Scatti

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Un racconto Singolare di Arianna Petrosino

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SCATTI

ARIANNA PETROSINO

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Tutti ti videro mentre correvi via. Scavalcavi la balaustra, saltando il muretto.

Tutti ti videro inciampare nei pantaloni troppo larghi, e imprecare prima che ricominciassi a correre. Ma nessuno ti guardò per davvero. Eri come la macchiolina nera sull’obiettivo della macchina fotografica, quella di cui nessuno si cura, e che poi si fa notare in tutta la sua importanza nascosta quando si sviluppano le foto.

Eri sempre rimasto nell’ombra, un po’ celato all’attenzione: non ti piacevano le folle, non amavi parlare in pubblico, preferivi stare dietro l’obiettivo piuttosto che davanti. Forse per questo facevi il fotografo, perché i megafoni non li sopportavi e la

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calca ti infastidiva: avevi passato la tua adolescenza nelle piazze piene di studenti, ma non avevi una foto che lo testimoniasse. Mentre avevi degli scatti splendidi dei tuoi compagni: di classe, di scuola, di lotta.

Avevi vissuto momenti di tensione come tutti. I tuoi genitori avevano passato notti d’ansia credendoti già sotto i manganelli e, per tua fortuna, avevano pensato bene di dirti come evitarli. Ti avevano consigliato il posto migliore per nascondersi: fra due macchine, non ti trova nessuno, lì. Mai un loro consiglio ti fu tanto utile.

Due auto, dovevi trovarle, ma è difficile continuare a correre e guardarsi intorno, quando l’unica cosa da fare è allontanarsi.

Paura, terrore, panico dentro gli occhiali spaccati e nel sudore della fronte. Ma chi ha paura non tira fuori la Reflex, non si ripara per montare un obiettivo.

La palestra era di fronte, con tutti i suoi materassini sporchi e le docce rotte da giorni, con le stanze da cui

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trasmettevano tutto via radio. La cappa di fumo non ti dava fastidio come i primi giorni, alla fine ti ci eri abituato anche tu, ma iniziasti a tossire ugualmente.

Marcos, il ragazzo spagnolo seduto al computer, ti aveva guardato e, passandoti un bicchiere d’acqua, aveva ricominciato a battere un altro comunicato. Non si era reso conto che ansimavi, non si era reso conto dei tuoi occhi color terrore.

- L’hanno ammazzata.Marcos ti stava fissando come se ti fossi fumato il

mondo, senza prenderti troppo sul serio.- L’hanno ammazzata. Come dieci anni fa. Cosa

state aspettando? Dove sta la radio? Lo volete dire cazzo?

- Che cazz... le foto! Hai le foto?Avevi lasciato lo zaino e tirato fuori il portatile,

poggiato a terra tutto ciò che ti infastidiva: la camicia, i giornali. Pure le sigarette.

Eri quasi sulla porta, scritte due righe sull’assassinio, ed eri già in strada, di nuovo.