Scacco matto all'Austerity

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lUniversi SCACCO MATTO ALL’AUSTERITY OBAMIZE La comunicazione made in Usa per la vittoria NIETZSCHE L’uomo all’ombra del filosofo FUTBOLOGIA Quando il calcio si fa cultura novembre

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Numero di novembre 2012

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SCACCO MATTO

ALL’AUSTERITY

OBAMIZE La comunicazione

made in Usa per la

vittoria

NIETZSCHE L’uomo all’ombra

del filosofo

FUTBOLOGIA Quando il calcio si

fa cultura

novembre

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numero di novembre SOMMARIO

People of Europe rise up!. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.1di Gianluca Scarano

Articolo 18 e articolo 8: i referendum al servizio dei lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.2di Gianni Bortolini

Fùtbologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.4di Matteo Montanari

Ddl Diffamazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.6di Michele Musso

Le due facce di Nietzsche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.7di Jacopo Tampieri

Uragano Obama . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.8di Anna Aprile

La rinascita del calcio italiano passa per... la Germania . . . pag.10di Agostino Piacquadio

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People of Europe rise up!

Lo sciopero si è fatto continentale.

Quest’anno l’urlo per il diritto allo studio è arrivato prima. Speriamo sia arrivato sino alle orecchie dei destinatari. Sarebbe stato troppo difficile organizzare una mobilitazione studentesca di sabato, ovvero il 17 (tradizionale giornata di mobilitazione internazionale per il diritto allo studio). Sarebbe stato troppo comodo non far nulla in un momento del genere. Si è manifestato il 14 anziché il 17, di concerto con lo sciopero generale dei sindacati, a testimoniare come le problematiche si studenti e lavoratori siano tornate ad essere molto vicine, in un quadro ugualmente drammatico. Ma cosa più importante, finalmente lo sciopero si è fatto continentale. Un unico avversario: l’austerity. Sull’austerity ci si era già espressi. Lo si era già detto che ad oggi non rappresenta alcuna forma di tecnicismo, ma solamente un dogma, un vero e proprio strumento ideologico nelle mani del neoliberismo. Lo ha fatto anche Sinistra Universitaria lo scorso 12 novembre, in un assemblea preludio allo sciopero, cercando di affrontare la questione non solo dal punto di vista degli studenti, del diritto allo studio e delle risorse per la conoscenza, ma anche dei lavoratori e delle urgenze dettate dall’occupazione. E’ stata tra l’altro una delle poche occasioni ad oggi in cui si è fatto entrare un operaio dentro i luoghi dell’università per farlo interagire con gli studenti, al fine di produrre una vera sintesi di diritti. Un po’ diverso e un po’ di più rispetto ai vari teorici delle

occupazioni, pseudo marxisti (perché fa figo), forse più dediti alla produzione di murales sulle facciate dell’Università. La vera novità è che lo sciopero si è fatto finalmente continentale. Finalmente, perché forse ci si è accorti una volta per tutte che queste problematiche vanno affrontate a livello sovranazionale, là dove, nei luoghi del sistema finanziario, si è prodotta questa crisi. Cgil e Fiom si sono date appuntamento alle 9 a piazza dei Martiri, il mondo della scuola da via de' Castagnoli. Da porta Lame alle 9,30 è partito il corteo degli studenti degli istituti superiori bolognesi e degli universitari dell’Alma Mater. Circa tremila studenti, che hanno sentito la necessità di distinguersi dal corteo dei collettivi che partiva contemporaneamente da Piazza XX settembre per risolversi in quel solito lancio di uova all’Unicredit. Tremila studenti consapevoli che esiste un’alternativa seria, la possibilità di organizzare una protesta cosciente unita a delle proposte concrete. Consapevolezza che l’azione della rappresentanza negli organi accademici, vista una costruzione istituzionale che talvolta pone gli studenti a margine, va integrata con il movimentismo responsabile. Certo non tremila bamboccioni, né choosy, né tanto meno sfigati.

Trent’anni fa il baricentro politico europeo si spostava a destra, sotto la spinta del tandem neocon Reagan-Tatcher, ed un vento di quel liberismo ha portato la nostra

Europa in ginocchio, schiacciata dal peso della disuguaglianza. La manifestazione del 14 novembre, i contestuali scontri di Roma, Madrid e Atene sono una dimostrazione: testimoniano il fallimento di quelle idee ed una nuova spinta a sinistra. Gli studenti rispondono positivamente e si pongono alla testa del cambiamento. Ora si aprano i governi ad accogliere queste nuove idee di eguaglianza e giustizia sociale che possano ridare la speranza di un futuro.

Il corteo è proseguito verso Piazza Santo Stefano, gli striscioni restano attaccati, e l’assemblea ha inizio. Segue la speranza che le urla di protesta siano ascoltate da chiunque si reputi responsabile di una generazione senza futuro.

Gianluca Scarano

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ARTICOLO 18 E ARTICOLO 8: I REFERENDUM AL

SERVIZIO DEI LAVORATORI

Contributo del delegato della Fiom Magneti Marelli Bologna.

Parto con una cosa personale: la sorte mi ha regalato una certa dose di ironia e un certo gusto del paradosso. Dico questo perché quando partecipo a delle riunioni sindacali sento spesso dire che è necessario che il lavoro torni al centro dell’agenda politica nazionale. Pur comprendendo il senso profondo di questa affermazione mi capita tutte le volte di sobbalzare sulla sedia e di sorridere amaramente. Il fatto è che mi sembra che da almeno 15 anni a questa parte sia avvenuto esattamente il contrario, e cioè che il mondo del lavoro sia stato costantemente e pervicacemente al centro dell’agenda politica dei nostri governanti. Solo che io ne avrei fatto volentieri a meno, e, come me, credo anche qualche milione di persone. Non occorre essere dei grandi giuslavoristi per mettere in fila: Pacchetto Treu, Legge Biagi, riforme e tagli indiscriminati delle pensioni, attacchi alla legge 104, introduzione dell’ Articolo 8, modifiche all’ Articolo 18, riforme del welfare, ecc. Oggi però vorrei concentrare la mia attenzione su due leggi che, se si raccoglieranno le firme necessarie, dovranno essere sottoposte a referendum. Si tratta dell’ articolo 8 ( l. 148 del 2011) e dell’ articolo 18 della legge 300 dello Statuto dei Lavoratori.

Articolo 8. Questa legge è stata

voluta dall’ex ministro del lavoro Maurizio Sacconi e prevede che la contrattazione collettiva di prossimità possa derogare anche in pejus - in peggio - alla legge e al contratto collettivo di livello superiore. Ciò significa che dal 2011 è possibile che un contratto aziendale - di secondo livello - possa prevedere deroghe peggiorative non solo rispetto al contratto collettivo di riferimento bensì anche alle leggi. Per chi non mastica di questioni contrattuali e sindacali faccio questo semplice esempio: domani l’azienda per cui lavorate convoca un sindacato - magari particolarmente compiacente: Fiat docet - e sottopone al sindacalista l’esigenza di rivedere e stravolgere, peggiorandole drasticamente, gran parte delle norme contrattuali che regolano la vita dei lavoratori in azienda: inquadramento professionale, orario di lavoro, modalità di assunzione, scatti di anzianità, mensa, ecc.; il sindacalista compiacente firma, se ne va, torna a casa sua bello sereno, e le lavoratrici e i lavoratori di quell’azienda, dal giorno dopo, hanno un nuovo contratto…peggiore. Il tutto condito dal fatto che a nessuna di quelle persone è concesso di esprimere il proprio parere con il voto. Quanto ho cercato di descrivere, seccamente ma realisticamente, cosa significa? Significa una cosa soltanto: che i contratti collettivi nazionali di lavoro potenzialmente non valgono più nulla. E se un contratto non è più nazionale e non è più collettivo, non occorre essere Aristotele per arrivare alla necessaria conclusione logica che indica nella contrattazione individuale o al massimo aziendale la strada da percorrere. La contrattazione

aziendale, infatti, è oggi presente in poco più del 20% delle realtà produttive. Se non ci fosse il contratto nazionale quasi l’80% dei lavoratori non sarebbe in grado di fare una contrattazione dignitosa e sarebbe in balia delle richieste - anche le più assurde - del datore di lavoro. A causa dell’altissimo tasso di disoccupazione si innescherebbe poi una gara al ribasso in termini di diritti e salari.

Molti giuristi affermano che tale legge sia incostituzionale perché introdurrebbe una polverizzazione del diritto del lavoro; originerebbe cioè delle disarmonie in tutta la disciplina, tali da entrare in conflitto con il principio di razionalità e ragionevolezza a cui tutte le leggi si debbono attenere. Sarebbe un po’, mi si scusi la rozzezza dell’esempio, come introdurre dei limiti di velocità in autostrada e poi dire che non importa rispettarli. Con la scusa di andare oltre le rigidità del contratto nazionale si concede al padronato una bella fetta di potere in più. In sintesi: si introduce uno strumento legislativo che abbassa ulteriormente salari e diritti poiché, così facendo - non essendoci più la scorciatoia storica che consisteva nello svalutare la lira - si ritiene di aumentare il tasso di competitività delle nostre imprese.

Articolo 18. Il governo Monti e la Ministra Fornero hanno modificato sostanzialmente quella norma di legge che imponeva, in tutte le

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“Con la scusa di andare oltre le rigidità del contratto nazionale si concede al padronato una bella fetta di potere in più. In sintesi: si introduce uno strumento legislativo che abbassa ulteriormente salari e diritti”

aziende con più di 15 dipendenti, il reintegro di un lavoratore ingiustamente licenziato. Vediamo come.

1. Ora il reintegro obbligato scatterà solo in caso di licenziamento discriminatorio (per motivi politici, religiosi, di opinione, ecc.). Ma quale imprenditore sarà mai così sprovveduto da dichiarare che licenzia qualcuno perché ebreo o perché sindacalista?

2. Si potranno quindi fare licenziamenti individuali adducendo dei motivi economici anche nelle aziende con più di 15 dipendenti. In tal caso, se il lavoratore riterrà di essere stato licenziato ingiustamente potrà adire le vie legali. Fino a oggi, nelle aziende con più di 15 dipendenti, si poteva licenziare individualmente, o per motivi disciplinari, o per giustificato motivo oggettivo: es. il proprio ufficio veniva soppresso; ma non si poteva ricorrere a licenziamenti individuali per motivi economici, per sopperire cioè a problemi di fatturato o di bilancio: era necessario, in tal caso, attivare degli ammortizzatori sociali, nello specifico le classiche procedure di mobilità. Ma torniamo a bomba. Se il lavoratore licenziato vuole adire le vie legali deve sapere che il percorso si presenterà irto di difficoltà. In primo luogo non è

affatto detto che il giudice, pur riconoscendo l’ingiustizia dell’atto, imponga un reintegro, bensì potrebbe accontentarsi di disporre un semplice indennizzo economico: dalle 10 alle 25 mensilità; in secondo luogo, in caso di sconfitta, il lavoratore si vedrà costretto a pagare qualche migliaio di euro di spese processuali, mentre prima della riforma la sua quota parte era minima: si riconosceva cioè la sproporzione di mezzi tra azienda e lavoratore. Mettetevi quindi nei panni di una persona che ha appena perso il lavoro e che si sente dire dall’avvocato: “Se vinci bene, ma se perdi dovrai pagare 5mila euro di spese processuali.” Ovviamente, si disincentiva il licenziato a percorrere questa strada.

3. Nel caso si andasse davanti a un giudice l’indennizzo economico sarà la sanzione più probabile, per cui le aziende potranno annualmente mettere a budget i soldi di tutte le eventuali cause di lavoro: dalle 10 alle 25 mensilità per ogni lavoratore, stando larghi. Ciò significa programmare scientificamente i licenziamenti.

Per la verità la norma è molto più complessa e le conseguenze potenzialmente devastanti: immaginate come vivranno i sindacalisti e coloro che si battono per delle condizioni di lavoro migliori: cottimi, sicurezza, ergonomia, salario; immaginate come sarà facile – specie ora, in tempo di crisi – mascherare dei licenziamenti discriminatori con motivazioni economiche false o esagerate: quale azienda oggi non ha seppur minimi problemi di bilancio? Mi rendo conto, non essendo un legale, di aver semplificato forse troppo l’argomento, quello che però mi preme evidenziare è che sia il provvedimento sull’art.8, sia le modifiche all’ art.18 sono il frutto di una stessa ideologia che mira a ridurre diritti e tutele nella speranza che così il nostro sistema produttivo possa riconquistare la competitività perduta. A tale disegno si debbono infatti ricondurre la riforma delle pensioni, che

allunga l’età pensionabile fino ai settant’anni, e tutto il dibattito sul demansionamento. Sulle pensioni: tutti sanno che a settant’anni non si è più efficienti come un tempo, diventa perciò inevitabile che si introducano norme che permettano di licenziare uomini e donne con maggiore facilità (vedi art 18). Sul demansionamento: tutti sanno che a settant’anni si rende probabilmente meno che a trenta; e allora perché non introdurre norme che permettano la rimozione e il demansionamento delle persone? Ecco che il cerchio si chiude.

I referendum sull’articolo 8 e sull’articolo 18 promossi dalla Fiom vogliono cambiare questo stato di cose; vogliono ridare dignità al lavoro, vogliono ribadire con forza che il lavoro non è una merce; vogliono dare ai giovani, ai precari, ma anche a chi si trova più in là con gli anni, la speranza che in questo paese sia possibile cambiare decisamente rotta. Questi referendum parlano però anche alle imprese. Dicono loro che la competizione globale giocata riducendo salari e diritti è rischiosa perché slabbra il tessuto sociale, crea conflitto e tensioni e, in definitiva, non stimola le aziende stesse a investire in qualità, in ricerca e in innovazione tecnologica. Ridurre salari e tutele è solo una scorciatoia, un’illusione che, purtroppo, produrrà ulteriore ritardo tecnologico e produttivo; insomma oltre al danno, la beffa.

Gianni Bortolini

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FùtbologiaLa rivoluzione rotola? "Annusiamo calcio da quando eravamo bambini. L’odore di muffa dello spogliatoio, il grasso per ungere le scarpe, il sudore delle maglie. Intere formazioni mandate a memoria.Lo giochiamo. Lo abbiamo giocato...Abbiamo numi tutelari. Epiche figure mondiali, insieme a piccole divinità locali. E con loro una costellazione, una Spoon River di campioni, compagni e amici da ricordare.Eppure lo sappiamo. Il livello del discorso sul calcio in Italia è molto basso. E il sistema del business globale del calcio è nella merda fin sopra i capelli. Da tempo ci divertiamo meno.Però abbiamo un piano. Attaccare."

Le storie, le leggende, l’epica, le personalità narcisistiche e, al netto opposto, lo spirito di squadra che va oltre i singoli. L’appartenenza, i cori, le

rivalità, le emozioni, la politica, la sofferenza e l’amore, i fallimenti, gli imbrogli, le risse. Il calcio è fatto di storie, questo è ciò che appassiona milioni di persone e che avvicina anche i meno coinvolti ad uno sport che, nonostante tutto, è il primo amore della maggior parte di noi.

Fútbologia è una maniera diversa di affrontare il calcio, da un punto di vista lontano dai quotidiani, dai tg e dalle trasmissioni con le vallette: Prima di tutto, le storie.

Si è svolto sabato 3 novembre in Sala Borsa il festival Fútbologia 2012, "per parlare con stile di calcio". Hanno cominciato alle dieci gli organizzatori del festival e menti dell' Associazione Fútbologia Luca di Meo (lo scrittore conosciuto con lo pseudonimo di Wu Ming 3) e Christiano Presutti (detto Xho). L'intento del festival, ovvero ridare dignità allo sport nazionale, è racchiuso nelle parole con cui Wu Ming 3

inaugura la conferenza: “Il declino tecnico ed economico del nostro calcio, che oggi è sotto gli occhi di tutti, inizia con il declino del discorso sul calcio, con la degenerazione della qualità media del modo di parlarne". Per questo motivo durante la giornata sono ospitati diversi interventi che cercano in qualche modo di ridare dignità al calcio attraverso la parola.Si comincia alle 11:30 con Jhon Foot, docente di storia contemporanea al dipartimento di Italiano dell’University College di Londra e autore di “Calcio - Storia dello sport che ha fatto l’Italia”.Foot fa notare come la storia e la cultura contemporanea del nostro paese siano stati influenzati da una certa maniera, soprattutto televisiva, di narrare il pallone. Il modello dei talk show calcistici con insulti, litigi, processi alle intenzioni e vallette scosciate ha influenzato la comunicazione politica?

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Per lo storico Foot, sì, specialmente da vent'anni a questa parte.Nel pomeriggio l'intervento di Paolo Sollier, intervistato dall'attore Valerio Mastandrea. Sollier, classe '48, attaccante del Perugia di Castagner degli anni settanta, molto noto e discusso ai suoi tempi per la militanza in Avanguardia Operaia. Autore di "Calci, sputi e pugni in testa" libro uscito nel '76 che fece scalpore, dal 2005 è commissario tecnico dell’Osvaldo Soriano Football Club, la “nazionale italiana scrittori”. A Fútbologia, Sollier si scaglia contro tutti i temi cari agli appassionati di calcio: tessera del tifoso, militarizzazione degli stadi, lo "smarmellamento" settimanale del campionato, la moviola in campo. Raccoglie applausi fragorosi da una platea piena e calorosa di attivisti, giornalisti, appassionati e non. Per Sollier, la negazione della giornata calcistica domenicale equivale alla negazione del carattere aggregativo del calcio. Si critica anche la repressione del tifo goliardico come spazio sociale, in particolare nelle trasferte. Anche il problema delle telecamere in campo è definito, prosaicamente, "una

cagata". L'anomalia italiana della delegittimazione a priori delle istituzioni, analizzata da Foot per quanto concerne il calcio, non è risolvibile con la tecnologia, che rischia di creare solo squilibri tra serie maggiori e minori. "il calcio" conclude Sollier "ha diritto all'errore".

Verso sera c'è la proiezione de “Il Mundial Dimenticato – La vera incredibile storia dei Mondiali di Patagonia”, un film di Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, già raccontato dallo scrittore argentino Osvaldo Soriano nel racconto "Il figlio di Butch Cassidy". Il film è un documentario che mescola realtà e fantasia: "Mentre il mondo civilizzato è ingoiato dalla ferocia della II Guerra Mondiale, dodici squadre si sfidano per conquistare la Coppa Rimet, stranamente riapparsa in Patagonia.

Formazioni composte da pochi giocatori professionisti mescolati a migranti di mezzo mondo, operai e minatori, ingegneri ed ex cercatori d'oro, acrobati del circo e rivoluzionari in esilio, soldati nazisti e indios mapuches. Chi vinse il misterioso Mundial? Perchè da allora non se n'è più parlato?" La giornata si conclude con una reading a cura di Mastandrea e un dj set di Wu Ming 5, ospitati al Bartebly. Un modo per gli organizzatori del festival per dimostrare vicinanza ai gestori dei locali di via San Petronio vecchio, al centro di recenti polemiche con l'università che sembra intenzionata in qualche modo a "sgomberare" lo spazio culturale di cui è proprietaria. Ci si lascia a fine serata con l'impegno a ricostituire un discorso di qualità a proposito della cultura del calcio, e insieme a proposito di tutta la cultura del nostro paese, schiacciata da forze che la vorrebbero squallida, servile e avvilita. Fútbologia si sta organizzando per tornare nel 2013 con nuovi appuntamenti, nuove storie, nuovi miti: seguite tutti gli aggiornamenti su http://blog.futbologia.org.

Matteo Montanari

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Ddl Diffamazione

Dal timore di una nuova legge bavaglio al possibile stop dei lavori. Ma il carcere resta.

Ci sono stati parecchi Emile Zola per questo Dreyfus. Parecchi j'accuse, tuonati dalle colonne dei giornali, dai tweet, dalle dichiarazioni. La solidarietà è arrivata anche da chi non ha mai dimostrato troppe simpatie per il condannato. Naturalmente c'è stato anche chi, stotto sotto, ci ha goduto. Sallusti è assurto al grado di martire, un san Sebastiano trafitto dagli strali di una giustizia quantomeno discutibile. L'articolo non fu scritto da lui ma dal deputato del Pdl Renato Farina; di Sallusti è stata la grave mancanza nel suo ruolo di direttore responsabile del quotidiano Libero, che doveva controllare la qualità dell'articolo incriminato. Tra l'altro, vale la pena ricordarlo, Renato Farina costò a Sallusti la sospensione dalla professione giornalistica per due mesi nel 2011, visto che al deputato fu permesso di scrivere su Il Giornale dal 2006 al 2008 nonostante fosse stato radiato dall'Ordine dei giornalisti. Si evince che la capacità di giudizio dei propri collaboratori non sia

una virtù di Sallusti, proprio no. Tuttavia la punizione comminata in Cassazione appare sproporzionata. Lo è nella fattispecie, ma lo è anche, e soprattutto, per il giornalismo in senso lato. Se ne accorge prontamente la politica e corre precipitosamente ai ripari: un film visto più volte quello di un disegno di legge redatto e approvato in fretta e furia dopo un fatto che scuote l'opinione pubblica. Un elettroshock inferto alle pigre meningi del parlamento. Ma il rischio, ora, è che si butti il bambino assieme all'acqua sporca: parafrasando, dietro al pretesto di modificare la legge per eliminare la pena del carcere per reati di giornalismo potrebbe esserci l'intenzione di far approvare una nuova legge bavaglio. Sulla questione si è fatta sentire la Federazione Nazionale della Stampa Italiana che in occasione della giornata internazionale «Stand up for journalism» ha organizzato un incontro con i direttori di testata per protestare contro il disegno di legge. E così, dopo numerosi stop and go, il 7 novembre il Ddl diffamazione è stato approvato dalla Commissione di Giustizia del Senato nella forma più "snella" redatta dal senatore Filippo Berselli. Il testo su cui era stato trovato l'accordo tra Pdl e Pd eliminava il carcere per i giornalisti e fissava pene pecuniarie con un tetto massimo di 50.000 euro, con l'obbligo di

pubblicare una rettifica al testo diffamante. Ma martedì 13 novembre in Senato è stata però tesa "l'imboscata": passa, con 131 voti favorevoli 90 contrari e 20 astenuti, l'emendamento, presentato dalla Lega, che prevede il carcere fino a un anno per chi diffama a mezzo stampa. Un passo in dietro grave e inaspettato. Gli oppositori all'emendamento presentato dalla Lega, cioè Pd e Idv, auspicano che il disegno di legge, così come si è evoluto, finisca in un binario morto e ad oggi sembra l'ipotesi più accreditata. E il dibattito finirebbe con un nulla di fatto insopportabile, lasciando il giornalismo all'ombra dello spettro del carcere. Carcere che Sallusti non dovrebbe raggiungere in ogni caso, protetto dalla legge 199 del 26 novembre 2010, cioè quella promulgata da Alfano e estesa da Severino il 14 febbraio scorso, che sancisce i domiciliari per una pena inferiore ai 18 mesi di reclusione. In ogni caso resta il grave dato politico: il messaggio lanciato dalla discussione su questo disegno di legge è quello di diffidenza, se non di aperta inimicizia, di ampi strati della politica nei confronti della stampa.

Michele Musso

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Le due facce di NIETZSCHE

Ormai da tanti anni, per essere precisi da più di un secolo, numerose generazioni di intellettuali e non, di ogni età e professione hanno subito il fascino e il carisma di una filosofia innovativa, rivoluzionaria e, a tratti, pericolosa: la filosofia di Friedrich Nietzsche.Il motivo è semplice: con l’uso di un linguaggio chiaro e uno stile aforistico e provocatorio, che lo contraddistingue nettamente da tutti i pensatori precedenti, il filosofo di Röcken si è fatto portavoce di un nuovo modo di pensare e di vivere.Nelle sue opere egli celebra l’istinto primordiale, il desiderio, l’autoaffermazione di sé e della propria volontà(che egli definisce “Volontà di potenza”), definendo coloro che vivono schiavi di qualsiasi morale come dei reietti, dei frustrati, delle vittime della dècadence.Il suo è un rinnegare i valori tradizionali, in favore di nuovi ideali che esaltino il coraggio, l’amore, la forza, l’energia vitale.

Se si considera il contenuto delle sue opere, viene da pensare che Nietzsche abbia vissuto “alla D’Annunzio”, ovvero cercando in tutti i modi, tra duelli, lusso e rapporti col gentil sesso, di fare della propria esistenza “un’opera d’arte”.

Niente di tutto ciò. Il Nietzsche uomo, nella realtà, era l’opposto della sua filosofia.

Lo scopriamo leggendo la biografia intitolata “Nietzsche: l’apolide dell’esistenza” del giornalista italiano Massimo Fini, un lavoro redatto in uno stile estremamente godibile e accattivante che non trascura affatto la fedeltà della documentazione.Essa percorre tutte le tappe fondamentali della vita del filosofo: dall’infanzia inquieta alla disciplina del liceo di Pforta, dalla cattedra di Basilea alla conoscenza di Richard Wagner, dai continui e irrequieti spostamenti all’inesorabile precipizio nella follia.Si ha qui modo d’intendere come in realtà il nostro Friedrich (“Fritz” per gli amici) fosse un uomo di estrema serietà e compostezza, mai dedito agli eccessi, recalcitrante anche solo a bere caffè o un bicchiere di birra, totalmente asessuato e, per tanti versi, ingenuo.Nella vita di tutti i giorni si dimostra goffo, impedito, imbranato, a volte totalmente inopportuno; da molti che lo frequentano viene spesso snobbato, deriso, sfruttato e ridicolizzato.Numerosissimi sono i fatti narrati che lo hanno vestito di quest’immagine: le disavventure

sentimentali, soprattutto con Louise Von Salomè, l’ammirazione non corrisposta del critico d’arte Burckhardt, la falsa idea di essere un compositore valido che si scontava col fatto di essere in realtà un musicista decisamente poco quotato, l’incredibile tendenza a raccontare risibili panzane su se stesso e su gli altri.La lettura di questa biografia è un’ occasione di riscoprire Nietzsche nella sua quotidianità, nella sua bizzarria, nella sua stravaganza; il risultato è una visione di “Fritz” che va decisamente al di là di una vita vissuta all’insegna dello “spirito dionisiaco”.È interessante come l’autore analizzi la “discesa” di Nietzsche nella follia durante i suoi ultimi anni di vita: è in questo periodo infatti che il filosofo, nelle sue manifestazioni di delirio e pazzia, si fa realmente portavoce di ciò che ha professato per un’ intera esistenza.

“Ogni filosofia è un’autobiografia”: curioso come queste parole provengano proprio da Nietzsche, colui che più di tutti si mostrò come un “inetto” nella vita reale, ma DINAMITE su carta.

Jacopo Tampieri

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Uragano ObamaLa nuova veste della comunicazione politica nelle elezioni USA

Il vero uragano che ha travolto gli Stati Uniti nelle ultime settimane è stata la tempesta mediatica che ha preceduto e accompagnato le elezioni appena concluse.

La riconferma di Obama alla Casa Bianca è stato, infatti, un successo non solo in termini elettorali, ma anche mediatici. Le scene a cui abbiamo assistito in tv e i rumors diffusi in rete, hanno contribuito a creare un vero e proprio “evento” collettivo in grado di ridisegnare gli scenari della comunicazione politica. Grazie a milioni di tweet, molti dei quali all’insegna di “Four more years” e svariati like per la foto dell’abbraccio tra Barack e sua moglie Michelle, l’election day è diventato l’evento più social della storia. Dietro ogni foto e in ogni mossa del Presidente, la chiara e ben definita strategia comunicativa pensata da un team di professionisti al suo seguito. Il programma politico è stato così costruito facendo leva su nuovi

modelli di ars oratoria, caratterizzati da un utilizzo integrato dei media tradizionali ed una martellante comunicazione on line. Una moltitudine di mail e messaggi postati su Facebook e Twitter per la raccolta fondi e la ricerca del consenso, inclusa la “caccia agli indecisi”. Non è mancato il testimonial, anche quello d’eccezione: Michelle, un po’ moglie un po’ (tanto) personaggio. Il cambiamento di rotta Bisogna riconoscere che inizialmente le nuove tecnologie non sembravano influire sul mandato del Presidente, né riuscivano ad impedire la grande perdita di consensi. Quel che ne è seguito, però, è stata una vera e propria svolta. Obama ha iniziato a visitare i vari paesi degli Stati Uniti condividendo il suo programma con i cittadini americani. Per spiegare e motivare le sue scelte ha utilizzato la rete, costruendo con i suoi elettori un rapporto di comunicazione bidirezionale molto forte. Cosi facendo, ha aumentato notevolmente i canali di ascolto, confronto e dibattito. E il popolo della rete non ha tardato a far sentire la sua voce, attestandosi a tutti gli effetti come nuova identità sociale.

Il valore comunicativo del discorso

Immigrazione, debito pubblico, apertura ai repubblicani sconfitti e orgoglio nazionale americano: sono stati questi i temi affrontati dal discorso del Presidente rieletto, accompagnati da toni generali di speranza e fiducia.

Un discorso di indiscutibile livello per contenuti e capacità di trasmissione del messaggio, caratterizzato dalla consueta vena retorica in pieno american style e molto intimo nella parte dedicata alla famiglia. Obama ha infatti attribuito grande merito della vittoria anche a Michelle, first lady carismatica sempre in primo piano.

All’indomani della vittoria, il segnale di ottimismo per il futuro è stato più che mai chiaro: “the best is yet to came”. E se il meglio deve ancora venire, l’elettorato americano ha deciso ancora una volta di fidarsi e concedere la possibilità di terminare un percorso iniziato quattro anni fa all’insegna di “hope and change”.

Yes, YOU can again Obama!

Anna Aprile

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La rinascita del Calcio Italiano passa per…

la GermaniaCaccia ai nuovi talenti ed efficienza dei club: le ricette del bel calcio tedesco

Ultimamente si sente molto spesso parlare della Germania come Nazione guida all’interno dell’UE grazie alla solida struttura economica del paese teutonico. Tuttavia è da notare come la Germania non solo sia a livello politico, economico e sociale uno dei paesi più avanzati a livello europeo (se non mondiale) ma anche del punto di vista calcistico. Se in campo economico l’Italia è stata quasi guidata dall’UE (Cancelliera Merkel, ndr) credo che, allo stesso modo, si debba fare nel mondo del pallone ispirandosi alle vicende tedesche che ricordano molto da vicino quelle di casa nostra.

Riavvolgiamo il nastro:

torniamo al 1996 quando la Germania vince l’Europeo battendo la Repubblica Ceca 2 a 1 con il golden gol di Oliver Bierhoff e alla stagione 1996/1997 quando il Borussia Dortmund arriva a vincere la Champions League contro la Juventus. Questi erano sicuramente anni d’oro della Germania di fine XX secolo con il sopracitato Bierhoff,

assieme a Deisler, Matthaus, Kahn e tanti altri “Top Player”. Arriviamo ancora poi nel 1999 dove il Bayern Monaco arriva in finale, però stavolta perdendo contro lo

United di Manchester.Inoltre di lì a poco nel 2001 il Bayern Monaco bisserà la finale e conquisterà la Champions League contro il Valencia di Hector Cuper a coronamento di questa fase d’oro del calcio tedesco, terminata poi nel 2004 con l’eliminazione alla prima fase ad Euro 2004 in Portogallo.

A pensarci bene, non ricorda un po’ la storia del Calcio made in Italy?

Tutto iniziato con il Mondiale del 2006, proseguito con le vittorie del Milan dell’Inter in Europa nel 2007 e nel 2010 e nello stesso anno culminate con la pessima figura ai Mondiali nel 2010.

A guardare ora cosa combinano i tedeschi con il pallone, viene da pensare a Borussia Dortmund e Bayern che impartiscono lezioni di

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calcio a domicilio in tutta l’Europa mentre noi abbiamo squadre di medio-bassa caratura che non fanno paura nemmeno all’Anderlecht o allo Shakhtar Donetsk.Sembra strano ma proprio mentre noi salivamo sul tetto del mondo a Berlino (per giunta a casa loro), i tedeschi avevano già gettato solide basi a livello giovanile con la creazione di nuove strutture per favorire, oltre che il miglioramento del rendimento della nazionale di calcio, anche l’integrazione dei figli di immigrati, perlopiù turchi, nord e centro africani. Innanzitutto è stato aumentato il numero degli osservatori federali (circa mille) che setacciano la propria zona di competenza alla ricerca di talenti tra gli 11 e i 15 anni. Tra i più talentuosi avviene una convocazione in uno dei 366 “Stützpunkte”, i punti di raccolta della Dfb dove vengono preparati in

piccoli gruppi per migliorare tecnica e velocità. In provincia avviene la prima scrematura, poi entrano in gioco i club, che prendono gli elementi migliori nei Leistungszentren (i centri di formazione). Ogni società di Bundesliga e 2.Bundesliga (36 in tutto) deve rispettare i parametri imposti dalla Federazione: ottime strutture, allenatori sempre aggiornati, medici e fisioterapisti preparati, psicologi e insegnanti.

A pensare alla situazione italiana, ci sembra di essere anni luce indietro ed effettivamente è cosi. Perchè manca quella organizzazione, mancano soprattutto le strutture stesse dove potersi allenare per ottenere rendimenti ottimali.

Per assurdo se pensiamo che Milan Lab debba essere uno dei centri più all’avanguardia ci viene la pelle d’oca. Ovviamente quello che noi

osserviamo in Bundesliga è l’apice di un processo durato anni, ma bisogna iniziare prima o poi con la speranza che i vari El Sharaawy, Insigne, Sau, Immobile solo per citare alcuni giovani italiani promettenti ridiano nuova verve e voglia di gettare le basi per un gran bel futuro del calcio italiano e per dover più rimpiangere le prodezze di campioni del passato.

Per una volta dovremmo apprendere dalla Germania e prendere ciò che di meglio hanno, un po’ come loro hanno fatto con noi prima con la pizza e la pasta e poi con Toni al Bayern Monaco. Con la speranza e la voglia di tornare ad essere noi i veri “Numeri Uno” (Matze Knop,ndr).

Agostino Piacquadio

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