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SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO AUGUSTO CAPERLE CLASSE II C SAN FRANCESCO E GIOTTO ANNO SCOLASTICO 2014-2015

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SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO

AUGUSTO CAPERLE

CLASSE II C

SAN FRANCESCO E GIOTTO

ANNO SCOLASTICO 2014-2015

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INTRODUZIONE

“Fa attenzione a come pensi e a come parli

Perché può trasformarsi nella profezia della tua vita”.

L’idea di questo lavoro è nata dalla lettura e analisi in aula del Cantico delle creature di San Francesco. Con questo

testo si suole, infatti, iniziare lo studio della letteratura italiana.

Ci stupiva il fatto che il Santo avesse scritto una laude così ricca di gioia e letizia a due anni dalla morte, mentre era

malato e dolorante, quasi cieco.

In un’epoca, come quella medievale, in cui la vita è sofferenza, in cui tutti erano paurosamente consapevoli che “molti

fossero i dannati e pochi gli eletti”, Francesco trovava motivo di lodare Dio attraverso il creato.

Come era possibile? Che messaggio voleva trasmettere?

Contemporaneamente i ragazzi stavano affrontando lo studio di Giotto in arte e del genere autobiografico in

antologia, pertanto abbiamo deciso di “mescolare” le nostre conoscenze.

Perché non far parlare gli affreschi di Giotto, così meravigliosi nei suoi colori sgargianti, e farci raccontare la vita di san

Francesco in prima persona, prendendo spunto anche da quanto studiato in letteratura?

Il lavoro si è svolto a tappe. In un primo momento è stato assegnato ad ogni allievo un affresco della Basilica superiore

di san Francesco ad Assisi, dipinta da Giotto, che racconta la vita del Santo confrontandola con quella di Cristo.

Gli alunni, poi, dovevano stilarne una scheda di lettura iconografica, descrivendo segno, linea, punto, colori, luce,

spazio compositivo; evidenziando i valori espressivi dell’opera attraverso il linguaggio visivo e simbolico.

Con tutti questi elementi, partendo dall’analisi dell’opera pittorica, hanno scritto quindi la loro parte di autobiografia

(Io, Francesco…).

Infine il 14 e 15 ottobre siamo andati ad Assisi ad ammirare questi capolavori dal vivo.

Wanna Bianchi

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Elisa Rose Arcosti

L’OMAGGIO DI UN SEMPLICE

DESCRIZIONE OPERA

In quest’opera viene rappresentato San Francesco, al quale un povero porge un mantello per terra in modo che non si

bagni i piedi. Siamo davanti al palazzo comunale, tempio di Minerva, in piazza ad Assisi. In primo piano vi sono i

cittadini, Francesco in mezzo che cammina sul mantello posatogli da un cittadino. Francesco è dipinto come gli altri

personaggi, solo l’aureola, particolarmente elaborata lo differenzia. Molti sono i colori utilizzati: il bianco dello sfondo

rappresenta la purezza, il blu del cielo e dell’abito di Francesco positività, benessere, così come il giallo, il rosso degli

abiti di alcuni personaggi indica passione. In tutto il dipinto i colori trasmettono calma. Nell’affresco vi è un notevole

senso della profondità e del volume dei corpi, cosa che avevano già sviluppato i greci e i romani, ma che si era perso

nel medioevo, in cui le rappresentazioni erano simboliche. L’artista voleva rappresentare la gratitudine del popolo nei

confronti di Francesco tanto che addirittura un signore gli posa una coperta per terra in modo che non si sporcasse i

piedi. Questa immagine mi trasmette meraviglia per l’abilità di Giotto di disegnare un dipinto così bello e per la vita da

povero ma piena di amore di San Francesco, che adora la natura e ama Dio.

IO, FRANCESCO…

Ero nella piazza di Assisi e stavo camminando con i miei sostenitori fino al tempio di Minerva. Avevo intenzione di

andare al centro della piazza, volevo che tutti mi sentissero.

All’improvviso un cittadino con un turbante verde che nascondeva il capo, un vestito lungo verde e i baffi mi si

avvicinò. Rimase davanti a me, poi portò dinanzi a sé le mani che erano avvolte in una lunga coperta bianca.

Rimasi fermo, a guardare cosa avesse intenzione di fare. Nessuno lo sapeva, solo lui ne era al corrente.

Lo srotolò davanti a me come a formare un strada bianca, pura, su cui io potessi camminare. Poi si inginocchiò davanti

a me, la testa china che fissava il pavimento. Ero sorpreso e allo stesso tempo non sapevo cosa fare: dovevo

camminarci sopra?

Feci la scelta giusta. Ci camminai scalzo e, quando ero giunto alla fine della lunga coperta, posai la mano sotto il suo

mento e lo alzai.

<Mia moglie è malata, lebbrosa, e mia figlia morta. Signore la prego di aiutarmi. Non voglio che mi lasci anche la mia

amata moglie>.

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Lo ascoltai, attentamente. Avevo una voce dentro di me che mi diceva di rassicurarlo e così feci.

<La tua fede è grande. Tu andrai in Paradiso. Tua moglie si curerà>.

Mi baciò la mano, eternamente grato.

Dopo l’evento al quale credevo che tutti avessero assistito, decisi di tornarmene in città. Dovevo procurarmi un posto

dove passare la notte.

Girovagai per le strette stradine. Una signora paffuta e piccola mi offrì una camera. Piccola, ma comoda e calda.

Questo era la stanza che tanto avevo sperato di trovare. Mi offrì cibo, io accettai volentieri, poi andai via. Passai

l’intero pomeriggio in preghiera; speravo che a quel povero signore guarisse la moglie.

Tornai a casa alla sera, tardi. Avevo dolori alla pancia e alla testa. Non avevo idea di cosa potesse essere.

Mi intrufolai nel letto, caldo, in quella camera accogliente. Nella stanza vicino dormivano la signora e suo marito. Non

avevano figli. Ne avevano avuto uno, ma poco dopo la nascita era morto per il raffreddore. Loro gli avevano preparato

la camera più calda, più bella, più accogliente: era questa. Non erano riusciti a curarlo, malgrado gli avessero dato

tutte le erbe che conoscevano. Mi dispiaceva tantissimo per loro. Che esperienza traumatizzante perdere il proprio

figlio appena nato! Lo avevano chiamato Mosè come il nonno.

Avevo mille pensieri, stavo pensando a molte cose contemporaneamente, ero confuso. Stavo pensando al Signore,

alle cose meravigliose create, ma allo stesso tempo alla gente che soffriva, bambini che morivano ogni giorno. D’altra

parte, l’Altissimo ci ha offerto il fuoco, l’intelligenza e noi dobbiamo sfruttarla per difenderci. Lui ci ha dato i mattoni e

noi dobbiamo costruire la casa.

Non mi addormentai fino a mezzanotte. Avevo forti dolori, mi sentivo cadere a terra. Ma Dio mi stava accanto, lui era

sempre lì.

Quando finalmente riuscii a prendere sonno, feci un incubo non difficile da scordare.

“Ero in una casetta di legno, con dipinti ai lati, una croce dalla parte opposta dell’entrata principale. Poi arrivarono dei

cittadini, lebbrosi, ammalati di diverse malattie. La maggior parte di loro pregava per essere curati. Uscii dalla casetta

e vidi ricchi che bevevano vino e ridevano. Il terreno era diviso in due: da una parte, un’abitazione di legno che

crollava dove dentro si rifugiavano i malati, poveri. Dall’altra, un’abitazione enorme smaltata d’oro dove entravano

ricchi e uscivano ridendo. Quella non era fede. Andai dalla parte dei ricchi, tutti mi guardavano male.

<Cosa ci fai qua?> mi chiese un signore vestito elegantemente.

<La vostra non è fede. A voi importano solo i soldi>.

<Tu da quanto sembra non hai>.

<È questo che c’è scritto nella Genesi>.

Tutti scoppiarono a ridere, a deridermi della mia povertà. Poi, dallo scuro cielo, apparì il Signore. Rimasero pietrificati.

Avevano paura di Lui. Ma Lui era buono. Non entrò nell’edificio grande, scintillante dei ricchi, ma nella baracca di

legno dei poveri. Iniziò a fare battesimi, Lui stesso.

L’altra parte rimase di stucco: loro avevano costruito l’edificio più bello eppure Dio non era venuto da loro.

Volevo dire loro che Lui non a caso aveva scelto l’altra parte, ma uno mi si avvicinò arrabbiato, con un pugnale, e mi

colpì in pieno petto.

Mi svegliai di scatto, sudato, lottando contro il mio incubo. Non era il primo e, ero sicuro, che non sarebbe stato

l’ultimo. Il diavolo voleva conquistarmi, ma io appartengo a Lui.

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Matteo Ballini

IL DONO DEL MANTELLO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Il soggetto dell’opera è San Francesco con un povero cavaliere che ha freddo. Sullo sfondo c’è una collina e delle case.

I colori utilizzati sono il rosso, il marrone, il blu e il giallo. Per me i colori rappresentano la santità e il cielo blu scuro la

presenza di una divinità. Si capisce perfettamente da dove arriva la luce. La tecnica usata è l’affresco, cioè intonaco su

vernice fresca. L’artista voleva inoltre mostrare al mondo la bontà e la generosità di San Francesco.

IO, FRANCESCO…

Ero a cavallo e stavo cavalcando a bordo del mio umile, ma simpatico fratello che tutti i giorni mi sostiene e mi porta

ovunque io voglia, All'improvviso arrivai ad un villaggio, oltre le colline di Assisi, che sorgeva sopra un poggio.

Quando entrai dalle porte, notai subito un uomo povero che cercava di coprirsi inutilmente con degli stracci fatti di

stoffa leggera e che aveva le labbra secche e putride. Aveva occhi marroni, capelli grigi e stempiati, corpo fino e così

emaciato che gli si notavano le costole anche da lontano.

Cercò di alzarsi e di salutarmi, ma non ci riuscì dalla stanchezza e dalla debolezza e ricadde facendo un tonfo terribile.

Dopo vari tentativi lo aiutai io porgendogli la mano e, quando fu in piedi, mi disse che era un cavaliere sperduto che

proveniva dal Regno di Sicilia. Era venuto lì con il suo esercito e, rimasto ferito in guerra, si era nascosto in cerca di

cure, ma nessuno gliele porgeva perché aveva contratto la lebbra. Ora risiedeva in una grotta, fuori dalle mura con

altrettanti lebbrosi.

Io mi sentii come un buco nel cuore e gli donai il mio mantello più prezioso, fatto di velluto, in modo che gli potesse

riscaldare il corpo, il cuore e l'anima. Nulla mi era mai mancato, tanto avevo avuto per tutta la mia infanzia. Ma ora ho

aperto gli occhi, ora è tempo di cambiare.

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Viola Benatti

IL SOGNO DEL PALAZZO E DELLE ARMI

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Il soggetto rappresentato è San Francesco. Sullo sfondo sono presenti elementi architettonici, ma nessun elemento

naturale. Sono presenti colori primari: azzurro e blu indicano il cielo quindi la serenità di Francesco mentre sta

dormendo. L’artista voleva descrivere un sentimento di San Francesco. Quest’opera per me è bellissima. Mi piace

molto come Giotto ha dipinto la coperta che ha addosso Francesco. E’ piena di pieghe e questo ti dà il senso della

profondità e dello spessore.

IO, FRANCESCO…

Sono davanti ad un palazzo magnifico. E’ un edificio bellissimo e maestoso. Molto elegante. I muri esterni sono di

color rosa sporco, quasi beige. Nel palazzo le finestre sono molte. Sto entrando, vedo tantissime guardie e parecchi

servitori.

Gesù mi sta portando in una stanza, non so che cosa ci sia dentro.

I miei occhi sono affascinati: questa stanza è piena di armi. Spade di bronzo, scudi d’oro e d’argento. Elmi bellissimi,

fatti con i materiali più pregiati. Sono confuso. Non capisco cosa mi voglia insegnare il Mio Signore dentro questa

stanza.

Cosa sta succedendo? Gesù mi ha preso le mani, le sue sono calde mentre le mie fredde grazie alla strana sensazione

che sto provando in questo momento.

<Questo palazzo diventeràà tuo, Francesco. Fanne buon uso>, queste furono le ultime parole di Gesù dopo che se ne

andò uscendo da una porta.

Credo che non mi servirà a niente questo palazzo, intanto vado a casa.

Sto camminando in una stradina di campagna piena di sassi, mi è venuta un’idea. Posso trasformare quel palazzo in un

riparo per i malati e per le persone senza tetto. Ho deciso che insieme ai miei seguaci costruirò questa nuova dimora.

Cambio direzione e corro verso il palazzo. Chiamo tutti i miei sostenitori per parlare loro del mio progetto. Penso che

venderò tutte le armi all’interno del palazzo e con i soldi che ricaverò prenderò calde coperte, cibo, acqua e tutto

l’occorrente per aiutare i malati.

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Sono passati dei giorni, il palazzo è pronto per ospitare gli infermi. E’ appena arrivato un lebbroso. Gli dò la mano e lo

accompagno nella sua nuova stanza. E’ freddo e affamato. Lo metto sotto le coperte del suo letto, gli porto un

bicchiere di acqua e del pane. Sono molto soddisfatto di questa scelta.

E’ trascorsa una settimana, ora ospitiamo più di cinquanta malati e senza tetto, la maggior parte sono lebbrosi.

E’ già guarita una ragazza molto giovane, adesso grazie alle nostre erbe medicinali con cui abbiamo creato uno

sciroppo, sta molto meglio.

Stiamo coltivando delle erbe medicinali con cui facciamo degli unguenti che aiutano molti dei nostri pazienti.

Ad un certo punto non vedo più niente, tutto è sparito: il palazzo, i malati, gli orti e le erbe.

Mi trovo nel mio letto con Gesù accanto.

<Puoi fare avverare questo sogno se vuoi, Francesco> e così dicendo è uscito dalla camera.

Credo che oggi saràà una giornata molto importante: ho un compito da svolgere.

Mattia Pasquato

LA MORTE DEL CAVALIERE DI CELANO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Questo episodio descrive San Francesco che assiste alla morte del cavaliere di Celano. La scena, una delle più

drammatiche del ciclo, è divisa nettamente in due parti, con l'architettura che inquadra il banchetto con San

Francesco e un altro frate e la parte destra con la folla accorsa al nobile cavaliere disteso perché morte.

Quest’opera suscita in me molta tristezza.

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Ludovico Bresciani

IL CROCIFISSO DI SAN DAMIANO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Il soggetto rappresentato è San Francesco che prega davanti il crocifisso di San Damiano. Sono presenti elementi quali

la chiesa distrutta, il crocifisso, e un altare. Si riesce a vedere il cielo, che è l’unico elemento naturali. I colori che Giotto

ha voluto usare sono soprattutto il marrone e il blu. Sono presenti tutti e tre i colori primari.

In questo affresco, secondo me Giotto voleva esprimere la fede di San Francesco e suggerire quanto il Santo pregasse:

addirittura un crocefisso gli parlò. Questo quadro mi suscita curiosità nei confronti dell’arte antica.

IO, FRANCESCO…

Quel giorno, come sempre, mi alzai al sorgere del sole a pregare. Divisi quel po’ di pane che riuscii a procurare con

l’elemosina e poi pregai ancora. Nel bosco, dove ero solito a parlare con Dio, si sentiva un frastuono a dir poco

irritante, dato che in città c’era il carnevale. Tra tutto quel rumore non riuscivo a concentrarmi, così decisi di andare a

rivolgermi all’Altissimo nella chiesa di San Damiano, che si trovava lontano dal paese. Lì dominava il silenzio, si sentiva

solo il cinguettare degli uccelli e il fruscio del vento, che faceva cadere le foglie. La chiesa sapeva di antichità e

solitudine, era perfetta per me, nonostante fosse in abbandono e praticamente distrutta. Quasi nessuno sapeva della

sua esistenza.

Mi misi in ginocchio davanti all’altare e guardai il crocifisso di San Damiano, sembrava l’unica cosa pulita e nuova. Ogni

tanto cadevano dal soffitto pezzetti di legno e di polvere. Mentre pregavo, sentii qualcuno parlare, non riuscivo bene a

capire quello che dicesse, poco dopo capii che il crocifisso mi stava parlando e diceva: <Francesco, ricostruisci la mia

chiesa>.

Ero ancora stupito dell’accaduto, quando uscii dalla chiesa, ma dovevo andare, dovevo provare a ricostruirla…

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Nicole Comerlati

LA RINUNCIA DEGLI AVERI

DESCRIZIONE DELL’OPERA

In primo piano vi è appunto San Francesco il popolo e il padre con il vescovo. Sullo sfondo vi sono degli edifici e una

particolarità: una mano che spunta dal cielo. Vi sono due elementi architettonici, ma non son presenti elementi

naturali.

Sono utilizzati maggiormente il blu per lo sfondo il rosso, l'arancione e il giallo per le vesti delle persone egli edifici. Per

le vesti viene utilizzato anche dell'azzurro-bluastro. L’artista voleva descrivere un episodio della vita di San Francesco

in cui rinuncia ai propri beni davanti al padre dove si spoglia nudo lanciano le vesti contro ad esso. Quest’opera suscita

in me stupore verso l'immenso amore della vera fede.

IO, FRANCESCO…

La settimana scorsa il mio padre naturale mi ha preso a schiaffi davanti a tutti perché ho afferrato i suoi averi e li ho

dati ai poveri, ai più bisognosi. Non servano a lui, lui sta bene, non ne ha bisogno. Mi ha anche urlato che si

vergognava di me e che non ero più suo figlio: ebbene so di non esserlo.

Il mio vero padre è quello che mi ha creato assieme ai miei fratelli e sorelle, che ha creato la natura, ogni singolo

animale, ogni singolo stelo d'erba, ogni singola foglia...

Lui mi ha aiutato, mi ha protetto dal demonio, Lui il mio vero unico padre: l’Altissimo.

Dopo quello che ho fatto, il mio padre naturale mi ha condannato davanti al Vescovo di Assisi, Guido, nella piazza del

Duomo di Foligno. Ma la natura mi ha sostenuto e mi ha dato ciò di cui cibarmi.

Al vescovo mio padre ha addirittura sostenuto di avermi dato tutto, di non avermi mai fatto mancare nulla.

Io gli risposi: -<Non hai mai pensato all’Altissimo, ti sei sempre e solo dedicato alle tue stoffe, piene di odio e

sofferenza. Non ti vergogni forse? Io non le voglio le tue vesti preferisco dei sacchi di ceci!> Mi tolsi i vestiti tutti quanti

e glieli gettai contro e lui, con aria di stupore, mi guardò.

Dal cielo l’Altissimo approvava la mia scelta e la mano di Dio sembrava accarezzarmi e la sua voce essere così dolce e

soave alle orecchie. Solo io potei udirla. Guardai il Vescovo che venne verso di me, prese un mantello e mi avvolse

attorno ad esso. Pronunciai davanti a tutte quelle persone, che mi guardavano con occhi pieni di stupore: -<Fino ad

ora ho chiamato te, mio padre sulla terra, ora con tutta sicurezza posso dire “Padre nostro che sei nei cieli”, perché in

Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia vita e la mia speranza>.

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Un forte calore mi avvolse e il Vescovo guardandomi con stupore e amore si inginocchiò dinnanzi a me.

Giulia Corazza

IL SOGNO DI INNOCENZO III

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Nell’affresco è rappresentato Innocenzo III sdraiato su un letto a baldacchino con due guardie che dormono ai suoi

piedi. Nello sfondo la Basilica del Laterano, che all’epoca era il cuore della chiesa latina, con le mura storte sorrette da

san Francesco. Ciò significa che il palazzo sta crollando, ma grazie all’umile frate rimane in piedi. La maggior parte dei

colori sono caldi. Il letto, le vesti e la basilica infatti sono stati dipinti con le sfumature del rosso. Tutto ciò che è

rappresentato mi fa pensare all’importanza che ha avuto san Francesco per la chiesa del tempo.

IO, FRANCESCO…

Io, Francesco, quel giorno ricevetti un invito di papa Innocenzo III. L’ambasciatore, che mi consegnò l’invito, disse che

mi aspettava nella sua sontuosa “reggia” per la terza ora. Mi accolse nella sua camera da letto. A quanto pare si era

appena svegliato: lo trovai infatti ancora sdraiato sul suo enorme e comodo letto a baldacchino. Aveva un’aria

sconvolta.

Passò circa un quarto d’ora prima che iniziasse a parlare. Mi raccontò di aver fatto uno strano sogno quella notte e che

molti pensieri gli affollavano la testa. Aveva infatti sognato che la famosissima e importantissima Basilica del Laterano

stava per crollare, ma che, grazie a me, che la reggevo, si era salvata.

Il pontefice chiamò il suo consigliere più fidato e gli chiese cosa ne pensasse del suo strano sogno.

Lui rispose che voleva significare solo una cosa: la chiesa cristiana avrebbe perduto la potenza acquisita nei secoli

precedenti e sarebbe crollata (per questo la Basilica, che era il più grande riferimento per i cristiani, stava cadendo a

pezzi), ma, grazie a Francesco d’Assisi, sarebbe rimasta in piedi.

In questi ultimi anni, infatti, mi ero impegnato per riparare le “crepe” che si erano formate nel mondo della fede,

convertendo e aiutando poveri e malati che ormai avevano perso la speranza.

Innocenzo rimase scioccato da questa notizia e iniziò a farfugliare scuse, cercando di difendersi, dicendo che lui stava

facendo l’impossibile per il mondo cristiano e che non era certo per colpa sua se la chiesa latina era alla rovina.

Sapeva che non era vero, sapeva benissimo che era soprattutto una sua mancanza, ma non aveva il coraggio di

ammetterlo. Disse di essere molto offeso per le parole che le erano state dette e cosi ci cacciò via maleducatamente.

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Me ne andai e, mentre mi incamminavo verso la casa dove alloggiavo, pensai a quanto fosse ingiusto che il clero fosse

gestito da una persona così debole e superficiale.

Corradi Iacopo

LA CONFERMA DELLA REGOLA

DESCRIZIONE DELL’OPERA

In questo affresco vengono rappresentati San Francesco e Innocenzo III. Il poggiapiedi del papa è azzurro perché

simboleggia il suo collegamento con Dio, i vestiti dei francescani sono marroni perché riportano alla terra, la loro

madre, mentre il vestito del papa è rosso un segno di nobiltà. Unica fonte di luce è l’aureola di San Francesco. È

un’immagine di gioia.

IO, FRANCESCO…

Bene, sono appena partito da Assisi e mi aspetta un lungo e faticoso viaggio a piedi per arrivare a Roma insieme ai

miei fedeli discepoli. Dopo aver camminato a lungo con il sole che picchiava forte, ci siamo riposati sotto una grande

quercia con i rami folti di foglie color verde smeraldo; di fianco alla quercia c’era un piccolo albero di mele, ne

abbiamo prese un po’ e poi abbiamo fatto un piccolo sonnellino.

Appena svegliati, abbiamo pregato il Signore che ci accompagnasse durante la giornata per poi ricominciare il nostro

viaggio lungo una stretta stradina sterrata. Arrivati a sera con il sole che stava per calare, abbiamo avvistato in

lontananza una radura e quindi deciso di fermarci per la notte. Di lì a breve comincia a diluviare, io mi sveglio, prego,

poi mi addormento vicino a un mio discepolo.

La mattina seguente facciamo colazione con quello che offre la natura e ricominciamo il nostro lungo viaggio per

Roma. Cammina, cammina incontriamo un contadino sopra un carretto carico di fieno e trainato da due muli, chiedo

al signore dove si stia dirigendo. <Verso Spoleto>, risponde e gli domando se avremo potuto salire per un passaggio,

risparmiandoci così la fatica di camminare. Il contadino fa un cenno affermativo con la testa, noi saliamo e lui diede

una pacca sulla schiena dell’animale per farlo partire. Galoppa, galoppa arriviamo a Spoleto e il contadino ci fa

scendere dandoci un pezzo di pane e del formaggio da mangiare per il viaggio, noi lo ringraziamo, promettendoli di

pregare per lui.

In lontananza un mio discepolo vede un fienile abbandonato e, poiché ormai il buio si avvicina, mi chiede di passare la

notte là e quindi ci avviamo verso quella costruzione. Passiamo attraverso un grande campo di erba interrotto da un

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piccolo ruscello di acqua fresca e ne approfittiamo per bere e lavarci. Rinfrescati e puliti alla fine arriviamo al fienile.

Tutti si scelgono il loro posto e viene distribuito pane e formaggio offerto dal contadino. Dopo aver cenato,

preghiamo e ci mettiamo sotto dei mucchietti di fieno e ci addormentiamo al caldo.

La mattina seguente ci svegliamo con il canto degli uccelli e ci rimettiamo in viaggio. Dopo ore e ore di cammino

arriviamo a Roma, una città grandissima e soprattutto bellissima, piena di case, mercati, monumenti e tante persone

in strada. Seguendo le indicazioni arriviamo alla Basilica e rimaniamo sbalorditi per la sua ricchezza e imponenza. Ci

avviciniamo alla porta per entrare e due guardie vedendoci vestiti poveramente, ci chiedono che cosa vogliamo, io

rispondo che dobbiamo assolutamente parlare con il Santo Padre di una questione importante. Le due guardie, dopo

averci pensato e discusso per un po’ di tempo, ci fanno entrare e ci conducono alla porta della stanza dove il Papa

riceveva le persone.

Siamo entrati creando un evidente disagio per come eravamo vestiti, ci inginocchiamo e riveliamo al papa la nostra

idea. Lui ascolta con attenzione tutto quello che diciamo, ci pensa e poi prende un foglio, intinge il pennino nell’

inchiostro, scrive, prende la bolla papale, fa scivolare della cera lacca rossa sul pezzo di carta e soffiandoci sopra per

farla seccare e ci dice che il nostro pensiero gli sembra corretto e degno di lode perché può cambiare la storia della

chiesa.

Prima di uscire ringraziamo Papa Innocenzo III di averci ascoltato con il cuore aperto. Usciti dalla Basilica ringraziamo

Dio per averci protetto durante questa esperienza e di continuare a proteggerci per il viaggio di ritorno. Io intanto

meditavo su quanto successo. Pieni di speranza cominciammo il viaggio di ritorno.

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Francesca D’Angelo

LA VISIONE DEL CARRO DI FUOCO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Nell’affresco sono presenti i francescani, una costruzione e San Francesco su un carro trainato da cavallo che vola in

cielo. I colori presenti son giallo e marrone per rappresentare cose terrene e il blu per quelle ultraterrene.

Lo spazio è suddiviso in tre blocchi: in alto San Francesco e due gruppi distinti di francescani in basso.

Tutto è pervaso dalla voglia di glorificare il Santo.

IO, FRANCESCO…

Mi svegliai nell'edificio in cui la sera prima io e i miei seguaci decidemmo di dormire.

Mi misi in ginocchio e diedi il buongiorno a Gesù con una preghiera. Quando ebbi terminato, mi rialzai e uscii

dall'edificio, per avviarmi nel bosco vicino per cercare qualcosa con cui cibarci.

Appena entrai, vidi un coniglio correre verso di me. Io mi abbassai e gli feci una carezza, poco dopo trovai un bel rovo

pieno di more e ne presi un po’ e accanto ad esso un albero di frutti succosi che raccolsi. Decisi di tornare indietro e,

appena arrivai davanti all'edificio, lasciai il raccolto, presi una brocca e ritornai nel bosco per prendere acqua dal

ruscello. Mi piegai e immersi la brocca. Appena alzai lo sguardo, vidi con enorme stupore un carro infuocato e legato

ad esso un maestoso cavallo color marrone. Decisi di salirci. Subito il carro si sollevò e mi condusse in cielo, vicino al

sole, vicino a Dio. Quando il carro si fermò nell'immensità celeste, sentii Dio che mi guardava. Dentro il mio cuore

percepii il suo amore e capii di essere stato scelto. I miei Fratelli mi aspettavano con i volti tesi e meravigliati, ma non

ci fu bisogno di parole perché tutti loro già vedevano in me il prescelto. Chissà quante altre volte Dio mi parlerà e io

sarò lì accanto a lui!

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Caterina de’ Manzoni

LA VISIONE DEI TRONI

DESCRIZIONE DELL’OPERA

In quest’opera sono presenti un angelo, San Francesco ed un suo amico frate. In primo piano un’edicola, sullo sfondo

un cielo scuro e Cinque Troni, quello in mezzo è il più grande. Il principale colore utilizzato è il blu per lo sfondo perché

riconduce a Dio, ma anche per far risaltare meglio il rosso ed il giallo di tutte le costruzioni religiose presenti

nell’affresco. L’artista voleva raccontare il grande potere di Dio sugli uomini. Ciò che mi ha maggiormente stupito è

l’uso del colore e il suo significato e gli strabilianti giochi di luce.

IO, FRANCESCO…

Io, Francesco, un giorno volli portare Frate Bernardo con me a pregare. Trovammo un’edicola isolata in mezzo alla

natura, ricca di significato per me.

Era ormai sera e Frate Bernardo volle tornare dagli amici rimasti soli a casa. Così mi convinse a offrire la mia ultima

preghiera al signore.

D’un tratto sentii un calore e vidi di sfuggita una luce abbagliante dietro di me. Non mi voltai. Terminato, mi girai, vidi

Frate Bernardo pregare al cielo.

Quando chiesi cosa fosse successo egli mi rispose: <É stato un lampo fulmineo. Una luce accecante mi ha abbagliato. E

poi ho visto un angelo. Era così bello! Aveva ali maestose e tunica azzurra, colore di Dio. Sopra lui cinque troni

regnavano, di cui uno più grande e potente. Era rosso scuro, colore del sangue. Alla sua destra due troni, gialli,

accecanti. Alla sinistra altri due troni. L’angelo guardava i troni con profonda compassione e mi disse: -Beati coloro che

potranno sedersi su quest’oro alla destra del Signore>. Quando ebbe finito di raccontare, ero sbalordito. Ma non

mostrai la mia emozione a egli. Mi limitai a sorridere.

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Tornammo a casa e Frate Bernardo raccontò la vicenda ai suoi fratelli. Tutti mi chiesero: <Francesco perché Dio

avrebbe dovuto manifestarsi a Fra Bernardo e non a te?> Io, vedendo i loro volti, sorrisi, alzai le mani e dissi: <Grazie

Signore per la splendida notizia che hai condiviso con Fra Bernardo nostro amico. Ti rendiamo eternamente grazie, oh

Altissimo.>

A letto pensai a quello che avevo detto a tavola. Mi pareva giusto. Forse ho lasciato un po’ di smarrimento nei pensieri

degli altri, ma era la cosa giusta da fare. In verità non so bene neppure io cosa volesse dire la visione, ma so a chi

apparteneva il trono maggiore. A Dio.

Kaempfer Daniel

L’ESTASI

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Nell’affresco si evidenziano la salita del frate su una nuvola verso Dio, che si sporge dall'angolo in alto a destra,

piegandosi per benedirlo. Sullo sfondo la porta cittadina, fatta di volumi cubici e colorati, a destra invece una collinetta

con alberi segna l’unica nota naturalistica, forse allusione alla Verna. L’opera vuole rappresentare la semplicità e la

purezza di San Francesco e suscita stupore per il modo in cui il Santo si dedica a Dio.

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Filippo Ferrante

LA SCACCIATA DEI DIAVOLI D'AREZZO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Gli elementi presenti nell’affresco sono la basilica, le case di Arezzo, San Francesco e i diavoli. I colori principali sono

primari. Vi è la presenza una luce morbida che evidenzia le strutture architettoniche.

IO, SAN FRANCESCO…

Io San Francesco quel giorno, stavo camminando lungo la strada per arrivare alla città di Arezzo, quando guardate le

porte per entrare nelle mura, vidi tutti i cittadini impauriti. Diverse persone mi vennero incontro a chiedermi aiuto, io

non capivo cosa fosse successo. Quando alzai gli occhi al cielo vidi "uno sciame gigantesco di diavoli" che infestavano

tutta la città. Entrai dentro alle mura e rimasi sconvolto: c'erano la case tutte infuocate, le mura mezze crollate e

perfino gente morta. Era una città fantasma! Chiesi a degli amici poveri di aiutarmi a rimettere apposto tutto:

ricostruire le mura, restaurare le abitazioni, riedificare il tempio. Ci pensarono per un po’ e alla fine accettarono.

Rimase solo un unico problema: scacciare via tutti quei diavoli. Chiamai tutti i preti, presenti ad Arezzo e chiesi di

pregare l’Altissimo.

Tutti noi ci siamo inginocchiati e abbiamo innalzato lodi al Signore chiedendogli di aiutarci a scacciare via i diavoli

d'Arezzo. Il Signore ci ascoltò e, subito dopo la preghiera, quello sciame di diavoli svanì nel nulla ed accadde anche un

altro miracolo: i cittadini avevano finito di ricostruire le mura contemporaneamente. I poveri vennero pagati con un

pranzo succulente, così gli abitanti del villaggio poterono vivere per sempre con il Signore.

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Nicola Giarola

LA PROVA DEL FUOCO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Nell’affresco sono presenti San Francesco, il sultano con i suoi sudditi, il fuoco. I colori principali sono blu, rosso,

marrone.

San Francesco si recò realmente in oriente con la Quinta Crociata ed incontrò il sultano e la prova del fuoco cui si

sottopose volontariamente Francesco gli fece guadagnare molta stima nei confronti del sultano e della corte.

Davanti al Santo i preziosi regali donatigli dal sultano, che però il frate rifiutò. Francesco si rivolge allora al fuoco,

sfidando a passarci incolume attraverso per dimostrare le sue verità di fede e la protezione che Dio gli concede.

IO, FRANCESCO…

Ad un cero punto della mia vita mi recai in Oriente al seguito della quinta crociata ma mi fermai a Babilonia per

convertire la gente del luogo al cristianesimo.

Lì incontrai il sultano, vestito con un lungo manto rosso con sopra una tunica bianca. Era seduto su uno scrigno dorato

insieme ai suoi ministri, vestiti con abiti molto lussuosi color rosso. Gli altri presenti indossavano abiti bianchi con

turbanti sulla testa.

Quello che notai maggiormente fu che le donne non erano presenti come se avessero un valore minore rispetto agli

uomini.

Vidi che il sultano guardava il mio abito semplice color marrone e la mia fune legata in vita. Io ero insieme a un mio

fratello, venuto con me nella quinta crociata. Insieme decidemmo di proporre una prova al sultano e ai suoi sudditi:

entrare nel fuoco insieme a lui. Loro però si rifiutarono e corsero via. Allora mi sottoposi io alla prova: entrai nel fuoco

e non mi bruciai.

Il sultano stupito aprì il forziere, su cui era seduto, ed estrasse delle monete, sostenendo che fossero per me perché

non aveva mai visto così tanto coraggio. Ma io non le accettai, allora il sultano mi salutò e io me ne andai.

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Caterina Menegatti

IL PRESEPE DI’ GRECCIO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Il soggetto rappresentato è San Francesco, che volle ricreare la scena di quando nacque Gesù. È così che nacque la

tradizione di creare il presepe a Natale. Gli elementi presenti sono un piccolo tempio o una chiesa, un altarino, una

culla e una croce, uomini e donne. In primo piano Francesco e il piccolo “Gesù bambino” con l’asinello ed il bue. Sullo

sfondo le donne che guardano dalla porta perché non possono entrare. I colori utilizzati sono il blu, il marrone,

l’avorio, il bianco e qualche tonalità di rosso scuro. L’artista vuole rappresentare San Francesco che a sua volta voleva

ricreare la scena della nascita di Gesù, chiedendo alla gente di portare addirittura asino, bue e fieno. Così nella notte

del Natale del 1223, durante una messa (in provincia di Rieti a Stroncone) si dice che dal nulla comparve un bambino

vero in carne ed ossa nella culla e San Francesco lo prese in braccio. Questo affresco è molto bello e realistico, ricorda

proprio un presepe, è molto dettagliato e verosimile.

IO, FRANCESCO…

Da un po’ di tempo mi era sorta l’idea di ricreare e far rivivere la nascita del nostro Signore.

Avevo chiesto aiuto a degli uomini e a dei miei amici, per fare in modo che la scena fosse molto realistica. Avevo

chiesto addirittura di trovare un bue e un piccolo asinello, che (così vuole la tradizione) erano proprio dietro la culla

del piccolo Gesù Bambino per riscaldarlo al momento della nascita.

Riuscimmo a trovare tutto e nella notte di Natale del 1223 ricreammo il momento della nascita durante la

celebrazione della Santa Messa. Eravamo in una piccola chiesetta a Stroncone in provincia di Rieti. Le donne

assistevano in gruppo accanto alla porta, il coro stava dietro me e cantava le canzoni scritte sui fogli appoggiati

sull’altare. Altri uomini erano accanto al coro e assistevano alla Messa chiedendosi perché avessi voluto ricreare quella

scena.

L’avevo fatto per lodare il Signore, per ringraziarlo di ciò che ha creato: la nostra meravigliosa Terra, i fiori, le piante e

gli animali. Tutto così splendido! L’avevo fatto per ricreare quella Santa notte tanto speciale.

Asino e bue stavano erano sdraiati dietro la culla vuota di legno e ogni tanto mangiucchiavano un po’ del fieno che

ornava il pavimento per far sembrare tutto ancora più realistico.

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Chi avrebbe mai immaginato che nel bel mezzo della celebrazione, nella notte di Natale, un bambino vero, in carne ed

ossa, sarebbe comparso nella culla, creando un grande brusio?

Rimasi calmo: solo io forse potevo sapere che il piccolo era stato mandato direttamente da nostro Signore. Senza

esitare, lo presi in braccio. Era così piccolo! Lo stringevo tra le dita ed era grande come la mia mano, era

semiaddormentato, volevo cullarlo e sentire il suo calore tra le mie braccia.

Mi ricordo bene quel momento, sembrava proprio il piccolo Gesù, preso in braccio da Maria in quella notte di molto

tempo prima.

Le persone hanno chiamato “Presepe” questa rappresentazione e chissà … magari un giorno diventerà una tradizione

ricreare la notte della nascita dell’amato Gesù, per ringraziarlo e lodarlo per ciò che ha “donato” a noi uomini.

Alessandro Rancan

LA PREDICA D’INNANZI AD ONORIO III

DESCRIZIONE DELL’OPERA

L’affresco ritrae papa Onorio mentre ascolta Francesco con grande attenzione, con il mento appoggiato alla mano. I

cardinali sembrano assorti nell’ascolto e alcuni sembrano meravigliati. Sullo sfondo si notano gli arredi della stanza,

ricchissimi, con drappi appesi alle pareti ed il trono papale. Le esili colonne dividono l’opera in tre gruppi di

personaggi. La composizione è basata su un rapporto armonioso tra figure ed architettura. Le forme sono ben

costruite da punto di vista della prospettiva e i personaggi si inseriscono bene nell'ambiente. Inoltre le figure si

dispongono con molta spontaneità. Sono stati utilizzati le gradazioni dei colori rosso, blu, grigio, verde.

L’artista descrive San Francesco intento nel volere sorprendere il papa Onorio III con una predica ben preparata, ma

perdette il filo e fu costretto ad improvvisare: il suo discorso "a braccio" affascinò i presenti e li convinse che per

mezzo suo parlava lo Spirito Santo. Questo affresco ha suscitato in me grande ammirazione nei confronti di Giotto

perché è riuscito proprio a farci capire le sensazioni che i protagonisti dell’opera hanno vissuto quel giorno.

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Anna Morando

IL MIRACOLO DELLA SORGENTE

DESCRIZIONE DELL’OPERA

In primo piano si notano San Francesco e i suoi seguaci, sullo sfondo alberi e colli. I colori utilizzati sono il marrone

simbolo di forza e determinazione, l’ocra e il blu notte che rimanda all’infinito. Vi è la presenza della luce della luna,

l’artista infatti voleva descrivere San Francesco che pregavo sotto la luce della luna. Quest’opera mi fa ricordare la

veglia di Gesù dopo l'ultima cena.

IO, FRANCESCO…

Io Francesco, sono nato il 26 settembre 1182 ad Assisi da Pietro di Bernardone e da Giovanna Pica.

Fui battezzato Giovanni, ma più tardi mio padre mi soprannominò Francesco, in onore dei suoi commerci in Francia.

Ero molto ricco, ma decisi di donare tutto ai bisognosi e di vivere a contatto con la natura per lodare e pregare Dio.

Un giorno, durante una passeggiata con i miei amici, un mio fratello svenne e ci fermammo.

Lo distendemmo su una roccia e io iniziai a pregare. Il cuore non gli batteva più.

Allora lo mettemmo sopra ad un vecchio carro abbandonato e ricominciai a recitare il rosario ad alta voce, ma non

successe nulla.

Infine tutti noi fratelli pregammo Dio, benedicendolo per tutto quello che ha fatto per noi. Invocammo anche Maria, la

madre di Gesù, nostro Salvatore.

Dopo le nostre intense preghiere, il nostro fratello si svegliò dalla morte e rimase con noi tutti per altri quattordici

anni.

Alla sera quando ritornai nella grotta dove dormivo ringraziai, il mio Dio per aver ridato la vita al nostro fratello.

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Lorenzo Ottaviani

LA PREDICA AGLI UCCELLI

DESCRIZIONE DELL’OPERA

Questo episodio descrive San Francesco che predicò a molti uccelli che si avvicinarono vicino a lui. In primo piano si

vede il Santo, un frate francescano e degli uccelli; sullo sfondo possiamo notare un cielo pallido, un albero e una

collina. C'è presenza di colori freddi. Le uniche ombre sono quelle della veste di Francesco. È una delle scene più

famose del ciclo, perché racconta un episodio molto amato dalla devozione popolare: forse Buonaventura voleva

alludere con questo episodio alla capacita di Francesco di parlare a poveri ed emarginati.

IO, FRANCESCO…

Camminai insieme a un fratello a piedi nudi sopra la terra umida fin sopra la collina dove si trovava il castello di

Cannara.

Il sole non splendeva, il cielo era pallido, c'era silenzio, l'unica cosa che si sentiva era il rumore del vento che

incontrava le foglie.

Mi avvicinai ad un albero dove incappai in uno stormo di uccelli di varie specie. Cosa strana a dirsi, loro non volarono

via, ma rimasero lì come se dovessero ascoltare quello che avevo da dire, alcuni svolazzarono giù dai rami, alcuni si

fecero avanti.

Allora mi inchinai e parlai. Loro sembravano capire quello che dicevo e anche mostravano curiosità per ogni frase

sentita.

Mentre predicavo la parola di Dio, essi si ponevano sulla mia tunica, si posavano sopra e aprivano il becco.

Dopo li benedissi.

Esaurito il loro desiderio di ascoltarmi, volarono via come se dovessero portare le mie parole in giro per il mondo.

Un fratello alzò la mano con una strana espressione, ma io prosegui il mio cammino.

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Elisa Righetti

L'APPARIZIONE AL CAPITOLO DI ARLES

DESCRIZIONE DELL'OPERA

Il soggetto rappresentato è "l’apparizione al capitolo di Arles". Si tratta di una delle scene più efficaci di tutto il ciclo,

con la realistica architettura gotica e l'apparizione del santo al centro della scena con le braccia platealmente

alzate. Non tutti i presenti però hanno la visione, infatti sono girati verso di lui solo Monaldo e il frate

predicatore, sant'Antonio da Padova.

I colori utilizzati sono blu, bianco, nocciola, rosso chiaro, che indica l’amore, e il verde.

Quest'opera in me suscita un emozione grande, perché le apparizioni indicano la potenza del Santo.

IO, FRANCESCO…

Un giorno mi ritrovai in un luogo non previsto. Il mio corpo fu trasportato in carne ed ossa ad Arles, in una basilica.

Avevo le mani alzate al cielo, quando avvenne l’imprevisto. Avevo sentito attorno a me un leggero venticello, come

una brezza di prima mattina quando … eccomi trasferito in un luogo che non conoscevo davanti ad altri fratelli

impegnati in un importante incontro. Ero sorpreso: stavo benedicendo i frati, ma non volevo richiamare l'attenzione

su di me.

Ma il loro superiore mi benedì e a quel punto i feci lo stesso con i suoi frati, anch'essi sbalorditi, altri addirittura

sconvolti.

Dopo tutti si inginocchiarono davanti a me, mentre risalivo in cielo. Non capivo per quale motivo lo facessero, forse

ero morto e diventato santo? Io fino a quel momento ero un comune frate che lottava ogni giorno per vivere!

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Tommaso Zanotti

STIGMATE DI SAN FRANCESCO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

In questo affresco viene rappresentato San Francesco che riceve le stimmate durante la preghiera sul Monte della

Verna. In primo piano vi sono San Francesco, Cristo, Frate Leone e sullo sfondo monti, alberi e cappelle. Sono presenti

colori primari. La luce proviene da sinistra. I raggi provenienti da un angelo fissano nel corpo del Santo le

stimmate, simbolo della sua totale uguaglianza con Cristo.

IO, FRANCESCO…

Era il 17 settembre del 1224. Il sole splendeva alto nel cielo, caldo e luminoso, uguale a Dio. Volevo trascorrere nel

silenzio e nella solitudine quaranta giorni per rendere onore all’arcangelo S. Michele. Ogni tanto mi ritiravo, come

Gesù in luoghi solitari per meditare e raggiungere, tramite la preghiera, l’unione intima con Cristo. Quel giorno mi

trovavo sul monte La Verna, nella valle del Casentino, luogo selvaggio, la cui sommità è tagliata da una roccia a

strapiombo simile ad una fortezza inespugnabile, donatami dal Conte Orlando da Chiusi di Casentino, sulla quale i miei

frati avevano costruito una capanna per ripararsi.

Faceva caldo e avevo con me solo un otre d’acqua, dove però era rimasto solo un piccolo sorso poiché l’avevo

consumata nella salita. Nelle vicinanze trovai un piccolo frutteto di mele. Ne colsi una da un albero e, prima di

mangiarla, ringraziai il Signore per avermi donato il cibo quotidiano.

Mentre meditavo sulla Passione di Gesù e pregavo dicendo: <Oh Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti chiedo che tu

mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel

dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch' io senta nel cuore

mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta

passione per noi peccatori>. Ogni tanto guardavo il cielo e alla terza occhiata vidi apparire Cristo in forma di serafino

crocefisso. Dalle sue mani, dai suoi piedi e anche dal suo fianco destro uscirono dei potenti fasci di luce, che

m’impressero le stimmate della Croce dello stesso Signore Nostro Gesù Cristo. Lui poi mi disse: <Adesso sei uguale a

me>.

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Nel tornare alla chiesetta iniziarono a sanguinare le mani, allora le fasciai con delle foglie. Arrivato presi delle bende e

me le fasciai.

Carlo Zarattini

ILTRAPASSO D ISAN FRANCESCO

DESCRIZIONE DELL’OPERA

La scena rappresenta frate Francesco d’Assisi nel momento della sua morte. Francesco è disteso con intorno i frati che

lo piangono in preghiera. I colori utilizzati sono blu notte per il cielo, marrone scuro per il terreno e bianco per la

maggior parte degli abiti indossati dai ecclesiastici e dalla nube del trapasso verso il paradiso. Giotto voleva descrivere

l’anima di Francesco che sale in paradiso, attorniato dai suoi frati. L’artista voleva trasmettere l’emozione del

momento della morte di Francesco. In me questa opera suscita tristezza per la morte, ma anche un senso di serenità

nel vedere i frati vicino a Francesco e gli angeli che lo accolgono.

IO, FRANCESCO…

Ciao Padre mio sono finalmente arrivato da te. E’ tutta la vita che cerco di onorarti e servirti al meglio, per godere

dopo la mia morte della tua vicinanza per l’eternità; e voi amici frati che vi vedo ancora tristi e piangenti al mio

capezzale siate felici perché io ora ho raggiunto la piena serenità. Non abbiate paura perché sono ancora vicino a voi.

Io sono qui sopra e vi vedo. A te Damiano, mio prediletto, e anche a voi, compagni di mille sacrifici, ma anche di tante

gioie, dico che veglierò su di voi perché possiate essere un giorno felici come me. Dal mio letto di morte ora ho

raggiunto il cielo; voi vedete adesso soltanto il mio corpo sofferente dei mali terreni, ma quello che più conta è che la

mia anima ora è libera.

Anche voi sorelle mie che mi avete accompagnato in questo viaggio dalla vita terrena alla vita eterna attraverso le

sofferenze della morte del mio corpo, non rattristatevi perché io ora sono finalmente in pace. In questo viaggio del

mio trapasso vi garantisco che tutto quello che si patisce durante la vita in terra è poi ricompensato nel momento

dell’incontro con Dio e i suoi Santi. Pensate qui vicino a me mi fanno compagnia gli angeli, che mi stanno accogliendo

in paradiso e solo a vederli, donano felicità perché sono belli di aspetto, gentili nei modi e così splendenti come mai

avevo visto prima.

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Lo sapete che non possiedo ricchezze e così vi voglio lasciare queste parole: il diavolo è stato da me sconfitto perché

ho creduto nel Signore. Lo vedo infatti in fondo, in fondo all’orizzonte disperato e deluso. Abbiate fede, sorelle e

fratelli, e sarete salvi e felici con il Signore per l’eternità.

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VITA DI SAN FRANCESCO

Nasce, tra il Dicembre 1181 e il Settembre 1182 da Pietro Bernardone dei Moriconi, ricco mercante di stoffe, e dalla

nobile Signora Pica Bourlemont, un figlio a cui viene dato inizialmente (dalla madre) il nome di Giovanni.

Il padre, che al momento della nascita era in Francia per affari, quando ritornò ne cambiò il nome in Francesco e, con

tale nome, fu ed è comunemente e generalmente conosciuto. Dopo aver condotto fino ai 24 anni una vita dissoluta ed

aver provato la carriera militare (tra le altre fu fatto prigioniero dai perugini), San Francesco riceve in sogno la

chiamata del Signore. Rinuncia pubblicamente nella piazza del Vescovado di Assisi agli averi paterni e si incammina

con pochi seguaci verso una vita di preghiera e di obbedienza a "Sorella Povertà". Gli inizi sono molto difficili in quanto

le idee di San Francesco sulla povertà e sulla semplicità della vita non sono comprese né dalla gente e né dal clero.

E' questo il periodo del miracolo del lupo di Gubbio e della riparazione di San Damiano, di San Pietro alla Spina e della

Porziuncola di Santa Maria degli Angeli. Le gesta di San Francesco non passarono inosservate e le genti di Assisi

cominciarono a cambiare l'opinione su questo stravagante giovane e così, dopo qualche tempo, gli si affiancarono i

primi seguaci. Del primo seguace non ne è noto né il nome e né la fine. Pertanto la storia ci indica come primo

"discepolo" Bernardo da Quintavalle (un mercante) seguito da Pietro Cattani (un giurista).

Le prime esperienze "conventuali" con i compagni San Francesco li ebbe nel Tugurio di Rivotorto. E proprio nel Tugurio

di Rivotorto che poco dopo arrivarono Egidio (un contadino) e successivamente Sabatino, Morico, Filippo Longo e

prete Silvestro. Seguirono poi Giovanni, Barbaro e Bernardo Vigilante ed infine Angelo Tancredi. Erano arrivati ad

essere in dodici e tutti i compagni vestivano come Francesco di un rozzo saio cinto da una corda.

Solo nel 1209 Papa Innocenzo III (dopo la predica ai porci!) approva la Regola dell'Ordine ed autorizza San Francesco a

predicare tra le genti. San Francesco inizia così a girare per il mondo arrivando fino a Dalmiata d'Egitto (1219-20 erano

i tempi delle crociate) dal sultano Melek El Kamel.

Nel 1224 San Francesco riceve le stigmate, un miracolo mai accaduto prima di allora se non al Figlio di Dio.

Sentendo vicina la morte San Francesco si fa riportare da Siena ad Assisi e più precisamente alla Porziuncola la piccola

cappella (allora) ove morirà su un giaciglio sulla nuda terra il 4 ottobre 1226.

Fu Frate Elia, suo successore a capo dell'Ordine a annunciare al mondo la presenza sul corpo del Santo delle stigmate

e la rivelazione di esse provocò nella chiesa gravi lacerazioni e scetticismi che dureranno anche nei secoli successivi.

Basti pensare che, quando San Francesco fu proclamato Santo (1228) da Papa Gregorio IX, la bolla di canonizzazione

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non ne citava la presenza. Nel 1939 Papa Pio XII proclamò San Francesco il Patrono d'Italia.

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VITA DI GIOTTO

Giotto, che nacque nel 1267, da una famiglia di contadini di Colle Vespignano non lontano da Firenze. La leggenda

vuole che Cimabue, il suo maestro, si accorgesse delle sue abilità mentre seduto su un sasso disegnava delle pecore al

pascolo. Nel 1272 entra nella bottega di Cimabue. Primo fra i pittori toscani, nel 1303 lavora nell’ Italia settentrionale.

Insieme al maestro, realizza la chiesa di san Francesco d’Assisi poco dopo la sua morte. La Basilica di S. Francesco di

Assisi è costituita da due chiese sovrapposte. La parte inferiore è affrescata da vari pittori mentre quella superiore è

affrescata da Giotto e le immagini raffigurano le storie dell’antico e del nuovo testamento. A Padova invece realizza la

cappella degli Scrovegni. Importate fu il viaggio a Roma prima di andare ad Assisi. Dopo l’esperienza di Roma, Giotto

lavorò al cantiere di Assisi.

Si sposò verso il 1287 con Ciuta di Lapo del Pela, ebbero quattro figlie e quattro figli, dei quali uno, Francesco, divenne

pittore. Nel 1325 re Roberto D’Angiò lo chiamò a Napoli e lo nominò “familiare” e “pittore di corte”

Giotto morì l'8 gennaio del 1337 venne sepolto a Santa Reparata a Firenze. Giotto morì l’otto gennaio a Firenze nel

1337.

Con la sua opera segnò una svolta fondamentale nello sviluppo dell'arte occidentale. Restituì volume alla figura e diede

un solido impianto spaziale alla composizione; superò in tal modo la pittura bidimensionale tipica dello stile bizantino e

diede impulso a un nuovo orientamento realistico. Il Vasari racconta che Giotto riusciva a fare una circonferenza

perfetta senza ausilio di compasso e che un giorno, per fare uno scherzo a Maestro Cimabue, dipinse una mosca:

Cimabue provò a schiacciarla pensando che fosse vera.

LA TECNICA DELL’AFFRESCO

L'affresco è un'antichissima tecnica pittorica che si realizza dipingendo con pigmenti generalmente di origine minerale

stemperati in acqua su intonaco fresco: in questo modo, una volta che nell'intonaco si sia completato il processo di

carbonatazione, il colore ne sarà completamente inglobato, acquistando così particolare resistenza all'acqua e al

tempo.

I colori vengono inglobati con la malta fine, quindi possono resistere per migliaia di anni.

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