroficoelaconvinzionedinonpoterfarenienteperimpedirlo.Lepauresonogeneralmenteincentratesulleseguentitipologiedicatastrofi:mediche(infarto,Aids);emoti-ve (perdita della ragione); esterne (guasti all’ascensore, aggressioni, disastri aerei, terremoti, ecc.).

8. Invischiamento/Sé poco sviluppato

Chi presenta questo schema è eccessivamente coinvolto in una o più relazioni con le per-sonesignificative(solitamenteconigenitori),tantochenonglièstatopossibilesviluppareunapiena identità o raggiungere un adeguato inserimento sociale. Spesso il soggetto è convinto di non poter vivere o essere felice senza il continuo sostegno dell’altra persona, crede che essa non possa vivere o essere felice senza di lui, o entrambe le cose. Lo schema, talvolta, genera una sensazione di inscindibilità e immedesimazione con gli altri e la percezione di non avere un ade-guatosensod’identità.Lepersoneconquestoschematendono,infine,asvilupparesensazionidivuoto, a sentirsi disorientate e, in casi estremi, arrivano a dubitare della propria esistenza.

9. Fallimento

Lo schema comporta la sensazione di non essere in grado di raggiungere i propri obiettivi (scola-stici, sportivi, professionali, ecc.) o di essere sostanzialmente inferiori ai propri pari nella capacità di portarli a termine. Lo schema spesso genera la sensazione di essere poco intelligenti, inetti o privi di talento, di appartenere ad una classe sociale inferiore o di essersi realizzati meno degli altri.

(segue)

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1� Schema Therapy

taB: 1.1. (continua)

Mancanza di regoleChi presenta uno o più schemi in questo dominio non ha sviluppato regole adeguate in ambito relazionale e interpersonale o non riesce a perseguire obiettivi a lungo termine. Riscontra delle difficoltànelrispettareglialtrineilorodirittifondamentali,nell’instaurarerapporticollaborativi,nell’adempiere ai propri impegni o nell’impostare e raggiungere obiettivi personali realistici. La tipicafamigliadioriginehaostacolatoilfiglionell’assunzionedelleproprieresponsabilità,nonglihainsegnatoacollaborareinmodoproficuoconlealtrepersone,néadefinireipropriobiettivi,perché,invecediconfrontarsiconluiedefinireunadisciplinaedelleregoleadeguate,haassuntoatteggiamenti troppo permissivi o indulgenti nei suoi confronti, è stata incapace di fornirgli un adeguato orientamento o ha manifestato un atteggiamento di superiorità. Talvolta, i genitori non hannopermessoalfigliodiimparareatollerareunnormalelivellodisopportazionedeldisagioononhannoesercitatoasufficienzalelorofunzionidicontrollo,orientamentoeguida.

10. Pretese/GrandiositàChi presenta questo schema si sente superiore agli altri, si arroga particolari diritti e privilegi

e si ritiene esonerato dal rispettare le regole di reciprocità alla base dei rapporti sociali. Spesso il soggetto è convinto di poter fare e ottenere tutto ciò che desidera, anche quando le sue richieste o i suoi propositi sono irrealistici, irragionevoli o arrecano danno agli altri; in alcuni casi, si pone, in modo esasperato, come unico obiettivo il raggiungimento di una condizione di superiorità (aspira, ad esempio, a diventare una delle persone più ricche, più affermate o più famose), in-tesa come strumento per ottenere potere o controllo (piuttosto che l’attenzione o l’approvazione). Spesso il suo atteggiamento è troppo competitivo nei confronti degli altri: cerca di dominarli, di imporre loro il proprio punto di vista o di controllarne i comportamenti allo scopo di sod-disfare i propri desideri, senza curarsi e mostrare alcuna empatia nei confronti delle esigenze e dei desideri altrui.

11. Autocontrollo o autodisciplina insufficienti

Le persone con lo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti non esercitano le capacità di au-tocontrollo e di gestione della frustrazione necessarie per raggiungere gli obiettivi personali e conte-nere le manifestazioni eccessive degli impulsi e delle emozioni. Quando lo schema è poco marcato, il soggettotendeadevitarequalsiasiformadidisagio:evitadiaffrontaresituazionidolorose,conflittualio di confronto con gli altri, oppure di assumersi responsabilità o compiti troppo gravosi; questo ha evidenti ripercussioni sulle sue capacità di realizzarsi, adempiere agli impegni presi e mantenere una propria integrità.

Eccessiva attenzione ai bisogni degli altriChi ha uno o più schemi in questo dominio mostra un’eccessiva attenzione ai desideri, ai senti-menti e alle reazioni degli altri, trascurando i propri bisogni allo scopo di conquistare l’amore e l’approvazione degli altri, preservare le relazioni interpersonali o evitare che gli altri possano rea-gire negativamente. Il soggetto tende a reprimere le proprie sensazioni di rabbia e a non tenere (segue)

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1�Schema Therapy: il modello teorico

taB: 1.1. (continua)

in considerazione le proprie inclinazioni, oppure ne è del tutto inconsapevole. La tipica fami-glia di origine è caratterizzata da un atteggiamento di accettazione condizionata, per cui il bambino si sente obbligato a reprimere alcuni aspetti importanti della propria personalità per conquistare l’amore, le attenzioni o l’approvazione degli adulti. In molti casi, i genitori prestano maggiore attenzione ai propri desideri e ai propri bisogni emotivi - o alle apparenze e allo status sociale-cheaisentimentiealleesigenzesoggettivedelfiglio.

12. Sottomissione

I soggetti con questo schema lasciano un’eccessiva capacità di controllo agli altri poiché si sentono costretti a farlo e si sottomettono per evitare la rabbia, l’abbandono o una qualche reazio-ne negativa da parte degli altri. Le due forme principali di sottomissione riguardano:

• i bisogni: repressione delle preferenze, delle scelte e dei desideri;• le emozioni: repressione delle proprie reazioni emotive, in particolar modo della rabbia.Generalmente il soggetto è convinto che i propri desideri, le proprie opinioni e i propri

sentimentisianoinopportunioininfluentiagliocchideglialtri;simostraeccessivamentecom-piacente e subisce eccessivamente le pressioni che gli altri esercitano su di lui. Questo schema solitamente scatena nel soggetto sensazioni di rabbia, che si manifestano attraverso sintomi maladattivi (quali comportamenti passivo-aggressivi, scatti d’ira incontrollabili, sintomi psicoso-matici, allontanamenti dalle persone care, episodi di “acting out” o abuso di sostanze).

13. Autosacrificio

Chi presenta questo schema rinuncia in maniera sistematica e volontariaallegratificazionipersonali per soddisfare i bisogni degli altri. Le ragioni più comuni di un comportamento del genere sono: risparmiare le sofferenze agli altri; evitare i sensi di colpa che potrebbero scaturire dalla sensazione di essere egoisti; preservare le relazioni con le persone considerate “bisognose”. Spesso lo schema si manifesta con una eccessiva sensibilità alle sofferenze altrui; in alcuni casi, tuttavia, il soggetto sente che i propri bisogni non vengono adeguatamente soddisfatti e, di conseguenza, sviluppa sensazioni di risentimento nei confronti delle persone di cui si prende cura.

14. Ricerca di approvazione o riconoscimento

Questo schema si manifesta con una tendenza così accentuata a ricercare l’approvazione, il riconoscimento, l’attenzione o l’accettazione degli altri da compromettere lo sviluppo di un sen-so d’identità stabile e autentico. I principali parametri utilizzati per misurare la propria autostima sono le reazioni degli altri piuttosto che le proprie; talvolta, si denota un’eccessiva attenzione alla condizione economica o sociale, all’aspetto esteriore, alla necessità di conformarsi ai canoni della società e al raggiungimento del successo, intesi come mezzi per ottenere l’approvazione, l’ammirazione o l’attenzione degli altri (piuttosto che per conquistare una posizione di controllo e di potere su di loro). Spesso lo schema si traduce in scelte di vita poco autentiche e poco soddi-sfacentieinduceilsoggettoadaverereazioniesagerateairifiutisubiti. (segue)

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1� Schema Therapy

Ipercontrollo e inibizioneLe persone i cui schemi rientrano in questo dominio reprimono talmente i propri sentimenti, le proprie preferenze e i propri impulsi spontanei o sono così concentrate a soddisfare gli stan-dard severi e le aspettative rigide di carattere etico o prestazionale che hanno interiorizzato, da trascurare i piaceri dalla vita, l’espressione di sé, il riposo, le relazioni intime o la salute. La tipica famiglia di origine è cupa, esigente, e, in alcuni casi, punitiva: le prestazioni, il dovere, il perfe-zionismo, il rispetto delle regole, la repressione delle emozioni e il tentativo di non commettere errori hanno un ruolo prioritario sui piaceri e le gioie della vita, sul benessere e sul riposo individuale. Generalmente lo schema induce il soggetto a vivere in una condizione di costante pessimismo e nella continua preoccupazione che qualcosa di negativo possa accadere se non rimane costantemente vigile e attento.

15. Negatività/Pessimismo

Chi presenta questo schema mostra un’attenzione costante ed eccessiva agli aspetti negativi dell’esistenza(ildolore,lamorte,laperdita,ledelusioni,iconflitti,isensidicolpa,ilrisentimento,itradimenti,ledifficoltàolapossibilitàdicommettereerroriovivereeventinegativi),mentreten-de a sottovalutarne o a negarne gli aspetti positivi e ottimistici. Solitamente il soggetto manifesta un eccessivo timore che qualcosa di terribile possa accadere - in ambito lavorativo, economico o interpersonale-ochegliaspettidellapropriavitachealmomentosembranostabilifinirannoconl’avere un’evoluzione del tutto negativa. Lo schema generalmente promuove nel soggetto una paura ingiustificatadicommettereerroricheloporterannoacadereindisgrazia,asubiredelleperditeodelle umiliazioni o a rimanere coinvolto in brutte situazioni. Esagerando le probabilità che qualcosa vada storto, chi presenta questo schema è costantemente preoccupato e vigile, tende a lamentarsi e non riesce a prendere delle decisioni.

16. Inibizione emotiva

Le persone con questo schema reprimono in modo eccessivo il loro spontaneo modo di agire, sentire e comunicare; tendenzialmente si comportano così per evitare le critiche degli altri, i sentimenti di vergogna o eventuali perdite di controllo sui propri impulsi. Le quattro principali forme di inibizione sono: (1) l’inibizione della rabbia e dell’aggressività; (2) l’inibizione degli impulsi positivi (gioia,affettività,eccitazionesessuale,divertimento);(3)ladifficoltàadesprimerela propria vulnerabilità o a parlare liberamente dei propri sentimenti e dei propri bisogni; (4) l’esal-tazione della razionalità a discapito delle emozioni.

17. Standard severi/Ipercriticismo Lo schema si fonda sulla convinzione di dover soddisfare a tutti i costi gli standard severi di

carattere etico e prestazionale che si sono interiorizzati, allo scopo di evitare le critiche degli altri. Chi presenta questo schema si sente generalmente sotto pressione, non riesce a concedersi un adeguato riposo e diviene eccessivamente critico nei confronti di se stesso e degli altri. Per poter essereconsideratomaladattivo,loschemadevecomportareunacompromissionesignificativa

(segue)

taB: 1.1. (continua)

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1�Schema Therapy: il modello teorico

Dominio II: Mancanza di autonomia e abilitàPer autonomia si intende la capacità di una persona di distaccarsi dalla fami-

glia d’origine e di crearsi una vita più o meno indipendente, in relazione all’età. I pazienti che presentano schemi appartenenti a questa categoria hanno delle aspet-tative nei confronti di se stessi e del mondo che interferiscono con la capacità di differenziarsidallefiguregenitorialiedicrearsiunavitaindipendente.Sitrattadisoggetti che, durante l’infanzia, sono stati iperprotetti e che hanno avuto una fami-glia d’origine che interveniva in ogni situazione sostituendosi a loro. In alcuni casi, ma molto più raramente, gli schemi appartenenti a questa categoria si riscontrano in soggetti che hanno vissuto l’esperienza opposta, di una famiglia che li trascu-rava e si curava di loro a malapena, abbandonandoli a se stessi durante la crescita. Entrambe le situazioni, infatti, estreme per un verso o per l’altro, favoriscono pro-blematiche nell’ambito dell’autonomia. Spesso i genitori di queste persone sono state, nel passato, una vera e propria minaccia per la loro autostima e non sono stati capacidi fornire stimoli a sufficienzadaconsentire lorodivivereedagireadeguatamente all’esterno dell’ambiente familiare. Di conseguenza, questi soggetti risultano incapaci di crearsi un’identità e una vita indipendente; non riescono a porsi degli obiettivi né ad acquisire le attitudini necessarie al loro conseguimento. In relazione alla capacità di rapportarsi adeguatamente al mondo che li circonda e alle abilità che presentano in età adulta, essi rimangono, in effetti, dei bambini.

della capacità dell’individuo di trarre piacere dalla vita, di rilassarsi, di sviluppare una buona autostima, di mantenere un buono stato di salute, di sentirsi realizzato o di instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti.

Lo schema generalmente si traduce in una tendenza: (1) al perfezionismo, inteso come un’ecces-siva attenzione ai dettagli o alla sottostima delle proprie prestazioni nel confronto con gli altri; (2)alladefinizionediregolerigidee“doveri”inmoltiambitiesistenziali,cheriguardano,tralealtre, la sfera morale, culturale e religiosa; (3) a sviluppare un’eccessiva preoccupazione rispetto altempoeall’efficienza,cheinducelasensazionedinonfaremaiabbastanza.

18. Punizione Chi presenta questo schema è convinto che chi sbaglia debba essere severamente punito. Il

soggetto tende ad arrabbiarsi, ad essere poco tollerante, a punire o ad avere poca pazienza con chi (incluso se stesso) non soddisfa i suoi standard o non si mostra all’altezza delle sue aspettati-ve.Loschemainduceadaverenotevolidifficoltànelperdonareiproprierroriequellideglialtri,in quanto promuove una certa riluttanza a prendere in esame i fattori attenuanti, ad accettare l’imperfezione insita nell’essere umano e ad empatizzare con gli altri.

© Copyright 2002 - Jeffrey Young. È vietata ogni riproduzione non espressamente autorizzata. Per informazioni contattare

lo Schema Therapy Institute, 36 West 44th Street, Suite 1007, New York, NY 10036.

taB: 1.1. (continua)

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�0 Schema Therapy

I soggetti che presentano lo schema Dipendenza/Incompetenza si sentono inca-paci di affrontare le responsabilità quotidiane senza un aiuto decisivo da parte degli altri. Tendono a sentirsi inadeguati nel gestire il denaro, si ritengono incapaci di risolvere i problemi pratici, di fare delle valutazioni appropriate, di assumersi impegni o di prendere delle decisioni sensate. Lo schema, di solito, si traduce in una passività generale o in un’eccessiva dipendenza.

Lo schema Vulnerabilità al pericolo o alle malattie consiste nel timore esagerato chepossaaccaderedaunmomentoall’altroqualcosadicatastroficoenellacon-vinzione di non essere in grado di gestire la situazione. Le paure possono essere incentratesulleseguentitipologiedicatastrofi:1)mediche(infarto,malattiecomel’Aids, ecc.); 2) emotive (perdita della ragione o del controllo, ecc.); 3) esterne (incidenti,atticriminosi,catastrofinaturali,ecc.).

I soggetti che presentano lo schema Invischiamento/Sé poco sviluppato sono così coinvolti in una o più relazioni affettive con le persone care (prevalentemente con i genitori) da non riuscire a sviluppare una piena identità ed a raggiungere un adeguato inserimento sociale. Chi ha questo schema ritiene di non poter vivere senza l’altra persona, che l’altra persona non possa vivere senza di lui, o entrambe le cose. Lo schema, talvolta, genera una sensazione di inscindibilità e immedesimazione con gli altri o la percezione di non avere un adeguato senso d’identità e dei precisi obiettivi.

Lo schema Fallimento si fonda sulla convinzione che il tentativo di raggiungere qualsiasi obiettivo (scolastico, sportivo, professionale) si concluderà inevitabil-mente con un insuccesso. Chi presenta questo schema ha la sensazione di esse-re sostanzialmente inferiore ai propri pari nella capacità di raggiungere i propri obiettivi. Lo schema spesso induce il paziente a ritenersi poco intelligente, inetto, privo di talento e, di conseguenza, destinato al fallimento.

Dominio III: Mancanza di regoleI pazienti con schemi che rientrano in questo dominio non hanno sviluppato

adeguateregoleinambitorelazionaleeinterpersonale.Riesconodifficilmentearispettare gli altri, hanno problemi a cooperare, ad assolvere gli impegni e a rag-giungere obiettivi a lungo termine. Appaiono spesso come delle persone egoiste, irresponsabili o narcisiste. In genere sono cresciuti in una famiglia indulgente e permissiva (l’atteggiamento pretenzioso può anche scaturire da un meccanismo di ipercompensazione derivante da un altro schema, come quello della Depriva-zione emotiva; in questo caso l’eccessiva indulgenza della famiglia non è un fat-tore determinante, come vedremo nel capitolo 10). Da bambini, questi pazienti, sono stati esonerati dal seguire le regole generali di comportamento, dal rispettare gli altri o dallo sviluppare una forma di autocontrollo. Da adulti, non riescono a frenaregliimpulsiearinunciareagratificazioniimmediateinvistadisoddisfa-zioni a lungo termine.

Lo schema Pretese/Grandiosità è caratterizzato da una sensazione di superiorità. Chi lo presenta si arroga, infatti, dei diritti e dei privilegi speciali senza rispettare

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�1Schema Therapy: il modello teorico

le regole di reciprocità che sono alla base dei rapporti sociali. Spesso è caparbia-mente convinto di potere fare tutto, anche a discapito degli altri, e si pone, in modo esasperato, come unico obiettivo la superiorità, intesa come strumento per ottenere potere (mira, ad esempio, a diventare una delle persone più ricche, più af-fermate o più famose). Spesso ha un atteggiamento troppo esigente o dominante, ed è decisamente poco empatico.

I pazienti che presentano lo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti non esercitano,perincapacitàopermancanzadivolontà,unsufficienteautocontrol-lo, e non riescono a tollerare la frustrazione e gli ostacoli che inevitabilmente si in-contrano nel raggiungimento degli obiettivi personali. Queste persone esprimono senza nessun controllo emozioni e impulsi e, quando lo schema è poco marcato, tendono ad evitare, in modo eccessivo, ogni disagio, cercando di sfuggire alla maggior parte dei confronti e delle responsabilità.

Dominio IV: Eccessiva attenzione ai bisogni degli altriLe persone che presentano schemi appartenenti a questo dominio danno ec-

cessiva importanza al soddisfacimento dei bisogni altrui, a discapito dei propri. Il vantaggio di questo comportamento è ottenere approvazione, preservare i legami emotivi o evitare le reazioni degli altri. Quando interagiscono con qualcuno, ten-dono a focalizzarsi quasi esclusivamente sulle reazioni dell’altra persona, ignoran-do i propri bisogni e rimanendo, spesso, inconsapevoli delle sensazioni di rabbia che provano o delle preferenze che hanno. Da bambini, è stata loro negata la li-bertà di seguire le proprie inclinazioni; da adulti, invece di focalizzarsi su se stessi, si focalizzano sugli altri, tentando di soddisfare i loro desideri. La famiglia tipica di questi pazienti è caratterizzata da un atteggiamento di accettazione condizionata: perricevereamoreoperessereapprovato,ilbambinoècostrettoamodificareal-cuni degli aspetti principali della sua personalità. In molte famiglie di questo tipo, i genitori danno più importanza ai propri bisogni emotivi o alle apparenze sociali piuttostocheaibisognisoggettivideifigli.

Il paziente che presenta lo schema Sottomissione lascia agli altri un’eccessiva ca-pacità di controllo. La persona si sente costretta ad agire così allo scopo di evitare la rabbia, le reazioni aggressive o l’abbandono dell’altro. Le due forme principali sono: (1) la sottomissione dei bisogni, che consiste nel reprimere preferenze e desideri; (2) la sottomissione delle emozioni, che comporta la repressione delle reazioni emotive, in particolar modo della rabbia. Questo schema, generalmente, porta la persona a consideraresbagliatioininfluentiipropribisognielepropriesensazioni.Spessolo schema si traduce in un’eccessiva disponibilità, nell’ansia di piacere e nel sentir-si eccessivamente obbligati a fare ciò che vogliono gli altri. Lo schema Sottomis-sione tende a scatenare nel paziente delle sensazioni di rabbia che si manifestano attraverso sintomi maladattivi (ad esempio, comportamenti passivo-aggressivi, scoppi incontrollati di rabbia, sintomi psicosomatici o improvvisi allontanamenti dalle persone care).

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�� Schema Therapy

I pazienti che presentano lo schema Autosacrificio rinunciano volontariamente allegratificazionipersonalipersoddisfareleesigenzedeglialtri.Illoroobiettivoè quello di risparmiare agli altri le sofferenze, evitare i sensi di colpa, rinforzare l’autostima o preservare un legame affettivo con le persone per le quali il sog-getto ritiene di essere importante. Spesso questo schema scaturisce da un’accesa sensibilità verso le sofferenze altrui; esso comporta la sensazione che i propri bisogni non vengano adeguatamente soddisfatti e, di conseguenza, può generare un profondo risentimento. Questo schema è sovrapponibile al concetto di “codi-pendenza” nel “metodo dei dodici passi” sviluppato per gli alcolisti.

Chi presenta lo schema Ricerca di approvazione o riconoscimento manifesta una ten-denza eccessiva a ricercare l’approvazione e il riconoscimento da parte degli altri, a discapito dello sviluppo di un’identità stabile e autentica. Il parametro che que-ste persone utilizzano per misurare la propria autostima sono le reazioni degli altri più che le proprie. Questo schema spesso comporta una preoccupazione eccessi-va per lo status sociale, l’apparenza, la condizione economica o il successo, intesi come mezzi per ottenere approvazione o riconoscimento. Le scelte di vita di chi presenta questo schema, spesso, sono poco autentiche e poco soddisfacenti.

Dominio V: Ipercontrollo e inibizioneI pazienti il cui schema rientra in questo dominio sopprimono sia le emozioni che

gli impulsi. Sono così impegnati a rispettare le rigide regole che hanno interiorizzato riguardo a come devono essere le loro prestazioni da trascurare le esperienze ludiche, l’espressionedisé,ilriposo,lerelazioniintimeeperfinolasalute.Loschematendea svilupparsi in soggetti che hanno vissuto un’infanzia cupa, all’insegna della repres-sione e della rigidità, in cui l’autocontrollo e l’autonegazione avevano un ruolo pre-dominanterispettoallaspontaneitàeallegratificazioni.Dabambini,questipazientinon erano incoraggiati a intraprendere attività ricreative e non erano educati alla ricerca della felicità. Erano indotti, piuttosto, ad essere eccessivamente vigilanti nei confronti delle esperienze negative e a sviluppare una visione del mondo del tutto deprimente. Di conseguenza, la vita di questi pazienti è dominata in ogni momento dal pessimismo e dalla preoccupazione, che deriva dalla paura di trovarsi in perico-lo non appena tralasciano l’atteggiamento costante di vigilanza e attenzione. Nello schema Negatività/Pessimismo gli aspetti negativi dell’esistenza (dolore, morte, perdita, delusione,conflitto,tradimento)sonotenutieccessivamenteecostantementeincon-siderazione, mentre gli eventi positivi sono del tutto sminuiti. Lo schema comporta una paura esagerata che le cose possano precipitare in modo irrimediabile in un ambitoqualsiasidell’esistenza,daquelloprofessionaleaquellofinanziario,onellerelazioni interpersonali. I pazienti che presentano questo schema sono tormentati dal timore irrazionale di commettere un errore qualsiasi che possa provocare crolli finanziari,perdite,umiliazioniopossacoinvolgerliinsituazioninegative.Acausadiqueste aspettative eccessivamente negative, il paziente è spesso preoccupato, appren-sivo e ipervigilante, tende a lamentarsi e non riesce a prendere delle decisioni.

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��Schema Therapy: il modello teorico

I pazienti che presentano lo schema Inibizione emotiva reprimono il loro spon-taneo modo di agire, di sentire e di comunicare. Si comportano così per evitare di essere criticati o per non rischiare di perdere il controllo degli impulsi. Questo atteggiamento riguarda in particolare quattro aree: (1) l’inibizione della rabbia; (2) l’inibizione degli impulsi positivi; (3) la difficoltà ad esprimere la vulnerabilità; (4) l’esaltazione della razionalità a discapito delle emozioni. Questi pazienti spesso appaiono poco espressivi, poco spontanei, introversi o emotivamente freddi.

Lo schema Standard severi/Ipercriticismo consiste nel sentire di dover raggiunge-re a tutti i costi degli obiettivi estremamente severi che sono stati interiorizzati; questo, generalmente, avviene allo scopo di evitare la disapprovazione degli altri o la vergogna nei confronti di se stessi. Lo schema, nella sua forma più tipica, genera la sensazione di subire costantemente pressioni e un atteggiamento di ipercriticismo nei confronti di se stessi e degli altri. Si può veramente parlare dischemamaladattivoprecocesoloquandopersistonoimplicazionisignificativesulla salute mentale del paziente, sulla sua autostima, sulla sua vita relazionale o sulla sua capacità di avere esperienze piacevoli. Lo schema può assumere tre forme diverse: (1) perfezionismo (il bisogno di fare tutto “alla perfezione”, l’ecces-siva attenzione ai dettagli o la sottostima del livello delle proprie prestazioni); (2) regole rigide e “doveri” in molti ambiti esistenziali, tra i quali dobbiamo considerare anche quegli standard talmente severi da risultare irrealistici nella sfera morale, culturale o religiosa; (3) preoccupazioni riguardo al tempo e all’efficienza.

Lo schema Punizione consiste nella convinzione che chi commette un errore debba essere severamente punito. Chi presenta questo schema tende a non tol-lerareoaprovarerabbiaversochinonrispettaglistandarddaluifissati(inclusose stesso); a questo si aggiunge una notevole difficoltà a perdonare gli errori,derivante da una certa riluttanza a considerare i fattori attenuanti, a tenere conto delle intenzioni o ad ammettere l’imperfezione dell’essere umano.

Presentazione di un caso Analizziamo, adesso, la breve descrizione di un caso che ci aiuta a compren-

dere meglio la teoria degli schemi. Una giovane donna di nome Natalie intrapren-de un percorso terapeutico. Natalie presenta lo schema Deprivazione emotiva: a causadelleesperienzechehavissutofindall’infanzia,ladonnaritienecheisuoibisogni emotivi non possano essere soddisfatti all’interno delle relazioni intime. Figlia unica, in una famiglia emotivamente fredda, pur essendo stata soddisfatta neisuoibisognimateriali,Nataliehasentitolamancanzadifiguregenitorialiingradodiseguirlaedidarlesufficientiattenzionieaffetto.Igenitorinonhannocercato di capire chi fosse realmente e con loro si è sentita sola.

Natalie soffre di depressione cronica. Pur essendosi impegnata in numerose terapie, non è riuscita ad uscirne e, al terapeuta, confessa di essere stata depressa per tutta la vita. Gli uomini che da sempre la attraggono sono individui spenti e incapaci di comunicare emozioni. Suo marito rientra in questa categoria: ogni

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�� Schema Therapy

volta che Natalie cerca sostegno e comprensione, Paul si irrita e la manda via. Si innesca così il meccanismo che attiva in Natalie lo schema di Deprivazione emoti-va e fa nascere in lei una forte rabbia. Questa reazione, pur essendo parzialmente giustificata,risultaeccessivaneiriguardidiunmaritoche,anchesenonriesceadimostrarlo, è comunque innamorato.

La sua reazione sortisce l’effetto di renderlo sempre più estraneo e di allonta-narlo da lei, favorendo il mantenimento dello schema. Il loro matrimonio è preda di un circolo vizioso e dei meccanismi dello schema. La vita di coppia fa rivivere a Natalie la deprivazione emotiva subita nell’infanzia. Prima di sposarsi, d’altra parte, Natalie frequentava un uomo dotato di una maggiore capacità di esprimere i propri sentimenti, ma non era attratta da lui sessualmente e si sentiva soffocare dalle sue normali manifestazioni d’affetto. La tendenza a ricercare dei compagni in grado di attivare uno degli schemi disfunzionali principali è, purtroppo, una delle caratteristiche principali dei nostri pazienti (la cosiddetta “alchimia degli schemi”).

Il caso di Natalie dimostra come una deprivazione emotiva subita durante l’infanzia possa indurre l’insorgere dello schema, che viene involontariamente utilizzato dal soggetto anche in età adulta. La sua attivazione sistematica può far insorgere una sintomatologia cronica di Asse I e portare il soggetto ad instaurare delle relazioni disfunzionali.

Schemi condizionati e schemi incondizionati: le differenzeIn un primo momento, si riteneva che la principale differenza tra gli schemi

maladattivi precoci e gli assunti di base di Beck fosse nel fatto che i primi erano incondizionati, mentre i secondi condizionati. Attualmente, riteniamo che gli schemi possano essere sia condizionati che incondizionati. In linea di massima, gli schemi che insorgono nelle prime fasi della vita e che tendono a diventare predominanti scaturiscono da credenze incondizionate riguardo a se stessi e agli altri, mentre gli schemi che si sviluppano in fasi successive sono, invece, condizionati.

Gli schemi incondizionati non lasciano speranza. Essi instaurano una rea-zioneacatenacheimpediscealpazientedimodificare,seppureminimamente,le proprie idee anche in seguito a situazioni o ad esperienze positive: il sogget-to continua a sentirsi incapace, invischiato, indesiderabile, inadeguato, vulne-rabile o sbagliato, e niente può cambiare il suo modo di percepirsi. Lo schema ripropone ciò che il paziente subiva quando era piccolo e non aveva nessuna voce in capitolo; esso semplicemente esiste ed agisce in modo autonomo. Gli schemi condizionati, invece, sono meno invalidanti. La reazione a catena, in-fatti,sipuòinterrompere;seilpazientehalapossibilitàdisacrificarsi,disot-tomettersi, di ottenere approvazione, di reprimere le emozioni o di soddisfare standard severi, probabilmente potrà spezzare, almeno temporaneamente, il ciclo negativo.

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��Schema Therapy: il modello teorico

Schemi incondizionati Schemi condizionati Abbandono/Instabilità Sottomissione Sfiducia/Abuso Autosacrificio Deprivazione emotiva Ricerca di approvazione o Inadeguatezza riconoscimento Esclusione sociale Inibizione emotiva Dipendenza/Incompetenza Standard severi/Ipercriticismo Vulnerabilità al pericolo o alle malattie Invischiamento/Sé poco sviluppato Fallimento Negatività/Pessimismo Punizione Pretese/Grandiosità Autocontrollooautodisciplinainsufficienti Gli schemi condizionati, generalmente, si sviluppano per cercare di ottenere

sollievodaglischemiincondizionati.Eccoperchévengonodefiniti“secondari”.Forniamo alcuni esempi:

Standard severi come reazione all’Inadeguatezza. Il soggetto è convinto che “Se sarò perfetto, allora sarò degno di amore”.Sottomissione come reazione all’Abbandono. L’individuo è convinto che “Se farò sem-pre di buon grado tutto ciò che gli altri desiderano, allora rimarranno con me”. Autosacrificio come reazione all’Inadeguatezza. “Se soddisferò tutti i bisogni degli altri, senza tener conto dei miei, le altre persone mi accetteranno, nonostante i miei difetti, e non mi sentirò più così indesiderabile”.

È impossibile, tuttavia, riuscire a soddisfare in ogni momento le richieste degli schemicondizionati.Èdifficile,adesempio,sottomettersisempreetotalmentesenzaarrabbiarsimai;èdifficileesseretalmentedeterminatidariuscireasoddisfa-retutteleproprieaspettative;cosìcomeèdifficileesseretalmentedispostiasacri-ficarsidaaccontentareglialtriintuttoepertutto.Ciòcheglischemicondizionatiriescono a fare, tutt’al più, è ritardare l’attivazione degli schemi incondizionati. Ma è solo questione di tempo: in breve, infatti, la persona si troverà nuovamente im-prigionata nei meccanismi dello schema principale. Non necessariamente, però, gli schemi condizionati si instaurano come conseguenza di schemi incondizionati. Alcunischemi,infatti,sidefinisconocondizionatisolonelsensocheilbambinopuò evitare ciò che teme comportandosi secondo le aspettative dell’adulto.

L’influenza degli schemi sulla terapia cognitivo-comportamentale

Gli schemi maladattivi precoci possono ostacolare il buon andamento di una

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�� Schema Therapy

CBT tradizionale. Come abbiamo visto in precedenza, essi impediscono al pa-ziente di rispettare molti degli assunti su cui si basa la CBT. Se, ad esempio, il soggettopresentaunoschemaappartenentealdominioDistaccoerifiuto(Ab-bandono,Sfiducia/Abuso,Deprivazioneemotiva,Inadeguatezza/Vergogna)vie-nemeno il presupposto che i pazienti possano instaurare senzadifficoltà unarelazione terapeutica positiva e collaborativa in tempi brevi. Allo stesso modo, il presuppostocheipazientiabbianounfortesensod’identitàedellechiarefinalitàdivitainbaseallequalifissaregliobiettiviterapeutici,èdifficilmenteapplicabilenelcasoincuiilsoggettopresentiunodeglischemiclassificatineldominioMan-canza di autonomia e abilità (Dipendenza, Vulnerabilità, Invischiamento/Sé poco sviluppato, Fallimento).

La CBT presuppone, inoltre, che il paziente sia in grado di valutare e riferire al terapeuta i propri pensieri e le proprie emozioni. I pazienti i cui schemi appar-tengono al dominio Eccessiva attenzione ai bisogni degli altri (Sottomissione, Autosacrificio,Ricercadiapprovazione)tendonoadesseretalmenteimpegnatiacomprendere le aspettative del terapeuta, da non riuscire a concentrarsi su se stes-sieadesprimereipropripensierieiproprisentimenti.Infine,laCBTprevedelacapacità del paziente di attenersi alle procedure terapeutiche, ma questa capacità, per mancanza di motivazione o autodisciplina, spesso è carente nel paziente che presenta uno o più schemi nel dominio Mancanza di regole (Pretese/Grandiosità, Autocontrollooautodisciplinainsufficienti).

SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI: LE EVIDENZE EMPIRICHE

Gli schemi maladattivi precoci sono stati e sono tuttora oggetto di numerose ricerche, condotte mediante lo Young Schema Questionnaire (Young e Brown, 1990).Nellamaggiorpartedeicasièstatafinorautilizzatalaversionecompletadel questionario, sebbene siano attualmente in corso alcuni studi che ne utilizzano la forma abbreviata. Lo Young Schema Questionnaire è stato tradotto in nume-rose lingue, tra cui il francese, lo spagnolo, l’olandese, il turco, il giapponese, il finlandese,ilnorvegeseel’italiano(vediappendice).

La prima analisi esaustiva delle proprietà psicometriche del questionario fu effettuata nel 1995 da Schmidt, Joiner e Telch, su un campione non clinico. Per tuttiglischemirisultaronocoefficientialfadiCronbachcompresitra0,83(Invi-schiamento/Sépocosviluppato)e0,96(Inadeguatezza/Vergogna)ecoefficientitest-retest compresi tra 0,50 e 0,82. Le sottoscale primarie rivelarono una buona affidabilità test-retest e una buona coerenza interna. Il questionario dimostrò,inoltre, un’ottima validità convergente e discriminante per la valutazione del di-stress psicologico, dell’autostima, della vulnerabilità cognitiva alla depressione e della sintomatologia correlata ai disturbi di personalità.

I ricercatori effettuarono un’analisi fattoriale su campioni sia clinici che non clinici; i risultati misero in evidenza alcuni fattori primari fortemente correlati

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��Schema Therapy: il modello teorico

agli schemi elaborati da Young tramite la pratica clinica e alle relative e ipotetiche relazioni gerarchiche. In un campione di studenti universitari, emersero 17 fattori, di cui 15 dei 16 già proposti da Young nel 1990. Fra gli schemi originari l’unico a non emergere fu quello dell’Indesiderabilità sociale, mentre emersero due fattori nuovi. Nel 1995 l’esperimento fu ripetuto da Schmidt ed altri con l’intento di ef-fettuareunaverificaincrociatadiquestastrutturafattoriale:anchequestavoltailquestionario fu somministrato a un gruppo di studenti universitari, scelti tra una popolazione non clinica. Utilizzando nuovamente l’analisi fattoriale, i ricercatori scoprirono che 13 dei 17 fattori emersi nella prima analisi si riscontravano chiara-mentenelsecondocampione.Identificarono,inoltre,tredistintifattoridiordinesuperiore. Su un campione clinico emersero 15 fattori, che rientravano tutti nei 16 originariamente proposti da Young e che rappresentavano nell’insieme il 54% della varianza totale (Schmidt et al., 1995).

Attraverso questo studio, fu dimostrata anche la validità convergente dell’YSQ con un test di sintomatologia correlata ai disturbi di personalità (versione revisio-nata del Personality Diagnostic Questionnaire; Hyler, Rieder, Spitzer e Williams, 1987), oltre alla sua validità discriminante rispetto alle valutazioni della depressio-ne (Beck Depression Inventory; Beck, Ward, Mendelson, Mock e Erbaugh, 1961) e dell’autostima (Rosenberg Self-Esteem Questionnaire; Rosenberg, 1965) su una popolazione non clinica di studenti universitari.

Nel 1999, questo studio venne riproposto da Lee, Taylor e Dunn su una po-polazione clinica in Australia. L’analisi fattoriale, in coerenza con gli studi prece-denti, fece emergere 16 fattori primari, 15 dei quali rientravano tra i 16 proposti in origine da Young. Soltanto la scala dell’Indesiderabilità sociale, ancora una volta, non venne confermata (e, da allora, non esiste più come schema a sé stante, ma è stata incorporata nello schema Inadeguatezza). Inoltre, un’analisi fattoriale di ordine superiore sembrò supportare alcuni dei domini teorizzati da Young. Nel complesso, questo studio, condotto su due campioni clinici diversi per nazionalità e diagnosi, dimostrò l’ottima coerenza interna dello Young Schema Questionnai-re e la stabilità della struttura dei suoi fattori primari.

Nel 1999, Lee e i suoi colleghi discussero le ragioni per cui i due studi avevano prodotto strutture fattoriali diverse a seconda del campione utilizzato: i risultati del test effettuato sulla popolazione clinica erano leggermente diversi da quelli sulla popolazione non clinica. Gli studiosi conclusero che il campione composto da studenti universitari aveva prodotto quei risultati poiché la probabilità che fra essi vi fossero molti individui affetti da forme estreme di psicopatologia era scarsa. Lee e gli altri sostennero che, per ottenere la stessa struttura fattoria-le, gli schemi sottostanti alla psicopatologia nella popolazione clinica avrebbero dovuto essere presenti anche in un campione casuale di studenti universitari. Young, tuttavia, propose l’ipotesi che, sebbene gli schemi esistano anche nella popolazione non clinica, essi assumano forme estreme ed esagerate soltanto nella popolazione clinica.

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�� Schema Therapy

Ulteriori studi si sono posti l’obiettivo di esaminare la validità dei singoli sche-mi e la loro capacità di supportare il modello concepito da Young. Nel 1999, Freeman condusse un’analisi sull’applicazione della teoria degli schemi di Young come modello esplicativo dei processi cognitivi irrazionali. Utilizzando un cam-pione non clinico, lo studio di Freeman rivelò che la presenza nel soggetto degli schemi maladattivi precoci era inversamente proporzionale al suo adattamento interpersonale, confermando l’assunto di Young secondo il quale gli schemi ma-ladattiviprecocisono,perdefinizione,negativiedisfunzionali.

Nel 1997, Rittenmeyer esaminò la validità convergente dei domini degli schemi di Young con il Maslach Burnout Inventory (Maslach e Jackson, 1986), un inventario di autovalutazione sulle conseguenze negative causate dalle con-dizioni di vita stressanti. Lo studio venne effettuato su un campione di inse-gnanti californiane e dimostrò che due domini, l’Iperconnessione e gli Standard severi (N.d.T.: nell’attuale versione non più inclusi tra i domini dell’YSQ), erano strettamente correlati alla scala Esaurimento emotivo del Maslach Burnout In-ventory. Il dominio Iperconnessione, sebbene non strettamente, era correlato anche ad altre due scale dell’inventario, la Depersonalizzazione e la Realizza-zione personale. Nel1997,Carine elaboròuna ricerca sull’efficaciadella teoriadegli schemi

di Young nel trattamento dei disturbi di personalità. Utilizzando gli schemi ma-ladattivi precoci come variabili predittrici, Carine, tramite un’analisi funzionale discriminante,tentòdiverificareselapresenzadiunoschemamaladattivodiscri-minasse o meno i pazienti con psicopatologie di Asse II del DSM-IV dai pazienti con altri tipi di psicopatologie. Lo studio dimostrò che l’appartenenza al gruppo Asse II veniva predetta correttamente nell’83% dei casi. A sostegno della teoria di Young, dallo studio si rilevò anche come l’aspetto affettivo/emotivo fosse una parte intrinseca degli schemi.

Sebbene lo Young Schema Questionnaire non sia stato concepito come strumentodivalutazionedeidisturbidipersonalitàclassificatisecondoilDSM-IV, tuttavia sembra esserci una evidente correlazione tra gli schemi maladattivi precoci e la sintomatologia dei disturbi di personalità (Schmidt e altri, 1995). I punteggifinalidelquestionarioequellidellaversionerevisionatadelPersonalityDiagnostic Questionnaire (Hyler et al., 1987), uno strumento di auto-valutazione delle patologie di personalità secondo il DSM-III-R, sono, infatti, strettamen-tecorrelati.LoschemaAutocontrollooautodisciplinainsufficientieloschemaInadeguatezza sono risultati, da questo studio, quelli maggiormente associati alla sintomatologia dei disturbi di personalità. Tuttavia, questa profonda correlazione sièrivelatavalidapertuttiglischemi.Adesempio,alloschemaSfiducia/Abusoè possibile associare il disturbo paranoie di personalità, allo schema Dipendenza il disturbo dipendente di personalità, allo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficientiildisturboborderlinedipersonalitàeaquelloStandardseveriildi-sturbo ossessivo-compulsivo di personalità (Schmidt e al., 1995).

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��Schema Therapy: il modello teorico

ASPETTI NEUROBIOLOGICI DEGLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI

Nelle prossime pagine proveremo ad analizzare gli schemi da un punto di vista neurobiologico, basandoci su alcune ricerche effettuate recentemente sulle emo-zioni (LeDoux, 1996). È opportuno sottolineare che le teorie proposte in questo paragrafosuipossibilimeccanismidisviluppoemodificazionedeglischemisonosoltanto delle ipotesi, in quanto non è stata ancora effettuata nessuna ricerca a convalida di esse.

Secondo recenti studi, nel cervello non esisterebbe un solo sistema emotivo, ma più di uno. Alle diverse funzioni vitali sarebbero associate delle emozioni specifiche(inrispostaalpericolo,albisognodicibo,aldesideriosessualeeallaricerca del compagno, alla cura della prole, alle relazioni sociali), ognuna delle quali sembra esseremediata da unameccanismo cerebrale specifico. In parti-colare, andiamo ad analizzare i meccanismi cerebrali coinvolti nel trauma e nel condizionamento.

I sistemi cerebrali coinvolti nel trauma e nel condizionamento

La neurobiologia sembra aver individuato le aree del cervello dove si attivano gli schemi scaturiti da esperienze traumatiche vissute nell’infanzia, come l’abban-dono o l’abuso. Nel 1996, nella sintesi della sua ricerca sulla neurobiologia delle memorie traumatiche, LeDoux scrisse:

“Nel corso dell’apprendimento di una situazione traumatica, la memoria conscia è regolata da un sistema in cui operano l’ippocampo e le relative sedi corticali; la me-moria inconscia, invece, è gestita da meccanismi di condizionamento che agiscono attraverso un sistema controllato dall’amigdala. Questi due sistemi operano in pa-ralleloeimmagazzinanoidiversitipidiinformazionisignificativediunadetermina-ta esperienza. Quando l’individuo è esposto a stimoli associati al trauma originario, entrambi i sistemi sono potenzialmente in grado di recuperare i ricordi che hanno immagazzinato. Per quanto riguarda il sistema dell’amigdala, il recupero si manife-sta attraverso spontanee reazioni corporee di preparazione al pericolo, mentre nel caso del sistema dell’ippocampo si hanno ricordi a livello conscio” (pag. 239).

Secondo LeDoux (1996), dunque, i meccanismi cerebrali che registrano, im-magazzinano e recuperano i dati mnestici associati alle manifestazioni emotive di un evento traumatico sono diversi da quelli che consentono la memoria conscia elariflessionerazionalesullostessoevento.Inpratica,l’amigdalaimmagazzinalamemoria emotiva, mentre l’ippocampo e la neocorteccia immagazzinano quella cognitiva. Le reazioni emotive, quindi, si possono innescare senza il coinvolgi-mento dei sistemi cerebrali superiori: quelli che regolano l’attività cognitiva, ra-zionale e cosciente.

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�0 Schema Therapy

Caratteristiche del sistema dell’amigdalaSecondo LeDoux (1996), il sistema dell’amigdala presenta una serie di caratte-

ristiche che lo distinguono da quello dell’ippocampo e delle cortecce superiori.

• Il sistema dell’amigdala è inconscio. Le risposte emotive si possono formare nel-l’amigdala senza che vi sia nessuna registrazione conscia dello stimolo. Come affermò Zajonc (1984) già più di venti anni fa, le emozioni possono esistere senza le cognizioni.• Il sistema dell’amigdala è più veloce. Ogni segnale di pericolo viene inviato, at-traverso il talamo, sia all’amigdala che alla corteccia. Tuttavia, esso raggiunge molto più rapidamente l’amigdala che la corteccia. Quando il segnale raggiun-ge la corteccia, l’amigdala ha già avviato i meccanismi di risposta al pericolo. Come afferma ancora Zajonc (1984), le emozioni possono esistere prima della valutazione cognitiva. • Il sistema dell’amigdala è automatico. Non appena il sistema dell’amigdala valuta la presenza di pericolo, le emozioni e le risposte corporee si innescano auto-maticamente. I sistemi coinvolti nei processi cognitivi, al contrario, non sono legati in modo così stretto alle risposte automatiche. La peculiarità dei processi cognitivi, infatti,consisteproprionellaflessibilitàdella risposta,dovutaallapresenza di una cognizione, che implica la possibilità di scegliere. • I ricordi emotivi nel sistema dell’amigdala sembrano essere permanenti. LeDoux (1996) ha scritto: “I ricordi traumatici immagazzinati dall’amigdala sembrano essere impressi in modo indelebile nel sistema cerebrale; probabilmente essi accompagnano l’individuo per tutta la vita” (pag. 252). Il fatto che gli stimoli associati al pericolo non vengano dimenticati ha a che fare con l’istinto di sopravvivenza.È difficile, infatti, che questo tipo di ricordi si estingua. Incondizionidi stress, spesso ricompaionoautomaticamenteperfino lepaureche sembravano essere scomparse. L’estinzione evita il manifestarsi delle ri-sposte condizionate, ma non cancella i ricordi che sottostanno a queste reazio-ni. “Tramite l’estinzione […] si ottiene il controllo corticale degli effetti del-l’amigdala, ma non la completa cancellazione della memoria immagazzinata in essa” (pag. 250). Questo costituirebbe il motivo per cui si suppone che non sia possibile risanare gli schemi completamente.• Il sistema dell’amigdala non opera discriminazioni sottili. Il sistema dell’amigdala è predisposto ad evocare risposte condizionate alle paure in conseguenza di stimoli associati ad esperienze traumatiche. Una volta che il ricordo emotivo è immagazzinato nell’amigdala, anche uno stimolo che ricorda vagamente il trauma è in grado di innescare la reazione di paura. Il sistema dell’amigdala fornisce un’immagine approssimativa del mondo esterno, mentre la corteccia superiore fornisce rappresentazioni più accurate e dettagliate. È la corteccia superiore che, in seguito a una valutazione cognitiva, può regolare la soppres-sione delle risposte emotive. L’amigdala evoca le risposte, non le inibisce.

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�1Schema Therapy: il modello teorico

• L’evoluzione del sistema dell’amigdala è anteriore a quella delle cortecce superiori. Di fronteaunaminaccia,l’amigdalainnescaunarispostad’ansiachesièmodifi-cata ben poco nel corso della storia e che accomuna l’uomo al regno animale e, probabilmente, anche ad alcune specie inferiori. Anche l’ippocampo rientra fra quelle aree del cervello più primitive da un punto di vista evolutivo; tut-tavia, esso è collegato alla neocorteccia, che a sua volta contiene le cortecce superiori, di più recente evoluzione.

Implicazioni per il modello degli schemiMa quali possono essere le implicazioni di tutto ciò sulla teoria degli schemi?

Proviamo ad individuarne alcune. Gli SMP, come abbiamo visto, possono essere definiticomeuncomplessodiricordi,diemozioni,disensazionisomaticheedipensieri legati adesperienzedell’infanziaquali l’abbandono, il rifiuto, la scarsaattenzione o l’abuso. A livello neurobiologico, quando il soggetto percepisce uno stimolo che evoca l’esperienza traumatica infantile da cui ha avuto origine lo sche-ma, le emozioni e le sensazioni somatiche associate a quella esperienza vengono attivate, a livello inconscio, dal sistema dell’amigdala; anche nel caso in cui il sog-getto sia in grado di dominare razionalmente le proprie reazioni, le emozioni e le sensazioni somatiche vengono attivate più rapidamente rispetto ai pensieri che ne consentono il padroneggiamento. L’attivazione delle emozioni e delle sensazioni somatiche è automatica ed è probabile che si mantenga nel tempo, caratteriz-zando l’intera esistenza della persona, sebbene sia possibile attenuarne l’intensità attraverso una graduale correzione dello schema. Diversamente dalle emozioni e dalle sensazioni somatiche, i ricordi e le cognizioni associati al trauma vengo-no immagazzinati nell’ippocampo e nella corteccia. Questa diversa collocazione anatomica degli aspetti emotivi e cognitivi del ricordo dell’esperienza traumatica, potrebbespiegareilmotivopercuinonèpossibilemodificareglischemiattra-verso il solo utilizzo di tecniche cognitive. Inoltre, possiamo notare come le com-ponenti cognitive di uno schema spesso si sviluppino in un momento successivo, quando le emozioni e le sensazioni somatiche sono già state registrate dal sistema dell’amigdala. Molti schemi si instaurano nella fase preverbale, ancora prima che il bambino abbia imparato a parlare; gli schemi preverbali si sviluppano quando il bambino è talmente piccolo da essere in grado di immagazzinare unicamen-te ricordi composti da emozioni e sensazioni somatiche. I pensieri si associano soltanto dopo, quando nel bambino iniziano a svilupparsi la facoltà di pensare e di esprimersi attraverso il linguaggio (uno dei compiti del terapeuta, infatti, sarà proprio quello di aiutare il paziente ad associare la narrazione all’esperienza che ha generato lo schema). Per questo motivo, nel trattamento psicoterapeutico cen-trato sugli schemi, il lavoro sulle emozioni ha un ruolo predominante rispetto a quello sui pensieri.

Quando un SMP si attiva, il soggetto viene invaso da emozioni e sensazioni somatiche che non sempre associa in modo consapevole al ricordo di ciò che è

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�� Schema Therapy

avvenuto originariamente (e questo sarà un altro compito del terapeuta: aiutare il paziente ad associare le emozioni e le sensazioni somatiche ai ricordi dell’infan-zia). Questi ricordi costituiscono la parte centrale di uno schema, ma in genere non si manifestano a livello cosciente, neppure sotto forma di immagini; sarà il terapeuta ad aiutare il paziente a ricomporre queste immagini e a fornirgli un va-lido supporto emotivo durante il percorso di ricostruzione dei ricordi.

Implicazioni per la Schema TherapyIl primo obiettivo della Schema Therapy è permettere al paziente il raggiun-

gimentodellaconsapevolezza:ilterapeutaaiutailpazienteaidentificareiproprischemi e a diventare consapevole dei ricordi d’infanzia, delle emozioni, dei pen-sieri e degli stili di coping ad essi associati. Questo consente al paziente stesso di esercitare un certo controllo sulle proprie risposte e di trovare la motivazione per liberarsi dagli schemi patogeni.

LeDoux (1996) scriveva:

“La terapia è soltanto un metodo alternativo per raggiungere un potenziamento sinaptico nei meccanismi cerebrali che controllano l’amigdala. I ricordi emotivi contenuti nell’amigdala, come abbiamo visto, sono impressi indelebilmente nei suoi circuiti. Pertanto possiamo al massimo sperare di riuscire a regolare l’espres-sione di questi ricordi; per farlo dobbiamo fare in modo che la corteccia assuma una funzione di controllo sull’amigdala” (pag. 265).

In quest’ottica, il trattamento si pone l’obiettivo di incrementare il controllo cosciente che il paziente può esercitare sugli schemi, attraverso l’acquisizione di strategie mirate alla riduzione dell’intensità e della pervasività dei ricordi, delle sensazioni somatiche e dei pensieri associati agli schemi e alla correzione dei com-portamenti disfunzionali ad essi correlati.

Un’esperienza traumatica vissuta nelle prime fasi dell’infanzia ha anche altre ripercussioni fisiologiche. I primati separati dallamadre presentano un’elevataconcentrazione di cortisolo nel plasma; se le separazioni avvengono ripetutamen-te questi cambiamenti diventano permanenti (Coe, Mendoza, Smotherman, e Levine, 1978; Coe, Glass, Wiener, e Levine, 1983). Altri effetti neurobiologici du-raturi imputabili alla separazione dalla madre comprendono un’alterazione degli enzimi che sintetizzano la catecolamina nelle ghiandole surrenali (Coe et al., 1978, 1983) e della secrezione di serotonina nell’ipotalamo (Coe, Wiener, Rosenberg e Levine, 1985). Le ricerche effettuate sui primati suggeriscono anche che il sistema degli oppiacei endogeni sia coinvolto nella regolazione dell’ansia da separazione echel’isolamentosocialeinfluenzilasensibilitàeilnumerodeirecettoricerebraliperleendorfine(VanderKolk,1987).Èevidentecomelealterazionifisiologichederivatedallaseparazionenelleprimefasidellavitainfluenzinosuccessivamentei processi psicologici, probabilmente in modo irreversibile.

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��Schema Therapy: il modello teorico

I PROCESSI DEGLI SCHEMIGli schemi possono dar vita a due processi: il mantenimento e la correzione.

Qualsiasi pensiero, sentimento, esperienza e comportamento che abbia a che fare con uno schema può concorrere al suo mantenimento (quando lo arricchisce e lo rinforza) o alla sua correzione (quando lo indebolisce).

Il mantenimento dello schemaTutte le azioni (volontarie o involontarie) che attivano lo schema costituisco-

no il processo di mantenimento; in esso sono coinvolti i pensieri, i sentimenti e i comportamenti che finiscono per rinforzare piuttosto che ridimensionare loschema. Sono tre i principali meccanismi attraverso i quali si mantengono gli schemi: le distorsioni cognitive, gli stili di vita autodistruttivi e gli stili di coping (di cui parleremo più approfonditamente nel prossimo paragrafo). Le distorsioni cognitive generano nella persona una percezione alterata delle situazioni, che ven-gono interpretate in modo da rinforzare lo schema; questo avviene selezionando le informazioni che convalidano lo schema e sminuendo o negando quelle che, al contrario, lo invaliderebbero. Il soggetto tende, inoltre, a bloccare le emozioni associate allo schema, di conseguenza esso non raggiunge il livello di consape-volezzaelapersonanonriesceamodificarlooacorreggerlo.Ilsoggetto,infine,instaura stili di vita autodistruttivi: senza rendersene conto, sceglie e promuove le circostanze e le relazioni interpersonali che innescano e mantengono lo schema, evitando, invece, quelle che potrebbero invalidarlo. Nel contesto dei rapporti in-terpersonali, le modalità di relazione che il soggetto utilizza sono tali da suscitare negli altri reazioni negative che rinforzano lo schema.

Il caso di MartineIldifficilerapportoche,dabambina,Martinehaavutoconlamadrehage-

nerato in lei lo schema Inadeguatezza. “A mia madre non piaceva niente di me”, riferisce al terapeuta, “e non c’era niente che potevo fare per farle cambiare idea. Non ero bella, non ero estroversa e non avevo molto successo con gli altri. Non avevo una personalità spiccata e non sapevo vestirmi con stile. Ero intelligente, ma a mia madre questo non importava”.

Attualmente Martine ha 31 anni e poche amicizie femminili. Di recente, il suo ragazzolehapresentatolefidanzatedialcunisuoiamici.Martineletrovasim-patiche e disponibili eppure non si sente capace di stabilire con loro un rapporto di amicizia. “Non credo di piacere a quelle ragazze”, spiega al terapeuta. “Mi innervosisco tantissimo quando sono con loro. Non riesco a rilassarmi, non mi comporto in maniera naturale”.

Le strategie cognitive, affettive, comportamentali e interpersonali che Martine utilizza nelle nuove amicizie contribuiscono al mantenimento dello schema. A livello cognitivo, Martine distorce le informazioni in modo da validare lo schema: sminuisce le dimostrazioni di amicizia nei suoi confronti (“Sono gentili con me

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�� Schema Therapy

solo perché esco con Johnny ma, in realtà, non mi trovano per niente simpatica”) e interpreta i comportamenti delle ragazze in modo distorto, trasformandoli in conferme della loro antipatia nei suoi confronti. Ad esempio, quando Robin si è sposata e non le ha chiesto di farle da testimone, Martine è saltata subito alla con-clusione che Robin la “detestasse”, invece di pensare che in realtà la conosceva da troppo poco tempo per farle ricoprire un ruolo che in genere si riserva ad amiche di vecchia data. Per quanto riguarda la sfera affettiva, Martine sperimenta rispo-ste emotive molto intense anche in situazioni che le ricordano solo vagamente le esperienze infantili responsabili dell’insorgere dello schema; ad esempio, ogni voltacheritienediessereminimamenterifiutata, lapazienteviveunprofondoturbamento e sentimenti di inadeguatezza e di odio verso se stessa.

Nei rapporti interpersonali, Martine è attratta dalle relazioni che con più pro-babilità rispecchieranno il rapporto che aveva con la madre. Nel nuovo gruppo, ad esempio, ha stretto amicizia in modo particolare con la persona più critica e più esigente e si comporta con lei esattamente come si comportava con la madre, assumendo un atteggiamento deferente e stando sempre sulla difensiva.

Quasi tutti i pazienti che presentano tratti patologici di personalità reiterano i pattern negativi elaborati nell’infanzia, instaurando modalità autodistruttive; essi diventano parte integrante della vita di queste persone, che, continuando ad emet-tere, in modo cronico e pervasivo, i pensieri, le emozioni, i comportamenti e le modalità relazionali che rinforzano lo schema, favoriscono, senza rendersene con-to, il ricostituirsi delle condizioni che più le hanno danneggiate durante l’infanzia.

La correzione dello schemaL’obiettivo ultimo della Schema Therapy è trasformare uno schema maladat-

tivo in uno schema più funzionale, operando, in questo senso, una correzione di esso. Poiché uno schema consiste in un insieme di ricordi, di emozioni, di sensazioni somatiche e di pensieri, il processo di correzione consiste nel ridurre la pervasività dei ricordi ad esso associati, l’intensità delle emozioni e delle sensa-zioni somatiche che ne derivano e la quantità dei pensieri disfunzionali. Ma non solo. Perché il processo possa dirsi completo, è necessario anche un cambiamento comportamentale, che avviene attraverso l’apprendimento, da parte del paziente, di strategie adattive nuove e alternative agli stili di coping disfunzionali. Per que-sto motivo, il trattamento prevede un intervento su più livelli: cognitivo, emoti-vo e comportamentale. Attraverso questo processo di trasformazione lo schema gradualmente si indebolisce e si attiva con una frequenza e un’intensità sempre minori, procurando al soggetto esperienze molto più facili da gestire e superare.

Il processo di correzione è dunque molto complesso e, nella maggior parte dei casi,ilpazienteincontranumerosedifficoltànelportarloatermine.Glischemi,infat-ti, sono convinzioni che il soggetto sviluppa riguardo a se stesso e al mondo nelle pri-missime fasi della vita e, pertanto, sono profondamente radicati; spesso, essi costitui-scono l’unico metro di valutazione che l’individuo ha a disposizione e, a prescindere

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dal loro potenziale distruttivo, riescono a comunicare a chi li vive sicurezza e fami-liarità. Gli schemi sono perciò strutture centrali per il senso d’identità del paziente e, perquestaragione,tendearimanervilegatoearinunciarvicondifficoltà.Abbando-nare uno schema è un’esperienza destabilizzante, perché implica uno stravolgimento della visione che si ha di sé, del mondo e degli altri. In quest’ottica, la resistenza alla terapia può essere interpretata come una forma di autoconservazione, un tentativo di mantenere un senso di controllo, di coerenza interiore e di equilibrio.

Dunque, per operare una correzione degli schemi, il paziente deve essere pron-to ad affrontarli e contrastarli con la necessaria determinazione. Per correggere uno schema occorre infatti molta costanza: il paziente deve osservare lo schema inmodosistematicoelavorarequotidianamentepermodificarlo,perchéaltrimentiesso continuerà ad attivarsi. In quest’ottica, la terapia può essere considerata una “dichiarazione di guerra” che il paziente e il terapeuta, alleati, muovono allo sche-ma,conununicoobiettivo:“sconfiggerloeannientarlo”.Tuttavia,questoobiettivorimane un ideale irrealizzabile nella maggior parte dei casi, dato che gli schemi non scompaiono mai del tutto, essendo impossibile sradicare i ricordi ad essi associati.

Se non è possibile eliminare gli schemi completamente, è tuttavia possibile correggerli e far sì che si attivino più sporadicamente e con effetti meno intensi e meno duraturi per il paziente. Quando questo avviene, il paziente impara a ri-spondere all’attivazione degli schemi con modalità più funzionali, sceglie partner e amici più premurosi e sviluppa una visione di sé più positiva. In uno dei prossi-miparagrafi,forniremounquadrogeneraledelleprincipalistrategiedicorrezionedegli schemi.

MODALITÀ E RISPOSTE DI COPING MALADATTIVELe modalità di coping si sviluppano nelle prime fasi della vita per consentire

al paziente di adattarsi agli schemi ed evitare le emozioni intense e violente che questi generalmente procurano. Sebbene tali modalità siano talvolta di aiuto al paziente per evitare l’attivazione di uno schema, è importante ricordare che non sono affatto utili per correggerlo. Infatti, tutti gli stili di coping maladattivi sono elementi attivi nel processo di mantenimento dello schema.

La Schema Therapy distingue lo schema dalle strategie che l’individuo utiliz-za per affrontarlo; questo è il motivo per cui, nel modello di Young, lo schema contiene i ricordi, le emozioni, le sensazioni somatiche e i pensieri dell’individuo, ma non le sue risposte comportamentali. Il comportamento non fa parte dello schema, ma dello stile di coping. Sebbene la maggior parte delle risposte di coping siano comportamentali, i pazienti utilizzano anche strategie cognitive ed emotive che allo stesso modo vanno a far parte dello stile di coping e non dello schema.

Questa distinzione tra gli schemi e gli stili di coping è dovuta al fatto che ogni persona reagisce allo stesso schema con stili di coping diversi a seconda delle situa-zioni e delle fasi di vita. Gli stili di coping utilizzati da un soggetto per fronteggiare uno schema non rimangono necessariamente stabili nel tempo, come avviene invece

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�� Schema Therapy

per lo schema in sé. Inoltre, pazienti diversi utilizzano per lo stesso schema strategie comportamentalidicopingtotalmentedifferenti,talvoltaperfinoopposte.

Proviamo a considerare, ad esempio, tre diversi pazienti, ognuno dei quali affrontaloschemaInadeguatezzaconunostilespecifico.Sebbenetuttietresisentano inadeguati, le risposte comportamentali non sono intrinseche allo sche-ma: uno di loro ricerca partner o amici critici, un altro evita qualsiasi relazione tenendosi a distanza da tutti e l’ultimo assume un atteggiamento di superiorità e di critica nei confronti degli altri.

Tre modalità di coping maladattiveTutti gli esseri viventi, di fronte a una minaccia, possono presentare tre principali

modalità di risposta: l’attacco, la fuga e l’immobilità. Ognuna di queste risposte, in linea di massima, corrisponde rispettivamente ad uno dei tre stili di coping che il soggetto può mettere in atto in risposta ad uno schema: ipercompensazione, evitamento e resa.

Uno SMP rappresenta, durante l’infanzia, una minaccia, che può consistere nella frustrazione di uno dei bisogni emotivi primari del bambino (legami stabili, autonomia, libertà di espressione, spontaneità e gioco o limiti realistici) o nella paura delle emozioni intense che lo schema stesso può generare. Davanti alla mi-naccia, il bambino si può arrendere, può evitare oppure ipercompensare, ma tutti e tre gli stili, generalmente, operano al di fuori della consapevolezza. Il bambino tenderà a utilizzare soltanto uno dei tre stili per una determinata situazione, ma potrà avvalersi di altri stili di coping per reagire a situazioni diverse o in presenza di schemi diversi (di seguito forniremo alcuni esempi di questi tre stili).

L’attivazione di uno schema, dunque, equivale a una minaccia, alla quale l’indi-viduo reagisce attraverso uno stile di coping. Gli stili di coping utilizzati risultano generalmente adattivi durante l’infanzia e possono essere considerati meccani-smi funzionali di sopravvivenza. Ma durante la crescita diventano maladattivi, in quanto determinano il mantenimento dello schema anche quando la persona si trova ormai in condizioni ambientali molto diverse e avrebbe la possibilità di utilizzare modalità più funzionali. In sintesi, gli stili di coping maladattivi tengono le persone intrappolate nei loro stessi schemi.

ResaArrendersialloschemasignificaaccettarlo incondizionatamente,nonprovare

ad evitarlo né a combatterlo, accettare il dolore che esso provoca e contribuire, con questo atteggiamento, al rinforzarsi dello schema stesso. Senza rendersene conto, i pazienti con uno SMP continuano a rivivere, in età adulta, le situazioni che nell’in-fanzia hanno provocato l’instaurarsi dello schema stesso. Quando un evento attiva lo schema, queste persone hanno una risposta emotiva sproporzionata, che viene vissuta in modo intenso e consapevole; in ambito relazionale, scelgono partner dai quali possono aspettarsi un trattamento simile a quello ricevuto dal genitore con cui hannoavutodifficoltà(comeNatalie,adesempio,–lapazienteaffettadadepres-

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��Schema Therapy: il modello teorico

sione che abbiamo incontrato prima – che aveva scelto come marito Paul, un uomo emotivamente spento) e in questo rapporto assumono un atteggiamento passivo e accomodante che reitera lo schema. Spesso questi pazienti che si arrendono allo schema lo mettono in atto anche nella relazione terapeutica, interpretando il ruolo delbambinoeidentificandoilterapeutaconilgenitorechelihadanneggiati.

EvitamentoLe persone che utilizzano l’evitamento come stile di coping organizzano la

loro vita in modo tale da evitare l’attivazione dello schema, tentando di igno-rarloe facendofintachenonesista.Evitanodipensarci ebloccano ipensierie le immagini che potrebbero attivarlo, cercano di distrarsi e fanno di tutto per respingerlo quando questo si presenta. Evitano anche le sensazioni connesse allo schema,soffocandoleimmediatamentequandoaffiorano.Possonoessereperso-ne che fanno uso di alcol o sostanze stupefacenti per evitare di entrare in contatto con le proprie emozioni, che hanno incontri sessuali promiscui o che mangiano più del dovuto, che effettuano le pulizie domestiche in maniera maniacale, che sono continuamente alla ricerca di stimoli o che sono schiave del lavoro. De-scrivono le proprie relazioni interpersonali come soddisfacenti, eppure tendono ad evitare le situazioni che possono innescare lo schema, come, ad esempio, le relazioniintimeolesfideinambitolavorativo.Èmoltofrequentecheilsoggettoeviti interi ambiti esistenziali rispetto ai quali si sente vulnerabile e che non si impegni a fondo nella terapia, “dimenticando”, ad esempio, di portare a termine i “compiti a casa”, evitando di esprimere le proprie emozioni, parlando soltanto di argomentisuperficiali,arrivandotardialleseduteoandandoviainanticipo.

Ipercompensazione Chi contrasta lo schema ipercompensandolo pensa, sente, si comporta e si

relaziona in modo tale da percepirsi, in età adulta, diversamente da come si è per-cepito durante l’infanzia, quando lo schema si è formato. Chi da piccolo si sentiva indegno, da adulto cerca di essere perfetto; chi era sottomesso, prevarica gli altri; chieraeccessivamentesorvegliato,controllaglialtriorifiutaqualsiasitentativodicondizionamento; chi subiva violenza, diventa a sua volta violento. La strategia di coping di queste persone è il contrattacco: dall’esterno, sembrano assertive e sicure di sé, ma, in realtà, sono gravate dal peso dello schema che minaccia con-tinuamente di emergere.

L’ipercompensazione è in effetti un tentativo di difendersi dallo schema e, in quanto tale, potrebbe essere funzionale se da esso non scaturisse un atteggiamen-tochefinisceperrinforzareloschema,piuttostochecorreggerlo.Moltospesso,chi si avvale del meccanismo di ipercompensazione appare del tutto equilibrato; non è un caso, infatti, che esso sia caratteristico di molte persone famose, che rivestono ruoli di spicco nella società: star televisive, leader politici, noti uomini d’affari e via dicendo. Combattere uno schema è funzionale solo nel caso in cui il

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comportamento che si adotta sia adeguato alla situazione, prenda in considerazio-neisentimentideglialtriepermettailraggiungimentodegliobbiettiviprefissati;chi si avvale del meccanismo di ipercompensazione, invece, rimane generalmente intrappolato nel circolo vizioso generato dal suo atteggiamento di contrattacco e assume talvolta comportamenti eccessivi, poco rispettosi dei sentimenti degli altri o controproducenti.

Ad esempio, se esercitare un maggior controllo, nella vita quotidiana, è senz’altro funzionale per chi presenta lo schema Sottomissione, assumere un atteggiamento troppo dispotico e autoritario (per ipercompensare lo schema) comporta invece un allontanamento da parte degli altri; un paziente con lo schema Sottomissione che uti-lizzal’ipercompensazionefinisce,inoltre,pernonlasciareilcontrolloaglialtrinep-pure quando sarebbe opportuno farlo. Un esempio simile si può fare per le persone che presentano lo schema Deprivazione emotiva: per loro è funzionale chiedere un sostegno emotivo agli altri, ma quando entra in gioco il meccanismo di ipercompen-sazione le loro richieste diventano eccessive, trasformandosi in pretese.

L’ipercompensazione rappresenta per il paziente un’alternativa al dolore causato dallo schema, in quanto gli offre la possibilità di fuggire dal senso di impotenza e vulnerabilità che ha caratterizzato la sua infanzia. Ad esempio, l’ipercompensazione narcisista è il meccanismo tipico di chi si trova ad affrontare sensazioni primarie di deprivazione emotiva e inadeguatezza e utilizza questa modalità di coping per sen-tirsi speciale e superiore, anziché ignorato e inferiore. Tuttavia, il paziente narcisista non riesce mai a stare bene con se stesso, anche quando esteriormente raggiunge una piena realizzazione. Il meccanismo di ipercompensazione porta all’isolamento e,infine,all’infelicità.Lepersone,infatti,continuanoadutilizzarel’ipercompensa-zione anche se il loro atteggiamento fa fuggire gli altri e così facendo perdono la capacitàdirelazionarsi,senonsuperficialmente;sonocosìimpegnateadapparireperfette da trascurare la vera intimità. Inoltre, per quanto questi pazienti tentino di raggiungere la perfezione, prima o poi falliscono in qualcosa e, quando ciò av-viene,difficilmenteriesconoavivereinmanieracostruttival’esperienzanegativa.Essendo incapaci di assumersi la responsabilità dei propri fallimenti o di accettare i propri limiti non riescono a trarre insegnamento dai propri errori e, di conseguen-za, quando vivono esperienze fallimentari decisive e dirompenti, la loro capacità di ipercompensazionecrollae,ilpiùdellevolte,siverificaunoscompensochesfociain una depressione clinica. Quando il meccanismo di ipercompensazione fallisce, gli schemi sottostanti si riaffermano, generando un malessere intenso e devastante.

Ma quali sono i motivi per cui un paziente si avvale di certi stili di coping piuttosto che di altri? Possiamo ipotizzare che uno dei fattori principali risieda nel temperamento, che sembra avere un ruolo più importante nel determinare gli stili di coping piuttosto che nel determinare gli schemi. L’individuo con un tem-peramento passivo, ad esempio, tenderà a sviluppare lo stile di coping di resa o di evitamento, mentre quello con un temperamento aggressivo adotterà, con molta probabilità, il meccanismo di ipercompensazione. Anche il modeling, costituisce

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��Schema Therapy: il modello teorico

un elemento utile per comprendere il motivo per cui alcuni pazienti assumono un determinato stile: spesso i bambini prendono a modello il comportamento di copingdelgenitoreconilqualesisonoidentificati.

Nel capitolo 5, analizzeremo più dettagliatamente questi stili di coping.

Le risposte di copingLerispostedicopingconsistonoincomportamentiostrategiespecificheat-

traverso i quali il soggetto può manifestare uno dei tre principali stili di coping; tuttequellespecifichemodalitàattraversocuil’individuoscegliel’ipercompensa-zione, l’evitamento o la resa in risposta alla percezione della minaccia di attivazio-ne dello schema. L’utilizzo sistematico di alcune risposte di coping determina lo “stile di coping” che può essere considerato una caratteristica di tratto, distintiva especificadellapersona,adifferenzadella“rispostadicoping”chepuòessereconsiderata una caratteristica di stato, variabile a seconda della situazione. Uno stile di coping è, dunque, l’insieme delle risposte di coping che l’individuo utilizza abitualmente per evitare, ipercompensare o arrendersi allo schema; una risposta dicopingè, invece, lastrategiaoilcomportamentospecificodicui l’individuosi avvale in un determinato momento. Prendiamo ad esempio un paziente che utilizza prevalentemente una forma di evitamento per fronteggiare lo schema Abbandono; se in seguito ad un litigio in cui la sua ragazza minaccia di lasciarlo, il paziente assume sostanze alcoliche per evitare il dolore provocato dall’attivazione dello schema, l’evitamento costituisce lo stile di coping che il paziente adotta di fronte all’abbandono, mentre la decisione di ricorrere all’alcol costituisce la sua rispostadi copingalla situazione specifica (approfondiremoquestadistinzionenelprossimiparagrafi,quandoesamineremoilconcettodimode).

Nella tabella 1.2, per ogni schema sono elencati alcuni esempi di risposte di coping maladattive. In genere, i pazienti utilizzano per lo più una combinazione di risposte e stili di coping: a volte si arrendono, a volte evitano, a volte ipercompensano.

Gli schemi e le risposte di coping nelle diagnosi di Asse II Lo scopo di questo paragrafo è evidenziare quelli che consideriamo i prin-

cipali difetti concettuali del sistema di valutazione delle patologie di Asse II e, in generale, del sistema diagnostico del DSM-IV, che riteniamo inadeguato rispetto al nostro modello teorico. Altrove abbiamo già esaminato i suoi numerosi limiti (YoungeGluhoski,1996),compresalascarsaaffidabilitàevaliditàpermoltecate-gorie e il livello inaccettabile di sovrapposizione tra le categorie stesse. Riteniamo che, nel tentativo di formulare dei criteri basati sull’osservazione dei comporta-menti, i colleghi che hanno sviluppato il DSM-IV abbiano perso di vista l’essenza sia di ciò che distingue i disturbi di Asse I da quelli di Asse II, sia di ciò che rende idisturbicronicidifficilidatrattare.

Secondo il nostro modello concettuale, gli SMP sarebbero alla base dei disturbi di personalità, ma se valutiamo i criteri diagnostici indicati dal DSM-IV vediamo

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�0 Schema Therapy

che a questi corrispondono esclusivamente pattern di risposte di coping; il DSM-IV indicherebbe, dunque, come criteri di valutazione delle patologie di Asse II, esclusivamente dei modelli comportamentali di risposta agli schemi primari da noi individuati. In quasi tutte le categorie del DSM-IV i disturbi di personalità coincidono con i comportamenti di coping. Ma come abbiamo già sottolineato, l’obiettivo principale del trattamento di pazienti con disturbi di personalità do-vrebbe essere la correzione degli schemi e non l’eliminazione delle risposte di co-ping maladattive, che nella nostra ottica è peraltro impossibile da attuare a livello permanentesenzamodificareglischemisottostanti.Èinoltreopportunotenerepresente che le risposte di coping non sono stabili come gli schemi, ma cambiano, inrelazionealloschemacheleinnesca,allasituazionespecifica,eallafasedivitadelpaziente.Perciòrisultaalquantodifficoltosoformulareunadiagnosidefinitivaavvalendosi del DSM-IV, in quanto i sintomi su cui si basa la diagnosi coincidono conlerispostedicopingchesivannoamodificarenelcorsodellaterapiastessa.

Nel modello degli schemi, inoltre, i pattern cronici e pervasivi di personalità, rappresentati sia come schemi che come risposte di coping, vengono messi in re-lazioneallalorooriginenell’infanziaeconsideraticomespecificiperognisingolopaziente,asecondadellaspecificamanifestazioneedell’intensitàdell’attivazione.I disturbi di personalità, dunque, vengono presi in considerazione in un’ottica dimensionale e non categoriale, quale quella proposta dal DSM.

IL CONCETTO DI MODEIl concetto di mode3 costituisce probabilmente l’aspetto più complesso del no-

stro modello teorico. I mode comprendono sia gli stati emotivi sia le risposte di coping (adattive o maladattive) di cui, in determinati momenti, tutti noi facciamo esperienza. A seconda delle situazioni, alcuni dei nostri schemi e le relative rispo-ste di coping rimangono inattivi, o latenti, mentre altri si attivano, assumendo un ruolo predominante sul nostro umore e sul nostro comportamento. Il “mode” è l’insieme di schemi e relative operazioni (adattive o maladattive) attivi in un pazien-te in un determinato momento. La nostra teoria – a differenza di molte altre elabo-rate sugli schemi – prevede una costante analisi sia dei mode adattivi che di quelli maladattivi; infatti, uno degli obiettivi del percorso terapeutico è proprio quello di aiutare il paziente a “saltare” da un mode disfunzionale ad uno più funzionale.

Un mode disfunzionale entra in gioco quando determinati schemi o risposte di coping maladattivi emergono sotto forma di emozioni negative, risposte di evitamentoocomportamentiautodistruttivicheinfluenzanolarispostadell’in-dividuo e ne determinano il funzionamento emotivo e comportamentale. Una persona può saltare da un mode disfunzionale all’altro attivando gli schemi o le risposte di coping che prima erano latenti.

3 Il termine mode può essere tradotto in italiano con “modalità espressiva” o “modalità organizzativa”, ma entrambe le traduzioni non ne rendono compiutamente il senso, per cui risulta conveniente mantenere il termine in inglese (come già in Clark, Beck, Alford, 1999) [NdT].

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�1Schema Therapy: il modello teorico

TABELLA 1.2. Esempi di risposte di coping maladattive

Schema maladattivo precoce Esempi di resa Esempi di evitamento Esempi di ipercompensazione

Abbandono/Instabilità

Selezionare partner poco disposti ad impegnarsi nella

relazione e ostinarsi a portarla avanti.

Evitare le relazioni intime; assumere alcol

per contrastare la solitudine.

Stabilire un legame morboso con il partner e “soffocarlo” al punto

da farlo allontanare; rimproverare

duramente il partner ogni volta che si allontana anche minimamente.

Sfiducia/AbusoSelezionare partner

abusanti e continuare a subire gli abusi.

Evitare di mostrarsi vulnerabili; non fidarsidinessuno;

nonconfidareiproprisegreti.

Prendersi gioco o abusare degli altri (per evitare che lo facciano

loro).

Deprivazione emotiva

Scegliere partner poco affettuosi e

non chiedere loro di soddisfare i propri bisogni emotivi.

Evitare qualsiasi relazione intima.

Pretendere in maniera eccessiva che il partner o gli amici più intimi soddisfinoipropri

bisogni emotivi.

Inadeguatezza/Vergogna

Selezionare partner criticierifiutanti;essere

penalizzanti con se stessi.

Evitare di esprimere pensieri e sentimenti; non permettere agli altri di avvicinarsi.

Assumere un atteggiamento critico e rifiutanteneiconfronti

degli altri; cercare di sembrare perfetti.

Esclusione sociale/Alienazione

Tendenza a focalizzarsi, nelle situazioni sociali, più sugli elementi che ci contraddistinguono

che su quelli che ci accomunano agli altri.

Evitare le situazioni sociali e di gruppo.

Divenire eccessivamente versatili per adattarsi alle varie

situazioni sociali.

Dipendenza/Incompetenza

Delegare le persone significative(genitori

o coniuge) ad amministrare i propri

risparmi.

Evitare situazioni che mettono alla prova le

proprie capacità, come imparare a guidare.

Affidarsiesclusivamente a se stessi, al punto da

non dover chiedere niente a nessuno

(“comportamento controdipendente”).

Vunerabilità al pericolo o alle malattie

Ricercare ossessivamente gli avvenimenti

drammatici riportati sui quotidiani e aspettarsi che qualcosa di simile

accada nella vita quotidiana.

Evitare di frequentare luoghi ritenuti non del

tutto “sicuri”.

Assumere comportamenti

sconsiderati, essere sprezzanti del pericolo

(“comportamento controfobico”).

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�� Schema Therapy

Schema maladattivo precoce Esempi di resa Esempi di evitamento Esempi di ipercompensazione

Invischiamento/Sé poco sviluppato

Raccontare tutto di sé ai genitori anche in età adulta; immedesimarsi

troppo nel partner.

Evitare di stabilire relazioni intime;

mantenere la propria indipendenza.

Cercare di diventare l’esatto contrario delle personesignificative.

Fallimento

Dedicarsi con poco impegno o in maniera

disorganizzata alle proprie attività.

Evitare di assumersi responsabilità in

ambito lavorativo; procrastinare

nell’adempiere ai propri compiti.

Prefiggersiobiettivieccessivamente elevati facendo di tutto per

raggiungerli.

Pretese/Grandiosità

Imporre agli altri la propria volontà; vantarsi dei propri

successi.

Evitare le situazioni in cui non si ha la

possibilità di mostrare la propria superiorità.

Soddisfare eccessivamente i bisogni degli altri.

Autocontrollo o autodisciplina insufficienti

Non riuscire ad assolvere i compiti

quotidiani o di routine.

Non cercare un impiego ed evitare le

responsabilità.

Sviluppare un eccessivo autocontrollo

e un’eccessiva autodisciplina.

Sottomissione

Lasciare che siano gli altri a gestire le

situazioni e a prendere decisioni al posto

proprio.

Evitare situazioni in cui potrebbero insorgere conflitticonglialtri.

Assumere un atteggiamento di

ribellione.

AutosacrificioDare molto agli altri

senza pretendere niente in cambio.

Evitare le situazioni in cui è inevitabile dare o

ricevere qualcosa.

Dare agli altri il meno possibile.

Ricerca di approvazione o riconoscimento

Cercare di far colpo sugli altri.

Evitare il confronto con le persone di cui si vorrebbe l’approvazione.

Assumere comportamenti

irragionevoli per ottenere

disapprovazione; rimanere in disparte.

Negatività/Pessimismo

Focalizzarsi sugli aspetti negativi dell’esistenza e trascurare quelli positivi;

essere costantemente preoccupati; fare di tutto per prevenire

eventuali esiti negativi.

Ricorrere all’alcol per sentirsi più ottimisti e contrastare la tristezza.

Essere troppo ottimismi (ottimismo a tutti i costi); negare le

realtà spiacevoli.

Inibizione emotivaMantenere un

atteggiamento compito e poco espressivo.

Evitare situazioni in cui le persone parlano dei propri sentimenti o li

esprimono.

Cercare in tutti i modi di essere vitali

e stimolanti pur sentendosi poco

spontanei e a disagio.

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��Schema Therapy: il modello teorico

Schema maladattivo precoce Esempi di resa Esempi di evitamento Esempi di ipercompensazione

Standard severi/Ipercriticismo

Fare di tutto per raggiungere la

perfezione.

Evitare o procrastinare situazioni e compiti che mettono alla prova le

proprie capacità.

Non curarsi affatto della qualità delle

proprie prestazioni; svolgere i propri

compiti in maniera sbrigativa e senza

impegno.

Punizione

Avere un atteggiamento duro e punitivo nei

confronti di se stessi e degli altri.

Evitare gli altri per paura di essere puniti.

Essere troppo comprensivi e

indulgenti.

I mode come stati mentali dissociatiSecondo una prospettiva diversa, un mode disfunzionale può essere considerato

comeunodegliaspettidelsénelqualesonocoinvoltispecificischemielerelativerisposte di coping, che non si è integrato completamente con gli altri e che presenta determinate caratteristiche a seconda del grado in cui si è dissociato o è rimasto escluso da altri mode dell’individuo. Un mode, in quest’ottica, potrebbe essere de-finitoasecondadellaposizionecheoccupalungounospettrodidissociazione.Illivello di dissociazione più basso si avrebbe quando il soggetto è in grado di attivare o di esprimere più di un mode contemporaneamente, ad esempio durante i normali cambiamenti di umore, provocati dalla malinconia o dalla rabbia. Al contrario, il li-vello di dissociazione più alto si avrebbe quando il soggetto utilizza un determinato mode, senza avere, in quel momento, la consapevolezza dell’esistenza degli altri, come ad esempio accade nei pazienti affetti da disturbo dissociativo dell’identità.Allostatoattuale,sonostatiidentificatidiecimode,chesipossonoraggrup-

pare in quattro categorie: i mode Bambino, i mode Coping disfunzionale, i mode Genitore disfunzionale e il mode Adulto funzionale. Alcuni di essi sono fun-zionali per l’individuo, mentre altri non lo sono. Analizzeremo questi mode in maggior dettaglio in seguito.

Uno degli obiettivi centrali della Schema Therapy è insegnare al paziente a rin-forzare il mode Adulto funzionale, imparando ad esplorare quelli disfunzionali, modificandoliomigliorandoillorofunzionamento.

Lo sviluppo del concetto di modeIl concetto di mode è nato dall’esperienza acquisita nel lavoro svolto con pa-

zienti affetti da disturbo borderline di personalità, ma si è sviluppato nel tempo attraverso lo studio e il trattamento di molte altre categorie diagnostiche. Tutti i tentativi di applicare il modello degli schemi ai pazienti borderline si sono scontrati con un problema essenziale: i pazienti presentavano un numero troppo elevato di

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�� Schema Therapy

schemierispostedicoping,percuidiventavadifficile,siaperilpazientecheperilterapeuta, affrontarli tutti insieme contemporaneamente. Capitava, ad esempio, che i pazienti con disturbo borderline ottenessero punteggi alti per tutti e 16 gli schemi dello Young Schema Questionnaire: avevamo bisogno, quindi, di un sistema di analisi diverso, che raggruppasse gli schemi e li rendesse più facili da gestire.

Inoltre, con questi pazienti, l’applicazione della Schema Therapy, nel suo mo-dellooriginale, risultavadifficile ancheperché essi cambiavano continuamentestato affettivo o risposta di coping: se in un momento erano arrabbiati, il momen-to dopo diventavano tristi, distaccati, introversi, innaturali, terrorizzati, impulsivi o carichi di odio verso se stessi. Basandosi principalmente sui tratti caratteristici della persona (schemi o stili di coping), il nostro modello originale non sembrava essere esaustivo per spiegare il fenomeno del passaggio da uno stato all’altro.

Affermare che un individuo presenta un determinato schema non implica ritenere che esso sia attivo in ogni momento della sua vita; lo schema è un tratto caratteristico che può essere attivo in un determinato momento ma non in un al-tro, come avviene per i diversi stili di coping. Per questo motivo, il nostro modello originale, riferendosi ai tratti caratteristici, ci permette di comprendere i meccani-smi della persona in un ampio lasso di tempo, ma non ci aiuta a capire lo stato del paziente in un determinato momento. Poiché i pazienti con disturbo borderline di personalità sono estremamente incostanti, abbiamo deciso di utilizzare per il loro trattamento un modello che prendesse in considerazione gli stati, piuttosto che i tratti caratteristici, e che avesse come fondamento concettuale primario i mode.

Dall’osservazione dei singoli casi abbiamo valutato che gli schemi e le risposte di coping tendono a raggrupparsi, formando le diverse parti del sé. Alcuni gruppi di schemi o di risposte di coping si innescano contemporaneamente; ad esem-pio, nel mode Bambino vulnerabile le sensazioni del soggetto sono quelle di un bambino indifeso che si sente fragile, spaventato e triste e, quando il paziente è in questo mode, è possibile che si attivino contemporaneamente gli schemi Depri-vazione emotiva, Abbandono e Vulnerabilità. Il mode Bambino arrabbiato si ma-nifesta attraverso le emozioni di un bambino adirato in preda ad uno scatto d’ira, mentre il mode Protettore distaccato è caratterizzato dall’assenza di emozioni e da una forte tendenza all’evitamento. Alcuni mode sono, dunque, composti prin-cipalmente da schemi, mentre altri sono rappresentati soprattutto da risposte di coping; ogni paziente mostra alcuni particolari mode, a partire dai quali è possibi-le risalire a particolari raggruppamenti di schemi o risposte di coping.

In modo analogo, anche alcune diagnosi di Asse II possono essere descritte in base ai loro mode più tipici. Un paziente con disturbo borderline di personalità, ad esempio, mostra solitamente quattro mode diversi, che si alternano con grande rapidità: in un determinato momento egli si trova nel mode Bambino abbando-nato e vive il dolore provocato dagli schemi, un attimo dopo può passare al mode Bambino arrabbiato ed esprimere rabbia, per poi passare rapidamente al mode Genitorepunitivo,nelqualepunisceilBambinoabbandonatoe,infine,ritirarsi

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��Schema Therapy: il modello teorico

nel mode Protettore distaccato, nel quale frena tutte le emozioni e tiene gli altri a distanza, nel tentativo di proteggersi.

I mode nell’esperienza dissociativaCome abbiamo accennato in precedenza, il nostro concetto di mode va messo

in relazione con un continuum di gravità di dissociazione. Anche se siamo con-sapevoli che la diagnosi di disturbo dissociativo dell’identità è assai controversa, noi consideriamo le diverse personalità che i pazienti affetti da questo disturbo as-sumono come forme estreme di mode disfunzionali. Diverse parti del sé si sono scisse in personalità separate, tendenzialmente inconsapevoli l’una dell’altra, e che possono avere nomi, età, sesso, ricordi, funzioni e tratti caratteriali differenti. Le identità dissociate che assumono questi pazienti, in genere, sono: o quella di un bambinochehavissutountraumaprofondo,oquelladiunafiguragenitorialeinteriorizzata che tormenta, criticando o punendo il bambino, o una modalità di coping tipica dell’età adulta che in un modo o nell’altro protegge o frena i diversi mode Bambino. Noi siamo convinti che la differenza sostanziale tra le identità dissociate del disturbo dissociativo dell’identità e i mode dei pazienti con disturbo borderline di personalità consista nell’intensità e nella gravità della dissociazione; in entrambi i casi possiamo valutare l’esistenza di parti del sé che si sono scisse, ma il livello di scissione nel disturbo borderline è decisamente inferiore. Inoltre, i pazienti che presentano un disturbo dissociativo hanno, in genere, un numero superiore di mode rispetto a quelli con personalità borderline.

Anche in un individuo psicologicamente sano sono presenti mode distinti, che gli permettono, ad esempio, di essere distaccato, arrabbiato o triste in relazione agli eventi; ma, a differenza di un soggetto borderline, in un individuo sano il senso di identità rimane intatto, pur sperimentando più di un mode contempora-neamente; questo capita, ad esempio, quando un evento ci rende tristi e felici allo stesso tempo, dandoci una sensazione di “dolce amarezza”. Al contrario, un sog-getto borderline viene completamente sopraffatto dalla paura o dalla rabbia e una parte del sé esclude le altre in maniera totale e profonda. I mode normali, inoltre, sono meno rigidi; per dirla con Piaget, essi sono più disponibili ad accomodarsi allarealtà(Piaget,1962)equindipiùflessibilieapertialcambiamentodiquelliche caratterizzano i pazienti con seri tratti patologici di personalità.

In sintesi, i mode possono variare da un individuo all’altro in relazione alle seguenti caratteristiche:

• Dissociati – Integrati;• Inconsapevoli – Consapevoli;• Maladattivi – Adattivi;• Estremi – Lievi;• Rigidi – Flessibili;• Puri – Eterogenei.

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�� Schema Therapy

L’intensitàe l’efficaciadeimodeAdultofunzionalecostituisconoun’altra im-portante differenza tra le persone sane e quelle che presentano tratti patologici di personalità. Tutti abbiamo un mode Adulto funzionale che ha la capacità di mitigare ecorreggereimodedisfunzionali;questomode,però,risultapiùintensoedefficacenelle persone psicologicamente sane. Ad esempio, quando una di queste si arrabbia, assume un mode Adulto funzionale, che generalmente gli permette di tenere sotto controllo le emozioni e i comportamenti che derivano dall’ira. Nei pazienti border-line, invece, questo mode generalmente è così debole che quando, ad esempio, si attiva il mode Bambino arrabbiato, il mode Adulto funzionale non ha la capacità per controbilanciarlo e la persona viene completamente sopraffatta dalla rabbia.

I dieci modeAbbiamo individuato dieci mode che possono essere raggruppati in quattro

categorie generali: i mode Bambino; i mode Coping disfunzionale; i mode Geni-tore disfunzionale; il mode Adulto funzionale.

Riteniamo che i mode Bambino siano innati e universali e che tutti i bambini abbiano,findallanascita,lapotenzialitàdimanifestarli.Neabbiamoindividuatiquattro: Bambino vulnerabile, Bambino arrabbiato, Bambino impulsivo/indisci-plinato e Bambino felice (i termini che abbiamo utilizzato sono generici, ma di norma, nel corso della terapia, scegliamo insieme al paziente il nome da dare ai singolimode;adesempio,possiamodefinireilBambinovulnerabile“lapiccolaAnn” o “Ann l’abbandonata”).

Il mode Bambino vulnerabile, generalmente, è l’espressione della maggior parte degli schemi disfunzionali principali: esso rappresenta il Bambino abban-donato,abusato,deprivatoorifiutato.IlBambinoarrabbiatocostituiscelaparteche prova rabbia a causa dei bisogni emotivi insoddisfatti e che reagisce con ira a prescindere dalle conseguenze. Il Bambino impulsivo/indisciplinato esprime emozioni, agisce in base ai desideri e segue i propri bisogni momento per mo-mento, in maniera disordinata, senza considerare le possibili conseguenze per se stesso e per gli altri. Il Bambino felice, invece, è pienamente soddisfatto, in quel determinato momento, nei suoi principali bisogni emotivi.PerquantoriguardaimodediCopingdisfunzionale,neabbiamoidentificati

tre: il Protettore distaccato, l’Ipercompensatore, e l’Arreso compiacente. Questi tre mode corrispondono ai tre stili di coping: evitamento, ipercompensazione e resa (anche in questo caso, nel corso della terapia, personalizzeremo il nome dei mode disfunzionali in base alle sensazioni e ai comportamenti del paziente). L’Arreso compiacente si sottomette agli schemi, diventando di nuovo il bambino passivo e impotente che si arrende agli altri; il Protettore distaccato fugge psicolo-gicamente dal dolore provocato dagli schemi attraverso il distacco dalle emozioni, l’assunzione di sostanze stupefacenti, la continua ricerca di stimoli, l’isolamento o altre forme di fuga. L’Ipercompensatore combatte gli schemi o maltrattando gli altri o assumendo, nel tentativo di confutarli, comportamenti estremi destinati

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��Schema Therapy: il modello teorico

a rivelarsi disfunzionali. L’esito di tutti gli stili di coping maladattivi è il manteni-mento degli SMP.Abbiamo,finora,identificatoduemodeGenitoredisfunzionale:ilGenitorepu-

nitivo e il Genitore esigente. Quando si trova in uno di questi mode, il paziente acquisisce l’atteggiamento del genitore che ha interiorizzato. Il Genitore punitivo è colui che punisce uno dei mode Bambino, poiché lo considera “cattivo”, mentre ilGenitoreesigenteècoluiche facontinuamentepressioneaffinché ilbambinoraggiunga standard eccessivamente elevati.

Il decimo mode, di cui abbiamo parlato in precedenza, è il mode Adulto fun-zionale che è quello che si tenta di rafforzare attraverso la terapia, insegnando al pazienteamoderare,guidareomodificareimodedisfunzionali.

L’ASSESSMENT E LA MODIFICAZIONE DEGLI SCHEMI

In questa breve rassegna del percorso terapeutico vengono presentati i passag-ginecessaripervalutareemodificareglischemi.Descriveremodettagliatamentenei capitoli successivi le procedure a cui qui facciamo soltanto accenno. Il trattamento è strutturato in due fasi: “Assessment e psicoeducazione”, e “Cambiamento”.

Assessment e psicoeducazione Nelcorsodiquestaprimafase,ilterapeutaaiutailpazienteadidentificaregli

schemi e a ricercarne le origini nell’infanzia e nell’adolescenza. Questa è la fase in cui il paziente, con l’aiuto del terapeuta, impara a familiarizzare con il modello degli schemi, comincia a riconoscere gli stili di coping maladattivi di cui si avvale e a capire in che modo essi contribuiscano al mantenimento degli schemi. I pazienti più gravi imparano a riconoscere i propri mode disfunzionali e vengono guidati nella comprensione dei processi che compiono gli schemi, tramite spiegazioni razionali, ma anche con sperimentazioni a livello emotivo.

In questa fase, si alternano molteplici tecniche: colloqui mirati a raccogliere in-formazioni sulla vita del paziente, somministrazione di questionari riguardanti gli schemi, assegnazione di compiti di automonitoraggio e esercizi immaginativi, che, innescando gli schemi, aiutano il paziente a collegare sul piano emotivo i problemi che vive nel presente con le esperienze vissute nell’infanzia. Quando tutti i passaggi di questa fase sono stati conclusi, il terapeuta e il paziente elaborano una concettua-lizzazione del caso basata sugli schemi e programmano una terapia centrata su di essi, che includerà l’utilizzo di strategie cognitive, esperienziali e comportamentali e si fonderà sulla relazione terapeuta-paziente, elemento attivo del processo terapeutico.

Modificazione degli schemiInquestasecondafaseilterapeutautilizzaconflessibilitàlestrategiecogniti-

ve, esperienziali, comportamentali e interpersonali previste, tenendo conto delle

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�� Schema Therapy

esigenze che il paziente manifesta di settimana in settimana. La Schema Therapy nonprevedeprotocollirigidiopredefinitesequenzeprocedurali.

Le tecniche cognitiveGli scheminonpossono esseremodificatifino aquando il soggetto rimane

convintocheabbianounavalidità;finchénonvienescardinataquest’idea,conti-nuerà ad avere una visione distorta di se stesso e degli altri. Per questo, nel corso della terapia, i pazienti devono imparare a costruire situazioni che dimostrino loro la mancanza di validità dello schema; inizialmente ne valutano l’infondatezza a livello razionale, elencando, insieme al terapeuta, tutte le situazioni della vita che possano costituire una prova a favore della validità dello schema o contraria ad essa.

Nella maggior parte dei casi, l’analisi di queste prove dimostrerà che lo schema non è valido, che il paziente non è intrinsecamente inadeguato, incompetente o fal-lito.Talvolta,però,leprovenonsonosufficientiadinvalidareloschema.Ipazienti,ad esempio, potrebbero aver sperimentato dei reali fallimenti, a scuola o sul lavo-ro, probabilmente perché, procrastinando o evitando continuamente, non hanno potuto sviluppare le adeguate capacità attitudinali. Se le prove per fronteggiare lo schemanonrisultanosufficienti,èpossibileutilizzaredellestrategiepermodifica-re gli aspetti della vita del paziente che non risultano soddisfacenti; ad esempio, il terapeuta può aiutarlo a contrastare la convinzione che il fallimento sia inevitabile e permettergli, così, di acquisire capacità concrete in ambito lavorativo.

Al termine di questi esercizi, il paziente e il terapeuta sintetizzano su un promemo-ria(flashcard)leproveindividuateasfavoredelloschema;ilpazienteloporteràconsé, con il compito di leggerlo di frequente, soprattutto nelle situazioni che possono innescare lo schema.

Le tecniche esperienzialiAttraverso queste tecniche i pazienti affrontano lo schema su un piano emo-

tivo; le procedure immaginative, ad esempio, consentono ai pazienti di esprimere la rabbia o la tristezza che provano per ciò che hanno vissuto nell’infanzia. In questomodo,possonoconfrontarsi con ilgenitoreo lealtrefiguresignificati-ve dell’infanzia e proteggere e confortare il bambino vulnerabile, riuscendo a esprimere i bisogni che avevano da bambini e che non sono stati soddisfatti dai genitori; possono associare immagini dell’infanzia a immagini di situazioni pro-blematiche che affrontano nella vita attuale; hanno la possibilità di contrastare lo schema in prima persona, attraverso un confronto diretto. Attraverso le tecniche immaginative e i role-playing i pazienti si possono inoltre esercitare a dialogare conlepersonesignificativedellalorovita,controbattendoleeinterrompendoilcircolo vizioso che lo schema crea a livello emotivo.

Il cambiamento di comportamenti disfunzionaliVengono stabiliti, con l’aiuto del terapeuta, alcuni esercizi comportamentali che il

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��Schema Therapy: il modello teorico

paziente deve svolgere al di fuori delle sedute per imparare a sostituire le risposte di coping maladattive con pattern comportamentali nuovi e più funzionali. Il paziente impara a capire che importanti decisioni di vita, come ad esempio la scelta del partner, favoriscono il mantenimento dello schema; comincia, così, ad ipotizzare e sperimentare la possibilità di fare scelte più funzionali che si contrap-pongono ai vecchi modelli di vita autodistruttivi.

Durante le sedute, il terapeuta aiuta il paziente a programmare i compiti che dovrà svolgere a casa e lo guida nella preparazione di questi, attraverso le proce-dure immaginative e i role-playing, aiutandolo a superare gli inevitabili ostacoli che si presenteranno durante il processo di cambiamento del comportamento disfunzionale. Quando il paziente ha portato a termine i compiti, ne analizza i ri-sultaticonilterapeuta,esaminandociòchehaappreso;inquestomodomodificagradualmente le modalità di coping maladattive acquisendo modelli sempre più funzionali, che gli permetteranno a lungo termine la correzione dello schema.

Per poter cambiare, i pazienti devono essere disposti a rinunciare agli stili di coping maladattivi che hanno sempre utilizzato. Ad esempio, coloro che conti-nuano ad arrendersi allo schema (rimanendo intrappolati in relazioni distruttive o non ponendosi dei limiti in ambito personale o lavorativo) lo mantengono e nonriesconoadottenererisultatisignificativiconlaterapia.Ipazienticheiper-compensano, invece, tendono a non fare progressi poiché, piuttosto che prendere atto dei propri schemi e responsabilizzarsi in tal senso, biasimano gli altri o sono troppo concentrati a ipercompensare dedicandosi al lavoro o tentando di miglio-raresestessiodifarcolposuglialtri;diconseguenza,nonriesconoaidentificarechiaramenteglischemi,néadimpegnarsiasufficienzapermodificarli.

I soggetti che utilizzano il meccanismo di evitamento, invece, tendono a otte-nere pochi progressi in terapia poiché si ostinano a fuggire dal dolore provocato dallo schema; non si concedono la possibilità di concentrarsi sui propri problemi, sul passato, sulla famiglia d’origine o sugli stili di vita, perché frenano o attenuano tutteleemozioni.Attraversoilmeccanismodievitamentosiottengonobeneficiimmediati e rinunciarvi significa essere disposti a sopportaremolti disagi; perquestomotivoèfondamentalecheilpazientesiaveramentemotivatoamodifi-care lo schema e tenga continuamente presenti le conseguenze negative a lungo termine che ne derivano.

La relazione terapeuticaGli schemi, gli stili di coping e i mode che il terapeuta deve valutare ed esami-

nare emergono anche dalla sua relazione con il paziente. La relazione terapeuta-paziente, infatti, costituisce un potenziale antidoto, sebbene parziale, agli schemi: il paziente interiorizza il terapeuta come un adulto funzionale che contrasta gli schemi e cerca di aiutarlo a raggiungere una vita affettiva soddisfacente.

Nella Schema Therapy, risultano particolarmente importanti due caratteristi-che della relazione terapeutica: l’atteggiamento di confronto empatico del terapeuta

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�0 Schema Therapy

e l’utilizzo di una funzione di parziale reparenting. Nel confronto empatico il tera-peuta si pone in atteggiamento di empatia nei confronti degli schemi che si attiva-no nel paziente durante le sedute e allo stesso tempo sottolinea come le reazioni del paziente rispecchino gli schemi e i relativi stili di coping e, di conseguenza, siano spesso distorte o disfunzionali. La funzione di reparenting prevede che il terapeuta, nei limiti del rapporto terapeutico, fornisca al paziente ciò di cui aveva bisogno ma che non ha ricevuto dai genitori durante l’infanzia. Approfondiremo questi aspetti della relazione terapeutica in seguito.

UN CONFRONTO TRA LA SCHEMA THERAPY E ALTRI MODELLI

L’approccio concettuale e terapeutico della Schema Therapy si sviluppa sulla basediunafilosofiadiaperturaeintegrazione.Nellacomplessaretedimodellieprotocolliterapeutici,praticarelaSchemaTherapysignificacercareditrovarelasoluzionepiùadattaalproblemasenzacurarsidietichetteedefinizioni;pocoimportasel’approcciosaràdefinitocognitivo-comportamentale,psicodinamicoodellaGestalt,ciòchecontaèchesiaefficace.L’aspettocentraledellaSchemaTherapy, infatti, è l’attenzione costantemente puntata sui cambiamenti signifi-cativi che il paziente riesce o meno ad ottenere. Il senso di libertà che questo atteggiamento genera nei pazienti e nei terapeuti ha contribuito ad allentare la schematicità della seduta terapeutica, promuovendo una maggiore autonomia nei contenuti del colloquio, nella scelta degli interventi e nelle modalità di attuazione di essi. Inoltre, il modello lascia molto spazio allo stile personale del terapeuta.

La Schema Therapy, tuttavia, non è da considerarsi una terapia eclettica, se con questo termine si vuole intendere un approccio che procede per tentativi e per er-rori; essa si basa, piuttosto, su una teoria combinata, i cui elementi concettuali e le cui strategie si fondono armonicamente in un modello sistematico e strutturato.

La conseguenza di questo atteggiamento di totale apertura è che alcuni aspetti del modello degli schemi coincidono con quelli di molti altri modelli di psicopato-logia e psicoterapia, tra cui l’approccio cognitivo-comportamentale, costruttivista, psicodinamico, delle relazioni oggettuali e della Gestalt. Tuttavia la Schema The-rapy ha in comune con questi modelli soltanto determinati elementi e non coinci-de mai totalmente con nessuno di essi; anzi essa si differenzia da ognuno per altri fattori fondamentali, che determinano la singolarità del suo sistema concettuale.

Nel prossimo paragrafo, verranno evidenziate alcune delle principali somi-glianze e differenze riscontrate tra la Schema Therapy e la recente riformulazione dell’approccio cognitivo-comportamentale operata da Beck e verrà fatto cenno ad altri approcci terapeutici che hanno in comune con la Schema Therapy alcuni aspetti rilevanti.

La riformulazione del modello di BeckBeck e i suoi collaboratori (Beck et al., 1990; Alford e Beck, 1997) hanno for-

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�1Schema Therapy: il modello teorico

mulato,apartiredallaterapiacognitiva,unapprocciospecificoperiltrattamentodei disturbi di personalità. Secondo questo modello la personalità è un “pattern specificodiprocessisociali,motivazionaliecognitivo-affettivi”(AlfordeBeck,1997, pag. 25); essa comprende il comportamento, i processi cognitivi, le risposte emotive e i bisogni motivazionali.

La personalità è determinata da “strutture idiosincratiche” o schemi, che ne costituiscono gli elementi base. Secondo Alford e Beck (1997), il concetto di schema potrebbe “fornire un linguaggio condiviso, capace di facilitare l’integra-zione di alcuni approcci psicoterapici” (pag. 25) mentre le “credenze di base” rappresenterebberoilsignificato,olapartecognitiva,diunoschema.Beckhaelaborato,inoltre,unsuospecificoconcettodimode(Beck,1996),

che rappresenta una struttura integrata, composta da elementi cognitivi, affettivi, motivazionali e comportamentali. I mode possono comprendere molti schemi cognitivi, scatenano nel soggetto intense reazioni psicologiche e sono orientati al raggiungimentodiobiettivispecifici.Cosìcomeglischemi,imodesonosostan-zialmente automatici e si manifestano in seguito ad un’attivazione. Un soggetto vulnerabile dal punto di vista cognitivo esposto a stress intenso può sviluppare una sintomatologia strettamente correlata ad un determinato mode.

Secondo Beck (Alford e Beck, 1997), i mode sono formati da schemi, che a loro volta contengono ricordi, strategie di problem solving, immagini e linguag-gio; essi attivano delle “strategie che permettono all’individuo di mettere in atto le abilità elementari di sopravvivenza, come la capacità di difendersi dai predatori” (pag.27).Ogniindividuosviluppaspecificimode,inbaseallepropriecaratteristi-chegeneticheeagliinflussisocialieculturalichericeve.

Beck (1996, pag. 9) afferma inoltre che quando uno schema viene attivato non siverificanecessariamentel’attivazionedelmodecorrispondente:nonostantesia-no attive le componenti cognitive di uno schema, potrebbero non riscontrarsi nel paziente le corrispettive componenti affettive, motivazionali o comportamentali.

Attraverso la terapia, il paziente impara ad utilizzare il proprio pensiero co-scienteperdisattivareimode;attribuendoaglieventiattivantiunsignificatodiver-so, il paziente ne dà un’interpretazione nuova che risulta del tutto incompatibile con il mode.

Un’accurata revisione della letteratura ci permette di affermare che Beck non chiarisce, se non in modo molto generico, quale sia la differenza sostanziale tra le tecnichedimodificazionedeglischemiedeimodeequellepropostedallaterapiacognitiva standard. Alford e Beck (1997) considerano la relazione terapeutica uno strumentoattivodellaterapia,eaffermanoperfinocheunlavorostrutturatoconle tecniche immaginative sia in grado di alterare le strutture cognitive mediante la comunicazione “diretta con il livello esperienziale (il sistema automatico), at-traversoilsuospecificomediatore:lafantasia”(pag.70).Tuttavia,nonindicanodellestrategiedettagliateospecifichepermodificareglischemieimode.Inultima analisi,Beck et al., nel 1990,hanno elaboratounadefinizionedi

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�� Schema Therapy

strategie cognitive e comportamentali che sembra combaciare con quella che la Schema Therapy propone per gli stili di coping: un individuo psicologicamente sano affronta le varie situazioni della vita quotidiana adottando strategie cognitive e comportamentali adattive, mentre un soggetto con disturbi psicologici si avvale di risposte rigide e disfunzionali per affrontare le situazioni nell’ambito delle quali risulta più vulnerabile.

A livello concettuale, il modello cognitivo revisionato da Beck ha molti aspetti in comune con l’attuale versione della Schema Therapy. Entrambi i modelli, per definire e comprendere lapersonalità, si basano sudue struttureprincipali al-quanto complesse: gli schemi e i mode. Entrambi considerano fattori importanti della personalità i processi cognitivi, motivazionali e affettivi, le caratteristiche genetiche,imeccanismidicopingegliinflussiculturali.Infine,entrambeleteoriesottolineano la necessità di focalizzare l’attenzione sia sugli aspetti consci che su quelli inconsci della personalità.Piùdifficile,invece,èindividuareledifferenzetraiduemodelli:sitratta,in-

fatti, di sottili discrepanze riscontrabili nella diversa importanza attribuita ad al-cuniaspettiteorici,piùcheinrealicontrapposizioniriguardantisettorispecificidell’elaborazioneconcettuale.Nelladefinizionedischemamaladattivoprecoceèpossibile riscontrare chiaramente elementi caratteristici degli schemi e dei mode diBeck(1996):ladefinizioneyoungianadischemacomprendesialastrutturacheil contenuto dello schema elaborato da Beck; inoltre, per entrambi i modelli, sono coinvolte, durante l’attivazione degli schemi, componenti affettive, motivazionali e comportamentali.

Nella teoria di Beck, il concetto di attivazione del mode è molto simile a quello che Young propone riguardo all’attivazione dello schema. Non è chiaro il motivo per il quale Beck (1996) avverta l’esigenza di differenziare gli schemi dai mode, at-tribuendoaidueterminidefinizionidiverse.Secondolanostraopinioneilconcet-to di mode di Beck potrebbe essere facilmente ampliato in modo da incorporare gli elementi di uno schema (o viceversa). Forse Beck, nel suo modello revisionato, ritiene opportuno distinguere lo schema dal mode per sottolineare che quest’ulti-mo rappresenta un meccanismo evoluzionistico di sopravvivenza, mentre il con-cetto di schema, rimanendo pressappoco quello proposto nel modello cognitivo originale (Beck, 1976), è più strettamente connesso a costrutti cognitivi di altro tipo, come i pensieri automatici e le credenze di base.

In realtà, il concetto di mode formulato da Young è sovrapponibile solo in parte a quello elaborato da Beck. Infatti, mentre Beck ha sviluppato il suo con-cetto di mode (1996) per spiegare le intense reazioni psicologiche associate alla sopravvivenza e al raggiungimento dei propri obiettivi, Young ha elaborato il mo-dello centrato sul concetto di mode allo scopo di operare una distinzione tra gli schemi e gli stili di coping intesi come tratti (modelli coerenti e stabili nel tempo) e gli schemi e gli stili di coping intesi come stati (modelli variabili di attivazione e disattivazione). In questo senso, il concetto di mode proposto da Young è più

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��Schema Therapy: il modello teorico

strettamente connesso ai concetti di dissociazione e di “stato mentale” che al concetto di mode proposto da Beck.

I due modelli che stiamo considerando presentano, inoltre, a livello concettua-le, un’altra sostanziale differenza: sebbene entrambi prendano in considerazione il concetto di stili di coping, ben diversa è l’enfasi che l’uno e l’altro vi attribuiscono. Infatti Beck elabora il concetto di strategie disadattive di coping (Beck et al., 1990) ma non lo inserisce tra gli elementi fondamentali del suo modello revisionato (Beck, 1996; Alford e Beck, 1997), mentre Young attribuisce agli stili di coping un ruolo fondamentale nel mantenimento degli schemi. Appare evidente, dunque, il netto contrasto tra la funzione centrale che Young attribuisce ai meccanismi di resa, evitamento e ipercompensazione degli schemi e il ruolo marginale in cui essi sono relegati da Beck.

La Schema Therapy e la terapia cognitiva, inoltre, conferiscono ai bisogni pri-mari e alle fasi dello sviluppo un’importanza decisamente diversa: Beck e i suoi colleghi, pur sostenendo in termini generali che i bisogni motivazionali e le in-fluenzecheunindividuosubiscedurantel’infanziahannounruolocentraleneldeterminare la personalità, non si addentrano nella spiegazione di quali siano i bisogniprimari,nédicomespecificheesperienzevissutenell’infanziafavoriscanol’instaurarsi di uno schema o di un mode.

Dopo aver analizzato le convergenze/divergenze concettuali dei due modelli, prendiamo ora in considerazione gli aspetti che riguardano l’approccio terapeuti-co elaborato dai due studiosi. Cominciamo dagli elementi comuni. Non sorpren-de, infatti, che il percorso di trattamento previsto dalla Schema Therapy presenti diversi elementi che si possono sovrapporre a quello della terapia cognitiva; d’altra parte,laprincipaleinfluenzacheYoungharicevutonell’elaborarelasuateoriade-riva proprio dall’approccio cognitivo di Beck. Tanto per cominciare, l’importanza di una stretta collaborazione tra il paziente e il terapeuta e la necessità che il tera-peuta assuma un ruolo attivo nel gestire sia le singole sedute che l’iter terapeutico sono elementi che assumono un ruolo centrale in entrambi i percorsi terapeutici. Inoltre, sia Young che Beck considerano l’empirismo collaborativo fondamentale per il cambiamento cognitivo; pertanto, in entrambi i trattamenti, i pazienti ven-gonoincoraggiatiamodificareipensieriperrenderlipiùrispondentiallarealtà,sulla base delle prove empiriche che essi stessi sono invitati a trarre dalla vita quo-tidiana. Anche le tecniche utilizzate per favorire il cambiamento dei pensieri e dei comportamenti risultano spesso comuni ad entrambi i trattamenti: un esempio possono essere i diari di registrazione dei pensieri e le prove comportamentali. Lo stesso possiamo dire per le strategie di cambiamento delle distorsioni cognitive e delle convinzioni di base, dei pensieri automatici e dei loro assunti sottostanti, che vengono insegnate ai pazienti in entrambi gli approcci terapeutici.

La Schema Therapy e la terapia cognitiva sottolineano entrambe l’importanza di spiegare al paziente i rispettivi modelli terapeutici, per consentirgli di parteci-pare al processo terapeutico ad un livello paritario. In entrambi i trattamenti il

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terapeuta condivide la concettualizzazione del caso con il paziente e lo incoraggia aleggerematerialediauto-aiutorelativoall’approcciospecifico;entrambiattri-buiscono un ruolo centrale ai compiti a casa e a quelli di auto-aiuto per aiutare il paziente ad applicare alla vita quotidiana ciò che ha imparato durante le sedute; entrambi, per facilitare l’apprendimento, prevedono l’insegnamento di strategie pratiche che consentano al paziente di gestire in maniera funzionale le situazioni della vita reale, piuttosto che lasciargli il compito di capire da solo come applicare i principi cognitivo-comportamentali.

Nonostante questo lungo elenco di elementi comuni, la terapia cognitiva e la Schema Therapy presentano, nell’approccio terapeutico, anche sostanziali dif-ferenze. La maggior parte di esse scaturisce dalla diversità dell’intento con cui le tecniche sono state concepite: il trattamento proposto dalla terapia cognitiva, infatti, risponde allo scopo di ridurre i sintomi correlati ai disturbi di Asse I, mentre le strategiedella laSchemaTherapy sono stateorientatefindall’inizioverso i disturbi di personalità e le problematiche croniche. La nostra esperienza ci insegna che esistono differenze sostanziali tra le tecniche di cambiamento che operanoefficacementeper lariduzionedeisintomiequellecheagisconosullamodificazionedellapersonalità.

Innanzitutto la Schema Therapy effettua un percorso che va dal basso verso l’alto e non viceversa: il processo terapeutico, infatti, parte dall’analisi degli aspetti più“profondi”perarrivareailivellipiù“superficiali”.Inaltreparole,ilterapeutacomincia ad analizzare il nucleo primario della psicopatologia, ovvero gli sche-mi, per creare poi, gradualmente, le associazioni con le cognizioni più accessibili come i pensieri automatici e le distorsioni cognitive. Al contrario, i terapeuti co-gnitivistipartonodallecognizionipiù“superficiali”,qualiipensieriautomatici,eaffrontano solo in un secondo momento le convinzioni primarie; ammesso, na-turalmente, che il paziente sia disposto a continuare la terapia una volta ottenuta la riduzione dei sintomi.

Questo approccio “capovolto” genera, nella Schema Therapy, un netto spo-stamento di attenzione: al centro del trattamento non vi sono più gli aspetti della vita presente del paziente, ma i pattern storici e consolidati che hanno caratteriz-zato la sua esistenza. Le conseguenze di questo atteggiamento si avvertono an-che a livello strutturale, in quanto l’approccio terapeutico assume caratteristiche meno rigide e le sedute attenuano la loro formale schematicità. Il terapeuta avver-te l’esigenza di spaziare liberamente e senza restrizioni dal presente al passato e da uno schema all’altro, durante la singola seduta, come nelle dinamiche generali del percorso terapeutico. Diametralmente opposto, invece, è il punto di partenza della terapia cognitiva: i problemi attuali del paziente e la sua sintomatologia co-stituiscono,infatti,ilcuoredeltrattamentoalmenofinoaquandononsenesiaottenuta una notevole riduzione. Inoltre, la terapia cognitiva attribuisce un ruolo secondario agli schemi, agli stili di coping e ai mode, che nella Schema Therapy sono, invece, considerati obiettivi primari.

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��Schema Therapy: il modello teorico

Proprio in considerazione della centralità che la Schema Therapy attribuisce aglischemieaglistilidicoping,Younghaelaboratodiciottospecificischemipre-coci e tre principali stili di coping che costituiscono le fondamenta su cui si basa gran parte del trattamento. Gli schemi e gli stili di coping vengono inizialmente stabilitiinmodogenericoepoi,durantelaterapia,definitiinmodopiùspecificoper adattarli al singolo paziente. In questo modo, il terapeuta ha a disposizione strumenti efficaci per identificare gli schemi e i comportamenti di coping delpaziente, che potrebbero sfuggire utilizzando le tradizionali tecniche cognitive di valutazione. Un esempio lampante, a questo proposito, è lo schema Deprivazione emotiva,cheèrelativamentefaciledaidentificareconletecnicheimmaginative,mamoltodifficiledariconoscereattraversol’indaginedeipensieriautomaticiedegli assunti di base.

Analizzando le differenze tra i due approcci terapeutici, non si può non te-nere in considerazione la diversa importanza che essi attribuiscono alle origini dei disturbi nell’infanzia e agli stili genitoriali. La terapia cognitiva non si occu-padiindividuareriferimentispecificiriguardoalleoriginideipensieri,incluseleconvinzioni di base; nell’ambito della Schema Therapy, al contrario, sono state identificateleoriginipiùcomunidiognunodei18schemiedèstatosviluppatouno strumento per procedere alla loro valutazione. L’approccio terapeutico della Schema Therapy prevede, infatti, che il terapeuta spieghi al paziente le origini degli schemi, per fargli comprendere quali sono i bisogni primari di un bambino e cosa accade se essi non vengono soddisfatti. Il terapeuta ha il compito di indivi-duare i collegamenti fra gli schemi che, fra i diciotto della lista, risultano più rile-vantinelpazienteelalorooriginenell’infanzia.Alladefinizioneeallaspiegazionedelleoriginidegli schemi, laSchemaTherapyaffiancaunpercorsodi tecnicheesperienziali per il superamento delle esperienze traumatiche dell’infanzia: queste tecniche aiutano il paziente a superare le emozioni, i pensieri e i comportamenti di coping disadattivi. Nella terapia cognitiva standard, al contrario, tutto questo nonsiverificainquantoessasioccupasoloinmodomarginaledelleesperienzelegate all’infanzia.

Ancora un’altra, fondamentale differenza distingue i due approcci terapeutici di cui ci stiamo occupando. Parliamo della diversa importanza che essi attribuiscono alle procedure esperienziali, come le tecniche immaginative e i dialoghi associati. Un ristretto numero di terapeuti ad indirizzo cognitivo ha iniziato ad avvalersi di questo tipo di tecniche (Smucher e Dancu, 1999), ma la terapia cognitiva in genere non le considera aspetti centrali del percorso terapeutico e se ne serve principalmente per le prove comportamentali. Gran parte delle sedute di Schema Therapy, invece, sono dedicate all’attuazione di queste tecniche, in quanto esse sono considerate uno dei quattro elementi indispensabili per il trattamento. Il motivo della riluttanza da parte dei terapeuti ad indirizzo cognitivo ad utilizzare in modo più diffuso le tecnicheesperienziali èdidifficile comprensione, se si considerachenella lette-ratura cognitiva è ampiamente accettata l’idea per cui le “cognizioni calde” (che si

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presentano quando il paziente prova uno stato affettivo di notevole intensità) sono piùfacilmentemodificabilidelle“cognizionifredde”(chesipresentanoquandolostato affettivo è neutro) e se si considera il fatto che le tecniche esperienziali, a volte, si rivelano l’unico modo per stimolare le “cognizioni calde” durante la seduta.

Il ruolo della relazione terapeutica costituisce un’altra delle sostanziali dif-ferenze tra la Schema Therapy e la terapia cognitiva: entrambe ne riconoscono l’importanzaafiniterapeutici,manefannounutilizzomoltodiverso.Ilrapportoterapeuta-paziente è considerato, nell’ambito della terapia cognitiva, quasi esclu-sivamente uno strumento per motivare il paziente a seguire la procedura terapeu-tica (ad esempio, per completare i compiti a casa); pertanto il terapeuta cognitivo focalizza la sua attenzione sul rapporto con il paziente solo quando la relazione terapeutica sembra costituire un ostacolo al progredire del trattamento. In questo modo essa diventa un mero strumento di mediazione che ha lo scopo di favorire la realizzazione del cambiamento, ma non le viene riconosciuto alcun ruolo come strumento per il cambiamento stesso. Usando un’analogia medica, si potrebbero considerare le tecniche cognitive come i “principi attivi” per il cambiamento e la relazione terapeutica come il “veicolo” che consente ai principi attivi di agire.

Nella Schema Therapy, il rapporto terapeuta-paziente costituisce, invece, una delle quattro componenti necessarie per il cambiamento. Come abbiamo già detto, la Schema Therapy utilizza la relazione terapeutica in due modi: il primo consiste nell’osservazione da parte del terapeuta degli schemi che si manifestano durante le seduteenell’utilizzodiun’ampiagammadiprocedurepervalutareemodificareglischemi nell’ambito della relazione terapeutica; il secondo coincide con l’assunzio-ne di una funzione di parziale reparenting da parte del terapeuta. In questo modo la relazione terapeutica si traduce in “un’esperienza emotiva correttiva” (Alexander e French, 1946). Il terapeuta, nei limiti consentiti dal suo ruolo, fornisce al paziente una parziale compensazione ai bisogni primari di cui è stato privato da bambino.

In termini di stile, il terapeuta che pratica la Schema Therapy utilizza il con-fronto empatico più che l’empirismo collaborativo; il terapeuta cognitivo, invece, si serve della scoperta guidata per aiutare i pazienti ad individuare le distorsioni co-gnitive. Per esperienza sappiamo che i pazienti con tratti patologici di personalità non riescono, di solito, a trovare delle alternative funzionali e realistiche agli schemi senza la guida diretta del terapeuta. Gli schemi sono così radicati e profondi che l’indagine empirica e le domande, da sole, non bastano per far comprendere ai pazienti quali distorsioni cognitive presentano. Per questo, nella Schema Therapy, il terapeuta assume un atteggiamento empatico nei confronti del punto di vista dello schema, ma gli dimostra, contemporaneamente, che quel punto di vista non è funzionale e non è in linea con la realtà oggettiva. Il terapeuta deve costantemen-te mettere il paziente di fronte a questa realtà, per evitare che torni ad assumere la prospettiva disfunzionale dello schema. Come diciamo ai nostri pazienti: “lo schema combatte per la sopravvivenza”. L’idea di ingaggiare la battaglia contro gli schemi, invece, non è tra gli obiettivi primari della terapia cognitiva.

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Poiché gli schemi sono molto più resistenti al cambiamento rispetto agli altri livelli di cognizione, il trattamento dei disturbi di Asse II con la Schema Therapy richiede un tempo molto più lungo di quello necessario per il trattamento dei sin-tomi di Asse I con la terapia cognitiva. Tuttavia non è chiaro se questa differenza di durata resti valida anche nel caso in cui il l’approccio cognitivo standard venga utilizzato per il trattamento dei disturbi di Asse II.

Sia nella concettualizzazione del caso che nell’attuazione delle strategie, l’obiettivoprincipaledellaSchemaTherapyèmodificareipatterncronicidisfun-zionali, più che i singoli comportamenti disadattivi utilizzati dal paziente nel pre-sente(sebbenesianecessariomodificareentrambi).Iterapeuticognitivi,invece,concentrandosi sulla rapida riduzione dei sintomi, tendono a focalizzarsi molto meno sui problemi radicati, come la scelta disfunzionale del compagno, le delicate problematiche dell’intimità e l’evitamento dei fondamentali cambiamenti di vita; essi pongono in secondo piano anche l’analisi dei bisogni primari insoddisfatti, come l’assenza di attenzioni e di conferme. In linea con questo atteggiamento, i terapeuti cognitivi tendono ad attribuire un’importanza secondaria anche all’iden-tificazioneealcambiamentodeglistilidicopingradicati,comeimeccanismidievitamento, di resa e di ipercompensazione. Eppure, secondo la nostra esperien-za, sono proprio questi meccanismi (e non soltanto le convinzioni primarie o glischemi)chespessorendonocosìdifficileiltrattamentodeipazientiaffettidadisturbi di personalità.

Ulteriori differenze fra i due approcci terapeutici si possono rilevare nell’utiliz-zo del concetto di mode a cui abbiamo accennato in precedenza. Infatti, sebbene esso si possa riscontrare in entrambi gli orientamenti, tuttavia la terapia cognitiva non ha ancora proposto delle tecniche per intervenire sui mode disfunzionali, mentrelaSchemaTherapyhagiàidentificatoidiecimodepiùcomuni(secondoladefinizionedimodeelaboratadaYoung,cheabbiamocitatoprecedentemente)e ha sviluppato una gamma completa di strategie terapeutiche, come i dialoghi tra i mode, per il trattamento di ognuno di essi. Inoltre la Schema Therapy pone il lavoro incentrato sui mode come base del percorso terapeutico per i pazienti affetti da disturbi di personalità borderline e narcisista.

Gli approcci psicodinamiciLa Schema Therapy presenta diverse caratteristiche simili ai modelli terapeuti-

ci psicodinamici: i due approcci condividono in particolare la ricerca nell’infanzia delle origini delle problematiche presenti e la centralità della relazione terapeutica. Per quanto riguarda quest’ultima, il modello psicodinamico moderno si è orienta-to verso un approccio empatico e verso l’instaurazione di una relazione terapeuti-ca aperta e sincera (cfr., Kohut, 1984; Shane, Shane e Gales, 1997), avvicinandosi in tal senso alla Schema Therapy e all’enfasi da essa posta sul confronto empatico e sulla funzione di reparenting nel contesto della relazione terapeutica. Entrambi gli approcci tengono in considerazione il concetto di insight e sottolineano la

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necessità di un’elaborazione emotiva del materiale associato alle esperienze trau-matiche, invitano il terapeuta a considerare con attenzione le problematiche as-sociate al transfert e al controtransfert e affermano l’importanza della struttura della personalità, sostenendo che proprio nel tipo di struttura che ogni paziente presentaèpossibiletrovarelachiaveperunaterapiaefficace.

Anche tra la Schema Therapy e gli approcci psicodinamici esistono, comun-que, differenze rilevanti. Nonostante esistano orientamenti più moderni, a cui ab-biamo accennato prima, è necessario sottolineare che gli psicoanalisti tradizionali da sempre cercano di conservare, nella relazione terapeutica, un atteggiamento neutrale che si discosta notevolmente dal ruolo attivo previsto dalla Schema The-rapy, in cui il terapeuta si pone alla guida del percorso terapeutico. Inoltre, molti approcci psicodinamici non prevedono la funzione di parziale reparenting che, nella Schema Therapy, il terapeuta assume nei confronti del paziente, per soddi-sfare almeno in parte quei bisogni emotivi precedentemente trascurati e favorire la correzione degli schemi.

Un’altra differenza non trascurabile consiste nel fatto che, contrariamente alle teorie analitiche classiche, il modello degli schemi non è una teoria basata sulle pulsioni. La teoria degli schemi non focalizza l’attenzione sugli impulsi istintuali della sessualità e dell’aggressività, ma pone l’enfasi sui bisogni emotivi prima-ri, basandosi sul principio di coerenza cognitiva, secondo il quale ogni persona tende a mantenere una visione coerente di se stessa e degli altri e a interpretare le varie situazioni in modo tale che confermino gli schemi. Da questo punto di vista,laSchemaTherapysipuòdefinirepiùcomeunmodellocognitivochepsi-codinamico. Laddove la psicoanalisi individua meccanismi di difesa sviluppati per contrastare i desideri istintuali, la Schema Therapy scorge stili di coping generati come conseguenza degli schemi e dei bisogni emotivi insoddisfatti. Il modello degli schemi proclama l’assoluta normalità e funzionalità dei bisogni emotivi che il paziente tenta di soddisfare.Perconcludere,laterapiapsicodinamicatendeaesseremenoflessibilerispetto

alla Schema Therapy: è raro che i terapeuti che seguono il modello psicodinamico assegnino al paziente dei compiti da svolgere fuori dalle sedute, o che utilizzino le tecniche immaginative o i role-playing.

La teoria dell’attaccamento di BowlbyLa teoria dell’attaccamento, basata sul lavoro di Bowlby e Ainsworth (Ain-

sworth e Bowlby, 1991), ha avuto un impatto notevole sulla Schema Therapy, in particolare per lo sviluppo dello schema dell’Abbandono e del concetto di disturbo borderline di personalità. Bowlby ha formulato la teoria dell’attacca-mento basandosi sui modelli etologici e psicoanalitici. Questa teoria si basa su un assunto di base: gli esseri umani (come altri animali) sono dotati di un istinto di attaccamento che li porta a stabilire una relazione stabile con la madre (o con altrefigurediattaccamento).Nel1969,Bowlbycondussedeglistudiempiricisui

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��Schema Therapy: il modello teorico

bambiniseparatidallamadre,grazieaiqualipotéidentificaredeipatternuniver-sali di risposte. Nel 1968, Ainsworth sviluppò l’idea secondo la quale la madre costituisce la base sicura da cui il neonato inizia a esplorare il mondo e dimostrò l’importanzadellasensibilitàmaternaversoisegnalidelfiglio.

Questo concetto di madre come base sicura è stato utilizzato nella Schema Therapyperdefinire lanozionedi funzionediparziale reparenting. Ipazientiaffetti da disturbo borderline (e da altri disturbi più gravi), traggono dalla funzio-ne di reparenting che il terapeuta assume nei loro confronti un antidoto, seppur parziale, allo schema dell’Abbandono. In questo modo, il terapeuta, senza mai travalicare i limiti del suo ruolo, diventa quella base affettiva sicura che il paziente non ha mai avuto. In un certo senso, si può dire che per quasi tutti i pazienti con schemineldominioDistaccoerifiuto(esclusoloschemadell’Esclusionesociale)è necessario che il terapeuta diventi una base sicura.

Il modello degli schemi, rifacendosi a Bowlby, sostiene che lo sviluppo emoti-vo del bambino si realizza attraverso il passaggio dall’attaccamento all’autonomia e al raggiungimento della propria identità. Bowlby (1969, 1973, 1980) afferma che lanecessitàdiunlegamesicuroconlamadre(oaltrefigurediattaccamento)èun bisogno emotivo di base che precede e promuove l’indipendenza del soggetto. Secondo Bowlby, è prevedibile che un bambino amato dai genitori protesti viva-mente se viene separato da loro ma che, nel corso del tempo, sviluppi una mag-giore sicurezza in se stesso. Esperienze familiari estremamente dolorose, come la perdita o la ripetuta minaccia di abbandono da parte di uno dei genitori possono generare un’eccessiva ansia da separazione. In alcuni casi, sottolinea Bowlby, que-st’ansia si manifesta in modo non accentuato, generando una falsa impressione di maturità.Lacontinuasostituzionedellefigurediattaccamentopuòdeterminarel’incapacità di costruire dei rapporti basati su una sincera intimità.

Nel 1973, Bowlby ipotizzò che negli esseri umani sia in atto una dinamica di bilanciamento tra il mantenimento di ciò che è familiare e la ricerca di ciò che è ignoto. Per dirla con Piaget (1962), l’individuo tende a mantenere l’equilibrio tra il meccanismo di assimilazione (l’inserimento di nuovi dati nelle strutture cognitive esistenti) e quello di accomodamento (l’adattamento delle strutture cognitive esi-stenti ai nuovi dati). Gli schemi maladattivi precoci interferiscono con questo equi-librio. Le persone intrappolate nei loro schemi interpretano erroneamente, distor-cono e sminuiscono i dati e le prove acquisiti attraverso le nuove esperienze che potrebbero correggere le distorsioni causate dagli schemi stessi; le nuove informa-zioni vengono così assimilate in modo da mantenere intatti gli schemi. L’assimila-zione, dunque, coincide con il concetto di mantenimento dello schema sviluppato dalla Schema Therapy. Pertanto l’obiettivo della terapia è di aiutare il paziente a far sì che le nuove esperienze che contengono prove contrarie agli schemi provochino un accomodamento di essi e ne favoriscano il processo di correzione.

Nel 1973, Bowlby elaborò il concetto di modelli operativi interni che coin-cideconlanostradefinizionedischemimaladattiviprecoci.Imodellioperativi

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interni di un soggetto si basano, come gli schemi, principalmente sui pattern di interazioneesistentitrailbambinoelamadre(oaltrefigurediattaccamento).Selamadrerispondealbisognodiprotezionedelfiglioe,allostessotempo,rispet-ta il suo bisogno d’indipendenza, il bambino svilupperà un modello operativo interno di sé improntato sulla validità e l’efficienza. Se, al contrario, lamadreignorafrequentementeitentatividelfigliodiottenereprotezioneeindipendenza,il bambino costruirà un modello operativo interno di sé basato sull’inadeguatezza el’inefficienza.

È attraverso il modello operativo interno che il bambino prevede il compor-tamentodellefigurediattaccamentoeprepara leproprie risposte;perquesto,lo sviluppo di un determinato modello assume un’importanza fondamentale. In quest’ottica, gli schemimaladattivi precoci possono essere definiti deimodellioperativi interni disfunzionali e gli stili di coping possono essere considerati come lerisposteconlequaligeneralmenteilbambinosirelazionaallefigurediattacca-mento. Sia gli schemi che i modelli operativi controllano l’attenzione e l’elabora-zione delle informazioni. Le distorsioni difensive dei modelli operativi interni si verificanoquandoilsoggettoimpedisceasestessodiacquisireleinformazionialivello cosciente, precludendosi la possibilità di ottenere un cambiamento come conseguenza dei nuovi dati acquisiti. Col passare del tempo, attraverso un pro-cesso simile a quello di mantenimento degli schemi, i modelli operativi interni tendonoadiventarepiùrigidi;manmanocheipatterndiinterazionetrafiglioegenitore si instaurano in modo abituale e automatico, i modelli operativi diventa-nomenoaccessibiliallacoscienzaepiùdifficilidacambiare,inquantosistabiliz-zano in modo sempre più radicato delle aspettative reciproche. Nel 1988, Bowlby si occupò dell’applicazione della teoria dell’attaccamento alla psicoterapia. Lo stu-dioso osservò che un elevato numero di pazienti presentava dei modelli di attac-camento insicuri o disorganizzati. Uno dei principali obiettivi della psicoterapia consiste nella rielaborazione dei modelli operativi interni, inadeguati e obsoleti, cheilpazienteutilizzanelrelazionarsiconlefigurediattaccamentoechespessovengono messi in atto anche nel rapporto con il terapeuta. Inizialmente la terapia si incentra sulla comprensione dell’origine dei modelli operativi disfunzionali e, successivamente, il terapeuta assume una funzione di base sicura da cui il pazien-te può esplorare la sua realtà e rielaborare i modelli disfunzionali. Nella Schema Therapy, il trattamento dei pazienti si basa sullo stesso principio.

La terapia cognitivo-analitica di RyleNel 1991, Anthony Ryle sviluppò “la terapia cognitivo-analitica”, una terapia

rapida e intensiva che concilia gli aspetti attivi ed educativi della terapia cognitivo-comportamentale con i vari approcci psicoanalitici, in particolare quello delle re-lazioni oggettuali. Ryle propone una struttura concettuale che combina in modo sistematico le teorie e le tecniche di questi approcci e che, pertanto, si avvicina molto alla Schema Therapy.

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L’approccioconcettualediRyle(1991)èdefinito“modellodisequenzapro-cedurale”. In questa teoria non sono gli schemi a costituire l’idea centrale, ma l’“attivitàdirettaaunoscopo”.SecondoRyle,lenevrosisiidentificanoconl’uti-lizzocostantediprocedureinefficaciodisfunzionalieconl’incapacitàdimodifi-carle. Le procedure responsabili della maggior parte delle nevrosi sono catalogate in tre categorie: le trappole, i dilemmi e gli ostacoli. Molti dei pattern che Ryle descrive corrispondono agli schemi e ai relativi stili di coping.

Per quanto riguarda le strategie per il trattamento, Ryle promuove, esatta-mente come Young, una relazione terapeutica attiva e collaborativa nella qua-le venga elaborata una concettualizzazione completa e profonda dei problemi del paziente. Il terapeuta e il paziente, in stretta collaborazione, elaborano la concettualizzazione del caso, cercano di comprendere in che modo il passato del paziente abbia portato all’instaurarsi dei problemi del presente e stilano un elenco delle varie procedure disadattive che il paziente utilizza per affrontare tali problemi. Nella terapia cognitivo-analitica, le strategie più utilizzate consistono nellavoroinseduta,finalizzatoacomprendereitemicentraliperilpazienteenella compilazione di un diario, allo scopo di monitorare le procedure disadat-tive. Anche la Schema Therapy si avvale di queste due tecniche, ma le associa a numerose altre strategie.

Il metodo di cambiamento della terapia cognitivo-analitica coinvolge tre aspetti: nuove comprensioni, nuove esperienze e nuovi comportamenti. Tuttavia, al centro del trattamento viene collocato il primo aspetto, che è considerato lo strumentodicambiamentopiùefficiente.Nelcorsodellaterapiacognitivo-ana-litica è previsto che il paziente venga aiutato a sviluppare la consapevolezza dei pattern negativi che utilizza nella vita quotidiana. Ryle, infatti, sottolinea la cen-tralità dell’insight: “La terapia cognitivo-analitica (CAT) pone l’accento in modo particolare sul potenziamento dei livelli più alti (quelli cognitivi), utilizzando so-prattuttounprocessodiriformulazionechemodificaleproceduredivalutazionee promuove l’auto-monitoraggio” (Ryle, 1991, pag. 200).

La Schema Therapy considera l’insight uno strumento necessario, ma non sufficienteperdeterminare ilcambiamento.Nel trattamentodipatologiegraviquali il disturbo borderline o narcisistico di personalità, l’insight si rivela meno efficacedellenuoveesperienzecheilpazienteaffrontagrazieagliapprocciespe-rienziali e comportamentali. Le nuove comprensioni sono considerate da Ryle (1991) il principale strumento di cambiamento nel trattamento di pazienti bor-derline.Laterapiasibasasull’utilizzodidiagrammiscritti,definiti“riformulazionidiagrammatiche sequenziali”, che sintetizzano la concettualizzazione del caso. Il terapeuta dispone questi diagrammi sul pavimento davanti al paziente e, nel corso del trattamento, fa frequentemente riferimento ad essi, allo scopo di aiutare il pa-ziente affetto da disturbo borderline a sviluppare un “occhio auto-osservatore”.

Notevoli sono le differenze tra la Schema Therapy e la terapia cognitivo-anali-tica. La Schema Therapy, innanzitutto, è orientata in modo più deciso a favorire il

Schema Therapy: il modello teorico

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cambiamento a livello emotivo; essa, infatti, attribuisce un’importanza nettamente maggiore all’evocazione dell’affettività e alla funzione di parziale reparenting del terapeuta, in particolare nel trattamento di pazienti con gravi disturbi di personalità. Ryle (1991) ammette che, in alcuni casi, le procedure in grado di stimolare l’affet-tività, come le tecniche della Gestalt o lo psicodramma, potrebbero essere utili per aiutare il paziente a spostarsi da un piano puramente razionale ad un piano emotivo. Young, invece, sostiene che le tecniche esperienziali, come quelle delle immagini e deldialogoassociato,sianoefficaciperlaquasitotalitàdeipazienti.

Secondo l’approccio di Ryle, il terapeuta interagisce principalmente con la parte adulta del paziente, cioè con il suo mode Adulto funzionale, e solo margi-nalmente con quella infantile, ovvero con il suo mode Bambino vulnerabile. Se-condo la Schema Therapy, però, i pazienti borderline sono spesso come bambini e, pertanto, hanno bisogno di stabilire un legame sicuro con il terapeuta prima di poter diventare autonomi ed indipendenti.

La terapia degli schemi-persona di HorowitzHorowitz ha elaborato una struttura nella quale sono integrati vari approcci:

psicodinamico, cognitivo-comportamentale, interpersonale e sistemico-familiare. Il suo modello sottolinea l’importanza dei ruoli e delle convinzioni basandosi sul-la “teoria degli schemi-persona” (Horowitz, 1991; Horowitz, Stinson e Milbrath, 1996). Uno schema-persona è un pattern, generalmente inconscio, costituto dalla visione che il soggetto ha di se stesso e degli altri, e che scaturisce dalle remini-scenzelegatealleesperienzedell’infanzia(Horowitz,1997).Questadefinizione,dal punto di vista concettuale, è identica a quella di schema maladattivo precoce. Horowitz, però, focalizza l’attenzione soprattutto sulla struttura generale degli schemi,mentreYoungdelineaglischemispecificichesonoallabasedeiprincipalistili di vita disfunzionali.

Horowitz (1997) elabora il suo concetto di “modelli di relazione”, associando ogni singolo ruolo relazionale a: (1) un desiderio o bisogno che ne è alla base (“il modello di relazione desiderato”); (2) una paura primaria (“il modello di relazio-ne temuto”); (3) i modelli di relazione che il soggetto utilizza per difendersi dal modello di relazione temuto. Facendo un confronto con la teoria degli schemi, questi modelli si accostano vagamente ai bisogni emotivi primari, agli schemi ma-ladattivi precoci e agli stili di coping. Horowitz spiega che nel ruolo relazionale del soggetto sono compresi dei copioni per le interazioni, le intenzioni, l’espressione delle emozioni e le azioni, e una valutazione critica delle azioni e delle intenzioni. In questo senso, un ruolo relazionale contiene sia elementi degli schemi che degli stili di coping. Nella Schema Therapy, invece, gli schemi e gli stili di coping hanno un sistema concettuale separato, poiché gli schemi non sono associati in maniera direttaaspecificheazioni.Ogniindividuogestisceunoschemaconstilidicopingspecifici,chedipendonodaltemperamentoedaaltrifattori.NellasuateoriaHorowitz(1997)definisceancheilconcettodi“statimenta-

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li” che si avvicina molto al concetto di mode del modello di Young. Uno stato mentale è “un pattern di esperienze coscienti e modalità relazionali. Espressioni di idee ed emozioni, sia verbali che non verbali, sono gli elementi che concor-ronoallaformazionediunpattern,identificabilecomestato”(Horowitz,1997,pag. 31). Ma Horowitz non colloca questi stati mentali lungo una graduale linea di dissociazione. Secondo il modello degli schemi, invece, i pazienti più gravi, come quelli affetti da disturbo borderline o narcisistico, entrano in stati mentali che annientano totalmente il loro senso d’identità; più che entrare in uno stato mentale, essi assumono una diversa “identità” o un diverso “mode”. Operare questa distinzione è importante, in quanto il grado di dissociazione relativo a unmodecomportanecessariamentedellemodifichesignificativeallaproceduraterapeutica.

Horowitz propone, inoltre, il concetto di “processi difensivi di controllo” che sipuòassociareaquellodistilidicopingelaboratodaYoung.Horowitzidentificatre categorie principali:

• i processi difensivi che mettono in atto l’evitamento degli argomenti dolo-rosi attraverso il controllo del contenuto di ciò che è espresso (ad esempio, spostando l’attenzione o minimizzando l’importanza);

• quelli che mettono in atto l’evitamento attraverso il controllo della moda-lità di espressione (ad esempio, utilizzando la razionalizzazione verbale);

• quelli nei quali viene utilizzato come strumento di coping il passaggio da un ruolo all’altro (ad esempio, operando un brusco spostamento da un ruolo passivo ad uno di comando).

Inquestaclassificazione,Horowitz(1997) includemoltideifenomenitipicidegli stili di evitamento, resa e ipercompensazione.

Nel corso della terapia, il terapeuta ha il compito di fornire un supporto al paziente, di combattere l’evitamento spostando l’attenzione della persona in altre direzioni, di interpretare gli atteggiamenti disfunzionali e la resistenza, di pia-nificareinsiemealpazientelasperimentazionedinuovicomportamenti.Comenel lavoro di Ryle (1991), l’insight è la parte più importante del trattamento. Il terapeuta indirizza i pensieri e i discorsi del paziente sui modelli di relazione e sui processidifensivi,fornendodellechiarificazioniedelleinterpretazionisudiessi.L’obiettivo consiste nel far sì che nuovi schemi “sopraordinati” acquistino un ruolo prioritario rispetto a quelli immaturi e maladattivi del paziente.

Dal confronto con la Schema Therapy emerge che l’approccio di Horowitz (1997) non fornisce delle strategie terapeutiche dettagliate o sistematiche e non prevede l’utilizzo né di tecniche esperienziali, né di una funzione di parziale repa-renting da parte del terapeuta. La Schema Therapy, inoltre, pone maggiore enfasi sull’attivazione della sfera affettiva e tenta di accedere a quelli che Horowitz (1997) definisce“statiregressivi”echeYoungchiamamodeBambinovulnerabile.

Schema Therapy: il modello teorico

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�� Schema Therapy

La terapia centrata sulle emozioniLa terapia centrata sulle emozioni, elaborata da Leslie Greenberg e colleghi

(Greenberg, Rice e Elliott, 1993; Greenberg e Paivio, 1997) prende spunto dai modelli esperienziali, costruttivisti e cognitivi; come la Schema Therapy, essa è profondamenteinfluenzatadallateoriadell’attaccamentoedallarelativaricercain ambito terapeutico.

L’integrazione della sfera emotiva con quella cognitiva, motivazionale e com-portamentale rappresenta l’elemento centrale della terapia centrata sulle emozio-ni. Nel corso del trattamento, la sfera emotiva viene attivata con l’obiettivo di correggerla;inoltre,granpartedellaterapiaèorientataadidentificareeridefiniregli schemi emotivi, cheLeslieGreenberg (Greenberg ePaivio, 1997)definiscecome gruppi di principi organizzativi, dal contenuto idiosincratico, che uniscono le emozioni, gli obiettivi, i ricordi, i pensieri e le inclinazioni comportamentali. Gli schemi emotivi deriverebbero dall’interazione tra le primissime esperienze di apprendimento di un individuo e il suo temperamento innato. Gli schemi costi-tuiscono delle importanti strutture organizzative attraverso le quali il soggetto in-terpreta la realtà e risponde alle varie circostanze della vita quotidiana. Come per la Schema Therapy, l’obiettivo centrale della terapia centrata sulle emozioni è la modificazionedeglischemiemotivi.Laterapiaconsentealpazientediaccederealivello cosciente a “esperienze interne inaccessibili […] per poter costruire nuovi schemi” (Greenberg e Paivio, 1997, pag. 83).

Inoltre, come la Schema Therapy, anche la terapia centrata sulle emozioni attribuisce molta importanza allo sviluppo di un’alleanza tra il terapeuta e il pa-ziente; questa alleanza terapeutica viene utilizzata per sviluppare un “dialogo em-patico” centrato sulle emozioni, che stimoli e prenda in considerazione le proble-matiche emotive del paziente. Per riuscire ad instaurare un dialogo di questo tipo, ilterapeutadeve,inprimoluogo,creareunsensodisicurezzaefiducia;successi-vamente, egli ha il compito di impegnarsi a mantenere il delicato equilibrio fra i due opposti aspetti del suo ruolo, nel quale deve assumere contemporaneamente la funzione di “sostenitore” e di “guida”. Questo duplice atteggiamento da un lato permette al terapeuta di favorire e sostenere il cambiamento, dall’altro gli dà la possibilità di dirigerlo e guidarlo. In questo modo si instaura un processo del tutto simile a quello che la Schema Therapy si propone di realizzare attraverso il confronto empatico.

Sia la Schema Therapy che la terapia centrata sulle emozioni riconoscono che l’attivazionedelleemozionidasolanonèsufficienteperdeterminaredeicambia-mentisignificativi.LaterapiadiLeslieGreenberg,perrealizzareilcambiamento,prevede un graduale processo di attivazione emotiva che si realizza attraverso l’utilizzo di tecniche esperienziali, l’abbandono dei meccanismi di evitamento, l’interruzionedeicomportamentidisfunzionalielafacilitazionedimodificazionifunzionali nella sfera emotiva. Il terapeuta aiuta i pazienti a riconoscere e ad espri-mere i propri sentimenti primari, a verbalizzarli e, successivamente, ad accedere

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alle proprie risorse interiori (come, ad esempio, le risposte adattive di coping). Inoltre,laterapiacentratasulleemozioniproponeinterventidiversificatiespeci-ficiperlediverseemozioni.Nonostante le significative somiglianze, i due approcci presentano tuttavia

numerose differenze, sia negli aspetti pratici che in quelli teorici. Una delle princi-pali divergenze si può riscontrare nel ruolo privilegiato che la terapia proposta da Leslie Greenberg attribuisce all’affettività negli schemi emotivi, in contrasto con la visione della Schema Therapy, nella quale i fattori cognitivi, comportamentali e emotivi sono considerati sullo stesso piano. Inoltre Leslie Greenberg sostiene l’esi-stenzadiun“numeroinfinitodischemiemotivispecifici”(GreenbergePaivio,1997,pag.3),mentreYounghaindividuatounnumerobendefinitodischemiestilidicoping,associandoadognunodiessiinterventispecifici.

La terapia centrata sulle emozioni organizza gli schemi in una struttura com-plessaegerarchica, inbaseallaquale leemozionisonoclassificate inprimarie,secondarie e strumentali e ulteriormente suddivise in: adattive, disadattive, com-plesse o condizionate dalla società. La tipologia dello schema emotivo determina obiettivid’intervento specifici, che tengonocontodell’orientamento internooesterno dell’emozione (ad esempio la tristezza in opposizione alla rabbia) e del livelloeccessivooinsufficientedicontrollocheilpazienteesercitasull’emozionenella vita presente. Paragonata al più moderato modello degli schemi, la terapia elaborata da Leslie Greenberg fa gravare sul terapeuta l’impegnativo compito di analizzare accuratamente le emozioni e di intervenire in maniera diversa e speci-ficaasecondadelleemozioniidentificate.

Nella terapia centrata sulle emozioni, il processo di assessment si basa soprat-tutto sulle informazioni che emergono momento per momento durante le sedu-te.Nel1997,GreenbergePaiviosidiscostanodaquestatecnicaaffidandosiadapprocci che si basano sulla concettualizzazione iniziale del caso o su valutazioni comportamentali. La Schema Therapy propone tuttavia un approccio più artico-lato: pur avvalendosi delle informazioni raccolte direttamente in seduta, prevede anche l’uso di procedure di assessment in immaginazione, la somministrazione di questionari e la costruzione di un’alleanza terapeuta-paziente.

CONCLUSIONINel 1990, Young ha sviluppato la Schema Therapy per il trattamento dei pa-

zientichenonavevanotrattobeneficiodallaterapiacognitivo-comportamentaletradizionale e, in particolar modo, di coloro che presentavano disturbi di perso-nalità o tratti patologici di personalità sottostanti ai disturbi di Asse I. In effetti, questi pazienti tendono a violare molti degli assunti fondamentali su cui si basa la terapiacognitivo-comportamentalee,quindi,difficilmentepossonoesseretrattatiefficacementeconquestometodo.Anchese, inseguitoallerevisioniapportateda Beck e colleghi, la terapia cognitiva per il trattamento dei disturbi di persona-lità (Beck et. al., 1990; Alford e Beck, 1997) risulta più coerente con il modello

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della SchemaTherapy, tra i due approccipermangonodifferenze significative,soprattutto riguardo all’enfasi attribuita ai vari aspetti concettuali e alla gamma di strategie terapeutiche utilizzate.

La Schema Therapy presenta un sistema concettuale articolato e integrato; proprio questa sua caratteristica di apertura agli stimoli provenienti da altre teorie rende il modello degli schemi parzialmente sovrapponibile a molti altri modelli di psicoterapia, compresi quelli psicodinamici. Tuttavia, la maggior parte di questi approcci risulta limitata rispetto alla Schema Therapy, sia nel modello concettua-le che nella molteplicità di strategie terapeutiche adoperate. Altre differenze si riscontrano nella relazione terapeuta-paziente, nello stile e nell’impostazione del terapeuta e nel diverso equilibrio tra funzione attiva e funzione direttiva che egli assume nella terapia.

Gli schemi maladattivi precoci (SMP) sono modelli articolati e pervasivi, ri-guardanti la visione che l’individuo ha di se stesso e dei suoi rapporti con gli altri, che si rivelano marcatamente disfunzionali; sono costituiti da ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche; si sviluppano durante l’infanzia o l’adolescenza e vengono elaborati successivamente nel corso della vita. In origine, gli SMP costituiscono una rappresentazione adattiva e relativamente accurata della realtà con cui il bambino viene a contatto, ma diventano disadattivi e poco accurati man mano che il bambino cresce. Il bisogno di coerenza, presente in ogni essere umano,rendeglischemidifficilidamodificare;essi,infatti,assumonounruolocentrale nella vita del paziente, condizionandone il modo di pensare, di sentire, di agire e di relazionarsi agli altri. Gli SMP si innescano quando il paziente vive delle situazioni che in qualche modo richiamano gli eventi dell’infanzia che han-no contribuito a farli nascere: quando ciò avviene, il soggetto viene sopraffatto da intense emozioni negative. Le ricerche di LeDoux (1996) sui sistemi cerebrali coinvolti nel trauma e nel condizionamento emozionale lasciano supporre che gli schemi abbiano delle componenti biologiche.

Gli SMP scaturiscono da bisogni emotivi primari insoddisfatti e, generalmen-te, si instaurano in seguito ad esperienze dolorose vissute nell’infanzia. Anche altri fattori,comeil temperamentoe le influenzeculturali, rivestonounruolofondamentale nello sviluppo degli schemi. Sono stati individuati 18 schemi ma-ladattivi precoci che, a loro volta, sono stati suddivisi in cinque domini princi-pali. I diciotto schemi e alcuni domini sono sostenuti da un cospicuo supporto empirico. Glischemisicaratterizzanoperduespecificheoperazioni:ilmantenimentoe

la correzione. Quest’ultima è l’obiettivo primario della Schema Therapy. Gli stili di coping maladattivi sono i meccanismi che il soggetto sviluppa nelle prime fasi della vita per adattarsi agli schemi e che, nel tempo, contribuiscono al manteni-mentodeglischemi.Sonostatiidentificatitrestilidicopingmaladattivi:laresa,l’evitamento e l’ipercompensazione. Le risposte di coping sono i comportamenti specificiattraversocuiglistilidicopingsimanifestano.Perognischemaesistono

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tipiche risposte di coping. I mode sono gli stati, o aspetti del sé, che coinvolgono schemiooperazionispecifici.Imodesidistinguonoinquattrocategorieprinci-pali: i mode Bambino, i mode Coping disfunzionale, i mode Genitore disfunzio-nale e il mode Adulto funzionale.

La Schema Therapy si articola in due fasi: la fase di “Assessment e psicoe-ducazione” e la fase di “Cambiamento”. Nel corso della prima fase, il terapeuta aiuta ilpaziente a identificaregli schemio imode, a comprenderne leorigini,ricercandole nell’infanzia o nell’adolescenza, e a creare delle associazioni fra essi e i problemi della vita presente. La seconda fase prevede un utilizzo integrato di strategie cognitive, esperienziali, comportamentali e interpersonali che hanno l’obiettivo di correggere gli schemi e sostituire gli stili di coping disadattivi con modelli di comportamento più funzionali.

Schema Therapy: il modello teorico