SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE E DIREZIONE SPIRITUALE · DEI VESCOVI, I giovani, la fede e il...
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SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE
E DIREZIONE SPIRITUALE
PAOLO CARLOTTI
1. Introduzione
La tematica affidataci, quella della relazione tra il Sacramento della riconciliazione e la
direzione spirituale1 è se non proprio vexata almeno controversa quaestio da molto tempo nella
riflessione teologico-morale, -spirituale e canonistica, pur conoscendo oggi un certo contenimento
in attenzione. Questa sua connotazione sembra esserle tipica, anche perché la tematica comporta,
insieme a poche precise indicazioni, considerazioni e valutazioni per lo più discrezionali e opinabili,
riconducibili a luoghi e tempi ecclesiali e teologici specifici, che hanno visto su posizioni diverse
persone ecclesiali autorevoli, per santità, scienza e gerarchia.
Pur tenendo presente complessivamente questo retroterra, non sarà possibile renderlo a
pieno in questo intervento, che mira a soffermarsi solo su alcuni aspetti di detta relazione che
possono riguardare l’oggi, l’attualità della vita ecclesiale. La griglia interpretativa che viene
suggerita è quella dell’alta e feconda conciliabilità del sacramento della riconciliazione2 e della
direzione spirituale,3 pur nella necessità della loro distinzione dovuta alla loro diversità, evitando di
sussumere o di ridurre l’una all’altra, anche quando dovessero svolgersi in uno stesso lasso
temporale o quando il ministro sacramentale e il direttore spirituale coincidono nella stessa persona.
«Grazie, poi, alla sua indole individuale la prima forma di celebrazione permette di associare il sacramento
della penitenza a qualcosa di diverso, ma ben conciliabile con esso: mi riferisco alla direzione spirituale».4
1 La bibliografia al proposito è molto vasta e coinvolge formalità teologiche specifiche, oltre a quella canonistica e a
quella inerente alle cosiddette scienze umane empiriche. Qui sono reperibili solo alcune riferimenti bibliografici
secondo il discorso sviluppato e in quanto preliminari sussidi di studio. Per uno sviluppo ulteriore ma omogeneo con
questa relazione, mi permetto di rinviare ad alcune mie pubblicazioni: P. CARLOTTI, Teologia della morale cristiana,
Bologna, EDB 2016, 274-300; ID., Il senso, il soggetto e l'oggetto del sigillo sacramentale, in P. CARLOTTI - K. NYKIEL
- A. SARACO [edd.] Il sigillo confessionale e la privacy pastorale. Atti del Convegno 12-13 novembre 2014, Città del
Vaticano, LEV 2015, 55-70; ID., Il penitente cristiano e la formazione della sua coscienza morale, P. CARLOTTI - K.
NYKIEL [edd.] La formazione morale della persona nel sacramento della riconciliazione, Roma, IF Press 2015, 29-68.
Sul tema specifico cfr. anche: R. FRATTALLONE, Direzione spirituale. Un cammino verso la pienezza della vita in
Cristo, Roma, Las 2006, 186-197; L. CASTO, La direzione spirituale come paternità, Cantalupa, Effatà 2003, 215-220;
M. COSTA, Direzione spirituale e discernimento, Roma, Apostolato della Preghiera 1993, 149-157; C. SQUARICE, La
confessione tra sacramentalità, direzione spirituale e richiesta di aiuto, Credere oggi 75 (1993) 13: 61-73; C.
CHIAPPINI, Direzione spirituale e sacramento della riconciliazione, Vocazioni 27 (2010) 4: 54-77. 2 La denominazione del quarto sacramento è tuttora varia e quella qui adottata è nata a seguito del Vaticano II. Per una
puntualizzazione cfr. R. GERARDI, Il sacramento del perdono per la riconciliazione dei penitenti, Bologna, EDB 2015,
15-18. 3 La realtà della ‘direzione spirituale’ viene oggi indicata in altro modo, per esempio come ‘accompagnamento
spirituale’ - espressione recente ma oggi decisamente preferita (cfr. a tal proposito il recentissimo documento: SINODO
DEI VESCOVI, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento preparatori, Città del Vaticano, LEV 2017,
41-44, dove però si parla di ‘accompagnamento personale’ - oppure ‘paternità spirituale’ o altro ancora. Ognuna di
queste espressioni ha aspetti positivi o meno, alcune risentono di spiritualità oggi in via di ripensamento, molte
escludono ogni forma di sudditanza o passività, tutte mi sembra si basano sull’essenziale condivisione della vita
cristiana, dove chi è più spiritualmente ricco, più gratuitamente dona nel sostegno vicendevole dei fratelli e delle
sorelle. Qui per lo più conservo l’espressione usata da chi mi ha affidato la relazione, anche perché permette meglio
l’individuazione storica dell’oggetto studiato. 4 GIOVANNI PAOLO II, Reconciliatio e paenitentia, 32.
2
Questa conciliabilità scaturisce dal fatto che entrambe sono in servizio della persona del
cristiano e procedono dal fondamentale della vita cristiana che è condivisione, anzi comunione dei
beni spirituali e materiali, dove la logica, cioè il modo di pensare, e la dinamica, cioè il modo di
agire, del dono gratuito interpreta tutti e tutto e invita a «gratuitamente dare» (Mt 10,8). E tuttavia il
dono non è mai realtà indistinta e sommaria, è invece distinta e specifica e così lo è anche per i due
servizi di cui qui ci occupiamo, che ben si rapportano a partire da differenze proprie, che tali sono
per le finalità, le persone, gli itinerari e le condizioni attivate e coinvolte.
2. Il sacramento della riconciliazione
2.1. Qualche riferimento biblico
Tra i più poveri tra i poveri vi è certamente chi lo è dal punto di vista spirituale, cioè il
peccatore. Siamo di fronte ad una lettura della condizione umana non usuale ma decisamente
innovativa e alternativa che fu tratto specifico, se non esclusivo, dell’annuncio del Regno e della
sua signoria da parte del Cristo che mai lasciò solo il peccatore col proprio peccato, anzi andò a
ricercarlo, a stanarlo dalla nicchia in cui si era rinchiuso.
Tra gli ipsissima facta Jesu la critica esegetica inserisce certamente il pasto di Gesù coi
peccatori, indice emblematico della sua coscienza messianica: «Non sono venuto a chiamare i giusti
ma i peccatori» (Mc, 2,17). L’amicizia coi pubblicani e coi peccatori (Mt, 11,9) è - insieme con
quella di essere un mangione e un beone5 - l’accusa che la sua generazione gli rivolge, a cui Gesù
ribatte additandola come incapace di riconoscere nel tempo i segni di Dio, di cui quell’amicizia fa
parte. Il perdono dei peccatori non è solo un annuncio rimandato o non verificabile, ma si produce
in maniera lampante sotto gli occhi di tutti con la conversione. I convertiti, tra cui i pubblicani e le
prostitute, passano avanti e sostituiscono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo come eredi del
regno (Mt, 21,43).
È emblematico episodio di Zaccheo (Lc, 19,1-10), capo dei pubblicani, collaborazionista con
la potenza occupante, colpito e perseguitato dal giudizio perentorio dell’opinione pubblica, per la
quale Zaccheo non poteva essere diverso da ciò che finora era stato. A questa possibilità crede Gesù
e apre un credito infinito verso Zaccheo, autoinvitandosi in quella casa in cui probabilmente
nessuno avrebbe voluto entrare, in aperta sfida con la maggioranza. La gratuita fiducia di Gesù
rende pieno il tempo biografico di Zaccheo e la sua conversione non è più indistinta e vaga ma
diventa precisa e praticabile, appunto per l’iniziativa di Gesù. Il suo riconoscerlo persona gli
permette di riconoscere se stesso come capace di novità, espressa puntualmente nella riconoscenza
degli altri - oggetto della sua frode passata -, a cui restituisce insieme col maltolto lo status di
fratelli. La conversione non è frutto di uno scambio contrattuale ma conseguenza dell’azione
gratuita e preveniente di Gesù, insieme sorprendente ed insperata, anche se forse a lungo attesa e
invocata.
Mi sembra che ben commenti ed attualizzi questo episodio evangelico papa Francesco:
«…gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene
e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di
guardare a sé stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera libertà.
Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né la capacità di
reagire, che Dio continua ad incoraggiare dal profondo dei nostri cuori. Ad ogni persona di questo mondo chiedo di non
dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle».6
5 Per altro chi non mangia e non beve, come il Battista, è accusato di avere un demonio.
6 FRANCESCO, Laudato si’, 205.
3
Le tre parabole lucane della misericordia (Lc, 15) indicano nella festa e nella gioia la giusta
accoglienza al peccatore convertito e perdonato. Anch’essa emblematica è quella del figlio prodigo
o del padre misericordioso o dei due figli. Istruisce a proposito della qualità della conversione:
quella scadente del servo e quella ottimale del figlio. Infatti il figlio prodigo, rientrando in sé, si
converte come servo e come tale intende ritornare a casa, mentre l’indignazione del maggiore, che
non sa condividere la festa, denota pure la condizione di servo, che assicura prestazioni servili ma
non cordiali, perché senza il coinvolgimento del cuore. È ancora l’accorrere del Padre, dopo una
lunga e sempre vigile attesa, che rende possibile nel ritorno del servo la conversione del figlio, cosa
che sembra non riuscire per chi ha vissuto sempre con lui ma lontano da lui. È l’incontro col Padre
che dischiude una possibilità, insieme gratuita, sorprendente e tuttavia corrispondente ad una attesa
di cui forse non si è consapevoli: matura una conversione, che non è più un semplice cambiare la
direzione del cammino e volgere al ritorno - la figura biblica della conversione come epistrophé -
ma che implica un ribaltamento nella coscienza di sé, implica una metanoia, una rivoluzione della
mente e della vita, quella che comporta il passaggio dall’essere servo all’essere figlio. Senza un
Padre e senza il gesto del Padre questo non sarebbe stato assolutamente possibile.
2.2. Senso e specificità della penitenza sacramentale
Allo stesso modo la Chiesa intende continuare il ministero del suo Signore nell’essere vicina
e nell’accogliere il peccatore, cogliendo l’intensità di questo gesto col riconoscerne la natura
sacramentale e deputando nei presbiteri e nei vescovi persone che lo rendano concretamente
presente nella vita degli uomini e delle donne di ogni tempo e luogo. Proprio la condivisione
fraterna dell’esperienza del male liberamente compiuto, è la prima terapia che impedisce quella
solitudine che invece tende a reiterarlo ed è al contempo segno efficace di una liberazione che Dio
solo può dare: «Chi può perdonare i peccati se non Dio soltanto?» (Lc 5,21), si domandano
giustamente i farisei volendo contestare la rivendicazione messianica di Gesù.
La preoccupante disaffezione dalla confessione non può non allarmare pastoralmente,
perché lascia prefigurare vissuti solitari se non solipsistici dell’esperienza del male, lontani da quel
Dio che solo può garantirne la vera liberazione, cioè lascia prefigurare condizioni in cui si rimane
prigionieri del male compiuto, in cui il male avvinghia a sé.
Il sacramento della penitenza ha prioritariamente come destinatario il peccatore che ha
peccato mortalmente o, in altre parole, che ha deciso nella sua vita un’opzione fondamentale
negativa, incrinando la sua vita teologale riducendola alla larva di una fede morta. Siamo quindi di
fronte ad un fedele che versa in una delicatissima situazione spirituale, in un bisogno estremo di
soccorso. Non tutti i fedeli si trovano in queste condizioni e chi vi si trova ha bisogno d’una
assistenza specifica, atta a recuperare progressivamente la vitalità della vita cristiana a partire dai
suoi livelli minimali.
Per analogia, dissimile, si parla anche di peccato veniale, oggetto della cosiddetta
confessione devozionale. Questa è molto raccomandata anche per coltivare un atteggiamento
penitenziale non occasionale, tuttavia non è l’unica forma con cui farlo, con cui chiedere e ottenere
perdono delle mancanze non gravi, come per esempio il rito penitenziale iniziale della celebrazione
eucaristica ci ricorda. Tra la confessione di devozione e alcune forme - brevi, preliminari - di
direzione spirituale si possono dare facilmente e felicemente delle coincidenze.
2.3. Il ministro e il suo profilo morale
Naturalmente il ministro del Sacramento della riconciliazione è solo il vescovo e il
presbitero, non risulterà così per la direzione spirituale.
Circa le modalità di esercizio di questo ministero si fa riferimento all’etica della relazione
interpersonale che orienta in modo specifico alla bontà e alla correttezza della relazione
4
sacramentale penitenziale e vieta non solo ogni abuso, tra cui il peggiore è la sollecitazione al
peccato, ma predispone al puntuale riconoscimento della dignità della persona dell’altro, della
comune ricerca del bene e del vero, senza buonismi infantili e colpevolizzazioni ingiuste. Lo mette
ben in rilievo papa Francesco in una sintesi molto bella, profonda e preziosa, a proposito della quale
non è aleatorio pensare che riporti la sua stessa esperienza ministeriale e pastorale. Così
rivolgendosi ai confessori - ma il teso potrebbe essere applicato anche agli accompagnatori
spirituali - nella Misericordia et misera:
«Vi ringrazio sentitamente per il vostro servizio e vi chiedo di essere accoglienti con tutti; testimoni della
tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel
presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo
con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio. Come
Gesù davanti alla donna adultera scelse di rimanere in silenzio per salvarla dalla condanna a morte, così anche il
sacerdote nel confessionale sia magnanimo di cuore, sapendo che ogni penitente lo richiama alla sua stessa condizione
personale: peccatore, ma ministro di misericordia».7
Val la pena ricordare che il vincolo sul colloquio confessionale svoltosi in ordine ad ottenere
l’assoluzione sacramentale prevede un segreto assoluto, cioè vieta al proposito ogni violazione
diretta, indiretta e ad aggravio del penitente. Questa disciplina mira ad assicurare in modo pieno un
bene spirituale tra i più alti, quello della salvezza eterna della persona, rispetto alla quale ogni altra
considerazione, seppur umanamente plausibile, ivi compresa la stessa difesa del confessore da
ingiusta e infamante accusa, viene dopo e quindi la possibilità di ricevere l’assoluzione
sacramentale non ha da essere ostacolata da niente o da nessuno.
Ritengo utile ribadire che solo il colloquio sacramentale è vincolato da un segreto assoluto,
non così la direzione spirituale, pur essendovi vicina. Naturalmente nella direzione spirituale si può
comunicare i peccati, anche mortali, ma senza la protezione del sigillo.
Il cristiano ha l’obbligo della celebrazione annuale del sacramento della penitenza e ogni
qual volta sa di essere in stato di peccato mortale. Non si danno obblighi ma calde raccomandazioni
per la direzione spirituale, specialmente in alcuni momenti della vita.
3. La direzione spirituale
3.1. La privacy al servizio della persona
Va da sé che la privacy attivata nella direzione spirituale raggiunge livelli molto alti, in
quanto è espressione non solo di semplice segreto naturale, che intercorre di per sé con ogni tipo di
relazione interpersonale, ma di quel segreto commesso o professionale, maggiormente vincolante
del precedente, a cui è tenuto il relativo operatore. Questo segreto interessa ogni operatore
pastorale, sia esso ministro ordinato oppure laico, i quali quando svolgono un servizio di direzione
spirituale, sono ulteriormente vincolati perché le confidenze personali scambiate hanno un livello di
intimità elevato e sono quindi beni personali molto rilevanti e delicati, che esigono di essere protetti
in modo ad essi pienamente adeguato. Giova molto al pastore e ancor di più al direttore spirituale
per svolgere proficuamente la loro missione, l’essere persona affidabile, a cui con fiducia si ricorre
in piena sicurezza. Questa fiducia ovviamente non sorge a seguito di semplici dichiarazioni di
intenti, ma a seguito di una relazionalità quotidiana e feriale, fine e attenta ai bisogni delle persone.
E tuttavia è ovvio che la comunicazione interpersonale può conoscere anche livelli scadenti,
in cui l’intento non è la condivisione libera e responsabile del bene e del vero, ma la
strumentalizzazione dell’altro, fino a renderlo connivente col male che si vuol compiere. Va da sé
7 FRANCESCO, Misericordia et misera, 10.
5
che non si dà nessun dovere morale a collaborare col male altrui e quando il segreto risulta di fatto
essere al servizio di questa finalità, cessa nel suo vincolo; diversamente si dovrebbe concludere di
essere moralmente tenuti a collaborare al male e questo risulterebbe una patente contraddizione.
Può avvenire che si pieghi e usi il dialogo spirituale o in genere quello pastorale per fini ad essi
completamente estranei o contrari: il relativo operatore, qualora sia lui a subire, non solo può ma
talora deve usare delle conoscenze avute nel rispettivo colloquio per sventare un progetto di fatto
moralmente discutibile o negativo.
Proprio per questa diversità di vincolo, assoluto e quasi-assoluto, tra il sacramento e la
direzione, è molto opportuno e, specialmente con persone che versano in situazioni critiche o
precarie, direi vincolante, che coloro che hanno un’autorità di governo non siano ministri della
penitenza di persone che ricadono sotto la loro autorità. L’indicazione è tendenziale ed è tesa a
promuovere un esercizio sereno dell’autorità e a prevenire possibili conflittualità o possibili rischi
di inadempienze circa il sigillo. Naturalmente la fattispecie dei casi è vastissima e conosce
semplicità lineari insieme a complicazioni contorte: un sano discernimento al proposito è la via
maestra da seguire, lasciando piena libertà ai diretti interessati.
Fuori di quest’evenienza e di altre limitate incompatibilità, qualora il penitente lo richieda
penso sia non solo opportuno ma spiritualmente fecondo che il ministero della penitenza possa
continuare nella direzione. È tuttavia anche possibile la scelta opposta per cui si abbia confessore e
direttore distinto, specialmente quando si pensi di ricercare una migliore affinità e sintonia, per
esempio a seguito della condivisione dello stesso stato di vita, nel caso laicale, religioso-femminile
o matrimoniale. La lunga tradizione della Chiesa conosce al proposito entrambe le soluzioni, con
quella saggezza che invita a correggere i limiti dell’una con i pregi dell’altra e viceversa.8
Come quello sacramentale anche il dialogo spirituale si basa su una relazione interpersonale
la cui regola morale consiste nel precipuo riconoscimento della dignità umana e cristiana delle
persone in dialogo accomunate dalla semplice ricerca del bene e del vero in situazione. Quando uno
dei partners del dialogo viene sminuito nella sua dignità e libertà, il dialogo perde il riferimento
morale. Questo avviene per esempio quando la direzione spirituale di fatto induce sudditanza e
dipendenza o addirittura plagio e la promozione della persona nella sua originalità scema e
scompare. Per usare una terminologia ricoeuriana, un po’ sibillina ma efficace, occorre favorire
l’incontro de ‘l’altro di sé’ con ‘l’altro dell’altro’, cioè una modalità in cui nell’incontro si conserva
e si promuove l’alterità dell’altro, senza ricondurla o omologarla a sé.9
Inoltre è da considerare come sia il ministro della penitenza sia l’accompagnatore spirituale
hanno un ruolo di spiccata mediazione all’incontro del sé con il sé e con Dio, rimanendo il singolo
titolare immediato e diretto, per disposizione divina, della responsabilità della propria vita, a cui
Dio stesso accede non senza la sua libera e consapevole disponibilità.
«Dio volle, infatti, lasciare l’uomo “in balia del suo proprio volere” (Sir. 15,14) perché cerchi spontaneamente
il suo Creatore e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione».10
Una nota mi sia permessa per quanto concerne il rapporto della confessione e della direzione
con la consulenza psicologica o la terapia psicoanalitica. Da queste ultime le prime due sono da
tenere separate, sia nelle persone, sia nelle finalità, sia nei tempi e nei luoghi. Normalmente il
confessore e il direttore che sono anche psicologi o psicoterapeuti non abbiano la stessa persona
come penitente e come cliente o paziente psicologico. La diversità di natura e di finalizzazione qui è
netta e il pericolo di confusione molto elevato, quando si verifichi la coincidenza del soggetto
8 Cfr. B. OLIVERA, Luce ai miei passi. L'accompagnamento spirituale nella tradizione monastica, Milano, Ancora,
2006, 38-44. 9 Cfr. P. RICOEUR, Sé stesso come un altro, Milano, Jacabook 1994. Per una disamina puntuale dell’atteggiamento
oggettualizzante, cfr. M. NUSSBAUM, Persona oggetto, Trento, Erikson 2014, 31s. 10
Cfr. CONC. ECUM. VAT II, Gaudium et spes, 17, ripreso nel Catechismo della Chiesa Cattolica, 1730.
6
promotore.11
La prospettiva morale e spirituale non coincide e quindi non può risolversi in quella
psicologica, come talora in modo strisciante può avvenire, per esempio quando la formazione passa
dalla competenza teologico-morale e spirituale a quella piscologica. Non si vuole certamente
minimizzare l’apporto della psicologia, ma solo precisarne la portata e delimitarne l’ambito
applicativo: i giudizi di valore differiscono dai giudizi empirci.
3.2. La docilitas allo Spirito
La docilitas alla gratia Santi Spiritus accomuna ogni cristiano in ogni suo pensare e operare
e rimanda al comune ‘maestro interiore’, come reale protagonista della promozione di ogni
esistenziale concreto del credente. È questo un altro elemento rilevante del cammino del cristiano,
cioè l’inabitazione dello Spirito del Padre e del Risorto nel cuore, cioè nella persona del credente
cristiano, a seguito del suo Battesimo. È dato biblico ben attestato, sia per il Cristo sia per il
cristiano, che l’essere figlio implica sempre il ‘possesso’ dello Spirito e viceversa, per cui il
carattere filiale della vita cristiana e quindi della sua coscienza morale implica sempre il suo
carattere spirituale, intendendo per spirituale lo specifico riferimento allo Spirito santo. Non può
non essere rimarcata la stretta connessione col mistero pasquale del mistero dell’effusione dello
Spirito, della Pasqua con la Pentecoste: quando il Figlio si dona pienamente al Padre sulla croce,
quando è solo Amore, effonde l’Amore, cioè lo Spirito – «ed emisit spiritum», «e mandò lo spirito»
(Mt 27,50), reso nella traduzione italiana corrente con «spirò». Lo spirito è lo spirito del Risorto che
nella storia si rivela come vero figlio del Padre.
Lo Spirito Santo è titolare di una comprensione e di una operazione nel singolo cristiano che
Gli permette di comprendere e di operare il senso singolare ed originale della persona di ogni
cristiano, molto meglio del cristiano stesso. Lo Spirito capisce chi siamo meglio di noi e meglio di
noi opera la nostra autentica e piena realizzazione. Si verifica così in pieno l’affermazione di
Agostino: «Tu [Deus] autem eras interior intimo meo et superior summo meo», «Tu [o Dio] eri più
intimo della mia più intima interiorità e più grande della mia più grande grandezza».12
Questa compresenza - lo sappiamo - non altera la consistenza comprensiva e decisionale del
singolo, che rimane in tutta la sua portata senza essere minimamente conculcata, come del resto
sovente avviene nell’intellezione dei dati rivelati, secondo il noto principio per cui «gratia non tollit
sed perficit naturam»,13
«la grazia non sopprime ma promuove la natura». L’inabitazione dello
Spirito è testimonianza ineludibile e inequivocabile di quanto Dio tenga a ciascuno di noi, in quanto
ciascuno di noi è persona unica, creata, salvata e attesa come persona unica. È ciò che fa dire a s.
Tommaso che l’identità della vita cristiana consiste nella «gratia sancti Spiritus», «grazia dello
Spirito Santo».14
Emerge qui quanto impertinente l’idea moderna e purtroppo anche post-moderna di un Dio
concepito come ostacolo e remora per il cammino dell’uomo verso la pienezza di vita e, come si è
già rimarcato, quanto deviante sia il progetto di un’etica «etsi Deus non daretur»,15
«come se Dio
non esistesse», espressione con la quale si suole indicare il progetto strategico di agire come se Dio
non ci fosse: però la negazione di Dio coincide con la negazione dell’uomo. La domanda verte sulla
diversa possibile sorte della moralità in questa evenienza, ed in particolare se essa, priva del
11
La necessaria conoscenza del quadro psicologico o psicoanalitico da parte del confessore o del direttore, può essere
ottenuta a seguito di consultazione diretta, che può avvenire col permesso dell’interessato, qualora questi non possa
farlo direttamente. 12
AUGUSTINUS, Le confessioni, Roma, Città Nuova 1988, 3, 6 11. Cfr. anche: P. CARLOTTI, Teologia morale e
teologia spirituale, in ID., L'altezza della vocazione dei fedeli in Cristo. Teologia morale e
spirituale in dialogo, Roma, Las 2008, 75-106. 13
Cfr. STh., I., q. 2, a. 2, ad 1. 14
STh., I-II, q. 106, a. 1, resp. 15
GROTIUS, De iure belli ac pacis, prol. 9.
7
riferimento religioso, non resti «… incompleta, precaria e ambigua»,16
e se, senza Dio, non sia
pertinente affermare che «…nessuna convenzione tra attori umani, nessun consenso, nessuna
necessità puramente logica può rendere ragione di un obbligo che si impone agli attori volontari».17
In altre parole, il dover essere dell’uomo può avere un fondamento diverso da Dio? Che cosa o chi
potrebbe sostituire Dio?
3.3. Il ‘direttore spirituale’
Mentre il ministro del sacramento della penitenza è solo il ministro ordinato, vescovo o
presbitero, e più facilmente è possibile individuare nel sacramento chi lo amministra e chi lo riceve,
per la direzione spirituale coloro che la offrono possono essere uomini e donne, religiosi e laici,
coppie e in senso largo anche comunità e il vicendevole e paritario scambio spirituale più
difficilmente permette di indicare chi solo offre o chi solo riceve, proprio perché è in primo piano la
compartecipazione e il coinvolgimento, pur nella distinzione delle singole persone e delle diverse
fasi della vita umana e cristiana.
La direzione ha una varietà notevole di forme, tra cui possiamo distinguere quella indiretta e
quella diretta, entrambe molto efficaci.
Vi è una direzione spirituale quotidiana e spicciola ed ha come soggetto il singolo cristiano
che col suo ‘buon esempio’ interpreta la vita e invita ad una buona pratica.
Vi è poi la comunità, che con la qualità etica della propria rete relazionale offre
implicitamente un profilo e uno stile di vita in cui ci si trova immersi e da cui si è accompagnati
passo dopo passo, momento dopo momento, verso l’optimum. I grandi santi educatori hanno sempre
dato grande importanza a creare un ambiente educativo che fosse di per se stesso orientamento,
stimolo e aiuto alla pratica cristiana della vita dei suoi membri. La stessa riflessione filosofica ha
lasciato emergere proprio una rinnovata considerazione del ruolo svolto dalla comunità nei
confronti di ogni suo singolo, rispetto al compito che quest’ultimo ha di decifrare e di realizzare il
profilo etico della propria esistenza. Lasciato solo con questo compito, il soggetto morale
facilmente fallisce, perché sopraffatto da un carico per esso intollerabile e ingestibile. Oggi il
soggetto morale, purtroppo anche cristiano, è sempre più solo e da solo è chiamato a far fronte al
proprio discernimento e impegno morale. Il cristiano ha bisogno per crescere moralmente della sua
comunità, che diventa un direttore spirituale, per lo meno implicito e indiretto.
Emerge qui anche la rinnovata considerazione di un aspetto decisamente importante per ogni
formazione morale e spirituale, come progetto interpersonale, come progetto condiviso che procede
da un’alleanza, da una partnership educativa e si svolge nella solidarietà e nella vicendevole cura.
Se la persona non è la semplice somma delle sue relazioni, la sua realizzazione morale non è
neppure il loro semplice prodotto. E tuttavia non c’è chi non veda la rilevanza di un social learning
anche in ambito morale, che, con l’esposizione a fonti significative di comportamento, attivi un
personale processo d’imitazione e d’interiorizzazione. Senza un ‘buon esempio’ è difficile capire
che il bene è bene, è difficile la sua pratica empatica, specialmente in adversiis.
Vi sono poi coppie di sposi cristiani che condividono in modo paritario la propria esperienza
familiare con altre coppie, svolgendo un cammino spirituale comune, non solo in una dinamica di
gruppo, ma anche fra singola coppia e singola coppia, insieme confrontando soluzioni, affrontando
difficoltà e coltivando prospettive. Questo cammino ha il grande pregio di impedire la solitudine
16
G. ABBÀ, La costituzione epistemica della filosofia morale. Ricerche di filosofia morale 2, Roma,
Las 2009, 84. 17
Ib., 82. Inoltre, «…senza Dio resta insopprimibile il senso di colpa che consegue alla violazione
della legge morale» e impossibile «la sincera conversione» (Ib., 85). È ovvio, ma è utile rimarcarlo,
che l’ordo ad Deum non può essere uno dei diversi basic goods (J. Finnis), ma il fine e il criterio
del loro ordine.
8
della coppia e della famiglia, che è dato sempre molto problematico per ogni sviluppo umano e
cristiano.
Seppur la stessa condizione o lo stesso ‘stato di vita’ che orienta nella scelta, tuttavia si è
avuta una direzione spirituale anche in modo trasversale alla differenza sessuale, tra uomini e
donne, e alla condizione ecclesiale, tra laici e ministri ordinati, tra laici e religiosi. S. Giovanni della
croce ebbe s. Teresa d’Avila, mentre molti sacerdoti hanno saputo contribuire a plasmare
personalità laicali, come pure viceversa. Emerge qui l’affinità e la progettualità spirituale come
criterio che prepara una condivisione sempre più approfondita. E tuttavia le forme di questa
condivisione sono molteplici e la loro varietà è decisamente ampia e ricalca l’originalità spirituale
dei singoli cristiani.
3.4. Senso e specificità della direzione spirituale
«Non si può essere felici da soli», così una nota frase di Paolo VI che ha illuminato anche la
mia giovinezza. Altrettanto non si può essere cristiani da soli, per cui il senso della direzione
spirituale rientra in questa comunione. Si tratta della condivisione a riguardo della testimonianza e
della promozione di una vita cristiana nella concretezza quotidiana delle sue sfide e delle sue prove,
creando comunione fraterna dei beni spirituali, espressione del sacerdozio comune e della santità
battesimale. Qui l’autorevolezza è misurata dalla qualità e dall’eccellenza della vita cristiana.
A questo proposito è possibile riferirsi anche alla direzione spirituale in senso stretto, quella
a cui per lo più ci si riferisce quando di essa si parla nella quotidianità della vita ecclesiale.
Soprattutto nella vita cristiana di oggi il tasso di pluralità e di singolarità delle esistenze
anche cristiane è cresciuto a dismisura ed è facile che alcuni possiedano notevole esperienza di ciò
di cui altri mancano. Questo avviene per esempio anche a prescindere dal dato dell’attuale cultura,
ma ha che fare con elementi che la trascendono, come per esempio l’età della vita, che rende il
vecchio ricco in esperienza, non forse per ciò che la vita è oggi ma per ciò che la vita è sempre, a
differenza del giovane, che a sua volta abbonda di quelle energie di cui il vecchio scarseggia - di qui
il proverbio: “se il giovane sapesse e il vecchio potesse” - oppure la differenziazione sessuale, che
posiziona l’uomo verso se stesso, gli altri e il mondo in modo distinto, comunicabile e irriducibile
ad un tempo. Tra questi dati ve ne sono in abbondanza anche al livello dello spirito dell’uomo e
ancora di più a livello dello spirito dell’uomo cristiano, che secondo la visione paolina può
conoscere diversi stadi di maturità propriamente spirituale: può per esempio essere ancora minore e
vivere sotto la legge e non sotto la grazia, cioè può vivere ancora secondo l’Antico Testamento; può
praticare un’etica della legge e non ancora un’etica della virtù; può vivere in agone la sua scelta di
vita e doverla difendere strenuamente talora nella sua minimalità.
La condivisione del vissuto e dell’impegno dell’esistenza cristiana concreta, delle premesse,
delle condizioni e delle attenzioni che richiede, delle tappe di crescita e delle possibili involuzioni
che comporta o può comportare, dei rischi e delle prove che ha da fronteggiare ed altro ancora come
il discernimento interiore della voce di Dio e del suo Spirito a fronte dei molteplici equivoci che al
proposito possono nascere e attecchire, è oggetto della direzione spirituale. Il sovvenire il fratello
che si dibatte nel bisogno spirituale è opera qualificata di misericordia che può modularsi secondo
la consolazione, la monizione, il consiglio e l’istruzione e altro ancora, lasciando prevedere
interventi non solo occasionali o provvisori, ma continuativi e costanti.
A differenza della confessione, che opera tendenzialmente con moduli minimali che
separano il bene dal male, con la direzione si è sospinti verso l’ottimale e l’eccellente della vita
cristiana, verso la sua santità, pur non escludendo la considerazione del limite. La direzione
permette di uscire dall’occasionalità, nel cui ambito più si muove la confessione, verso un discorso
complessivo e strategico nei confronti di una progettazione spirituale, che nel procedere incontra
nuovi motivi e attiva nuove motivazioni, verso una più piena condivisione dell’intimità personale
del vissuto esistenziale specificatamente cristiano. Per usare una simpatica espressione de “Il
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piccolo principe”,18
occorre un percorso di addomesticamento, un divenire progressivamente
familiari, un divenire amici spirituali, che progressivamente “vogliono e non vogliono la stessa
cosa”, diventando uniti nell’intelletto e nella volontà.19
4. Il sacramento e la direzione come dialogo di coscienze
Dopo aver analizzato singolarmente il sacramento del perdono e la direzione spirituale. Mi
sembra opportuno offrire una visione sintetica che li rapporta e li unisce. In entrambi è da vedere un
dialogo di coscienze al livello profondo della coscienza morale, in un’alleanza in cui pienamente
come tali si riconoscono e sono riconosciute.20
È il dialogo più profondo a livello interpersonale e
quando avviene in autenticità, ricrea le persone e le promuove, generandole nuovamente a se stesse,
agli altri e ultimamente a Dio. Siamo in tempi in cui urge la tematica educativa e la sollecitudine
formativa, entrambe ben tematizzate dal recente magistero di papa Francesco: non si nasce buoni, lo
si diventa, per libera, consapevole e responsabile scelta. Il primo educatore della persona e della sua
coscienza è la persona stessa con la sua coscienza e non senza, qualunque ne sia lo stato.
4.1. La coscienza come narrazione biografica
Il soggetto morale con la sua coscienza è soggetto storico, anzi biografico, è soggetto da
costruire, passo dopo passo, «secondo tappe di crescita»21
secondo una gradualità, che ha
svolgimento certo non solo lineare e positivo, ma anche contorto e negativo, che prevede fermate e
avanzate, progresso e regresso, involuzioni ed evoluzioni, conferme e smentite. Non si può
dialogare a livello di coscienza morale senza assumere in pienezza la realtà e la dinamica della vita
umana personale nella sua globalità, come è ovvio che non si può contribuire a formare la coscienza
morale o pretendere di dialogare con essa, senza la coscienza, anche quando questa dovesse essere
precaria o erronea, confusa o debole. Infatti, la coscienza morale, così come è, rimane con la sua
insostituibile autorità e inalienabile dignità ed è chiamata essa stessa a provvedere alla propria
precarietà e a riconoscere la propria debolezza. Siamo qui di fronte alla vera e propria sfida
educativa di ogni tempo e di ogni luogo, radicale e permanente, in cui - per usare una nota metafora
- si costruisce la nave quando si è già in aperta e talora burrascosa navigazione.
Naturalmente questo può avvenire solo se la coscienza come il suo soggetto non sono
rigidamente autoreferenziali, ma referenziali, cioè aperti e dialoganti nella spassionata ricerca di
quella verità, che corrisponde alla realtà e non semplicemente al consenso sociale seppur qualificato
o alla coerenza seppur sistemica. Di qui il delicato rapporto tra coscienza morale e verità morale, la
18
Cfr. A. SAINT-EXUPÉRY DE, Il piccolo principe, Milano, Bompiani 1969. 19
Al proposito sono significative alcune riflessioni che si ritrovano nella Deus caritas est del papa emerito Benedetto
XVI. 20
Riprendo qui alcune considerazioni espresse in: P. CARLOTTI, Teologia della morale cristiana, Bologna, EDB 2016. 21
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, 34. Cfr. E. COMBI, La formazione della coscienza morale tra istanza
morale e spirituale, in G. ANGELINI - E. COMBI - B. MAGGIONI - C. VAIANI, La cattiva fama della morale. Forma
morale e forma spirituale: interpretazioni concorrenti della vita cristiana?, Milano, Glossa 2005, 161-210; R. A.
THOMPSON - S. MEYER - M. MACGINLEY, Understanding Values in Relationships: The Development of Conscience, in
M. KILLEN - J. G. SMETANA [edd.] Handbook of Moral Development, Mahwah - London, Erlbaum 2006, 267-297; J. E.
GRUSEC, The Development of Moral Behaviour and Conscience from a Socialization Perspective, ib., 243-265; G.
MAZZOCATO, L'educazione della coscienza morale e il mondo degli affetti, Studia Patavina, 47 (2010) 619-644; B.
LONERGAN, La formazione della coscienza, Brescia, La Scuola 2010; J. DE VITIS - T. YU, Character and moral
education. A reader New York, Lang 2011; D. ABIGNENTE, Educazione al bene comune e formazione di coscienza.
Prospettiva etico-teologica, in S. BASTIANEL [ed.] Educare al bene comune. Una sfida per il mezzogiorno, Trapani, Il
pozzo di Giacobbe 2012, 73-106; D. CARR, Educating the virtues. An essay on the philosophical psychology of moral
development and education, London - New York, Routledge 2012; D. GRZADZIEL, Educare il carattere. Per una
pratica educativa teoricamente fondata, Roma, Las 2014.
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cui pertinente coniugazione evita di risolvere – un po’ semplicisticamente – nell’autenticità della
prima la verità della seconda. Il dialogo è in servizio di questo svolgimento della coscienza
evitandone l’avvolgimento su se stessa. D’altra parte se è ben vero che è solo la verità morale che
può vincolare la coscienza morale, è altrettanto vero che questo vincolo consegue solo se la verità è
conosciuta e colta dalla coscienza: «In tutto quello che dice e fa l’uomo ha il dovere di seguire
fedelmente ciò che sa essere giusto e vero».22
Il soggetto morale non è assolutamente un soggetto che è sollecitato a compiere un bene di
cui esso stesso non veda la bontà, visione che comporta sempre uno sviluppo e un cammino, da
seguire con sollecitudine educativa e spirituale. Tutto ciò rimane vero anche se il suo abuso è
prossimo, cioè se è ricorrente la tentazione di chiamare semplicemente bene il proprio interesse e il
proprio piacere.23
Non basta di voler fare il bene che si ritiene anche sinceramente tale, è veramente
buona quella volontà che fa il bene che è e non solo si ritiene sia tale.
4.2. Una coscienza che sia la propria
Ogni dialogo, specialmente quello fra coscienze, non può essere omologante ma deve invece
esaltare l’originalità, certo non stravagante, della singola coscienza. Nel dialogo fra coscienze, ogni
coscienza è propria di ciascun dialogante e promuove una coscienza che sia realmente la propria.
Questo interessa, dal punto di vista formativo, il discorso sul sacramento della penitenza e sulla
direzione spirituale e incontra l’esigenza moderna per una vita che sia la propria.
Voler vivere non una vita anonima e senza volto, ma una vita – come dire – propria, è
certamente tra le esigenze oggi più sentite, nell’epoca della proclamazione dell’unicità irrepetibile
di ogni persona umana. Siamo di fronte al forte bisogno di autonomia e di personalizzazione, di cui
è segnale proprio il ricorrente appello alla coscienza morale, contro l’aggressiva invadenza di
un’oggettività morale, percepita semplicemente come un ‘non luogo’, cioè un luogo di privazione,
di burocrazia e di eteronomia spersonalizzante.
Oggi l’appello all’etica è certo crescente, ma non sempre promettente, perché nelle figure di
etica invocate, l’etica stenta a riconoscersi. La società si dice che dopo essere stata solida nella
modernità sia oramai liquida nella postmodernità e renda quindi compatibile l’incompatibile24
e
pensandosi poi come eticamente neutrale e non aiuta il singolo nella decifrazione del proprio
progetto morale, né intende farlo. L’unico supporto offerto è niente di più che un’inevitabile
regolamentazione pubblica delle molteplici preferenze personali, vere solo per l’individuo, che ha e
vive la sua verità, senza attese e pretese universali, né tanto meno oggettive: non importa più di
tanto sapere se la verità è vera, basta che funzioni e serva, per me e al momento. La verità è ciò che
l’individuo ha scelto ed è vera perché lui l’ha scelta, non per altro.
Come già molto acutamente ed opportunamente Giovanni Paolo II osservava e ammoniva
nella Veritatis splendor, l’autenticità morale – certo necessaria – viene fatta coincidere con la verità
morale, senza prevedere ed ammettere che la pur sincera ricerca della verità può talora fallire ed ha
quindi bisogno di essere sostenuta, non da ultimo da quel patrimonio di esperienza e di saggezza
22
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1776. Cfr. anche GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor, 32. 23
Per qualche ulteriore considerazioni in questa ottica rimando al mio recente testo: P. CARLOTTI, La teologia della
morale cristiana, Bologna, EDB 2016. Cfr. anche: ID., La morale nel progetto educativo della Chiesa italiana, Rivista
di Teologia Morale, 43 (2011) 177-183. Cfr. anche: Cfr. M. MARCHETTO, Coscienza morale e vita autentica. Spunti dal
confronto fra John Henry Newman e la sensibilità etica contemporanea, Salesianum, 74 (2012) 101-141; E.
SCHOCKENHOFF - C. FLORIN, La coscienza: istruzioni per l'uso, Brescia, Queriniana 2011; T. BAYNE - C. AXEL - P.
WILKEN [edd.], The Oxford companion to Consciousness, Oxford - New York, Oxford University Press 2009; J.
RATZINGER, Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore, Siena, Cantagalli 2009; P. CARLOTTI, La Syneidesis
paolina. Spunti in prospettiva educativa, in M. SODI - P. O'CALLAGHAN [edd.], Paolo di Tarso. Tra kerygma cultus e
vita, Città del Vaticano, Lev 2009, 281-301; C. ZUCCARO, Roccia o farfalla? La coscienza morale cristiana, Roma, Ave
2007; C. CURRAN, Conscience, New York - Mahwah, Paulist 2004; S. MAJORANO, La coscienza. Per una lettura
cristiana, Cinisello B., San Paolo 1994. 24
Cfr. Z. BAUMAN, Conversazioni sull'educazione., Trento, Erikson 2012; ID., L'etica in un mondo di consumatori,
Roma-Bari, Laterza 2010; Id., Vita liquida, Roma-Bari, Laterza 2009.
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che la comunità credente custodisce e tramanda. La verità morale, con le sue norme e non senza, è
la prima alleata, non la prima nemica dell’uomo e del cristiano.
Ci si può domandare se questo soggetto non sia l’erede universale di un pensiero, molto
diffuso che, pur indagando giustamente i presupposti soggettivi del conoscere, abbia finito per
risolvere la conoscenza dell’oggetto nella coscienza del soggetto, in base al quale l’identità della
realtà è stabilita, come dire in modo unilaterale e autoreferenziale.
E tuttavia la coscienza morale, il suo dialogo e la sua formazione non possono disattendere
questa esigenza di personalizzazione, che se non può sfociare nello stabilire arbitrariamente la verità
morale, non può non riconoscere che il cammino morale di ciascuno è connotato anche al singolare.
Una volta assicurate le esigenze morali della persona in quanto soggetto dotato di natura umana,
espresse nella legge morale naturale, si apre un cammino di personalizzazione e di promozione del
bene e dell’ottimo che necessita inevitabilmente dell’esperienza e della conoscenza che il singolo
acquisisce nella realizzazione di sé come persona buona: ottimizzazione e personalizzazione, come
pessimizzazione e spersonalizzazione sono direttamente proporzionali, in altre parole più il bene è
perseguito, più si manifesta e si esprime l’originalità e il genio della persona che lo compie.
Solo le persone buone di bontà virtuosa hanno una vita che sia la propria.
Questa esperienza si costruisce nelle circostanze e nelle situazioni uniche che il singolo,
proprio lui, come soggetto unico vive e decide. È qui che si forma quella conoscenza, anch’essa
unica, di cui la singola persona necessita. Qui si apre il compito delicato e personalizzante della
coscienza morale che dischiude l’orizzonte virtuoso della sua formazione, che con la prudentia o la
phronesis conosce per connaturalità interiore il bene che è chiamata a discernere e praticare nelle
più impensabili circostanze della vita. È tuttavia ovvio che non si può rivendicare la virtù
trasgredendo la norma, non si può - esemplificando - ritenersi casti ed essere contemporaneamente
adulteri, anche se la liquidità di cui si diceva può indurre anche a questo.
Non c’ chi non veda come tutto questo possa e talora debba essere ricercato nel dialogo
fraterno delle coscienze.
4.3. Una coscienza possibile
L’identità e la formazione della coscienza morale riceve una delle sue più acute sfide nel
confronto con le precarietà e le criticità dell’uomo e del cristiano di oggi, compresi i suoi disagi e le
sue sofferenze psichiche, sia nevrotiche sia psicotiche. È in questi vissuti che la coscienza vive ed è
chiamata a formarsi, col rischio di farla devolvere nella semplice coscienza psicologica. È qui che il
dialogo si sostanzia e diventa concreto, è qui che si apre alla condivisione reale ed efficace.
Il disagio e la sofferenza psichica si sono molto diffusi nelle nostre società occidentali e i
loro fenomeni si collocano nella terra di nessuno tra malattia dell’individuo e disagio della società,
tra questioni cliniche e problemi esistenziali. A seguito di ciò, molte figure e pratiche sociali si sono
contaminate: il medico si comporta come curatore d’anime e il curatore d’anime come un medico,
lo psichiatra si sostituisce alle figure parentali ed i genitori si improvvisano psicologi dei loro
figli.25
E tuttavia è proprio dai luoghi di recupero dell’umano che traspare con evidenza chi è
l’uomo di oggi, nello sconcertante bisogno di incontro e di riconoscimento di ogni persona, nella
terribile potenzialità distruttiva che si libera in assenza di amore, nel fondamento relazionale della
sua identità, nella domanda di senso.
Proprio quest’ultimo accenno ci permette di introdurre alcune considerazioni di estrema
rilevanza, in parziale continuazione di quelle già espresse. La condizione di precarietà psichica e
non, esige un processo di personalizzazione che, senza ovviamente risolversi in un’etica della
situazione, che non è pertinente neanche quando la situazione è particolarmente acuta ed estrema
25
Riprendo qui alcune considerazioni di G. Mazzocato. Di lui si veda: G. MAZZOCATO, L’accoglienza delle scienze
psicologiche in teologia morale. Dal dibattito sulle grandi questioni antropologiche al confronto sulle dinamiche della
vita spirituale, in P. CARLOTTI - P. BENANTI [edd.] Teologia morale e scienze empiriche. Atti del Seminario di studio
dell'ATISM (Assisi 4-8 luglio 2011), Roma, Las 2012, 69-100.
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come in alcune evenienze psicopatologiche, è chiamato a valorizzare e a coniugare percorsi
proporzionati e differenziati, secondo una concreta gradualità e secondo una affinata imputabilità di
responsabilità morale.
È da accogliere la sfida del discernimento tra il condizionamento, sia trovato che indotto, e
la colpa o il vizio, tra il volontario e l’involontario in causa all’agire, tra coazione compulsiva e
libera adesione al male. Il condizionamento, anche grave, ma involontario non altera e non deforma
il profilo morale della persona quanto la scelta negativa liberamente e consapevolmente decisa.
Se è ingiusto, con rigorismi alla fin fine destinati solo agli altri, sfiancare la volontà
sollecitandola oltre il suo possibile, è ancora più ingiusto, con vezzo buonista, interpellarla al di
sotto delle sue reali possibilità: il momento critico consiste nel discernere la differenza tra i due
atteggiamenti. Specialmente per le psicosi, la ‘legge di gradualità’, quel criterio per cui l’agente
morale - ovviamente anche nella normalità - si dispone al bene in modo progressivo, per tappe e
momenti di crescita, va ricordata e applicata, senza naturalmente giungere ad aggirare l’indicazione
normativa, cioè a trasformarla in una ‘gradualità della legge’. Si valorizzerà inoltre la dottrina del
male minore, per cui il soggetto realmente condizionato s’impegna nella riduzione del male, unica
sua concreta possibilità di volgersi verso un bene, al momento di fatto non interamente praticabile.
É ovvio che per un soggetto libero, tra due mali non è autorizzato a scegliere il minore, ma a
rifiutarli entrambi.
In questo cammino poi è decisiva l’adozione di una criteriologia di valutazione morale
profondamente in sintonia con la realtà morale, dove i risultati effettivi hanno certo importanza, ma
non esclusiva e neanche prioritaria, rispetto all’investimento d’impegno personale, che può essere
elevato pur in presenza di risultati modesti e provvisori: la continuità dell’impegno, nonostante i
fallimenti o i risultati non esaltanti, è segno chiaro di fortezza morale. Valutare poi l’intenzionalità
con l’effettività e l’efficienza comporta sempre una trasgressione dell’autenticità morale,
specialmente quella evangelica, ma questa trasgressione è profonda e palese, quando è presente
l’impedimento e il ritardo della menomazione.
Conclusione
Questa breve e selezionata riflessione ha profilato aspetti dell’identità del sacramento della
riconciliazione e della direzione spirituale, facendone emergere la spiccata sintonia e l’alta
conciliabilità, insieme alla distinta prospettiva che le caratterizza singolarmente. Entrambe su piani
e livelli diversi sono qualificata espressione della vita di comunione della Chiesa, che ha la sua fons
generativa nel Cristo, rivelatore del Padre e dell’Amore che li unisce. Entrambe sono pure una
qualificata espressione di solidarietà fraterna per ogni uomo che cammina verso il Regno, che
fronteggia ogni giorno la gioia e la fatica di questo cammino e con esse riceve un balsamo per le
ferite riportate.