SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE E DIREZIONE SPIRITUALE · DEI VESCOVI, I giovani, la fede e il...

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1 SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE E DIREZIONE SPIRITUALE PAOLO CARLOTTI 1. Introduzione La tematica affidataci, quella della relazione tra il Sacramento della riconciliazione e la direzione spirituale 1 è se non proprio vexata almeno controversa quaestio da molto tempo nella riflessione teologico-morale, -spirituale e canonistica, pur conoscendo oggi un certo contenimento in attenzione. Questa sua connotazione sembra esserle tipica, anche perché la tematica comporta, insieme a poche precise indicazioni, considerazioni e valutazioni per lo più discrezionali e opinabili, riconducibili a luoghi e tempi ecclesiali e teologici specifici, che hanno visto su posizioni diverse persone ecclesiali autorevoli, per santità, scienza e gerarchia. Pur tenendo presente complessivamente questo retroterra, non sarà possibile renderlo a pieno in questo intervento, che mira a soffermarsi solo su alcuni aspetti di detta relazione che possono riguardare l’oggi, l’attualità della vita ecclesiale. La griglia interpretativa che viene suggerita è quella dell’alta e feconda conciliabilità del sacramento della riconciliazione 2 e della direzione spirituale, 3 pur nella necessità della loro distinzione dovuta alla loro diversità, evitando di sussumere o di ridurre l’una all’altra, anche quando dovessero svolgersi in uno stesso lasso temporale o quando il ministro sacramentale e il direttore spirituale coincidono nella stessa persona. «Grazie, poi, alla sua indole individuale la prima forma di celebrazione permette di associare il sacramento della penitenza a qualcosa di diverso, ma ben conciliabile con esso: mi riferisco alla direzione spirituale». 4 1 La bibliografia al proposito è molto vasta e coinvolge formalità teologiche specifiche, oltre a quella canonistica e a quella inerente alle cosiddette scienze umane empiriche. Qui sono reperibili solo alcune riferimenti bibliografici secondo il discorso sviluppato e in quanto preliminari sussidi di studio. Per uno sviluppo ulteriore ma omogeneo con questa relazione, mi permetto di rinviare ad alcune mie pubblicazioni: P. CARLOTTI, Teologia della morale cristiana, Bologna, EDB 2016, 274-300; ID., Il senso, il soggetto e l'oggetto del sigillo sacramentale, in P. CARLOTTI - K. NYKIEL - A. SARACO [edd.] Il sigillo confessionale e la privacy pastorale. Atti del Convegno 12-13 novembre 2014, Città del Vaticano, LEV 2015, 55-70; ID., Il penitente cristiano e la formazione della sua coscienza morale, P. CARLOTTI - K. NYKIEL [edd.] La formazione morale della persona nel sacramento della riconciliazione, Roma, IF Press 2015, 29-68. Sul tema specifico cfr. anche: R. FRATTALLONE, Direzione spirituale. Un cammino verso la pienezza della vita in Cristo, Roma, Las 2006, 186-197; L. CASTO, La direzione spirituale come paternità, Cantalupa, Effatà 2003, 215-220; M. COSTA, Direzione spirituale e discernimento, Roma, Apostolato della Preghiera 1993, 149-157; C. SQUARICE, La confessione tra sacramentalità, direzione spirituale e richiesta di aiuto, Credere oggi 75 (1993) 13: 61-73; C. CHIAPPINI, Direzione spirituale e sacramento della riconciliazione, Vocazioni 27 (2010) 4: 54-77. 2 La denominazione del quarto sacramento è tuttora varia e quella qui adottata è nata a seguito del Vaticano II. Per una puntualizzazione cfr. R. GERARDI, Il sacramento del perdono per la riconciliazione dei penitenti, Bologna, EDB 2015, 15-18. 3 La realtà della ‘direzione spirituale’ viene oggi indicata in altro modo, per esempio come ‘accompagnamento spirituale’ - espressione recente ma oggi decisamente preferita (cfr. a tal proposito il recentissimo documento: SINODO DEI VESCOVI, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento preparatori, Città del Vaticano, LEV 2017, 41-44, dove però si parla di ‘accompagnamento personale’ - oppure ‘paternità spirituale’ o altro ancora. Ognuna di queste espressioni ha aspetti positivi o meno, alcune risentono di spiritualità oggi in via di ripensamento, molte escludono ogni forma di sudditanza o passività, tutte mi sembra si basano sull’essenziale condivisione della vita cristiana, dove chi è più spiritualmente ricco, più gratuitamente dona nel sostegno vicendevole dei fratelli e delle sorelle. Qui per lo più conservo l’espressione usata da chi mi ha affidato la relazione, anche perché permette meglio l’individuazione storica dell’oggetto studiato. 4 GIOVANNI PAOLO II, Reconciliatio e paenitentia, 32.

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SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE

E DIREZIONE SPIRITUALE

PAOLO CARLOTTI

1. Introduzione

La tematica affidataci, quella della relazione tra il Sacramento della riconciliazione e la

direzione spirituale1 è se non proprio vexata almeno controversa quaestio da molto tempo nella

riflessione teologico-morale, -spirituale e canonistica, pur conoscendo oggi un certo contenimento

in attenzione. Questa sua connotazione sembra esserle tipica, anche perché la tematica comporta,

insieme a poche precise indicazioni, considerazioni e valutazioni per lo più discrezionali e opinabili,

riconducibili a luoghi e tempi ecclesiali e teologici specifici, che hanno visto su posizioni diverse

persone ecclesiali autorevoli, per santità, scienza e gerarchia.

Pur tenendo presente complessivamente questo retroterra, non sarà possibile renderlo a

pieno in questo intervento, che mira a soffermarsi solo su alcuni aspetti di detta relazione che

possono riguardare l’oggi, l’attualità della vita ecclesiale. La griglia interpretativa che viene

suggerita è quella dell’alta e feconda conciliabilità del sacramento della riconciliazione2 e della

direzione spirituale,3 pur nella necessità della loro distinzione dovuta alla loro diversità, evitando di

sussumere o di ridurre l’una all’altra, anche quando dovessero svolgersi in uno stesso lasso

temporale o quando il ministro sacramentale e il direttore spirituale coincidono nella stessa persona.

«Grazie, poi, alla sua indole individuale la prima forma di celebrazione permette di associare il sacramento

della penitenza a qualcosa di diverso, ma ben conciliabile con esso: mi riferisco alla direzione spirituale».4

1 La bibliografia al proposito è molto vasta e coinvolge formalità teologiche specifiche, oltre a quella canonistica e a

quella inerente alle cosiddette scienze umane empiriche. Qui sono reperibili solo alcune riferimenti bibliografici

secondo il discorso sviluppato e in quanto preliminari sussidi di studio. Per uno sviluppo ulteriore ma omogeneo con

questa relazione, mi permetto di rinviare ad alcune mie pubblicazioni: P. CARLOTTI, Teologia della morale cristiana,

Bologna, EDB 2016, 274-300; ID., Il senso, il soggetto e l'oggetto del sigillo sacramentale, in P. CARLOTTI - K. NYKIEL

- A. SARACO [edd.] Il sigillo confessionale e la privacy pastorale. Atti del Convegno 12-13 novembre 2014, Città del

Vaticano, LEV 2015, 55-70; ID., Il penitente cristiano e la formazione della sua coscienza morale, P. CARLOTTI - K.

NYKIEL [edd.] La formazione morale della persona nel sacramento della riconciliazione, Roma, IF Press 2015, 29-68.

Sul tema specifico cfr. anche: R. FRATTALLONE, Direzione spirituale. Un cammino verso la pienezza della vita in

Cristo, Roma, Las 2006, 186-197; L. CASTO, La direzione spirituale come paternità, Cantalupa, Effatà 2003, 215-220;

M. COSTA, Direzione spirituale e discernimento, Roma, Apostolato della Preghiera 1993, 149-157; C. SQUARICE, La

confessione tra sacramentalità, direzione spirituale e richiesta di aiuto, Credere oggi 75 (1993) 13: 61-73; C.

CHIAPPINI, Direzione spirituale e sacramento della riconciliazione, Vocazioni 27 (2010) 4: 54-77. 2 La denominazione del quarto sacramento è tuttora varia e quella qui adottata è nata a seguito del Vaticano II. Per una

puntualizzazione cfr. R. GERARDI, Il sacramento del perdono per la riconciliazione dei penitenti, Bologna, EDB 2015,

15-18. 3 La realtà della ‘direzione spirituale’ viene oggi indicata in altro modo, per esempio come ‘accompagnamento

spirituale’ - espressione recente ma oggi decisamente preferita (cfr. a tal proposito il recentissimo documento: SINODO

DEI VESCOVI, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento preparatori, Città del Vaticano, LEV 2017,

41-44, dove però si parla di ‘accompagnamento personale’ - oppure ‘paternità spirituale’ o altro ancora. Ognuna di

queste espressioni ha aspetti positivi o meno, alcune risentono di spiritualità oggi in via di ripensamento, molte

escludono ogni forma di sudditanza o passività, tutte mi sembra si basano sull’essenziale condivisione della vita

cristiana, dove chi è più spiritualmente ricco, più gratuitamente dona nel sostegno vicendevole dei fratelli e delle

sorelle. Qui per lo più conservo l’espressione usata da chi mi ha affidato la relazione, anche perché permette meglio

l’individuazione storica dell’oggetto studiato. 4 GIOVANNI PAOLO II, Reconciliatio e paenitentia, 32.

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Questa conciliabilità scaturisce dal fatto che entrambe sono in servizio della persona del

cristiano e procedono dal fondamentale della vita cristiana che è condivisione, anzi comunione dei

beni spirituali e materiali, dove la logica, cioè il modo di pensare, e la dinamica, cioè il modo di

agire, del dono gratuito interpreta tutti e tutto e invita a «gratuitamente dare» (Mt 10,8). E tuttavia il

dono non è mai realtà indistinta e sommaria, è invece distinta e specifica e così lo è anche per i due

servizi di cui qui ci occupiamo, che ben si rapportano a partire da differenze proprie, che tali sono

per le finalità, le persone, gli itinerari e le condizioni attivate e coinvolte.

2. Il sacramento della riconciliazione

2.1. Qualche riferimento biblico

Tra i più poveri tra i poveri vi è certamente chi lo è dal punto di vista spirituale, cioè il

peccatore. Siamo di fronte ad una lettura della condizione umana non usuale ma decisamente

innovativa e alternativa che fu tratto specifico, se non esclusivo, dell’annuncio del Regno e della

sua signoria da parte del Cristo che mai lasciò solo il peccatore col proprio peccato, anzi andò a

ricercarlo, a stanarlo dalla nicchia in cui si era rinchiuso.

Tra gli ipsissima facta Jesu la critica esegetica inserisce certamente il pasto di Gesù coi

peccatori, indice emblematico della sua coscienza messianica: «Non sono venuto a chiamare i giusti

ma i peccatori» (Mc, 2,17). L’amicizia coi pubblicani e coi peccatori (Mt, 11,9) è - insieme con

quella di essere un mangione e un beone5 - l’accusa che la sua generazione gli rivolge, a cui Gesù

ribatte additandola come incapace di riconoscere nel tempo i segni di Dio, di cui quell’amicizia fa

parte. Il perdono dei peccatori non è solo un annuncio rimandato o non verificabile, ma si produce

in maniera lampante sotto gli occhi di tutti con la conversione. I convertiti, tra cui i pubblicani e le

prostitute, passano avanti e sostituiscono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo come eredi del

regno (Mt, 21,43).

È emblematico episodio di Zaccheo (Lc, 19,1-10), capo dei pubblicani, collaborazionista con

la potenza occupante, colpito e perseguitato dal giudizio perentorio dell’opinione pubblica, per la

quale Zaccheo non poteva essere diverso da ciò che finora era stato. A questa possibilità crede Gesù

e apre un credito infinito verso Zaccheo, autoinvitandosi in quella casa in cui probabilmente

nessuno avrebbe voluto entrare, in aperta sfida con la maggioranza. La gratuita fiducia di Gesù

rende pieno il tempo biografico di Zaccheo e la sua conversione non è più indistinta e vaga ma

diventa precisa e praticabile, appunto per l’iniziativa di Gesù. Il suo riconoscerlo persona gli

permette di riconoscere se stesso come capace di novità, espressa puntualmente nella riconoscenza

degli altri - oggetto della sua frode passata -, a cui restituisce insieme col maltolto lo status di

fratelli. La conversione non è frutto di uno scambio contrattuale ma conseguenza dell’azione

gratuita e preveniente di Gesù, insieme sorprendente ed insperata, anche se forse a lungo attesa e

invocata.

Mi sembra che ben commenti ed attualizzi questo episodio evangelico papa Francesco:

«…gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene

e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di

guardare a sé stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera libertà.

Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né la capacità di

reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori. Ad ogni persona di questo mondo chiedo di non

dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle».6

5 Per altro chi non mangia e non beve, come il Battista, è accusato di avere un demonio.

6 FRANCESCO, Laudato si’, 205.

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Le tre parabole lucane della misericordia (Lc, 15) indicano nella festa e nella gioia la giusta

accoglienza al peccatore convertito e perdonato. Anch’essa emblematica è quella del figlio prodigo

o del padre misericordioso o dei due figli. Istruisce a proposito della qualità della conversione:

quella scadente del servo e quella ottimale del figlio. Infatti il figlio prodigo, rientrando in sé, si

converte come servo e come tale intende ritornare a casa, mentre l’indignazione del maggiore, che

non sa condividere la festa, denota pure la condizione di servo, che assicura prestazioni servili ma

non cordiali, perché senza il coinvolgimento del cuore. È ancora l’accorrere del Padre, dopo una

lunga e sempre vigile attesa, che rende possibile nel ritorno del servo la conversione del figlio, cosa

che sembra non riuscire per chi ha vissuto sempre con lui ma lontano da lui. È l’incontro col Padre

che dischiude una possibilità, insieme gratuita, sorprendente e tuttavia corrispondente ad una attesa

di cui forse non si è consapevoli: matura una conversione, che non è più un semplice cambiare la

direzione del cammino e volgere al ritorno - la figura biblica della conversione come epistrophé -

ma che implica un ribaltamento nella coscienza di sé, implica una metanoia, una rivoluzione della

mente e della vita, quella che comporta il passaggio dall’essere servo all’essere figlio. Senza un

Padre e senza il gesto del Padre questo non sarebbe stato assolutamente possibile.

2.2. Senso e specificità della penitenza sacramentale

Allo stesso modo la Chiesa intende continuare il ministero del suo Signore nell’essere vicina

e nell’accogliere il peccatore, cogliendo l’intensità di questo gesto col riconoscerne la natura

sacramentale e deputando nei presbiteri e nei vescovi persone che lo rendano concretamente

presente nella vita degli uomini e delle donne di ogni tempo e luogo. Proprio la condivisione

fraterna dell’esperienza del male liberamente compiuto, è la prima terapia che impedisce quella

solitudine che invece tende a reiterarlo ed è al contempo segno efficace di una liberazione che Dio

solo può dare: «Chi può perdonare i peccati se non Dio soltanto?» (Lc 5,21), si domandano

giustamente i farisei volendo contestare la rivendicazione messianica di Gesù.

La preoccupante disaffezione dalla confessione non può non allarmare pastoralmente,

perché lascia prefigurare vissuti solitari se non solipsistici dell’esperienza del male, lontani da quel

Dio che solo può garantirne la vera liberazione, cioè lascia prefigurare condizioni in cui si rimane

prigionieri del male compiuto, in cui il male avvinghia a sé.

Il sacramento della penitenza ha prioritariamente come destinatario il peccatore che ha

peccato mortalmente o, in altre parole, che ha deciso nella sua vita un’opzione fondamentale

negativa, incrinando la sua vita teologale riducendola alla larva di una fede morta. Siamo quindi di

fronte ad un fedele che versa in una delicatissima situazione spirituale, in un bisogno estremo di

soccorso. Non tutti i fedeli si trovano in queste condizioni e chi vi si trova ha bisogno d’una

assistenza specifica, atta a recuperare progressivamente la vitalità della vita cristiana a partire dai

suoi livelli minimali.

Per analogia, dissimile, si parla anche di peccato veniale, oggetto della cosiddetta

confessione devozionale. Questa è molto raccomandata anche per coltivare un atteggiamento

penitenziale non occasionale, tuttavia non è l’unica forma con cui farlo, con cui chiedere e ottenere

perdono delle mancanze non gravi, come per esempio il rito penitenziale iniziale della celebrazione

eucaristica ci ricorda. Tra la confessione di devozione e alcune forme - brevi, preliminari - di

direzione spirituale si possono dare facilmente e felicemente delle coincidenze.

2.3. Il ministro e il suo profilo morale

Naturalmente il ministro del Sacramento della riconciliazione è solo il vescovo e il

presbitero, non risulterà così per la direzione spirituale.

Circa le modalità di esercizio di questo ministero si fa riferimento all’etica della relazione

interpersonale che orienta in modo specifico alla bontà e alla correttezza della relazione

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sacramentale penitenziale e vieta non solo ogni abuso, tra cui il peggiore è la sollecitazione al

peccato, ma predispone al puntuale riconoscimento della dignità della persona dell’altro, della

comune ricerca del bene e del vero, senza buonismi infantili e colpevolizzazioni ingiuste. Lo mette

ben in rilievo papa Francesco in una sintesi molto bella, profonda e preziosa, a proposito della quale

non è aleatorio pensare che riporti la sua stessa esperienza ministeriale e pastorale. Così

rivolgendosi ai confessori - ma il teso potrebbe essere applicato anche agli accompagnatori

spirituali - nella Misericordia et misera:

«Vi ringrazio sentitamente per il vostro servizio e vi chiedo di essere accoglienti con tutti; testimoni della

tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel

presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo

con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio. Come

Gesù davanti alla donna adultera scelse di rimanere in silenzio per salvarla dalla condanna a morte, così anche il

sacerdote nel confessionale sia magnanimo di cuore, sapendo che ogni penitente lo richiama alla sua stessa condizione

personale: peccatore, ma ministro di misericordia».7

Val la pena ricordare che il vincolo sul colloquio confessionale svoltosi in ordine ad ottenere

l’assoluzione sacramentale prevede un segreto assoluto, cioè vieta al proposito ogni violazione

diretta, indiretta e ad aggravio del penitente. Questa disciplina mira ad assicurare in modo pieno un

bene spirituale tra i più alti, quello della salvezza eterna della persona, rispetto alla quale ogni altra

considerazione, seppur umanamente plausibile, ivi compresa la stessa difesa del confessore da

ingiusta e infamante accusa, viene dopo e quindi la possibilità di ricevere l’assoluzione

sacramentale non ha da essere ostacolata da niente o da nessuno.

Ritengo utile ribadire che solo il colloquio sacramentale è vincolato da un segreto assoluto,

non così la direzione spirituale, pur essendovi vicina. Naturalmente nella direzione spirituale si può

comunicare i peccati, anche mortali, ma senza la protezione del sigillo.

Il cristiano ha l’obbligo della celebrazione annuale del sacramento della penitenza e ogni

qual volta sa di essere in stato di peccato mortale. Non si danno obblighi ma calde raccomandazioni

per la direzione spirituale, specialmente in alcuni momenti della vita.

3. La direzione spirituale

3.1. La privacy al servizio della persona

Va da sé che la privacy attivata nella direzione spirituale raggiunge livelli molto alti, in

quanto è espressione non solo di semplice segreto naturale, che intercorre di per sé con ogni tipo di

relazione interpersonale, ma di quel segreto commesso o professionale, maggiormente vincolante

del precedente, a cui è tenuto il relativo operatore. Questo segreto interessa ogni operatore

pastorale, sia esso ministro ordinato oppure laico, i quali quando svolgono un servizio di direzione

spirituale, sono ulteriormente vincolati perché le confidenze personali scambiate hanno un livello di

intimità elevato e sono quindi beni personali molto rilevanti e delicati, che esigono di essere protetti

in modo ad essi pienamente adeguato. Giova molto al pastore e ancor di più al direttore spirituale

per svolgere proficuamente la loro missione, l’essere persona affidabile, a cui con fiducia si ricorre

in piena sicurezza. Questa fiducia ovviamente non sorge a seguito di semplici dichiarazioni di

intenti, ma a seguito di una relazionalità quotidiana e feriale, fine e attenta ai bisogni delle persone.

E tuttavia è ovvio che la comunicazione interpersonale può conoscere anche livelli scadenti,

in cui l’intento non è la condivisione libera e responsabile del bene e del vero, ma la

strumentalizzazione dell’altro, fino a renderlo connivente col male che si vuol compiere. Va da sé

7 FRANCESCO, Misericordia et misera, 10.

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che non si dà nessun dovere morale a collaborare col male altrui e quando il segreto risulta di fatto

essere al servizio di questa finalità, cessa nel suo vincolo; diversamente si dovrebbe concludere di

essere moralmente tenuti a collaborare al male e questo risulterebbe una patente contraddizione.

Può avvenire che si pieghi e usi il dialogo spirituale o in genere quello pastorale per fini ad essi

completamente estranei o contrari: il relativo operatore, qualora sia lui a subire, non solo può ma

talora deve usare delle conoscenze avute nel rispettivo colloquio per sventare un progetto di fatto

moralmente discutibile o negativo.

Proprio per questa diversità di vincolo, assoluto e quasi-assoluto, tra il sacramento e la

direzione, è molto opportuno e, specialmente con persone che versano in situazioni critiche o

precarie, direi vincolante, che coloro che hanno un’autorità di governo non siano ministri della

penitenza di persone che ricadono sotto la loro autorità. L’indicazione è tendenziale ed è tesa a

promuovere un esercizio sereno dell’autorità e a prevenire possibili conflittualità o possibili rischi

di inadempienze circa il sigillo. Naturalmente la fattispecie dei casi è vastissima e conosce

semplicità lineari insieme a complicazioni contorte: un sano discernimento al proposito è la via

maestra da seguire, lasciando piena libertà ai diretti interessati.

Fuori di quest’evenienza e di altre limitate incompatibilità, qualora il penitente lo richieda

penso sia non solo opportuno ma spiritualmente fecondo che il ministero della penitenza possa

continuare nella direzione. È tuttavia anche possibile la scelta opposta per cui si abbia confessore e

direttore distinto, specialmente quando si pensi di ricercare una migliore affinità e sintonia, per

esempio a seguito della condivisione dello stesso stato di vita, nel caso laicale, religioso-femminile

o matrimoniale. La lunga tradizione della Chiesa conosce al proposito entrambe le soluzioni, con

quella saggezza che invita a correggere i limiti dell’una con i pregi dell’altra e viceversa.8

Come quello sacramentale anche il dialogo spirituale si basa su una relazione interpersonale

la cui regola morale consiste nel precipuo riconoscimento della dignità umana e cristiana delle

persone in dialogo accomunate dalla semplice ricerca del bene e del vero in situazione. Quando uno

dei partners del dialogo viene sminuito nella sua dignità e libertà, il dialogo perde il riferimento

morale. Questo avviene per esempio quando la direzione spirituale di fatto induce sudditanza e

dipendenza o addirittura plagio e la promozione della persona nella sua originalità scema e

scompare. Per usare una terminologia ricoeuriana, un po’ sibillina ma efficace, occorre favorire

l’incontro de ‘l’altro di sé’ con ‘l’altro dell’altro’, cioè una modalità in cui nell’incontro si conserva

e si promuove l’alterità dell’altro, senza ricondurla o omologarla a sé.9

Inoltre è da considerare come sia il ministro della penitenza sia l’accompagnatore spirituale

hanno un ruolo di spiccata mediazione all’incontro del sé con il sé e con Dio, rimanendo il singolo

titolare immediato e diretto, per disposizione divina, della responsabilità della propria vita, a cui

Dio stesso accede non senza la sua libera e consapevole disponibilità.

«Dio volle, infatti, lasciare l’uomo “in balia del suo proprio volere” (Sir. 15,14) perché cerchi spontaneamente

il suo Creatore e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione».10

Una nota mi sia permessa per quanto concerne il rapporto della confessione e della direzione

con la consulenza psicologica o la terapia psicoanalitica. Da queste ultime le prime due sono da

tenere separate, sia nelle persone, sia nelle finalità, sia nei tempi e nei luoghi. Normalmente il

confessore e il direttore che sono anche psicologi o psicoterapeuti non abbiano la stessa persona

come penitente e come cliente o paziente psicologico. La diversità di natura e di finalizzazione qui è

netta e il pericolo di confusione molto elevato, quando si verifichi la coincidenza del soggetto

8 Cfr. B. OLIVERA, Luce ai miei passi. L'accompagnamento spirituale nella tradizione monastica, Milano, Ancora,

2006, 38-44. 9 Cfr. P. RICOEUR, Sé stesso come un altro, Milano, Jacabook 1994. Per una disamina puntuale dell’atteggiamento

oggettualizzante, cfr. M. NUSSBAUM, Persona oggetto, Trento, Erikson 2014, 31s. 10

Cfr. CONC. ECUM. VAT II, Gaudium et spes, 17, ripreso nel Catechismo della Chiesa Cattolica, 1730.

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promotore.11

La prospettiva morale e spirituale non coincide e quindi non può risolversi in quella

psicologica, come talora in modo strisciante può avvenire, per esempio quando la formazione passa

dalla competenza teologico-morale e spirituale a quella piscologica. Non si vuole certamente

minimizzare l’apporto della psicologia, ma solo precisarne la portata e delimitarne l’ambito

applicativo: i giudizi di valore differiscono dai giudizi empirci.

3.2. La docilitas allo Spirito

La docilitas alla gratia Santi Spiritus accomuna ogni cristiano in ogni suo pensare e operare

e rimanda al comune ‘maestro interiore’, come reale protagonista della promozione di ogni

esistenziale concreto del credente. È questo un altro elemento rilevante del cammino del cristiano,

cioè l’inabitazione dello Spirito del Padre e del Risorto nel cuore, cioè nella persona del credente

cristiano, a seguito del suo Battesimo. È dato biblico ben attestato, sia per il Cristo sia per il

cristiano, che l’essere figlio implica sempre il ‘possesso’ dello Spirito e viceversa, per cui il

carattere filiale della vita cristiana e quindi della sua coscienza morale implica sempre il suo

carattere spirituale, intendendo per spirituale lo specifico riferimento allo Spirito santo. Non può

non essere rimarcata la stretta connessione col mistero pasquale del mistero dell’effusione dello

Spirito, della Pasqua con la Pentecoste: quando il Figlio si dona pienamente al Padre sulla croce,

quando è solo Amore, effonde l’Amore, cioè lo Spirito – «ed emisit spiritum», «e mandò lo spirito»

(Mt 27,50), reso nella traduzione italiana corrente con «spirò». Lo spirito è lo spirito del Risorto che

nella storia si rivela come vero figlio del Padre.

Lo Spirito Santo è titolare di una comprensione e di una operazione nel singolo cristiano che

Gli permette di comprendere e di operare il senso singolare ed originale della persona di ogni

cristiano, molto meglio del cristiano stesso. Lo Spirito capisce chi siamo meglio di noi e meglio di

noi opera la nostra autentica e piena realizzazione. Si verifica così in pieno l’affermazione di

Agostino: «Tu [Deus] autem eras interior intimo meo et superior summo meo», «Tu [o Dio] eri più

intimo della mia più intima interiorità e più grande della mia più grande grandezza».12

Questa compresenza - lo sappiamo - non altera la consistenza comprensiva e decisionale del

singolo, che rimane in tutta la sua portata senza essere minimamente conculcata, come del resto

sovente avviene nell’intellezione dei dati rivelati, secondo il noto principio per cui «gratia non tollit

sed perficit naturam»,13

«la grazia non sopprime ma promuove la natura». L’inabitazione dello

Spirito è testimonianza ineludibile e inequivocabile di quanto Dio tenga a ciascuno di noi, in quanto

ciascuno di noi è persona unica, creata, salvata e attesa come persona unica. È ciò che fa dire a s.

Tommaso che l’identità della vita cristiana consiste nella «gratia sancti Spiritus», «grazia dello

Spirito Santo».14

Emerge qui quanto impertinente l’idea moderna e purtroppo anche post-moderna di un Dio

concepito come ostacolo e remora per il cammino dell’uomo verso la pienezza di vita e, come si è

già rimarcato, quanto deviante sia il progetto di un’etica «etsi Deus non daretur»,15

«come se Dio

non esistesse», espressione con la quale si suole indicare il progetto strategico di agire come se Dio

non ci fosse: però la negazione di Dio coincide con la negazione dell’uomo. La domanda verte sulla

diversa possibile sorte della moralità in questa evenienza, ed in particolare se essa, priva del

11

La necessaria conoscenza del quadro psicologico o psicoanalitico da parte del confessore o del direttore, può essere

ottenuta a seguito di consultazione diretta, che può avvenire col permesso dell’interessato, qualora questi non possa

farlo direttamente. 12

AUGUSTINUS, Le confessioni, Roma, Città Nuova 1988, 3, 6 11. Cfr. anche: P. CARLOTTI, Teologia morale e

teologia spirituale, in ID., L'altezza della vocazione dei fedeli in Cristo. Teologia morale e

spirituale in dialogo, Roma, Las 2008, 75-106. 13

Cfr. STh., I., q. 2, a. 2, ad 1. 14

STh., I-II, q. 106, a. 1, resp. 15

GROTIUS, De iure belli ac pacis, prol. 9.

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riferimento religioso, non resti «… incompleta, precaria e ambigua»,16

e se, senza Dio, non sia

pertinente affermare che «…nessuna convenzione tra attori umani, nessun consenso, nessuna

necessità puramente logica può rendere ragione di un obbligo che si impone agli attori volontari».17

In altre parole, il dover essere dell’uomo può avere un fondamento diverso da Dio? Che cosa o chi

potrebbe sostituire Dio?

3.3. Il ‘direttore spirituale’

Mentre il ministro del sacramento della penitenza è solo il ministro ordinato, vescovo o

presbitero, e più facilmente è possibile individuare nel sacramento chi lo amministra e chi lo riceve,

per la direzione spirituale coloro che la offrono possono essere uomini e donne, religiosi e laici,

coppie e in senso largo anche comunità e il vicendevole e paritario scambio spirituale più

difficilmente permette di indicare chi solo offre o chi solo riceve, proprio perché è in primo piano la

compartecipazione e il coinvolgimento, pur nella distinzione delle singole persone e delle diverse

fasi della vita umana e cristiana.

La direzione ha una varietà notevole di forme, tra cui possiamo distinguere quella indiretta e

quella diretta, entrambe molto efficaci.

Vi è una direzione spirituale quotidiana e spicciola ed ha come soggetto il singolo cristiano

che col suo ‘buon esempio’ interpreta la vita e invita ad una buona pratica.

Vi è poi la comunità, che con la qualità etica della propria rete relazionale offre

implicitamente un profilo e uno stile di vita in cui ci si trova immersi e da cui si è accompagnati

passo dopo passo, momento dopo momento, verso l’optimum. I grandi santi educatori hanno sempre

dato grande importanza a creare un ambiente educativo che fosse di per se stesso orientamento,

stimolo e aiuto alla pratica cristiana della vita dei suoi membri. La stessa riflessione filosofica ha

lasciato emergere proprio una rinnovata considerazione del ruolo svolto dalla comunità nei

confronti di ogni suo singolo, rispetto al compito che quest’ultimo ha di decifrare e di realizzare il

profilo etico della propria esistenza. Lasciato solo con questo compito, il soggetto morale

facilmente fallisce, perché sopraffatto da un carico per esso intollerabile e ingestibile. Oggi il

soggetto morale, purtroppo anche cristiano, è sempre più solo e da solo è chiamato a far fronte al

proprio discernimento e impegno morale. Il cristiano ha bisogno per crescere moralmente della sua

comunità, che diventa un direttore spirituale, per lo meno implicito e indiretto.

Emerge qui anche la rinnovata considerazione di un aspetto decisamente importante per ogni

formazione morale e spirituale, come progetto interpersonale, come progetto condiviso che procede

da un’alleanza, da una partnership educativa e si svolge nella solidarietà e nella vicendevole cura.

Se la persona non è la semplice somma delle sue relazioni, la sua realizzazione morale non è

neppure il loro semplice prodotto. E tuttavia non c’è chi non veda la rilevanza di un social learning

anche in ambito morale, che, con l’esposizione a fonti significative di comportamento, attivi un

personale processo d’imitazione e d’interiorizzazione. Senza un ‘buon esempio’ è difficile capire

che il bene è bene, è difficile la sua pratica empatica, specialmente in adversiis.

Vi sono poi coppie di sposi cristiani che condividono in modo paritario la propria esperienza

familiare con altre coppie, svolgendo un cammino spirituale comune, non solo in una dinamica di

gruppo, ma anche fra singola coppia e singola coppia, insieme confrontando soluzioni, affrontando

difficoltà e coltivando prospettive. Questo cammino ha il grande pregio di impedire la solitudine

16

G. ABBÀ, La costituzione epistemica della filosofia morale. Ricerche di filosofia morale 2, Roma,

Las 2009, 84. 17

Ib., 82. Inoltre, «…senza Dio resta insopprimibile il senso di colpa che consegue alla violazione

della legge morale» e impossibile «la sincera conversione» (Ib., 85). È ovvio, ma è utile rimarcarlo,

che l’ordo ad Deum non può essere uno dei diversi basic goods (J. Finnis), ma il fine e il criterio

del loro ordine.

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della coppia e della famiglia, che è dato sempre molto problematico per ogni sviluppo umano e

cristiano.

Seppur la stessa condizione o lo stesso ‘stato di vita’ che orienta nella scelta, tuttavia si è

avuta una direzione spirituale anche in modo trasversale alla differenza sessuale, tra uomini e

donne, e alla condizione ecclesiale, tra laici e ministri ordinati, tra laici e religiosi. S. Giovanni della

croce ebbe s. Teresa d’Avila, mentre molti sacerdoti hanno saputo contribuire a plasmare

personalità laicali, come pure viceversa. Emerge qui l’affinità e la progettualità spirituale come

criterio che prepara una condivisione sempre più approfondita. E tuttavia le forme di questa

condivisione sono molteplici e la loro varietà è decisamente ampia e ricalca l’originalità spirituale

dei singoli cristiani.

3.4. Senso e specificità della direzione spirituale

«Non si può essere felici da soli», così una nota frase di Paolo VI che ha illuminato anche la

mia giovinezza. Altrettanto non si può essere cristiani da soli, per cui il senso della direzione

spirituale rientra in questa comunione. Si tratta della condivisione a riguardo della testimonianza e

della promozione di una vita cristiana nella concretezza quotidiana delle sue sfide e delle sue prove,

creando comunione fraterna dei beni spirituali, espressione del sacerdozio comune e della santità

battesimale. Qui l’autorevolezza è misurata dalla qualità e dall’eccellenza della vita cristiana.

A questo proposito è possibile riferirsi anche alla direzione spirituale in senso stretto, quella

a cui per lo più ci si riferisce quando di essa si parla nella quotidianità della vita ecclesiale.

Soprattutto nella vita cristiana di oggi il tasso di pluralità e di singolarità delle esistenze

anche cristiane è cresciuto a dismisura ed è facile che alcuni possiedano notevole esperienza di ciò

di cui altri mancano. Questo avviene per esempio anche a prescindere dal dato dell’attuale cultura,

ma ha che fare con elementi che la trascendono, come per esempio l’età della vita, che rende il

vecchio ricco in esperienza, non forse per ciò che la vita è oggi ma per ciò che la vita è sempre, a

differenza del giovane, che a sua volta abbonda di quelle energie di cui il vecchio scarseggia - di qui

il proverbio: “se il giovane sapesse e il vecchio potesse” - oppure la differenziazione sessuale, che

posiziona l’uomo verso se stesso, gli altri e il mondo in modo distinto, comunicabile e irriducibile

ad un tempo. Tra questi dati ve ne sono in abbondanza anche al livello dello spirito dell’uomo e

ancora di più a livello dello spirito dell’uomo cristiano, che secondo la visione paolina può

conoscere diversi stadi di maturità propriamente spirituale: può per esempio essere ancora minore e

vivere sotto la legge e non sotto la grazia, cioè può vivere ancora secondo l’Antico Testamento; può

praticare un’etica della legge e non ancora un’etica della virtù; può vivere in agone la sua scelta di

vita e doverla difendere strenuamente talora nella sua minimalità.

La condivisione del vissuto e dell’impegno dell’esistenza cristiana concreta, delle premesse,

delle condizioni e delle attenzioni che richiede, delle tappe di crescita e delle possibili involuzioni

che comporta o può comportare, dei rischi e delle prove che ha da fronteggiare ed altro ancora come

il discernimento interiore della voce di Dio e del suo Spirito a fronte dei molteplici equivoci che al

proposito possono nascere e attecchire, è oggetto della direzione spirituale. Il sovvenire il fratello

che si dibatte nel bisogno spirituale è opera qualificata di misericordia che può modularsi secondo

la consolazione, la monizione, il consiglio e l’istruzione e altro ancora, lasciando prevedere

interventi non solo occasionali o provvisori, ma continuativi e costanti.

A differenza della confessione, che opera tendenzialmente con moduli minimali che

separano il bene dal male, con la direzione si è sospinti verso l’ottimale e l’eccellente della vita

cristiana, verso la sua santità, pur non escludendo la considerazione del limite. La direzione

permette di uscire dall’occasionalità, nel cui ambito più si muove la confessione, verso un discorso

complessivo e strategico nei confronti di una progettazione spirituale, che nel procedere incontra

nuovi motivi e attiva nuove motivazioni, verso una più piena condivisione dell’intimità personale

del vissuto esistenziale specificatamente cristiano. Per usare una simpatica espressione de “Il

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piccolo principe”,18

occorre un percorso di addomesticamento, un divenire progressivamente

familiari, un divenire amici spirituali, che progressivamente “vogliono e non vogliono la stessa

cosa”, diventando uniti nell’intelletto e nella volontà.19

4. Il sacramento e la direzione come dialogo di coscienze

Dopo aver analizzato singolarmente il sacramento del perdono e la direzione spirituale. Mi

sembra opportuno offrire una visione sintetica che li rapporta e li unisce. In entrambi è da vedere un

dialogo di coscienze al livello profondo della coscienza morale, in un’alleanza in cui pienamente

come tali si riconoscono e sono riconosciute.20

È il dialogo più profondo a livello interpersonale e

quando avviene in autenticità, ricrea le persone e le promuove, generandole nuovamente a se stesse,

agli altri e ultimamente a Dio. Siamo in tempi in cui urge la tematica educativa e la sollecitudine

formativa, entrambe ben tematizzate dal recente magistero di papa Francesco: non si nasce buoni, lo

si diventa, per libera, consapevole e responsabile scelta. Il primo educatore della persona e della sua

coscienza è la persona stessa con la sua coscienza e non senza, qualunque ne sia lo stato.

4.1. La coscienza come narrazione biografica

Il soggetto morale con la sua coscienza è soggetto storico, anzi biografico, è soggetto da

costruire, passo dopo passo, «secondo tappe di crescita»21

secondo una gradualità, che ha

svolgimento certo non solo lineare e positivo, ma anche contorto e negativo, che prevede fermate e

avanzate, progresso e regresso, involuzioni ed evoluzioni, conferme e smentite. Non si può

dialogare a livello di coscienza morale senza assumere in pienezza la realtà e la dinamica della vita

umana personale nella sua globalità, come è ovvio che non si può contribuire a formare la coscienza

morale o pretendere di dialogare con essa, senza la coscienza, anche quando questa dovesse essere

precaria o erronea, confusa o debole. Infatti, la coscienza morale, così come è, rimane con la sua

insostituibile autorità e inalienabile dignità ed è chiamata essa stessa a provvedere alla propria

precarietà e a riconoscere la propria debolezza. Siamo qui di fronte alla vera e propria sfida

educativa di ogni tempo e di ogni luogo, radicale e permanente, in cui - per usare una nota metafora

- si costruisce la nave quando si è già in aperta e talora burrascosa navigazione.

Naturalmente questo può avvenire solo se la coscienza come il suo soggetto non sono

rigidamente autoreferenziali, ma referenziali, cioè aperti e dialoganti nella spassionata ricerca di

quella verità, che corrisponde alla realtà e non semplicemente al consenso sociale seppur qualificato

o alla coerenza seppur sistemica. Di qui il delicato rapporto tra coscienza morale e verità morale, la

18

Cfr. A. SAINT-EXUPÉRY DE, Il piccolo principe, Milano, Bompiani 1969. 19

Al proposito sono significative alcune riflessioni che si ritrovano nella Deus caritas est del papa emerito Benedetto

XVI. 20

Riprendo qui alcune considerazioni espresse in: P. CARLOTTI, Teologia della morale cristiana, Bologna, EDB 2016. 21

Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, 34. Cfr. E. COMBI, La formazione della coscienza morale tra istanza

morale e spirituale, in G. ANGELINI - E. COMBI - B. MAGGIONI - C. VAIANI, La cattiva fama della morale. Forma

morale e forma spirituale: interpretazioni concorrenti della vita cristiana?, Milano, Glossa 2005, 161-210; R. A.

THOMPSON - S. MEYER - M. MACGINLEY, Understanding Values in Relationships: The Development of Conscience, in

M. KILLEN - J. G. SMETANA [edd.] Handbook of Moral Development, Mahwah - London, Erlbaum 2006, 267-297; J. E.

GRUSEC, The Development of Moral Behaviour and Conscience from a Socialization Perspective, ib., 243-265; G.

MAZZOCATO, L'educazione della coscienza morale e il mondo degli affetti, Studia Patavina, 47 (2010) 619-644; B.

LONERGAN, La formazione della coscienza, Brescia, La Scuola 2010; J. DE VITIS - T. YU, Character and moral

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Prospettiva etico-teologica, in S. BASTIANEL [ed.] Educare al bene comune. Una sfida per il mezzogiorno, Trapani, Il

pozzo di Giacobbe 2012, 73-106; D. CARR, Educating the virtues. An essay on the philosophical psychology of moral

development and education, London - New York, Routledge 2012; D. GRZADZIEL, Educare il carattere. Per una

pratica educativa teoricamente fondata, Roma, Las 2014.

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cui pertinente coniugazione evita di risolvere – un po’ semplicisticamente – nell’autenticità della

prima la verità della seconda. Il dialogo è in servizio di questo svolgimento della coscienza

evitandone l’avvolgimento su se stessa. D’altra parte se è ben vero che è solo la verità morale che

può vincolare la coscienza morale, è altrettanto vero che questo vincolo consegue solo se la verità è

conosciuta e colta dalla coscienza: «In tutto quello che dice e fa l’uomo ha il dovere di seguire

fedelmente ciò che sa essere giusto e vero».22

Il soggetto morale non è assolutamente un soggetto che è sollecitato a compiere un bene di

cui esso stesso non veda la bontà, visione che comporta sempre uno sviluppo e un cammino, da

seguire con sollecitudine educativa e spirituale. Tutto ciò rimane vero anche se il suo abuso è

prossimo, cioè se è ricorrente la tentazione di chiamare semplicemente bene il proprio interesse e il

proprio piacere.23

Non basta di voler fare il bene che si ritiene anche sinceramente tale, è veramente

buona quella volontà che fa il bene che è e non solo si ritiene sia tale.

4.2. Una coscienza che sia la propria

Ogni dialogo, specialmente quello fra coscienze, non può essere omologante ma deve invece

esaltare l’originalità, certo non stravagante, della singola coscienza. Nel dialogo fra coscienze, ogni

coscienza è propria di ciascun dialogante e promuove una coscienza che sia realmente la propria.

Questo interessa, dal punto di vista formativo, il discorso sul sacramento della penitenza e sulla

direzione spirituale e incontra l’esigenza moderna per una vita che sia la propria.

Voler vivere non una vita anonima e senza volto, ma una vita – come dire – propria, è

certamente tra le esigenze oggi più sentite, nell’epoca della proclamazione dell’unicità irrepetibile

di ogni persona umana. Siamo di fronte al forte bisogno di autonomia e di personalizzazione, di cui

è segnale proprio il ricorrente appello alla coscienza morale, contro l’aggressiva invadenza di

un’oggettività morale, percepita semplicemente come un ‘non luogo’, cioè un luogo di privazione,

di burocrazia e di eteronomia spersonalizzante.

Oggi l’appello all’etica è certo crescente, ma non sempre promettente, perché nelle figure di

etica invocate, l’etica stenta a riconoscersi. La società si dice che dopo essere stata solida nella

modernità sia oramai liquida nella postmodernità e renda quindi compatibile l’incompatibile24

e

pensandosi poi come eticamente neutrale e non aiuta il singolo nella decifrazione del proprio

progetto morale, né intende farlo. L’unico supporto offerto è niente di più che un’inevitabile

regolamentazione pubblica delle molteplici preferenze personali, vere solo per l’individuo, che ha e

vive la sua verità, senza attese e pretese universali, né tanto meno oggettive: non importa più di

tanto sapere se la verità è vera, basta che funzioni e serva, per me e al momento. La verità è ciò che

l’individuo ha scelto ed è vera perché lui l’ha scelta, non per altro.

Come già molto acutamente ed opportunamente Giovanni Paolo II osservava e ammoniva

nella Veritatis splendor, l’autenticità morale – certo necessaria – viene fatta coincidere con la verità

morale, senza prevedere ed ammettere che la pur sincera ricerca della verità può talora fallire ed ha

quindi bisogno di essere sostenuta, non da ultimo da quel patrimonio di esperienza e di saggezza

22

Catechismo della Chiesa Cattolica, 1776. Cfr. anche GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor, 32. 23

Per qualche ulteriore considerazioni in questa ottica rimando al mio recente testo: P. CARLOTTI, La teologia della

morale cristiana, Bologna, EDB 2016. Cfr. anche: ID., La morale nel progetto educativo della Chiesa italiana, Rivista

di Teologia Morale, 43 (2011) 177-183. Cfr. anche: Cfr. M. MARCHETTO, Coscienza morale e vita autentica. Spunti dal

confronto fra John Henry Newman e la sensibilità etica contemporanea, Salesianum, 74 (2012) 101-141; E.

SCHOCKENHOFF - C. FLORIN, La coscienza: istruzioni per l'uso, Brescia, Queriniana 2011; T. BAYNE - C. AXEL - P.

WILKEN [edd.], The Oxford companion to Consciousness, Oxford - New York, Oxford University Press 2009; J.

RATZINGER, Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore, Siena, Cantagalli 2009; P. CARLOTTI, La Syneidesis

paolina. Spunti in prospettiva educativa, in M. SODI - P. O'CALLAGHAN [edd.], Paolo di Tarso. Tra kerygma cultus e

vita, Città del Vaticano, Lev 2009, 281-301; C. ZUCCARO, Roccia o farfalla? La coscienza morale cristiana, Roma, Ave

2007; C. CURRAN, Conscience, New York - Mahwah, Paulist 2004; S. MAJORANO, La coscienza. Per una lettura

cristiana, Cinisello B., San Paolo 1994. 24

Cfr. Z. BAUMAN, Conversazioni sull'educazione., Trento, Erikson 2012; ID., L'etica in un mondo di consumatori,

Roma-Bari, Laterza 2010; Id., Vita liquida, Roma-Bari, Laterza 2009.

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che la comunità credente custodisce e tramanda. La verità morale, con le sue norme e non senza, è

la prima alleata, non la prima nemica dell’uomo e del cristiano.

Ci si può domandare se questo soggetto non sia l’erede universale di un pensiero, molto

diffuso che, pur indagando giustamente i presupposti soggettivi del conoscere, abbia finito per

risolvere la conoscenza dell’oggetto nella coscienza del soggetto, in base al quale l’identità della

realtà è stabilita, come dire in modo unilaterale e autoreferenziale.

E tuttavia la coscienza morale, il suo dialogo e la sua formazione non possono disattendere

questa esigenza di personalizzazione, che se non può sfociare nello stabilire arbitrariamente la verità

morale, non può non riconoscere che il cammino morale di ciascuno è connotato anche al singolare.

Una volta assicurate le esigenze morali della persona in quanto soggetto dotato di natura umana,

espresse nella legge morale naturale, si apre un cammino di personalizzazione e di promozione del

bene e dell’ottimo che necessita inevitabilmente dell’esperienza e della conoscenza che il singolo

acquisisce nella realizzazione di sé come persona buona: ottimizzazione e personalizzazione, come

pessimizzazione e spersonalizzazione sono direttamente proporzionali, in altre parole più il bene è

perseguito, più si manifesta e si esprime l’originalità e il genio della persona che lo compie.

Solo le persone buone di bontà virtuosa hanno una vita che sia la propria.

Questa esperienza si costruisce nelle circostanze e nelle situazioni uniche che il singolo,

proprio lui, come soggetto unico vive e decide. È qui che si forma quella conoscenza, anch’essa

unica, di cui la singola persona necessita. Qui si apre il compito delicato e personalizzante della

coscienza morale che dischiude l’orizzonte virtuoso della sua formazione, che con la prudentia o la

phronesis conosce per connaturalità interiore il bene che è chiamata a discernere e praticare nelle

più impensabili circostanze della vita. È tuttavia ovvio che non si può rivendicare la virtù

trasgredendo la norma, non si può - esemplificando - ritenersi casti ed essere contemporaneamente

adulteri, anche se la liquidità di cui si diceva può indurre anche a questo.

Non c’ chi non veda come tutto questo possa e talora debba essere ricercato nel dialogo

fraterno delle coscienze.

4.3. Una coscienza possibile

L’identità e la formazione della coscienza morale riceve una delle sue più acute sfide nel

confronto con le precarietà e le criticità dell’uomo e del cristiano di oggi, compresi i suoi disagi e le

sue sofferenze psichiche, sia nevrotiche sia psicotiche. È in questi vissuti che la coscienza vive ed è

chiamata a formarsi, col rischio di farla devolvere nella semplice coscienza psicologica. È qui che il

dialogo si sostanzia e diventa concreto, è qui che si apre alla condivisione reale ed efficace.

Il disagio e la sofferenza psichica si sono molto diffusi nelle nostre società occidentali e i

loro fenomeni si collocano nella terra di nessuno tra malattia dell’individuo e disagio della società,

tra questioni cliniche e problemi esistenziali. A seguito di ciò, molte figure e pratiche sociali si sono

contaminate: il medico si comporta come curatore d’anime e il curatore d’anime come un medico,

lo psichiatra si sostituisce alle figure parentali ed i genitori si improvvisano psicologi dei loro

figli.25

E tuttavia è proprio dai luoghi di recupero dell’umano che traspare con evidenza chi è

l’uomo di oggi, nello sconcertante bisogno di incontro e di riconoscimento di ogni persona, nella

terribile potenzialità distruttiva che si libera in assenza di amore, nel fondamento relazionale della

sua identità, nella domanda di senso.

Proprio quest’ultimo accenno ci permette di introdurre alcune considerazioni di estrema

rilevanza, in parziale continuazione di quelle già espresse. La condizione di precarietà psichica e

non, esige un processo di personalizzazione che, senza ovviamente risolversi in un’etica della

situazione, che non è pertinente neanche quando la situazione è particolarmente acuta ed estrema

25

Riprendo qui alcune considerazioni di G. Mazzocato. Di lui si veda: G. MAZZOCATO, L’accoglienza delle scienze

psicologiche in teologia morale. Dal dibattito sulle grandi questioni antropologiche al confronto sulle dinamiche della

vita spirituale, in P. CARLOTTI - P. BENANTI [edd.] Teologia morale e scienze empiriche. Atti del Seminario di studio

dell'ATISM (Assisi 4-8 luglio 2011), Roma, Las 2012, 69-100.

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come in alcune evenienze psicopatologiche, è chiamato a valorizzare e a coniugare percorsi

proporzionati e differenziati, secondo una concreta gradualità e secondo una affinata imputabilità di

responsabilità morale.

È da accogliere la sfida del discernimento tra il condizionamento, sia trovato che indotto, e

la colpa o il vizio, tra il volontario e l’involontario in causa all’agire, tra coazione compulsiva e

libera adesione al male. Il condizionamento, anche grave, ma involontario non altera e non deforma

il profilo morale della persona quanto la scelta negativa liberamente e consapevolmente decisa.

Se è ingiusto, con rigorismi alla fin fine destinati solo agli altri, sfiancare la volontà

sollecitandola oltre il suo possibile, è ancora più ingiusto, con vezzo buonista, interpellarla al di

sotto delle sue reali possibilità: il momento critico consiste nel discernere la differenza tra i due

atteggiamenti. Specialmente per le psicosi, la ‘legge di gradualità’, quel criterio per cui l’agente

morale - ovviamente anche nella normalità - si dispone al bene in modo progressivo, per tappe e

momenti di crescita, va ricordata e applicata, senza naturalmente giungere ad aggirare l’indicazione

normativa, cioè a trasformarla in una ‘gradualità della legge’. Si valorizzerà inoltre la dottrina del

male minore, per cui il soggetto realmente condizionato s’impegna nella riduzione del male, unica

sua concreta possibilità di volgersi verso un bene, al momento di fatto non interamente praticabile.

É ovvio che per un soggetto libero, tra due mali non è autorizzato a scegliere il minore, ma a

rifiutarli entrambi.

In questo cammino poi è decisiva l’adozione di una criteriologia di valutazione morale

profondamente in sintonia con la realtà morale, dove i risultati effettivi hanno certo importanza, ma

non esclusiva e neanche prioritaria, rispetto all’investimento d’impegno personale, che può essere

elevato pur in presenza di risultati modesti e provvisori: la continuità dell’impegno, nonostante i

fallimenti o i risultati non esaltanti, è segno chiaro di fortezza morale. Valutare poi l’intenzionalità

con l’effettività e l’efficienza comporta sempre una trasgressione dell’autenticità morale,

specialmente quella evangelica, ma questa trasgressione è profonda e palese, quando è presente

l’impedimento e il ritardo della menomazione.

Conclusione

Questa breve e selezionata riflessione ha profilato aspetti dell’identità del sacramento della

riconciliazione e della direzione spirituale, facendone emergere la spiccata sintonia e l’alta

conciliabilità, insieme alla distinta prospettiva che le caratterizza singolarmente. Entrambe su piani

e livelli diversi sono qualificata espressione della vita di comunione della Chiesa, che ha la sua fons

generativa nel Cristo, rivelatore del Padre e dell’Amore che li unisce. Entrambe sono pure una

qualificata espressione di solidarietà fraterna per ogni uomo che cammina verso il Regno, che

fronteggia ogni giorno la gioia e la fatica di questo cammino e con esse riceve un balsamo per le

ferite riportate.