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SABATO SANTO – VEGLIA PASQUALE Dal vangelo secondo Luca (23, 50-56) Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. 51Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. 52Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto. “Ed ecco”. Questa semplicissima espressione è, in realtà, un’esplosione di vita e di verità, è un grido che rompe l’indifferenza, che scuote dalla paralisi, che squarcia il velo. E’ contrapposizione e riscatto dall’immensa presa di distanza che ha accompagnato l’esperienza dei discepoli di Gesù durante la passione. Da lontano Pietro lo seguiva (Lc 22, 54); tutti i suoi conoscenti e le donne che lo avevano seguito stavano a guardare da lontano (Lc 23, 49). Giuseppe di Arimatea, invece, si fa avanti, si presenta a Pilato e chiede il corpo di Gesù. Lui c’è, non è fra gli assenti; lui è vicino, non rimane a distanza e non se ne va più. “Già splendevano le luci del Sabato”. Questo Vangelo ci colloca in quel momento particolarissimo che sta al confine tra la notte, il buio e il nuovo giorno, con la sua luce. Il verbo greco usato da Luca sembra descrivere in maniera concreta il movimento di questo santo Sabato,

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SABATO SANTO – VEGLIA PASQUALE

Dal vangelo secondo Luca (23, 50-56)

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. 51Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. 52Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.

“Ed ecco”. Questa semplicissima espressione è, in realtà, un’esplosione di vita e di verità, è un grido che rompe l’indifferenza, che scuote dalla paralisi, che squarcia il velo. E’ contrapposizione e riscatto dall’immensa presa di distanza che ha accompagnato l’esperienza dei discepoli di Gesù durante la passione. Da lontano Pietro lo seguiva (Lc 22, 54); tutti i suoi conoscenti e le donne che lo avevano seguito stavano a guardare da lontano (Lc 23, 49). Giuseppe di Arimatea, invece, si fa avanti, si presenta a Pilato e chiede il corpo di Gesù. Lui c’è, non è fra gli assenti; lui è vicino, non rimane a distanza e non se ne va più.

“Già splendevano le luci del Sabato”. Questo Vangelo ci colloca in quel momento particolarissimo che sta al confine tra la notte, il buio e il nuovo giorno, con la sua luce. Il verbo greco usato da Luca sembra descrivere in maniera concreta il movimento di questo santo Sabato,

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che piano piano emerge dall’oscurità e sale e cresce al di sopra della luce. E in questo movimento di risurrezione siamo coinvolti anche noi, che ci accostiamo con fede a questa Scrittura. Però è necessario scegliere: restare nella morte, nella Parasceve, che è solo “preparazione” e non compimento, oppure accettare di entrare, di salire nella luce. Come dice il Signore stesso: “Svegliati, o tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà!” (Ef 5, 14), usando lo stesso verbo.

“che erano venute… seguivano”. Sono molto belli questi verbi di movimento riferiti alle donne, perché ci fanno capire tutta l’intensità della loro partecipazione alla vicenda di Gesù. Fra l’altro Luca sceglie con attenzione alcune sfumature, per esempio apponendo una particella rafforzativa e intensiva al verbo seguire, come anche la preposizione “con” al verbo venire. Si muovono insieme, si muovono con decisione, spinte dalla forza dell’amore. Il loro viaggio, iniziato in Galilea, continua ora, anche attraverso la morte, attraverso l’assenza. Forse sentono che non sono sole e annunciano già che Lui c’è.

“osservarono il sepolcro”. E’ bellissimo notare che negli occhi di queste donne c’è una luce più forte della notte! Riescono a vedere al di là, osservano, notano, guardano con attenzione e interesse; in una parola: contemplano. Sono gli occhi del cuore che si aprono sulla realtà che le circonda. Raggiunte dallo sguardo di Gesù, portano impressa dentro di sé l’immagine di Lui, il Volto di quell’Amore che ha visitato e illuminato tutta la loro esistenza. Nemmeno il dramma della morte e della separazione fisica riesce a spegnere quel Sole, che mai tramonta. Anche se è notte.

“tornarono indietro”. In più conservano ancora la forza interiore per prendere decisioni, per compiere movimenti, per mettersi di nuovo in cammino. Voltano le spalle alla morte, all’assenza e ritornano, come guerriere vittoriose. Non hanno trofei fra le mani, ma nel cuore portano la certezza, il coraggio di un amore ardente.

“prepararono aromi e oli profumati”. Era, questa, un’occupazione propria dei sacerdoti, come ci dice la Scrittura (1 Cronache 9, 30); un compito sacro, una funzione quasi liturgica, come fosse una preghiera. Le donne del Vangelo, infatti, pregano e riescono a trasformare la notte della morte in luogo di benedizione, di speranza, di cura amorevole e attenta. Nessuno sguardo, nessun movimento o gesto va a vuoto, per loro. Preparano, o meglio, come si intuisce dal significato del verbo ebraico corrispondente, compongono gli aromi profumati, mischiando con sapienza gli ingredienti necessari, nella giusta misura e proporzione. Un’arte tutta femminile, tutta materna, che nasce da dentro, dal grembo, luogo privilegiato dell’amore. Il Sabato santo, del resto, è come un grembo che racchiude la vita; abbraccio che custodisce e culla la nuova creatura che sta per venire alla luce.

“osservarono il riposo”. Ma di che riposo si tratta, in realtà? Quale cessazione, quale sospensione sta avvenendo nella storia di vita di queste donne, nel profondo del loro cuore? Il verbo usato da Luca richiama chiaramente il “silenzio”, che diventa il protagonista di questo Shabbàt, Sabato santo dell’attesa. Non ci sono più parole da dire, dichiarazioni o dibattiti; tutta la terra tace, mentre soffia il vento dello Spirito (cf. Gb 38, 17) e i profumi si effondono. Solo un canto ritorna al cuore, nella notte (cf. Sal 76, 7): è un canto d’amore, ripetuto dalle donne e, insieme a loro, da Giuseppe e da chi, come lui, non vuole aderire alla decisione e all’operato degli altri (v. 51) in questo mondo. Le parole sono quelle ripetute dalla sposa del Cantico, le ultime, tenute in serbo per l’Amato, quando, proprio alla fine del Libro, essa dice: “Fuggi, o mio Diletto, simile a cerbiatto, sui monti degli aromi!” (Ct 8, 14). E questo è il grido della risurrezione, il canto di vittoria sulla morte.