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SOMMARIO 105 106 113 117 121 127 135 141 145 Editoriale Missionari nella propria terra. Una lettura delle nozze di Cana Momenti di compagnia Caratteristiche dei laici domenicani Laici domenicani compagni nella predicazione: II congresso internazionale Partire dal corpo per leggere la Bibbia Monastero domenicano “B. Margherita di Savoia” - Alba Novità librarie domenicane La famiglia domenicana nel mondo DOMINICUS N. 3/ GIU - AGO 2007 DOMINICUS EDITORIALE fra Roberto Giorgis op Amerai il prossimo tuo come te stesso. È la regola d’oro. È il pensiero che accompagna o dovrebbe accompagnare ogni decisione presa nella nostra vita. Lo abbiamo sentito ripetere tante volte nella Bibbia, nelle omelie o confe- renze. Semplici parole o buoni sentimenti? Credo proprio che non lo siano. Sono richiamo forte alla responsabilità. Narra il Talmud che un non-ebreo, un genti- le, si recò un giorno dal maestro Shamai e disse: “Se mi insegni tutta la Torah mentre sto in piedi su una sola gamba, mi convertirò”. Shamai furioso lo cacciò. Il gentile andò allora dal maestro Hillel, che aveva fama di pazien- za infinita. Hillel gli rispose: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Il resto è commento. Va’ e studia”. Secondo H. Baharier, studioso di ermeneutica biblica, la traduzione corretta della risposta di Hillel, dall’aramaico, sarebbe: “Colui che ti è nemico, non lo far pas- sare per tuo amico”. E come spiegazione aggiunge “nel decidere chi è amico e chi nemi- co tu ti assumi la terrificante responsabilità delle conseguenze della tua azione, o di ciò che discenderà dalla tua mancata azione”. Questo è il centro dell’amore come della responsabilità. Non l’obbligo generico di amare. Ma la responsabilità di assumere su di sé la possibilità di agire per gli altri come agiremmo per noi stessi. Allora amare diventa cosa concreta, e non più soltanto un buon sentimento. La pagina di don Primo Mazzolari (1890-1959), che riportiamo in terza di copertina, ce lo ricorda abbondantemente. E credere nell’amore di Dio, realizzato e compiuto in Cristo, anche per noi ha delle conseguenze improrogabili.

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SOMMARIO

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Editoriale

Missionari nella propria terra. Una lettura delle nozze di Cana

Momenti di compagnia

Caratteristichedei laici domenicani

Laici domenicani compagni nellapredicazione: II congresso internazionale

Partire dal corpoper leggere la Bibbia

Monastero domenicano “B. Margherita di Savoia” - Alba

Novità librarie domenicane

La famiglia domenicana nel mondo

DOMINICUSN.3/GIU - AGO 2007DOMINICUS

EDITORIALEfraRobertoGiorgisop

Amerai il prossimo tuo come te stesso. È laregola d’oro. È il pensiero che accompagna odovrebbe accompagnare ogni decisione presanella nostra vita. Lo abbiamo sentito ripeteretante volte nella Bibbia, nelle omelie o confe-renze. Semplici parole o buoni sentimenti?Credo proprio che non lo siano. Sono richiamoforte alla responsabilità. Narra il Talmud che un non-ebreo, un genti-le, si recò un giorno dal maestro Shamai edisse: “Se mi insegni tutta la Torah mentre stoin piedi su una sola gamba, mi convertirò”.Shamai furioso lo cacciò. Il gentile andò alloradal maestro Hillel, che aveva fama di pazien-za infinita. Hillel gli rispose: “Non fare aglialtri ciò che non vuoi sia fatto a te. Il resto ècommento. Va’ e studia”. Secondo H. Baharier,studioso di ermeneutica biblica, la traduzionecorretta della risposta di Hillel, dall’aramaico,sarebbe: “Colui che ti è nemico, non lo far pas-sare per tuo amico”. E come spiegazioneaggiunge “nel decidere chi è amico e chi nemi-co tu ti assumi la terrificante responsabilitàdelle conseguenze della tua azione, o di ciò chediscenderà dalla tua mancata azione”. Questoè il centro dell’amore come della responsabilità.Non l’obbligo generico di amare. Ma laresponsabilità di assumere su di sé la possibilitàdi agire per gli altri come agiremmo per noistessi.Allora amare diventa cosa concreta, e non piùsoltanto un buon sentimento. La pagina didon Primo Mazzolari (1890-1959), cheriportiamo in terza di copertina, ce lo ricordaabbondantemente. E credere nell’amore diDio, realizzato e compiuto in Cristo, ancheper noi ha delle conseguenze improrogabili.

Primo Articolo

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suorFabriziaGiacobbeop

MISSIONARI NELLAPROPRIA TERRAUNA LETTURA DELLE NOZZE DI CANA

La chiesa è dalla nascita votata alla missione (At 1,8), “estroversa” di natura. Ecosì i religiosi: missionari per “professione”, non hanno ragion d’essere se nonin vista dell’annuncio del Vangelo. Una lettura del brano giovanneo dellenozze di Cana (Gv 2,1-12) può aiutarci a cogliere alcuni spunti di riflessionesulla missionarietà della vita cristiana ed in particolare della vita religiosa.

Il terzo giorno ci fu uno sposalizioNon un giorno qualunque ma il terzo giorno: giorno della risurrezione, dellanuova alleanza. L’episodio non dipinge evidentemente un semplice quadrettodi vita familiare, ma è il compendio di tutto il Vangelo, di quella buona noti-zia che siamo chiamati nella missione ad annunciare: la venuta di Gesù nellastoria e il suo mistero pasquale fanno sì che diventi possibile quella comunionepiena tra Dio e l’umanità (sono loro i due sposi, volutamente senza volto nelracconto) rappresentata dalle nozze. C’è una perfetta corrispondenza tra il primo dei “segni” (Gv 2,11) in Giovan-ni e le prime parole di Gesù in Marco, anch’esse riassuntive di tutto il Vangelo:“il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Cana è l’immagine del regno di Dio ormai presente e operante nella storia conla sua forza trasformante, ecco il mutamento dell’acqua in vino.

... a Cana di GalileaLa missione non richiede sempre viaggi, partenze per terre lontane; richiede diannunciare il Vangelo là dove si è, nell’intreccio delle relazioni, nei luoghidegli incontri quotidiani. Cana può essere l’immagine della piccola porzione di mondo in cui viviamo:da un lato il banchetto di nozze, richiamo alle relazioni parentali ed amicali, diaffinità e vicinanza; dall’altro essa è borgata della Galilea, frutto di incroci dirazze e fedi religiose. Così è la nostra quotidianità: segnata dall’incontro di volti familiari e stranieri,di lineamenti noti e fattezze sconosciute, di persone che condividono la nostrafede ma ancor più di cosiddetti “lontani”, spesso in realtà assai vicini, internialle nostre stesse famiglie. In questa terra variegata per culture, lingue, abitudi-ni, gusti, interessi e fedi religiose, siamo chiamati a vivere da missionari, conuna duplice consapevolezza: innanzitutto la coscienza che ciò che accomunatante diversità è il desiderio della festa; la felicità, la gioia, la comunione sonolo scopo della vita di ogni uomo e di ogni donna.

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In secondo luogo, che tale felicità piena, quel vino nuovo che dà sapore parti-colare ad ogni cosa, è accessibile a tutti, è quanto Dio desidera donarci.

C’era la madre di Gesù Possiamo leggere in lei l’immagine della Chiesa ma anche della vita religiosa.Due le caratteristiche fondamentali, senza le quali non si dà missione alcuna:fedeltà a Dio e fedeltà al mondo. Innanzitutto fedeltà a Dio: Giovanni apposi-tamente non la chiama Maria, ma “la madre di Gesù”, per dire che la sua iden-tità profonda sta tutta nel riferimento a lui, nel lasciarsi da lui costantementeplasmare e ri-orientare, come la vita di una madre è continuamente trasforma-ta dalla presenza di un figlio. Dall’altro lato fedeltà al mondo: ecco il senso della presenza alla festa di nozze.La missione ci richiede innanzitutto di esser presenti tra i nostri fratelli e sorel-le, con quel desiderio di condivisione che la stessa scelta di presenza lascia tra-sparire. Scriveva Annalena Tonelli: “i piccoli, i senza voce, quelli che non conta-

La vita di unamadre è conti-nuamente tra-sformata dallapresenza di unfiglio.Cana,stampa franceseXVI sec. (?)

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no nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di Dio, i suoi prediletti, hannobisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro e per loro e non importa nulla se lanostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano”. Prima di dire o di fare qualcosa, la missione è uno stile di presenza; uno stileche sappia comunicare uno sguardo positivo sul mondo, profondamente inna-morato. Forse anche questo può suggerirci Giovanni: prima di sottolineare ciòche manca al mondo (non hanno più vino), lasciamoci invitare alle sue feste;cerchiamo di vedere e di accogliere con gratitudine quei desideri umani divita, gioia, pace e comunione che senz’altro vanno fatti crescere, ma in cuiDio è già presente. Teniamo a mente l’invito che il Signore rivolge a Mosè nell’affidargli la suamissione: “togliti i sandali dai piedi perché il luogo sul quale tu stai è una terrasanta!” (Es 3,5). Saremo soltanto profeti di sventura e non annunceremo nes-suna buona notizia, nessun Vangelo, se non sapremo vedere nel mondo chediciamo profano e irrimediabilmente secolarizzato una “terra santa” da amarecon rispetto.

Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli“Terra santa” perché santificata dalla presenza di Gesù: “io sono con voi tutti igiorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20); il terzo giorno, come il settimodella creazione, è senza tramonto. La presenza di Gesù non viene meno, anchese tende a passare inosservata; agli occhi del mondo sono altri “i grandi”!Quelli però da cui sembrano dipendere le sorti dell’umanità e la soluzione ditutti i problemi fanno continuamente la figura del maestro di tavola chedovrebbe assicurare la riuscita della festa e invece… si trova senza vino!

Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hannopiù vino”Per quanto possa essere ben organizzata la festa della vita, l’uomo da solo nonne può garantire la riuscita; abbandonato alle proprie forze, finisce per incor-rere in scottanti delusioni. La nostra missione è anche percepire e denunciarein modo profetico, quali “sentinelle” nella città, secondo la bella immaginedell’A.T., i luoghi del possibile fallimento umano. “Non hanno più vino” non èuna semplice constatazione oggettiva ma, come ebbe a scrivere don ToninoBello “un grido d’allarme che sopraggiunge per evitare la morte del mondo”1.Allarme e preoccupazione di chi sente con compassionevole partecipazione leurgenze del proprio tempo, le urgenze di un mondo che boccheggia per tantimotivi: guerre, violenze, fame, incapacità di dialogo e condivisione a tantilivelli. Grido d’allarme che può lanciare soltanto chi conosce a sufficienza l’a-more di Dio ed ha perciò la sensibilità necessaria per capire dove ce n’è oggimaggiormente bisogno (può sentire l’assenza del vino soltanto chi ne conoscabene la preziosità ed il sapore). Grido d’allarme che dice consapevolezza dellepovertà, ma anche piena fiducia in un Dio che ascolta ogni grido e ci conduceverso un futuro di vita, gioia e riconciliazione. Di fronte alla mancanza piùgrave, quella di senso e di futuro, missione della vita religiosa è essere segno di

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un regno di Dio che, benché piccolo granello di lievito, sappiamo capace difar fermentare tutta la pasta.

E Gesù rispose: “che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”Sapere in che direzione cammini la storia e quanto vi sia decisiva la presenzadel Signore non rende immuni dalla sofferenza. Possiamo leggere, di frontealla reazione di Gesù, la dura esperienza del silenzio di Dio, della fatica delcredere, della pazienza che ci è chiesta nell’attesa che il bene si affermi. Nonsaremo missionari autentici del Vangelo se non sapremo testimoniare il mes-saggio pasquale nella sua interezza: messaggio di gioia e di speranza innanzi-tutto, al punto che, come affermava p. Byrne, un predicatore che non sia ingrado di dire una parola di speranza non ha diritto di predicare. Però la gioiacristiana non è superficiale allegria o spensieratezza, e la speranza cristiana nonsemplice ottimismo; sono la gioia e la speranza che sgorgano dalla profonditàdi un’anima che conosce il passaggio della croce nella sua durezza e nella suafecondità. Conservare, nei momenti di buio, la fiducia nel Signore della vitache vince ogni morte costituisce una vera testimonianza di fede cristiana. Cosìfa qui Maria, la cui perseverante speranza non andrà delusa; così può fare lavita religiosa, cogliendo perfino nell’attuale precarietà un’opportunità da nonsprecare.

“Fate quello che vi dirà”Questa frase richiama la stipulazione del patto tra Dio e il suo popolo (Es19,8). L’approdo ad un rapporto personale di alleanza, di amicizia con Dio èl’esito auspicabile di ogni missione. Sono, queste, le ultime parole di Maria nelVangelo, perché, detto ciò, è detto tutto. La nostra missione non ha altro scopose non svolgere questo ruolo umile di mediazione tra Dio e mondo: presentarea Dio il mondo – “non hanno più vino” – e rinviare il mondo a Dio – “fatequello che vi dirà”. Tale rinvio può avvenire in modo esplicito oppure implicito,attraverso segni anche modesti ma significativi. Se don Tonino Bello richiama-

Occorre mo-strare il poteredei segni a co-loro che mostra-no i segni delpotere “fate tut-to quello cheegli vi dirà”

va l’urgenza di opporre “il potere dei segni a coloro che mostrano i segni delpotere”, la scelta della vita religiosa oggi risponde esattamente a questa istanza:essere un segno la cui forza risiede nella rinuncia, attraverso l’obbedienza, lapovertà e la castità volontarie, ad ogni forma di umano potere.Rinviare a Dio significa ricordarsi che lui è il protagonista della missione eallontanare così ogni presunzione e tentazione di confidare soltanto nei proprimezzi; significa non spaventarsi delle proprie imperfezioni e limiti, rappresen-tati dalle sei giare di pietra, di cui Dio non esita a servirsi; significa vivere nellapace, sapendo che tutto è nelle sue mani e che il regno di Dio cresce, come unbuon seme, sia che il contadino vegli sia che dorma (Mc 4,26); significa anco-ra, senza rinunciare alla propria responsabilità, saper rendere altri collaboratoridella missione: come non tutto dipende da noi, così non dobbiamo essere noia far tutto. Missione è anche incoraggiare e far crescere i doni che altri hanno,in modo che insieme ci si metta al servizio del regno di Dio; in modo che ilVangelo non si affermi soltanto come contributo nostro al mondo, ma anchecome frutto di quanto altri possono testimoniare ed insegnarci, talvolta senzaneppure esserne coscienti. Come avviene ai servi di questo brano, che nonsanno di portare al maestro di tavola giare colme di vino nuovo, così la nostramissione è chiamata a far emergere la portata evangelica di tante testimonian-ze di umanità che nascondono (o rivelano, per chi sa leggerle) l’azione delloSpirito Santo sempre all’opera nella storia.E ancora: la madre può chiedere ai servi di fare ciò che Gesù dirà, perché leiper prima ha saputo accogliere il suo volere; così non possiamo dimenticareche la nostra vita e le nostre parole non avranno alcuna autorità se non nasce-ranno dal costante riferimento al Signore e alla sua Parola. Non possiamoinvitare altri ad affidarsi a Dio se non siamo capaci di testimoniare che ilSignore è il centro della nostra vita; chiediamoci se tante volte non valga pernoi il rimprovero che rivolgiamo al mondo secolarizzato quando diciamoch’esso ha fatto di Dio un emarginato.Il brano giovanneo ci suggerisce infine che la missione autentica è quella “a

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LOUIS KAHN,Nozze di Cana,1975, coll. privata

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fondo perduto”. La straordinaria abbondanza del dono del vino nuovo (circa600 litri!) non suscita gratitudine nei confronti di Gesù (dal maestro di tavolai meriti vengono attribuiti allo sposo); neppure ci viene detto che qualcuno siunisca, a seguito di quell’evento, alla piccola comunità dei discepoli. Se il desi-derio di successo e di gratificazione è umano, a noi, come a Gesù, è chiesto didare testimonianza di una logica diversa: quella della gratuità, la logica dello“spreco” che abbiamo scelto, a suo tempo, decidendo di dare la vita per ilVangelo.

NOTE1 TONINO BELLO, Maria donna dei nostri giorni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994.

p. 106: GIOTTO, 1303-1305 c., Nozze di Cana, Cappella degli Scrovegni, Padova.

Missione è anche in-coraggiare e far cre-scere i doni che altrihanno, in modo cheinsieme ci si metta alservizio del regno diDio; in modo che ilVangelo non si affer-mi soltanto comecontributo nostro almondo, ma anchecome frutto di quantoaltri possono testimo-niare e insegnarci, tal-volta senza neppureesserne coscienti.Giovane portatored’acqua in Bangladesh

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MOMENTI DI COMPAGNIA I novizidomenicanidi Chieri

Ogni sabato, al mattino, dopo la preghiera comunitaria, noi novizi, da Chie-ri ci avviamo verso Agliè, presso il santuario santa Maria della Rotonda. Dacirca una ventina d’anni questo è la sede di una comunità di accoglienza,recupero e reinserimento di ex-carcerati, e non, con problemi di alcolismo otossicodipendenza; nella comunità “Santa Maria della Rotonda” è responsabi-le ed opera fra Giordano Grosso, domenicano.Il nostro andare di sabato in sabato riserva ogni volta qualche sorpresa: appa-rentemente raggiungiamo un luogo, ci muoviamo per fare una nuova espe-

rienza carica di attese. Partiamo da ciò che abbiamo vissuto la settimanaprima pronti ad accogliere le novità che l’oggi ci darà. Ogni sabato c’è qualco-sa di nuovo. A volte non rincontriamo più volti che ormai ci erano familiari.

Imparare ad ascoltareSpesso in automobile, ascoltiamo un po’ di musica o parliamo, ma chilometrodopo chilometro cresce la voglia di ritrovare volti, storie, sguardi ormai fami-liari, che, come tante volte è capitato, magari neanche rivedremo perchédurante la settimana non hanno retto e hanno abbandonato la comunità. Quell’Ecco l’Agnello di Dio, che prende su di sé il peccato e le miserie umane di

Facciata della chiesadi santa Maria dellaRotonda ad Aglié,Torino

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cui ci siamo appena nutriti durante la celebrazione comunitaria, diviene laSperanza che in mezzo alle macerie umane, dove nessuno oserebbe scavare, c’èqualcuno che scava a mani nude e vi trova la Vita, anche se ferita spesso nonda mani sconosciute, ma dalle proprie. Il vedersi per la prima volta o il rivedersi, diviene reciproco ascoltarsi. Comesan Domenico con l’oste, proviamo ad ascoltare il dolore dell’uomo, o a starecol dolore dell’uomo, anche se spesso rimane celato o chiuso a doppia manda-ta. Non è cosa facile. In tanti ci chiedono: “che cosa fate quando siete lì?”. A questa domanda nonc’è una risposta esaustiva. Siamo lì, accanto a loro, a volte a vedere nei loroocchi la paura di tornare alla vita passata o dietro le sbarre o a tutte le altreconseguenze che portano al naufragio dell’uomo. Siamo lì accanto a chi sisente dire: “tu non vali nulla”, o molto peggio, “per te non c’è speranza”. Qualche volta leggiamo in quei volti che ci guardano: “ma tu che sei liberoperché vieni qui?”. Una stretta di mano, un abbraccio, un saluto caloroso,

uno ciao a distanza, un chiamarsi per nome, un conoscere la propria storia,un superare la soglia della diffidenza e della bugia, un caffè, un giro per l’orto,una visita all’officina o alla falegnameria o alla serra o al pollaio… un pranzo.Gesti normali e spontanei che ognuno può fare in qualsiasi ambiente, ma chein luoghi come questo danno il tono della normalità dell’essere famiglia, permolti di essi dimenticata, o ancora peggio, mai vissuta veramente.

Ospiti della comunitàalle prese con attivitàdi laboratorio manuale

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Imparare ad accogliereIl recupero e il reinserimento passa attraverso la “Verità”. Guardarsi per ciòche si è o si è diventati, senza aver paura di ascoltare ciò che hai da dire su testesso, aprendo le porte che introducono a quelle scale che scendono nelprofondo del Sé. Il reinserimento passa, forse, attraverso l’imparare ad accet-

tarsi, senza dover più incolpare solo gli altri per ciò che si è diventati. Rimaneil buio dello scendere gradino dopo gradino nella propria storia, e noi provia-mo, con tutte le nostre insicurezze e come possiamo, a far loro compagnia.Un ascolto che parte da un tacere. Il nostro non vuole essere un silenzio cupo,proviamo a trasformarlo in un po’ di luce: luce calda, accogliente, ricca di spe-ranza di un nuovo inizio. Cerchiamo di stare con loro senza sbarre o pregiudi-zi. Non abbiamo dita da puntare. Molti sono già coscienti di essere o sentirsiun cumulo di macerie. Stiamo con loro ricordando prima di tutto a noi stessicome il primo giorno dopo il sabato la vera Vita si sprigiona dal luogo della“non-Vita”. Certamente per noi condividere questa esperienza è significatoanche aprirci a ciò che fra pochi mesi desideriamo vivere nelle mani dei nostriprovinciali: consacrarci ed essere dono; pane per rinfrancare chi ha bisogno diincontrare Dio. Proprio come san Domenico proviamo a rivivere il suo mododi andare, vedere, incontrare e ascoltare per traghettare l’uomo bisognoso dimisericordia nella serenità che solo Dio in fondo sa dare. Non andiamo adimparare un metodo o una tecnica di relazione, ma proviamo a vivere ciò cheil Vangelo ci dice: “Zaccheo [...] oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc19,5). Cifermiamo in una casa, in un luogo dove si ascolta il silenzio e il prorompere diuna volontà indebolita e incapace di dire basta col passato. Ci fermiamo in

Una stretta di mano,un abbraccio, un sa-luto caloroso, unciao a distanza, unaparola scambiata,gesti normali...

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una casa dove si impara nuovamente a camminare. C’è chi prova e che ripro-va, c’è chi resiste e chi invece fugge via; c’è chi in un solo istante vanifica illavoro e i sacrifici di mesi o di anni; c’è chi ha paura di tornare a vivere nel

mondo esterno. Gli insuccessi sono pane quotidiano, eppure si ricominciacon nuovi volti, nuove storie, animati da quella sana caparbietà evangelica dichi spera oltre ogni speranza umana. Questa comunità non fa miracoli! Avolte, sotto gli occhi sembra di vivere anche quelli, ma è già grandioso seaccanto al lungo elenco di chi non è riuscito e chissà dove si trova in questomomento, c’è qualcuno che può dire in cuor suo: “ho avuto giorni di compa-gnia”. Forse in fra Giordano, negli operatori e i nei volontari c’è il riflesso diquello “strano viandante” che incontrarono i discepoli di Emmaus lungo ilcammino, che scaldò il loro cuore, che stette con loro nel buio della sera. Spe-riamo d’aver dato anche noi il nostro piccolo contributo, anche se, dettosenza nessuna retorica, ciò che abbiamo ricevuto da questi fratelli e da questesorelle è molto più di ciò che abbiamo saputo dare. Andando, vedendo,incontrando, condividendo e arricchendosi di ciò che nella sua semplicità lacomunità di santa Maria della Rotonda sa offrire, fosse anche solo la veduta diuno splendido paesaggio sulle Alpi, o di una buona pizza mangiata in compa-gnia, siamo sicuri che l’esperienza è già profonda.

C’è chi prova o cheriprova, c’è chi resiste!

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CARATTERISTICHEDEI LAICI DOMENICANI

Maria GraziaTinarelliCorticellilaica op

Alcune considerazioni sull’art.4 della Costituzione Fondamentale del Laicato o.p.

Proseguendo nella presentazione degli articoli della Costituzione Fondamen-tale del Laicato domenicano, ne esamineremo ora il 4°. Esso esprime in sintesiciò che verrà poi sviluppato nei successivi, ciascuno dei quali meriterà senz’al-tro una trattazione dettagliata.

Art. 4 I laici domenicani si contraddistinguono in modo peculiarenella Chiesa, sia per la propria vita spirituale, sia per il servi-zio di Dio e del prossimo.Quali membri dell’Ordine ne partecipano la missione aposto-lica con lo studio, la preghiera e la predicazione, secondo lacondizione propria dei laici.

Fin da una prima lettura alcuni termini colpiscono per la loro rilevanza esaranno oggetto della mia riflessione: vita spirituale, servizio, missione aposto-lica, condizione propria dei laici.Ciascuno di noi sa che cosa significhi incontrare Domenico e sentirsi chiama-to a condividere il suo sogno. È un’esperienza forte ed impegnativa, un eventoche cambia la vita. Ma che cosa spinge un laico a seguirlo, che cosa ha spintome ? Credo innanzitutto l’amore per la Verità.Il laico che, aderendo al progetto di Domenico in forza della Promessa vieneincorporato nell’Ordine, è una persona che non solo ama la Verità, ma che fadella Verità un programma di vita: vivere la verità per poterla donare ai fratel-li. Il progetto è semplice ed essenziale, ma richiede l’impegno dell’intera esi-stenza! Sarebbe, perciò, sbagliato considerare questo momento come un punto diarrivo, anzi è l’inizio di un cammino di conversione. San Domenico voleva che i suoi fossero uomini evangelici, ma per vivere ilVangelo bisogna innanzitutto imparare ad essere docili, lasciarsi, come dicevasan Paolo, trasformare dal Signore, cercare di essere pazienti e mansueti percombattere il buon combattimento della fede e conquistare, così, la vita eter-na (cf. 1 Tm 6, 11-12). Una tale scelta implica, quindi, non solo l’aspetto spirituale, ma anche quellomorale ed etico della propria vita. Il laico non è solo in questo cammino, poi-ché ha fratelli e sorelle che lo Spirito ha posto al suo fianco nel nome di Cri-sto: il sì di ciascuno si proietta nella Fraternita ed essa diventa comunità e lacomunità si fa Chiesa. Essere membri di una Fraternita significa inserirsi nel Signore, cioè nel suo

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Corpo Mistico che è la Chiesa, da laici domenicani. La conversione, la comu-nione, l’adesione personale alla chiamata, con tutto ciò che essa implica, sonole tappe della santificazione personale. Ciascuno dovrà metterle in pratica quotidianamente, nella relazione con lapropria famiglia e, se è sposato, nel sacramento del matrimonio, che è il cam-mino di santificazione reciproca dei coniugi. La Fraternita, infatti, non è una

realtà che ci distoglie dai nostri impegni, ma la sede in cui il camminodi conversione e di santificazione si compie, si trasfonde e si amplifica.Dio, infatti, vuole che siamo santi. È un’esperienza di comunione, è un’opportunità che ci viene data perrealizzare il Regno, possibile tuttavia solo se si è aperti al dono della gra-zia nell’esercizio della carità reciproca.

“Che cosa chiedi?” ci domanda chi presiede il rito della nostra professio-ne. “La misericordia di Dio e la vostra”. L’inizio della nostra vita domenicana, l’ingresso nell’Ordine è, dunque, con-traddistinto da questa richiesta precisa. Riconoscere l’Amore di Dio, chiederela sua misericordia e quella dei fratelli significa anche impegnarci a ridonareciò che noi stessi abbiamo ricevuto.

La tendresse, Montréal.L’esperienza del-la comunione èun’opportunitàper realizzare ilRegno

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Il laico domenicano, lungi dall’essere un cristiano D.O.C., riconosce la propriamiseria, comprende che in questo cammino di santificazione reciproca habisogno dei propri fratelli, sa che non contano le grandi imprese, ma i piccolipassi di ciascuno e che l’obiettivo non può essere quello di ottenere umanesoddisfazioni o facili successi. Si sforza di accogliere con fede, con speranza e con amore la volontà del Padree vede che la strada verso la Santità muove da due presupposti: il sacramentodella penitenza e la celebrazione dell’Eucarestia. La misericordia verso i fratelli, effetto dell’amore, sollecita il laico domenicanoa vivere nel mond animato da uno spirito di servizio, poiché Gesù stesso cidice di essere venuto non per essere servito, ma per servire. Ispiratrice emodello la Vergine Santissima, che l’ordine venera soprattutto come Madre diMisericordia.

Il beato Domenico voleva i suoi sempre intenti allo studio, alla preghiera, parlandocon Dio, o alla predicazione, parlando di Dio (Processo di Bologna, n. 32,41).

Che cosa significa, infine per un laico “partecipare alla missione apostolica del-l’Ordine con lo studio, la preghiera la predicazione”? Ancora una volta guardia-mo al Santo Padre Domenico come a un modello.Un laico non deve solo riservare tempo alla preghiera nella propria vita, maimparare a vivere pregando.

Cattedrale di Hereford.Non contano le grandiimprese, ma i piccolipassi di ciascuno.

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Quanto allo studio, il riferimento viene ancora una volta dallo stile di vita diDomenico: i suoi biografi ci raccontano che portava sempre con sé il Vangelo,le lettere di san Paolo, gli Atti degli apostoli. Ecco quali devono essere i puntidi partenza, i testi-base per la formazione dei laici domenicani.

E per ultimo la predicazione. Mille sono le occasioni che nella vita ordinaria sipresentano ad un laico di parlare di Dio. Ciascuno lo fa nella propria condizione, secondo i propri talenti, secondo lapropria cultura, ma soprattutto attraverso la testimonianza della propria vita.

Mille sono le manie-re per predicare: cia-scuno lo fa secondoi propri talenti

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LAICI DOMENICANI COMPAGNI NELLA PREDICAZIONE.

II CONGRESSO INTERNAZIONALE

IrenaLarcanlaica domenicana

Raccontare in poche righe quanto i rappresentanti (ed io fra questi!) delleFraternite Laiche Domenicane di tutto il mondo hanno vissuto insieme al IICongresso internazionale, mi sembra una impresa quasi impossibile. Mi occor-rerebbe uno spazio maggiore e la capacità di fare rivivere sulla carta la gioia,l’entusiasmo, la fatica, le riflessioni di una settimana in cui la condivisione, ildialogo, il dibattito, il lavoro comuni hanno permesso a ciascuno dei parteci-panti di affacciarsi ad “una finestra che si apre per mostrarci paesaggi differenti,culture diverse, esperienze distinte che mormorano, molto al di là delle lingue, unamedesima melodia: Laudare – Benedicere – Praedicare”, come il provinciale del-l’Argentina, fra Javier Pose, ha definito il congresso dando il suo benvenuto aicongressisti.Prosperina Vitale (Presidente provinciale della provincia san Tommaso d’A-

quino), Giacomo Bertolini (esperto di diritto canonico, invitato dal Maestrodell’Ordine) ed io siamo partiti con grande trepidazione, coscienti dellaresponsabilità di rappresentare le nostre fraternite e incerti su cosa ci si aspet-tasse da noi. “Abbiamo viaggiato da diversi paesi, abbiamo percorso grandi distanze da tanti etanto differenti paesi e continenti. Un lungo viaggio per celebrare uniti l’Eucari-stia e l’inizio di questo congresso. Sono passati 22 anni dal Congresso di Montréal

Celebrazione Eucaristicadi apertura del II Con-gresso della FLD a Bue-nos Aires, Argentina

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(1985) ed aspettavamo da tempo di poterne organizzare un altro”, ha sottolinea-to fra Carlos Azpiroz Costa, nell’omelia dell’Eucaristia celebrata il 18 marzonella basilica di Nostra Signora del Rosario del Convento santo Domingo a

Buenos Aires, celebrazione cui ha partecipato anche tutta la Famiglia Dome-nicana locale. Riflettendo sulla parabola del figlio prodigo ed applicandolaalla vita domenicana, fra Carlos ha detto che all’interno di essa possiamoosservare diversi modi di “misurare” Dio e gli altri: il figlio minore ha unmodo di “misurare”. Per lui felicità è “la parte che mi spetta”. La vita lo cam-bierà per cui in seguito la misura della sua felicità saranno le ghiande che nes-suno gli dà. E più tardi penserà al pane dei lavoratori di suo padre…Il figlio maggiore non ha mai disobbedito, lavora sempre. Ha però una misu-ra della sua felicità. È un capretto che rimprovera al padre di non avergli maidato.Il padre come misura della felicità ha “Tutto ciò che è mio è tuo”.Questa si presenta come una bella analogia per parlare dell’Ordine e tuttiquelli che, in un modo o nell’altro, facciamo parte dell’Ordine e abbiamoricevuto da Dio la riconciliazione in Cristo, come dice San Paolo. Egli ci haincaricato del ministero e della parola di riconciliazione.“La misura dell’amore è amare senza misura”. Siamo nell’Ordine ed abbiamocome misura della nostra felicità l’infinita misericordia del Padre per offrirla atutti.I lavori del Congresso hanno avuto il loro inizio vero e proprio il 19 marzo,festa di san Giuseppe, figura che il Maestro dell’Ordine ha scelto per una suariflessione in relazione al tema del Congresso “Essere Compagni…”.

Anche condividere ilpasto diventa occasio-ne importante per co-noscere e scoprire lavitalità delle fraternitesparse nel mondo

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Il Vangelo ci dice che Giuseppe è giusto. E nell’AT è la virtù per eccellenza.Giusto è colui che opera la giustizia, cioè la costante volontà di dare a ciascu-no il suo, cioè il suo diritto.La giustizia è l’unica virtù cardinale che necessita dell’altro. Per praticare la giu-stizia è essenziale la presenza dell’altro. Nonostante la lotta, Giuseppe riconoscel’esistenza dell’altro, di Maria e dei suoi sogni in cui non c’è posto per lui.

Perché stiamo in questo Congresso?Prima di tutto per ascoltarci reciprocamente. L’ascolto è la chiave per l’obbe-dienza, specie nella tradizione domenicana.In secondo luogo siamo qui riuniti per pronunciare gli uni gli altri parole digrazia e di verità. Non siamo qui per sapere chi siamo o chi non è dei nostri e

dichiararlo pubblicamente e informarne il mondo. Stiamo qui per scoprire erinnovare la nostra vocazione come compagni nella predicazione e per tentaredi raccogliere compagni nella predicazione. Lo faremo con molta pazienza equesto esige molte volte “sangue, sudore e lacrime”.Lo stesso spazio offerto agli altri per ascoltarli ed offrire una parola ci permet-te di farci difensori e “avvocati” dei sogni degli altri.Con tre domande provocatorie, riprese dai suoi tre predecessori alla guida del-l’Ordine, fra Carlos ha concluso la sua riflessione e dato inizio ai lavori dellecommissioni. Fra Vincent de Couesnongle soleva riferirsi a Domenico che sognava di andaread evangelizzare i Cumani, un popolo ai confini della cristianità. E fra Vincentsfidava l’Ordine con queste parole: “Chi sono i nostri Cumani?”.

Compagni nella pre-dicazione, anche inun momento di ripo-so e distensione

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Fra Damian Byrne, di fronte alle lamentazioni sulla mancanza di vocazioni,insisteva nel dire che prima di chiederci perché non abbiamo vocazionidovremmo domandarci perché le chiediamo?Fra Timothy Radcliffe chiedeva: “siamo disposti ad accettare nelle nostrecomunità nuovi san Tommaso o santa Caterina che scuotano le nostre sicu-rezze e la nostra tranquillità”?I delegati si sono confrontati su vari temi nelle sei commissioni:Preghiera e Predicazione; Studio e Formazione; Governo: Regola e Statuti; Orga-nizzazione e Struttura; Finanze ed Economia; Presenza dei laici nella FamigliaDomenicana e nella Chiesa.Temi di sempre, ma che il lungo tempo intercorso tra i due congressi interna-

zionali hanno reso indispensabili. È significativo anche che questo congressosi celebri durante l’anno giubilare delle monache, la cui fondazione risale adottocento anni fa.Temi che sono alla base del nostro impegno cristiano e domenicano e chesono stati presenti nella ricerca di mantenimento delle tradizioni delle frater-nite, di cambiamenti necessari per il loro rinnovamento, e per formulare pro-getti per l’accoglienza, la formazione e la predicazione, che tengano contodelle differenze di luoghi e di culture, ma che parlino un linguaggio comune eci permettano di dialogare sulle medesime basi pur nel rispetto della creativitàdi ciascuna fraternita.Volendo sintetizzare le decisioni del Congresso potrei dire che le novità sonopoche ma importanti.Necessità di una maggiore organizzazione e di strutture più operative per cuisi decide la costituzione di una segreteria del laicato presso la Curia generalizia

I volti del Congresso

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a santa Sabina, in Roma, presso la quale fare convergere le informazioni, leattività, i progetti da tutte le fraternite del mondo e dalla quale essere infor-mati su tutto quanto riguarda il laicato domenicano. Per questo serviziooccorre una persona che lavori a tempo pieno e quindi stipendiata.A questo scopo è indispensabile la costituzione di una cassa del laicato inter-

nazionale che garantisca i vari servizi: Ogni Provincia verserà un contributofinanziario di 2 euro per persona entro la fine di ogni anno.Ci sarà una revisione della Regola, adeguando la terminologia ai nostri tempied eliminando quei termini propri della vita religiosa.Il Maestro dell’Ordine, presente durante tutto lo svolgimento del Congresso,si è impegnato a fare delle Dichiarazioni generali per attualizzare la Regola.Le province o le nazioni che ancora non hanno un progetto di formazionesono invitate ad elaborarlo sia per la formazione iniziale che per quella perma-nente.La bellezza di un convegno sta, oltre che nel confronto sui temi stabiliti,anche e soprattutto nei calorosi incontri, nella ricchezza delle esperienze con-divise, nella gioia della preghiera comunitaria, nell’allegria dei momenti didistensione, nell’attenzione delle monache argentine che hanno partecipatoall’evento con la preghiera e con le deliziose “dolcezze”che le loro mani hannoconfezionato per noi. Sta nei tanti volti e nelle storie personali di ciascuno deidelegati, nella storia dei tanti paesi e nella loro testimonianza cristiana fra dif-ficoltà di ogni tipo.“Compagni” è una parola composta da due termini latini cum e panis ed indi-ca le persone che hanno mangiato insieme lo stesso pane. Mi sembra che siastata scelta bene e che esprima bene il nostro essere domenicani, il condivide-

Il Maestro dell’Or-dine, fra Carlos A.Azpiroz Costa, in-troduce i lavori delCongresso

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re ed il mangiare dello stesso pane, quello che Domenico ha voluto per i suoifigli e le sue figlie.Durante il Congresso il pane quotidiano lo abbiamo condiviso in momenti digrande convivialità ed allegria, il pane Eucaristico nei momenti intensi delleS. Messe celebrate alla fine della giornata, il Pane della Parola nelle riflessioniche alcuni dei delegati hanno offerto durante la celebrazione della Liturgiadelle Ore ed il pane delle nostre esperienze di predicazione e della vita dellefraternite durante i lavori nelle commissioni di studio e nelle assemblee plena-

rie dove, secondo la consuetudine della democrazia domenicana, sono statediscusse e votate per l’approvazione le proposte scaturite dal confronto nellecommissioni.E come diceva fra David Kammler, nuovo promotore generale che sostituiscefra Jerry Stoockey, la conclusione del Congresso è un inizio, come Ite, missa estconclusivo di ogni Eucaristia è un mandato: “Andate, ora comincia la missione.Siamo inviati come predicatori del Vangelo e Compagni nella predicazione!”.

La Presidente provin-ciale, Irene Larcan, conalcuni partecipanti alCongresso

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PARTIRE DAL CORPOPER LEGGERE LA BIBBIA

fraPhilippeLefebvreop

Vorrei mostrare1, con un esempio preciso, Giudici 19, come la Bibbia pre-senta un corpo e il suo tormento, e più precisamente come il testo si costrui-sce attraverso il corpo, si sviluppa di libro in libro come un’onda d’urto pro-dotta da questo corpo. Ci sono dei testi biblici in cui il corpo non è il sogget-to, ma il principio di organizzazione e di sviluppo.

Corpi di donna beffeggiati (Giudici 19)La storia tragica che riassumerò è narrata per esteso nel libro dei Giudici alcapitolo 19 e ha delle ripercussioni immediate sui due capitoli successivi cheterminano il libro, innescando una lettura della storia che si estenderà ai librisuccessivi.Al tempo dei Giudici un levita (un uomo appartenente alla tribù sacerdotale diIsraele) vive con una concubina nelle montagne di Efraim. Questa ritorna avivere con suo padre a Betlemme. Il levita va da suo suocero per “parlare al

cuore” della sua amata. Dopo diversi giorni di ospitalità ricevuta decide diritornare a casa sua, con il suo domestico e la sua amica riconquistata. Giuntaimprovvisamente la notte, non vuole dormire in una città pagana e decide direcarsi a Gàbaa, situata nel territorio di Beniamino. Nessun abitante della città

Allora il levita afferròla sua concubina e laportò fuori da loro.Essi la presero e abu-sarono di lei tutta lanotte fino al matti-no; la lasciarono an-dare allo spuntar del-l’alba (Gd 19,23)

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vuole ospitarlo, se non un vecchietto. Ben presto i cittadini accerchiano ladimora e reclamano il levita per violentarlo. L’anziano propone di dar loro suafiglia, che è vergine, e la concubina. Per farla breve il levita prende la sua amicae la abbandona agli assalitori notturni. La donna è violentata e si trascina, ilmattino, sulla soglia della casa dell’anziano, nella quale il suo amico si è barri-cato, per morirvi. Questi prende il corpo della donna, ritorna a casa sua e lataglia in dodici pezzi che manda alle dodici tribù d’Israele come testimonianza.L’insieme della tribù di Beniamino copre i misfatti degli abitanti di Gàbaa etiene testa alle undici tribù che chiedono di rendere conto dell’accaduto. Nesegue una guerra civile (Gd 20-21). Beniamino è vinto, le undici tribù rifiuta-no di dare le loro figlie in sposa ai beniaminiti. Questi ricevono però dai lorofratelli ebrei le vergini di Iabes di Galaad, una città israeliana traditrice. Laviolenza fatta ad una donna si amplifica e tocca altre donne. Così finisce illibro dei Giudici.

Corpo e sacro: la presenza di DioGiudici 19 è un testo scomodo, insopportabile. La donna violentata restaanonima, non ha uno statuto ufficiale, non la si sente mai parlare. Ma tutto iltesto è abitato dal suo corpo: gettato sulla strada, abusato da una ressa di

uomini, sfinito davanti alla porta, portato via dal levita, smembrato. L’ultimogesto, orribile, propaga questo corpo alle dimensioni di Israele: dodici pezzi edodici tribù, un solo corpo e un solo popolo.Durante la notte barbara, dov’è Dio? Il levita, così preoccupato di non dormi-re in una città pagana, dimentica rapidamente la sua religione quando soprag-

Manifesto dell’OMScontro gli abusi ses-suali alle donne

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giunge il pericolo. Non invoca Dio, non si presenta alla porta per affrontaregli abitanti di Gàbaa. Trova invece nella sua concubina la vittima designata.Né lui né altri chiedono un parere alla donna o a Dio.La vocazione di un levita è quella di essere offerto al Signore al posto di unprimogenito d’Israele (Numeri 3,11-13). Ogni levita è dunque un’offertaviva, che sostituisce i primogeniti anticamente offerti alla divinità. In Giudici19 è il corpo della donna che sostituisce quello del levita voluto dagli abitanti;ella è offerta perché il gruppo possa vivere in pace nella casa. La vocazione diun levita è anche quella di non aver nessun legame in Israele: come per tutti imembri della sua tribù il Signore è la loro eredità (Numeri 18,20). In Giudici19 trova nella casa che lo accoglie un luogo dal quale non uscirà; è la donnache diventa “la senza luogo”: espulsa nella notte, il suo corpo sarà disseminatonel paese.Non è dunque il levita che realizza la vocazione levitica, ma la donna; il suocorpo è il luogo, paradossalmente rinnegato, disperso, nel quale improvvisa-mente questa vocazione si materializza. È lei che si trova al posto del levita chedovrebbe essere, per suo compito, al posto di un primogenito; è anche lei cheè al posto di Dio, ne è figura. Nessuno nomina Dio, nessuno fa riferimento aLui; sembra che ci si sia dimenticati di Lui. Nessuno chiama la donna pernome, nessuno la considera una persona: è dimenticata. Dio innominato,donna anonima. Il corpo della concubina materializza il luogo di Dio: cioèl’assenza del luogo, l’esclusione, l’espulsione.Non si tratta di fare opera di recupero dell’atrocità, nel quadro di una dottrinasacrificale che darebbe senso all’abuso come offerta. Penso invece che Giudici19 critichi ciò che intendiamo per sacro e sacrificio. Il sacro non risulta da unirrigidimento istituzionale che permette di entrare in contatto con Dio. Ilsacro è là dove Dio è presente: Dio è totalmente presente quando un essereumano è totalmente sprovvisto di appoggi umani. Il corpo assolutamenteabbandonato è l’assoluto luogo di Dio. Giudici 19 propone il corpo oltraggia-to e disseminato della concubina come un luogo definitivo, dal quale Dionon si allontanerà mai più. Spieghiamolo rapidamente.

Si tratta il corpo di una donna come si tratta DioIl corpo della concubina di Gàbaa fa emergere una geografia dei corpi umilia-ti: le vergini di Iabes, offerte, e quelle di Silo, rapite, svelano ancora una voltadei luoghi in cui i corpi delle donne sono violentati, il che prolunga, sottopretesto riparatore, la violenza inaugurata a Gàbaa. Gàbaa, Iabes e Silo forma-no un triangolo che si ritrova all’inizio del volume successivo: i due libri diSamuele (1-2 Sam). Giudici termina a Silo con il rapimento delle vergini altempio; 1-2 Sam comincia con la visita al tempio di Silo di una donna, Anna.È sterile, e per questa ragione è presa in giro: corpo di donna umiliato, postoall’inizio del libro (1Sam 1,2-6).Anna vuole spiegarsi con Dio. Va al santuario per pregare. Eli, il sacerdote diSilo, la sgrida pesantemente. Ma lei tiene testa (1Sam 1,12-18). E ben presto,

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ritornando a casa con suo marito, scopre di essere incinta. Il Dio di Silo hadato risposta alla sua richiesta. Soltanto dopo ci si accorge che il tempio diSilo, nel quale cammina sola, non è un luogo favorevole alle donne. Due

sacerdoti cattivi, figli di Eli, violentano le donne che vanno al santuario(1Sam 2,22) e rubano la parte migliore dei sacrifici offerti al Signore (1Sam2,12-17). Come si tratta Dio si tratta anche una donna e inversamente. Illevita, l’uomo di Dio, abbandona la sua concubina, i sacerdoti di Silo si acca-parrano l’intimità di Dio e delle donne. Tra i due eventi, sempre a Silo, si tra-scinano a forza le vergini, come se le solennità religiose non fossero altro chepretesto di agguati e tranelli (Giudici 21,19-23).

Un messia sui luoghi del corpoAnna è felice: ha dato alla luce un figlio. Quando è ancora ragazzino lo lascia aSilo perché serva il Signore. Nell’esultanza del suo cantico, all’interno del san-tuario, Anna annuncia che il Signore prepara un salvatore per il suo popolo: unre messia (1Sam 2,10). Il corpo, a lungo sterile di Anna, è stato visitato inprofondità da Dio. Dal luogo del suo corpo percepisce i segni di vita presentinello sterile corpo sociale del suo tempo. Il popolo conoscerà un cambiamento.Un figlio gli sarà dato: questo famoso re di cui nessuno ha ancora idea.Il re appare ben presto: Saul. È della tribù di Beniamino, questa tribù in per-dizione di cui ci parlano gli ultimi capitoli del libro dei Giudici. E il Signorevorrà la sua capitale proprio a… Gàbaa (di cui Saul sembra essere originario).

Si tratta il corpo diuna donna come sitratta Dio

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Nello stesso luogo in cui la concubina fu abusata Dio pone il suo primo re;egli è figlio di questa stirpe che, una o due generazioni prima, aveva abusatodella donna. Come Beniamino senz’altro Saul è nato dal ventre delle donnerapite per arricchire il potenziale femminile della tribù ormai esangue.Il primo gesto ufficiale di Saul evoca chiaramente il corpo della concubina(1Sam 11). Saul ha ricevuto la richiesta di aiuto da parte di una città minac-ciata dal nemico: Iabes (ma guarda un po’ chi si ritrova!). Per unire il suopopolo e andare in soccorso della città di Galaad, Saul, spinto dallo spirito diDio, prende uno dei suoi buoi e lo divide in dodici parti. Ogni parte è inviata

alle dodici tribù di Israele. È un ordine di raccogliere le forze: dodici pezzi perdodici tribù, dodici tribù per un solo popolo. Il popolo si unisce “come unsolo uomo” (v. 7). Corpo diviso e unità del corpo sociale continuano a dialo-gare in questo testo. Il corpo lascia dunque una traccia nei luoghi e neltempo. Il corpo della concubina riappare in questo gesto compiuto dal messiasu un animale sacrificale. È il corpo violentato e dimenticato che genera il ritoe la sua efficacia vivente – in questo caso indica la riunificazione del popolo.

I corpi dei messiaOccorrerebbe parlare di tutto quello che succede a Gàbaa: è lì infatti che ilsecondo messia, Davide, scampa di poco la lancia di Saul che nutre nei suoiriguardi una profonda invidia (1Sam 18,10-11;19,9-10).Citiamo la fine di Saul a Gàbaa. Muore infatti sui monti di Gelboe, braccatodai filistei (1Sam 31). Il suo corpo, trafitto dalla sua stessa spada, è decapitato

SILVESTRO LEGA (1826-1895),Davide calma i furori di Saul,Firenze, Galleria dell’Accademia

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dai nemici e la sua testa passa di città in città filistea. Il corpo, crocifisso sullemura di Beisan, è sepolto a Iades (ancora lei!), poi esumato e in fine inumatonella tomba di famiglia a Gàbaa. Il corpo del messia è quindi smembrato: latesta va da una parte e il corpo è sepolto in due località israeliane: al di là e poial di qua del Giordano. Il corpo della concubina sembra aver dato inizio adun movimento trasmesso al corpo del messia.E la storia non termina qui. Quando Saul è definitivamente deposto nelsepolcro di famiglia, ciò avviene al termine di una triste storia in cui i corpisono ancora in primo piano. Anni dopo la morte di Saul, Davide fa giustizia-re i discendenti del suo predecessore: cinque nipoti, discendenti legittimi, e

due figli avuti dalla sua concubina, Rizpà, vengono arrestati e messi amorte… a Gàbaa (2Sam 21). L’affare sembra essere una questione politica – sitratta di far sparire ogni discendente legittimo al trono di Saul –. Non si capi-sce esattamente in quale modo sia stata eseguita la loro condanna a morte. IlTargum parla di crocifissione.Nessuno proclama l’ingiustizia di questa esecuzione capitale, Rizpà, la concu-bina del defunto Saul, veglia per intere settimane, in silenzio, i corpi appesidei condannati. Veglia sia i suoi figli che i nipoti di Saul. Impedisce ai preda-tori rapaci di avvicinarsi ai corpi. Rizpà, con il suo semplice “stare lì”, obbliga

MARC CHAGALL (1887-1985),Re Davide (particolare), 1951,Parigi, Musée nationale d’Artmoderne, Centre Georges Pom-pidou

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a guardare ai corpi appesi. In un mondo nel quale si fa presto a dimenticare,lei invita a tener conto dei corpi, a non dimenticarli, a partire da essi per capi-re la realtà in cui Dio interviene. Rizpà rimane in piedi fino a quando l’acquanon scenderà copiosa dal cielo per far rinascere la terra assetata.Circa un secolo dopo la tragedia di Gàbaa, ecco un’altra concubina, Rizpà,nella stessa città, in occasione di un’atrocità della stessa risma. Da una concu-bina all’altra, da un corpo martoriato ad un altro, e sempre nella città diGàbaa. Così si scrive un testo.

Una storia dei corpiQueste storie non formano un ciclo di racconti chiuso in se stesso. Giudici 19si iscrive in una lunga storia di violenza fatta alle donne. In Giudici 11, primadella concubina di Gàbaa, c’è per esempio la figlia di Jefte, il cui corpo vergi-ne è offerto a Dio dopo una maldestra promessa del padre. Nel libro dei Giu-dici troviamo la domanda sul futuro delle donne: sono immancabilmente sot-tomesse al volere dell’uomo? E che cosa ne è del loro corpo? Dopo il primo eil secondo libro di Samuele incominciano i libri dei Re: immediatamente unavergine è convocata a palazzo, da Davide, per diventarne una sorta di sposamai sposata (1Re 1,1-4). Il tema della vergine obbligata a condividere il giaci-glio riappare come tema inaugurale. Prima ancora, nel libro della Genesi alcapitolo 19, la terribile notte di Sodoma anticipa quella di Gàbaa. Due viag-giatori – che di fatto sono degli angeli – sono minacciati di violenza e Lotpropone di offrire in cambio due delle sue figlie ancora vergini. Il criminenon avverrà, ma Sodoma sarà distrutta. Si sarà verificata la stessa esperienza:come si tratta Dio e i suoi angeli, così si tratta la donna.

I Vangeli e la scrittura del corpoL’attenzione al corpo è un vero e proprio principio di costruzione e di espan-sione testuale, scientificamente dimostrabile. Lo si potrebbe verificare ripren-dendo i testi evangelici alla luce dell’Antico Testamento.Se Luca ci propone di contemplare, fin dall’inizio, il corpo di una vergine,non è certo per aggiungere delle coloriture dai sapori di midrash, di raccontoedificante. Luca inserisce il suo primo capitolo in storie già conosciute: Mariaè una vergine abbandonata in nome di una decisione che va al di là della suavolontà? È un corpo utilizzato per dei bisogni risalenti ad un disegno che nontiene conto delle persone? Incinta senza che sia opera del suo fidanzato, perGiuseppe non è altro che una concubina giunta con lui da Betlemme? Mariainaugura un movimento che Gesù svilupperà in modo tutto particolare: ledomande che disturbano trovano delle risposte, non sono evitate, ma vissutedal di dentro. “Dal di dentro” vuol dire che qualcune le assume con il propriocorpo e che nel corpo trovano una soluzione. Bisognerebbe certamente svi-luppare ulteriormente questa espressione.Termino con un gesto essenziale che mette in piena luce il corpo di Cristo:l’Eucaristia. Gesù offre il suo corpo sotto la specie del pane. Per dodici disce-

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poli il suo corpo è diviso e questo è fonte di unità. Penso che uno dei testichiave per rischiarare l’istituzione dell’Eucaristia – e sottrarla così alla soladefinizione istituzionale – sia la violenza e l’essere spezzettati in dodici partidel corpo della concubina. Il corpo dell’innocente schernito, violentato,abbandonato al gruppo di uomini che lo svestono a loro piacimento: è quelloche vivrà Gesù stesso, dopo aver offerto il suo corpo2. Maria, all’inizio deiVangeli, anticipa nella sua carne, con “l’umiliazione della serva” (Lc 1,48) l’u-miliazione di suo Figlio, il servo sofferente; allo stesso modo la concubina diGàbaa è un’anticipatrice, nel Primo Testamento, della violenza fatta a Gesù,nella quale i cristiani vedono il sacrificio assoluto, la carne in cui Dio è total-mente presente. Un corpo di donna per anticipare: ci sarebbe molto da medi-tare su tutto questo.Questi accostamenti, questa maniera di fare, sembrano strani, forse, fino aquando non si prende sul serio la realtà del corpo in cui Dio è presente. Mase, testo biblico in mano, si prende coscienza che la carne fragile, la carnespenta dalla violenza è il luogo di Dio, è la realtà di cui Egli chiede contoattraverso la storia, allora tutto questo diventa coerente. Molti testi bibliciincominciano a parlare e il segreto che annunciano è quello del corpo che Dioreclama alla morte3.

NOTE1 Questo articolo è stato pubblicato nella rivista Sources, n. 6/XXXII, 2006, che ringraziamo per l’amabile concessione di

pubblicarlo, tradotto, sulla nostra rivista.2 In Gv 19,13 Gesù è portato davanti a Pilato nel luogo detto Gabbatà, in greco Litostroto. Notiamo che la Settanta tra-

duceva il nome di Guibea in Gabaa o Gabatà. Quanto a Litostroto è la traduzione greca dell’ebraico ritzpà. La concubi-na ha questo nome proprio, anche se è utilizzato come nome comune, che la Settanta traduce come Litostroto. Piccolaverifica, precisa, indicante che non siamo i primi lettori ad avvicinare gli episodi di Gàbaa alla passione del Cristo.

3 Ho sostenuto l’idea della Bibbia come “storia della carne con Dio” in modo particolare in due libri: Livres de Samuel etrécits de résurrection. Le messie “ressuscité selon les Ecritures”, “Lectio divina” 196, Cerf, Parigi 2004 e La Vierge au Livre.Marie et l’Ancien Testament, “Epiphanie”, Cerf, Paris 2004.

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MONASTERO DOMENICANO “B. MARGHERITA DI SAVOIA”

ALBA (CUNEO)Il passatoIl monastero domenicano di Alba, dal 1949 intitolato alla sua fondatrice, labeata Margherita di Savoia-Acaja, nacque nella cittadina piemontese sotto iltitolo di santa Maria Maddalena esattamente il 13 maggio 1446 con la posadella prima pietra, grazie alla facoltà di fondare un nuovo monastero domeni-cano concessa alla marchesa Margherita di Savoia, vedova di Teodoro II diMonferrato, dal papa Eugenio IV con bolla del 15 giugno 1445.Ad Alba esisteva già da oltre due secoli un convento di frati predicatori eanche un monastero domenicano intitolato a santa Caterina vergine e marti-re. La ragione per cui Margherita preferì fondarne uno nuovo si deve moltoprobabilmente al suo desiderio di vivere nella stretta osservanza regolare, cheall’epoca, per varie ragioni, quasi ovunque era alquanto decaduta. Di fatto, in“L’Ordine domenicano in sette secoli di vita e di lotte” che il domenicano fra

Angelico Guarienti pubblicò a Chieri nel 1944 presso la Tipografia G. Marta-no, dopo che l’autore ha parlato delle fatiche e dei dissensi sorti tra i frati amotivo della riforma dei conventi domenicani intrapresa dopo le crisi del XIVe XV secolo, aggiunge: “Per le suore la riforma fu molto più difficile. Per ora(ossia verso la metà del 1400), di vita regolare, c’è solo san Domenico di Pisa

una monacadelmonastero

Le monache in unmomento di condi-visione della Paroladi Dio

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(fondato dalle beate Chiara Gambacorta e Maria Mancini discepole di Cateri-na da Siena), Corpus Christi a Venezia (fondato dal beato Giovanni Dominicicon altri discepoli della stessa Santa senese), e il monastero di Alba dove vive labeata Margherita di Savoia” (pag. 134). Alla sua morte (23 novembre 1464), la fondatrice lasciò una comunità nume-rosa e fervente, e tale si mantenne a lungo, stando alle testimonianze di perso-ne autorevoli e sante come san Pio V, che ne fu vicario e confessore, il beato

Giovenale Ancina vescovo di Saluzzo in Oratorio de’ Principi, e il beato Seba-stiano Valfré che a fine ’600 volle che la nipote si monacasse presso questomonastero. In esso visse pure un’altra “beata” proclamata tale a voce di popo-lo, Maria Margherita Delfino di Garessio (1528-1589), detta “la Serafina del-l’Eucaristia”, anima dotata di grandi carismi e di cui esiste un profilo scrittopoco dopo la sua morte da una consorella, custodito nell’archivio parrocchialegaressino.Circa il cammino secolare del monastero, si può semplicemente annotare cheesso gioì e soffrì con i concittadini secondo le circostanze dei tempi, segnatida carestie e pestilenze, come anche da frequenti eventi bellici (da notare cheAlba fu spesso teatro di contese armate tra diversi pretendenti “padroni”). Sipuò tuttavia affermare che il monastero “della Maddalena” costituì sempre,ma soprattutto nei secoli antecedenti l’occupazione napoleonica, un punto diriferimento e di speranza per la città e la zona circostante, grazie all’evidenteprotezione che la beata Margherita estendeva su chi con fiducia ricorreva alla

Le monache duranteun incontro con ilMaestro dell’Ordine,fra Carlos A. AzpirozCosta e fra UmbertoFrassineti, assistentedel MO per l’Italia eMalta

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sua intercessione. La sua beatificazione, ritardata al 1671 a causa delle conti-nue turbolenze civili, avvenne appunto in seguito alle molteplici grazie emiracoli attribuiti alla sua intercessione.Con l’avvento del regime francese, anche le nostre madri dovettero vivere unalunga dolorosa parentesi fuori del loro recinto: il 1° ottobre 1802 trentamonache dovevano lasciare il monastero, che grazie al fattivo interessamentodei sovrani di casa Savoia poterono riavere in parte nel 1817 e completamentenel 1824. Nel corso di questi anni che prepararono la riapertura ufficiale, allenostre monache superstiti si unirono pure alcune consorelle di altri monasteridomenicani soppressi, e non più risorti: da quello albese di santa Caterina (seimonache), a quello di Revello di Saluzzo (due) e Sale d’Alessandria (una), eanche una da Vercelli.Riaperto ufficialmente nel 1825, il monastero rifiorì presto, ma dal 1855 al1882, pur continuando nella vita regolare e nell’accoglienza di nuove vocazio-ni, visse un’autentica agonia in seguito alla nota legge Siccardi, fino a doveranch’esso cedere alla nuova bufera, nonostante gli sforzi dei regnanti per pro-teggere questo “regio” monastero. Il 23 agosto 1881 fu intimata alle monachel’espulsione, che venne effettuata il 6 giugno 1882, essendo inviate le più gio-vani a casa e le altre nel monastero cistercense di Ivrea, eccetto quattro che sirecarono invece in quello domenicano di Mondovì. L’anno seguente quasitutte riuscivano però già a riunirsi nuovamente e a riprendere la vita regolarein una vecchia casa albese, trovata per loro in via Vernazza dal vescovo dome-nicano mons. Lorenzo Pampirio. Lì la comunità rimase fino a quando la casadivenne pericolante; e il 13 dicembre 1949 si trasferì in periferia dove, dallavilla preesistente, con fede, coraggio e fatica riuscì a ricavare l’attuale monaste-ro, completato nel 1956. Alla comunità si erano intanto unite, il 15 ottobre1955, le sette consorelle del monastero di Imola, che veniva così soppresso. In seguito, di notevole, è da registrare ancora l’impianto di una tipografia nel1959, che permise sia il necessario sostentamento per la numerosa e giovanecomunità, che l’estinzione dei debiti contratti per la costruzione del monastero.

Il presenteNei decenni ’40 e ’50 del secolo scorso la nostra comunità conobbe unastraordinaria fioritura di vocazioni, e le monache raggiunsero la cinquantina.Oggi, dopo mezzo secolo, il numero è dimezzato, ed ovviamente anche l’etàmedia si è molto innalzata, con conseguente riduzione di forze e di efficienzaper quanto attiene al temporale. La diversa situazione umana, se ha richiesto la modifica di certe modalità nel-l’attuazione del nostro proprio carisma, non impedisce tuttavia di viverlonella sua essenzialità, ed anzi paradossalmente pare ne favorisca l’approfondi-mento. Infatti non ci sono situazioni contingenti che possano impedire diapplicarsi con impegno a quella “preghiera e penitenza” con cui il Santo PadreDomenico ci volle associate alla “Santa Predicazione”.Nella Costituzione fondamentale delle monache si afferma anche: “Con la

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loro vita sia i frati che le monache intendono conseguire, verso Dio e verso il pros-simo, una perfetta carità, efficace a curare e a procurare la salvezza degli uomini”(LCM 1,II). Ma la “perfetta carità” non è così alla portata come potrebbesembrare, eppure è noto che per il bene della Chiesa e delle anime vale più unsolo atto di puro amore che non tutte le prediche o le opere esteriori più ecla-

tanti; ebbene, i condizionamenti imposti dai vari limiti di età o salute di persé possono favorire la purificazione del cuore, eliminando le più o menoinconsapevoli compiacenze o ricerche di sé, che inquinano spesso anche leopere buone. Ora in concreto la nostra comunità, pur avendo ridimensionato gli impegnidi testimonianza esterna in qualche modo più diretta, attualmente fa tuttaviagiungere all’esterno, in questo anno giubilare, anche qualche piccola riflessio-ne di sapore monastico-contemplativo attraverso il settimanale diocesano;

Il chiostro del monastero:aperto sulla città

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inoltre mette a disposizione varie nostre pubblicazioni nella chiesa “dellaMaddalena” in centro Alba, che fu nostra ed è molto frequentata e visitataanche da turisti stranieri. Ma all’interno, possiamo comunque vivere, più chenei decenni passati, gli elementi essenziali della vita domenicana contemplati-va. Ringraziando il Signore per il molto che abbiamo ricevuto in passato dai

nostri frati e da ottimi teologi, biblisti e liturgisti della diocesi, ci impegniamoin tanti proficui momenti di condivisione della fede, di dialogo fraterno e direvisione di vita ora sulla Parola di Dio, ora sulle Costituzioni, ora su altri testidell’Ordine o della Chiesa, che affianchiamo alla celebrazione della sacra litur-gia, all’orazione personale, alle adorazioni quotidiane (in privato e a turno) esettimanali (con l’esposizione del SS. Sacramento), ecc. Le consorelle piùanziane e inferme passano inoltre lunghe ore in preghiera.Indotte dalla situazione ad assumere degli aiuti esterni per le varie necessità,

Le consorelle anziane e inferme pas-sano lunghe ore in preghiera

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ciò ci richiama anche di più alla nostra responsabilità di testimoniare “quellauniversale riconciliazione in Cristo che i nostri confratelli predicano anche con la

parola” (LCM 2,II). E quindi si verifica che “tutto coopera al bene”, anche ilimiti e le fragilità della terza età, solo che con la grazia di Dio ciò favorisca lacrescita dell’umiltà, della carità, dello spirito religioso in tutti i suoi aspetti. “Predicatrici” con una vita – almeno in tensione – modellata e trasfigurata inCristo, confidando di giungere ancor meglio, mediante una più profondadonazione di amore a Lui, a realizzare la nostra specifica vocazione, comeviene espressa nella nostra Costituzione fondamentale: “Mentre crescono conl’amore nel cuore della Chiesa, con una arcana fecondità dilatano il popolo di Dioe profeticamente annunziano con la stessa loro vita che Cristo è l’unica beatitudi-ne, nella vita presente per la grazia e in quella futura nella gloria”.

La vista del monaste-ro sulla città di Alba

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novità librarie domenicaneBERNARD MONTAGNES, Marie-Joseph Lagrange. Un biblista al servizio dellaChiesa, “Domenicani”, ESD, Bologna 2007, p. 672, 38,00 euro.

Il domenicano Marie-Joseph Lagrange (1855-1938) fonda nel 1890 l’Ecolebiblique di Gerusalemme, nel 1892 la Revue biblique e nel 1900 la collanaEtudes bibliques, istituzioni che continuano ancora oggi lo studio scientificodella Sacra Scrittura. La sua vita è una vera e propria peripezia. Il papa LeoneXIII ha una grande fiducia in Lagrange, al punto che vorrebbe chiamarlo aRoma per iniziarvi lo studio scientifico della Bibbia. Pio X, durante la crisimodernista, manifesta dei dubbi sull’esegesi critica e diffida dei lavori condot-ti dall’Ecole biblique di Gerusalemme. Benedetto XV, con l’enciclica SpiritusParaclitus, sembra disapprovare l’opera di padre Lagrange, piuttosto che inco-raggiarla. Solo dopo la sua morte l’enciclica di Pio XII Divinu afflante Spiritu,nel 1943, riconosce i meriti di Lagrange.Egli, nonostante tutte le traversie della sua vita, ha perseverato con acribia nelsuo lavoro scientifico, la cui grandezza consiste nell’aver studiato a fondo ilsenso della Parola di Dio grazie al metodo storico-critico messo al servizio diuna lettura teologica.

Redazione ESD

JEAN-LOUIS BRUGUÈS, Corso di teologia morale fondamentale, vol. 5, ESD,Bologna 2007, p. 130, 8,00 euro.

Jean-Louis Bruguès, frate domenicano, era un tempo professore di teologiamorale a Friburgo in Svizzera. Oggi è vescovo di Angers in Francia ed è mem-bro del Comité Consultatif National d’Ethique pour les sciences de la vie et de lasanté della Repubblica Francese. Ha pubblicato in italiano anche il Dizionariodi morale cattolica (ESD, Bologna 1994). Con linguaggio semplice e accatti-vante indaga in che cosa possa consistere la felicità, che è il movente di ogniazione umana e di ogni impegno serio. La felicità è il cuore dell’annuncio cri-stiano: Dio chiama ogni uomo ad essere felice e lo invita a condividere la suastessa beatitudine.Qual è la meta ultima di ogni impegno e sforzo umano? Qual è il disegnoall’interno del quale leggere l’esistenza di ognuno? Non è forse il desiderio diappagamento e di beatitudine? La ricerca della felicità non è forse una com-ponente essenziale nella condizione umana? Cos’è allora la felicità? Dio stessonella rivelazione biblica parla ripetutamente della felicità e della beatitudine echiama ogni uomo a condividere la sua stessa gioia.

Redazione ESD

in memoriamIsmaele Castellano nacque a Imperia-One-glia il 22 settembre 1913. Dopo avere con-seguito la laurea in Giurisprudenza entrònell’Ordine domenicano, ricevendo ilnome di fra Mario, nel convento di Chieried emise la prima professione il 29 novem-bre 1938. Nello Studium Generale di santaMaria delle Rose a Torino ricevette la for-mazione teologica e il 5 luglio 1942 venneordinato presbitero. Ben presto fu inviato dai superiori all’An-gelicum dove approfondì lo studio delDiritto canonico, conseguendone il dotto-rato ed essendone professore fino al 1954.Contemporaneamente lavorò presso il S.Uffizio – ora Congregazione per la Dottri-na della Fede – in qualità di Primo Com-pagno del Commissario, fino al 1954. Il24 agosto 1954 fu nominato vescovo diVolterra e il 3 agosto 1956 Assistentenazionale dell’Azione Cattolica. Nel 1956 lasciò la diocesi di Volterra e, ter-minati due trienni come assistente dell’A-zione Cattolica, venne nominato arcivesco-vo di Siena il 6 giugno 1961. A questa sede vennero aggiunte quella diColle val d’Elsa nel 1975 e quella di Mon-talcino nel 1978. Durante i suoi anni diepiscopato prese parte al Concilio VaticanoII, dove partecipò alle commissioni sulleComunicazioni Sociali, a quella sulla Chiesanel mondo contemporaneo e a quella sull’A-postolato dei Laici. Lasciò la guida pastoraledell’arcidiocesi nel 1989, per raggiuntilimiti di età. Continuò a vivere nel territorio della suaterra senese di adozione e a prodigarsi perl’Associazione dei Caterinati. Il Signore lo ha richiamato a sé il 12 aprile2007. Alla celebrazione delle esequiehanno preso parte arcivescovi e vescovi,molti sacerdoti della diocesi di Siena e unafolla di fedeli che lo hanno sempre moltoamato. Nell’attesa della risurrezione il suocorpo è stato tumulato nella cattedrale diSiena il 14 aprile 2007.

mons.fraMarioIsmaeleCastellano

Nato a Imperia-Onegliail 22 settembre 1913Morto a Siena il 12 aprile 2007

Aspettiamo il nostro salvatore Gesù Cristo;egli trasfigurerà il nostro corpo mortalea immagine del suo corpo glorioso.Fil 3,20-21

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in memoriamCarlo nacque a Rocca de’ Baldi (Cuneo) il 9dicembre 1927. Entrato nel seminario minoredi Mondovì passò ben presto al collegino diCarmagnola. Ricevette l’abito domenicano e ilnome di fra Giacinto il 30 settembre 1944, aChieri, emettendo la prima professione il 6ottobre 1945, e qui risiedette per gli anni delliceo. Nel convento di santa Maria delle Rosericevette la formazione filosofica e teologica evenne ordinato presbitero il 27 settembre1953. Nel 1955 fu inviato nel convento diChieri. All’interno della comunità di Chieri fusottomaestro dei novizi per due volte, sotto-priore nel 1958 e priore nel 1982, seguiti daun’esperienza missionaria in Benin. A lungo fuPromotore della Formazione Permanente cheincentivò in modo creativo e innovativo. Lavera attività di fra Giacinto si svolse all’esternodel convento, a contatto con i laici, i giovani ele realtà del mondo nelle quali trovava il suoentusiasmo e il suo reale centro di interesse.Giunto a Chieri, scopri la realtà del mondooperaio: per 18 anni si dedicò alla predicazionein 15 fabbriche. Nel 1964 inaugurò il Centro diGioventù operaia divenuto nel 1972 CentroFamiglia. Nel 1965 ristrutturò, con un gruppodi giovani, la casa alpina di Santa Margherita diDronero e nel 1970 “la Rotonda” di Agliè e laadibì a casa per ferie per pensionati e ritiri spiri-tuali. Organizzò pure una casa di vacanze aCesenatico. Fra Giacinto cercava di adattare lasua predicazione ai tempi che corrono: dappri-ma si dedicò ai giovani operai, poi, cresciuti,alle loro famiglie, infine, ormai anziani, alleloro sofferenze, con i viaggi a Lourdes, l’assi-stenza e le visite ai malati e ai loro familiari, el’accompagnamento delle vedove. Fu assistentedell’OFTAL chierese per quasi cinquant’anni ea Lourdes accompagnò decine di pellegrinaggi.A Chieri fece conoscere le Equipes Notre-Dame.Fu assistente diocesano dell’Istituto SecolareCaritas Christi e assistente nazionale delle ENDjeunes. Malgrado la salute sempre più malfermacontinuò il ministero con le END, il gruppovedove, l’OFTAL, le confessioni. Nella matti-nata di martedì 12 giugno, improvvisamente, ilPadre lo ha chiamato a sé.

fraGiacintoCarloGarelliop

Nato a Rocca de’ Baldi (Cuneo)il 9 dicembre 1927Morto a Chieri (Torino) il 12 giugno 2007

Ecco, sto alla porta e busso.Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta,io verrò da lui,cenerò con lui ed egli con me.

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dona loroDona loro, Signore,e a tutti quelli che riposano in Cristo,

la beatitudine,la luce e la pace.

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i o Signore.Ricordati, o Signore,dei tuoi fedeli che ci hanno precedutocon il segno della fedee dormono il sonno della pace.

SUOR MARIA BERNARDETTA GRASSI, morta il 27 febbraio 2006 nel monastero diAzzano san Paolo, all’età di 90 anni, dei quali 73 di professione religiosa.

SUOR M. IMELDA SALVADERI, morta il primo aprile 2007 nel monastero di MatrisDomini in Bergamo, all’età di 98 anni, dei quali 79 di professione religiosa.

SUOR MARIA COLOMBA PETITTO, morta il primo settembre 2007, nel monastero disant’Agnese V.M. di Bologna, all’età di 80 anni, dei quali 20 di professione religiosa.

CAMILLA VALSANIA VED. CODEGONE, della fraternita di san Domenico di Torino,defunta il 4 novembre 2006, all’età di anni 98.

NICOLETTA BASSAFONTANA, della fraternita di Varazze, defunta il 30 novembre 2003,con 69 anni di professione nell’Ordine.

MARIA SUETTA, della fraternita di Varazze, defunta il 30 novembre 2003, con 26 annidi professione nell’Ordine.

BIANCA MARIA GIUSTO, della fraternita di Varazze, defunta 18 settembre 2004, con22 anni di professione nell’Ordine.

GIUSEPPINA GORRINO, della fraternita di Varazze, defunta il 10 aprile 2007, con 12anni di professione nell’Ordine.

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LAFAMIGLIADOMENICANA

NELMONDO

«Convocati i frati e invocato lo Spirito Santo, Domenico disse che erasua ferma decisione di disperderli per diverse regioni sebbene fossero assai pochi (...) sapendo chei semi di grano dispersi fruttificano, mentre se sono ammassati marciscono». (P. FERRANDO,Legenda sancti Dominici, n. 31)

LAICATO DOMENICANO

BERGAMO

Accoglienze e professioni

Domenica 15 Aprile 2007, la nostra Frater-nità, ha avuto la gioia di accogliere un con-fratello e tre consorelle: Anselmo Casali,Maria Pirola, Marcella Ruggeri e Paola Sir-toli. Il rito dell’accoglienza si è tenuto pres-so il monastero Matris Domini di Bergamo,al termine dell’Eucaristia presieduta dalnostro assistente fra Raffaele Quilotti.Dopo un momento di festa con le mona-che, abbiamo proseguito col pranzo e lealtre attività. Domenica 20 Maggio 2007,presso la chiesa conventuale dei frati di sanBartolomeo, durante l’Eucaristia delle ore

10,00, presieduta sempre dal nostro assi-stente quattro consorelle, hanno fatto laloro professione perpetua: Maria TeresaBona (Suor Angiola Maria), Cristina Car-minati (Suor Francesca), Magda Rizzi (SuorMaddalena) e Franca Mantuano (SuorMaria Pia).In entrambe le funzioni, il PadreAssistente, ha magistralmente spiegato nel-l’omelia, il senso dell’accoglienza, della pro-fessione e del nostro essere laici domenicani,inserendo il tutto sapientemente nella spiri-tualità di quelle due domeniche particolari:15 Aprile domenica in Albis deponendis (odella divina misericordia), 20 Maggio,solennità dell’Ascensione.Augurando un buon cammino a questi con-fratelli e consorelle, ringraziamo Dio per lenuove vocazioni.(Notizia inviata da Aronne Luzzana)

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Fraternite della Lombardia

Domenica 24 giugno presso il monasteroMatris Domini di Bergamo le fraternite diBergamo, Azzano San Paolo, Fontanellato,Melegnano, Milano e Novara Agognate, suinvito del presidente provinciale, Irene Lar-can, si sono trovate per una giornata di con-divisone fraterna e per celebrare gli ottocen-to anni di fondazione del monastero diProuilhe per opera di san Domenico.Al mattino, dopo la celebrazione delle Lodie dell’Eucaristia, celebrata da fra MassimoRossi, c’è stato un bel momento di cono-scenza e di confronto sulle attività svolte daiconfratelli e dalle consorelle, un momentoche ha fatto emergere il forte desiderio di

contemplazione e di predicazione che è tut-tora vivo in tanti laici domenicani. Il presidente, nel ringraziare tutti presentiper la loro partecipazione, superiore alleaspettative, ed in particolare la fraternita diBergamo che si è fatta carico dell’organizza-zione, ha messo in evidenza che questiincontri ci aiutano a ricordare che nonsiamo soli nel rispondere alla vocazionedomenicana; ha poi riferito sulla sua espe-rienza al recente convegno internazionale diBuenos Aires.Dopo il pranzo le monache ci hanno offertola visita guidata al Museo Matris Domini,che raccoglie gli affreschi ritrovati nelmonastero negli anni ’70.Dopo la preghiera dell’Ora Media, suor

Antonella, priora del monastero, ha presen-tato la sua testimonianza di vita e le motiva-zioni che stanno alla base di una vocazioneforse difficile da comprendere dall’esterno,una vocazione che non comporta un’estra-niazione dal mondo, ma una forte presenzain esso, certo in un modo particolare; haillustrato la vita delle monache e le sceltecompiute dal monastero per rispondere allenecessità del tempo presente.Al termine della giornata, la priora della fra-ternita, Mariangela Casali Brembilla, hatracciato il bilancio dell’incontro, un bilan-cio molto positivo che ci sollecita a crearealtre occasioni di condivisione. (Notizia inviata da Pier Paolo Boldon Zanetti)

MILANO

Avvicendamenti

Domenica 27 maggio 2007 la fraternitàlaica di santa Maria delle Grazie in Milanoha provveduto alle votazioni per il rinnovodel Consiglio di Fraternita. La settimana successiva, il 2 giugno, pressola Casa Incontri Cristiani di Capiago sonostati assegnati i singoli servizi: Lia Dolfini,priora; Romeo Spadoni, vice priore; LuiginaScandolara, maestra di formazione; GraziaCeccattoni, segretaria; Lucia Bodio, econo-ma; Rosa Cerliani, organizzatrice culturale;Giuseppe Manusè, Elisa Ratti e Giananto-nio Ratti, consiglieri.Che lo Spirito Santo ci illumini nel cammi-no di umiltà, servizio e preghiera secondo lavocazione di San Domenico.(Notizia trasmessa dalla priora Dolfini Lia)

MODENA

Pellegrinaggio

La fraternita beato Marco di Modena, ladomenica 27 maggio, giorno di Pentecoste,ha vissuto un pellegrinaggio alla basilica disan Domenico di Bologna.Lo stesso giorno, nella “cella di san Dome-

nico”, alla presenza del Promotore provin-

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ciale fra Massimo Negrelli, Raffaella Facchi-ni ha chiesto di entrare nel Laicato Dome-nicano.(Notizia inviata dalla priora Marisa Mari)

NOVARA

Formazione permanente

Tre momenti di confronto nel mese di mag-gio con le figure di La Pira, Dossetti e Laz-zati, per riflettere sul rapporto tra valori cri-stiani e impegno politico, hanno concluso ilnostro itinerario di formazione permanentedell’anno 2006/2007.Il primo incontro, il 12 maggio, è statocondotto da fra Aldo Tarquini, domenicanodella comunità di san Domenico di Fiesole,che ci ha ricordato la vocazione politica diLa Pira, nata dal rapporto diretto con ipoveri e per dare una risposta ai bisognidella gente. Il 19 maggio l’on. Guido Bo-drato ci ha presentato la figura di Dossetti,«entrato in politica a causa della fede». Il 26maggio, infine, il prof. Riccardo Salvini,membro dell’Istituto secolare Cristo Re,mettendosi alla scuola di Lazzati, ci ha gui-dati a riflettere sul rapporto tra laicità evirtù cristiane. Nei mesi precedenti la fraternita si è impe-gnata in un cammino affascinante alla sco-perta del pensiero di san Tommaso sul temadelle passioni: prezioso è stato l’aiuto delprof. Antonio Petagine, studioso dell’Aqui-nate, che con entusiasmo ed estrema chia-rezza ha saputo farci scoprire quanto ancorasan Tommaso possa parlare all’uomo d’oggi.

RACCONIGI

Professione perpetua

Sabato 28 aprile, durante la celebrazionedell’Eucaristia, alle ore 16,30, GiovanniPicco, di Fossano (Cuneo), ha pronunciatola professione perpetua nel Laicato Dome-nicano. Erano presenti i membri della fra-ternità, l’assistente, fra Vincenzo Mattei,amici e familiari.

TORINO SAN DOMENICO

Notizie dalla Fraternita

Il 23 novembre 2006 Luigi Varlese (fra Vin-cenzo) è stato nominato ministro straordi-nario dell’Eucaristia nella chiesa di santaRita in Torino.Il 20 maggio 2007, durante l’incontro dellafraternita, hanno emesso professione perpe-tua Massimo e Teresa.Nei giorni 25-27 maggio i fratelli e le sorellein formazione si sono riuniti al monasterocistercense di Pra’ d Mill per una sessione diformazione.

TORINO SANTA MARIA DELLE ROSE

Pellegrinaggio del Rosario

Il primo maggio, in occasione del cinquan-tesimo anniversario della fondazione dellachiesa del Rosario, un migliaio di fedeli, gui-dati da fra Lorenzo Minetti, hanno parteci-pato ad una giornata di preghiera mariana.

VARAZZE

Attività della fraternita

Nei giorni 25-27 maggio, nella sala capito-lare del nostro convento di Varazze (Savo-na), suor Marcella Gariglio, delle domenica-ne dell’Unione san Tommaso, ha predicatogli esercizi spirituali ai membri della frater-nita laica. Visto che gli incontri precedevano di alcu-ni giorni la domenica di Pentecoste, iltema della predicazione verteva sullo Spiri-to Santo, invitando i laici ad “impegnarsi apromuovere la propria e altrui santificazio-ne”.Domenica 27 maggio, alla presenza dell’as-sistente, fra Carlo De Martini, del superioredella casa, fra Candido Capitano e di suorMarcella Gariglio, attorniati da un foltogruppo di consorelle e simpatizzanti del-l’Ordine, hanno emesso la professionetriennale le novizie Anna Vernazza e MauraLazzaroni; è stata ricevuta nella fraternita,

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con il nome di suor Lucia, la signora NiclaCanepa. La celebrazione si è conclusa conun momento di festa.(Notizia inviata dalla priora Gina Cervetto)

MONCALIERI

50° di professione

Il 10 giugno, nel monastero Maria di Mag-dala, in Moncalieri – Torino -, suor Mar-gherita Geninazza, ha festeggiato, attorniatada familiari, amici e membri dell’Ordinedomenicano il cinquantesimo anniversariodi professione religiosa. Ha presieduto la celebrazione eucaristicaS.E. Severino Card. Poletto, Arcivescovo diTorino.

ATTI DEL PRIORE PROVINCIALE

Assegnazioni e notizie

Il priore provinciale, fra Riccardo Barile, haassegnato fra Raffaele Icardi alla casa diVarazze in data 17 aprile 2004.

Il 22 febbraio 2007 fra Giovanni Giraudo èstato nominato Cavaliere dell’Ordine “almerito della Repubblica Italiana” con decre-to del Presidente della Repubblica.

Fra Fabio Zorzan ha conseguito il titolo diDottore in Teologia presso la PontificiaUniversità san Tommaso d’Aquino inRoma, discutendo la tesi dal titolo “Laresponsabilità morale dell’adolescente insituazioni di disagio”.

BOLOGNA

Emeritato

Il giorno 24 maggio alle ore 16.00, nellaSala della Traslazione del convento sanDomenico di Bologna, la comunità accade-mica della F.T.E.R. e la comunità conven-tuale ha presentato a fra Bernardo Boschi leproprie congratulazioni per aver raggiuntoil grado di docente emerito nella FacoltàTeologica dell’Emilia-Romagna, avendocompiuto il 70° anno di età lo scorso 22dicembre 2006. Nell’occasione è stato presentato il numeromonografico della rivista Sacra Doctrina“L’armonia della Scrittura”, che rappresentala Festschrift (scritto gratulatorio) redatto perfra Bernardo Boschi grazie al lavoro di fraFausto Arici, direttore della rivista, con lapresentazione iniziale del volume redatta dalpriore provinciale, fra Riccardo Barile. Nelpomeriggio sono pure intervenuti fraJoseph Agius, Rettore dell’Angelicum diRoma, con una relazione dal titolo: Il sensocristologico dell’Antico Testamento alla luce deldocumento della Pontificia CommissioneBiblica sull’ebraico e le sue Sacre Scritturenella Bibbia cristiana; don Maurizio Mar-cheselli, docente della F.T.E.R., ha parlatodi Alcune specificità dell’ecclesiologia giovan-nea. È seguita la concelebrazione dell’Euca-ristia, presieduta da don Erio Castellucci,Preside della F.T.E.R., nella chiesa convenu-tale. I presenti si sono intrattenuti in unmomento di fraterna convivialità nel chio-stro del convento.

Formazione provinciale

“La vita religiosa tra innovazione e tradizio-ne” è il tema che ha riunito una trentina difrati per gli incontri di Formazione Perma-nente della nostra provincia, organizzati neigiorni 1 e 2 marzo da fra Gianni Festa, Pro-motore della Formazione provinciale. L’oratore, Enzo Bianchi, fondatore e prioredella comunità ecumenica di Bose, ha tenu-to due conferenze che hanno suscitato unintenso dibattito tra i presenti.

PROVINCIAS. DOMENICO IN ITALIA

MONACHE E SUORE DOMENICANE

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Incontro dell’IEOP

I provinciali domenicani europei hannotenuto il loro incontro annuale nel conven-to di san Domenico di Bologna dall’11 al14 aprile di questo anno. La questione deicentri culturali, della presenza dei frati nelleuniversità, dei rapporti tra monache e frati,sono stati soltanto alcuni dei temi affrontatidurante le giornate di scambio. Natural-mente non sono mancate le occasioni perincominciare a condividere dei pareri sulprossimo Capitolo Generale di Bogotà –Colombia – che si terrà nei mesi di luglio-agosto di quest’anno.

GENOVA

Conferenza

Per il ciclo di conferenze “Intorno a noi –Identità e differenze” organizzato dall’Asso-ciazione San Marcellino dei Gesuiti e dal-l’Associazione Santa Maria di Castello deiDomenicani, con il patrocinio del Comunedi Genova, il 3 maggio scorso presso la salaQuadrivium Enzo Bianchi, Priore dellaComunità monastica di Bose, ha tenutouna conferenza su Cristiani nella società conuna grandissima affluenza di pubblico.

VENEZIA

Ordinazione presbiterale

Fra Igor Barbini è stato ordinato presbiteroda mons. Ernesto Vecchi, ausiliare dell’arci-vescovo di Bologna, nella chiesa parrocchia-le dei santi Maria e Donato in Murano, ilgiorno sabato 23 giugno 2007. Erano presenti molti frati di Bologna esacerdoti della diocesi di Venezia. Il giorno successivo, 24 giugno, ha celebratola sua prima messa nella parrocchia diMurano in cui è cresciuto e nella qualevivono i suoi genitori. A lui i più cordiali auguri per un fecondoministero e la preghiera dei lettori di Domi-nicus.

ROMA

Transfiliazione

Il Maestro dell’Ordine, fra Carlos A. Azpi-roz Costa, in data 18 maggio 2007, ha tran-sfiliato fra Jean-Claude Husson dalla nostraprovincia alla provincia di Francia.

ROMA

San Clemente

L’anno 2007 segna il centocinquantesimoanniversario delle scoperte archeologichefatte da fra Joseph Mullooly o.p. sotto labasilica di san Clemente a Roma. Egli infat-ti riportò alla luce i resti della preesistentebasilica del IV secolo e i resti di alcunecostruzione romane. Mullooly, figlio dellaprovincia d’Irlanda, nacque a Longford(Eire) il 19 marzo 1812. Compì tutta la sua formazione domenicanain Italia. Divenuto superiore della comunitàdi san Clemente incominciò gli scavi nel1857. Dopo dieci anni di lavori riuscì a

ITALIA

CURIA GENERALIZIA

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riportare alla luce la basilica, scoprì latomba di san Clemente e quella di sanCirillo (nell’anno 1863). Nel 1863 pub-blicò “Brevi notizie delle antiche pitturediscoperte nella basilica sotterranea di SanClemente”. Morì il 25 giugno 1880, con-sunto dalla malaria e dalla pleurite.

CHERASCO

Convegno

Nei giorni 27-29 ottobre 2006 si è tenuto aCherasco un convegno sul tema “Gli Ordi-ni Mendicanti e la città: i Frati Predicatori”,organizzato dal Politecnico di Torino, dallaRegione Piemonte, dalla Provincia di Cu-neo, dal Comune di Cherasco, dalla Asso-ciazione Culturale “Antonella Salvatico” edalla Banca di Credito Cooperativo.La prolusione è stata affidata a Grado G.Merlo, dell’Università di Milano, sul temaLa presenza dei Frati Predicatori nella societàdei secoli XIII-XIV. Sono quindi seguite le relazioni di fraCostantino Gilardi La fondazione di un con-vento dell’Osservanza di Lombardia: SantaMaria di Castello a Genova, Enrico Guidonidell’Università di Roma Politica urbanisticadei Domenicani fra XIII e XV secolo, Leonar-do Di Mauro, dell’Università di Napoli Iconventi domenicani di una capitale: Napolifra XIII e XV secolo, Enrico Lusso, del Poli-tecnico di Torino I conventi del Principe.Fondazioni dei Predicatori e strategie urbanenel Monferrato paleologo, Claudia Bonardi,del Politecnico di Torino Le Relationes vati-cane del XVII secolo: declino e rinnovamentoin area subalpina.La seconda sessione del convegno si è svoltasabato 28 mattina: sono intervenuti Tom-maso Scalesse, dell’Università di Chieti ePescara Architetture domenicane dalla primasede alla stabilizzazione: alcuni casi nelloStato della Chiesa, Simonetta Ciranna, del-l’Università de L’Aquila I Domenicani aRoma. Convivenze ed uso dell’antico, GiusiAmirante, dell’Università di Napoli Trasfor-mazioni barocche nelle chiese domenicane

della Provincia Napoletana, Adriano GhisettiGiavarina, dell’Università di Chieti e PescaraFra Nuvolo, un architetto domenicano, DiegoPeirano, del Politecnico di Torino Pontili ealtre separazioni nelle chiese della Provincia diLombardia, Irene Maddalena, del Politecni-co di Torino Architettura nei conventi dome-nicani: gli spazi dell’Inquisizione. La terza sessione, nel pomeriggio del sabato,ha visto gli interventi di Bruno Taricco, delMuseo Civico di Cherasco La Maddalena diCherasco. Una fondazione angioina?, CristinaNatòli, del Politecnico di Torino Fondazionidomenicane e pianificazione urbanistica nelPiemonte sabaudo: il caso di Rivoli, LauraZanini, del Centro Internazionale di Studi“Storia della città” Il convento domenicano diParigi, fra Alberto Ambrosio I Domenicania Istanbul. Storia e luoghi di una presenza,Adelaide Lala Comneno, del CeSADA diNovara I Domenicani in Armenia, CarloTosco, del Politecnico di Torino L’architettu-ra domenicana nel regno aragonese: il conven-to di Santa Catalina a Barcellona e di CarlosCacciavillani, dell’Università di Chieti ePescara Itinerari e architetture dei missionaridomenicani in America Latina.Il convegno si è concluso nella mattina didomenica 29 con un intervento del PrioreProvinciale della Provincia di San Domeni-co in Italia Riccardo Barile, con alcune pre-cisazioni di Manuela Meni sul convento diCasale e con la concelebrazione presiedutada mons. Sebastiano Dho, vescovo di Alba.(Notizia inviata dalla dott.ssa Sara Badano)

SASSONE

Le attuali sfide dell’evangelizzazione

A Sassone, Ciampino - Roma, dal 9 all’11marzo, le juniores delle varie congregazionifemminili appartenenti alla famiglia dome-nicana e alcuni frati studenti domenicani sisono ritrovati per discutere assieme, conl’intervento di mons. Tommaso Valentinet-ti, vescovo di Pescara-Penne, sulle sfide del-l’evangelizzazione, della predicazione che ciattendono in questo secolo. Evangelizzazio-

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ne come annuncio, proclamazione, testimo-nianza verbalmente resa della resurrezionedi Gesù Cristo.La Chiesa ha come missione fondante l’e-vangelizzazione, l’annuncio della Parola daportare a tutte le nazioni, a tutti gli uomini.Questo per due motivi: perché Dio si èincarnato per portarci il suo Regno e per-ché, da risorto, Gesù invia i suoi discepoli apredicare (Mc 16, 5). Attenzione però: non si parla di predicazio-ne personale; il predicatore infatti è semprepreceduto dal Figlio e sempre sostenutodallo Spirito. Non esiste l’autosufficienza nell’annunciodella Parola di Dio. Inoltre l’annuncio nonsi esaurisce mai in se stesso, ma necessita dialtre due dimensioni: la liturgia e la testi-monianza.Ma chi sono i destinatari dell’evangelizza-zione attuale? I cristiani per primi, a cui seguono im-mediatamente i poveri, i dimenticati, gliesclusi... i piccoli, i perduti, i peccatori! Infi-ne, tutta l’umanità: il mondo intero infattinon può essere escluso dalla trasmissionedel Vangelo. E proprio nei confronti dei più lontani, dichi non è cristiano, si comprende comeprima ancora dell’annuncio, la realtà piùimmediata rimarrà per loro la testimonian-za. L’ostilità e la distanza sono quindi daallontanare per far si che avanzi il Vangelo.Le incomprensioni non devono ostacolarel’incontro!La preghiera invece è la fonte primaria delpredicatore: dalla preghiera, dalla liturgia, ilcristiano impara ad attendere il tempo diDio. La liturgia, in un solo momento fonte e finedella predicazione, aiuta a non aver pauradella complessità del mondo, ma educareall’attesa (attesa che risponde alla mancanzadi risultati immediati).Come annunciare la Parola? Non certopreoccupandosi solo di annunciare la Verità.Tutto sarà infatti vano se manca la ricezionedel contenuto: abituarsi al linguaggio del-l’altro, alle obiezioni, alle difficoltà, al con-

testo, al vissuto dell’altro... è una necessità.Del resto Dio si incarna per parlare il lin-guaggio dell’uomo e farsi così capire. Èquindi necessario, come fecero gli evangeli-sti in quattro maniere diverse, dire Dio conil linguaggio degli uomini odierni.Altri spunti sulla necessità dell’evangelizza-zione sono venuti da tre momenti successivial dibattito con il vescovo. In breve questi sono stati la visione di “allthe invisible children”, film riguardante lavita dei più piccoli dimenticati dal mondoin ogni parte del globo, la condivisione diesperienze di predicazione in ambito mis-sionario e italiano (con particolare attenzio-ne alle esperienze vissute in un paese tosca-no e durante le missioni al popolo) ed, infi-ne, durante la celebrazione Eucaristicadomenicale, in seguito alla meditazioneofferta da fra Costantine Mamo sulle piùdifficili e le più gratificanti esperienze(anche insolite) di predicazione.(Notizia inviata da fra Luca Decembrotto)

PAKISTAN

Premio per la pace

Fra James Chandan è stato insignito del“Premio per l’impegno a favore della pace”dalla Commissione nazionale per il dialogointerreligioso del Pakistan. Il Ministro delle comunicazioni e del lavoroha conferito il premio a fra James nel nostroconvento di Gesù e Maria a Lahore il 13dicembre 2006. Alla cerimonia erano presenti oltre duecen-to persone tra cui promotori del dialogointerreligioso, attivisti dei diritti umani,funzionari del governo, diplomatici stranierie rappresentanti delle diverse comunità reli-giose presenti in Pakistan (cristiani, musul-mani, induisti, Sikh, Baha’i e zoroastriani).

ESTERO

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NIGERIA

Scuola secondaria

Il 25 settembre 2006 i frati della provincianigeriana hanno inaugurato una scuolasecondaria nella quale collaborano attiva-mente le suore domenicane della congrega-zione di Santa Caterina. L’apertura dellascuola, oltre a rispondere alle domandeincessanti da parte dei genitori, ha comescopo quello di formare la persona conun’educazione integrale basata sui valori delvangelo. La preside della scuola di Mafo-luku, come la maggior parte del corpo inse-gnante, sono suore della medesima congre-gazione.

DOMINICUSPubblicazione periodica della ProvinciaDomenicana “San Domenico in Italia”

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In copertinaAlbert Carpentier, (1918)San Domenico, Giappone.

Autorizzazione Tribunale di Bergamon 4319 del 30/10/1997

Anno X - n. 3