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n. 6 – giugno 2015 la Biblioteca di via Senato Milano mensile, anno vii BVS: FONDO ANTICO Bibliofilia dell’oscenità di antonio castronuovo LIBRI DEL MISTERO L’arcano silenzio del misterioso Voynich di massimo gatta LIBRO DEL MESE Sull’economia sociale: il tempo non è denaro di giorgio galli BVS: FONDO DE MICHELI Ricordo di Alberto Ghinzani e Giancarlo Ossola di luca pietro nicoletti BIBLIOFILIA La venuta del Re di Franza in Italia di giancarlo petrella ISSN 2036-1394

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n. 6 – giugno 2015

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno vii

BVS: FONDOANTICOBibliofiliadell’oscenitàdi antonio castronuovo

LIBRI DEL MISTEROL’arcano silenzio del misteriosoVoynichdi massimo gatta

LIBRO DEL MESESull’economiasociale: il temponon è denarodi giorgio galli

BVS: FONDO DE MICHELIRicordo diAlberto Ghinzanie Giancarlo Ossoladi luca pietro nicoletti

BIBLIOFILIALa venuta del Re di Franza in Italiadi giancarlo petrella

ISSN 2036-1394

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Sommario4

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BvS: Fondo AnticoBIBLIOFILIADELL’OSCENITÀdi Antonio Castronuovo

Libri del misteroL’ARCANO SILENZIO DEL MISTERIOSO VOYNICHdi Massimo Gatta

BibliofiliaLA VENUTA DEL RE DI FRANZA IN ITALIAdi Giancarlo Petrella

IN SEDICESIMO – Le rubricheLE MOSTRE, LO SCAFFALE,NOVITÀ EDITORIALIa cura di Luca Pietro Nicoletti

Il libro del meseSULL’ECONOMIA SOCIALE:IL TEMPO NON È DENAROdi Giorgio Galli

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EditoriaIL BUON OMERO AVEVA UN GRAN BEL CARATTEREdi Massimo Gatta

BvS: Fondo De MicheliRICORDO DI ALBERTO GHINZANI E GIANCARLO OSSOLAdi Luca Pietro Nicoletti

Sartoria delle parole e delle cosePOESIA COME PREGHIERA,POESIA COME PRESENZAdi Daniele Gigli

BvS: il ristoro del buon lettoreDESTINI CHE SI INCROCIANOSUI POGGI DI BRIAGLIAdi Gianluca Montinaro

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

M E N S I L E D I B I B L I O F I L I A – A N N O V I I – N . 6 / 6 3 – M I L A N O , G I U G N O 2 0 1 5

la Biblioteca di via Senato – Milano

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Biblioteca di via Senato

Via Senato 14 - 20122 MilanoTel. 02 76215318 - Fax 02 [email protected]@bibliotecadiviasenato.itwww.bibliotecadiviasenato.it

PresidenteMarcello Dell’Utri

Direttore responsabileGianluca Montinaro

Servizi GeneraliGaudio Saracino

Coordinamento pubblicitàInes LattuadaMargherita Savarese

Progetto graficoElena Buffa

Fotolito e stampaGalli Thierry, Milano

Immagine di copertinaVoynich Manuscript MS 408, carta 40v,particolare [courtesy BeineckeLibrary, Yale University]

Stampato in Italia© 2015 – Biblioteca di via SenatoEdizioni – Tutti i diritti riservati

Reg. Trib. di Milano n. 104 del11/03/2009Per ricevere a domicilio (con il solo rimborso delle spese di spedizione, pari a 27 euro) gli undici numeri annuali della rivista «la Biblioteca di via Senato» scrivere a:[email protected]

L’Editore si dichiara disponibile a regolareeventuali diritti per immagini o testi di cuinon sia stato possibile reperire la fonte

Si ringraziano le Aziende che sostengono questa Rivista con la loro comunicazione

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Negli ultimi mesi, puntuale, abbiamodovuto subire la dose quotidiana dinotizie (con il solito contorno all’italiana

di polemiche, scandali, proclami e propositi) sullaEsposizione Universale dal magniloquente titolo“Nutrire il mondo”. Ora, finalmente, una visita –senza pregiudizi – al ‘nuovo quartiere’ di Rho puòpermettere a chiunque di maturare una propriaopinione.

Il percorso inizia col Padiglione Zero, ovvero illuogo deputato a introdurre e rappresentarevisivamente il tema dell’evento. In esso si narra,alla stregua di un presepe (con tanto di casette,animali in plastica, muschio e fondali dipinti),l’epopea dell’uomo in relazione all’epopea del cibo.Poi (con le idee forse più confuse di prima) ilvisitatore si affaccia al lungo decumano sul qualeaggettano i padiglioni nazionali. Uno spettacolo, alprimo impatto, di mastodontica maestosità. Losguardo viene subito catturato dall’architettura,dalle soluzioni avveniristiche, dalle ardite geometrie.Poi si rimane irretiti dalle luci, dai colori, dai suoni,dai tanti punti di ristoro... Balena un déjà vu. Chesi sia in un Parco Divertimenti piuttosto che inun’Esposizione Universale? Come per le attrazionidi un luna park, la folla (per ora composta per lo

più da ragazzini in gita scolastica) si accalca agliingressi degli spazi nazionali.

Questi sono, tutti, invariabilmente, luoghienormi. Ed enormemente pieni di nulla.All’interno (tranne rare eccezioni, come ipadiglioni della Corea del Sud, della Germania odegli Emirati Arabi Uniti) si susseguonorappresentazioni virtuali, più o meno calzanti, diriflessioni attorno a medesimi concetti: nutrirsi inmodo consapevole e misurato; porre attenzione allosfruttamento della Terra; pianificare la produzionealimentare in chiave biologica; impegnarsi a nonsprecare; cercare di riutilizzare lo scarto;combattere la piaga della fame nel mondo...

A questo punto una drammatica domandapotrebbe quindi legittimamente sorgere. Questispazi, ‘pieni di nulla’, sono forse la rappresentazioneplastica di un ben più pericoloso nulla ideale?Pensando ai confusi annunci sul percorso del dopo-Expo la risposta potrebbe essere, purtroppo, positiva.Con il rischio serio che questi nobili enunciati teorici(peraltro talmente generici da essere universalmentecondivisibili) non abbiano alcuna ricaduta pratica esiano condannati a una triste fine, analoga a quelladegli altrettanto nobili protocolli sul clima di Kyoto.

Gianluca Montinaro

Editoriale

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4 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

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giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 5

della letteratura francese, librocondannato pochi mesi dopo daun tribunale parigino perché do-tato di contenuti osceni, fa in-somma sorridere che Les fleurs dumal fossero posti in vendita inuna libreria che stampava libri eopuscoli di devozione religiosa.Ma di feconde contraddizioni èpiena la storia, anche quella del-l’editoria.

La ragione per cui il volumesi trovava in quel luogo è sempli-ce: i libraires-éditeurs che lo ave-vano pubblicato, Poulet-Malas-sis et De Broise, usavano la sededei colleghi come deposito e

punto vendita parigino delle proprie edizioni, mapraticavano altrove la professione. La loro stampe-ria era infatti ad Alençon, nella Bassa Normandia,città in cui Auguste Poulet-Malassis era nato e nellaquale aveva fondato la casa editrice appena due anniprima, nel 1855, assieme al cognato Eugène deBroise.

Occhieggiando dalla vetrina di rue de Buci,strada del quartiere latino oggi sfigurata dal flussoperenne dei turisti, il libro mostrava una modestacopertina color paglierino al cui centro troneggiavauna lunga citazione tratta da Théodore Agrippad’Aubigné, e in alto il nome dell’autore: Charles

Nel vastissimo FondoAntico della Bibliote-ca di via Senato non si

incontrano solo incunaboli, cin-quecentine e seicentine. Oltre atante prime edizioni del XVIIIsecolo, vi sono pure conservatiimportanti volumi dell’Otto-cento. Fra essi anche una copiadella prima edizione de Les fleursdu mal di Charles Baudelaire(1821-1867), e una copia dellaterza edizione (stampata col ti-tolo di Les épaves). Volumi ‘su-perstiti’ di una vicenda trava-gliata, sviluppatasi dai torchi aibanchi dei tribunali, passandoper gli scaffali delle librerie.

Il 21 giugno del 1857, nella vetrina della “Im-primerie et librairie religieuse de Jiulien, Lanier,Cosnard et Cie” di rue de Buci 4 a Parigi, furono col-locate alcune copie dell’appena stampato I fiori delmale. Costava 3 franchi questa collezione di poesiedal titolo sonoro, ma anche tenebroso. Oggi fa fran-camente sorridere che uno dei libri più importanti

BvS: Fondo Antico

BIBLIOFILIA DELL’OSCENITÀ

Sulle prime edizioni de I fiori del male di Baudelaire

Nella pagina accanto: Étienne Carjat, ritratto fotografico

di Charles Baudelaire, circa 1862. Sopra: copertina della

prima edizione de I fiori del male (1857), nella preziosa

tiratura in carta d’Olanda

ANTONIO CASTRONUOVO

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6 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

Baudelaire. Chi adocchiò l’indice si accorse chel’autore vi raccoglieva un centinaio di poesie suddi-vise in cinque sezioni: Spleen e ideale, I fiori del male,Rivolta, Il vino, La morte. Sono tutti temi su cui la cri-tica si è largamente esercitata: lo sappiamo, e ne fac-ciamo qui a meno; quel che ci preme è il libro in sé, ilprodotto di carta messo quel giorno in vendita.

Sul contenuto - e questo già serve a far luce sulvalore che la storia ha assegnato ai Fiori - è bene sa-pere che non si trattava solo di poesie inedite: bendiciotto erano state pubblicate, già col titolo Lesfleurs du mal, nel numero dell’1 giugno 1855 della«Revue des deux mondes». Baudelaire doveva esse-re consapevole della carica impudica, anche aciduladei propri versi se, scrivendo il 13 giugno al diretto-re François Buloz, metteva in rilievo «l’audacia dellarivista» che aveva avuto il coraggio di accogliere lesue poesie. Questa sorta di pre-edizione ha acquisitoun valore e ha trovato amatori: un esemplare della«Revue des deux mondes» dell’1 giugno 1855, conrilegatura d’epoca, è stato venduto nel 2004 da Ta-

jan (rinomato antiquario parigino che ha sede in ruedes Mathurins) per una cifra oscillante sui 400-500euro. (Per questi dati il sito francese www.auction.frcostituisce una miniera infinita di valutazioni suvendite già avvenute o da attuarsi, con miriadi di no-tizie sugli esemplari).

Poeta oggi celeberrimo, Baudelaire comincia-va in quel tempo a farsi strada, all’età un po’ tarda di36 anni, nel mondo della notorietà letteraria: la suatraduzione delle Storie straordinarie e Nuove storiestraordinarie di Edgar Allan Poe era uscita in «LePays» dal luglio 1854 all’aprile del 1855 in feuilleton.Le prime erano poi diventate un volume di successoche andò subito in ristampa. Ora, l’editore della tra-duzione di Poe era Michel Lévy, e tutto faceva pen-sare che Baudelaire potesse pubblicare presso di luianche le poesie. Così non fu: dubitando che la diffu-sione dei versi fosse ottimale, si rivolse a un giovaneeditore che gli era stato consigliato dall’amico Char-les Asselineau.

Il contratto che legava il poeta all’editore risali-

Da sinistra: I fiori del male sulla «Revue des deux mondes» dell’1 giugno 1855; I fiori nella prima edizione Poulet-

Malassis et De Broise del 1857

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7giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

va al 30 dicembre 1856 e prevedeva che all’autoreandassero 25 centesimi per ogni copia delle 1.000stampate, che fosse venduta o meno. Ora, le copie invetrina erano una minima parte del pubblicato:1.100 esemplari di tiratura, cento in più rispetto allacifra contrattuale. Nulla di strano: è normale che uneditore attui una tiratura maggiore del previsto, peravere a disposizione copie-omaggio per i recensori.Ne deriva che Baudelaire ricevette 250 franchi.

A parte ciò, il volume era stampato su buonacarta comune, mentre venti esemplari uscirono aparte, tirati in elegante carta vergata d’Olanda. Siconosce la storia di queste copie speciali, che furonodonate da Baudelaire a conoscenti e amici, e sullequali appaiono le dediche mirate. Sono, ad esempio,quelle donate a scrittori come Théophile Gautier(peraltro dedicatario a stampa dell’opera), Mériméee Alexandre Dumas; all’amico Asselineau; al pittoreDelacroix; all’egeria Apollonie Sabatier, cui il poetaaveva in passato anche dedicato poesie.

La copia donata a Alexandre Dumas è emersanell’aprile 1989, quando all’Hôtel Drouot, famosacasa d’aste parigina che si apre nell’omonima strada,è stata messa in vendita la biblioteca del colonnelloDaniel Sicklès (rimarchevole collezione specializza-ta in letteratura dell’Ottocento la cui vendita all’astaè durata otto anni, dal 1989 al 1997): l’esemplare fuaggiudicato per 122.000 euro. Certo, la copia piùcalda resta quella che andò a Jeanne Duval, la «vene-re nera», l’«amante delle amanti», come Baudelaireamava definire la ragazza di Haiti che fu sua musaper vent’anni (passione che indusse la famiglia, nel1844, a interdire il poeta). Immagino che ogni bi-bliofilo, francese e no, vorrebbe entrare in possessoproprio di questo esemplare, che certamente è ador-nato da dediche, parole, forse anche disegni.

Singolare che la copia personale di Baudelairefosse una di quelle stampate su carta ordinaria: è og-gi conservata nella grande Bibliothèque Mazarineche si apre sul quai de Conti. Questa copia, peraltrovisibile su richiesta, era già descritta con una certaprecisione da Georges Vicaire nel primo volume del

suo insigne Manuel de l’amateur de livres du XIXe siè-cle 1801-1893, strumento assai adoperato dai biblio-fili e storici del libro (Paris, Librairie Rouquette,1894). Nel lemma dedicato a Baudelaire (le colonne341-343 del vol. I), Vicaire annota che l’esemplare,ritrovato dopo la morte tra i suoi libri, porta il mo-nogramma CB del poeta. Una nota manoscritta diBaudelaire sul foglio di guardia recita: «Opera tiratain 1.300 esemplari», il che apre la questione sul nu-mero originale delle copie stampate. Baudelaire do-veva essere abituato ad annotare lungamente le suecarte, visto che la copia della Mazarine porta moltealtre linee di sua mano, nelle quali egli indica comeera variato nel tempo il costo del libro ed elenca an-che i versi che erano incorsi nei rigori della censura.Non basta: nella sua copia Baudelaire apporta addi-rittura una correzione alla dedica che, indirizzata aGautier, «parfait magicien dès langue française»,viene corretta aggiungendo una “s” alle parole “lan-gue” e “française”. Se ne deduce che la dedica volutada Baudelaire era al plurale: «Al perfetto mago dellelingue francesi». Le note di Baudelaire sono seguiteda altre di Asselineau, che attesta come le righe so-prastanti siano di mano del poeta, e aggiunge:«Questo esemplare è stato donato alla BibliotecaMazarine dalla signora Aupick, madre di Baudelai-re».

Poulet-Malassis aveva promesso un’edizioneben fatta, senza però conoscere il perfezionismodell’autore: il manoscritto gli fu consegnato all’ini-zio del 1857 ma il lavoro di correzione tipografica,di variazione dei testi e della punteggiatura fu tal-mente puntiglioso che, se l’editore l’avesse saputoprima, non si sarebbe forse imbarcato in quell’av-ventura. La correzione durò quattro mesi: una vi-cenda di minuzioso e snervante ritocco testuale chericorda la simile esperienza cui Proust sottopose isuoi stampatori, o anche quella che dovette subire ilpovero tipografo Bruno Ravagli di Marradi, nellesettimane in cui l’irritante Dino Campana gli stettealle calcagna per i Canti orfici.

Ottima testimonianza della pignoleria di Bau-

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delaire è una bozza completa deiFiori conservata da Poulet-Ma-lassis. Sulla pagina di guardia ap-paiono alcune note firmate dalpoeta che suonano: «Mi pare aprima vista che varrebbe la penaabbassare un po’ l’intera dedica,di modo che essa sia collocata alcentro della pagina; lascio questoal vostro gusto - poi credo che sa-rebbe bene mettere “Fiori” incorsivo, o in lettere maiuscole in-clinate, dato che si tratta di un ti-tolo-calembour. Infine, sebbeneogni linea e ogni lettera sia digiuste proporzioni (ciascuna ri-spetto alle altre), trovo che sianotutte troppo grosse; credo chel’insieme guadagnerebbe in ele-ganza se voi usaste un carattereun po’ più sottile su ogni linea, sempre conservandol’importanza delle proporzioni. [...] Avreste l’obbli-go di rimandarmi una bozza corretta. Vi concedocomunque il bon à tirer». Non siamo convinti che iltitolo fosse davvero giudicato un calembour, anzi: ilpoeta era certamente consapevole della forza chesprigionava dal contrastante accostamento del ma-le con l’immagine della bellezza floreale; annotia-mo comunque, se mai ce ne fosse bisogno, che il bonà tirer equivale all’imprimatur rilasciato dall’autoreche ha visto e corretto una bozza.

Fortunatamente, le note manoscritte sono sta-te ricopiate prima che la bozza si dileguasse. Il pre-zioso esemplare, rilegato in cuoio nero, con stampi-gliature dorate e non rifilato, è stato infatti vendutosul mercato antiquario nel giugno 1998, sempre daDrouot, a una cifra in franchi equivalente a circa490.000 euro. Sfugge la collocazione dello straordi-nario pezzo (se privata, certamente anonima), ma èevidente che si tratta di una bozza che Baudelaire haavuto per mano, ha letto, controllato, corretto, an-notato: preziosa dunque quanto l’autografo dei Fiori

del male (purtroppo scomparso).Fortunatamente la bozza era co-nosciuta, a fine Ottocento, dai bi-bliografi Vicaire e Léopold Car-teret (autore a sua volta di quelTrésor du bibliophile di alta valuta-zione antiquaria), che la descris-sero come un prezioso esemplareche portava su ogni foglio la dici-tura “bon à tirer” e la firma diBaudelaire, colmo di correzioni eindicazioni autografe dell’autore,tali da farne un documento dienorme valore. Ora, non solo sulpiano storico, anche su quellospecifico della bibliofilia interes-sa il fatto che I fiori del male atti-rassero l’attenzione della poliziafrancese a causa di alcune poesieche certi lettori avevano giudica-

to oscene. Oggi tale giudizio fa sorridere, ma il rap-porto emesso delle autorità fu perentorio: il librocostituiva una sfida contro le leggi che proteggeva-no la morale pubblica. L’avviso di comparizioneemesso dalla Procura non si fece attendere, comenon tardò il processo, diventato celebre come quel-lo intentato a Madame Bovary di Flaubert (la cuipubblica accusa, il giudice Ernest Pinard, fu tra l’al-tro la medesima). Il 20 agosto 1857 Baudelaire el’editore furono condannati a una sanzione di 300franchi il primo e 100 il secondo, a rifondere in so-lido le spese processuali, alla confisca delle copie incommercio e all’obbligo di togliere sei poesie dallaraccolta: I gioielli, Il Lete, A colei che è troppo gaia, Le-sbo, Donne dannate, Le metamorfosi del vampiro.Questa condanna costituisce un rilevante capitolodella storia della morale pubblica e di come essacombatta inutilmente contro i libri.

Circa 250 copie del volume sequestrato furonoconsegnate alle autorità, ma il grosso della tiraturaera già stato venduto e sfuggì pertanto all’ordine diritiro dal mercato. Molti sono infatti gli esemplari

8 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

Correzioni a mano di Baudelaire su una

bozza del volume (collezione privata)

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completi delle sei poesie condan-nate che hanno recentemente cir-colato tra i collezionisti, con unvalore alla vendita che si aggiradai 4.000 ai 6.000 euro, valore ches’impenna se la copia porta unafirma autografa di Baudelaire(come quella conservata presso laBiblioteca di via Senato) o qual-che altro segno di sua mano. Maaccadde anche che gli editori de-cidessero di tagliare le pagine checontenevano le poesie condanna-te, e mettere in commercio le co-pie così amputate. Si calcola chesiano state circa 200. Non solo:vollero anche disporre di copieun po’ rassettate, ristampandoquel che di lecito era contenutonel recto e verso delle pagine ta-gliate. Le nuove pagine furono incollate sulle lin-guette residue di quelle tagliate, e le copie così ma-nipolate furono vendute: sono oggi esemplari moltorari, e sempre di sensibile valore.

Esistono anche altri formati dell’edizione, de-rivanti da ulteriori manipolazioni e rimaneggia-menti, ma importa notare che tutti gli esemplari -amputati o meno, manipolati o meno - sono oggi inottime condizioni, grazie alla qualità della carta concui il libro uscì. Le copie integre sono le più ricerca-te, ma c’è anche chi spasima per possedere una copiamutila. Il processo donò a Baudelaire la notorietà,tale che nell’arco di qualche anno si giunse alla se-conda edizione delle poesie, che vide la luce nel feb-braio 1861 presso lo stesso editore e nel medesimoformato. Mancavano ovviamente le sei liriche proi-bite, ma furono aggiunte 35 nuove composizioni,con una diversa sistemazione interna dei materiali.Questa volta la tiratura fu di 1.530 esemplari vendu-ti a 2 franchi (per cui Baudelaire, per le stesse condi-zioni contrattuali, ne ricevette 300). Ma al bibliofilointeressa constatare che furono pubblicati alcuni

esemplari in elegante carta velinae quattro in carta Cina di lusso.Una di queste entrò in possessodell’amico Asselineau, passò allaraccolta libraria di Jacques Gué-rin (l’industriale francese appas-sionato di libri, che tra l’altro pos-sedeva il manoscritto del Diavoloin corpo di Raymond Radiguet,vari quaderni manoscritti diProust e una rarissima edizionedell’isolato primo Canto di Maldo-ror di Lautréamont) e fu infineacquistata nel 1986 da un colle-zionista per 75.000 euro.

La storia editoriale dei Fio-ri proseguì con una terza edizio-ne uscita a Bruxelles nel 1866:comprendeva le sei poesie cen-surate, più altre nel frattempo

uscite su riviste e giornali; il volumetto era editosempre da Poulet-Malassis, in 260 copie numerate(la Biblioteca di via Senato possiede, di questa tira-tura, la numero 250), e portava il titolo Les épaves.Una buona copia di questa edizione è stata stimataanni fa tra 2.000 e 3.000 euro. La tiratura andò co-munque esaurita e il libretto fu presto ristampatoin 500 copie: il valore di questi nuovi esemplari siaggira, a seconda della conservazione, tra 400 e700 euro; le copie della terza ristampa, del 1874,circolano a 300 euro. Nemmeno questa volta Pou-let-Malassis la fece franca: fu processato dal tribu-nale di Lille e, recidivo, di nuovo condannato. Lavicenda editoriale dell’opera non si ferma qui:Baudelaire morì nel 1867 e le edizioni postumeprospettano un’altra storia, che è poi quella di co-me un grande poeta s’imponga e, alla lunga, abbiala meglio su ogni censura. I fiori del male, ormai ac-colti tra i libri immortali, godono di quotazionicrescenti e sono molto ricercati. Le sei poesieproibite e amputate, lette oggi, sembrano solo te-neri petali strappati.

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Sopra: bozza de I fiori del male, con

correzioni autografe di Baudelaire

(collezione privata)

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11giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

spillare soldi all’imperatore Rodolfo II, tra i mas-simi esempi storici di quelle Literary Forgeries cheda sempre appassionano anche il mondo della bi-

bliofilia.1 Per questo il Voynichpossiede la caratteristica, comu-ne a molte altre testimonianzeinaccessibili, di essere un sofi-sticato compendio sulla fragilitàdella conoscenza. Il suo status lovede collocato, di volta in volta,nella categoria degli erbari me-dioevali, dei trattati di astrolo-gia, di botanica, di magia, di al-chimia ma nulla di quello checontiene, o che mostra, può es-sere utilizzato ai fini di una co-noscenza materiale. Quindi: dicosa parliamo quando parliamodel Codice Voynich? Parliamo diuna sconfitta, di una preziosasfida, della trascrizione di un in-cubo, di un antico manualeidroterapico per favorire la fer-tilità femminile, di un congegnoperfetto e inutile, di un colossa-le falso cinque-seicentesco?Forse di tutte insieme questecose.

In questa sede non affron-

L’ARCANO SILENZIO DELMISTERIOSO VOYNICH

Falso storico o antico manuale idroterapico per donne?

La lingua ch’io parlai fu tutta spenta…Dante, Paradiso, XXVI, v. 124

Uno dei tanti paradossidel codice Voynich, omeglio del MS 408 dal-

la segnatura con la quale il ma-noscritto pergamenaceo è con-servato nella celebre BeineckeRare Book and Manuscript Li-brary della Yale University, èquello di essere universalmentenoto e nello stesso tempo total-mente oscuro. Pertanto questomanufatto altamente visionario,enigmatico e inquietante restatutt’ora muto, chiuso nel suo si-lenzio secolare, mantenendoinalterato il segreto ermeneuti-co di cui è pervaso e che do-vremmo forse imparare ormai arispettare, anche se il codice sirivelasse (come sembra proba-bile) una colossale truffa per

Libri del mistero

A destra dall’alto: ritratto di Wilfrid

Michael Voynich, c.1885; ritratto di

Ethel Lilian Voynich

MASSIMO GATTA

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12 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

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teremo la complessa questione del contenuto dicerte raffigurazioni di arcana enigmaticità (227 fi-gure femminili nude alcune vibilmente incinte, so-lo 3 le maschili, e che sembrano riecheggiare le fi-gure dell’affresco del Giudizio Universale, risalentealla fine del Quattrocento, stranamente simili an-che a quelle inserite in bolle sospese nel Trittico del-le delizie di Hieronymus Bosch), quelle piante e ra-dici contorte che sembrano alghe, gonfie comespugne con strani tubercoli e altre con piccole testeumane, che avrebbero fatto la gioia del Leo Lionnide La botanica parallela o del Luigi Serafini2 del Co-dex Seraphinianus; quei fiori, alcuni larghi comecampane, altri tondi come piatti o piccoli, spinosi ecarnosi, o quei misteriosi liquidi azzurri che scor-rono in contorte diramazioni tubiformi (vene? ca-

nali?). Cercheremo più semplicemente di raccon-tare brevemente la biografia del manoscritto.

Nel 1912 giunge a Frascati uno dei grandi li-brai antiquari dell’epoca (con libreria a Londra inSoho Square 1), oltre che chimico e (misterioso)bibliofilo,3 Wylfrid Michael Voynich,4 di originipolacche, marito di Ethel Lilian Boole (figlia delgrande matematico George Boole), nota in Cina ein Unione Sovietica per il romanzo rivoluzionarioThe Gadfly (Il Tafano), pubblicato nel 1897.5 Dopouna lunga ed estenuante trattativa condotta col ge-suita padre Strickland, Wilfrid Voynich si reca aFrascati per visionare alcuni antichi volumi con-servati nella Biblioteca del Collegio dell’anticaVilla Mondragone (risalente alla seconda metà delXVI secolo), sede dell’Ordine, «[…] dal 1870 ‘rifu-

giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

Nella pagina accanto: Voynich Manuscript MS 408 carta 86v [courtesy Beinecke Library, Yale University]. Sopra da sinistra:

Voynich Manuscript MS 408 ex libris della Yale University Library e carta 40v [courtesy Beinecke Library, Yale University]

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gio’ per tanti documenti prima conservati presso ilCollegio Romano»,6 volumi salvati dalla confisca,nel 1870, da Pierre-Jean Beckx, padre generaledell’Ordine. Ai gesuiti serviva infatti molto denaroper la manutenzione del fatiscente palazzo, gestitofin dal 1865. A Villa Mondragone Voynich scopreper caso il piccolo volume, intuendo immediata-mente di trovarsi di fronte a un codice pergamena-ceo straordinario e fino ad allora sconosciuto. Ilmanoscritto, di ridotte dimensioni,7 è rilegato inpergamena coeva, senza scritte in copertina o aldorso. Voynich, che tra l’altro8 è anche un noto li-braio antiquario di fama internazionale,9 inizia astudiarlo decidendo di suddividerlo convenzional-

mente in sei distinte sezioni: botanica (con 113 dise-gni di piante, molte delle quali di specie non iden-tificata); astronomica o astrologica (con 25 diagram-mi e segni zodiacali); biologica; la quarta è il foglioripiegato sei volte contenente un elaborato sche-ma di nove medaglioni; quindi farmacologica (conantichi vasi da farmacia e molti disegni di piante eradici); e infine la sesta di solo testo, con “stelline”nel margine sinistro a supporre come una rubrica oun indice finali. Il problema però è ermeneutico: ilmanoscritto è scritto in una lingua sconosciuta(ipotizzando, come fa Jacques Bergier,10 la linguaenochiana di cui parlava John Dee), assolutamenteincomprensibile, ma regolare e senza correzioni,

14 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

Voynich Manuscript MS 408 carta 67r [courtesy Beinecke Library, Yale University]

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Media Italia S.p.a. Agenzia media a servizio completoTorino, Via Luisa del Carretto, 58 Tel. 011/8109311 [email protected]

Milano, Via Washington, 17 Tel. 02/480821Roma, Via Abruzzi 25, Tel. 06/58334027

Bologna, Via della Zecca, 1 Tel. 051/273080

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costellata da elaborate figurazioni, simbolicamen-te attinenti alle varie sezioni di appartenenza ipo-tizzate da Voynich. Erbari, piante e radici stranis-sime alcune del tutto sconosciute, schemi astrolo-gici, alchemici; impianti idraulici mai visti prima,ninfe immerse in vasche a semicupio, collegate dadiramazioni di tubi a gomito, di un soffuso eroti-smo, realizzate con colori tenui, estenuati. Altri in-terpreti vi leggono invece miniature, mappe sco-nosciute, nebulose a spirale, la regione celeste in-torno a Aldebaran. Insomma un secolare laborato-rio di ipotesi, una più bizzarra dell’altra. Una scrit-tura che decenni di studi riconducono però essen-zialmente all’area centro-europea, e in cui si rin-

corrono ipotesi sulle lingue utilizzate: latino cifra-to, greco antico, italiano, sanscrito, ebraico, cirilli-co, glagolitico (antico bulgaro), o forse etiopico?Vengono arruolati, in anni recenti, i massimi crit-tografi e storici dell’arte: da Herbert Yardley aJohn Manly, da William Friedman, Erwin Pano-sky, Robert Brumbaugh, fino a William RomaineNewbold che conferma l’idea di Voynich stesso, ecioè che il manoscritto potrebbe essere opera delfilosofo medievale Ruggero Bacone (1214-1294),il “Dottor Mirabilis”. Ma lo schema interpretativodi Newbold viene aspramente criticato e in seguitoridimensionato. Di certo il manoscitto pergame-naceo è composto da glifi formati da combinazioni

16 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

Sopra da sinistra: Voynich Manuscript MS 408 carta 5r [courtesy Beinecke Library, Yale University]; Voynich Manuscript

MS 408 carta 81r [courtesy Beinecke Library, Yale University]. Nella pagina accanto: Voynich Manuscript MS 408 carta

75r [courtesy Beinecke Library, Yale University]

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17giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

di diversi simboli di base, 24 o 36 a seconda dell’al-fabeto utilizzato a confronto, per un totale di oltre5000 sequenze di glifi (ogni sequenza una parola?).Sono inoltre presenti simboli alchemici, alcuni co-stellando il testo solo una o due volte. Insommavengono alla mente le considerazioni di Jurgis Bal-trusaitis a proposito di certi codici miniati d’epocamedievale, apparentemente chiari, luminosi, ordi-nati, trionfanti e ottimisti, in realtà con i marginibrulicanti di un mondo impercettibile e bizzarro,aberrante, perverso e inquietante che preme perimpossessarsi della pagina (le famose drôleries).

�Il Codice Voynich ha convogliato intorno a sé

persone tutte appartenenti all’ordine dei gesuiti eil suo percorso geografico ruota intorno all’assePraga-Roma. Di sicuro sappiamo che il manoscrit-to appartenne all’imperatore Rodolfo II d’Asbur-go che lo acquista per 600 ducati d’oro (circa50.000 euro odierni) da un personaggio rimastoignoto. Secondo Jacques Bergier questo personag-gio potrebbe essere stato John Dee (1527-1606), ilcelebre mago, astrologo e filosofo ermetico elisa-bettiano, anche se Dee incontra il sovrano solo unavolta, per poi essere espulso dall’impero boemo.Dee, a sua volta, l’avrebbe ottenuto verso il 1580dal duca di Northumberland, il quale aveva sac-cheggiato un considerevole numero di monasteri.Pertanto l’ipotesi di Bergier appare poco attendi-bile. Di sicuro il manoscritto appartenne a JakubHorcicky de Tepenec, direttore delle raccolte bo-taniche di Rodolfo II e del suo laboratorio alche-mico. Dopo sarebbe passato nelle mani dell’alchi-mista Georg Baresch (1585-1662), per giungere inseguito a Johannes Marcus Marci, rettore dell’uni-versità di Praga, che lo ebbe in eredità dallo stessoBaresch nel 1665. Risulta, inoltre, che Baresch il27 aprile del 1639 lo avrebbe spedito in visione (ouna parte di esso), per un’analisi e un commento, acolui che era considerato il più grande eruditodell’epoca, Athanasius Kircher, il quale non solo

non rispose ma ovviamente non riuscì neppure adecrittare il manoscritto.11

Alla sua morte tutti i suoi beni, compresa laricca biblioteca, passano al Collegio Romano.Quasi un secolo dopo, nel 1773, la Compagnia diGesù viene soppressa da Clemente XIV, ma il Voy-nich non è tra i libri che il novello Regno d’Italiaconfisca il 20 ottobre alla principale biblioteca delCollegio Romano, e che andrà a formare il nucleoprincipale della futura Biblioteca Nazionale Cen-trale di Roma.

In seguito il codice passerà nelle mani di Pier-re-Jean Beckx, ventiduesimo padre generale dellaCompagnia di Gesù e con lui il cerchio si chiude.Wilfrid M. Voynich muore nel 1931 senza aver ri-velato, come promesso a padre Strickland, da chiaveva acquistato il codice. Per testamento il mano-

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scritto passerà alla moglie, Ethel Lilian Boole, chea sua volta (la Boole muore nel 1960) lo destina adAnne Nill, ex segretaria del marito. La Nill, parti-colarmente sensibile al valore venale del mano-scritto, cerca di venderlo al miglior acquirente, che

si rivela essere Hans Peters Kraus, il maggiore li-braio antiquario dell’epoca,12 che il 12 luglio 1961lo acquista per 24.500 dollari, sicuro di poterlo ri-vendere in seguito per 160.000. Otto anni dopo,non essendo riuscito nell’impresa, decide di do-

18 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

NOTE1 Sulle Literary forgeries disponiamo

ora di un magnifico catalogo illustrato,

quello redatto da Arthur Freeman, Biblio-theca Fictiva. A Collection of Books &Manuscripts Relating to Literary Forgery400 BC – AD 2000, London, Bernard Quar-

itch Ltd., 2014; ma vedi anche il catalogo,

Fakes & Forgeries Frauds & Hoaxes, cata-

logue 132, Concord (MA), Joslin Hall Rare

Books, s.d. [anni Duemila]2 Da una lettera di Luigi Serafini: «Per

fortuna ho conosciuto il Cod. Voynich

molti anni dopo [del suo libro cifrato,

N.d.A.]. Un anno fa ho acquistato un’anas-

tatica. Ho il sospetto che sia stato uno

scherzo finanziato da Rodolfo II, che di al-

chimia se ne intendeva. Forse qualcuno ha

giocato lo stesso mio gioco a quattro secoli

di distanza».3 Cfr. sul tema Otto von Schleinitz, Die

Bibliophilen. W.M. Voynich, «Zeitschrift für

Bücherfreunde», 10 (1906/7), pp. 481-487,

articolo nel quale viene presentata la colle-

zione di incunaboli, prime edizioni e libri

sconosciuti ai bibliografi appartenenti a

Voynich, che venne messa in vendita nel

1902; segnalo anche Emily Millicent So-

werby, Voynich, in Ead., Rape People andRare Books, London, Constable, 1967, pp.

1-33. In totale Voynich pubblicò, tra il 1898

e il 1902, 9 eccezionali (per qualità dei vo-

lumi offerti) cataloghi di vendita.4 Cfr. Paolo Cortesi, Il Manoscritto Voy-

nich. Il libro più misterioso del mondo, in Id.,

Manoscritti segreti. Dai misteri del MarMorto alle profezie di Nostradamus, Roma,

Newton Compton, 2003, pp. 149-186. Se-

gnalo anche il recente studio di Roberto

Volterri, Bruno Ferrante, I demoni dell’Abis-so, Roma, Eremon Edizioni, 2015. Per una

succinta ma utilissima biografia, anche

professionale, dei coniugi Voynich riman-

do a Rafal T. Prinke, Biographical informa-tion on E.L. Voynich and W.M. Voynich, vi-

sionabile al link: http://main

2.amu.edu.pl/~rafalp/WWW/HERM/VMS/

biografie-old.html, e anche http://

www.historyfiles.co.uk/FeaturesEurope/E

asternPoland_Voynich01.htm.5 Ethel Lilian Voynich, The Gadfly, New

York, Henry Holt and Company, 1897, vi-

sionabile integralmente al link: https://ar-

chive.org/details/gadflyvoynich00voy-

niala; vedine la più recente trad. it. col ti-

tolo Il figlio del cardinale, Roma, Castelvec-

chi, 2013. La prima edizione italiana, con

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19giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

narlo alla Beinecke Library della Yale University diNew Haven, dove tutt’ora è conservato.13 Fino aqualche anno fa il codice era inaccessibile a chiun-que; di recente la Beinecke ha invece messo in retel’intero manoscritto, che è possibile visionare fo-glio per foglio,14 oltre ad essere finalmente dispo-nibile una ristampa anastatica di grande interesse equalità.15

�Studi recenti concordano nel ritenere il Voy-

nich opera di due diversi amanuensi, evidente nelleultime righe del codice; un lavoro che comunquedovette occupare per quasi due anni l’amanuen-se.16 Ciò si giustificherebbe con la complessità e lamole dell’apparato scrittorio del manoscritto, cheperò convive col paradosso dell’assenza di corre-zioni o ripensamenti, elementi normalmente pre-senti nei codici. Il manoscritto si è rivelato moltopiù interessante sul versante iconografico che suquello linguistico; del resto le miniature sono lì atestimoniarlo e, per quanto misteriose e arcane,

prefazione di Stefano Canzio, venne pub-

blicata a Firenze da Parenti nel 1956. 6 Cfr. Rodolfo Maria Strollo, Villa Mon-

dragone tra scienza e conoscenza, Roma,

Università degli Studi di Roma Tor Ver-

gata-Facoltà di Ingegneria, Provincia di

Roma [Arti Grafiche Ariccia, Roma], feb-

braio 2005, p. 49. Ringrazio il prof. Strollo

per avermi fornito copia della pubblica-

zione.7 Misura cm 22,5x16, con uno spessore

di circa cm 4, ed è composto da 102 fogli, di

cui 5 doppi, 3 tripli, 1 quadruplo e 1 sestu-

plo, per un totale di 204 pagine.8 Molto contraddittoria e misteriosa è

infatti la figura di Wylfrid Voynich (così

come della moglie Ethel Lilian Boole), che

molti ritengono fossero spie anarchico-ri-

voluzionarie russe; vedi in proposito Mar-

celo Dos Santos, Chi era Wylfrid Wojnicz?,

in Id., L’enigma del manoscritto Voynich. Ilpiù grande mistero di tutti i tempi, prefa-

zione di Gianfranco de Turris, Roma, Medi-

terranee, 2009, pp. 19-38.9 Celebri restano i suoi straordinari ca-

taloghi antiquari, per i quali rimando a

Marcelo Dos Santos, I ‘Cataloghi Voynich’,in Id., L’enigma del manoscritto Voynich. Ilpiù grande mistero di tutti i tempi, cit., pp.

34-37.10 Jacques Bergier, Il Manoscritto Voy-

nich, in Id., I libri maledetti, Roma, Edizioni

Mediterranee, 1972, pp. 83-94; ristampa,

Torino, L’Età dell’Acquario, 2008, pp. 87-

101.11 Quale cultore degli pseudobiblia mi

sono inventato, con l’amicale collabora-

zione di Massimo Bertolo, un falso storico,

attribuito niente meno che ad Athansius

Kircher, che tanta parte ebbe nell’affairedel Voynich. Si tratterebbe di un opuscolo

nel quale Kircher, in forma di lettera a Mar-

cus Marci, avrebbe indicato le sue conside-

razioni in merito al manoscritto, compresa

la sua teoria interpretativa. E’ noto, al con-

trario, che il celebre gesuita non rispose

mai alle richieste che gli pervennero da

Praga in merito al codice, che avrebbe co-

munque di certo dovuto suscitare il suo in-

teresse. Questo falso, dal titolo Ad domi-num Marcus Marci Cronolandensem Epi-stula de manuscripto notis arcanis exaratoab eodem misso, in qua secreta illius scrip-tionis usque ad praesens tempus inviolataomnibusque investigationibus elapsaaperire atque in lucem proferre conatus estAthansius Kircher, Roma, Typis S. Cong: de

Page 22: Scarica l'edizione di giugno

sono aperte ad un approfondito esame.Il Codice Voynich non poteva non incontrare

l’interesse di Jacques Bergier, scienziato e storicodella scienza,17 che ne ha scritto in varie occasioni.Ma Bergier, in L’uomo eterno,18 appare abbastanzascettico sul reale valore del codice in quanto deposi-to di conoscenze.

Il punto centrale è da sempre questo: chi èl’autore del MS 408? In fondo perchè non conside-rare il Codice Voynich come la sublimazione del-l’eterna domanda cos’è un lettore? A ben pensarci lastoria secolare del Voynich è infatti anche la storiadei suoi tanti lettori. E mai come nel caso del Voy-nich la domanda generale che si pone la letteraturacos’è un lettore, diventa la domanda stessa del Voy-nich: chi è il mio lettore, cioè come si configuranotutti i tentativi di interpretazione della sua scrittu-ra e dei disegni, tutti i destini ad essi legati, tutte letragedie e le esperienze che hanno seguito, e costi-tuito, la sua strada fino a noi?

E il Codice Voynich col suo mistero secolare hasuggestionato anche la letteratura; molti romanzihanno infatti attinto alla sua storia, da Il manoscrittoMS 408. Storia del libro più misterioso del mondo diThierry Maugenest,19 a Il manoscritto di Dio di Mi-chael Cordy,20 da Il castello delle stelle di Enrique Jo-ven21 e Il quinto comandamento di Eric Frattini22 a Ifigli degli angeli perduti di Brad Kelln,23 fino a un in-teressante esperimento di saggio-fiction (non po-tendo realizzare il solo saggio perché gli fu sconsi-gliato per non meglio specificate ‘ragioni di sicu-rezza’24), scritto da Aldo Gritti, pseudonimo di unsacerdote che ha dedicato al Voynich molte ricer-che.25 E recentemente è apparsa la traduzione ita-liana del saggio storico forse più documentato at-tualmente disponibile sul Voynich, di MarceloDos Santos,26 vero e proprio baedecker per tutti gliappassionati di questo affascinante e arcano mano-scritto, che da secoli inquieta e affascina coloro chel’hanno potuto ammirare, anche se qualche spira-glio interpretativo sembra finalmente delinearsiall’orizzonte.27

20 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

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propag: Fide, 1669, è stato poi “messo al-

l’asta” nel 2013 presso la casa d’aste Mi-

nerva Auctions di Roma, vedine il relativo

catalogo stampato per l’occasione Libri,autografi e stampe, Roma, Minerva Auc-

tions, giovedì 20 giugno 2013, dove il falso

Kircher appare a p. 114, scheda 340, con ill.

del frontespizio [base d’asta €5000-

7000]; ovviamente questo “lotto” venne ri-

tirato prima della seduta d’asta. Sul tema

cfr. anche Massimo Gatta, Kircher lettoredel Voynich, «Il Sole 24 Ore-Domenica da

collezione», 2 giugno 2013, p. 37; Id., L’en-igma bibliografico del Codice Voynich,

«Leggere:tutti», n. 34, novembre 2008, pp.

82-83; Id., Cifre & Arcani. Storia portatiledel Codice Voynich, «Charta», n.105, set-

tembre-ottobre, 2009, pp. 28-33, e infine

Id., Il manoscritto Voynich, «Cantieri», n. 7,

marzo-aprile 2010.12 Cfr. Hans P. Kraus, The Most Myste-

rious Manuscript, in Id., A Rare Book Saga.The Autobiography of Hans Peter Kraus,

New York, G. P. Putnam, 1978, pp. 218-222.13 Vedi l’ex libris apposto al volume con

l’indicazione a stampa: Yale University Li-

brary. Gift of Hans P. Kraus.14 Visionabile al link http://webtext.li-

brary.yale.edu/beinflat/pre1600.MS

408.htm.15 Le Code Voynich. Le Manuscript MS

408 de la Beinecke Rare Book and Manus-cript Library Yale University, texte d’intro-

duction de Pierre Barthélémy, Paris, Jean-

Claude Gawsewitch Editeur, 2005.16 Cfr. Roberto Volterri, Bruno Ferrante,

Il manoscritto Voynich. Duecento paginedense di misteri, in Id., I libri dell’Abisso.Dall’introvabile Necronomicon all’intra-ducibile Manoscritto Voynich, Roma, Ere-

mon Edizioni, 2014, pp. 188-189.17 E autore, con Louis Pauwels, del cele-

bre Mattino dei maghi, Milano, Monda-

dori, 1963.18 Louis Pauwels, Jacques Bergier, La

stupefacente storia del manoscritto Voy-nich, in Id., L’uomo eterno. La storia umanaalla luce della ragione fantastica, Milano,

Mondadori, 1972, pp. 120-123.19 Siena, Barbera editore, 2006.20 Milano, Editrice Nord, 2008.21 Vicenza, Edizioni Il Punto d’Incontro,

2008.22 Vicenza, Edizioni Il Punto d’Incontro,

2009.23 Milano, Armenia, 2010.24 Vedi mail di Aldo Gritti, a chi scrive,

del 17 marzo 2012.25 Cfr. Aldo Gritti, I custodi della perga-

mena proibita, Milano, Rizzoli, 2012, e per

il quale rimando al link: http://monica.ca-

doria.over-blog.it/article-un-sacerdote-

svela-il-mistero-del-manoscritto-voy-

nich-106922465.html.26 Marcelo Dos Santos, L’enigma del

manoscritto Voynich. Il più grande misterodi tutti i tempi, cit.; interessante è anche

Claudio Foti, Il codice Voynich. Il mano-scritto che da secoli sfida l’umanità, Roma,

Eremon Edizioni, 2010, seconda ediz. am-

pliata, 2015.27 Cfr. Fabio Sindici, Uno spiraglio sul

codice segreto che respinse i traduttori diEnigma, «La Stampa», domenica 15 febbra-

io 2015, p. 29. Sulle nuove teorie interpre-

tative vedi in particolare Roberto Volterri,

Bruno Ferrante, Il manoscritto Voynich.Duecento pagine dense di misteri, cit.

giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 21

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22 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

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23giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

ri. Tammaro De Marinis, negli anni Venti, ne for-nì addirittura una parziale riproduzione fotogra-fica nel delizioso Anciens livres à figures italiens. Diquel libretto all’apparenza piuttosto dimesso(quattro carte nell’agile formato in quarto alleg-gerite da cinque silografie, l’ultima delle quali apiena pagina) si persero poi le tracce… A questopunto la caccia può felicemente riprendere». E lacaccia felicemente riprese. Ciò a cui si dava la cac-cia era un libricino di sole quattro carte nel forma-to in quarto (8 pagine, il risultato dell’impressio-ne di un unico foglio tipografico), firmato, manon datato, al colophon (c. 4v): «Impresso in Bressaper mesere pre Baptista Farfengo». Tramanda uncantare di una cinquantina di ottave noto col tito-lo La venuta del re di Franza in Italia e la rotta asse-gnato al canterino Matteo o Evangelista Fossa.Quanto all’anno di stampa, assente nel colophon,gli eventi narrati, ossia la discesa di Carlo VIII inItalia e il suo ritorno in Francia dopo la rotta diFornovo nel luglio 1495, non consentono di arre-trare oltre tale data, spingendo l’edizione inevita-bilmente verso gli ultimi anni di attività del tipo-grafo bresciano Battista Farfengo (1489-1500), lecui ultime edizioni con data esplicita risalgono aldicembre 1500.2 Impresso da una modesta offici-na in qualche centinaio di esemplari quando il cla-more suscitato dalla precipitosa spedizione diCarlo VIII in Italia non si era ancora sopito,

LA VENUTA DEL RE DI FRANZA IN ITALIALe peripezie di un libro che si credeva scomparso

Certi libri, a dispetto delle apparenze, vivo-no vite straordinarie, che meritano di es-sere raccontate. Rischiano di inabissarsi

del tutto, galleggiano come relitti nel flusso indif-ferente della storia, passano di mano in mano, tra-scorrono secoli in anfratti o cassetti dimenticati,prima di tornare improvvisamente in auge. Con-cedono infine, come solo i libri sanno fare, rarisquarci di passione a chi sappia ritrovarli, maneg-giarli e infine impossessarsene. Il libro protagoni-sta di queste pagine è uno di questi e chi scrive haavuto in sorte il privilegio di inseguirne a lungo letracce, a dispetto delle bibliografie che sembrava-no sancirne la pressoché definitiva scomparsa.Nel 2009, in limine al volume Fra testo e immaginededicato alle stampe cosiddette popolari (ma oggiil politically correct suggerisce piuttosto libri dilarga circolazione o meglio libri per tutti), cosìscrivevo:1 «Da alcuni anni inseguo un fantasma,bibliografico s’intende: La venuta del re di Franza,Brescia, Battista Farfengo, sine anno (ma non oltreil 1500). Francesco Novati, oramai più di un seco-lo fa, ne diede sommaria notizia descrivendol’esemplare di proprietà dell’amico Paolo Gaffu-

Bibliofilia

GIANCARLO PETRELLA

La venuta del re di Franza in Italia e la rotta, Brescia,

B. Farfengo, [post 6 luglio 1495-1500], silografia a piena

pagina a c. 4v

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24 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

l’opuscolo era rivolto a un pubblico di semialfabe-tizzati desiderosi di riandare con la memoria aquei tragici eventi. Ciò giustifica il rapido quantoinevitabile consumo di un prodotto passato di ma-no in mano, in origine letto senza alcuna pretesacollezionistica. Solo a distanza di secoli, quandoormai della tiratura originaria sopravvivono esilis-simi e occasionali frammenti, la passione collezio-nistica ne fa una reliquia dal costo esorbitante. Nelcatalogo Berès era offerto al prezzo di 250.000franchi; nel 2002 la base d’asta di Sotheby’s oscil-lava fra le 10.000 e le 15.000 sterline. Come parec-chi altri analoghi prodotti della tipografia rinasci-mentale, anche La venuta del re di Franza in Italiaha corso seriamente il rischio di estinguersi senzalasciare traccia. La tiratura originaria è andata in-contro a una fatale autodistruzione innescata dal

semplice uso e dalla scarsa o nulla propensione allaconservazione prima del collezionismo di epocamoderna. Molto dell’editoria popolare rinasci-mentale si è salvato grazie al precoce, ma isolato,interesse di Hernando Colón (1487-1539), figliodi Cristoforo, gran collezionista di libricini illu-strati, la cui raccolta è infine defluita, in buonaparte, alla Biblioteca Colombina di Siviglia. Il no-stro opuscolo aveva tutte le caratteristiche per at-tirare la sensibilità del Colón, ma l’incontro, evi-dentemente, non avvenne.

La salvezza dell’incunabolo bresciano sareb-be passata quattro secoli più tardi per le mani di al-tri due personaggi, il raffinato filologo FrancescoNovati e l’antiquario di origini partenopee Tam-maro De Marinis. Novati, in un breve entusiasticocontributo apparso nel 1900 sulle pagine dell’«Ar-

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25giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

chivio Storico Lombardo», diede per primo noti-zia di una narrazione sulla calata di Carlo VIII inItalia «messa a stampa sul cadere del secolo XV inBrescia», avvertendo dovesse trattarsi di edizione«d’una rarità eccezionale, dacchè niun bibliografone ha fatto sinora parola».3 Propenso ad attribuir-ne la paternità a Matteo più che a Evangelista Fos-sa,4 Novati ne forniva una descrizione accurata,sulla scorta di un esemplare (con legatura da codicemanoscritto di riuso) allora di proprietà del biblio-filo bergamasco Paolo Gaffuri, direttore dell’Isti-tuto Italiano d’Arti Grafiche.5 Nel 1925 La venutadel re di Franza in Italia fa la sua prima comparsa uf-ficiale sul mercato antiquario, affacciandosi al nu-mero 105 del delizioso catalogo Anciens livres à fi-gures italiens allestito da De Marinis. In realtà DeMarinis, compilandone una sintetica scheda de-scrittiva in cui ipotizzava una datazione circa 1499,non poteva immaginare che quella plaquette avreb-be di lì a poco fatto perdere definitivamente le trac-ce. Tutte le citazioni bibliografiche posteriori (nel-l’ordine, il Gesamtkatalog der Wiegendrucke, MaxSander, i due censimenti delle edizioni brescianequattro-cinquecentesche allestiti nel 1986 da En-nio Sandal e Paolo Veneziani, il repertorio biblio-grafico tematico Guerre in ottava rima del 1989 fi-no al repertorio bibliografico on line delle edizioniquattrocentesche ISTC) riportano in calce la siglaDe Marinis 1925, confessando perciò di essere de-bitori del catalogo Anciens livres à figures italiens cuifino a qualche anno fa rimandava l’ultima segnala-zione di prima mano de La venuta del re di Francia.Va peraltro detto che ISTC ignora ancora inspie-gabilmente le ultime vicende, anche bibliografi-che, e la scheda (ISTC f00276400), come si vede,richiede un deciso aggiornamento: «De Marinis,Livres à figures, 105; Sander 2912; G. Petrella,Uomini, torchi e libri nel Rinascimento (Udine,2007) pp. 21-33; Sotheby’s (London) 4/12/02, lot41; GW 10232». Occorre infine precisare che inquell’occasione De Marinis, forse con sensibilitàdi antiquario piuttosto che di bibliografo, aveva

Nella pagina accanto: La venuta del re di Franza in Italia e

la rotta, Brescia, B. Farfengo, [post 6 luglio 1495-1500],

silografia alla c. 2r.

Sopra dall’alto: La venuta del re di Franza in Italia e la

rotta, Brescia, B. Farfengo, [post 6 luglio 1495-1500],

silografia alla c. 3r; La venuta del re di Franza in Italia e la

rotta, Brescia, B. Farfengo, [post 6 luglio 1495-1500],

silografia alla c. 4r

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generosamente offerto anche due invoglianti ri-produzioni: rispettivamente l’incipit del testo ac-compagnato da una bella silografia (c.1r) e il pre-gevolissimo legno a piena pagina che suggella lastampa (c.4v). Nella scheda descrittiva segnalavainfine la presenza a testo di ulteriore materiale ico-nografico, pur senza nulla aggiungere a riguardo.Che la copia posseduta da Tammaro De Marinisfosse effettivamente quella già del Gaffuri vista daNovati è probabile, anche per le difficoltà econo-miche cui il Gaffuri andò incontro, ma non dimo-strabile con assoluta certezza. Negli stessi anni do-veva però esistere almeno un fratello dell’esempla-re visto da Novati e offerto da De Marinis. Una se-conda copia era all’epoca in Germania (colà finitocertamente per vie collezionistiche) presso la Ba-yerische Staatsbibliothek di Monaco. Lo attesta laregistrazione in un catalogo del 1933 delle Stampe

popolari italiane della Bayerische Staatsbibliothek.La copia, già peraltro mutila delle carte interne(π2-π3) andò poi malauguratamente distrutta nelcorso della Seconda Guerra Mondiale.6 Malaugu-ratamente da un punto di vista bibliografico, noncerto da quello collezionistico. A questo puntol’esemplare De Marinis rimaneva infatti l’unicoerede e non c’è nulla di meglio che poter esibirel’etichetta ‘unique copy’.

Ma che fine aveva fatto, nel frattempo, quel-l’esemplare rimasto sul suolo italiano? Stranamen-te la copia De Marinis non passò, come le altre treedizioni quattrocentesche stampate da Farfengoregistrate nello stesso catalogo del 1925 e un’infini-tà di altri libri di pregio, alla superba collezione ap-partenuta al conte Vittorio Cini (1885-1977), chedel De Marinis era fedelissimo cliente. Altrimentianche La Venuta sarebbe riemersa presso la Biblio-teca della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, do-ve quella collezione privata ha infine trovato sicurae definitiva sistemazione.7 È altrettanto curioso chenon figuri neppure fra i libri della cessata libreriaDe Marinis, andati all’incanto in tre distinte vendi-te tra il 1925 e il 1926.8 Da quel momento la Venutadel re di Franza è rimasta irreperibile per un’ottanti-na d’anni fino a un’inaspettata quanto fugace com-parsa fra i titoli proposti dall’antiquario pariginoPierre Berès nel suo Catalogue 91 (Poésie ancienne.Suite, Paris, 2000, n. 133) per poi ricomparire, a di-stanza di due anni, nell’asta londinese di Sotheby’sdel 4 dicembre 2002.9 Battuta come lotto 41, la pla-quette rimase in quell’occasione invenduta, tornan-do cosi nuovamente a eclissarsi, probabilmente frale pieghe della Bibliotheque Berès, nel frattempoandata all’incanto.10 L’anziano Berès scomparve in-fatti nel luglio 2008 e de La venuta non v’è traccianei cataloghi di vendita della sua collezione. A que-sto punto, come nella migliore tradizione carsica,improvvisamente l’incunabolo torna a riaffiorarein superficie. Nella tarda estate del 2010 è nuova-mente in Italia. Silenziosissimo fa capolino (lotto n.20) nell’esile elenco presentato dalla Libreria mila-

26 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

La venuta del re di Franza in Italia e la rotta, Brescia, B.

Farfengo, [post 6 luglio 1495-1500], c. 1r

Page 29: Scarica l'edizione di giugno

27giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

nese Il Polifilo alla XXIII Mostra Internazionaledel Libro antico e moderno di pregio svoltasi a Bo-logna da 24-26 settembre 2010. Qualche mese piùtardi lo intercetta Giansandro Cattaneo della Li-breria Chartaphilus di Milano, autentico rabdo-mante di questo genere di pubblicazioni, che ne in-tuisce l’importanza e ha il coraggio di ricondurlo alidi più sicuri. Non c’è da stupirsi: La venuta del re diFranza risponde pienamente alla tipologia librariache Chartaphilus rastrella da anni con gusto e indi-scusse capacità bibliografiche. Nella primaveradell’anno successivo la deliziosa plaquette è ufficial-mente presentata alla XXII Mostra del Libro Anti-co di Milano (organizzata dalla Biblioteca di via Se-nato e da Publitalia ’80, e tenutasi dall’11 al 13 mar-zo 2011). In quell’occasione e nei mesi successivi laSoprintendenza non seppe andare oltre l’imman-cabile notifica di rito; nessuna biblioteca, complicela cronica stucchevole cantilena della mancanza difondi, poté o seppe farsi avanti, nonostante l’incu-nabolo meritasse di trovare definitiva collocazione‘a uso pubblico’ alla Queriniana di Brescia (tornan-do dunque nella città di origine che custodisce uncospicuo corpus di edizioni uscite dai torchi di Bat-tista Farfengo) o presso istituzioni che conservanoanalogo materiale cavalleresco (alludo alla Brai-dense o alla Trivulziana di Milano, o alla Cini di Ve-nezia). Il fascino dell’incunabolo (a mio giudizio illibro più intrigante passato sul mercato negli ultimidecenni, di cui diedi tempestiva notizia dalle paginedella Domenica del Sole24ore),11 non poteva la-sciare a lungo indifferenti i palati più fini. Pertanto,un paio d’anni dopo, era nuovamente in mani pri-vate, con buona pace degli italianisti che ancora perchissà quanto non avranno la possibilità di studiareuno dei più vivaci e coloriti cantari celebranti la bat-taglia di Fornovo. Ovviamente chi scrive ne ha fat-to, all’epoca, una tempestiva trascrizione di cui sioffrono qui un paio di ottave in cui l’anonimo can-terino sbeffeggia, con malcelati doppi sensi, l’occu-pazione francese del regno di Napoli e un’ottavatratta dallo scontro finale a Fornovo:

Napolitani gli donan la terracredendo ritrovar lana francesca,12

onde gli galli comincion far guerrabalando con le donne a la moresca13

a lanza e scudo in letto in su per terradi suso in zoso se chiama tal tresca;se cavalcava sol con un speronestava la barca drita col temone.14

Credi che se potevan ben pararele mosche da la longa con tal codenapolitano o che volesti farecon tradimenti agumentar tua lode?Un altro tema te convien impararefata in franceso con mirabel prodoo quante donne si trovan contentebeccando15 spesso de sì dolce spente.16

Salta a cavallo e prese la sua lanzal’almeto in testa e la sua spada a latoe corse incontra al cavalier di Franzapassogli el petto e’l fianco e lo costatoel gal cascan lo fece un ballo e danzaponendo el culo sopra el verde pratoe disse el Mantuan che non se perdegli can te mangeran con salsa verde.

A distanza di oltre un secolo si può riprendereil filo del discorso, a suo tempo solo avviato da No-vati e De Marinis, nonché studiare da vicino unpiccolo gioiello dell’editoria rinascimentale, frut-to di squisita sensibilità estetica e tipografica. Ava-ro di informazioni sulla propria storia anteriore alNovecento (dove è rimasto sepolto per circa quat-tro secoli?), l’esemplare (ora Milano, collezioneprivata) presenta legatura novecentesca in maroc-chino nocciola, con unghiatura dorata, filettaturaperimetrale ai piatti in oro, titulus al dorso («La ve-nuta del re di Franza in Italia – Bressa sec. XV»), ri-sguardi in carta marmorizzata e fogli di guardiamoderni. Qualora si tratti (come è probabilissimo)della copia già appartenuta a Paolo Gaffuri all’epo-

Page 30: Scarica l'edizione di giugno

ca con legatura da manoscritto membranaceo diriuso descritta da Novati, è allora evidente che lavecchia (forse originale?) coperta pergamenaceasia stata sostituita in occasione del passaggio a DeMarinis o al successivo possessore con una più raf-finata legatura à la page. Nonostante l’assenzadell’esplicito ex libris cartaceo al risguardo anterio-re, un appunto a matita al primo foglio di guardiaconferma che fu venduto da De Marinis a un ano-nimo collezionista italiano nel dicembre 1951:«Acq. da De Marinis XII-51. £ 200.000». La notad’acquisto confessa infine che De Marinis tratten-ne dunque privatamente la plaquette sino al 1951,ben oltre la cessazione ufficiale della sua attività diantiquario.

Veniamo ora al libro, il cui fascino risiede so-

prattutto nell’esuberante corredo iconografico. Èlecito supporre che il Principe d’Essling e FairfaxMurray, autentici rivali a inizio Novecento nelcontendersi le edizioni italiane illustrate del Rina-scimento, avrebbero fatto follie pur di averlo. GiàNovati e De Marinis si erano accorti che BattistaFarfengo, per ragioni solo parzialmente intuibili,aveva qui fatto ricorso all’arma dell’illustrazionelibraria assai più generosamente che in altre stam-pe da lui licenziate, concentrando in quattro carteben cinque vignette silografiche, l’ultima dellequali addirittura a piena pagina. È evidente che lapresenza di un tale corpus illustrativo rendesse fi-nora ancora più grave la perdita dell’unico esem-plare sopravvissuto. L’impressione è che il ciclo il-lustrativo de La venuta del re di Franza, forse alme-

28 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

Sopra da sinistra: Albertus Magnus, Liber aggregationis; De mirabilibus mundi (it.), Brescia, B. Farfengo, 19 dicembre 1494,

silografia a c. 1r; La legenda de sancti Faustino e Giovita, Brescia, B. Farfengo, 1490, silografia dei due santi patroni alla c. 1r

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29giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

no in parte allestito per l’occasione, fu impiegato edisposto con squisita attenzione, al fine di offrireun prodotto dalla calibratissima mise en page.L’impiego di un così alto numero di silografie con-tribuisce in primo luogo a movimentare la nar-razione tipografica, rompendo la staticità delladisposizione testuale di 5 ottave per colonna. La si-lografia alla prima carta (mm 67 x 102), chiusa daun doppio filetto perimetrale e collocata, secondouna consuetudine piuttosto diffusa nell’illustra-zione libraria quattrocentesca, fra l’occhietto chetramanda il titolo completo del poemetto («La ue-nuta del re di Franza in Italia e la rotta») e l’incipitdel testo, riproduce un soggetto destinato a largafortuna, non solo in edizioni cavalleresche: un recoronato, assiso in trono, assistito da una foltaschiera di guerrieri e consiglieri. Non più impiega-ta dal Farfengo, né tantomeno in posteriori edizio-ni bresciane (o almeno in nessuna di quelle soprav-vissute), la silografia trovò invece uno stuolo diammiratori nel circuito della tipografia milaneseche sembra averne particolarmente apprezzatonon solo il tema, ma anche la vivacità della scena,tanto da commissionarne un rifacimento specula-re per almeno tre edizioni cavalleresche impresse adistanza di una quindicina d’anni (rispettivamente1511, 1512 e 1513).17 Una copia speculare (mm 65x 95) che, pur con alcune palesi differenze, si man-tiene piuttosto vicina all’originale persino in alcu-ni particolari minuti (predella del trono con picco-lo avancorpo curvilineo, ricco collare del re confermaglio circolare pendente, mano del re portataalla cintura, guerriero con corta lancia in mano euno in primo piano che si appoggia alla spada), ènella bottega di Giovann’Angelo Scinzenzeler, ilquale ne fa uso all’incipit (c. a2r) dell’Altobello histo-riato edito nel 1511,18 per poi reimpiegarla nel Da-nese del 1513.19 Alla seconda colonna di c.2r Far-fengo introduce una silografia equilibrata che be-ne si inserisce nello spazio di due ottave (mm 62 x54) senza troppo alterare la mise en page. Il soggettoè attinente al testo narrato e riproduce, con buona

resa dei movimenti, l’attimo in cui un cavaliere di-sarciona l’avversario mandandone in frantumi lalancia. La scena, solo intuibile dalla descrizioneper certi versi fuorviante fattane a suo tempo daNovati («due cavalieri che, dopo aver spezzate lelancie, posta mano alla spada, sono in atto di ferir-si»),20 è inquadrata in uno spazio chiaramente divi-so fra il terreno bianco in primo piano che si apre inprofonde fenditure e, sullo sfondo, il cielo nero at-traversato da caratteristiche nuvolette rigonfie olanceolate. La silografia successiva (c.4r), anch’es-sa finora inedita nella produzione dell’officinaFarfengo, raffigura un drappello di sei cavalieri(disposti circolarmente attorno al cavaliere in pri-mo piano che rappresenta l’asse centrale dellacomposizione) con armatura, visiera calata e lance

Campora Jacopo, Dell’immortalità dell’anima, Brescia, B.

Farfengo, 3 marzo 1498, silografia a c. 1r

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30 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

in resta, accompagnati da due servitori a piedi cheprovvedono ai cavalli. Novati, pur omettendo ogniaccenno all’impostazione grafica della pagina, neaveva data una descrizione qui sostanzialmentedettagliata e veritiera: «molti guerrieri armati ditutto punto, assistiti dai loro paggi, paiono accin-gersi a partire per varie direzioni dopo una so-sta».21 Infine, al verso dell’ultima carta, al lettoreera offerta una silografia a piena pagina di grandepregio. Forse in origine sciolta, ossia destinata alcommercio di singole illustrazioni di argomentoprofano, racchiusa da un’elegante bordura a fondonero a motivi geometrici correnti, raffigura duecavalieri a capo scoperto e coronati, reggenti duevessilli crocesignati mossi dal vento. È altrettantoevidente, e forse voluta, una certa contrappo-sizione di età fra i due personaggi. La figura di de-stra, palesemente più giovane, rivela una certa deli-catezza e quasi un intenerimento nei lineamenti,

mentre la maggiore età del cavaliere di sinistra èresa evidente dalla severità dello sguardo e la foltabarba che ne incornicia il viso. Indizi di un’ulteri-ore caratterizzazione distintiva paiono il collareche scende sul petto e la corona con dettagli realis-tici di fattura. Chi siano poi realmente i due per-sonaggi rappresentati è questione a lungo discussache vale la pena qui riprendere. Francesco Novati,il primo a descrivere la silografia, non sembraavere alcuna perplessità interpretativa: sebbeneimpiegata in un poemetto di materia profana, l’in-cisione raffigura i santi patroni della città Faustinoe Giovita (ma lo stendardo con la croce è attributoun po’ generico comune a molti altri) e va messa inrelazione con la silografia in apertura de La legendade sancti Faustino e Giovita impressa dallo stessoFarfengo nel 1490, almeno quindi cinque anni pri-ma de La venuta del re di Franza.22 Altrettanta si-curezza ostenta De Marinis nel 1925 nel sostenere

NOTE1 GIANCARLO PETRELLA, Fra testo e imma-

gine. Stampe popolari del Rinascimentoin una miscellanea ottocentesca, presen-

tazione di Dennis E. Rhodes, Udine, Fo-

rum, 2009, p. 9.2 Su Battista Farfengo, in attesa di una

più ampia monografia, che conterrà an-

che gli annali, cui sto attendendo da oltre

dieci anni, si veda il contributo BattistaFarfengo e l’illustrazione libraria a Brescianel Quattrocento, in GIANCARLO PETRELLA,

Uomini, torchi e libri nel Rinascimento,

presentazione di Luigi Balsamo, Udine,

Forum, 2007, pp. 19-105; GIANCARLO PE-

TRELLA, Questioni aperte di incunabolisti-ca. La venuta del re di Franza, La guerra del

Moro e alcuni incunaboli perduti o riattri-buiti, «La Bibliofilia», CXIII, 2011, pp. 117-

154.

3 FRANCESCO NOVATI, D’un ignoto poe-metto del Fossa sulla calata di Carlo VIII inItalia, «Archivio Storico Lombardo», s. 3,

XIII, 1900, pp. 126-136.4 Il poemetto è conteso tra due espo-

nenti della famiglia cremonese dei Fossa

attivi negli stessi anni tra la metà del

Quattrocento e i primi anni del Cinque-

cento: Evangelista, frate dell’Ordine dei

Servi di Maria, e Matteo Fossa, poeta atti-

vo alla corte degli Sforza. Propendono or-

mai ad attribuirlo a Evangelista Fossa, già

autore del poemetto in versi maccheroni-

ci Virgiliana e del poemetto cavalleresco Illibro de lo innamoramento di Galvano,

MARIA L. LIPPI, Evangelista Fossa. Note bio-grafiche e problemi attributivi, «Lettere

Italiane», XXXIV, 1982, pp. 55-73: 71-72;

C. SCARPA in Dizionario Biografico degliItaliani, XLIX, Roma, Istituto dell’Enciclo-

pedia italiana, 1997, pp. 476-478. Non ri-

solve invece l’attribuzione fra i due Fossa

NEIL HARRIS, L’avventura editorialedell’«Orlando innamorato», in I libri di «Or-lando innamorato», Modena, Panini,

1987, pp. 35-100: 57-58.5 Sul personaggio si rinvia a Empo-

rium e l’Istituto Italiano d’Arti Grafiche1895-1915, a cura di G. Mirandola, Ber-

gamo, Nuovo Istituto d’Arti Grafiche,

1985. Di lì a poco Novati avrebbe reso noti

altri due poemetti di argomento affine

posseduti ancora dall’amico Gaffuri

(FRANCESCO NOVATI, Poemetti volgari ignotisulla calata di Carlo VIII in Italia, «Archivio

Storico Lombardo», s. 3, XV, 1901, pp. 421-

423).6 Da MAX SIMHART, Stampe popolari

italiane del secolo XVI nella Biblioteca Ba-varese di Stato, «La Bibliofilia», XXXV,

Page 33: Scarica l'edizione di giugno

la tesi opposta, ossia che si tratti di soggetto pro-fano e che i due cavalieri raffigurati siano due capidelle truppe della Lega antifrancese. La tesi saràripetuta senza alcuna discussione anche nel reper-torio allestito da Max Sander e poi da Samek Lu-dovici al quale, più che l’identificazione, premeràcogliere «l’ascendenza latamente mantegnesca»dell’intaglio.23 Dal versante della storiografiabresciana, Giorgio Nicodemi in un articolo del1925 e Carlo Pasero nel suo contributo all’illus-trazione libraria bresciana del 1928 riaccostano in-vece la silografia alle rappresentazioni popolari eartistiche coeve o primo cinquecentesche che raf-figurano i santi Faustino e Giovita non più nellevesti sacerdotali ma in quelle di cavalieri.24 Identifi-cando i due cavalieri con i patroni della città, si av-valorerebbe perciò l’ipotesi che anche in questacircostanza sia stata impiegata, come in altre edi-zioni, una silografia sciolta, forse già presente in

bottega o recuperata sul mercato dei fogli volanti edelle immagini popolari, il cui soggetto, non cosìdichiaratamente religioso, poteva benissimo es-sere riciclato per l’occasione e adattarsi anche a unpoemetto in ottave di argomento storico. Né puòescludersi l’ipotesi che invece il legno, indipen-dentemente dal fatto che raffiguri due personaggistorici e non invece due anonimi cavalieri, sia statoinciso per questa edizione. Rovesciando il punto divista e provando ora a riflettere sulla ricezione delpoemetto, è necessario domandarsi se i lettori coe-vi apprezzassero nella silografia un affascinantequanto generico tema cavalleresco, o riconosces-sero invece senza remore nella coppia coronatadue personaggi storici della Lega antifrancese.Una stessa silografia poteva prestarsi a letture e in-terpretazioni differenti, al di là delle intenzioni deltipografo che ne assicurava la circolazione su piùampia scala. Se infatti il pubblico locale, cui era ri-

1933, pp. 129-149: 145 apprendiamo sol-

tanto che l’incunabolo (all’epoca già mu-

tilo del mezzo foglio tipografico interno)

aveva segnatura 4° P. o .it. 383/20 e faceva

parte di una miscellanea contenente 38

edizioni popolari italiane dal Quattro al

Settecento andata distrutta in seguito ai

bombardamenti sulla città del marzo

1943.7 La Fondazione Giorgio Cini. Cin-

quant’anni di storia, a cura di Ulrico

Agnati, Milano, Electa, 2001; DENNIS E.

RHODES, Catalogo del fondo librario anticodella Fondazione Giorgio Cini, Firenze, Ol-

schki, 2011.8 Vendita all’asta della preziosa colle-

zione proveniente dalla cessata libreriaDe Marinis, 3 voll., Milano, U. Hoepli,

1925-1926. Le altre tre edizioni Farfengo

registrate nel catalogo del 1925 (Fiore di

virtù 1491, Ovidio, Eroidi 1491 e Presa diGranata s.n.t.) si conservano alla Biblio-

teca della Fondazione Giorgio Cini con le

segnature rispettivamente Cini 921, 919,

966. Su Tammaro De Marinis (1878-1969)

si veda FRANCA PETRUCCI NARDELLI, TammaroDe Marinis, in Collezionismo, restauro eantiquariato librario, a cura di Maria Cri-

stina Misiti, Milano, S. Bonnard, 2002, pp.

77-105, con ampia bibliografia pregressa,

cui si aggiunga il più recente MASSIMO GAT-

TA, «Noi cominciammo per diletto». Il filo-sofo e il libraio antiquario, tra stampatorie antichi volumi, in BENEDETTO CROCE, Stam-patori e librai in Napoli nella prima metàdel Settecento, a cura di Massimo Gatta,

Macerata, Biblohaus, 2010, pp. 79-140.9 L’asta si svolse nella sede londinese

di New Bond Street il 4 dicembre 2002. Il

poemetto impresso dal Farfengo era il

lotto 41, uno dei pochi rimasti invenduti

(Continental Books and Manuscripts,

London, Sotheby’s, 2002, p. 40: «unique

copy from the collection of Tammaro De

Marinis»).10 Bibliothèque Pierre Berès. 80 ans de

passion, Paris, Pierre Berge & Associes,

2005-2007.11 GIANCARLO PETRELLA, Il raro incunabo-

lo ritrovato, «Il Sole24ore», 25 settembre

2011, p. 31.12 Stoffe pregiate, per traslato ottene-

re vantaggi.13 Danza sfrenata con evidente allu-

sione sessuale.14 Allusioni oscene alle violenze per-

petrate dai Francesi alle donne del Regno

di Napoli.15 Ottenendo, ma con allusione alle

galline citate più sopra.

giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 31

Page 34: Scarica l'edizione di giugno

volto in prima battuta il prodotto, poteva assecon-dare l’identificazione, suggerita o meno dal Far-fengo, dei due cavalieri con i santi patroni che se-condo la tradizione locale erano apparsi sugli spaltidel Roverotto il 13 dicembre del 1438 liberando lacittà dalle truppe assedianti del Piccinino,25 lonta-no da Brescia la silografia perdeva i suoi connotatimunicipalistici, tornando a suggerire una genericainterpretazione cavalleresca o piuttosto una chiaraallusione agli uomini d’arme che presero parte allabattaglia di Fornovo. Di certo quello che è oggi unraffinatissimo pezzo per bibliofili, in origine erapressappoco un instant book di facile smercio (enon troppo costo), stampato in pochi giorni di la-voro per un pubblico di artigiani, mercanti e popo-lani. L’arma dell’illustrazione veniva incontro a chifosse poco pratico del volgare e seguisse piuttostoil cantare letto da altri.

32 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

16 Colpi, ancora con chiara allusione

sessuale.17 L’origine bresciana della silografia

del re in trono che circola a Milano a inizio

Cinquecento era ignota sia a LUIGI BALSA-

MO, Giovann’Angelo Scinzenzeler tipogra-fo in Milano (1500-1526), Firenze, Sanso-

ni Antiquariato, 1959, nn. 92, 109, sia so-

prattutto a SERGIO SAMEK LUDOVICI, Illustra-zione del libro e incisione in Lombardia nelQuattrocento e Cinquecento, Modena,

Artioli, 1960, p. 38 nota 17.18 Altobello historiato. Libro delle bat-

taglie deli baroni di Franza, Milano, G. A.

Scinzenzeler, 16 luglio 1511 (L. BALSAMO,

Giovann’Angelo Scinzenzeler, n. 92 regi-

stra un unico esemplare presso la British

Library; EDIT16 on line CNCE 70318 non

registra alcun esemplare in biblioteche

pubbliche italiane).19 Libro de le bataie del Danese, Mila-

no, G. A. Scinzenzeler, 12 maggio 1513 (L.

BALSAMO, Giovann’Angelo Scinzenzeler, n.

109 registra due soli esemplari presso la

Biblioteca Braidense di Milano e la British

Library di Londra; EDIT16 on line CNCE

49802).20 F. NOVATI, D’un ignoto poemetto, p.

128.21 F. NOVATI, D’un ignoto poemetto, p.

127.22 F. NOVATI, D’un ignoto poemetto, p.

127 nota 3.23 T. DE MARINIS, Anciens livres, p. 44;

SANDER n. 2912; S. SAMEK LUDOVICI, Illustra-zione del libro, p. 43.

24 GIORGIO NICODEMI, La iconografia deisanti Faustino e Giovita, «Arte Cristiana»,

XIII, 1925, 2, pp. 41-55; CARLO PASERO, Le xi-lografie dei libri bresciani dal 1483 alla se-conda metà del XVI secolo, Brescia, Scuola

tipografica Istituto figli di Maria Immaco-

lata, 1928, p. 176.25 ENNIO FERRAGLIO, La città ed i patroni:

Brescia ed un miracolo controverso, in

Florentissima proles ecclesiae. Miscella-nea hagiographica, historica et liturgicaReginaldo Grégoire oblata, a cura di D.

Gobbi, Trento, Civis, 1996, pp. 241-267.

Historia de Apollonio de Tiro, Milano, P. Martire Mantegazza

per fratelli Da Legnano, 15 novembre 1506, silografia a c. 1r

ispirata alla silografia bresciana del re in trono

Page 35: Scarica l'edizione di giugno

giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 33

L E M O S T R E – L O S C A F F A L E – N O V I T À E D I T O R I A L I

inSEDICESIMO

I l successo, soprattutto postumo, diHenri-Julien-Félix Rousseau (1844-1910) si fonda su un’immagine

naif: per tutta la vita desideroso diconsensi ufficiali, egli si trova, forsesuo malgrado, a diventare un punto diriferimento per le avanguardie storiche,che vedono in lui un esempio dipurezza primitiva, il ritorno aun’autenticità espressiva spogliata diretoriche e sentimentalismiottocenteschi. Non per nulla Picasso,prima ancora di organizzare una festain suo onore, acquista un quadro del“Douanier”, mentre GuillaumeApollinaire lo canta come un maestro.Tanti pittori, da Carrà a Morandi,

guarderanno a lui e sulla sua lezionericostruiranno una grammatica delvisivo, a partire da quando ArdengoSoffici, il suo primo e più accesosostenitore in Italia, ne acquisterà unatela di natura morta nel 1910. Proprioin quegli anni, infatti, Soffici scriveràdelle pagine bellissime su quella pittura«più ingenua, più candida, piùvirginale». Egli ipotizzava anzi una«stramba galleria di opere d’arte» fattadi «teloni da saltimbanchi, vecchiparafuoco, insegne di latterie, dialberghi, di barbieri […]; tabernacoli divillaggio, ex voto, ballerine e soldati dabaracconi di fiera, nature morte sopragli usci, affreschi di salotti d’osterie

campagnole» in cui anche un«cartellone di cocomeraio», espressionedestinata a grande fortuna nellapittura italiana degli anni Dieci,avrebbe assunto un valore inestimabile.Soffici lo collocava su questo sfondo,sebbene «ciò che differenzia HenriRousseau dai suoi fratelli popolari –deiquali ha tuttavia i mezzi d’espressionee la mancanza di facondia pittorica- èla sua tendenza verso il fantastico, especialmente la sua passione quasinostalgica per gli spettacoli e la vita dipaesi esotici […] che si sfoga incomposizioni numerose, immense,dove il grottesco si sposa al tenero,l’assurdo al magnifico, e l’assolutobislacco all’innegabile bello e poetico».Lo scarto, insomma, è sul pianodell’invenzione fantastica, che permette

LA MOSTRA/1CANDIDO E CONSAPEVOLEHenri Rousseau a Veneziaa cura di luca pietro nicoletti

Sopra: Henri Rousseau, Le Navire dans la

tempête/ Transatlantico in tempesta, 1899 ca.

Parigi, Musée de l'Orangerie, Collection J.

Walter- P. Guillaume, © RMN-Grand Palais

(Musée de l’Orangerie)/Franck Raux.

A sinistra: Henri Rousseau, La Guerre dit aussi

La chevauchée de la Discorde/ La Guerra detta

anche La cavalcata della Discordia, 1894 ca.,

Parigi, Musée d'Orsay, © RMN-Grand Palais

(Musée d’Orsay)/Tony Querrec

giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 33

L E M O S T R E – L O S C A F F A L E – N O V I T À E D I T O R I A L I

inSEDICESIMO

I l successo, soprattutto postumo, diHenri-Julien-Félix Rousseau (1844-1910) si fonda su un’immagine

naif: per tutta la vita desideroso diconsensi ufficiali, egli si trova, forsesuo malgrado, a diventare un punto diriferimento per le avanguardie storiche,che vedono in lui un esempio dipurezza primitiva, il ritorno aun’autenticità espressiva spogliata diretoriche e sentimentalismiottocenteschi. Non per nulla Picasso,prima ancora di organizzare una festain suo onore, acquista un quadro del“Douanier”, mentre GuillaumeApollinaire lo canta come un maestro.Tanti pittori, da Carrà a Morandi,

guarderanno a lui e sulla sua lezionericostruiranno una grammatica delvisivo, a partire da quando ArdengoSoffici, il suo primo e più accesosostenitore in Italia, ne acquisterà unatela di natura morta nel 1910. Proprioin quegli anni, infatti, Soffici scriveràdelle pagine bellissime su quella pittura«più ingenua, più candida, piùvirginale». Egli ipotizzava anzi una«stramba galleria di opere d’arte» fattadi «teloni da saltimbanchi, vecchiparafuoco, insegne di latterie, dialberghi, di barbieri […]; tabernacoli divillaggio, ex voto, ballerine e soldati dabaracconi di fiera, nature morte sopragli usci, affreschi di salotti d’osterie

campagnole» in cui anche un«cartellone di cocomeraio», espressionedestinata a grande fortuna nellapittura italiana degli anni Dieci,avrebbe assunto un valore inestimabile.Soffici lo collocava su questo sfondo,sebbene «ciò che differenzia HenriRousseau dai suoi fratelli popolari –deiquali ha tuttavia i mezzi d’espressionee la mancanza di facondia pittorica- èla sua tendenza verso il fantastico, especialmente la sua passione quasinostalgica per gli spettacoli e la vita dipaesi esotici […] che si sfoga incomposizioni numerose, immense,dove il grottesco si sposa al tenero,l’assurdo al magnifico, e l’assolutobislacco all’innegabile bello e poetico».Lo scarto, insomma, è sul pianodell’invenzione fantastica, che permette

LA MOSTRA/1CANDIDO E CONSAPEVOLEHenri Rousseau a Veneziaa cura di luca pietro nicoletti

Sopra: Henri Rousseau, Le Navire dans la

tempête/ Transatlantico in tempesta, 1899 ca.

Parigi, Musée de l'Orangerie, Collection J.

Walter- P. Guillaume, © RMN-Grand Palais

(Musée de l’Orangerie)/Franck Raux.

A sinistra: Henri Rousseau, La Guerre dit aussi

La chevauchée de la Discorde/ La Guerra detta

anche La cavalcata della Discordia, 1894 ca.,

Parigi, Musée d'Orsay, © RMN-Grand Palais

(Musée d’Orsay)/Tony Querrec

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la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 201534 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 201534

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giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 35

al Doganiere di cimentarsi con temiesotici, di raccontare con la pitturaterre che non ha visitato e atmosfereche non ha vissuto, con l’aria di unOriente trasognato e onirico per comelo può immaginare l’Occidente: «eglivive in un mondo strano, fantastico ereale ad un tempo: […] si compiacenella dovizia lussureggiante delleverdure, dei frutti e dei fiori, nellacompagnia immaginaria d’animali, dibelve e d’uccelli; come lui passa la vitanel lavoro ignorato, raccolto e paziente,salutato da risa e da scherni ogni voltaesce dalla sua solitudine per mostrareal mondo il frutto delle sue fatiche». Intal senso, in effetti, Rousseau lancia unsasso oltre l’avanguardia, e si posizionain un altro mondo, assai utile per aprireuna nuova via alla pittura.

In questa luce, infatti, l’opera delDoganiere appare autonoma rispetto aldiagramma della modernità, come seprocedesse su un binario autonomo, indialogo con fonti visive di largacircolazione più che con modelli aulici:c’è il mondo “senza tempo” degli ex-voto e della cultura popolare ricordata

da Soffici, ci sono le visite ai giardinibotanici e, senza dubbio, laconsultazione di quei grandi volumiillustrati con incisioni e disegni dipiante e fiori d’oltreoceano, ma c’èanche in lui una consapevolezza eun’astuzia tipici di un artista avvezzo al

clima, agli usi e alle strategie dellegrandi esposizioni, che poco hanno ache fare con il santino del pittorepovero di mezzi ma di doti geniali. Nelsuo studiato candore, Rousseau ètutt’altro che ingenuo e inconsapevole,anzi è un pittore con dei precisiobbiettivi. Ne è una prova la pitturastessa, con una conduzione del quadrocontrollatissima e di tenuta qualitativacostante sul piccolo quanto sul grandeformato, e con tutte le ambizioni divisibilità e programmaticità che siaccompagnano, nella modernità, alleopere di notevoli dimensioni. Questonon lo spaventa affatto, come non lopreoccupa cimentarsi con composizioniimpegnative per numero di personaggie retorica iconografica. Credo ci siaanche una certa consapevolezza nelricorso a certi formati storicamentecodificati, come nel caso di un piccoloquadro lungo e stretto dedicato allaRivoluzione Francese come La

A destra: Henri Rousseau, La Charmeuse de

serpents / L’Incantatrice di serpenti, 1907,

Parigi, Musée d'Orsay, © RMN-Grand Palais

(Musée d’Orsay)/Hervé Lewandowski. Sotto:

Frida Kahlo (Coyoacàn, Città del Messico,

1907-1954), Retrato de una dama en blanco/

Ritratto di donna in bianco, 1929, Berlino,

Collezione privata, ©Banco de México Diego

Rivera Frida Kahlo Museums Trust, Mexico, D.F.

by SIAE 2015. Nella pagina accanto: Henri

Rousseau, Moi-même, portrait-paysage/Io:

ritratto-paesaggio. 1889-1890, Praga, Národní

galerie, acquisto dello Stato Cecoslovacco

nel 1923 © White Images/Scala, Firenze

giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 35

al Doganiere di cimentarsi con temiesotici, di raccontare con la pitturaterre che non ha visitato e atmosfereche non ha vissuto, con l’aria di unOriente trasognato e onirico per comelo può immaginare l’Occidente: «eglivive in un mondo strano, fantastico ereale ad un tempo: […] si compiacenella dovizia lussureggiante delleverdure, dei frutti e dei fiori, nellacompagnia immaginaria d’animali, dibelve e d’uccelli; come lui passa la vitanel lavoro ignorato, raccolto e paziente,salutato da risa e da scherni ogni voltaesce dalla sua solitudine per mostrareal mondo il frutto delle sue fatiche». Intal senso, in effetti, Rousseau lancia unsasso oltre l’avanguardia, e si posizionain un altro mondo, assai utile per aprireuna nuova via alla pittura.

In questa luce, infatti, l’opera delDoganiere appare autonoma rispetto aldiagramma della modernità, come seprocedesse su un binario autonomo, indialogo con fonti visive di largacircolazione più che con modelli aulici:c’è il mondo “senza tempo” degli ex-voto e della cultura popolare ricordata

da Soffici, ci sono le visite ai giardinibotanici e, senza dubbio, laconsultazione di quei grandi volumiillustrati con incisioni e disegni dipiante e fiori d’oltreoceano, ma c’èanche in lui una consapevolezza eun’astuzia tipici di un artista avvezzo al

clima, agli usi e alle strategie dellegrandi esposizioni, che poco hanno ache fare con il santino del pittorepovero di mezzi ma di doti geniali. Nelsuo studiato candore, Rousseau ètutt’altro che ingenuo e inconsapevole,anzi è un pittore con dei precisiobbiettivi. Ne è una prova la pitturastessa, con una conduzione del quadrocontrollatissima e di tenuta qualitativacostante sul piccolo quanto sul grandeformato, e con tutte le ambizioni divisibilità e programmaticità che siaccompagnano, nella modernità, alleopere di notevoli dimensioni. Questonon lo spaventa affatto, come non lopreoccupa cimentarsi con composizioniimpegnative per numero di personaggie retorica iconografica. Credo ci siaanche una certa consapevolezza nelricorso a certi formati storicamentecodificati, come nel caso di un piccoloquadro lungo e stretto dedicato allaRivoluzione Francese come La

A destra: Henri Rousseau, La Charmeuse de

serpents / L’Incantatrice di serpenti, 1907,

Parigi, Musée d'Orsay, © RMN-Grand Palais

(Musée d’Orsay)/Hervé Lewandowski. Sotto:

Frida Kahlo (Coyoacàn, Città del Messico,

1907-1954), Retrato de una dama en blanco/

Ritratto di donna in bianco, 1929, Berlino,

Collezione privata, ©Banco de México Diego

Rivera Frida Kahlo Museums Trust, Mexico, D.F.

by SIAE 2015. Nella pagina accanto: Henri

Rousseau, Moi-même, portrait-paysage/Io:

ritratto-paesaggio. 1889-1890, Praga, Národní

galerie, acquisto dello Stato Cecoslovacco

nel 1923 © White Images/Scala, Firenze

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carmagnole del 1893, giocato suaccordi di verde, bianco e rosso garruloe brillante, che fa pensare a unapredella o, meglio ancora, a un dipintoda cassone: lo spirito, l’animazione perpiccole figure che diventano macchiedi colore, il controllo della pittura comese fosse una sgargiante miniatura, faquasi pensare che voglia “fare il verso”a generi e a forme della narrazionetramandate dalla storia dell’arte.Oppure, in certi paesaggi, egli fa unuso consapevole, credo, dei registridella pittura di paesaggio, ma voltiquasi in caricatura quando i cieliatmosferici, persino carichi di nubi,vengono congelati in una formulacristallina. Dal punto di vistastrettamente pittorico, Rousseau èsempre tecnicamente diligente: sfumail colore scurendo o schiarendo la tinta,raggiungendo un effetto di nitidezzaquasi artificioso, se non addirittura

araldico, di certo straniante. Spessostacca le forme con un contorno chiarodi finitura che marca un controlucenetto, come si vede bene neL’incantatrice di serpenti del 1907,dall’ombra scura della donna chesuona al lungo boa che si confondenella vegetazione, alle acque ferme delfiume tradotte in linee di colore spesso,un po’ sgranato sulla tela. Sono teleche procedono per accumulo ereiterazione di elementi, con unagiustapposizione di figure tutte allostesso livello di nitidezza, ritagliate eappiattite fra primo piano e sfondo

reciprocamente interferenti, come semancasse un illusorio spazio diatmosfera: il passo successivo, come hafatto notare Flavio Fergonzi, sarebbestato fatto dalle avanguardie nelladirezione del collage, specie nella sualettura come campitura piatta che nediede Clement Greenberg (e dell’usoche di Rousseau farà Giulio Paolini nelsuo Autoritratto del 1968).

La scelta di fondo operata daRousseau, alla fine, è di un’accentuataiconicità, che cattura l’attenzione conla sua esattezza e politezza disuperficie senza lasciarsi distrarre daltocco di pennello o dal desiderio ditrovare traccia, nel quadro, della manodel pittore. Al contrario, egli escogitauna pittura di immagine, capace diimporsi sulla parete con la suaapparente semplicità e con unapregnante scelta iconografica anchequando lavora sulla moltiplicazionedegli elementi e la saturazione dellacomposizione (o forse proprio perquello). Non è di poco conto, in questosenso, osservare che la sua è unapittura che regge senza traumi lariproduzione fotografica, a coloriquanto in bianco e nero, in un modoimpossibile a molta parte della pitturad’avanguardia, tutta concentrata sueffetti retinici di rapporti fra luce ecolore. Non si fatica a immaginare cheal Salon d’Automne del 1905, quandoespone nella stessa sala di Matisse,Derain e Vlamink, guadagnando algruppo l’appellativo di “fauves”, il suoquadro, per via di queste accortezze dinatura cartellonistica, ma portate a unalto livello di sofisticazione, nonpassasse inosservato, o colpissel’attenzione più degli altri.

HENRI ROUSSEAU. IL CANDORE ARCAICO A cura di Laurence des Cars e Claire Bernardi

VENEZIA, PALAZZO DUCALE

6 marzo – 5 luglio 2015

Vassily Kandinsky (Mosca, 1866-Neully-sur- Seine, Parigi, 1944), Schwarzer Fleck I / Macchia nera I,

1912, San Pietroburgo, The State Russian Museum, © Mondadori Portfolio/AKG Images

36 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

carmagnole del 1893, giocato suaccordi di verde, bianco e rosso garruloe brillante, che fa pensare a unapredella o, meglio ancora, a un dipintoda cassone: lo spirito, l’animazione perpiccole figure che diventano macchiedi colore, il controllo della pittura comese fosse una sgargiante miniatura, faquasi pensare che voglia “fare il verso”a generi e a forme della narrazionetramandate dalla storia dell’arte.Oppure, in certi paesaggi, egli fa unuso consapevole, credo, dei registridella pittura di paesaggio, ma voltiquasi in caricatura quando i cieliatmosferici, persino carichi di nubi,vengono congelati in una formulacristallina. Dal punto di vistastrettamente pittorico, Rousseau èsempre tecnicamente diligente: sfumail colore scurendo o schiarendo la tinta,raggiungendo un effetto di nitidezzaquasi artificioso, se non addirittura

araldico, di certo straniante. Spessostacca le forme con un contorno chiarodi finitura che marca un controlucenetto, come si vede bene neL’incantatrice di serpenti del 1907,dall’ombra scura della donna chesuona al lungo boa che si confondenella vegetazione, alle acque ferme delfiume tradotte in linee di colore spesso,un po’ sgranato sulla tela. Sono teleche procedono per accumulo ereiterazione di elementi, con unagiustapposizione di figure tutte allostesso livello di nitidezza, ritagliate eappiattite fra primo piano e sfondo

reciprocamente interferenti, come semancasse un illusorio spazio diatmosfera: il passo successivo, come hafatto notare Flavio Fergonzi, sarebbestato fatto dalle avanguardie nelladirezione del collage, specie nella sualettura come campitura piatta che nediede Clement Greenberg (e dell’usoche di Rousseau farà Giulio Paolini nelsuo Autoritratto del 1968).

La scelta di fondo operata daRousseau, alla fine, è di un’accentuataiconicità, che cattura l’attenzione conla sua esattezza e politezza disuperficie senza lasciarsi distrarre daltocco di pennello o dal desiderio ditrovare traccia, nel quadro, della manodel pittore. Al contrario, egli escogitauna pittura di immagine, capace diimporsi sulla parete con la suaapparente semplicità e con unapregnante scelta iconografica anchequando lavora sulla moltiplicazionedegli elementi e la saturazione dellacomposizione (o forse proprio perquello). Non è di poco conto, in questosenso, osservare che la sua è unapittura che regge senza traumi lariproduzione fotografica, a coloriquanto in bianco e nero, in un modoimpossibile a molta parte della pitturad’avanguardia, tutta concentrata sueffetti retinici di rapporti fra luce ecolore. Non si fatica a immaginare cheal Salon d’Automne del 1905, quandoespone nella stessa sala di Matisse,Derain e Vlamink, guadagnando algruppo l’appellativo di “fauves”, il suoquadro, per via di queste accortezze dinatura cartellonistica, ma portate a unalto livello di sofisticazione, nonpassasse inosservato, o colpissel’attenzione più degli altri.

HENRI ROUSSEAU.IL CANDORE ARCAICO A cura di Laurence des Cars e Claire Bernardi

VENEZIA, PALAZZO DUCALE

6 marzo – 5 luglio 2015

Vassily Kandinsky (Mosca, 1866-Neully-sur- Seine, Parigi, 1944), Schwarzer Fleck I / Macchia nera I,

1912, San Pietroburgo, The State Russian Museum, © Mondadori Portfolio/AKG Images

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38 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

LA MOSTRA/2VITO VACCARO A LAINATEFra Otto e Novecento

I n una piccola tavola del 1940,Vito Vaccaro (Palermo1887-Milano 1960), ha raffigurato

un’adolescente intenta nella lettura.La sua figura occupa quasi tutto lospazio della composizione. Stasfogliando un grande album illustrato(o un periodico?) dalla rilegaturamorbida, seduta su una pedanatrapezoidale. Si direbbe che è arrivatada poco, perché tiene ancora indossola giacca rossa, accanto a se hapoggiato una borsa, come se fosse inun momento di pausa, o di svago, o inattesa, seppure assorta nella lettura,che accada qualcosa. Vaccaro haoptato, in questa scena, per unaripresa leggermente dall’alto: ilriguardante è già entrato,virtualmente, nello spazio dellaragazza, è in piedi davanti a lei manon l’ha distolta dalle sue letture. Sidirebbe anzi che sia a una distanzasufficiente per vederla dalla testa aipiedi: la distanza di una persona che,dal proprio cavalletto, sta ritraendociò che a di fronte. Ci si rende conto,infatti, che Vaccaro è di quei pittoriche non possono dipingere nei loroquadri qualcosa che non hanno difronte nel momento in cui impostanola loro composizione, come se lapittura fosse un atto di fedeltà al veroche non accetta compromessi.Quando dipinge una natura morta,quindi, si deve pensare che si tratti difiori o di frutti che ha composto

ordinatamente davanti a sé per farneun dipinto, così come i paesaggi sonouna cronaca affidabile del dato reale,seppur tradotto con il tocco effusivo espesso franto di una pittura di affettie di sentimenti soffusi. Bisognadistogliere un attimo l’attenzionedalla figura in primo piano e porreattenzione allo sfondo: quella che auno sguardo distratto potevasembrare una porta o lo stipite di unarco, osservando bene ci si accorgeràche era invece una grande telarivoltata verso la parete che mostraben in evidenza il telaio, a cui èaccostata una tela più piccola, anchequesta rivolta verso la parete. Sonosegni inequivocabili che il dipintoraffigura un interno dello studio,secondo un’abitudine molto in vogagià nella pittura fra le due guerre, eche aveva già precedentiottocenteschi: non c’era una ragionenarrativa, a ben vedere, perrappresentare nell’economia delquadro le tele sullo sfondo. SeVaccaro le ha rappresentate vuol direche era importante, per lui, dire chequella scena si svolgeva in quellospazio preciso, pur senza indugiare inuna descrizione dell’interno.

Non si discosta da questoprincipio nemmeno quando cerca didissimulare quello spazio, ma alcontempo dipinge gli espedienti chegli consentono di celare quellapittoresca confusione descritta dalla

figlia Gioietta. In una bella tela dinudo del 1949, infatti, è evidente chedietro la modella, stancamentepoggiata con un braccio allo schienaledella sedia, Vaccaro ha steso untendaggio come sfondo, ma poi lo haraffigurato con tutte le sue pieghe epanneggiature anziché semplificato inun’unica campitura indistinta.Rispetto ad altre “accademie” di nudodipinte negli stessi anni, generichenell’ambientazione e più tradizionalinel trattamento, qui l’artista ha datoun tono di particolare verità: lagiovane nuda non è un idealeabbellito dall’arte del disegno, ma unadonna vera anche nella corporaturaun po’ stanca e tutt’altro che florida.Eppure, in questa tela Vaccaro èriuscito a restituire una situazionenarrativa. Oltre a un’evidentepartecipazione emotiva allamalinconia della modella, un po’annoiata di posare, egli ha connotatola sua figura con elementi di realtàche raramente si incontrano in questogenere di rappresentazioni: la suagiovane modella è nuda, ma indossadelle scarpe con il tacco e ha poggiatoil proprio cappotto verde alloschienale della sedia. Rispetto alvoluto anacronismo delle canonicherappresentazioni di nudo, calate in unnon-spazio senza tempo e senzaluogo, prive di spie che ne connotinol’appartenenza a un preciso momentostorico (che dal corpo non si puòdedurre), questa è una modellaveramente colta nello studio delpittore, intento al cavalletto allastessa distanza virtuale dal soggettogià riscontrata nella giovane chelegge. In entrambi i casi, e in molte

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LA MOSTRA/2VITO VACCARO A LAINATEFra Otto e Novecento

I n una piccola tavola del 1940,Vito Vaccaro (Palermo1887-Milano 1960), ha raffigurato

un’adolescente intenta nella lettura.La sua figura occupa quasi tutto lospazio della composizione. Stasfogliando un grande album illustrato(o un periodico?) dalla rilegaturamorbida, seduta su una pedanatrapezoidale. Si direbbe che è arrivatada poco, perché tiene ancora indossola giacca rossa, accanto a se hapoggiato una borsa, come se fosse inun momento di pausa, o di svago, o inattesa, seppure assorta nella lettura,che accada qualcosa. Vaccaro haoptato, in questa scena, per unaripresa leggermente dall’alto: ilriguardante è già entrato,virtualmente, nello spazio dellaragazza, è in piedi davanti a lei manon l’ha distolta dalle sue letture. Sidirebbe anzi che sia a una distanzasufficiente per vederla dalla testa aipiedi: la distanza di una persona che,dal proprio cavalletto, sta ritraendociò che a di fronte. Ci si rende conto,infatti, che Vaccaro è di quei pittoriche non possono dipingere nei loroquadri qualcosa che non hanno difronte nel momento in cui impostanola loro composizione, come se lapittura fosse un atto di fedeltà al veroche non accetta compromessi.Quando dipinge una natura morta,quindi, si deve pensare che si tratti difiori o di frutti che ha composto

ordinatamente davanti a sé per farneun dipinto, così come i paesaggi sonouna cronaca affidabile del dato reale,seppur tradotto con il tocco effusivo espesso franto di una pittura di affettie di sentimenti soffusi. Bisognadistogliere un attimo l’attenzionedalla figura in primo piano e porreattenzione allo sfondo: quella che auno sguardo distratto potevasembrare una porta o lo stipite di unarco, osservando bene ci si accorgeràche era invece una grande telarivoltata verso la parete che mostraben in evidenza il telaio, a cui èaccostata una tela più piccola, anchequesta rivolta verso la parete. Sonosegni inequivocabili che il dipintoraffigura un interno dello studio,secondo un’abitudine molto in vogagià nella pittura fra le due guerre, eche aveva già precedentiottocenteschi: non c’era una ragionenarrativa, a ben vedere, perrappresentare nell’economia delquadro le tele sullo sfondo. SeVaccaro le ha rappresentate vuol direche era importante, per lui, dire chequella scena si svolgeva in quellospazio preciso, pur senza indugiare inuna descrizione dell’interno.

Non si discosta da questoprincipio nemmeno quando cerca didissimulare quello spazio, ma alcontempo dipinge gli espedienti chegli consentono di celare quellapittoresca confusione descritta dalla

figlia Gioietta. In una bella tela dinudo del 1949, infatti, è evidente chedietro la modella, stancamentepoggiata con un braccio allo schienaledella sedia, Vaccaro ha steso untendaggio come sfondo, ma poi lo haraffigurato con tutte le sue pieghe epanneggiature anziché semplificato inun’unica campitura indistinta.Rispetto ad altre “accademie” di nudodipinte negli stessi anni, generichenell’ambientazione e più tradizionalinel trattamento, qui l’artista ha datoun tono di particolare verità: lagiovane nuda non è un idealeabbellito dall’arte del disegno, ma unadonna vera anche nella corporaturaun po’ stanca e tutt’altro che florida.Eppure, in questa tela Vaccaro èriuscito a restituire una situazionenarrativa. Oltre a un’evidentepartecipazione emotiva allamalinconia della modella, un po’annoiata di posare, egli ha connotatola sua figura con elementi di realtàche raramente si incontrano in questogenere di rappresentazioni: la suagiovane modella è nuda, ma indossadelle scarpe con il tacco e ha poggiatoil proprio cappotto verde alloschienale della sedia. Rispetto alvoluto anacronismo delle canonicherappresentazioni di nudo, calate in unnon-spazio senza tempo e senzaluogo, prive di spie che ne connotinol’appartenenza a un preciso momentostorico (che dal corpo non si puòdedurre), questa è una modellaveramente colta nello studio delpittore, intento al cavalletto allastessa distanza virtuale dal soggettogià riscontrata nella giovane chelegge. In entrambi i casi, e in molte

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delle sue composizioni in genere,Vaccaro si colloca infatti come unosservatore esterno che, si affaccia suuna realtà che conosce bene.Entrambi i quadri, apparentementecosì distanti per soggetto econtenuto, in realtà hanno un unicocomune denominatore: in entrambi icasi il tema di fondo è il ritratto dellostudio dell’artista che, nei casi piùprogrammatici che si annoveranonella storia dell’arte, equivale a unperenne autoritratto e a unacontinuativa riflessione sui terminidella pittura e della rappresentazione.Vaccaro non fa però di questoespediente un sofisticato dispositivoteorico, perché le radici del suolinguaggio sono ancora tutte calatetotalmente nella lezionedell’Ottocento, ma non può fare ameno di raffigurare quello che haintorno, come a voler raccontare ununiverso domestico rassicuranteperché familiare. Lo si nota ancora dipiù se si osservano altri quadri suoidel secondo dopoguerra: la stessasedia su cui è seduta la modella del1949 era già stata protagonista di duepiccole scene di una bimba con unabrocca (1945) e di una bimba cheimmerge le mani in un catino (1946),anche se qui l’ambientazione ègenerica e non si connota quanto idue esempi precedenti. Nel 1945,invece, dipinge una tela di internodomestico con un’anziana signoraintenta a cucire (seduta sulla solitasedia) e una bambina impegnata atrasportare un pesante recipiente insecondo piano, nelle vicinanze di ungrande catino. Questa volta non sononello studio dell’artista: i grandi

battenti sullo sfondo fanno pensarepiuttosto a un ambiente più grandedestinato alla vita di famiglia. Sullosfondo, infatti, si riconosce un comòcoperto da una tovaglia di tessutorosso su cui sono poggiati unpanciuto vaso di vetro e uncandelabro. La stessa “attrezzeria discena”, l’anno seguente, assume unruolo più importante nella Lezione dicatechismo: lo sguardo è ravvicinatorispetto all’altra tela, e il comòaddossato alla parete fa da chiusura

visiva per la scena, introducendo i duequadri (opere di Vaccaro stesso?)appesi alla parete. Si riconosce che èlo stesso mobile del dipintoprecedente, con la medesima tovagliarossa e un vaso di vetro al centro,anche se più piccolo.

Sono convinto che seguire leoccorrenze con cui l’artista si serve dicerti elementi e li giochi, di volta involta, in maniera diversa all’internodel racconto che sta inscenandoconsenta di mettere a fuoco più

La lettura, 1940, olio su tavola 37 x 28 cm

giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 39

delle sue composizioni in genere,Vaccaro si colloca infatti come unosservatore esterno che, si affaccia suuna realtà che conosce bene.Entrambi i quadri, apparentementecosì distanti per soggetto econtenuto, in realtà hanno un unicocomune denominatore: in entrambi icasi il tema di fondo è il ritratto dellostudio dell’artista che, nei casi piùprogrammatici che si annoveranonella storia dell’arte, equivale a unperenne autoritratto e a unacontinuativa riflessione sui terminidella pittura e della rappresentazione.Vaccaro non fa però di questoespediente un sofisticato dispositivoteorico, perché le radici del suolinguaggio sono ancora tutte calatetotalmente nella lezionedell’Ottocento, ma non può fare ameno di raffigurare quello che haintorno, come a voler raccontare ununiverso domestico rassicuranteperché familiare. Lo si nota ancora dipiù se si osservano altri quadri suoidel secondo dopoguerra: la stessasedia su cui è seduta la modella del1949 era già stata protagonista di duepiccole scene di una bimba con unabrocca (1945) e di una bimba cheimmerge le mani in un catino (1946),anche se qui l’ambientazione ègenerica e non si connota quanto idue esempi precedenti. Nel 1945,invece, dipinge una tela di internodomestico con un’anziana signoraintenta a cucire (seduta sulla solitasedia) e una bambina impegnata atrasportare un pesante recipiente insecondo piano, nelle vicinanze di ungrande catino. Questa volta non sononello studio dell’artista: i grandi

battenti sullo sfondo fanno pensarepiuttosto a un ambiente più grandedestinato alla vita di famiglia. Sullosfondo, infatti, si riconosce un comòcoperto da una tovaglia di tessutorosso su cui sono poggiati unpanciuto vaso di vetro e uncandelabro. La stessa “attrezzeria discena”, l’anno seguente, assume unruolo più importante nella Lezione dicatechismo: lo sguardo è ravvicinatorispetto all’altra tela, e il comòaddossato alla parete fa da chiusura

visiva per la scena, introducendo i duequadri (opere di Vaccaro stesso?)appesi alla parete. Si riconosce che èlo stesso mobile del dipintoprecedente, con la medesima tovagliarossa e un vaso di vetro al centro,anche se più piccolo.

Sono convinto che seguire leoccorrenze con cui l’artista si serve dicerti elementi e li giochi, di volta involta, in maniera diversa all’internodel racconto che sta inscenandoconsenta di mettere a fuoco più

La lettura, 1940, olio su tavola 37 x 28 cm

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40 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

elementi della ricerca di Vaccaro, oalmeno di una parte di questa. Lademarcazione fra questa e l’attività discultore monumentale è netta, comemostrano bene i disegni, a partiredalle scelte formali: all’esattezza enitidezza degli studi per i monumentio per sculture di uso ornamentale,dalla grafia solida e marcata, nonpriva di qualche languore anatomico,si contrappone la maniera vibrante,tutta di effusione sentimentale, deidisegni (e poi dei dipinti) con soggettidi genere. La distinzione è non solo distile, ma anche di funzione edestinazione: se l’una ha un’eminentefunzione pubblica, i dipinti fin qui

ricordati, tutti di dimensionicontenute, erano destinati a ornare gliinterni di abitazioni private. Quelladimensione domestica di cui la pitturacontinuamente trasuda trova unaragione, a mio avviso, anche in questasua destinazione privilegiata. Nonsono sicuro, come invece è statoscritto, che davvero Vito Vaccaro si

muova fra “accademia e modernità”,ammesso che per “modernità” non siintenda un fatto iconografico: ipaesaggi di Vaccaro, così attaccati aldato visivo, non possono fare a menodi certificare il cambiamento urbanodelle città, pur dentro le grigliecanoniche della pittura di paesaggio.

E se si attaglia a una parte dellasua produzione l’etichetta di“classicismo”, per quanto da chiarirenella dizione e nei suoi limiti, forseper partecipazione emotiva rimanepiù giusta, per questa parte almenodel suo lavoro, la definizione, daprendersi alla lettera, di “verismo”portato nelle arti visive.

VITO VACCARO. NARRAZIONIA cura di Wanna Allievi

LAINATE, VILLA BORROMEOVISCONTI LITTA

6 - 21 giugno 2015

Sopra da sinistra: La modella, 1949, Olio su tavola 70 x 48 cm; Bimba con brocca, 1945, Olio su tela, 50 x 35 cm

40 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

elementi della ricerca di Vaccaro, oalmeno di una parte di questa. Lademarcazione fra questa e l’attività discultore monumentale è netta, comemostrano bene i disegni, a partiredalle scelte formali: all’esattezza enitidezza degli studi per i monumentio per sculture di uso ornamentale,dalla grafia solida e marcata, nonpriva di qualche languore anatomico,si contrappone la maniera vibrante,tutta di effusione sentimentale, deidisegni (e poi dei dipinti) con soggettidi genere. La distinzione è non solo distile, ma anche di funzione edestinazione: se l’una ha un’eminentefunzione pubblica, i dipinti fin qui

ricordati, tutti di dimensionicontenute, erano destinati a ornare gliinterni di abitazioni private. Quelladimensione domestica di cui la pitturacontinuamente trasuda trova unaragione, a mio avviso, anche in questasua destinazione privilegiata. Nonsono sicuro, come invece è statoscritto, che davvero Vito Vaccaro si

muova fra “accademia e modernità”,ammesso che per “modernità” non siintenda un fatto iconografico: ipaesaggi di Vaccaro, così attaccati aldato visivo, non possono fare a menodi certificare il cambiamento urbanodelle città, pur dentro le grigliecanoniche della pittura di paesaggio.

E se si attaglia a una parte dellasua produzione l’etichetta di“classicismo”, per quanto da chiarirenella dizione e nei suoi limiti, forseper partecipazione emotiva rimanepiù giusta, per questa parte almenodel suo lavoro, la definizione, daprendersi alla lettera, di “verismo”portato nelle arti visive.

VITO VACCARO. NARRAZIONIA cura di Wanna Allievi

LAINATE, VILLA BORROMEOVISCONTI LITTA

6 - 21 giugno 2015

Sopra da sinistra: La modella, 1949, Olio su tavola 70 x 48 cm; Bimba con brocca, 1945, Olio su tela, 50 x 35 cm

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L a Galleria del Credito Sicilianodi Acireale, dal 5 giugno all’11ottobre, propone un’importante

esposizione dedicata all’opera diMichele Canzoneri (Palermo, 1944).Un centinaio di opere – fra carte esculture, progetti, bozzetti, diari einstallazioni – restituisconol’esperienza di un maestro che si èimposto fin dai suoi esordi comeartista della luce.

La mostra comprende opererelative a un ampio arco temporale,da quelle realizzate nell’ambito dellaprestigiosa committenza per ilCenacolo francescano diGerusalemme nel 2013/15 fino al ciclodelle vetrate realizzate per il Duomonormanno di Cefalù (1984-2003),dalle opere scenografiche per Mozart,Wagner, Bellini, Strawinscky, Poulenca quelle per i compositoricontemporanei Bussotti, Henze, Togni,Clementi, etc. realizzate per i piùprestigiosi teatri internazionalid’opera.

Michele Canzoneri, avvia intorno

agli anni Settanta il proprio percorsoartistico con l’invenzione dei GAV(acronimo di gabraster, aria e vetro)esposti al Palazzo dei Diamanti diFerrara nel 1973, alla GalleriaBergamini di Milano nel 1974 e allaGalleria Rinaldo Rotta di Genova nel

1974. Realizza, contemporaneamente,opere su carta antica segnate dallescritture e dai segni del tempo,sviluppando una ricerca in cui passatoe presente si trovano in strettodialogo.

Importante, in questo periodo,l’incontro con l’orientalista GiuseppeTucci, con il quale sigla nel 1978 ilciclo Sette giorni del Bardo Thodol,ispirato al celebra classico dellacultura tibetana.

La costante ricerca delle piùprofonde relazioni che intercorronotra rappresentazione simbolica eforma della luce nella sua espressioneartistica si concretizza nellarealizzazione delle 64 vetrate per ilDuomo normanno di Cefalù e nelleopere Didaché e Porta delle Verginisavie e stolte per la chiesa di San Piodi Renzo Piano a San GiovanniRotondo.

Parallelamente conduce un’intensaattività scenografica per il teatromusicale, della quale ricordiamo:Blaubart di C. Togni, La Fenice,

LA MOSTRA/3MICHELE CANZONERI AD ACIREALETutti i giorni e tutte le notti

la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 201542

L a Galleria del Credito Sicilianodi Acireale, dal 5 giugno all’11ottobre, propone un’importante

esposizione dedicata all’opera diMichele Canzoneri (Palermo, 1944).Un centinaio di opere – fra carte esculture, progetti, bozzetti, diari einstallazioni – restituisconol’esperienza di un maestro che si èimposto fin dai suoi esordi comeartista della luce.

La mostra comprende opererelative a un ampio arco temporale,da quelle realizzate nell’ambito dellaprestigiosa committenza per ilCenacolo francescano diGerusalemme nel 2013/15 fino al ciclodelle vetrate realizzate per il Duomonormanno di Cefalù (1984-2003),dalle opere scenografiche per Mozart,Wagner, Bellini, Strawinscky, Poulenca quelle per i compositoricontemporanei Bussotti, Henze, Togni,Clementi, etc. realizzate per i piùprestigiosi teatri internazionalid’opera.

Michele Canzoneri, avvia intorno

agli anni Settanta il proprio percorsoartistico con l’invenzione dei GAV(acronimo di gabraster, aria e vetro)esposti al Palazzo dei Diamanti diFerrara nel 1973, alla GalleriaBergamini di Milano nel 1974 e allaGalleria Rinaldo Rotta di Genova nel

1974. Realizza, contemporaneamente,opere su carta antica segnate dallescritture e dai segni del tempo,sviluppando una ricerca in cui passatoe presente si trovano in strettodialogo.

Importante, in questo periodo,l’incontro con l’orientalista GiuseppeTucci, con il quale sigla nel 1978 ilciclo Sette giorni del Bardo Thodol,ispirato al celebra classico dellacultura tibetana.

La costante ricerca delle piùprofonde relazioni che intercorronotra rappresentazione simbolica eforma della luce nella sua espressioneartistica si concretizza nellarealizzazione delle 64 vetrate per ilDuomo normanno di Cefalù e nelleopere Didaché e Porta delle Verginisavie e stolte per la chiesa di San Piodi Renzo Piano a San GiovanniRotondo.

Parallelamente conduce un’intensaattività scenografica per il teatromusicale, della quale ricordiamo:Blaubart di C. Togni, La Fenice,

LA MOSTRA/3MICHELE CANZONERI AD ACIREALETutti i giorni e tutte le notti

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giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 43

Venezia (1977); Parsifal di R. Wagner,Comunale di Bologna (1978); Laclemenza di Tito di W. A. Mozart,Teatro Massimo, Palermo (1981); SuorAngelica di G. Puccini, Teatro allaScala, Milano (1982) e Liceu,Barcellona (1983); Dialogues desCarmélites di F. Poulenc, StaatsoperStuttgart (2011/13).

Per Norma di V. Bellini, coprodottadal Teatro Massimo Bellini di Cataniae il Landesteather di Salisburgo(1999/2000), riceve il Premio Abbiatiper la migliore scenografia dell’anno.Ha realizzato inoltre per la CEI, ilprimo Evangeliario moderno(1984/87).

Fra le mostre si ricordano: Il murodel tempo. Il viaggio di Ruggero II nelmediterraneo 1131, nella Cripta dellaCappella Palatina nel Palazzo Reale diPalermo (1992); La pietra di damasco.Diario di viaggio, Damasco (2003);Acquisizione del diario di lavorosull’Apocalisse per le vetrate delDuomo di Cefalù alla BibliotecaVaticana (2010); la mostra Konvolutalle Fabbriche Chiaramontane diAgrigento (2010).

Dopo due anni di lavoro, fra il2012 e il 2014, Canzoneri completal’intervento di ampliamento erifacimento globale della cappellainferiore del convento di SanFrancesco al Cenacolo di Monte Siona Gerusalemme, per la quale realizzaanche l’altare, l’ambone, la cattedra, leporte e le vetrate.

Un percorso espositivo che prendequasi forma di diario: un diario lungoquarant’anni, attraverso cui si snoda ilpensiero e la ricerca artistica di

Canzoneri. Una ricerca che pur nellavarietà delle tematiche, dei registri edelle tecniche, tra disegno, scultura,architettura ed esperienze musicali,

trova nella dimensione del progetto edella riflessione preparatoria unelemento di continuità e fortissimacaratterizzazione, in cui il valore del

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Venezia (1977); Parsifal di R. Wagner,Comunale di Bologna (1978); Laclemenza di Tito di W. A. Mozart,Teatro Massimo, Palermo (1981); SuorAngelica di G. Puccini, Teatro allaScala, Milano (1982) e Liceu,Barcellona (1983); Dialogues desCarmélites di F. Poulenc, StaatsoperStuttgart (2011/13).

Per Norma di V. Bellini, coprodottadal Teatro Massimo Bellini di Cataniae il Landesteather di Salisburgo(1999/2000), riceve il Premio Abbiatiper la migliore scenografia dell’anno.Ha realizzato inoltre per la CEI, ilprimo Evangeliario moderno(1984/87).

Fra le mostre si ricordano: Il murodel tempo. Il viaggio di Ruggero II nelmediterraneo 1131, nella Cripta dellaCappella Palatina nel Palazzo Reale diPalermo (1992); La pietra di damasco.Diario di viaggio, Damasco (2003);Acquisizione del diario di lavorosull’Apocalisse per le vetrate delDuomo di Cefalù alla BibliotecaVaticana (2010); la mostra Konvolutalle Fabbriche Chiaramontane diAgrigento (2010).

Dopo due anni di lavoro, fra il2012 e il 2014, Canzoneri completal’intervento di ampliamento erifacimento globale della cappellainferiore del convento di SanFrancesco al Cenacolo di Monte Siona Gerusalemme, per la quale realizzaanche l’altare, l’ambone, la cattedra, leporte e le vetrate.

Un percorso espositivo che prendequasi forma di diario: un diario lungoquarant’anni, attraverso cui si snoda ilpensiero e la ricerca artistica di

Canzoneri. Una ricerca che pur nellavarietà delle tematiche, dei registri edelle tecniche, tra disegno, scultura,architettura ed esperienze musicali,

trova nella dimensione del progetto edella riflessione preparatoria unelemento di continuità e fortissimacaratterizzazione, in cui il valore del

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44 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

progetto ha la stessa rilevanzadell’esecuzione.

L’artista siciliano è dunqueprotagonista di un viaggio a ritroso,che attraversa anni di lavoro fatti distudio e di passione, di dedizione perle tecniche tradizionali e amore per lasperimentazione di nuovi materiali.Quarant’anni distinti, soprattutto, daimportanti commissioni, pubbliche eprivate, e collaborazioni con architetti,registi, scrittori, filosofi e compositori.Dall’esperienza di Cefalù, doveCanzoneri ha realizzato le 64 vetrateper il Duomo (1984-2003), all’incaricoe alle opere preparatorie per il portaled’accesso e la grande vetrata nellaBasilica di San Pio firmata da RenzoPiano a San Giovanni Rotondo (2006).

Grandi volumi – diari di lavoro -raccolgono poi, in forma quasinarrativa, le idee, le intuizioni, glischizzi per le scene della Maria deBuenos Aires di Astor Piazzolla, al

Teatro Massimo di Palermo, o quelleper la Norma di Bellini, per il TeatroMassimo Bellini di Catania (1999 e2000), Dialogues des carmèlites diPoulenc alla Staatsoper di Stoccarda(2011-12).

Un diario di viaggio racconta,ancora, di Damasco e Aleppo, nel2003, il fascino esercitato dai colori edalla luce di una geografia checonduce Canzoneri a una nuova tappadella sua riflessione, trascritta perimmagini, simboli, architetture eparole su pagine di antichi codici,cronache di una esplorazione senzatempo, quasi uno scavo archeologico.

Il work in progress dei suoi diari odegli studi per le scenografietestimonia la cura di Canzoneri perogni dettaglio, l’analisi e lapreparazione dedicate alla costruzionerigorosa e metodica dell’opera nelsuccedersi delle ricerche, conquotidiana devozione.

MICHELE CANZONERIOPERA COMPLETA 1984-2015

ACIREALE, GALLERIA CREDITO SICILIANO

6 giugno – 11 ottobre 2015

44 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

progetto ha la stessa rilevanzadell’esecuzione.

L’artista siciliano è dunqueprotagonista di un viaggio a ritroso,che attraversa anni di lavoro fatti distudio e di passione, di dedizione perle tecniche tradizionali e amore per lasperimentazione di nuovi materiali.Quarant’anni distinti, soprattutto, daimportanti commissioni, pubbliche eprivate, e collaborazioni con architetti,registi, scrittori, filosofi e compositori.Dall’esperienza di Cefalù, doveCanzoneri ha realizzato le 64 vetrateper il Duomo (1984-2003), all’incaricoe alle opere preparatorie per il portaled’accesso e la grande vetrata nellaBasilica di San Pio firmata da RenzoPiano a San Giovanni Rotondo (2006).

Grandi volumi – diari di lavoro -raccolgono poi, in forma quasinarrativa, le idee, le intuizioni, glischizzi per le scene della Maria deBuenos Aires di Astor Piazzolla, al

Teatro Massimo di Palermo, o quelleper la Norma di Bellini, per il TeatroMassimo Bellini di Catania (1999 e2000), Dialogues des carmèlites diPoulenc alla Staatsoper di Stoccarda(2011-12).

Un diario di viaggio racconta,ancora, di Damasco e Aleppo, nel2003, il fascino esercitato dai colori edalla luce di una geografia checonduce Canzoneri a una nuova tappadella sua riflessione, trascritta perimmagini, simboli, architetture eparole su pagine di antichi codici,cronache di una esplorazione senzatempo, quasi uno scavo archeologico.

Il work in progress dei suoi diari odegli studi per le scenografietestimonia la cura di Canzoneri perogni dettaglio, l’analisi e lapreparazione dedicate alla costruzionerigorosa e metodica dell’opera nelsuccedersi delle ricerche, conquotidiana devozione.

MICHELE CANZONERIOPERA COMPLETA 1984-2015

ACIREALE,GALLERIA CREDITO SICILIANO

6 giugno – 11 ottobre 2015

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46 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

“Incontri di civiltà nelMediterraneo. L’Impero Ottomanoe l’Italia del Rinascimento”, a c. diAlireza Naser Eslami, Firenze,Olschki, 2015, pp. 184, 25 euro.

Il Mediterraneo della prima etàmoderna è una zona franca culturalenella quale coesistono ImperoOttomano, «ponte tra Oriente eOccidente», e Italia del Rinascimento,«porta d’Oriente per i cristianid’Occidente». Si afferma in questoperiodo un certo gusto per l’alterità,percepito sensibilmente financhenell’umanesimo dell’Accademia; essotrova nelle reciproche interazioni edemulazioni tra corti italiane delRinascimento e la «Sublime Porta» lasua espressione di maggior rilievo.Questa raccolta di saggi, allora, si può leggere come unafenomenologia del «dono», intesocome suprema forma di scambio: unaprofonda analisi storica che studia irapporti tra Italia e Impero Ottomano:dai Medici a papa Alessandro VI, dallaMoschea di Bayezid II, ispirazione

palese per la Basilica di San Pietro, agliornamenti, dalle iscrizioni religiose allaritrattistica e all’arte dei giardini: siaffaccia ora un’epoca nella quale Pierodella Francesca, Mantegna, GentileBellini - per un certo tempo alla corteottomana di Istanbul - Michelangelo,Leonardo da Vinci e altri numerosiartisti guardano con interesse allacultura ottomana e in questo contestodi straordinaria mobilità di uomini eidee tra i due mondi nasceun’auspicata «visione universale delsapere».

“Traiano Boccalini tra satira epolitica”, a c. di Laura Melosi ePaolo Procaccioli, Firenze, Olschki,2015, pp. 494, 54 euro.

In questo volume (ricco diinterventi interessanti, come quelli diValentina Salmaso, Appunti sulle fontistoriche delle Considerazioni a Tacito,di Maria Cristina Figorilli, «Cosepolitiche e morali». La presenzadi Machiavelli nei Comentariisopra Cornelio Tacito diTraiano Boccalini, e diMassimiliano Malavasi,Trajani BoccaliniLauretani de artehistorica) vieneproposta una riflessionesulla figura e sull’operadi un autore tra i piùbrillanti e acuti del

LO SCAFFALEPubblicazioni di pregio, più o menorecenti, fra libri e tomi di piccoli e grandi editori

Seicento, le cui opere sono statefortunati best seller internazionali.Sottoposte ora alla verifica dellacritica, si confermano veri e propridossier politici e letterari, nei quali laparola del passato illumina logiche epratiche del potere di ogni tempo:rendendo quella parola non soloancora attuale, ma indispensabilecome quella di ogni classico.

Marina Montesano, “Marco Polo”,Roma, Salerno Editrice, 2015, pp. 336, 22 euro.

La fama planetaria del Milione hadato origine a una bibliografiasmisurata a fronte della quale i profilibiografici di Marco Polo sono pochi.Colpa dei dati oggettivi scarni cheabbiamo sul personaggio. Sappiamoche rimase in viaggio, lontano daVenezia per circa 25 anni, maall’interno di quel periodo della sua

vita poche sono le scansionicronologiche sicure. Gli studifilologici e storici hannoportato ad affinare le nostreconoscenze sul testo, e quindiindirettamente, sul suo

autore, ma il Milione restaun libro misterioso. È undiario di viaggio? Unmélange di fantastico e direale? È un testo di pratica

di mercatura arricchitodalla prosa del

46 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

“Incontri di civiltà nelMediterraneo. L’Impero Ottomanoe l’Italia del Rinascimento”, a c. diAlireza Naser Eslami, Firenze,Olschki, 2015, pp. 184, 25 euro.

Il Mediterraneo della prima etàmoderna è una zona franca culturalenella quale coesistono ImperoOttomano, «ponte tra Oriente eOccidente», e Italia del Rinascimento,«porta d’Oriente per i cristianid’Occidente». Si afferma in questoperiodo un certo gusto per l’alterità,percepito sensibilmente financhenell’umanesimo dell’Accademia; essotrova nelle reciproche interazioni edemulazioni tra corti italiane delRinascimento e la «Sublime Porta» lasua espressione di maggior rilievo.Questa raccolta di saggi, allora, si può leggere come unafenomenologia del «dono», intesocome suprema forma di scambio: unaprofonda analisi storica che studia irapporti tra Italia e Impero Ottomano:dai Medici a papa Alessandro VI, dallaMoschea di Bayezid II, ispirazione

palese per la Basilica di San Pietro, agliornamenti, dalle iscrizioni religiose allaritrattistica e all’arte dei giardini: siaffaccia ora un’epoca nella quale Pierodella Francesca, Mantegna, GentileBellini - per un certo tempo alla corteottomana di Istanbul - Michelangelo,Leonardo da Vinci e altri numerosiartisti guardano con interesse allacultura ottomana e in questo contestodi straordinaria mobilità di uomini eidee tra i due mondi nasceun’auspicata «visione universale delsapere».

“Traiano Boccalini tra satira epolitica”, a c. di Laura Melosi ePaolo Procaccioli, Firenze, Olschki,2015, pp. 494, 54 euro.

In questo volume (ricco diinterventi interessanti, come quelli diValentina Salmaso, Appunti sulle fontistoriche delle Considerazioni a Tacito,di Maria Cristina Figorilli, «Cosepolitiche e morali». La presenzadi Machiavelli nei Comentariisopra Cornelio Tacito diTraiano Boccalini, e diiiMassimiliano Malavasi,Trajani BoccaliniLauretani de artehistorica) vieneproposta una riflessionesulla figura e sull’operadi un autore tra i piùbrillanti e acuti del

LO SCAFFALEPubblicazioni di pregio, più o menorecenti, fra libri e tomidi piccoli e grandi editori

Seicento, le cui opere sono statefortunati best seller internazionali.Sottoposte ora alla verifica dellacritica, si confermano veri e propridossier politici e letterari, nei quali laparola del passato illumina logiche epratiche del potere di ogni tempo:rendendo quella parola non soloancora attuale, ma indispensabilecome quella di ogni classico.

Marina Montesano, “Marco Polo”,Roma, Salerno Editrice, 2015,pp. 336, 22 euro.

La fama planetaria del Milione hadato origine a una bibliografiasmisurata a fronte della quale i profilibiografici di Marco Polo sono pochi.Colpa dei dati oggettivi scarni cheabbiamo sul personaggio. Sappiamoche rimase in viaggio, lontano daVenezia per circa 25 anni, maall’interno di quel periodo della sua

vita poche sono le scansionicronologiche sicure. Gli studifilologici e storici hannoportato ad affinare le nostreconoscenze sul testo, e quindiindirettamente, sul suo

autore, ma il Milione restaun libro misterioso. È undiario di viaggio? Unmélange di fantastico e direale? È un testo di pratica

di mercatura arricchitodalla prosa del

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Rustichello? Per rispondere a questedomande Marina Montesano parte dalcontesto originario del veneziano: ilMediterraneo nella secondametà del Duecento e quindisegue Marco Polo inviaggio, lungo la viadella seta, fino allaCina e all’India.Ripercorre con lui iluoghi che visitò perscoprire uno sguardomolto più attento allarealtà di quanto non sicreda; uno sguardo che nonsi soffermava solo sulle merci ele ricchezze, ma che comunicavaall’Occidente particolari ineditisull’antropologia, i costumi, i riti, dellesocietà osservate. Se ancora oggiemergono dubbi sulla realtà delviaggio di Marco Polo, la posizione diquesto libro è chiara: il venezianovisitò l’Asia e la descrisse comenessuno aveva mai fatto prima di lui. Epoiché la vita è un viaggio, il viaggio diMarco Polo sarà la sua biografia.

«Atrium. Rivista di studi metafisicie umanistici», anno XVII, n. 1,Lavarone, Cenacolo PitagoricoAdytum, 2015, pp. 110, 15 euro.

Il CenacoloPitagorico Adytum (consede a Lavarone) èun’associazione culturalecostituita da alcunistudiosi che condividonogli ideali tradizionalinella ricerca metafisica,storica e metastorica, enegli studi umanistici.Ogni trimestre edita la

rivista «Atrium», giunta aldiciasettesimo anno di vita. Diretta daGiulio Maganzini (coadiuvato dal

direttore editoriale NuccioD’Anna), la pubblicazione

non manca mai dipresentare brevi einteressanti saggi.Come nel caso diquesto primo numerodell’annata 2015, chepresenta articoli, fra gli

altri, di Pietro Mander(L’interpretazione esoterica

dantesca), Davide Arecco(Pitagorismo e tradizione esoterica

dall’Europa a Napoli. 1516-1783),Renato Dal Ponte (“Bellum iustum” e“bellum nefandum” nella tradizioneromana) e Paolo Galiano (Galgano diChiusino. Reitervolker e Cristianesimonella Toscana del XII secolo).

Valerio Gigliotti, “La tiaradeposta. La rinuncia al papatonella storia del diritto e dellaChiesa“, premessa di Carlo Ossola,Firenze, Olschki, 2014, pp. 468, 48 euro.

«Poscia ch’io v’ebbi alcunriconosciuto, / vidi e conobbi l’ombradi colui / che fece per viltade il gran

rifiuto» (Inf. III, 58-60). Icelebri, tormentati versidella terzina dantescacostituiscono solo unminimo riflesso dellaportata culturale,istituzionale e spiritualeche la decisione di unpapa di scendere dalsoglio di Pietro harivestito per la

Cristianità, dal Medioevo a oggi. Laforza profondamente novatrice esovversiva della rinuncia al papato sidisvela nel carattere eccezionale di unevento che irrompe nella storia einterrompe, con un atto individuale esupremo della volontà, l’ordinenaturale della successione apostolica,che si apre di regola con la mortefisica del sommo pontefice.

Il saggio di Valerio Gigliotti indaga,per la prima volta in una prospettivasistematica unitaria, il tema dellarenuntiatio papae, attraverso le fonti

giuridiche, teologiche e letterarie,spesso in interazione tra loro, dalleorigini al recente caso di BenedettoXVI. Il complesso mosaico che viene aricomporsi, attraverso poche maemblematiche tessere nella storiabimillenaria del papato, restituisceun’immagine e un valore alla rinunciache, insieme agli elementi giuridici dicriticità, evidenzia e valorizza ladimensione mistica e di servizio inuno dei più controversi istituti dellastoria della Chiesa occidentale.

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Rustichello? Per rispondere a questedomande Marina Montesano parte dalcontesto originario del veneziano: ilMediterraneo nella secondametà del Duecento e quindisegue Marco Polo inviaggio, lungo la viadella seta, fino allaCina e all’India.Ripercorre con lui iluoghi che visitò perscoprire uno sguardomolto più attento allarealtà di quanto non sicreda; uno sguardo che nonsi soffermava solo sulle merci ele ricchezze, ma che comunicavaall’Occidente particolari ineditisull’antropologia, i costumi, i riti, dellesocietà osservate. Se ancora oggiemergono dubbi sulla realtà delviaggio di Marco Polo, la posizione diquesto libro è chiara: il venezianovisitò l’Asia e la descrisse comenessuno aveva mai fatto prima di lui. Epoiché la vita è un viaggio, il viaggio diMarco Polo sarà la sua biografia.

«Atrium. Rivista di studi metafisicie umanistici», anno XVII, n. 1,Lavarone, Cenacolo PitagoricoAdytum, 2015, pp. 110, 15 euro.

Il CenacoloPitagorico Adytum (consede a Lavarone) èun’associazione culturalecostituita da alcunistudiosi che condividonogli ideali tradizionalinella ricerca metafisica,storica e metastorica, enegli studi umanistici.Ogni trimestre edita la

rivista «Atrium», giunta aldiciasettesimo anno di vita. Diretta daGiulio Maganzini (coadiuvato dal

direttore editoriale NuccioD’Anna), la pubblicazione

non manca mai dipresentare brevi einteressanti saggi.Come nel caso diquesto primo numerodell’annata 2015, chepresenta articoli, fra gli

altri, di Pietro Mander(L’interpretazione esoterica

dantesca), Davide Arecco(Pitagorismo e tradizione esoterica

dall’Europa a Napoli. 1516-1783),Renato Dal Ponte (“Bellum iustum” e“bellum nefandum” nella tradizioneromana) e Paolo Galiano (Galgano diChiusino. Reitervolker e Cristianesimonella Toscana del XII secolo).

Valerio Gigliotti, “La tiaradeposta. La rinuncia al papatonella storia del diritto e dellaChiesa“, premessa di Carlo Ossola,Firenze, Olschki, 2014, pp. 468, 48 euro.

«Poscia ch’io v’ebbi alcunriconosciuto, / vidi e conobbi l’ombradi colui / che fece per viltade il gran

rifiuto» (Inf. III, 58-60). Icelebri, tormentati versidella terzina dantescacostituiscono solo unminimo riflesso dellaportata culturale,istituzionale e spiritualeche la decisione di unpapa di scendere dalsoglio di Pietro harivestito per la

Cristianità, dal Medioevo a oggi. Laforza profondamente novatrice esovversiva della rinuncia al papato sidisvela nel carattere eccezionale di unevento che irrompe nella storia einterrompe, con un atto individuale esupremo della volontà, l’ordinenaturale della successione apostolica,che si apre di regola con la mortefisica del sommo pontefice.

Il saggio di Valerio Gigliotti indaga,per la prima volta in una prospettivasistematica unitaria, il tema dellarenuntiatio papae, attraverso le fonti

giuridiche, teologiche e letterarie,spesso in interazione tra loro, dalleorigini al recente caso di BenedettoXVI. Il complesso mosaico che viene aricomporsi, attraverso poche maemblematiche tessere nella storiabimillenaria del papato, restituisceun’immagine e un valore alla rinunciache, insieme agli elementi giuridici dicriticità, evidenzia e valorizza ladimensione mistica e di servizio inuno dei più controversi istituti dellastoria della Chiesa occidentale.

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48 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

Franciscus Columna, ovvero l’ultimanovella di Charles Nodier (1780-1844),dedicata ad Aldo Manuzio e pubblicatapostuma, è ora per la prima voltastampata in volume in Italia (a cura diMassimo Gatta, Macerata, Bibliohaus,2015, 15 euro). Charles Nodier, scrittoree sommo bibliofilo, così venne ricordatodalla celebre rivista che aveva fondato ealla quale collaborava assiduamente:«Oggi la Francia rimpiange uno dei suoi

più grandi scrittori; l’Académie françaiseuno dei suoi membri più utili; e noipiangiamo l’amico prezioso e amorevoleche ci guidava con i suoi consigli, che ci prodigava gli insegnamenti della suabella esperienza letteraria, che infinescriveva per tutti noi una delle suenovelle più graziose, l’ultima che siauscita dalla sua sensibile penna, elegantee casta». («Bulletin du Bibliophile, n. 13, gennaio 1844).

ULTIME NOVITÀ EDITORIALICharles Nodier e la novella dedicata ad Aldo Manunzio

48 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

Franciscus Columna, ovvero l’ultimanovella di Charles Nodier (1780-1844),dedicata ad Aldo Manuzio e pubblicatapostuma, è ora per la prima voltastampata in volume in Italia (a cura diMassimo Gatta, Macerata, Bibliohaus,2015, 15 euro). Charles Nodier, scrittoree sommo bibliofilo, così venne ricordatodalla celebre rivista che aveva fondato ealla quale collaborava assiduamente:«Oggi la Francia rimpiange uno dei suoi

più grandi scrittori; l’Académie française’uno dei suoi membri più utili; e noipiangiamo l’amico prezioso e amorevoleche ci guidava con i suoi consigli, che ci prodigava gli insegnamenti della suabella esperienza letteraria, che infinescriveva per tutti noi una delle suenovelle più graziose, l’ultima che siauscita dalla sua sensibile penna, elegantee casta». («Bulletin du Bibliophile,n. 13, gennaio 1844).

ULTIME NOVITÀ EDITORIALICharles Nodier e la novella dedicata ad Aldo Manunzio

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GRUPPO GIOCHI PREZIOSI

giochipreziosi.it

UN MONDO DIDIVERTIMENTO!

GRUPPO GIOCGR HI PREZIOSIUPPO GIOCHI PREZIOSI

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50 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

si propone di rendere pubblico ilsuo ruolo esoterico, nel contestodi attesa di un grande evento daparte dei circoli occultisti che ac-compagna l’ascesa al potere Hi-tler all’inizio del 1933.

Ne avevo parlato nel terzocapitolo del mio Hitler e la cultu-ra occulta (Milano, Rizzoli,2013), dal titolo “Orage anticipaThe New Age” (il titolo del setti-manale da lui fondato nel 1908,«The New Age», appunto), ivicitando un saggio di Luca Galle-si (curatore di questo Il tempo nonè denaro) del 2008 introduttivoallo scritto di Orage Il lavoro de-bilita l’uomo. Scritti e discorsi a fa-vore del tempo libero. Il pensieroeconomico di Orage viene pre-sentato come «medievaleggian-te Socialismo delle Gilde» e «so-cialismo aristocratico e spiritua-lista, nel solco tracciato da Wil-liam Morris, che vedeva nel Me-dio Evo ideale e nel lavoro arti-giano un mezzo di realizzazionedell’uomo». Questo progetto disocialismo “spirituale”, “aristo-

Il libro del mese

l’esoterismo. Rappresentante diGeorges Gurdjieff negli StatiUniti tra il 1922 e il 1932, rientrain Europa mentre il suo Maestro

Sull’economia sociale: il tempo non è denaro

Una riflessione sull’opera e il pensiero di Alfred Orage

Pubblicare le opere di Al-fred Richard Orage(1873-1934) significa in-

dagare una personalità che sipuò, senza tema di smentita, col-locare in quella che definisco lacultura dell’anticapitalismo didestra. La definizione può appa-rire riduttiva, per almeno due ra-gioni. La prima è che il grandestudioso Zeev Sternhell, nel suocelebre Né a destra né a sinistra, ri-tiene non riducibili a questa di-cotomia i movimenti fascisti sto-rici, che del supposto anticapita-lismo di destra sono stati espres-sione politica. La seconda ragio-ne è che uno dei più brillanti sto-rici della sinistra, il mio amicoPaolo Favilli, preferisce al termi-ne “anticapitalismo” l’espressio-ne “teorie critiche del capitali-smo”, la più solida e sofisticatadelle quali, dovuta a Marx, ap-partiene alla cultura di sinistra.

Orage, brillante intellettua-le e infaticabile organizzatoreculturale, mi aveva finora inte-ressato per i suoi rapporti con

GIORGIO GALLI

Alfred R. Orage, “Il tempo non è denaro.Credito sociale controspeculazione finanziaria”, a c. di Luca Gallesi, prefazionedi Giorgio Galli, Sesto San Giovanni, Mimesis,2015, pp. 146, 14 euro

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51giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

cratico”, “medievaleggiante”,che, afferma lo stesso Gallesi, «siimpantana nelle trincee” del1914-18», è, secondo me, l’avviodi quello che definisco “anticapi-talismo di destra”, dal quale Ora-ge muove per «l’individuazionedi un nuovo paradigma, più adat-to a un’epoca di grande crisi, perperseguire un ideale di giustiziasociale valido per tutti i cittadi-ni» (cito sempre Gallesi), che ri-tiene di trovare nella teoria delcredito sociale una visione che«non vuole distruggere la strut-tura capitalista e non è ostile allatecnologia moderna; e non èneppure rivoluzionaria, perchéintende convincere e non co-stringere: una riforma moneta-ria, non una rivoluzione sociale»,tutti concetti che riassumo nelladefinizione di anticapitalismo didestra: una visione del mondoantimarxista e antiliberale, nonostile alla tecnologia moderna,non rivoluzionaria, perché non

propone una rivoluzione sociale.Ora, nella sua introduzione

a questo volume di Orage (intro-duzione che significativamenteintitola Orage socialista nietzschia-no), Luca Gallesi scrive dell’entu-siasmo di Orage per il sistema gil-dista che prende «in considera-zione la liberazione dal dominiocapitalistico in nome di uno Statoorganizzato su basi funzionali eorganiche», per cui ritiene che

mentre «il movimento socialistamuore», le gilde, secondo il suoamico e collaboratore S.G. Hob-son, «anticipando la dottrina cor-porativa che sarebbe stata elabo-rata dal fascismo italiano, doveva-no comprendere anche i lavora-tori della mente ed aiutare l’operadi gestione della nazione da partedello Stato». Sono questi i con-cetti che riassumo nella formuladell’anticapitalismo di destra,mentre l’evoluzione del pensieroeconomico di Orage è determi-nata dal dramma di quella che lastoriografia che condivido defini-sce la seconda guerra dei Tren-t’anni, 1914-1945, nella cui pri-ma fase, iniziata nel 1914, muoio-no molti collaboratori della sua«The New Age». È una crisi ca-ratterizzata dall’affermarsi delcapitalismo imperialista, che nonè nell’ultima fase di cui parlavaLenin, ma che è un capitalismoche ha “i secoli contati” (titolo diun illuminante libro di Giorgio

Da sinistra: Alfred Richard Orage (1873-1934); Georges Gurdjieff (1866-1949)

F ilosofo, scrittore ed editore,Alfred Orage (1873-1934), èstato una personalità di fine

poliedricità. Affascinato in gioventùdalle teorie socialiste, presto se ne di-scosta, avvicinandosi alla filosofia eagli studi teosofici.

Fonda la rivista «The New Age» al-la quale collaborano anche EzraPound e George Bernard Shaw. Intra-prende poi la carriera di editore. Lesue riflessioni interiori culminano

nella conoscenza di Georges Gur-djieff grazie al quale si avvia al cam-mino iniziatico. Ne Il tempo non è de-naro sono raccolti alcuni degli scrittipiù significativi di Orage su argo-menti politici ed economici.

Il volume è curato da Luca Gallesie si giova anche di una prefazione diGiorgio Galli (docente di Storia delledottrine politiche presso l’Universitàdi Milano), del quale riportiamo quiun breve stralcio.

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Ruffolo) e nei confronti del qualesi sviluppa, negli anni Venti eTrenta dello scorso secolo, unacritica detta di destra (sia purecon la variante interpretativa diSternhell), che trova espressionepolitica nei fascismi storici, feno-meno che, oltre l’Italia e la Ger-mania, investe l’intera Europa,come dimostra l’ampio studio diMarco Fraquelli Altri Duci, nellacui prefazione segnalo i campionipolitico-culturali dell’anticapita-lismo di destra, con movimentiche vanno dai Lupi d’Acciaio li-tuani ai variegati fascismi russi eucraini e con personalità quali ilbulgaro Tzankov, l’olandeseMussert, lo svedese Erikssson,l’inglese Mosley. il francese Deat,il norvegese Quisling, il romenoCodreanu, il belga Degrelle, alquale si deve l’espressione “ban-ksters”, in vocale sintonia con“gangsters”, espressione che saràripresa, dalla stampa liberale, conla crisi dei derivati del 2007. Pro-prio questa crisi ha ridato vitalitàalla cultura dell’anticapitalismo

di destra, con la lontana ascen-denza di Pound, le cui espressionipolitiche, molto diversificate,vengono tutte etichettate come“populismo” dalla pubblicisticaliberale e di sinistra, e per unacorretta valutazioni sulle quali ri-mando agli studi di Marco Tarchi(riviste «Diorama» e «Trasgres-sioni»).

La più elaborata delle teoriecritiche di sinistra al capitalismo(il marxismo) si è tradotta politi-camente nell’esperienza sovietica(economia centralizzata e pianifi-cata in un regime autoritario),conclusasi con un fallimento. Le

teorie critiche di destra al capita-lismo si sono tradotte in espe-rienze politiche più limitate, iprogrammi di fascismo e nazio-nalsocialismo nella fase di “movi-mento” hanno dato luogo a prati-che parziali di capitalismo di statonella fase di “regime” (per usarela dicotomia di Renzo De Felice).A questo proposito Gallesi ricor-da che alcuni collaboratori diOrage «avevano dimostrato sim-patie per il nazionalsocialismo,simpatie andate deluse quandoHitler, salito al potere, liquidaGottfried Feder, che era stato ilresponsabile delle teorie econo-miche del partito», per cui il 6aprile 1933 nell’editoriale dellanuova rivista di Orage «New En-glish Weekly» veniva aspramentecriticato il nuovo cancelliere del-la Germania che «non si sa esat-tamente a quali condizioni havenduto il suo programma per il

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Sopra da sinistra: Léon Degrelle

(1906-1994); Ezra Pound (1885-1972).

Qui accanto: Karl Marx (1818-1883)

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potere, ma è ormai chiaro chenulla distingue la nuova dittaturatedesche da quella delle BancheCentrali in generale».

QUAL È IL FUTURO DEL SOCIALISMO?di Alfred Orage

La recente sconfitta eletto-rale dei socialisti demo-cratici tedeschi ha aperto

gli occhi dei socialisti inglesi sulpericolo di una politica attuataesclusivamente a difesa della clas-se lavoratrice. In Inghilterra, co-me in Germania, il socialismo si ètalmente identificato con le do-mande degli operai che, proba-bilmente, solo poche personehanno capito che il Socialismo èqualcosa di molto più grande delsemplice tentativo di soddisfarele richieste dei lavoratori.

Il socialismo, infatti, è so-prattutto una nuova teoria dellasocietà, una teoria che si devemettere in pratica non soltantonei confronti del lavoro manuale,ma per tutte le arti, i mestieri e leprofessioni, e che, quindi, non èpiù adatta al miglioramento dellecondizioni dei poveri di quantonon lo sia per il miglioramentodelle condizioni dei ricchi; unateoria che, in pratica, vuole creareun bene comune genuino, con at-tenzioni specifiche per qualsiasitipo di mente e ogni sfumatura ditemperamento. Questa teoria so-ciologica e scientifica, che a mo-do suo è altrettanto completa del-

la Repubblica di Platone, è statasfortunatamente catturata daun’unica classe della comunità.Attraverso un singolare colpo digenio, che rende merito alla lorointelligenza, i lavoratori inglesisono stati i primi a capire i van-taggi offerti da una tale trasfor-mazione della società. Quelloche, ovviamente, non ci si potevaaspettare da loro, era che pensas-sero a estendere i vantaggi offertida questa teoria a tutte le altreclassi dello Stato. Essi, infatti,hanno conformato la teoria ai lo-ro desideri fino al punto di rifiu-tare anche solo l’idea che il socia-lismo fosse stato inteso per tutti.Usando al meglio tutte le loroabilità, hanno modificato e per-vertito la concezione del bene co-mune trasformandola nel ripu-gnante modello di una comunitàdominata da loro stessi. La lotta

di classe che hanno dichiarato perla cosiddetta emancipazione de-gli schiavi del salario era senzadubbio giustificabile; ma sonoandati oltre, sostenendo che il so-cialismo era soltanto lotta di clas-se, e che era stato progettatoesclusivamente per ottenerel’abolizione della schiavitù del sa-lario. Poco alla volta, esso è di-ventato sempre più materialisti-co, sempre più grossolano, sem-pre più sordido e ristretto di ve-dute. Alla fine, è sorto, nelle stes-se menti dei socialisti, un senti-mento di disperazione mischiatoa paura. Era per questo, si sonochiesti, che abbiamo combattu-to? Il nostro sogno di una nuovasocietà e della redenzione del-l’uomo deve sfociare nella crea-zione della tirannia da parte diuna classe, la tirannia peggiore diquella che il mondo abbia mai co-

Volantino elettorale del laburista Keir Hardie, per le elezioni alla Camera dei

Comuni del 1906

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nosciuto? Qualcosa di simile aquesta reazione ha sicuramentecontribuito alla sconfitta dei so-cialisti democratici in Germania.Istintivamente, gli uomini hannocominciato a capire che c’era unosplendore e una immaginazione,una completezza e un senso digiustizia in un movimento nazio-nale persino nella sua forma scio-vinistica di “la Germania prima ditutto”, che manca nel movimentodi classe di alcuni milioni di schia-vi del salario che cercano la sal-vezza. E io non dubito che questareazione istintiva sarà presto con-divisa dai socialisti veri della no-stra nazione. Abbiamo già visto laSocietà Fabiana schierarsi a favo-re dell’imperialismo per opporsiagli ideali piccini dei commer-cianti improvvisatisi politici. Ab-biamo già visto crescere la linea didivisione tra il partito del lavorodelle Trade Union e il Socialist In-dependent Party. Abbiamo già vi-sto il socialista Keir Hardie mi-nacciare di lasciare il partito labu-rista a causa della sua ristrettezza

di vedute. La divisione così mani-festata continuerà ad aumentare,da un lato con la crescita del mo-vimento dei sindacati e dall’altrocon l’abbandono del Partito la-burista da parte dei socialisti di-sgustati. Abbiamo quindi un’ab-bondanza di segnali che indicano,per la prima volta nella storia delsocialismo inglese, la possibilenascita di un partito socialista ve-ramente politico, libero dai pre-giudizi a favore o contro le richie-ste dei sindacalisti, e libero anchedai pregiudizi a favore o contro ildominio esclusivo di una qualsia-si classe dello Stato. Senza dub-bio, tali socialisti politici si trove-ranno, all’inizio nelle condizionidell’asino di Buridano. L’elemen-to laburista con cui il socialismo èstato finora associato soffrirà na-turalmente il divorzio e farà delsuo meglio per rovinare le possi-bilità dei candidati socialisti. Dal-l’altra parte, le classi medie im-piegheranno tempo e fatica perimparare a dominare il loro di-sprezzo istintivo verso i candidati

del socialismo laburista, e ci vorràancora più tempo a imparare laseparazione tra socialismo e labu-rismo. Quindi, con ogni probabi-lità, mentre possiamo certamenteaspettarci la scomparsa gradualedelle dottrine socialiste dal pro-gramma del partito laburista, in-sieme con la crescente insistenzasu proposte che riguardino esclu-sivamente la paga lavorativa, pos-siamo anche aspettarci di vederel’ascesa lenta di un partito sociali-sta, a cui, nel corso del tempo,guarderanno i rappresentanti ditutte le classi e di ogni interesse.

Ma questo, come ho detto,sarà altrettanto lento quanto sa-rà rapida l’eliminazione del so-cialismo dalle politiche laburi-ste, siccome, quando ha creato ilPartito Laburista, il Socialismoha creato un ostacolo alla pro-pria realizzazione forse piùgrande di qualsiasi altro ostaco-lo mai affrontato prima.(articolo pubblicato su «Leeds andYorkshire Mercury», 6 marzo 1907,traduzione di Luca Gallesi)

54 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

Da sinistra: Poster del Partito Laburista (1910 circa); altro volantino elettorale di Keir Hardie

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dalle matrici originali, di un ca-rattere peculiare e oggi dimen-ticato, frutto della sapienza arti-giana del grande Bertieri.

Un carattere che lo stam-patore milanese volle intitolareal poeta per eccellenza e cantoreimmortale, quell’Omero cheper Bertieri incarnava, di certo,l’ideale di una classicità senzatempo e del quale lo stampatoreutilizzò, per dar nome al suo ca-rattere di stampa, il titolo delsuo poema più celebre, l’Iliade.Superfluo, e impossibile in que-sta sede, descrivere in dettagliola personalità culturale e pro-fessionale di Bertieri; non pos-siamo però non ricordare ilcompositore, il correttore, il ti-pografo, il rinnovatore della ti-pografia italiana, l’insegnante eappunto il disegnatore di carat-teri tra i più importanti del ‘900,il direttore di una rivista chiavedel rinnovamento tipograficoitaliano, «Il Risorgimento Gra-fico»; inoltre il collaboratore econsulente, dal 1915, della Ne-biolo, prendendo il posto che

Tipografia

della morte del più importantestampatore-editore-umanistadi tutti i tempi, Aldo Manuzio.L’amico di cui parlo è ovvia-mente Enrico Tallone che inuna mattina piovosa dellasplendida Bologna libraria midonò, perché ne scrivessi, alcu-ni esempi, da lui stesso stampati

Il buon Omero aveva un gran bel carattere

I cento anni del carattere Iliade disegnato da Raffaello Bertieri

Devo alla gentilezza diun maestro della tipo-grafia contemporanea

la possibilità di documentare unraro e dimenticato carattere distampa, disegnato da uno deigrandi protagonisti della tipo-grafia italiana del Novecento,Raffaello Bertieri. Esso è comeun ideale testimone che passa dimano in mano, da un celebratotipografo del primo Novecentoalle mani di un erede di unastraordinaria tradizione ma-nuale, che dalla Parigi inizio se-colo si sposta, a metà del ‘secolobreve’, ad Alpignano conti-nuando, da allora e in seguitoattraverso la maestria del figlioEnrico, una artigianalità tuttaitaliana ma di respiro europeo,all’insegna del libro tipograficoche nei perfetti ed equilibratirapporti interni, e nell’uso dipreziose materie prime, conti-nua a rappresentare una delleforme materiali dell’eccellenzadel nostro Paese, a maggior ra-gione in questo 2015 nel qualesi celebra il quinto centenario

56 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

MASSIMO GATTA

20 alfabeti brevemente illustrati da

Raffaello Bertieri, Milano, Istituto

Bertieri, 1933, copertina

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era stato del grande GianolioDalmazzo, che aveva diretto dal1901 al 1919 una delle più inte-ressanti riviste italiane di tipo-grafia, «Archivio Tipografico»,fondata nel 1889 come house or-gan proprio della Nebiolo. La

pubblicazione di «Archivio Ti-pografico» venne interrotta du-rante la guerra per riprenderenel ‘23, affidata ad altro diretto-re; infine, dal ‘66 al ‘72, la testataverrà sostituita dal nuovo perio-dico «Qui Nebiolo».

All’interno della fonderiatorinese, e sempre ad opera diBertieri, verrà creato, nel ‘33, unimportante laboratorio per laprogettazione dei caratteri dastampa, lo “Studio Artistico Ne-biolo”, diretto prima da Giulio

NOTE1 Vedi l’elegante plaquette dedicatagli

da Enrico Tallone, Giulio da Milano creatoredi tipi, Alpignano, Stamperia Tallone, di-

cembre 2007, edizione stampata in 180 co-

pie con caratteri disegnati da Giulio da Mi-

lano [si cita da una delle 60 copie su carta

avorio Magnani].2 Cfr. [Enrico Tallone], Omaggio ad Ales-

sandro Butti creatore di tipi, Alpignano,

Stamperia Tallone, 2002, impresso coi suoi

tipi in 300 copie non numerate. Segnalo

inoltre un elegante ephemera composto

con il carattere Hastile 48 pt, disegnato da

Butti nel 1941 per la Nebiolo, il biglietto

Auguri 2011, Cornuda, Tipoteca Italiana

Fondazione, s.d., stampato in 150 esempla-

ri numerati [si cita dalla copia n. 115].3 Salvadore Landi, Tipografia, vol. 1,

Guida per chi stampa e per chi fa stampare.Compositori e correttori, revisori, autori,editori, Milano, Hoepli, 1892, si cita dalla

seconda edizione, Milano, Hoepli, 1914. Id.,

Tipografia, vol. 2, Lezioni di composizionead uso degli allievi e di quanti fanno stam-pare corredate di figure e di modelli, Milano,

Hoepli, 1896, si cita dalla seconda edizione,

Milano, Hoepli, 1917. A Landi si deve anche

una simpatica autobiografia professionale,

Il ragazzo di stamperia di cinquant’anni faed altre quisquilie tipografiche: lettura fat-ta da Salvadore Landi il 17 giugno 1894, Fi-

renze, Landi, 1894, edizione f.c.; si cita dalla

ristampa, col titolo Cinquant’anni fa…, in

Id., Tipografia, vol. 2, Lezioni di composizio-ne ad uso degli allievi e di quanti fannostampare corredate di figure e di modelli,cit., pp. 1-14.

4 Milano, Bertieri e Vanzetti, 1913.

giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

Da sinistra: Il carattere “umanistico” di Antonio Sinibaldi fiorentino, Milano, Bertieri e Vanzetti, gennaio 1922; copertina

Augusto Calabi, L’arte tipografica in Italia al 1928, Milano, Bertieri, 1928; Raffaello Bertieri, Pagine di antichi maestri della

tipografia italiana, Milano, Editrice La Scuola del Libro, 1921, copertina

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da Milano,1 poi da AlessandroButti2 e infine, dal ‘52 fino allametà degli anni Settanta, da Al-do Novarese.

Bertieri inizia il suo ap-prendistato tipografico nell’of-ficina fiorentina di SalvadoreLandi, altro celebre stampatore,autore di Tipografia, una guidaprofessionale che all’epoca fece

scuola.3 Bertieri nel 1902, già aMilano, si trasferisce presso la‘Società Macchine Grafiche’ enel 1906, allo scioglimento dellasocietà, ne diventa proprietario,mentre l’anno dopo, insieme alsocio Piero Vanzetti, apre unapropria tipografia, diventata su-bito celebre per la qualità dellastampa. Come insegnante si ri-

corda la sua direzione della‘Scuola del Libro’ di Milano, ecome studioso la pubblicazionedi molti saggi, tra i quali è benericordare almeno L’arte diGiambattista Bodoni,4 Pagine diantichi maestri della tipografia ita-liana,5 Fattori tecnici ed artisticidel libro,6 Il libro italiano nel Nove-cento,7 il raro e importante 20 al-

58 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

5 Milano, Editrice La Scuola del Libro,

1921, trattasi del testo della conferenza di

Bertieri, letta in occasione dell’inaugura-

zione dell’anno scolastico 1920-1921 della

Scuola del Libro, stampata in 1000 esem-

plari fuori commercio su carta comune non

numerati, e 300 in carta di lusso, numerati

in macchina (lire 10).6 Milano, Bertieri e Vanzetti, 1917, in

copertina il titolo risulta Per le industriegrafiche e per il libro italiano dopo la guerra,

trattasi della sua relazione al Congresso

della ‘Società italiana del progresso delle

scienze’ (sezione del libro italiano), Milano,

aprile 1917.7 Con 52 riproduzioni alcune delle quali

a colori, Milano-Roma, Società Linotype

Italiana, s.d. [1928] 8 Milano, Istituto Bertieri, 1933, com-

posto in carattere Paganini, e stampato in

275 esemplari numerati in macchina (si ci-

ta dalla copia n. 55, non in commercio). 9 Milano, Bertieri e Vanzetti, gennaio

1922, stampato in 120 esemplari numerati

in macchina, con le iniziali stampate, e 35

non numerati, con le iniziali colorate a ma-

no (si cita dalla copia n. 13).10 Su questa importante rivista riman-

do almeno all’elegante catalogo della mo-

stra Nova ex antiquis. Raffaello Bertieri e ilRisorgimento Grafico, a cura di Andrea De

Pasquale, Massimo Dradi, Mauro Chia-

brando, Gaetano Grizzanti, da un’idea di

Enrico Tallone, Milano, Biblioteca nazio-

nale Braidense-Copistampa, settembre

2011.

Da sinistra: Colophon del volume di Calabi, L’arte tipografica in Italia al 1928; Raffaello Bertieri, Il libro italiano nel

Novecento, Milano-Roma, Società Linotype Italiana, s.d. [1928], copertina, Nova ex antiquis. Raffaello Bertieri e il

Risorgimento Grafico, Milano, Biblioteca nazionale Braidense-Copistampa, settembre 2011, copertina

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fabeti brevemente illustrati,8 infi-ne la cura e la raffinata stampadel raro Il carattere “umanistico”di Antonio Sinibaldi fiorentino9 diGuido Biagi, negli stessi annifonda come detto la rivista «IlRisorgimento Grafico».10

Nel 1915, quindi, Bertieriinizia la sua collaborazione conla Nebiolo di Torino e proprio aquell’epoca risalirebbe il dise-gno del carattere qui documen-tato per la prima volta (nel corpo72), il classico Iliade, primo frut-to di quel sodalizio. Questo ca-rattere è in un certo senso ano-

malo, di un’eleganza soffusa emisteriosa, testimonianza con-creta e preziosa dei suoi primipassi nel disegno di caratteristampa.

Stranamente non risultadocumentato nel suo 20 alfabetibrevemente illustrati, così comenei volumi dedicati alla Nebio-lo11 e allo stesso tipografo12, op-pure nel raffinato e raro pro-spetto antologico dedicato ai ca-ratteri italiani del Novecento.13

Bertieri aveva infatti, in altre oc-casioni, documentato con lapubblicazione di opuscoli alcuni

60 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2015

11 Cfr. almeno Giorgio Di Francesco,

Torinesi di carattere. La Nebiolo, un’indu-stria ed i suoi uomini, a cura di Lino Tavano,

Torino, Lupieri, s.a. [anni 2000].12 Come ad esempio nelle Onoranze a

Raffaello Bertieri nell’ambito del quintocentenario dell’introduzione della stam-pa in Italia, Milano, Centro di studi grafici,

1966, oppure nelle due mostre bibliogra-

fiche a lui dedicate, Esposizione persona-le dei libri stampati da Raffaello Bertieridell’Istituto grafico Bertieri e Vanzetti,Milano, dicembre 1925- Anversa, Museo

Plantin Moretus, 1925, e Raffaello Bertie-ri. Mostra di stampe, documenti, edizionivarie, Milano, Industrie grafiche italiane

Zucchi, 1965 [catalogo della mostra alla

Biblioteca comunale di Palazzo Sormani,

Milano 14 gennaio-3 febbraio 1965].13 Cfr. [James Clough], Antologia di

caratteri italiani del Novecento, Milano,

Tipografia didattica C.F.P. Riccardo Bauer,

giugno 1997 [stampato fuori commercio

in 300 copie non numerate nell’ambito

del corso di Design Tipografico].14 Il carattere “umanistico” di Antonio

Sinibaldi fiorentino, cit.

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61giugno 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano

caratteri da lui disegnati, come ilSinibaldi e il Paganini. Il primo,celebrato dall’elegante prospet-to in-quarto firmato da GuidoBiagi e stampato da Bertieri,14

che lo aveva “brevemente illu-strato” proprio in apertura delsuo 20 alfabeti15, venne ripresoda Bertieri da un codice vergatoda Antonio Sinibaldi nel ‘400; ilsecondo utilizzandolo proprioper la composizione dei 20 alfa-beti, nel quale venne anche am-piamente descritto e rac con -tato.16

Ma l’eleganza assoluta,senza tempo del Paganini, da luidisegnato nel ‘26 e ispirato aschizzi di calligrafia del primoOttocento, la ritroveremo an-che nell’opuscolo di AugustoCalabi del ‘28,17 anch’esso ov-viamente stampato da Bertieri,dove questo carattere venne im-

piegato per la prima volta, un ra-ro opuscolo pubblicato nell’am-bito della terza ‘Fiera interna-zionale del libro’ di Firenze, unamanifestazione di notevole im-portanza per le arti del libro, co-sì come per l’ex libris.18 E di re-cente a celebrare il Paganini èstato un grande stampatore,purtroppo scomparso, il vero-nese Alessandro Zanella, in unaplaquette di rara eleganza.19

Bertieri, disegnando i suoicaratteri, aveva compiuto unlungo lavoro di studio, docu-mentazione e perfezionamento

partendo dal loro utilizzo neiprimi volumi a stampa; sarà così,ad esempio, per l’antico Ruano,fuso nel 192620 e tratto da un ca-rattere cancelleresco del 1540del calligrafo Ferdinando Rua-no. Proprio con l’Iliade, che conqueste poche righe abbiamo tol-to per un attimo dall’oblio nelquale era caduto, Bertieri inizie-rà quel lungo percorso di lavoro,di studio e di insegnamento chelo porterà ad essere una delle fi-gure più rappresentative del pa-norama tipografico europeo delNovecento.

15 20 alfabeti brevemente illustrati,cit., 26-27.

16 Ibid, pp. 50-55.17 Augusto Calabi, L’arte tipografica in

Italia nella III Fiera internazionale del libro aFirenze nel 1928, a cura de “gli amatori del

libro”, Milano, Bertieri, 1928, edizione

stampata in 500 esemplari numerati [si cita

dalla copia n. 253].

18 Cfr. il magnifico [Giuseppe Fumagal-

li], Catalogo della mostra nazionale di ex-libris, con 14 figure e 7 tavole fuori testo,

Firenze, presso l’Istituto Italiano del Libro

[Tipografia Classica, Firenze], 1928.19 Carattere Paganini. R. Bertieri – A.

Butti. Nebiolo Torino 1928, Santa Lucia ai

Monti (Verona), Alessandro Zanella, 24 feb-

braio 2010. I caratteri utilizzati per la com-

posizione manuale e la stampa delle sole 50

copie numerate della plaquette proveniva-

no dall’archivio della benemerita Tipoteca

Italiana Fondazione di Cornuda [si cita dal-

la copia n. 47].20 Per il quale cfr. il raro opuscolo Il nuo-

vo carattere (depositato) “Ruano” disegna-to, inciso e fuso dalla Società Anonima Ne-biolo, Torino, s.d. [ma 1926].

A destra: colophon del volume

Il carattere “umanistico” di Antonio

Sinibaldi fiorentino. Nella pagina

accanto: Alfabeto Iliade disegnato da

Raffaello Bertieri, in corpo 72

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Milano, con un titolo assai laco-nico: Due percorsi. In effetti, sitrattava di due percorsi che in piùoccasioni avevano già trovatomodo di incontrarsi, special-mente a partire dagli anni Ottan-ta. Risale ad allora, infatti, un’im-portante mostra presso la Per-manente di Milano, Il segno dellapittura e della scultura, in cui i dueavevano giocato un ruolo decisi-vo, che dava avvio a un momentodi ricognizione sulla situazionemilanese che trovava un ultimomomento di sintesi nella trenta-duesima biennale di Milano,sempre alla Permanente, nel1993.

Si potrebbe precisare che sitrattava di due percorsi interfe-renti o, meglio ancora, due per-corsi avviatisi da premesse comu-ni che, pur in totale autonomia dilinguaggio, hanno mantenuto untemperamento comune e uno

BvS: Fondo De Micheli

Ricordo di Alberto Ghinzanie Giancarlo Ossola

Mario De Micheli e la giovane scuola di Milano

La dipartita, rispettiva-mente la notte del 4 e lasera del 5 aprile, di due

maestri del secondo Novecentocome Giancarlo Ossola (1935-2015) e Alberto Ghinzani (1939-2015) accanto a una esterrefattacosternazione provoca un affa-stellarsi di riflessioni. Ci si accor-ge infatti che oltre ad un com-miato quasi simultaneo dalla vitaterrena, sono molti i punti dicontatto fra due percorsi adia-

LUCA PIETRO NICOLETTI

Alberto Ghinzani, Strade del Nord

sotto un vessillo cupo, 1987, Milano,

collezione Intesa San Paolo

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centi e paralleli, che talvolta si so-no intrecciati. Può essere eserci-zio non inutile, data la concomi-tanza, tentare di mettere a fuocoil ruolo che i due hanno giocatoin una precisa situazione dell’artea Milano, tra l’inizio degli anniSessanta e il primo decennio delnuovo millennio.

Il primo dato che si puòportate a questo argomento èuna mostra che li vede accoppia-ti, nel 1996 allo spazio Linati di

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sguardo non dissimile sulle cose.Entrambi, infatti, figurerebberoa buon diritto come capifila inquella linea più “malinconica”,fondamentalmente romantica,dell’arte lombarda. Una linea ditendenza che si sofferma sulle co-se e le medita a lungo, che ne co-glie il lato più poetico e solitario.Era una delle vie d’uscita dall’In-formale, entrato in crisi, comenovità di proposta, proprio quan-do questi artisti si stavano affac-ciando all’orizzonte. Una via, pe-rò, ben diverso da quell’“attivi-smo” prammatico, anch’esso ti-picamente lombardo, che con-trassegnava istanze più esuberan-

ti come la lezione di Lucio Fonta-na, o dello Spazialismo in genere.Lo aveva capito molto bene Ma-rio De Micheli (del quale la Bi-blioteca di via Senato possiede ilvasto archivio, depositato orapresso la Biblioteca comunale diSegrate), presentando la primamostra personale di Ossola, nel1961, presso il Salone Annuncia-ta di Milano: la spinta che muove igiovani di allora «ha radice nellosgomento psicologico, in un sen-so angoscioso di oppressione, dicui soffrono e da cui vorrebberouscire, pur senza sapere con chia-rezza verso quale punto aprirsi unvarco. […] Ecco ciò che brulica

nello spazio psicologico delle lo-ro tele: quei segni, quelle parven-ze, quei brividi, quelle presenzefantomatiche e spettrali non sonoche interrogativi, non sono cheframmenti di domande sulla pro-pria sorte, sul proprio destino».Quando scriveva queste poche ri-ghe, il critico de «l’Unità», pros-simo alla soglia dei cinquant’an-ni, cominciava a interessarsi allenuove generazioni di allora, spe-cialmente a quelle tendenze chesarebbero andate sotto l’etichettadi “Realismo esistenziale”, termi-ne che De Micheli non usa, prefe-rendo più prudentemente parlare(non a torto) di una “giovane

Sopra da sinistra: Giancarlo Ossola, Interno, 1979, particolare, Milano Museo del Novecento; Giancarlo Ossola, Flucht, 1982

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scuola di Milano”. È un dato danon trascurare, in tal senso, cheun gran numero di questi artisti,nati nel corso degli anni Trenta eattivi a Milano dalla metà deglianni Cinquanta, abbiano la fir-ma di De Micheli fra le primevoci delle rispettive bibliografie:segno di un’attenzione conti-nuativa e di una fiducia verso leproposte che si stavano affac-ciando per la prima volta. Il criti-co, in alcuni di loro, aveva trova-to delle idee un po’ confuse, mache erano il segno di una tensio-

ne esistenziale e morale: stavanoancora cercando un proprio lin-guaggio, ma avevano chiaro cosavolessero fare.

Quando scrisse di Ossola,questi era ancora in una fase ini-ziale della sua carriera: non eraancora il pittore delle fabbriche edei luoghi abbandonati, ma unpittore che cercava di dare unasintassi nuova alla gestualità in-formale, con quello che De Mi-cheli avrebbe definito «un attri-to, una sensibilità che si irrita ereagisce, c’è un tono patetico ve-

ro che costituiscono una garan-zia». E quella “garanzia” era co-stituita da tele formicolanti diuna vita sotterranea, fatta di cor-puscoli disseminati sulla superfi-cie con i modi eccentrici di unafantasmagoria visionaria. Amonte c’era già allora, per Osso-la, una passione verso i pittori delSeicento, fra cui l’olandese Her-cules Seghers, che andrà conci-liata, poi, con una passione perSutherland, condivisa anche conGhinzani (che avrà modo di in-contrare più volte, nella sua Lo-

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Sopra da sinistra: Alberto Ghinzani, Casadinverno, 2007, particolare; Giancarlo Ossola, Interno, 1979, Milano, Museo del

Novecento

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mellina, il maestro inglese). Già allora, però, l’attenzio-

ne di Ossola era attirata dalle cosenella loro natura: la forma di unfungo, che poteva diventare uncontorno di memoria organica,quasi una derivazione dai teatrinifontaniani (ma tradotti in terminidi natura). Come scriveva l’artistastesso nel 1968, «gli oggetti si di-latano e si contraggono continua-mente». Se si accosta a questo ap-punto una dichiarazione di Ghin-zani del 1965, ci si accorgerà che iproblemi messi in campo, perquanto risolti in maniera diffe-rente, erano gli stessi: «mi trovosempre davanti a un oggetto benchiuso. Sbaglio se per fretta opaura voglio possederlo. Devotener conto invece della sua realtà(che è da salvare) e della sua intat-ta solitudine». Si trattava insom-ma di tornare a guardare le cose,di rivolgere lo sguardo, dopo annidi pittura che si limitava a una tra-duzione intimistica di un impulsomomentaneo, verso l’esterno everso gli oggetti: Ossola posa losguardo sui profili delle città, tra-sformandole in formicolanti vi-sioni; Ghinzani cerca di portaredentro la scultura, memore dellalezione di Rosso (ma più da unpunto di vista concettuale chepratico) un tema squisitamentepittorico come il paesaggio. Loaveva intuito ancora una volta DeMicheli, segnalando l’artista, pri-ma ancora di presentare la suaprima personale nel 1967 (ricor-dato dalla mostra sul critico tenu-

tasi presso la Biblioteca di via Se-nato) alla sua prima apparizionepubblica, insieme a GiulianoCollina e Renzo Ferrari, alla Gal-leria delle Ore di Giovanni Fu-magalli. In quel caso, il criticoconfessava di preferire i disegni diGhinzani, perché «dove si ab-bandona di più alle suggestionidell’immagine, il significato delsuo discorso appare con maggio-re evidenza: in ogni disegno èpresente l’uomo, un uomo solo alcentro di un campo, la testa di unuomo che sorge dietro un muro,un volto che s’intravede dietro ivetri di una finestra. Questa ap-parizione dell’uomo è insistenteed ha un vero e proprio carattereaffermativo, non solo spettrale ofantomatico come può averlo inBacon. Per certi aspetti le analo-gie vanno di più verso talune im-magini di Francese. Nella scultu-

ra invece la visione si fa più con-tratta ed essenziale, ma questa vo-lontà di fare emergere l’uomodalla negazione indeterminata incui è stato relegato, rimane»(“l’Unità”, 19 maggio 1962). Aquesta descrizione, se ne potreb-be accostare, per contrasto, unadata da Ossola stesso in occasionedi una mostra dell’amico Ghinza-ni, ancora alla Galleria delle Ore,nel 1984: «L’opera di Ghinzanioccupa oggi un preciso spazionell’ambito della generazione diartisti interessati agli sviluppi del-l’esperienza informale in unanuova, complessa figurazione.[…] I temi precedenti, costruitisecondo un simbolismo verticaleche celebrava un’epica della terrae delle stagioni, ricca di sensi na-turali e di suggestioni materiche,ritrovano un fluire del tempo e unpiù coinvolgente rapporto con le

Alberto Ghinzani, opere alla mostra Alberto Ghinzani una linea lombarda,

Bellinzona, Castelgrande

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cose. Che sono quelle di sempre;ma diversamente assunte dalla fi-gura umana, non più ieratica main lento e meditato muoversi nel-lo spazio. Questa dimensione ri-trovata, questa presenza più liricae immaginativa del gruppo scul-toreo, precariamente inclinato,trova interessanti soluzioni for-mali di vuoti e pieni; la figura èscavata nell’ombra o s’inoltra neltempo in fecondo rimando di cul-ture, dal Bookmaker di MedardoRosso all’imprescindibile intui-zione giacomettiana, alla dinami-ca boccioniana della materia, algigantismo di Rodin. […] Anchequi il vuoto della figura è buio mi-sterioso profilo. La complessitàformale di questa sorta di geome-tria organica, delinea un momen-to di lavoro “in progress”. In que-sto nuovo ciclo, la figura reca unbagaglio di miti e attrezzi, e hauna sua solitaria solidità». Sia Os-sola sia Ghinzani, non andrà di-menticato, per tutta la vita sonostati artisti che scrivono: questo

ne ha fatto due casi esemplari dicoscienza critica di una genera-zione, e i loro scritti rivestonoun’importanza particolare per-ché consentono di mettere a fuo-co elementi di mentalità condivisida molti altri artisti più o menocoetanei. Questo, naturalmente,a prescindere dalle scelte di stile,orientate verso una prosa piana edistaccata, mirata a una chiarezzadi giudizio da parte del primo,verso la poesia per il secondo. Inentrambi i casi, però, accanto alladichiarazione di poetica c’era unacostante attenzione verso il lavo-ro degli altri, oggetti di appunti oomaggi lirici parimenti utiliquanto le note di artisti che guar-dano altri artisti: seguendo il trac-ciato di questi testi, se letti bene,non sarà difficile riconoscere unreticolo di relazioni, di maestrid’elezione e di amici compagni distrada.

Per tutti, e per i due artisti inquestione in particolare, era cen-trale un’idea di uomo, per come

poteva uscire in un’età di crisi co-me i primi decenni del dopoguer-ra. La “linea lombarda” di Ossolae Ghinzani, quindi, non è quellaottimista e avanguardista chepunta verso spazi cosmici: è unalinea radicata nei luoghi, che amail paesaggio della Lombardia, cheallo sperimentalismo linguisticopreferisce il dialetto, e che posa losguardo, con evidente partecipa-zione emotiva, sulla natura piùdesolata o i luoghi più dimessi,trasmettendo quel malinconicolanguore delle cose appassite osuperate. Incessantemente, finoagli esiti più recenti, l’ossessioneper un mondo in disfacimento,fatto di depositi e di sedimenti (lefabbriche dismesse di Ossola, leclessidre di Ghinzani) con un ve-lo di polvere come un costante eincessante memento mori. Neaveva scritto molto bene Ossola,in un testo importante del 1987,intitolato Elogio del rifiuto: «Lavera grandezza della nostra epocaconsiste nella creazione del rifiu-to, inteso come scoria, immondi-zia, relitto. Non la produzione dibeni o servizi ci consegnerà allamemoria dei futuri millenni, mala trasformazione del pianeta inun gigantesco relitto. La nostragrandezza sta nella stratificazioneepica dei rifiuti. Per essere illumi-nati sulla natura e qualità dei no-stri processi creativi dobbiamointerrogare queste immani e in-distruttibili tracce del nostro pas-saggio. Vere opere collettive, artedi massa».

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Alberto Ghinzani, Tracce del tempo, 2014

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sentimenti ed emozioni madelle loro astrazioni sociali ead avere parole sempre piùraffinate per sentimenti sem-pre più rozzi.

Se guardo in retrospettivaal mio rapporto con la poesiafatta, a come nacque in me ilprimo tentativo di poesia,penso che il carattere via via

Sartoria delle parole e delle cose

Poesia come preghiera, poesia come presenza

Le parole e i segni dell’infinito

La parola è un segno ecome tutti i segni, men-tre svela, vela. E pro-

prio per questo suo carattere,per questa fisionomia, costan-temente vedo sorgere in me latentazione di non crederle.Ma non credere alle parole ènon credere alle cose. È la ten-tazione di Mallarmé ed è la

DANIELE GIGLI

tentazione cui tanta poesia,prima di me, ha ceduto neltentativo di opporsi alla parolavolgare e sciapita della quoti-dianità. Mallarmé infatti odiala parola quotidiana, la parolad’uso, perché l’uso la involga-risce, la svilisce, la rende un si-mulacro, ci fa finire - come di-ceva Eliot - a parlare non di

Sotto da sinistra: Stephane Mallarme (1842-1898), in una foto del 1890 circa; George Steiner (1929)

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sempre più imponente che miha accompagnato sia stato pro-prio l’ascolto, la «messa in ri-cezione», potrei dire, di unistante di condensazione deisignificati, di – per usare untermine forse pericoloso, tantoè anacronistico – svelamentodelle corrispondenze. Per que-sto, forse, uno dei brani luzianiche più mi accompagnano è lachiusa di Las Animas, dove alfuoco umano che «basta appe-na,/ se basta, a rischiarare fin-ché duri/ questa vita di sotto-bosco», Luzi ne contrapponeun altro, che «solo […] potreb-be fare il resto/ e il più: consu-mare quelle spoglie, mutarle inluce chiara, incorruttibile».

È, questa condensazione,il frutto di quella «conoscenzaper ardore» che Luzi pone alculmine del rapporto con la re-altà. Una parola che incarna ilmistero, che gli presta la formae al contempo se la fa prestare.Ecco, questo nesso tra parolapoetica e conoscenza, nel sen-so di disvelamento di caccia almistero presente nelle cose, èormai definitivamente il mooddel mio fare poetico. Io facciopoesia per necessità, perchésono fatto per andare a cacciadel mistero, ma senza questobenedetto strumento che mi èstato donato, mi inaridisco, mene passa la voglia.

Solo - e questo è un pas-

saggio duro, non riesco a spie-garlo nel corso di una cena, fi-guriamoci adesso - questa cac-cia allo spirito esige la materia-lità e al contempo restituiscealla materia una solidità reale.Leggo velocemente tre braniper provare a dire di questonesso. Il primo è ancora Luzi,che in una conferenza su Van-gelo e poesia del ’95 - quindiquarant’anni più tarda rispettoalla poesia che abbiamo visto -così parla del mistero e dellaparola:

C’è qualcosa che non è alla por-tata della parola degli uomini,non riducibile alla loro parola.Questo equivale a dire che c’è unmistero; ed è un mistero che nonnasconde, ma anzi si illuminacome tale, si comunica come ta-le. […] Il mistero: è un vocaboloche noi usiamo e di cui abusiamoe abbiamo troppo abusato; per-ché in fondo è anche comodo;quello che non è intelligibile lochiamo mistero. […] Ma miste-ro è una forma, invece, di cono-scenza. C’è una conoscenza permistero, come c’è una conoscen-za per idee e anche per formule,se volete. Nei Vangeli, mi sem-bra, la presenza del mistero nonsolo aleggia, ma è proprio palpa-bile, sensibile, e nel linguaggio

A sinistra: Mario Luzi (1914-2005).

A destra: Thomas S. Eliot (1888-

1965), in una foto degli anni Trenta

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del Vangelo è inclusa anche lapresenza del mistero come no-zione non negativa. Non comeun divieto a conoscere, ma anzicome un’offerta di conoscenza.

Questa conoscenza per mi-stero, attraverso la parola, puòsembrare una deviazione dallarealtà, ma è al contrario, un mododi affondarvi.

Il presupposto necessario,tuttavia, è un atto di fede nell’esi-stere delle cose, cioè in quel-l’esperienza sensibile che tuttinoi facciamo vivendo dell’essercidelle cose e del limite in esse im-plicito, un limite che ne indical’apertura alla trascendenza. Eper descrivere la natura razionaleed esperienziale di questo atto difede, trovo ancora impareggiabilile pagine con cui George Steinerinizia Vere presenze:

Ogni comprensione coerente dicosa sia la lingua e di come essafunzioni, ogni descrizione coe-rente della capacità del discorsoumano di comunicare significa-ti e sentimenti, è garantita inultima analisi dal presuppostodella presenza di Dio. [...]L’esperienza del significatoestetico, quella della letteratu-ra, delle arti, della forma musi-cale, sottintende la necessariapossibilità di questa «vera pre-senza». […] Questa scommessa[…] ha per predicato la presen-za di una qualità reale, di una“sostanziazione” […] che av-viene all’interno della lingua edella forma. […] L’ipotesi è cheDio è, non per via della nostragrammatica ormai obsoleta;ma che la grammatica vive egenera mondi perché c’è questascommessa su Dio.

Ultimo passaggio: la stra-da. E così chiudiamo il cerchiotornando all’ascolto. Perché ac-cada la sostanziazione di cui par-la Steiner, infatti, perché le pa-role e le cose non ricadano nelsimulacro dell’uso quotidiano,nel significato bloccato delleidées reçues, c’è bisogno di un in-tervento altro. C’è bisogno diun’altra parola oggi un po’ maleavvertita: il dono, l’ispirazione,il demone. C’è bisogno che ildio detti il primo passo e ci met-ta in ascolto. Non un dio oltre lecose, ma un dio alla radice dellecose. Dio. E la mia preghiera, inquesto senso, è quella dell’ulti-mo quartetto di Eliot, dove ve-diamo che cos’è, che cosa puòessere l’esperienza quotidianadella caccia, di questa comunio-ne dei santi che è la caccia allaparola e la caccia all’essere:

Se imboccate questa via,per ogni strada, partendo da ogni dove,sarà sempre uguale: bisognerà gettaresenso e nozioni. Non siete qui a verificare,a istruirvi, informare la vostra curiositào stilare rapporti. Voi siete qui ad inginocchiarvidove la preghiera ha funzionato. E la preghiera è piùche un ordine di parole, o l’occupazione intentadella mente che prega, o del suono della voce che prega.E quello per cui i morti non avevano parole, essendo vivi,adesso sanno dirtelo, da morti: la comunicazionedei morti ha lingue di fuoco oltre la lingua dei vivi.Qui, l’intersezione dell’istante senza tempoè l’Inghilterra e nessun dove. Mai e sempre.

(T.S. Eliot, Little Gidding, I 41-55)

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Posto lassù, sembra quasi uncastello. La strada che siinerpica, i crocicchi, i tor-

nanti. Intorno, solo prati e boschi.Una luce, nella notte cupa. Già, po-trebbe essere un maniero. Così mitrovo, come il viaggiatore de Il ca-stello dei destini incrociatidi Italo Cal-vino (opera che la Biblioteca di viaSenato conserva nella prima edi-zione stampata in volume, impressaa Torino, per Einaudi, nel 1973).Quasi «senza fiato», mi appressonella speranza di un «rifugio», undesco per «quanti la notte ha sor-preso in viaggio». Giunto, non tro-vo alcun «ponte levatoio sconnes-so», ma una signorile dimora. Al-cun «stalliere silenzioso», ma il sor-riso di benvenuto di Marisa Marsu-pino. È la casa della sua famiglia: dal1901 lì, sui poggi di Briaglia, nellaLanga monregalese. «Mi pare ditrovarmi in una ricca corte, qualenon ci si può attendere» in un luogocosì rustico e fuori mano. Un luogo- certo - denso di storie sedimentatenei decenni: nei muri, fra gli «arre-di preziosi», nei «ceselli del vasella-me»… Storie combinatorie che sipossono forse ricostruire con«mazzo di carte da gioco: di taroc-

Cherasco in cocotte alla borgo-gnona. Arriva La ruota della fortu-na, a rappresentare il desco sapien-temente imbandito. Calano quin-di due figure alate: L’Angelo, a raf-figurare la passione ricca di bontàche traspare dalle pietanze, eL’Amore, a descrivere l’attacca-mento a questo angolo di Piemon-te della famiglia Marsupino.

Un colpo di vento, si scom-bina il mazzo e un’altra carta sisolleva. È l’Asso di Coppe. «Con lamano protesa», Luca regge unaeccelsa bottiglia, salita dalla vastae fonda cantina. Una fonte è dise-gnata sull’arcano. Perché purezzaestrema è il vino. Idea più che ma-teria. Concetto più che sostanza.Come il Darmagi di Angelo Gaja.Una scommessa assoluta: portareil Cabernet Sauvignon nella terradi Barbaresco per creare un gran-de rosso bordolese. Bevendo un1996 si può sostenere - con LaStella - che, come un «lume cherischiara la tenebre», così Dar-magi illumina l’animo. Eppoi nonresta, nell’attesa del racconto del-l’ennesima storia, che «sparpa-gliare le carte, mescolare il maz-zo, ricominciare da capo».

BvS: il ristoro del buon lettore

chi», ricchi di «re, regine, cavalierie fanti, vestiti con sfarzo come peruna festa principesca; e coppe, de-nari, spade, bastoni, splendenti co-me imprese araldiche ornate dacartigli e fregi».

Nelle raccolte salette, ri-schiarate dai bagliori del camino,regnano «la calma e l’agio tra icommensali». Si appressa un gio-vane. Lo sguardo franco e dolce, ilgesto sicuro e pacato: come l’arca-no del Cavaliere di Coppe. È LucaMarsupino. Narra della cucina edella cantina. Una «fetta di tim-ballo di fagiano»? O anche il sal-merino scottato con verdure croc-canti e tonda gentile. Il peperoneripieno al forno su caviale di me-lanzana. Gli gnocchi di patate alCastelmagno. E le lumache di

GIANLUCA MONTINARO

Trattoria MarsupinoVia Roma, 20Briaglia (Cn)Tel. 0174/563888

Destini che si incrociano sui poggi di Briaglia

Vite e sentieri che si incontrano alla trattoria Marsupino

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ANTONIO CASTRONUOVOAntonio Castronuovo

(1954), bibliofilo e saggista,dirige varie collane per la Edi-trice la Mandragora di Imolae collabora con parecchie ri-viste.

Tra i suoi titoli Libri da ri-dere: la vita e i libri di AngeloFortunato Formíggini (2005),Macchine fantastiche (2007),Ladro di biciclette: cent’annidi Alfred Jarry (2008), Alfabe-to Camus (2011).

Traduttore dal francese,ha da ultimo pubblicato L’in-cendio e altri racconti di IrèneNémirovsky e Il cervello nonha pudore di Jules Renard(2013 e 2014).

MASSIMO GATTAMassimo Gatta (1959) ri-

copre l’incarico, dal 2001, dibibliotecario presso la Biblio-teca d’Ateneo dell’Universitàdegli Studi del Molise dove haorganizzato diverse mostrebibliografiche dedicate a edi-tori, editoria aziendale easpetti paratestuali del libro(ex libris).

Collabora alla pagina do-menicale de «Il Sole 24 Ore» eal periodico «Charta». È diret-tore editoriale della casa edi-trice Biblohaus di Macerataspecializzata in bibliografia,bibliofilia e “libri sui libri” (bo-oks about books), e fa partedel comitato direttivo del pe-riodico «Cantieri».

Numerose sono le suepubblicazioni e i suoi articoli.

DANIELE GIGLIDaniele Gigli (Torino,

1978) lavora nella conserva-zione dei beni culturali comearchivista documentalista.Studioso e amante di T.S.Eliot, ne ha curato alcune tra-duzioni, tra cui quelle di TheHollow Men (2010) e Ash-Wednesday (2013). Ha pub-blicato le plaquette Fisiogno-mica (2003) e Presenze(2008) e sta attualmente la-vorando al libro Fuoco unani-me. Scrive di poesia e filoso-fia su «Studi cattolici» e sulquotidiano on-line «Il sussi-diario».

LUCA PIETRO NICOLETTILuca Pietro Nicoletti, sto-

rico dell’arte, si interessa diarte e critica del Secondo No-vecento in Italia e in Francia.

Ha pubblicato: Gualtieridi San Lazzaro. Scritti e in-contri di un editore italiano aParigi (Macerata 2013).

GIANCARLO PETRELLAGiancarlo Petrella (1974)

è docente a contratto di disci-pline del libro presso l’Univer-sità Cattolica di Milano-Bre-scia. Nel 2013 ha conseguitol’abilitazione per la I fascia diinsegnamento di Scienze dellibro e del documento.

È autore di numerose mo-nografie fra cui: L’officina delgeografo; Uomini, torchi e li-bri nel Rinascimento; La Pro-nosticatio di Johannes Li-chtenberger; Gli incunabolidella biblioteca del SeminarioPatriarcale di Venezia (2010);L’oro di Dongo ovvero per unastoria del patrimonio librariodel convento dei Frati Minoridi Santa Maria del Fiume(2012). Collabora con «Il Gior-nale di Brescia» e la «Domeni-ca del Sole24ore».

GIANLUCA MONTINAROGianluca Montinaro (Mi-

lano, 1979) è docente a con-tratto presso l’universitàIULM di Milano. Storico delleidee, si interessa ai rapportifra pensiero politico e utopialegati alla nascita del mondomoderno. Collabora alle pagi-ne culturali del quotidiano «ilGiornale».

Fra le sue monografie siricordano: Lettere di Guido-baldo II della Rovere (2000); Ilcarteggio di Guidobaldo IIdella Rovere e Fabio Barigna-ni (2006); L’epistolario di Lu-dovico Agostini (2006); FraUrbino e Firenze: politica e di-plomazia nel tramonto deidella Rovere (2009); LudovicoAgostini, lettere inedite(2012); Martin Lutero (2013).

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

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V.le del Mulino, 4 – Ed. U15 – 20090 Milanofiori – Assago (MI) – Tel. 02 33644.1 Via Cristoforo Colombo 173 - 00147 Roma – Tel. 06 488888.1

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