SALA VERDI DEL CONSERVATORIO Concerto Italiano Rinaldo ... · Combattimento di Tancredi e Clorinda...

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SALA VERDI DEL CONSERVATORIO Concerto Italiano Rinaldo Alessandrini direttore e clavicembalo Monica Piccinini e Anna Simboli soprani Aurelio Schiavoni alto Gianluca Ferrarini e Raffaele Giordani tenori Matteo Bellotto basso Nicholas Robinson e Antonio De Secondi violini Ettore Belli viola Marco Ceccato violoncello Matteo Coticoni violone Ugo Di Giovanni e Craig Marchitelli tiorbe Monteverdi Notte. Storie di guerrieri d’amanti Il concerto si svolge senza intervallo 18 Martedì 28 marzo 2017, ore 20.30

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SALA VERDI DEL CONSERVATORIO

Concerto ItalianoRinaldo Alessandrinidirettore e clavicembaloMonica Piccinini e Anna Simboli sopraniAurelio Schiavoni altoGianluca Ferrarini e Raffaele Giordani tenoriMatteo Bellotto bassoNicholas Robinson e Antonio De Secondi violiniEttore Belli violaMarco Ceccato violoncelloMatteo Coticoni violoneUgo Di Giovanni e Craig Marchitelli tiorbe

MonteverdiNotte. Storie di guerrieri d’amanti

Il concerto si svolge senza intervallo

18Martedì 28 marzo 2017, ore 20.30

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Di turnoAntonio MagnocavalloAlberto Mingardi

Direttore artisticoPaolo Arcà

5 minuti prima di ascoltare: Gaia Varon

Con il contributo e il patrocinio di

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Claudio Monteverdi(Cremona 1567 – Venezia 1643)

da “L’Orfeo” (1609) Sinfonia – Atto III (1’51’’)

da “Madrigali Guerrieri, et Amorosi” (1638)Hor che’l ciel e la terra (prima parte) (5’28”)Così sol d’una chiara fonte viva (seconda parte) (5’)Sinfonia (43”)Combattimento di Tancredi e Clorinda (23’02”)

da “Libro terzo de Madrigali a cinque voci” (1592)Lamento di TancrediVivrò fra i miei tormenti e le mie cure (prima parte) (1’23”)Ma dove, oh lasso me!, dove restaro (seconda parte) (2’50”)Io pur verrò là dove sète, e voi (terza parte) (2’30”) da “Il ritorno di Ulisse in patria” (1641) Sinfonia – Atto II, Scena Quinta (46”)

da “Madrigali Guerrieri, et Amorosi” Lamento della NinfaNon havea Febo ancora recato al mondo il dì (prima parte) (1’31”)Amor – dicea (seconda parte) (2’57”)Sì tra sdegnosi pianti (terza parte) (44”)

da “Concerto. Settimo libro de’ madrigali” (1619) Al lume delle stelle (5’12”)

da “Il ritorno di Ulisse in patria” Sinfonia - Atto I, Scena Seconda (33”)

da “Libro sesto de Madrigali a cinque voci” (1614) A Dio, Florida bella, il cor piagato (4’23”)

da “Concerto. Settimo libro de’ madrigali”Sinfonia (1’06”)

da “Libro sesto de Madrigali a cinque voci” (1590) Ecco mormorar l’onde (2’49”)

da “Scherzi musicali” (1607) Quando l’alba in Oriente (5’34”)

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Il 250° anniversario della nascita offre un’occasione imperdibile per rendere un doveroso omaggio a Claudio Monteverdi, figura cruciale del passaggio dal Rinascimento al Barocco, ovvero al mondo moderno. Monteverdi infatti non segna in musica solo un passaggio di stile, ma anche di epoca e di mentalità. La sua opera crea una forma nuova di pensare all’universo sonoro, che mette al centro della musica l’uomo così com’è, con le sue passioni, i suoi desideri, i suoi fantasmi. All’interno di una produzione così vasta e articolata, Rinaldo Alessandrini sviluppa un tema affascinante come quello della notte, cogliendo in maniera sottile le molteplici sfumature espressive che esso assume attraverso l’intera vicenda artistica di Monteverdi.La prima notte che troviamo è quella della natura immobile, silenziosa, immersa in un sonno simile alla morte di Hor che’l ciel e la terra, madrigale a 6 voci “con doi Violini”, uno dei più belli della splendida summa dell’arte di Monteverdi rappresentata dal Libro ottavo dei madrigali guerrieri e amorosi. Diviso in due parti, il madrigale riveste il sonetto del Petrarca con una musica che incarna in maniera perfetta la ricerca di nuove forme espressive. Nella prefazione del libro l’autore sostiene che le passioni principali dell’uomo sono l’ira, la temperanza e “Humiltà o supplicatione”, che trovano un riscontro in musica nello stile “concitato, molle & temperato”. In passato i compositori hanno dato forma al genere molle e temperato, ma non al concitato, definito da Monteverdi guerriero, che rappresenta una novità anche per lui, tanto che si scusa di maneggiarlo ancora in maniera imperfetta (omne principium est debile). La prima parte del madrigale dipinge dunque il contrasto tra la quiete della notte e la tempesta interiore che agita il cuore del poeta al pensiero della donna amata. Ira e dolore lacerano il petto dell’infelice insonne con un frastuono di ritmi che si sovrappongono sullo sfondo ostinato di un’armonia di sol maggiore tenuta dal basso continuo. Le due terzine conclusive, musicate nella seconda parte, “Così sol d’una chiara fonte viva”, ritornano allo stile polifonico classico, con una trama sottile di riferimenti espressivi al testo tradotti in preziose armonie e intrecci cromatici. Il capolavoro del Libro ottavo, tuttavia, è il Combattimento di Tancredi e Clorinda dalla Gerusalemme liberata del Tasso, eseguito nel 1614 in casa del cavalier Gerolamo Mocenigo di fronte alla migliore nobiltà di Venezia, “cò molto applauso ascoltato & lodato”. Era un esperimento ardito, studiato da Monteverdi nei minimi dettagli per trasformare l’antico madrigale senza gesto in una forma espressiva nuova, una sorta di teatro visionario nel quale voce, gesto, suono e immagine venissero fusi in “una imitatione unita”. Il racconto dell’incredibile notte di passione, di amore e odio che divide e unisce i due inconsapevoli (ma fino a qual punto?) amanti si regge sulla figura del narratore, il Testo, mentre ai due protagonisti è affidata l’espressione delle poche battute in forma diretta. Monteverdi indica l’organico esatto degli strumenti (quattro “viole da brazzo”

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e contrabbasso “da Gamba, che continuerà con il Clavicembano”) e si raccomanda che vengano suonati “ad immitatione delle passioni dell’oratione”, senza cioè una rigida scansione ritmica. Allo stesso modo pretende dal narratore la massima chiarezza nella pronuncia delle parole, che non dovranno essere disturbate da “gorghe” e trilli, se non nella prima stanza, dove si evoca l’aura leggendaria della famosa notte che racchiude il segreto di una passione così smisurata come quella che ha travolto Tancredi e Clorinda, nemici impavidi e amanti indifesi. Per tentare l’impresa di aprire una nuova strada alla musica vocale, Monteverdi s’era rivolto al divino Tasso, il poeta che secondo lui meglio di ogni altro aveva saputo esprimere le passioni più estreme con proprietà e naturalezza. Era una convinzione radicata da tempo, come dimostra un magnifico esempio della sua prima maniera di trattare il madrigale, il Lamento di Tancredi. Siamo ancora alla fine della memorabile notte raccontata nella Gerusalemme liberata. Clorinda giace esangue per terra, attorniata dai servi che cercano di prestare soccorso. Si vedono le prime luci dell’alba e Tancredi, in mezzo alla confusione e al via vai degli inservienti, rimane fermo, in piedi, come inebetito dal dolore. Le tre ottave del suo lamento diventano altrettante parti del madrigale a cinque voci del Libro terzo. Lo stile è ancora quello del madrigale classico, ma la scrittura di Monteverdi mette in luce una trama polifonica tersa e un’armonia lontana dalle oscurità cromatiche del tardo Cinquecento. L’esatta comprensione della parola viene prima delle contorte espressioni di dolore che i versi del Tasso avrebbero probabilmente suggerito ad altri musicisti. L’Ottavo Libro contiene un altro famoso madrigale di genere rappresentativo, il cosiddetto Lamento della Ninfa. Le facili rime di Ottavio Rinuccini dipingono una piccola tragedia d’amore, lontana dagli epici eroismi del Combattimento. Una notte neutra, senza aggettivi, fa da sfondo alla disperazione di questa povera creatura, compatita da un coretto di due tenori e basso che incornicia il suo lamento con una minima descrizione della vicenda. Quel che rende speciale il canto della Ninfa, sviluppato sulla ripetizione di una tradizionale figura discendente di basso, è l’espressività dello stile, che Monteverdi vuole legato “a tempo dell’affetto del animo, e non a quello de la mano”.Quando deve tentare qualcosa di audace, Monteverdi si rivolge alla poesia del Tasso. Al lume delle stelle, uno dei fiori più profumati del Settimo Libro, dipinge infatti con pochi tocchi un incantato notturno, in cui Tirsi appoggiato a una pianta di alloro si strugge d’amore paragonando il cielo stellato agli occhi della ninfa. Il Settimo Libro reca il titolo di Concerto, per sottolineare lo stile nervoso e indipendente delle quattro voci, che gareggiano in maniera virtuosistica e si dividono in varie forme per colorare il testo con un’ampia tavolozza di sfumature sonore. Un altro amore pastorale e notturno compare nel Libro sesto, pubblicato nel 1614 e del tutto privo delle lacerazioni espressive

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che avevano fortemente marcato la raccolta precedente. Il testo è tratto dalle Rime boscherecce del napoletano Giovan Battista Marino, il maestro indiscusso della poesia barocca in Italia. Floro e Florida, come Romeo e Giulietta, devono lasciarsi all’alba dopo una notte d’amore e non sanno sciogliersi dal loro abbraccio. Monteverdi definisce il madrigale a 5 Concertato, nel senso che da una parte ci sono i due personaggi solisti e dall’altra un coro che commenta la scena. I due gruppi hanno un trattamento diverso, virtuosistico il primo e più madrigalistico il secondo.Tra le mille immagini della natura del Tasso, Ecco mormorar l’onde è una delle più suggestive. Il madrigale dipinge in maniera magistrale la sottile eccitazione che precede lo spuntare del giorno, senza che alcun essere umano venga a turbare l’armonia della natura, se non l’obliquo riferimento all’arso cor e alle piaghe notturne dell’animo che l’aria del mattino riesce a lenire. Il testo ideale per forgiare un madrigale descrittivo, che viene dalla seconda raccolta a 5 voci, “novamente e con ogni diligenza corretto & ristampato” nel 1607, lo stesso anno degli Scherzi musicali, dai quali proviene l’ultimo lavoro del programma, Quando l’alba in Oriente. Il testo è del rivale del Marino, il ligure Gabriello Chiabrera, che con un linguaggio prezioso e letterario canta la bellezza della donna amata paragonata al sorgere dell’Alba, descritta come una bionda divinità sfavillante e adorna di fiori in piedi su un cocchio tempestato di rubini e tirato da una coppia di destrieri focosi. Il titolo della raccolta indica un genere di lavori meno impegnativi, pubblicati peraltro (il secondo libro di Scherzi è del 1632) in un momento tutt’altro che sereno per Monteverdi, al centro di una virulenta polemica con gli esponenti della vecchia scuola. In appendice infatti viene pubblicato uno scritto d’incalcolabile valore storico del fratello Giulio Cesare, che replicando alle critiche mosse dall’Artusi al Quinto Libro espone in maniera chiara i principî della nuova scuola e le differenze tra prima e seconda pratica.

Oreste Bossini

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Combattimento di Tancredi e ClorindaTorquato Tasso, La Gerusalemme liberata, canto XII 52-62, 64-68

Tancredi che Clorinda un uomo stimavuol ne l’armi provarla al paragone.Va girando colei l’alpestre cimaver altra porta, ove d’entrar dispone.Segue egli impetuoso, onde assai primache giunga, in guisa avvien che d’armi suonech’ella si volge e grida: - O tu, che porte,correndo sì? - Rispose: - E guerra e morte.

- Guerra e morte avrai: - disse - io non rifiutodarlati, se la cerchi - : e ferma attende.Ne vuol Tancredi ch’ebbe a piè vedutoil suo nemico, usar cavallo, e scende.E impugna l’un l’altro il ferro acuto,ed aguzza l’orgoglio e l’ira accende;e vansi incontro a passi tardi e lentiquai due tori gelosi e d’ira ardenti.

Notte, che nel profondo oscuro senochiudesti e nell’oblio fatto sì grande,degne d’un chiaro sol, degne d’un pienoteatro, opre sarian si memorande.Piacciati ch’indi il tragga e’n bel serenoa le future età lo spieghi e mande.Viva la fama loro, e tra lor gloriasplenda dal fosco tuo l’alta memoria.

Non schivar, non parar, non pur ritrarsivoglion costor, né qui destrezza ha parte.Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsitoglie l’ombra e’l furor l’uso de l’arte.Odi le spade orribilmente urtarsia mezzo il ferro; e’l piè d’orma non parte:sempre il piè fermo e la man sempre in moto,né scende taglio invan, ne punta a voto.

Hor che ’l ciel e la terraFrancesco Petrarca, Canzoniere, sonetto 164

(prima parte)Hor che ’l ciel e la terra e ’l vento tacee le fere e gli augelli il sonno affrena, Notte il carro stellato in giro menae nel suo letto il mar senz’onda giace,

vegghio, penso, ardo, piango e chi mi sfacesempre m’è innanzi per mia dolce pena;guerra è il mio stato, d’ira e di duol piena,e sol di lei pensando ho qualche pace.

(seconda parte)Così sol d’una chiara fonte vivamove il dolce e l’amaro ond’io mi pasco;una man sola mi risana e punge.

E perché il mio martir non giunga a riva,mille volte il dì moro e mille nasco:tanto dalla salute mia son lunge.

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L’onta irrita lo sdegno a la vendetta,e la vendetta poi l’onta rinova:onde sempre al ferir, sempre a la frettastimol novo s’aggiunge e piaga nova.D’or in or più si mesce e più ristrettasi fa la pugna, e spada oprar non giova:dansi co’pomi, e infelloniti e crudicozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.

Tre volte il cavalier la donna stringecon le robuste braccia, e altrettantepoi da que’ nodi tenaci ella si scinge,nodi di fier nemico e non d’amante.Tornano al ferro, e l’un e l’altro il tingedi molto sangue: e stanco e anelantee questi e quegli al fin pur si ritira,e dopo lungo faticar respira.

L’un l’altro guarda, e del suo corpo essanguesul pomo de la spada appoggia il peso.Già de l’ultima stella il raggio languesul primo albor eh’è in oriente acceso.Vede Tancredi in maggior copia il sanguedel suo nemico e sé non tanto offesone gode e insuperbisce. Oh nostra follemente ch’ogn’aura di fortuna estolle!

Misero, di che godi? Oh quanto mestisian i trionfi e infelice il vanto!Gli occhi tuoi pagheran (s’in vita resti)di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.Così tacendo e rimirando, questisanguinosi guerrier cessaro alquanto.Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,perché il suo nome a lui l’altro scoprisse:

- Nostra sventura è ben che qui s’impieghitanto valor, dove silenzio il copra.Ma poi che sorte rea vien che ci nieghie lode e testimon degni de l’opra,

pregoti (se fra l‘armi han loco i preghi)che’l tuo nome e’l tuo stato a me tu scopra,accio ch’io sappia, o vinto o vincitore,chi la mia morte o la vittoria onore. -

Rispose la feroce: - Indarno chiediquel c’ho per uso di non far palese.Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vediun di quei due che la gran torre accese. -Arse di sdegno a quel parlar Tancredie: - In mal punto il dicesti; [-indi riprese]- il tuo dir e’l tacer di par m’alletta,barbaro discortese, a la vendetta.

Torna l’ira ne’cori e li trasporta,benché deboli, in guerra a fiera pugna!U’ l’arte in bando, u’ già la forza è morta,ove, in vece, d’entrambi il furor pugna!O che sanguigna e spaziosa portafa l’una e l’altra spada, ovunque giungane l’armi e ne le carni! e se la vitanon esce, sdegno tienla al petto unita.

Ma ecco ormai l’ora fatai è giuntache’l viver di Clorinda al suo fin deve.Spinge egli il ferro nel bel sen di puntache vi s’immerge e’l sangue avido beve:e la veste che d’or vago trapuntale mammelle stringea tenere e lieve,l’empie d’un caldo fiume. Ella già sentemorirsi, e’l piè le manca egro e languente.

Segue egli la vittoria, e la trafittavergine minacciando incalza e preme.Ella, mentre cadea, la voce afflittamovendo, disse le parole estreme:parole ch’a lei novo spirto addita,spirto di fé, di carità, di speme,virtù che Dio le infonde, e se rubellain vita fu, la vuole in morte ancella.

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- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdonatu ancora, al corpo no che nulla pave,a l’alma sì: deh! per lei prega, e donabattesmo a me ch’ogni mia colpa lave. -In queste voci languide risuonaun non so che di flebile e soavech’al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,e gli occhi a lagrimar invoglia e sforza.

Poco quindi lontan nel sen d’un montescaturia mormorando un picciol rio.Egli v’accorse e l’elmo empiè nel fonte,e tornò mesto al grande ufficio e pio.Tremar sentì la man, mentre la frontenon conosciuta ancor sciolse e scoprio.La vide e la conobbe: e restò senzae voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!

Non morì già, che sue virtuti accolsetutte in quel punto e in guardia al cor le mise,e premendo il suo affanno a dar si volsevita con l’acqua a chi col ferro uccise.Mentre egli il suon de’sacri detti sciolse,colei di gioia trasmutossi, e rise:e in atto di morir lieta e vivacedir parea: “S’apre il ciel: io vado in pace.”

Lamento di TancrediTorquato Tasso, La Gerusalemme liberata, canto XII 77-79

(prima parte)Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure,mie giuste furie, forsennato, errante;paventarò l’ombre solinghe e scureche ’l primo error mi recheranno inante,e del sol che scoprí le mie sventure, a schivo ed in orrore avrò il sembiante. Temerò me medesmo, e da me stesso sempre fuggendo, avrò me sempre appresso.

(seconda parte)

Ma dove, oh lasso me!, dove restarole reliquie del corpo e bello e casto?Ciò ch‘in lui sano i miei furor lasciaro,dal furor de le fère è forse guasto.Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e carotroppo e pur troppo prezioso pasto!ahi sfortunato! in cui l’ombre e le selveirritaron me prima e poi le belve.

(terza parte)

Io pur verrò là dove sete, e voimeco avrò, s’anco sete, amate spoglie.Ma s’egli avvien che i vaghi membri suoistati sian cibo di ferine voglie,vuò che la bocca stessa anco me ingoi,e ’l ventre chiuda me che lor raccoglie:onorata per me tomba e felice,ovunque sia, s’esser con lor mi lice.

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Lamento della Ninfa

(prima parte)Non havea Febo ancorarecato al mondo il dìch’una donzella fuoradel proprio albergo uscì.

Sul pallidetto voltoscorgease il suo dolor,spesso gli venia scioltoun gran sospir dal cor.

Sì calpestando fiori,errava hor qua, hor là,i suoi perduti amoricosì piangendo va:

(seconda parte)Amor

(dicea)Amor

(il ciel mirando, il pie fermo)

Amor, Amor,Dov’è la fe’Ch’el traditor giurò?

(miserella)Fa che ritorni il mioamor com’ei pur fu,o tu m’ancidi ch’ionon mi tormenti più

(miserella ah più, no,tanto gel soffrir non può)

Non vo’ più ch’ei sospiriSe non lontan da me,Che i martiripiù non dirammi affé

(Ah miserellaAh più non so)

Perché di lui mi struggoTutt’orgoglioso sta:Che si s’el fuggoAncor mi pregherà

(miserella, ah, più, notanto gel soffrir non può)

Se ciglio ha più serenoColei ch’el mio non è,Già non rinchiude in senoAmor si bella fè

(miserella, ah, più, notanto gel soffrir non può)

Né mai sì dolci baciDa quella bocca havraiNé più soavi. Ah taciTaci, che troppo il sai.

(miserella)

(terza parte)Sì tra sdegnosi piantispargea le voci al ciel;così ne’ cori amantimesce Amor fiamma e gel.

Al lume delle stelleTorquato Tasso

Al lume delle stelle,Tirsi sotto un alloroSi dolea lagrimando in questi accenti:

O celesti facelle,Di lei ch’amo e adoroRassomigliate voi gli occhi lucenti.

Luci care e serene,Sento gli affanni, ohimè, sento le pene!

Luci serene e liete,Sento le fiamme lor mentre splendete!

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A Dio, Florida bella, il cor piagatoGiovanni Battista Marino

“A Dio, Florida bella il cor piagatonel mio partir ti lascio e porto mecola memoria di te siccome secocervo trafitto suol lo strale alato.

- Caro mio Floro a Dio, l’amaro statoconsoli amor del nostro viver ciecoche se ’l tuo cor mi resta il mio vien tecoCome augellin che vola al cibo amato”.

Così su ’l Tebro a lo spuntar del Solequinci e quindi confuso un suon s’udiodi sospiri di baci e di parole.

“Ben mio rimanti in pace - e tu ben mìovattene in pace e sia quel che ’l ciel vuole.A Dio Floro (dicean), Florida a Dio”.

Ecco mormorar l’ondeTorquato Tasso

Ecco mormorar l’ondee tremolar le frondea l’aura mattutina e gli arboscelli.E sopra i verdi rami vaghi augelliCantar soavemente e rider l’oriente.Ecco già l’alba apparee si specchia nel maree rasserena il cieloe imperla il dolce geloe gli alti monti indora.O bella e vaga aurora!L’aura è tua messaggerae Tu dell’aurache ogni arso cor ristaura!

Quando l’alba in OrienteGabriello Chiabrera

Quando l’alba in Orientel’almo sol s’appresta a scorgeregiù dal mar la veggiam sorgere cinta in gonna rilucente,onde lampi si diffondonoche le stelle in ciel ascondono.

Rose, gigli almi immortalisfavillando il crine adornano,il crin d’oro, onde s’aggiornanol’atre notti de’ mortalie fresche aure intorno volanoche gli spirti egri consolano.

Nel bel carro à meravigliason rubin, che l’arie accendonoi destrier non men risplendonod’aureo morso, e d’aurea brigliae nitrendo à gir s’apprestano,e con l’unghia il ciel calpestrano.

Con la manca ella gli sferzapur con fren, che scossi ondeggiano,e se lenti unqua vaneggianocon la destra alza la sferza,essi allhor, che scopiar l’odano,per la via girsene godono.

Sì di fregi alta, e pomposava per le strade che s’infioranova su nembi che s’indorano;l’altre Dee che la rimiranoper invidia ne sospirano.

E ciò ver qual più n’apprezzaper beltade a l’Alba inchinasinon per questo ella vicinasidi mia donna alla bellezza:i suoi pregi Alba t’oscuranotutte l’alme accese il giurano.

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Le suggestioni della notte

Le prime descrizioni sonore di atmosfere notturne sono indissolubilmente legate alla poesia: è in particolare il madrigale cinquecentesco, con la sua programmatica aderenza al valore semantico ed evocativo della parola, ad offrire ai compositori i primi banchi di prova per la ricerca di un corrispondente musicale ai notturni poetici. Le situazioni raffigurate sono quelle tipiche della lirica d’amore, che la letteratura in volgare ha mutuato dalla tradizione classica: la notte come momento di riposo e silenzio, cui si contrappone l’inquietudine di un soggetto innamorato che non trova pace; la notte come momento di sfogo dei sentimenti più laceranti; o ancora, l’epifania della donna amata come aurora che sorge nelle tenebre, tutti argomenti presenti nei brani monteverdiani in programma, culminanti nel Combattimento di Tancredi e Clorinda dove, nella narrazione tassiana, il tradizionale incontro degli amanti è ambientato in un’inedita situazione espressiva. La mirabile veste musicale che di questi testi dà il compositore è derivata dalla capacità di affiancare ai già collaudati espedienti musicali rinascimentali, quelli offerti dall’incipiente linguaggio barocco, cogliendo i frutti della raffinata ricerca espressiva che aveva caratterizzato il genere nella seconda metà del Cinquecento.Atmosfere notturne, desolate, orrorose, nelle quali amanti abbandonati sfogano il loro dolore con le stelle o con le onde del mare, poi rasserenate dallo spuntare del sole che mette in fuga le tenebre, sono pure i tratti caratterizzanti della Serenata napoletana diffusasi negli anni Settanta del Seicento. Si tratta di un genere lontano dalla produzione omonima di stampo celebrativo, che si sarebbe imposta nella città partenopea solo nel decennio successivo. Assimilabile, nella struttura formale, alla cantata da camera, se ne distingue principalmente per l’argomento, come dimostrano, tra le altre, le composizioni di Simone Coya e Giovanni Cesare Netti.L’immagine del sole che sgombera la notte si ritrova anche nel Ballet de la nuit, ma con un forte significato simbolico e ideologico legato alla figura del sovrano Luigi XIV, detto il “Re Sole” perché vi danzò, appena quindicenne, nella parte del dio Apollo. Con musiche di Boësset, Cambefort e Lully celebrava il ritorno al potere della famiglia reale dopo i duri scontri con il partito nobiliare, che avevano costretto la corte ad abbandonare la capitale.Più vicini a una rappresentazione “pittoresca” sono i due Concerti di Vivaldi intitolati La Notte (per flauto RV 439 e per fagotto RV 501), caratterizzati da una dimensione quasi teatrale. In essi vari quadri notturni, suggeriti dai sottotitoli apposti ad alcuni movimenti (“Fantasmi”, “Il sonno”, “Sorge l’aurora”) sono abilmente tratteggiati da motivi ritmici e melodici, che uniscono all’immediatezza della raffigurazione plastica dell’idea, l’efficacia delle soluzioni timbriche e delle virtuosistiche figurazioni strumentali.Con l’avvento del Romanticismo, un vero culto della notte viene avviato dagli

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Inni alla notte di Novalis in cui, con straordinaria audacia speculativa, il poeta traspone l’evoluzione spirituale, filosofica e poetica da lui vissuta dalla morte prematura della fidanzata quindicenne fino alla soglia della propria morte: è l’esperienza della notte come totalità mistica, come eternità gioiosa, solo apparentemente vinta dalla violenza della luce. L’influsso di questa poetica si estende a vari generi musicali come il Lied su testi di poeti romantici che trovano in compositori come Schubert, autore di diversi brani ispirati alla notte, alcuni tra i più sensibili interpreti della loro Weltanschauung.Di una nuova concezione della notte è presaga anche la ricca produzione di notturni vocali, a due o più voci, che si afferma nel periodo che spazia da Mozart a Verdi. Composti ancora per lo più su testi di Metastasio, ma aperti anche ai toni preromantici di un Pindemonte o un Cesarotti, essi sono veicolo privilegiato nell’esplorazione di una nuova sensibilità, incline agli umori del sentimentale e del patetico, e che volentieri prende le vesti di una naïveté talvolta un po’ artificiosa, indugiando sovente in momenti di descrittivismo carichi di atmosfere cimiteriali e presagi di morte.Ma la piena manifestazione del sentimento romantico della notte si ha con la nascita del notturno pianistico, in cui il termine si carica di significati del tutto contrastanti con quelli del notturno strumentale settecentesco, destinato all’esecuzione notturna in occasione di feste, banchetti o altri eventi mondani, dal carattere disteso e disimpegnato, analogo a quello di serenate, cassazioni e divertimenti, dei quali condivideva caratteri e soluzioni formali.Ideatore del nuovo genere fu l’irlandese John Field, i cui 18 notturni sono caratterizzati dalla creatività immaginosa delle figurazioni di accompagnamento e di ornamentazione, dal largo uso del pedale, e dalla raffinata eleganza delle melodie, fortemente influenzate dal linguaggio dell’opera italiana. Chopin, che seppe acquisirne i tratti migliori, ne ampliò la gamma espressiva, approfondendone l’invenzione armonica e melodica e sperimentandovi una maggiore libertà formale, facendo così della propria produzione un modello imprescindibile per le successive generazioni.Un carattere originale mostra il trittico sinfonico Nocturnes di Claude Debussy, che vuole evocare, attraverso una raffinata ricerca timbrica, impressioni e luci particolari di diversi paesaggi notturni. Entrando nel Novecento, nella Settima sinfonia di Gustav Mahler, se il primo movimento e il finale nel loro discorso continuamente interrotto ed ambivalente guardano già verso l’Espressionismo, le due Nachtmusiken che incorniciano un tenebroso Scherzo, con la loro dolcezza e le particolarità timbriche, sembrano piuttosto rivolte ad un sognante passato, che attraverso il Brahms delle Serenate guarda a Schubert e ai notturni settecenteschi: la notte si fa così liberazione dalle ferree leggi dell’evoluzione storica, momento privilegiato per un voluttuoso abbandonarsi al puro istinto sonoro.

Hiroki FalzoneAllievo del corso di musicologia del Conservatorio “G. Verdi” di Milano

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Rinaldo Alessandrini direttore

Rinaldo Alessandrini è clavicembalista, organista e fortepianista oltre che fondatore e direttore di Concerto Italiano. Da venti anni sulla scena della musica antica, privilegia nelle scelte del suo repertorio la produzione italiana, cercando di restituire alle esecuzioni tutte quelle caratteristiche di cantabilità ed espressività che furono proprie allo stile italiano dei secoli XVII e XVIII. Alterna regolarmente la direzione del suo ensemble all’attività solistica e quella di direttore ospite. Parallelamente conduce una intensa attività solistica, ospite dei festival di tutto il mondo.Come direttore collabora con orchestre e ensemble di primo piano quali Maggio Musicale Fiorentino, Rai di Roma, Orchestra of the Age of Enlightement, Boston Handel & Haydn Society, Freiburger Barockorchester, Orchestra del Teatro de La Monnaie a Bruxelles (Barbiere di Siviglia di Paisiello, La Vergine dei dolori di Scarlatti), Israel Camerata, Orchestre du Capitole di Toulouse, San Francisco Symphony, Washington Symphony Orchestra. Ha inoltre diretto Semele di Händel al Festival di Spoleto e alla Canadian Opera Company, L’incoronazione di Poppea, Le nozze di Figaro, Il ritorno di Ulisse in patria e Die Entführung aus dem Serail alla Welsh National Opera, Frankfurt Opera, Teatro Valli di Reggio Emilia, Teatro Comunale di Bologna, Opera du Rhin, L’isola disabitata di Jommelli all’Accademia Filarmonica Romana e al Teatro dell’Opera di Roma, Alcina di Händel al Liceu di Barcellona, Giulio Cesare di Händel al Teatro Real di Madrid, Teatro Comunale di Bologna e Norske Opera, Amadigi di Händel al Teatro S. Carlo di Napoli e Edimburgh Festival, Zaide di Mozart al Festival Mozart a La Coruña, Il Trionfo del Tempo e del Disinganno alla Queen Elisabeth Hall a Londra. Tra le prossime produzioni, le tre opere monteverdiane alla Scala e a Parigi all’Opera Garnier con la regia di Bob Wilson, Orfeo di Gluck alla Norske Opera, Don Giovanni all’opera di Bergen, oltre a numerosi concerti a Bolzano, Portland, Seattle, Ginevra, Toulouse, Copenhagen, Venezia.La sua discografia comprende non solo opere di compositori italiani ma anche di scuola tedesca, gli ha valso numerose distinzioni e riconoscimenti da parte della critica discografica tra cui un Grand Prix du Disque e un Premio della Critica Discografica Tedesca.Nel 2003 è stato nominato Chevalier dans l’ordre des Artes et des Lettres dal Ministro francese della Cultura. È Accademico della Filarmonica Romana. È inoltre autore di una monografia su Monteverdi pubblicata in Francia da Acte Sud e responsabile editoriale per Bärenreiter dell’edizione critica delle opere di Monteverdi.È stato ospite della nostra Società nel 2005.

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Concerto Italiano

Concerto Italiano, fondato e diretto da Rinaldo Alessandrini, è oggi uno dei più affermati gruppi di musica antica in campo internazionale. Le sue interpretazioni, di grande vitalità, di capolavori celebri e dimenticati hanno contribuito, grazie ad un appassionato lavoro di ricerca, al rinnovamento della prassi esecutiva filologica.Con un repertorio che comprende la produzione vocale e strumentale tra Rinascimento e Barocco, dai primi anni Novanta Concerto Italiano è ospite regolare di festival di primo piano quali Oude Muziek a Utrecht, Festival delle Fiandre ad Anversa, Styriarte di Graz, Festival de la Wallonie a Bruxelles, Musica Antigua a Barcellona, Musica e poesia a San Maurizio a Milano, Chamber Music Festival di Oslo, Beaune, Lufthansa Festival a Londra, De Singel a Rotterdam, Montpellier, Ambronay, Saintes, Rotterdam, Edimburgo, Metz, Chase-Dieux, Anversa, Aldeburgh, Glasgow e Spoleto.Si è inoltre esibito per importanti istituzioni musicali quali Queen Elizabeth Hall a Londra, Konzerthaus a Vienna, Concertgebouw di Amsterdam, Société Philharmonique a Bruxelles, Liceo de Camara a Madrid, Cité de la Musique, Théâtre de la Ville e Théâtre des Champs-Élysées a Parigi, WDR a Colonia, Accademia di S. Cecilia e Accademia Filarmonica Romana, Metropolitan Museum e Lincoln Center a New York, Library of Congress a Washington, Teatro Colón a Buenos Aires oltre che a Tokyo, Tel Aviv, Gerusalemme, Stoccarda, Darmstadt, Ravenna, Ferrara, Torino, Istanbul, Varsavia, Rio de Janeiro e Città del Messico.Concerto Italiano ha appena terminato la trilogia monteverdiana alla Scala ed è reduce da una tournée in Australia e Nuova Zelanda dove ha eseguito i Vespri di Monteverdi.Tra i prossimi progetti una tournée europea con Caino di Scarlatti, una tournée europea con il RIAS Kammerchor (polifonia romana di fine Seicento) e numerosi progetti monteverdiani per l’anniversario del 2017, tra cui una tournée in Cina con l’Orfeo, una in Giappone con i Vespri e un concerto alla Carnegie Hall con l’Incoronazione di Poppea.Concerto Italiano incide in esclusiva per Opus 111. Le numerose registrazioni discografiche hanno meritato premi internazionali tra cui quattro Gramophone Awards (1994, 1998, 2002 e 2004) e, unico gruppo italiano, tre nomination nel 1998 e migliore disco della categoria barocco strumentale nel 2004, due Grand Prix du Disque, tre Premi della Critica Discografica Tedesca (l’ultimo nel 2008 per l’Orfeo di Monteverdi), un Premio Cini, cinque premi al Midem a Cannes oltre al Disque de l’Annèe 1998 e 2005, Disco dell’Anno per Amadeus 1998. La registrazione dei Concerti Brandeburghesi è stato premiato dal BBC Music Magazine come migliore versione mai registrata.Nel 2003 ha ricevuto il Premio Franco Abbiati della critica musicale italiana. È stato ospite della nostra Società nel 2005.

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Prossimo concerto:Martedì 4 aprile 2017, ore 20.30Sala Verdi del ConservatorioYefim Bronfman pianoforte

La natura esplosiva del pianismo di Yefim Bronfman è ben nota al pubblico del Quartetto, che ha ospitato l’artista israeliano di origine russa fin dal 1989. Nel suo nuovo recital Bronfman esplora mondi musicali completamente diversi, e sarà interessante ascoltare come saprà far dialogare i frammenti visionarî degli Humoreske di Schumann con il virtuosismo coloristico dei Trois mouvements di Stravinskij, il Settecento parnassiano della Suite bergamasque di Debussy con l’introverso omaggio a Bach di Bartók.

Società del Quartetto di Milano - via Durini 2420122 Milano - tel. 02.795.393www.quartettomilano.it - [email protected]