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CONTATTISMO: ANJA ZABLOCKI DR. FRANKENSTEIN: I SUOI EMULI LEONARDO: UN CAVALLO PER IL DUCA CROP CIRCLE Scoperto vicino Grosseto Intervista in esclusiva ! IN QUESTO NUMERO: 16 ARTICOLI 18 NEWS 4 LIBRI 5 VIDEO 5 SITI WEB 147 PAGINE ANNO I GIUGNO 2011 ARCHEOLOGIA STORIA SCIENZA E MISTERO OMAGGIO

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Crop Circle, Contattismo, Leonardo, Frankestein

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CONTATTISMO: ANjA zAblOCkI

DR. FRANkENSTEIN: I SUOI EMUlI

lEONARDO: UN CAVAllO PER Il DUCA

CROP CIRCLEScoperto vicino GrossetoIntervista in esclusiva!

in questo numero: 16 ARTICOlI 18 NEwS 4 lIbRI 5 VIDEO 5 SITI wEb

147PAgINEANNO IgIUgNO 2011

0ARCHEOlOgIA

STORIASCIENzA

E MISTEROOmaGGIO

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2 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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iCe

EditorialeNewsVideolibreriaSiti webMostre e eventi

Arcani simbolismi nei campi di braccagni?luci nel cielo e geometrie sacre nel grossetanoIntervista a Vincenzo Di gregorioa cura di Enrico Baccarini

Il mistero della spedizione Doria-VivaldiPunteggiature storichedi Elena Serughetti

Il significato alchemico del baphometPerle di Saggezzadi Lilly Antinea Astore

Il cavallo di leonardo da VinciNascita, vita e rinascita di un monumentodi Alberto Arecchi

lo spauracchio dell’ Escherichia coliCome è mai possibile che si sia trasformato in un batterio killer?di Ennio Piccaluga

CuriositA’

L’interVistA

ArCHeostoriA

sCienZA

GiuGno 2011 | 056

18202426

28

42

46

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60

In questo numero

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GiuGno 2011 | n.0 3Runa Bianca

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iCe

“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”breve e indimenticabile conoscenza di alcuni emuli realmente esistitidi Roberto Volterri

I misteri dei sacri boschi di bomarzoAlla scoperta nel cuore della Tusciadi Marisa Uberti

“Omero nel baltico”le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliadedi Felice Vinci

Costantino CattoiTra UFO e antiche civiltàdi Enrico Baccarini

I misteri di SalicetoTesori nascosti, gallerie misteriose, camere segrete, simboli esoterici...di Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione

Origine della geometria sacra

di Marisa Grande

ContattismoSono un essere divino rinchiuso in un involucro di carnedi Anja Zablocki

Il libro di Oera lindala storia dimenticata di un Continente scomparsodi Antonio Soldani

la lunaSignora splendente della nottedi Luana Monte

mistero

sCienZA

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74

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94

100

108

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4 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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iCe mistero

gli Etruschi e le Rune: mistero o enigma?Etruschi, ma anche Retidi Mario Moiraghi

Sfingi e piramidi in Sardinia

di Leonardo Melis

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Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pub-blicati sono riservati. Manoscritti e originali, anche se non pubblicati, non si restituiscono. Il loro invio implica il consenso alla pubblicazione da parte dell’autore. è vietata la riproduzione anche parziale di testi, e fotografie, documenti, etc. senza il consenso scritto dell’autore e della rivista Runa bianca. la responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputabile ai soli autori.

Comitato redazionale:Vincenzo Di gregorioEnrico baccariniAndrea Critelli

Hanno collaborato in questo numero:Alberto ArecchiAnja zablockiAntonio SoldaniEnnio PiccalugaElena SerughettiFelice Vincileonardo Melislilly Antinea Astoreluana Monteluigi bavagnoliMargherita guccioneMario MoiraghiMarisa grande Marisa UbertiRoberto Volterri

sviluppo e progetto grafico:Andrea Critelli

Per contattare la redazione, collaborare, segnalare libri,

eventi potete scrivere [email protected]

www.runabianca.it

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5 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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5GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

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editoriale numero Zero della “runA BiAnCA”

le Rune derivano dall’alfabeto etru-sco, ma in epoche

successive, incise su elementi di vario materiale, sono state utilizzate come metodo di pre-dizione sin dall’antichità.

Attraverso questo utilizzo si sono rapidamente diffuse tra le tribù nordiche e teutoniche, celtiche, per la divinazione e per scopi rituali. la parola “RUNA” significa letteralmente “segreto da sussurrare”, dal tedesco rau-nen, da cui la sua derivazione nella sua accezione di Mistero, cosa Segreta.

le rune conosciute sono 24, ma esiste una 25° runa chiama-ta: lA RUNA bIANCA. è la runa senza scritte, ancora tutta da scrivere, l’elemento che fa con-vergere in sé il potere creativo di ciò che è ignoto. la runa bianca richiede un’azione di coraggio, un salto nel buio, un’azione di fede, ma nello stesso tempo, in-dica che nulla è predestinato e che gli ostacoli lungo il sentiero possono diventare porte di in-gresso verso nuovi inizi.

E’ in quest’ottica e con questi significati che abbiamo voluto chiamare lA RUNA bIANCA la nostra rivista, un e-magazine che si vuol dare un obiettivo ambizioso ma concreto, essere l’elemento di unione di tutte le forze, gli ingegni, le passioni di coloro che provano “emozione” sulle tematiche del “mistero”.

Mistero, si badi bene, inteso come “cosa non nota”, ma anche in fase di studio e di acquisizio-ne.

è misterioso quel qualco-sa che non è completamente noto, ma che lo diventerà solo

dopo il nostro studio ed il nostro impegno. Mistero inteso quindi come sforzo teso a conoscere là dove

la conoscenza è sempre un arricchimento interiore, un’a-scesa ad un livello di consape-volezza più alto. In Italia vi sono decine e decine di ricercatori che han dedicato la loro vita, il loro tempo libero, gli interessi della propria famiglia alla ricer-ca spinti unicamente dal fuoco sacro della passione.

la “RUNA bIANCA” vuol fare da megafono a questi ricerca-tori. Vuol essere il “salotto buo-no” dove incontrarsi, discutere, scambiarsi opinioni, e perché no, anche critiche, che quando son costruttive son molto più utili delle lodi fine a se stesse. Come la 25° runa, questa rivista online vuol essere un salto nel buio, un’azione di fede. Noi in-fatti crediamo che il dilagare del web ha sì portato ad un allarga-mento delle possibilità cono-scitive, ma anche ad un appiat-timento del sapere. la pratica più diffusa è quella del Copia/incolla. Chiunque diventa uno specialista di qualsiasi materia... copiando le idee degli altri ed a volte anche senza citarne la fon-te. Noi vogliamo invertire que-sta tendenza, realizzando (forse per la prima volta) una testata editoriale dove chi scrive è l’au-tore di quello che dice, dove si mette in gioco la “propria faccia” e le proprie idee. Nessuno può arrogarsi il diritto di possedere la Verità... ma ognuno di noi ne può possedere un tassello per avvicinarci a lei.

la RUNA bIANCA vuol es-

sere un mosaico di pluralità in cui questi tasselli verranno collocati con pazienza ma con determinazione. Solo chi avrà la costanza di seguirci nel no-stro cammino, potrà scorgerne la visione d’insieme, che è fatta da una molteplicità di cono-scenze ma tesa verso un mede-simo scopo. Per questo motivo non vi sarà un solo settore in cui preferiremo specializzarci. la RUNA bIANCA tratterà argo-menti tra i più disparati, dalla storia alle scienze, dal medioe-vo, agli UFO, ma sempre con la stessa volontà di conoscere e di approfondire.

Il formato scelto (PDF scari-cabile) vuol sfruttare le enormi possibilità di internet che sono i lINk. gli articoli di poche pagi-ne possono ampliarsi ed arric-chirsi con collegamenti a video, foto e riferimenti a siti esterni, trasformando ogni pagina del-la “RUNA bIANCA” in un docu-mento interattivo, capace di ampliarsi all’infinito ( se si vorrà farlo). Detto questo, vi auguro una buona lettura, la migliore lettura del primo numero della RUNA bIANCA che, scaramanti-camente, abbiamo battezzato: numero zERO.

Arch. Vincenzo Di Gregorio

eDito

riALe

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6 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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Notizie dal web

a cura di Enrico baccarini

Sintesi delle news più cliccate e interessanti del mese appena trascorso

Vesuvio, “la bomba a orologeria d’europa”

Una rara immagine a colori dell’ultima eru-zione del Vesuvio, av-

venuta nel marzo 1944. Da allo-ra il vulcano è entrato in uno stato di quiescenza, ma gli scienziati sono unanimi nel rite-nere che, prima o poi, è destina-to a risvegliarsi. Come, e con che violenza? Nel suo ultimo numero, la rivista Nature torna a occuparsi di quella che già dal titolo definisce “la bomba a orologeria d’Europa”. katherine barnes, autrice del servizio, rac-conta come il recente terremo-to del giappone spinga a ripen-sare alla possibilità dei “cigni neri”, vale a dire eventi poco probabili ma potenzialmente devastanti. Quando si appronta un piano di emergenza, occorre tener conto anche del cosiddet-to worst-case scenario? barnes cita gli studi del team di giusep-pe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano che

assieme ad altri studiosi già nel 2006 indagò sulla cosiddetta eruzione delle Pomici di Avelli-no, che circa 3.800 fa devastò l’intera Campania, con effetti ancora più disastrosi della suc-cessiva eruzione di Pompei del 79 d.C. Secondo Mastrolorenzo, la prossima eruzione del Vesu-vio potrebbe essere altrettanto violenta. Al suo allarme la no-stra rivista dedicò un servizio nel settembre del 2007. In uno studio più recente, Mastrolo-renzo e la sua collega lucia Pap-

palardo hanno ipotizzato, sulla base di una serie di indagini si-smologiche, l’esistenza di una vasta camera magmatica a circa 8-10 chilometri di profondità sotto il Vesuvio; segno, secondo gli studiosi, che il risveglio del vulcano potrebbe essere parti-colarmente violento.

13 maggio 2011National geographic

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ArCHeostoriA

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7 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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7GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

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unA seConDA sfinge A giZA?

Il ritrovamento di nuove prove storiche mostra come fino all’XI secolo d.C.,

sul plateau di giza, esistesse una seconda sfinge in seguito smantellata. Nel 1858, François Auguste Mariette fu incaricato dal duca di luynes di verificare la dichiarazione di Plinio il Vec-chio che la sfinge era stata co-struita, e non era monolitica. Aprì una trincea nei pressi della piramide di khufu (IV Dinastia, 2589-2566 a.C.) e in un santua-rio di Iside (risalente al I secolo

a.C.), trovò la cosiddetta “Stele dell’Inventario” in cui si afferma che “durante il regno di khufu, egli ordinò la costruzione di un monumento della lunghezza della sfinge”. Questo portereb-be logicamente a concludere che la sfinge fosse già lì, e che la teoria accreditata, cioè che la struttura sia contemporanea di khefre (IV dinastia, 2520-2494 a.C.), non è corretta. Non c’è da stupirsi quindi che la maggio-ranza degli egittologi provi ad attirare l’attenzione lontano dalla Stele dell’Inventario, per-ché pone troppi quesiti. Esiste però un testo del faraone Amenhotep II (ca. 1448-1420 a.C.), in cui la sfinge è menzio-

nata come “più antica delle pi-ramidi”. Si ritrova poi la famosa Stele dei Sogni di Tuthmosis IV (XVIII Dinastia, 1420-1411 a.C.), in cui alcuni egittologi (troppo frettolosamente) credono di aver visto il nome di khefre. Tut-tavia, ciò che è interessante è la rappresentazione di due sfingi. Nella Stele dell’Inventario, è menzionato un fulmine che col-pì il tetto di una seconda sfinge,segnando l’inizio della fine di questa seconda struttu-ra. Secondo l’archeologo Mi-chael Poe, la seconda sfinge si trovava faccia a faccia con l’an-cora esistente sfinge. Era situata sull’altra sponda del Nilo, e fu distrutta da una violenta piena

ArCHeostoriA

unA AtLAntiDe Cinese

Da oltre un anno il cen-tro di ricerche sotto-marine “Prodiving.CN”

e l’ONg “laboratorio k” stanno studiando un enigma archeolo-gico rilevato in un lago del sud della Cina. Diversi sopralluoghi hanno evidenziato nel fondale del lago Fuxian (24°34’N,102°54’E), nella pro-vincia dello Yunnan, un’antica città sommersa ma a causa dell’elevata altitudine (1700 m s.m.) e delle basse temperature del lago ad oggi è stato possibi-le effettuare solo analisi con sonde robotizzate. Una leggen-da locale afferma che due fate, mentre scendevano sulla Terra, fossero passate da quì. Erano così riluttanti a lasciare il bellis-simo paesaggio che si trasfor-

marono in statue in pietra, da cui il nome del lago letteral-mente ‘Lago dal profilo di fata’. In tempi recenti, il 24 ottobre 1991, un uomo di nome zhang Yuxiang mente stava pescando videro invece un disco lumino-so uscire dal lago svanendo nel cielo. Ma è grazie a geng wei, subacqueo specializzato, che alcuni anni fa furono scoperti materiali lapidei, tra cui lastre di pietra coperte da uno strato di muschio. Per svelare il mistero, fu coinvolto un team cinese di archeologi subacquei, che at-traverso il sonar identificarono ciò che sembrava un’antica città sommersa. I risultati degli ar-cheologi cino–russi coordinati da leonid gav e Yevgeny Spiri-donov sono stupefacenti, “Ab-biamo trovato in laghi d’acqua dolce una piramide alta oltre 40 metri ed è veramente sorpren-dente”. Queste piramidi sono sopravvissute quasi intatte, fuo-

ri del tempo e lontane dall’atti-vità dell’uomo. la parte supe-riore di una delle tre piramidi esaminate si trova ad una pro-fondità di circa 54 metri, e la più bassa a 97 m. le immagini mo-strano blocchi di pietra con fi-gure visibili, simili ad orecchie umane. Secondo il sonar, sono stati ripetutamente riconosciuti in scansione tridimensionale blocchi variabili nel formato da 3 a 5 metri. Come ci aspettava-mo, l’origine del lago di Fuxian è tettonica. l’età approssimati-va delle costruzioni può essere al periodo 5000–12000 a.C. E’ stato studiato solo l’uno per cento della superficie del lago, che è largo 7 chilometri e lungo oltre 50.

19 maggio 2010liutprand

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8 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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s del fiume Nilo all’incirca nel 1000 d.C. Questa tesi è confer-mata da altri testi, come quelli del grande studioso e geografo arabo Al-Idrisi (1099-1166 d.C.) nelle sue due enciclopedie geo-grafiche. Il famoso storico Mu-sabbihi scrive di una “sfinge mi-nore rispetto alle altre” dall’altra parte del Nilo, fatta di mattoni e pietre.In definitiva, questi rac-

conti presentano prove concre-te che, in origine, vi fossero due sfingi: una, la sfinge che esiste ancora, e una seconda sfinge sul lato opposto del Nilo, fatta di mattoni, prima danneggiata e in tempi relativamente moderni, nell’XI secolo, usata come una cava, poi completamente sman-tellata. Perché non si è più scrit-to nulla su questa seconda sfin-

ge? Cosa c’è da nasconde? Forse il motivo è più complesso: queste Sfingi nascondono un accesso a qualcosa che sta sotto l’altopiano di giza?

3 maggio 2011shan-newspaper.com

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i gerogLifiCi DeLLA PirAmiDe: ProBABiLmente

numeri LegAti ALLe

ProPorZioni CostruttiVe

Una scoperta sconcer-tante, pitture in verni-ce rossa trovate all’in-

terno della grande Piramide da un robot armato di macchina fotografica. Misteriosi geroglifi-ci sono stati ritrovati in una ca-mera segreta posta oltre la por-ta del tunnel situato nella camera della regina. Secondo gli archeologi si tratterebbe di numeri per identificare le pietre risalente a 4500 anni fa. “Ci sono molte domande senza risposta che generano queste immagi-ni” afferma Rob Richardson, l’in-gegnere che ha progettato il robot presso l’Università di leeds. “Perché c’è scritto in que-sto spazio? Cosa dice la scrittu-ra? “ si chiedeva Richardson. luca Miatello, un ricercatore in-dipendente specializzato in matematica egiziana antica cre-

de di avere alcune risposte. “le marcature sono segni numerici ieratici. Si leggono da de-stra a sinistra, e significa-no 100, 20, 1. I costruttori semplicemente registra-rono la lunghezza totale dell’albero: 121 cubiti”. Costruito per il faraone Cheope, conosciuto an-che come khufu, la gran-de piramide è la più gran-de di una famiglia di tre piramidi sull’altopiano di giza, alla periferia del Cairo. Anni di indagini non hanno chiarito la funzione di questi tunnel né tantomeno delle por-te poste lungo il loro cammino. Zahi Hawass, oggi divenuto ministro di Stato per le Antichi-tà egiziane, descrive queste strutture come l’ultimo grande mistero della piramide e non sono pochi coloro che conside-rano i blocchi con le maniglie come l’anticamera ad una nuo-va stanza segreta. Secondo l’e-gittologo kate Spence, dell’Uni-versità di Cambridge non coinvolto direttamente nello studio, esistono forti sospetti per ritenere che le gallerie furo-no costruite con un significato simbolico. Hawass, direttore del progetto Djedi, afferma che

non è nota nessuna altra pira-mide con tunnel e porte come

queste e ribasdisce come dietro di essa potrebbe essere trovata una stanza nascosta. ”La Came-ra del Re può essere stata una sala fittizia, in quanto il fattore più importante nella mente degli antichi Egizi era quello di na-scondere la camera sepolcrale“.” Abbiamo una leggenda che nar-ra l’incontro tra il mago Djedi e Cheope, quest’ultimo alla ricerca delle sale nascoste e dei segreti del dio Thoth. Sulla base di tale leggenda, forse c’è ancora qual-cosa di nascosto nella pirami-de!”.

8 giugno 2011Discovery News

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9 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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9GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

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sCoPerto un CerCHio Di

Pietre A nuVoLerA,

BresCiA

PInghiottito da una fitta vegetazione dalle parti di Nuvolera, sul

monte Cavallo, un cocuz-zolo che fa da confine con la località di Virle, dorme di un sonno millenario il leg-gendario e semi dimenti-cato “Sercol”: un magico cerchio di pietroni allineati con una figura umana inci-sa con un sole che punta al tramonto. Protetto dal suo sottobosco impenetrabile, è di fatto isolato. In pochis-simo possono dire di aver-lo visto: arrivarci è un’im-presa ardua, che in inverno diventa impossibile. l’uni-co momento buono è l’ini-zio della primavera, quan-do la vegetazione non è ancora rigogliosa. Non esi-ste un sentiero percorribile: rovi e massi aguzzi sbarrano più vol-te l’ascesa sul ripido pendio e non è raro sentire sibilare le vi-pere. è un posto fuori dal tem-po e non alla portata della sem-plice curiosità dei camminatori domenicali.

Queste difficoltà non hanno fermato due giovani studiosi desenzanesi, Armando bellelli e Marco bertagna, entrambi ap-passionati di storia bresciana e archeologi dilettanti. Qualche voce era giunta alle loro orec-chie, ma a incuriosirli sono state le misteriose geometrie visibili

tramite programmi di immagini satellitari come google Earth, così, strumenti alla mano, han-no deciso di sfidare il monte Ca-vallo e tra boschi di castagno e rovi spinosi hanno mirato al se-greto cocuzzolo.

là in cima c’è la testimonian-za di un’antica presenza umana: un grande cerchio di pietre bianche, perfettamente regola-re e con un diametro di circa 42

metri. Esattamente al centro, a quota 420 metri, ci sono altri grandi massi ricoperti da mu-schi e detriti. lì vicino c’è anche una piattaforma di pietra semi sepolta con quella che potreb-be sembrare una figura umana profondamente scolpita nella roccia adorante un disco solare: la figura è perfettamente alline-ata verso ovest, verso il sole che muore. Il cerchio di pietre è si-mile a quelli che si possono am-mirare in Inghilterra, Irlanda, Scozia e molte altre parti d’Eu-ropa, mentre in Italia sono estremamente rari. le terre bre-

sciane sono state abitate da li-guri, Celti e galli Cenomani, ma per apprezzare l’importanza e la vastità del sito nostrano oggi è necessatio utilizzare foto-grammetrie dall’alto. «Non mi sento di dare una datazione o un’attribuzione ad una antica popolazione, - spiega bellelli - ritengo sia necessaria e dovero-sa un’attenzione particolare al sito da parte della Provincia di

brescia e della Sovrintendenza. Potranno confermarlo soltanto gli archeologi professionisti, ma l’idea che in cima a quel monte si celi da decine di secoli una Stonehenge bresciana mi emo-ziona fortemente e mi auguro che presto diventi oggetto di studio per verificare una simile possibilità».

di Enrico Grazioli

4 maggio 2011brescia Oggi

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10 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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s ArCHeoLogiA suBACqueA: i 10

siti sommersi Più interessAnti

DeL monDo

Fino a quando i relitti di antiche navi sommerse ci sembravano testimo-

nianze affascinanti e avventuro-se, figurarsi quando si riscopre sotto il mare un’intera città, con i suoi palazzi e le sue strade. Ecco una top ten dei dieci siti sommersi più interessanti del mondo.

1 Alessandria, Egitto – Su Alessandria molti cono-scono una leggenda po-

chi anni fa ritornata alla luce della storia, quella del suo fa-moso Pharos, i suoi resti si tro-vano sia in terra che sotto il mare.

2 Pavlopetri, grecia - Al largo della costa meri-dionale greca, è uno dei

più importanti siti subacquei del mondo, nonché la città sommersa più antica, popolata fino a 5 mila anni fa. Un tempo la città micenea fu un nodo commerciale pulsante di vita.

3 Ventotene, Italia - Nell piccola isola, lo scorso giugno, sono state ri-

trovate relitti di cinque navi ro-mane, tutte ricolme di tesori e pregevoli manufatti antichi.

4Campi Flegrei, Italia - A ovest di Napoli si esten-de una vasta area di

origine vulcanica larga ben 13 km. Probabilmente si tratta del sito sommerso più attivo e fre-quentato del mondo, vantando

oltre 20 punti di immersione con un parco archeologico sommerso.

5 Havana, Cuba – Nella piccola isola dell’Ameri-ca Centrale numerosi

esperti stanno studiando le me-galitiche rovine nel Canale dello Yucatan, e qualcuno sostiene che i risultati potranno fornire informazioni sulla più antica ci-viltà precolombiana della regio-ne. Per ora è stata effettuata sol-tanto una mappatura a computer, ma i lavori prometto-no bene…

6 Assuan, Egitto - grazie alle moderne tecnolo-gie, ancora oggi, inte-

ressanti tesori stanno emergen-do dalle acque Assuan sotto l’occhio vigile del capo dello SCA, zahi Hawass.

7 Mare del Nord - Oggi il Mare del Nord è un trat-to d’acqua di 600 miglia

che separa la gran bretagna dai Paesi bassi, la germania e la Scandinavia, 60 mila anni fa era però un’enorme tavola ghiac-ciata Ecco perché qualche mese fa è stato possibile, per una squadra svedese, trovare il te-schio di un neandertaliano in-sieme ad altri scheletri antichis-simi nelle reti da pesca. Nuove indagini stanno producendo incredibili scoperte.

8 Stretto di Solent, gran bretagna - Nascosta lungo una scogliera

sottomarina a bouldner, al lar-go dell’Isola di wight, giace una struttura vecchia di 8 mila anni, che ha letteralmente stregato garry Momber, direttore della Società per l’Archeologia Mari-na dell’Hampshire e dell’Isola di wight.

9 Capo greco, Cipro - Al largo della costa orien-tale di Cipro, 1800 anni

fa affondò una nave romana che trasportava ben 130 anfore della divina bevanda. Ma l’a-spetto più interessante del ri-trovamento sono gli oggetti contenuti nelle navi: testimo-nianze preziose sulla vita quoti-diana che i marinai conduceva-no durante l’Impero Romano.

10 Maljevik, Monte-negro - Il sogno di ogni esploratore

che si rispetti: il sedicenne Mi-chael le Quesne assaporava un’immersione nei pressi della città montenegrina di bar, nello scorso novembre, quando notò qualcosa di strano tra le onde dell’Adriatico. Ciò che poteva essere un semplice scoglio si ri-velò una porzione di antiche colonne scanalate, probabil-mente appartenute a un porto greco-Romano.

18 maggio 2011Il Turista

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11 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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11GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

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BLoCCAti gLi sCAVi neLLe PirAmiDi Di

Visoko

Perplessità e sgomento sembrano manifestarsi riguardo le recenti pre-

se di posizione ufficiali attuate contro gli scavi delle emblema-tiche piramidi bosniache di Vi-soko. Da vario tempo si cercava di bloccare il lavoro di Semir Osmanagic autore nell’Aprile del 2006 di una delle più inte-ressanti scoperte in territorio europeo. Si parla di un com-plesso di 5 piramidi di cui la maggiore, la Piramide del Sole, è alta 220 metri ed in cui i suoi spigoli sono tagliati perfetta-mente con un inclinazione di 45° con lati inclinati di 365 me-tri. Oltre alle Piramidi sono state

rinvenute nel sito strutture me-galitiche sferiche, una vasta rete di tunnel scavati esternamente alle piramidi ed internamente alle stesse. 15 milioni di anni fa, nella regione di Visoko, vi era un grande lago ed un immensa pa-lude che hanno generato strati sedimentari di oltre due chilo-metri. Il lago scomparve 5 milio-ni di anni fa, lasciando però gli strati di sedimenti. Secondo la scienza ‘’ufficiale’’, le piramidi di Visoko sarebbero nate a causa di spinte tettoniche. le lastre di quel materiale simile al calce-struzzo trovate da Semir Osma-nagic non sarebbero altro che pietra sedimentaria frammen-tata dal rialzamento del terreno. I tunnel che si estendono per km sotto il sito sarebbero anti-che miniere di rame risalenti al neolitico (3000 a.c. circa), ma che, secondo alcuni vecchi di Vi-soko, furono sfruttate anche re-centemente dal ex governo co-munista di Tito. le iscrizioni

trovate all’interno dei tunnel sarebbero, sempre secondo i santoni dell’archeologia, graffiti elaborati da annoiatissimi mi-natori comunisti. Tutto questo sepolto da oltre 2,5 metri di ter-reno, all’interno del quale delle conchiglie fossili rivelano che le strutture sono state costruite prima di 12000 anni fa. Il lavoro va avanti grazie all’aiuto di gruppi di professionisti volon-tari che a loro spese cercano di far emergere la verità tra gli an-gusti cunicoli sotterranei di Vi-soko. Questo succede per la pri-ma volta in quasi cinque anni di scavi. Fin’ora i tunnel erano completamente coperti da ter-reno, probabilmente portato all’interno del reticolo da un inondazione improvvisa avve-nuta 12000 anni fa.

28 dicembre 2010la gazzetta del Misterovai al sito della news >>

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PirAmiDi BosniACHe, Le

DAtAZioni AL C14 DiCono: HAn

DieCimiLA Anni !!!

è quello che riferisce il Dottor Osmanagic ad una conferenza tenutasi

a Slavonski brod riguardo le piramidi in bosnia. “ E’ stato il più grande progetto archeologico del 2010 con più di 500 volontari e 45 archeologi professionisti provenienti da

tutti i paesi europei (Italia, Spagna, Francia, Ungheria, Croazia, Malesia..) “. l’archeologo ha sottolineato come negli scorsi sette anni abbiano totalizzato 340000 ore di lavoro e già questo anno sono arrivati 700 volontari da tutti i continenti. “ la gente vuole far parte di questo progetto, vuole scoprire la prima piramide europea e la più grande piramide del mondo “, continua il ricercatore, che ormai ha presentato molte prove e l’esistenza della piramide non può essere più negata. “ Nel corso del 2005 e del 2006 siamo

stati pesantemente attaccati, ma oggi non si sente più nessuno negare l’evidenza. “ Tutte le squadre di esperti confermano la presenza di una piramide, ma ora ha bisogno di scoprire chi l’ha costruita e quando, per fermare una volta per tutte gli attacchi al progetto. “ l’ establishment culturale, invece, mantiene ancora un certo senso di non curanza verso quello che facciamo. “ ha dichiarato Osmanagic. Nel corso dei lavori è stato raccolto del materiale organico proveniente dalle piramidi in modo da poter determinare

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12 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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s l’età delle stesse. “ In uno degli scavi effettuati nella Piramide della luna abbiamo trovato del materiale adesivo di natura organica, e l’abbiamo inviata a gliwicame (in Polonia) per

effettuare il test della datazione al radiocarbonio, presso l’istituto di Tecnologia di Slesia. l’età è stata calcolata di circa 10, 35 mila anni. Questo cambia la nostra visione dell’ Europa e

dell’età delle prime civiltà avanzate”.

7 giugno 2011jutarnji

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rAggi infrArossi sCoProno

PirAmiDi nAsCoste

le immagini satellitari a infrarossi della Nasa hanno permesso agli ar-

cheologi di identificare dicias-sette piramidi egiziane sepolte nel sottosuolo, oltre a un mi-gliaio di tombe e tremila antichi

insediamenti.Come riporta il sito della bbc,

il progetto della Nasa è attivo da circa un anno in un laborato-rio di birmingham, nello stato americano dell’Alabama e sfrut-ta il fatto che gli infrarossi sono in grado di penetrare nel terre-no e mettere in risalto la diffe-rente densità dei materiali; dato che gli antichi egizi costruivano case e templi con mattoni di fango essiccato, molto più den-si del terreno circostante, tali strutture risultano riconoscibili dalle immagini.

Secondo i ricercatori per ora sono stati identificati solo i siti più vicini alla superficie, ma ve ne sono migliaia che il Nilo avrebbe ricoperto di detriti con il passare dei secoli: i primi scavi condotti a Saqqara e Tanis han-no confermato in pieno le pre-dizioni delle immaguini satelli-tari.

25 Maggio 2011TMNews

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ArCHeostoriA

Le onDe Dei teLefoni

CeLLuLAri sono mortALi

giunge ad un epilogo il dibattito sui rischi per la salute derivanti

dall’uso dei telefoni cellulari. Il Prof. girish kumar, del di-

partimento IIT di bombay, ha recentemente presentato un rapporto dettagliato al Diparti-mento delle Telecomunicazioni indiano in cui mette in guardia contro l’uso eccessivo dei cellu-lari in quanto espone gli utenti ad un aumento del rischio di

cancro, tumore al cervello e di molti altri problemi per la salu-te. Per i bambini la cosa è ancor più accentuata. l’uso dei cellu-lari per più di 30 minuti al gior-no, per 10 anni, aumenta il ri-schio di cancro al cervello e neuroma acustico ma la radia-zione dei cellulari provochereb-be anche danni irreversibili alla fertilità maschile. le frequenze utilizzate dai cellulari possono causare danni al DNA e favorire la formazione di radicali liberi all’interno delle cellule. Dagli studi del Prof. kumar si appren-de anche che le frequenze dei cellulari interferiscono con il corretto funzionamento di alcu-ni dispositivi salvavita e posso-no scatenare la risposta allo

stress in cellule umane e ani-mali. A ciò si aggiunge, con un uso prolungato, la debilitazione del sistema immunitario e sti-molazione di risposte allergiche e infiammatorie. l’utilizzo pro-lungato può anche danneggia-re il sistema visivo in molti modi e portare ad un temporaneo ri-scaldamento del cervello nella zona irradiata come anche cau-sare disturbi del sonno. In que-sto quadro la cautela nell’utiliz-zo di questi dispositivi può solo aiutarci a vivere una vita miglio-re e con minori rischi per la no-stra salute.

25 aprile 2011 Ecplanet

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sCienZA

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13 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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13GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

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Distorsione sPAZio-

temPorALe: ConfermAte

teorie Di einstein

le teorie di Albert Ein-stein sullo spazio-tempo e sulla gravità hanno fi-

nalmente trovato conferma con una precisione estrema nei ri-sultati della missione Nasa gra-vity Probe b (gP-b), pubblicati sulla Physical Review letters: lo spazio-tempo quadridimensio-

nale risente della presenza di materia manifestando due ef-fetti, quello geodetico legato alla curvatura delle spazio sotto l’azione delle masse, come la corda di un funambolo che si flette sotto il suo peso, e quello di trascinamento dovuto alle in-crespature dello spazio-tempo prodotte dalla rotazione terre-stre. Francis Everitt, fisico dell’u-niversità di Stanford e a capo della ricerca, ha spiegato che possiamo “immaginare la Terra come immersa nel miele. Quan-do il pianeta ruota su sé stesso, o nel suo moto attorno al Sole, nel miele intorno si formano dei vortici. Quel miele è lo spazio-tempo”. gli effetti prodotti in

questo ‘miele cosmico’ sono dovuti al fatto che la gravità, se-condo le teorie del celebre fisi-co, è il risultato del moto degli oggetti che seguono le linee curve delle increspature dello spazio-tempo, che non si defor-merebbe se la Terra fosse ferma, piuttosto che in moto. Non solo la Terra induce questi effetti, tutti i corpi aventi massa, noi in-clusi, sono in grado di attuare una deformazione impercetti-bile all’uomo, dello spazio che li circonda e di provocare le incre-spature del continuum spazio-temporale. la conferma delle teorie di Einstein rappresenta dunque una grande conquista per la fisica ed un successo ecla-

sCienZA

neL sistemA soLAre C’e’ un

ALtro PiAnetA, si CHiAmA HAumeA

Dopo Plutone, un nuo-vo pianeta nano di nome Haumea sem-

bra aggiungersi al nostro siste-ma solare dimostrandosi parti-colarmente affascinante per la sua composizione. Non si tratta soltanto della sua caratteristica forma a uovo ma anche del fat-to che sembra sia completa-mente ricoperto da acqua ghiacciata. Haumea è un piane-ta nano che transita oltre l’orbi-ta di Nettuno e la sua esistenza è stata confermata solo sei anni fa. Appare bianco lucente se os-servato con un telescopio suffi-cientemente potente, come an-che le sue due lune, Hi’iaka e

Namaka. I ricercatori dell’ Euro-pean Southern Observatory ci-leno hanno infatti scoperto che il 75% delle superficie di Hau-mea e il 100% di Hi’iaka sono ri-coperte da ghiaccio d’acqua cri-stallizzato. “Dato che la radiazione solare distrugge co-stantemente la struttura cristal-lina del ghiaccio sulla superfi-cie, sono necessarie delle fonti di energia per mantenere la struttura del ghiaccio” spiega benoit Carry, co-autore della scoperta. “le due fonti che ab-biamo preso in considerazione sono quelle in grado di genera-re elementi radiogenici (potas-sio-40, torio-232 e uranio-238), e le forze di marea tra Haumea e i suoi satelliti”. Haumea non fini-sce di mostrare aspetti curiosi. Dal suo piano orbitale inclinato di 28° agli strani parametri pla-netari di Haumea fino ad una ‘macchia’, una regione decisa-mente vasta del pianeta chiaz-

zata di rosso. la veloce rotazio-ne di Haumea, elemento che gli fornisce la tipica forma a uovo, potrebbe essere il frutto di una collisione che contribuì anche alla creazione delle due lune del pianeta nano.

la macchia rossa, invece, po-trebbe essere stata creata dal deposito di minerali o di mate-ria organica portati in superfi-cie dall’emersione di acqua cri-stallizzata.

Ad oggi, tuttavia, si sa anco-ra poco su questo bizzarro pia-neta: non se ne conosce l’orbita precisa, e nemmeno quella dei suoi satelliti. Non si conosce l’e-satta origine della sua acqua e non si può soltanto ipotizzare la gamma di fenomeni che posso-no manifestarsi su un pianeta nano tanto particolare.

13 Maggio 2011Ansa

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sCienZA

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14 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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ufo neL mAre Di sorrento?

no, è un uoVo Di CALAmAro

Avvistamento ecce-zionale, nei fondali dell’area marina

protetta di Punta Campanel-la. Daniele Castrucci ed Edo-ardo Ruspantini, due sub del “TgI Diving Sorrento”, hanno avvistato a 50 metri di profon-dità una sfera trasparente di circa un metro di diametro, gelatinosa e attraversata da una specie di condotto più scuro, che si allargava a forma di imbuto alle due estremità. I due sommozzatori hanno scat-tato foto, alcune delle quali sono in questa pagina. Il miste-ro è stato svelato dal professore Roberto Sandulli, biologo mari-no dell’Università Parthenope,

che è stato interpellato dai re-sponsabili della riserva marina. la sfera gelatinosa, ha chiarito l’esperto, non è un ufo, ma è una grossa teca ovarica di cala-maro, che contiene migliaia di uova. Casi simili finora si sono visti solo in Norvegia, Nuova ze-

landa e Croazia. Mai, sembra, in Italia. Si tratta, quindi, di un ri-trovamento eccezionale che sta facendo discutere la comunità degli appassionati e dei ricerca-tori.

“Più difficile individuare”, ha sottolineato il biologo Sandulli, “di quale specie di calamaro si

tratti, poiché in Italia sono cen-site 26 diverse varietà di totani e calamari”. l’emissione delle uova all’interno di masse gelati-nose è tipico della famiglia de-gli Ommastrefidi, che nel Medi-terraneo è presente con 4 specie, tutte indicate col nome

comune di totano. Potrebbe essere la teca di una femmi-na di totano la madre delle decine di migliaia di calama-retti contenuti nella sfera di Punta Campanella. Ma non è escluso che si possa trattare anche di una specie “aliena” di calamaro, il Notodarus gouldi, sconosciuto nei no-stri mari. Il che, se conferma-

to, proverebbe che i due subac-quei hanno proprio avvistato “un ufo”...

di Fabrizio Geremicca

7 maggio 2011Corriere del Mezzogiorno

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sCienZA

tante per un progetto che dopo un anno di raccolta dati, ne ha richiesti 5 per le analisi. “I risulta-ti di tale missione avranno un impatto a lungo termine nel campo della fisica teorica - ha

osservato bill Danchi, astrofisico della Nasa – . In futuro la sfida per la conferma della teoria del-la relatività generale dovrà fare i conti con misure più precise delle memorabili effettuate dal

lavoro di gP-b”.

28 dicembre 2010blitzquotidiano

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rAeLiAni in un CABLo Di

WikiLeAks

lo scorso 28 aprile il sito wikileaks ha rilasciato un nuovo documento a

sfondo ufologico ma, questa

volta, il cablo è incentrato sul controverso movimento raelia-no presieduto Claude Vorilhon.

Oggetto del telex, ricevuto da wikileaks il 3 gennaio del 2003 e proveniente dal consola-to canadese, sono le dichiara-zioni rilasciate della dottoressa brigitte boisselier nel corso di una conferenza stampa tenuta-

si ad Hollywood il 27 Dicembre 2002. Ne risulta un quadro ab-bastanza chiaro degli interessi del movimento che sembrano essere di natura prevalente-mente economica. la boisselier, chimico di origini francesi e re-sponsabile della Clonaid, di-venne infatti famosa per aver annunciato al mondo la nascita

mistero

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15 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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15GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

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AstronAVe ALienA sotto iL

CrAtere Potomski?

Nella regione di Irkutsk, nei pressi della città di bodaybo in Siberia,

esiste un cratere dalla forma unica chiamato dai locali Po-tomski, o “Nido d’Aquila di Fuo-co”. Scoperto nel 1949 da un giovane geologo di Irktusk, Va-dim kolpakov ha un’altezza di circa 70 metri e si estende sul pendio della montagna degli altopiani di Patom per circa 180 metri. Si stima che sia formato da più di un milione di tonnella-te di ciotoli di calcare. le analisi hanno inoltre stabilito che l’età

approssimativa del cratere è di circa 250 anni pur se ai piedi della struttura è stato trovato un larice di 480 anni che po-trebbe radoppiarne l’età. Qual-che anno fa giravano ipotesi molto esotiche sul cratere Po-tomski tra cui la caduta di un frammento di stella di neutroni, ma recentemente si è scoperto che a 100 metri nel sottosuolo, sotto al cratere, si troverebbe un corpo di forma cilindrica o di ellisse, lungo 600 metri in grado di provocare anomalie magne-tiche nell’intera regione. Da cosa sia costituito questo “uovo” non è dato saperlo. “A giudicare dai risultati, non è composto di ferro, o da qualsiasi altro metal-lo noto all’umanità. Ma il fatto che c’è qualcosa è un dato di fatto! “ afferma Alexander Po-speev. Un’ altra particolarità di

questo cratere è data dalla sua bassa radiazione di fondo che diminiusce più ci si avvicina al centro. l’ anomalia sotto il Cra-tere Potomski forse è perfetta-mente spiegabile come feno-meno naturale, (eruzione vulcanica o impatto da meteo-rite sono le ipotesi più accredi-tate, valida anche la tesi dell’e-splosione spontanea nel sottosuolo di una miniera di uranio o di un giacimento di metano) tuttavia fichè non ver-ranno effetuate analisi più ap-profondite rimane il dubbio che la sotto, vista la forma parti-colare, possa celarsi un’astrona-ve aliena precipitata.

Maggio 2011Cratere Potomski

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mistero

della prima bambina ‘ottenuta’ attraverso il processo della clo-nazione.

Eve, questo il nome che le fu dato, fu annunciata al mondo ma mai mostrata così come gli altri due bambini che sarebbero nati con lo stesso sistema. An-cora oggi sussistono forti dubbi sulla realtà di queste dichiara-zioni e sulla realtà stessa delle clonazioni tanto decantate. Il cablogramma esprime le forti preoccupazioni emerse nella comunità internazionale a se-guito delle dichiarazioni della boisselier, parole che sembrava-no concretizzare una idea già espressa pubblicamente nel 2001 (CRONACHE – Domenica 05 Agosto 2001) di clonare il dit-tatore nazista Adolf Hitler… Come molti di voi sapranno il movimento raeliano nasce nel

1973 a seguito dell’incontro con esseri extraterrestri avuto da Claude Vorilhon (in arte Rael dall’ebraico “luce di Dio”) , ex cronista sportivo, ex cantante ed appassionato di motori. «Era-no esseri piccoli e verdi» raccon-tò «di corporatura esile (alti all’incirca 1,20m) e scendevano da una navicella atterrata nei pressi di un vulcano. Mi hanno detto che erano venuti solo per parlarmi e trasmettermi il mes-saggio che avrei dovuto diffon-dere alla gente di tutto il mon-do». Un secondo incontro con i misteriosi esseri avvenne due anni dopo, il 7 ottobre 1975. Un Elohim prese e condusse Rael in un altro pianeta, dove incontrò gesù, Maometto, buddha e Mosè!

Nel mondo i seguaci del Mo-vimento Raeliano sono 55000

divisi in 84 paesi. «Una percen-tuale piuttosto bassa se si consi-dera l’interesse dei temi trattati: sesso ed ufo» sostiene il porta-voce canadese del gruppo Mike kropveld, «la maggior parte de-gli utenti del sito frequenta sal-tuariamente gli eventi proposti. I membri attivi si attestano in-torno ai 2000-3000 nel mondo e circa 700 a Montreal». «Cifre de-stinate a crescere», sostiene sempre kropveld, «dal momen-to che l’organizzazione cerca sempre nuovi argomenti per attirare l’attenzione e la curiosi-tà delle persone». la grande at-tesa del movimento è, a loro dire, il ritorno sulla Terra degli Elohim nel 2035.

1 Maggio 2011ENIgMA | Enrico baccarini

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16 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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s intensA AnomALiA

mAgnetiCA in AntArtiCo CreA

VortiCe temPorALe neL

PAssAto?

Uno studio condotto qualche decennio fa da un team di scien-

ziati britannici ed americani sembra ritornare alla ribalta con interessanti evoluzioni. Il grup-po nel 1975 si sarebbe imbattu-to accidentalmente in un even-to alquanto misterioso e bizzarro mentre lavoravano su un progetto comune riguar-dante lo studio dei fenomeni metereologici. Il fisico america-no Mariann Mclein ed i suoi colleghi scienziati confermaro-no la comparsa di uno strano “vortice nebbioso” formatosi al di sopra della zona in cui stava-no operando. Inizialmente il team pensò si trattasse di una casuale tempesta polare ma il vortice a spirale formatosi non si disperdeva ma rimaneva sta-zionario. Così gli scienziati deci-sero di indagare sullo strano fe-

nomeno; il gruppo dopo aver preso uno dei suoi palloni me-tereologici attaccandovi più strumenti l’ha rilasciato nel vor-tice che lo ha letteralmente ri-succhiato al suo interno facen-dolo scomparire. Dopo qualche minuto decisero di recuperare il pallone e nonostante qualche difficoltà con l’argano sono riu-sciti a portarlo a terra e control-lare gli strumenti. Mclein e compagni rimasero sba-lorditi da quello che ave-vano osservato; il crono-metro segnava la data riferita esattamente a die-ci anni prima, cioè 27 gen-naio 1965 anzichè 27 gen-naio 1975. l’esperimento fu ripetuto più volte ma il risultato fu identico. l’epi-sodio fu riferito in un se-condo tempo ai servizi se-greti militari e l’informazione fu trasferita alla Casa bianca. Presumi-bilmente lo strano vortice,è in realtà un tunnel magnetico spa-zio-temporale, del quale i mili-tari dell’intelligence sono a co-noscenza soprannominandolo in codice “The time gate”. E’ cu-rioso che lo strano fenomeno sia avvenuto proprio in prossi-mità della zona in cui fu scoper-ta una costruzione artificiale

nell’aprile del 2001, attraverso alcuni scavi effettuati sotto il ghiaccio ad una profondità di 2 miglia da parte dei militari ame-ricani. In seguito a questa sco-perta gli stessi militari cercaro-no di impedire che questa notizia trapelasse ma in realtà non fu così;infatti nonostante fu intimato ai media il silenzio stampa, la notizia secondo cui

erano iniziati degli scavi in gran segreto in Antartide arrivò all’Europa, che protestò in ma-niera formale contro l’azione intrapresa dai militari americani e dal loro governo.

7 Maggio 2011Evidenza Aliena

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mistero

toP ten DeLLe PreVisioni

fALLite suL giorno DeL

giuDiZio uniVersALe

Recentemente Discovery ha stilato una top ten dei giorni del giudizio

non verificatisi proiettando an-che le nostre paure fino ai pros-simi decenni ed alle profezie scritte secoli orsono da nomi il-lustri. la più recente apocalisse fallita è stata la data del 21 mag-gio. Il pastore Harold Camping,

presidente di Family Radio, ave-va ‘decodificato’ brani della bib-bia, in cui si sarebbe affermato che in questa data un terremo-to globale avrebbe distrutto l’u-manità. Di controparte il large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle più grande e po-tente ad oggi realizzato, non ha ancora provocato la fine del mistero

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17 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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17GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

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russiA, enorme ufo

APPAre soPrA ViLLAggio e

miLitAri AProno iL fuoCo

Ha suscitato grande scalpore la notizia ap-parsa sull’emittente

televisiva russa”gubernia TV”. Un gigantesco UFO sarebbe ap-parso lo scorso 11 maggio so-pra il villaggio di lesopilniy. gli abitanti di lesopilniy avrebbero osservato un gigantesco UFO di oltre 200 metri di diametro flut-

tuare sopra la loro cittadina per alcuni minuti facendo ca-dere nel panico molti residenti. l’oggetto è stato visto ad occhio nudo anche dagli addetti ad una base militare che si trova nelle vicinanze, ma non è stato rilevato dai radar. I militari han-no così deciso di sparare dei proiettili d’artiglieria all’UFO, nel caso in cui fosse diventato ostile ma, a quanto pare, il mi-sterioso velivolo sarebbe ripar-tito verso l’alto velocemente e scomparendo alla loro vista. Nonostante il terrore dei testi-moni non sono tardate a giun-gere le spiegazioni convenzio-nali sull’avvistamento da parte di scienziati ed autorità gover-native che hanno parlato di me-

teore o altri fenomeni atmosfe-rici non riconosciuti dai testimoni, riflessi di luci nell’ac-qua, gas di palude e sciami d’in-setti con dorsi brillanti.

I testimoni non hanno accet-tato le ipotesi tranquillizzanti degli apparati governativi e sono certi di quello che hanno visto. Il video del telegiornale in lingua russa risulta quantome-no esaustivo nel panico genera-to dall’avvistamento ma soprat-tutto risultano molto interessanti le ricostruzioni fat-te dai testimoni dell’oggetto.

16 Maggio 2011Noiegliextraterrestri

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mistero

mondo come molti temevano nel settembre 2009. Molti riten-nero che avrebbe potuto creare un piccolo buco nero in grado di inghiottire il pianeta. Quando invece l’orologio spostò le lan-cette dalle 11:59 del 31 dicem-bre 1999 alla mezzanotte, tutti i computer del mondo erronea-mente credettero che il 2000 era in realtà l’anno 1900. Il mer-cato azionario andò nel caos, gli aerei precipitarono a terra e le basi missilistiche lanciarono i loro missili nucleari. O almeno questo è ciò che sarebbe dovu-to accadere secondo alcuni pro-feti di sventura. Nel 1555, No-stradamus, predisse che il mondo sarebbe finito 444 anni dopo. I membri di Heaven’s gate erano inoltre convinti che la co-meta Hale-bopp fosse in realtà seguita da un UFO sul quale sa-rebbero potuti fuggire dall’im-minente apocalisse. Per imbar-

carsi sull’astronave, un gruppo di 39 membri della Heaven’s gate si suicidiò nel marzo del 1997. Cosa succede quando un ingegnere della NASA si interes-sa delle profezie sul giorno del giudizio? Edgar whisenant pub-blicò 88 Reasons why the Rap-ture will be in 1988 (“88 ragioni per cui il Rapimento avverrà nel 1988”), un bestseller. Nel libro The jupiter Effect (“l’effetto di giove”), bestselller del 1974, gli autori john gribbin e Stephen Plagemann predissero che un allineamento dei pianeti il 10 marzo 1982 avrebbe gettato il clima della Terra nel caos. Dopo che joseph Smith fondò il mormonismo negli anni ’20 del 1800, non ebbe molto tempo per avviare la sua na-scente religione. Dopo tutto, anni dopo nel 1835 predisse che il mondo sarebbe finito entro 56 anni. Il 2012? è ricco

di teorie, la più famosa delle quali è la previsione attribuita ai Maya che preannuncerebbe la fine del mondo il 21 dicembre 2012. E nel caso arriviate a ve-dere il 2060, avrete appena fat-to in tempo a vivere un ultimo scenario apocalittico. Uno sca-rabocchio scritto a mano su una nota contiene tale previsione. l’autore?Niente meno che Sir Isaac Newton.

20 Maggio 2011Discovery News

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18 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

ViD

eo Video in rete

a cura di Vincenzo Di gregorio

I filmati scelti per voi

[email protected]

fisica quantistica - teoria Delle stringhe e universi Paralleli

durata 23:30Documentario tratto dalla trasmissione La Macchina del Tempo sulla teoria delle strin-ghe (D-brane e universi paralleli), una del-le teorie candidate all’unificazione delle forze. gUARDA Il VIDEO >>

sCienZA

egitto 17 piramidi sepolte scoperte con immagini nasa

durata 01:21Scoperte 17 nuove piramidi a Saqqara, un sito a sud del Cairo, grazie a foto e rileva-menti a raggi infrarossi compiuti dallo spazio. l’incredibile scoperta è opera di un team di archeologi dell’università dell’Ala-bama, assieme alle piramidi sarebbero sta-ti scoperti anche migliaia di tombe e numerosi antichi insediamenti. Aperta una nuo-va era per l’archeologia. gUARDA Il VIDEO >>

ArCHeostoriA

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19GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

ViD

eo

Bosnian Pyramid ultra/infra sonic emissions investigation 2011

durata 04:26Il gruppo SbRg è andata a Visoko per svol-gere un’indagine preliminare sull’emissio-ne di Ultra/Infra Sonore dalle piramidi bo-sniache. gUARDA Il VIDEO >>

mistero

fusione fredda

durata 23:30Quali prospettive energetiche dopo la sco-perta Rossi-Focardi? Ne discutono lo stes-so professore Sergio Focardi, il professore di Fisica Francesco Celania, Stefano borri-no della società italiana brevetti insieme ai giornalisti e curatori del blog Petrolio Pie-tro Cambi e Debora billi e al giornalista di Rainews Angelo Saso che sull’argomento ha realizzato un’inchiesta. Conduce Maurizio Torrealta. gUARDA Il VIDEO >>

sCienZA

flying over the Bosnian Pyramids

durata 04:28la Piramide bosniaca del Sole con un’al-tezza di 220 metri è la più alta piramide del mondo. la Piramide della luna, con una altezza di 190 metri è superiore a quella di Cheope. l’esistenza di una civiltà sul conti-nente europeo che precede la civiltà del Medio Oriente è statia ignorata da storici e giornalisti. gUARDA Il VIDEO >>

mistero

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20 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

LiBr

eriA La biblioteca virtuale

a cura di Andrea Critelli

Recensioni, commenti, prefazioni, segnalazioni delle opere arrivate in redazione

In questo libro non incontrerete il Big-foot né il Sasquatch, lascerete ‘in panchina’ la ‘povera’ (o ‘povero’?)

Nessie e anche il bistrattato ‘abominevo-le uomo delle nevi’, sempre più abomi-nevole e sempre meno documentabile. Troppo… ‘facile’!

No, nulla di tutto questo. Vi affaccere-te dapprima nel vero ‘Laboratorio’ di qualche Dr. Frankenstein realmente esi-stito e poi scruterete nei meandri di una strana villa, ai confini con la liguria, in cui operò un geniale (o folle?) medi-

il Laboratoriodel Dr. frankestein Ovvero mostri naturali, artificiali e inesistenti

roberto VolterriEremon Edizioni2011, 198 pp.€ 17,00

leggi scheda completa >>

sCienZA

co di origine russa, alla pe-renne ricerca di qualcosa che potesse avvicinare l’Uo-mo all’eternità.

Vedrete in seguito a quali esperimenti si dedicarono luigi galvani e giovanni Al-dini nel tentativo di correla-re le attività biologiche con i nascenti studi sull’elettricità ma poi esplorerete anche i meandri della mente di ‘mo-

stri’ assassini forse colpiti da ‘Licantropia’, osserverete con un misto di pietà e me-raviglia alcuni poveri individui affetti da impensabili, mostruose patologie e fare-te finta di credere, per un momento, an-che all’esistenza di ‘Anatre vegetali’, di ‘Agnelli che nascono sugli alberi’ e del ‘Ca-vallo di Dio’, l’elegante, incredibile ‘Uni-corno’…

Non mancherà una rapida, curiosa rassegna di ‘mostri a go-go’, a cavallo tra leggende metropolitane d’ogni tempo e Paese e reali possibilità che, da qualche parte, ‘qualcosa’ di mostruosamente vero esista…

[email protected]

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GiuGno 2011 | n.0 21Runa Bianca

LiBreriA

Insomma nell’ennesimo libro del Dottor Roberto Volterri, l’Autore ha cer-cato di attenersi – nei limiti del possibile e, in qualche caso, anche dell’impossibi-le – alla definizione che dette quel gran-de naturalista che fu gorge-louis le-clerc, Conte di buffon, in un tardo Settecento, ancor di più ‘illuministico’ riguardo alle possibili suddivisioni dei ‘mostri’ in categorie: “La prima è quella dei mostri per eccesso; la seconda quella dei mostri per difetto; la terza, quella dei

mostri che lo sono per inversione o falsa distribuzione delle parti “.

Sic et simpliciter, direi! E ancor oggi attuale… Tutto qui? No di certo, poiché ai vari Capitoli seguiranno le inevitabili (per chi conosce l‘insano e disdicevole modus operandi dell’Autore…) Appendi-ci Sperimentali in cui cercherete di avvi-cinarvi appena – ovviamente nei limiti del possibile – a qualcuno degli esperi-menti e delle ricerche descritte nel libro.

Da non perdere!

Viaggiando attraverso valli do-rate e pini marittimi, distese di cipressi erti come eterni mo-

numenti, e luoghi magici ancora ine-splorati la Toscana riserva ai suoi visita-tori infiniti segreti e innumerevoli leggende patrimonio di una antica sa-pienza e di una conoscenza minima-mente risvegliate. le sue colline leviga-te dal tempo ci sussurrano ancestrali enigmi dimenticati dalla storia e preser-vati dalla tradizione popolare. Appena

La toscana dei misteri

enrico BaccariniZona2010, 180 pp.€ 18,00

leggi scheda completa >>

mistero

bisbigliato il nome di un luogo, la sua memoria sem-bra risvegliarsi e donarci il racconto di ciò che fu e an-cora è.

la Toscana si presenta come una delle regioni più belle del nostro paese, varie-gata nelle sue forme e nelle sue ‘culture’ ma ancor più adombrata da oscure pre-senze e ancestrali tradizioni

che i suoi territori sembrano ancora na-scondere.

A sottolineare questa speciale alchi-mia tra terra e uomo in Toscana, ci ri-mangono le parole eterne di Curzio Ma-laparte, “Sarà forse che i toscani non sono come i bovi che vedono tutto in grande, ma certo che non perdono mai di vista la misura del mondo, e i rapporti palesi e segreti, fra gli uomini e la natu-ra”. Amico viaggiatore, se ti troverai mai a passare da queste parti, rimarrai incan-tato dallo stupefacente paesaggio che si dipanerà davanti a te lungo il tuo cam-

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22 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

LiBr

eriA

mino; “ma di lontano pace dicono al cuor le tue collina con le nebbie sfuman-ti e il verde piano ridente nelle pioggie mattutine” (g. Carducci), riproduzione fedele della secolare interazione tra abi-lità e saggezza toscana e la natura circo-stante.

Poche zone sembrano possedere una personalità talmente poliedrica e varie-gata da lasciare ancora oggi molte do-mande aperte. Anche attraverso il lato esoterico di questa regione, nel suo sen-so etimologico di nascosto e celato, sarà possibile comprenderla ovvero attraver-so l’adozione e l’utilizzo di simboli, me-tafore, allegorie, correlazioni che ci han-no potuto trasmettere conoscenze ed informazioni criptandole all’interno di qualsivoglia forma, testo, struttura ar-chitettonica o simbolo che sia. Nell’ar-duo tentativo di voler delineare un qua-

dro coerente ed omogeneo di enigmi storici, misteri e curiosità che connatura-rono e si legarono alla storia toscana, ci muoveremo attraverso i suoi borghi e i suoi poggi ovvero attraverso i suoi per-sonaggi e gli elementi più belli dell’arte e della cultura che la segnarono.

Parlare del suo folklore popolare e dei suoi enigmi ancora irrisolti, inoltre, certo non è cosa semplice. Ogni anfratto na-sconde storie e leggende che affondano all’alba dei tempi. Abbiamo cercato, at-traverso questo libro, di ripescarne le più note, le più importanti, le meno co-nosciute e le più belle o interessanti. Sa-rebbe impossibile poterle elencare e analizzare tutte, ma certamente sarà im-portante riscoprirne l’essenza e le valen-ze cioè quelle sottili forme che rendono questa regione una delle più belle e af-fascinanti che il nostro paese possieda.

Quello di Atlantide e le Colon-ne d’Ercole è un agile testo che vuole dire una parola

Atlantide e le Colonne d’ercole Un dibattito sempre aperto

rosario VieniCapone Editore2011 136 pp.€ 12,00

leggi scheda completa >>

mistero

quasi definitiva sul proble-ma del “continente scom-parso”, da sempre al centro di discussioni e dibattiti tra i tanti che, negli ultimi secoli, interpretando malamente i testi di Platone, hanno col-locato Atlantide nei luoghi più diversi del globo terre-stre. Il volume di Rosario Vie-ni, micenologo “eretico” per i suoi studi sulla “lineare b”,

molto noto negli ambienti culturali gre-ci ma poco fortunato in Italia, si muove, fondamentalmente, su tre direttrici: il rapporto che Platone ebbe con i circoli conservatori della sua città d’origine e

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GiuGno 2011 | n.0 23Runa Bianca

LiBreriA

con quello pitagorico magno-greco; l’osservazione accurata dei fenomeni geologici relativi all’area mesopelagica mediterranea e più esattamente di quel-la tra la Sicilia e la costa tunisina; l’analisi linguistica puntuale e nuova dei testi del Filosofo e di altri autori antichi. Da tutto questo, senza fumosità e senza tutte le fantasticherie cui sono avvezzi gli “atlan-tologi” di mestiere, ne viene fuori un’in-dagine assai credibile sulle cause e sulla

genesi della nascita del mito di Atlanti-de, nonché la giusta collocazione delle Colonne d’Ercole e del probabile o pos-sibile sito di tale antichissima civiltà.

Tale testo è, peraltro, il risultato dei suoi studi che risalgono intanto agli ulti-mi mesi del 1999, cui sono state aggiun-te le tante novità già rese note nei Con-gressi di Milos (2005) e di Atene (2008) e quelle che saranno presentate quest’an-no al Congresso di Santorini.

è possibile che nella preistoria sia esistita una civiltà super-avan-zata? E se così non fosse, com’è

possibile che un popolo, apparente-mente primitivo come quello della bri-tannia preistorica, possedesse un siste-ma di misurazione completamente integrato e basato su una profonda co-noscenza del sistema solare?

Alexander Thom, sconvolse il mondo dell’archeologia affermando di aver scoperto che le strutture lasciateci dall’uomo dell’Età della Pietra erano

Civilization oneIl mondo non è come pensavi che fosse

Christopher knight e Alan Butler Arethusa 2010, 272 pp.€ 16,90

leggi scheda completa >>

mistero

state costruite usando un’unità di misura standard, così precisa da avere un margine di errore inferiore alla larghezza di un capello.

Il professor Thom chiamò l’unità di misura da lui sco-perta “yard megalitica”, ma mori prima di aver potuto spiegare il motivo per cui un popolo così lontano nel tem-po (3500 a.C. circa) sia stato

spinto a istituire questa unità di misura e riprodurla con tale precisione.

Christopher knight e Alan butler, ap-plicando tecniche forensi all’archeolo-gia, hanno indagato per scoprire se Thom avesse davvero trovato un’unità di misura o fosse stato ingannato dalla mole di dati che aveva accumulato nei suoi sopralluoghi dalle isole settentrio-nali della Scozia fino alla bretagna.

Nel tentativo gli autori hanno scoper-to che misure relativamente moderne come la libbra, il litro e il grammo sono vecchie di migliaia di anni. E non solo, il mondo non è come pensavate che fosse!

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24 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

siti

WeB Siti, portali, blog

Per appronfondire la cultura nel mondo web

[email protected]

Antikitera.net

www.antikitera.netNato il natale del 2002, il portale ha raccol-to nel tempo un vasto archivio di news (ol-tre 10.000) di paleontologia, archeologia, scienza, storia e mistero. Antikitera.net ha lo scopo di condividere quante più infor-mazioni possibili degli argomenti trattati per poter dare visibilità anche a quelle notizie che altrimenti cadrebbero nel mare magnum del web. VISITA Il SITO >>

te.s.e.s.

www.teses.netl’associazione culturale Teses (TEam Spe-rimentale Esplorazione Sotterranei), fon-data nel 1996 da luigi bavagnoli, ha lo scopo di ricerca, studio, esplorazione e tu-tela del patrimonio sotterraneo italiano. gli studi condotti spaziano dalla speleolo-gia all’archeologia, dall’architettura alla geologia, dalla storia al folklore, tutto docu-mentato con video, fotografie e rilievi delle locations prima che il tempo o l’uomo le cancellino per sempre! VISITA Il SITO >>

ArCHeostoriA

a cura di Andrea Critelli

ArCHeostoriA

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25GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

siti WeB

Acam

www.acam.itUno dei primi portali in Italia sulla Ricerca della Verità: dalle Origini e la Natura dell’Uomo al futuro che ci attende e le pro-fezie del 2012. Miti, archeologia, scienza, fede, ragione, tantissimi articoli in cui si tenta di far luce alle tante domande insite nell’uomo. VISITA Il SITO >>

mistero

Centro italiano studi seti

www.issc-ciss.orgl’esistenza di forme di vita extraterrestre ha sempre suscitato la curiosità umana. la scienza moderna ha dimostrato che la co-municazione via radio fra due stelle vicine è possibile, per quanto una stima realistica della probabilità dell’esistenza di vita ex-traterrestre rimanga difficile. l’avvento del SETI ha aperto una fase nuova nell’evolu-zione del pensiero umano. Da questa premessa si è voluti fondare anche in Italia un’as-sociazione per la ricerca della vita e dell’intelligenza extraterrestre. VISITA Il SITO >>

sCienZA

enigmA

www.enricobaccarini.comSito del giornalista pubblicista e scrittore professionista Enrico baccarini che si oc-cupa di saggistica con un particolare inte-resse per ciò che è insolito e paradossale con una predilezione per gli enigmi stori-ci. Presenti tante sezioni con articoli che approfondiscono temi come UFO, esoterismo, parapsicologia, criptozoologia, luoghi misteriosi e tanto altro ancora. VISITA Il SITO >>

mistero

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26 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

mo

stre

e e

Ven

ti

i LABorAtori DeL festiVAL DeL monDo AntiCo

rimini 24 – 25 giugno 2011antico.comune.rimini.it

Custodire il passato per [di]segnare il futuro. Questo è il ti-tolo dell’edizione 2011 di Antico/Presente, la rassegna che dal 2005 si è trasformata in Festival del Mondo Antico e che quest’anno viene declinata nella formula di “laboratori”. Venerdì 24 e sabato 25 giugno, Rimini e il suo territorio offriranno nuove e più ricche opportunità di riscoprire il passato, ma anche di trovare occasioni di incontro ed approfondimento per la comprensione del presente.

Saranno dunque i primi giorni dell’estate riminese a salutare la nuova edizione pen-sata come un laboratorio di attività ed esperienze nei luoghi più suggestivi dell’antico, come vuole la tradizione del Festival. Principali protagonisti saranno i giovani e i gio-vanissimi, custodi del patrimonio culturale, che si tufferanno nell’antichità, dalla pre-istoria all’età romana, cimentandosi in diverse forme di arte e artigianato, sfidandosi nei giochi dei loro antenati, divertendosi alle consolle o ai tavoli con giochi ispirati al mondo classico, seguendo visite guidate animate e plurisensoriali, lasciandosi affascin-are da narrazioni, suoni, danze...Ma anche i meno giovani che potranno soddisfare le loro curiosità sul mondo dei gladiatori, esplorato attraverso l’archeologia sperimentale dall’Associazione Ars dimicandi, o partecipare a incontri sui temi della conservazione del patrimonio culturale portati alla ribalta del grande pubblico da recenti eventi e

mostre e EventiConsigli per viaggiare e visitare musei, città e persone

[email protected] cura di Andrea Critelli

ArCHeostoriA

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27GiuGno 2011 | n.0 Runa Bianca

mo

stre e eVenti

pubblicazioni, o subire il fascino delle grandi scoperte archeologiche anche in terre lontane. O ancora incontrare nomi prestigiosi della storia e dell’archeologia, assistere a conversazioni e dialoghi, seguire spettacoli teatrali.

Al fumetto, linguaggio privilegiato per comunicare l’antico a piccoli e adulti, saranno dedicati una tavola rotonda a cura dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna e inoltre uno spazio particolare pensato in collaborazi-one con Cartoon club. Eroi e personaggi disegnati dalla matita di noti fumettisti, sa-ranno dunque i compagni di questa avventura alla scoperta del passato di un territo-rio ricco di storia e di archeologia come quello di Rimini. Un distretto che comprende realtà originali quali la Domus del chirurgo, il centro villanoviano di Verucchio, oltre ai monumenti di una città che ancora ricalca l’assetto romano e tuttora si aggancia al reti-colo stradale tracciato più di 2000 anni fa. Un teatro naturale dell’antico che vive però intensamente il presente con uno sguardo aperto e innovativo al futuro.

le visite guidate al Museo della Città, ricco di testimonianze dalle origini e di uno strepitoso campionario di mosaici romani, nonchè alla Rimini antica, offriranno occa-sioni d’incontro anche con i personaggi della Storia, da Cesare ad Augusto fino a Sigis-mondo Malatesta, il principe mecenate che nel XV secolo volle esaltare nel suo Tempio la tradizione architettonica romana.

Nell’intento di “custodire il passato per [di]segnare il futuro” si racchiude lo spirito di questa edizione del Festival improntata al laboratorio nel significato etimologico che fa del lavoro l’esperienza del conoscere per conservare e per costruire il domani. Proprio Rimini, città del divertimento e della vacanza, si fa portavoce di questo messaggio lanciato in primo luogo ai giovani, eredi della ricchezza di un patrimonio universale. Ed è allora che il mare, quello stesso mare che fa da sfondo alla vivace scena del mosaico “delle barche” e tinge di turchese il logo del Festival, è lo scenario in cui antico e presente si incon-trano per ispirare le fondamenta del futuro.

l’iniziativa, organizzata dai Musei Comunali di Rimini, biblioteca gambalunga e Istituzione Musica Teatro Eventi del Comune di Rimini, gode del patrocinio del MIbAC, della Regione Emilia-Romagna, dell’Università di bologna, della Commissione Nazionale per l’UNESCO.

Per informazioni:Tel. 0541704308 - 0541704290eMail: [email protected]

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L’in

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istA arcani simbolismi nei campi

di Braccagni?

a cura di Enrico baccarinitempo di lettura 11 minuti

luci nel cielo e geometrie sacre nel grossetanoIntervista a Vincenzo Di gregorio

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GiuGno 2011 | n.0 29Runa Bianca

L’interV

istA

Ha destato molto scalpore ed interes-se la scoperta ai primi di giugno di un enorme cerchio nel grano nei pressi di

braccagni, in provincia di grosseto, un evento che ha velocemente superato i confini italiani ve-nendo inserito nel più importante sito al mondo sul tema, Crop Circle Connector.

l’enorme eco avuta da questo Crop può essere forse spiegata nelle sue considerevoli dimensio-ni, ben 104 metri di diametro, oppure nell’appa-rente semplicità del suo disegno. Comunque la si voglia pensare l’evento verificatosi a braccagni sembra riservare ancora molte sorprese ai suoi studiosi, anomalie che sembrano possedere un livello di complessità sempre più profondo.

la notizia della sua scoperta viene battuta ini-zialmente e in tutta la sua sensazionalità il 6 giu-gno scorso nella versione online del quotidiano Il Tirreno, per essere subito ripresa nei principali canali di informazione nazionale, tra cui La Nazio-ne del 13 giugno.

Subito dopo la scoperta, l’Architetto Vincenzo di gregorio è stato avvertito della comparsa dello strano disegno nel grossetano e con il suo velivo-lo ultraleggero si è recato sul posto sorvolando la zona e donandoci immagini di ineguagliabile bellezza. Alcune indagini preliminari hanno inol-tre stabilito anche che nei giorni precedenti la

comparsa di questa formazione strane luci erano state viste sor-volare la zona, oggetti di cui non è stata possibile appurarne la na-tura e l’origine.

Per questo primo numero de LA RUNA BIANCA abbiamo inter-vistato, in esclusiva, l’Architetto Vincenzo Di gregorio tra i primi testimoni ad essersi recati sul posto e ad aver visionato la for-mazione. Dalle indagini condotte

a cura di Enrico baccarini

Vincenzo Di GreGorioArchitetto ed imprenditore, da sempre appassionato di archeo-logia, noto come scopritore del-le cosiddette “piramidi di Mon-tevecchia” i cui studi sono stati pubblicati nel libro dal titolo Il Mistero delle Piramidi Lombarde (Fermento, 2009). Fondatore di Antikitera.net (uno dei più noti siti web di news archeologiche e di misteri) e della rivista Runa bianca (www.runabianca.it). Per le sue ricerche si avvale di foto aeree sia nel visibile che nell’in-frarosso, fondando una società finalizzata alla ricerca chiama-ta “ludi ricerche” che fa capo al sito web: www.aereofoto.it. Suoi studi son stati mostrati in diverse riviste di settore, e su reti televisive quali : Voya-ger (rai2), Mistero (italia1), Mediolanum Chanel (Sky), OdeonTV.

il mistero dellePiramidi Lombarde

Fermento, 2009

leggi scheda completa >>

Arcani simbolismi nei campi di braccagni?

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30 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

L’in

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istA

sono emersi elementi di grande interes-se che potrebbero portarci a compren-dere nella sua globalità sotto una nuova luce questo fenomeno e che, nel caso specifico, sembrano sottendere signi-ficati e significanti ben più profondi di

quanto ci si sarebbe aspettato.Se molte domande rimangono an-

cora senza risposta, se il fenomeno non sembra aver ancora trovato una spiega-zione esauriente, è indubbio il fascino che queste formazioni ritrovate nei cam-pi di tutto il mondo sembrano emana-re su stuoli di studiosi ed appassionati. Simbologie, energie sconosciute, richia-

a cura di Enrico baccariniArcani simbolismi nei campi di braccagni?

FotoGraFia aerea Del crop circle realizzata Da Vincenzo Di GreGorio

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GiuGno 2011 | n.0 31Runa Bianca

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mi ancestrali che costituiscono solo la punta di un iceberg che ancora deve es-sere indagato!

enrico Baccarini: Architetto Di grego-rio, come ha saputo del Crop?Vincenzo Di gregorio: Il cerchio era stato avvistato da un amico grosseta-no già sabato 4 giugno che si è subito

premurato di avvisarmi. Da anni sono un grande appassionato di foto aeree a mezzo di un paio di superleggeri per cui mi sono recato subito sul posto ed ho ef-fettuato un sorvolo scattando una serie di foto per documentare il ritrovamento. Ritornato a terra, per mezzo di un gPS con un buon livello di approssimazione, ho prelevato le coordinate dei punti es-senziali per poter effettuare una restitu-zione grafica dell’intera formazione.

a cura di Enrico baccariniArcani simbolismi nei campi di braccagni?

ricostruzione GraFica Del crop circle

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32 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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e.B.: qual è stato l’esito di queste ri-levazioni?V.D.g.: Nella sua essenza il crop circles di grosseto risulta essere composto da diversi anelli concentrici di varie misure (disegno n°2), una figura ragguardevole. le misure che ho riscontrato si riferisco-no ai diametri espressi in metri: 104 – 88 – 52 – 36 – 10,4.

Nel caso dei cerchi esterni, che sono

risultati essere 24, ho riscontrato un diametro di 5,2 m mentre per la parte interna, in cui sono visibili 6 cerchi, ho riscontrato un diametro di 2,6 m. Attor-no ai 6 cerchi interni si nota una zona di “rispetto” che ha una misura inscritta sempre in un cerchio di 5,2 m di diame-tro. Sono rimasto incuriosito da queste proporzioni e dopo alcune analisi ho evidenziato che le misure individuate sembrano essere multipli e sottomulti-pli del cubito reale egizio.

a cura di Enrico baccariniArcani simbolismi nei campi di braccagni?

Gli anelli concentrici Di Varie misure

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GiuGno 2011 | n.0 33Runa Bianca

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e.B.: Ci può spiegare meglio?V.D.g.: la misura del cubito reale era di circa mezzo metro e corrispondeva ide-almente alla lunghezza dell’avambrac-cio, a partire dal gomito fino alla punta del dito medio. la misura precisa varia-va a seconda dei paesi per cui il Cubito ebraico era di 44,45 cm mentre il Cubito egizio di 44,7 cm ed infine il Cubito reale egizio (niswt) di 52,3 cm. Non e’ casuale che l’inclinazione della piramide di keo-pe sia di 52 gradi.

Il dato interessante è che in questo Crop, non son state utilizzate le unità di misura più diffuse della nostra società (

sistema metrico decimale o quello an-glosassone - ndr) ma un’unità di misura che non è più utilizzata da oltre 2000 anni. Studiando le proporzioni dei vari cerchi non si può non constatare la ricer-ca di rapporti pari a metà o doppio.

e.B.: Potrebbe farci qualche esempio specifico?V.D.g.: Certamente! Ad esempio il cer-chio interno (nel disegno di colore rosso - ndr) ha un diametro di 52 metri mentre

a cura di Enrico baccariniArcani simbolismi nei campi di braccagni?

ricostruzione Del calenDario proFetico

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istA Da notare la presenza Di un paleoalVeo che scorre sulla piana e passa proprio al centro Del crop

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GiuGno 2011 | n.0 35Runa Bianca

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quello esterno (di colore verde - ndr) ha invece un diametro di 104 metri (52m x 2).

Il diametro del cerchio interno ( di colore nero - ndr) è di 10,4 metri pari al doppio del diametro di tutti i 24 cerchi esterni, che sono di 5,20 metri, a loro volta il doppio del diametro dei cerchi interni pari a 2,60 metri.

Si possono leggere anche altri inte-ressanti rapporti matematico/simbolici, come il fatto che moltiplicando il nume-ro di cerchi interni, 6, con quelli esterni, 24, si ottiene il numero di 144 dall’alto valore simbolico e che si ritrova spesso nella bibbia e nell’Apocalisse dei San giovanni in particolare. Ma come il fat-to che unendo i 6 cerchi interni si pos-sono formare due triangoli equilateri tra di loro simmetrici, meglio noto come il “Sigillo di Salomone” o “Stella di David”.

e.B.: oltre a lei qualcun altro ha iden-tificato elementi simbolici così pro-fondi nel crop rinvenuto a Braccagni?V.D.g.: Si! Un ricercatore di nome Ales-sandro Pancia dopo aver visto sui gior-nali l’immagine del Crop di grosseto ha cominciato a elaborare una teoria che trasforma questo cerchio nel grano in una specie di calendario profetico il cui scopo è avvisare che in certe date nel prossimo futuro potranno accadere cer-te cose. l’idea base è quella che i 6 cer-chi interni fossero altrettante punte del cosiddetto “sigillo di Salomone” cioé l’u-nione di due triangoli, uno con la punta verso l’alto ed uno con la punta verso il basso. Questo “sigillo” dividerebbe il lato esterno del crop in 6 spicchi con all’inter-

no 4 cerchi cadauno. Il principio su cui si basa tutta l’ipotesi formulata succes-sivamente da Pancia chiama in causa il fatto che il crop è apparso il 6 giugno, e mancando 24 giorni a fine giugno, le 24 sfere raffigurino i giorni di questo mese, mentre le punte della Stella di David, o sigillo di Salomone, indichino altrettan-te date in cui dovrebbe succedere qual-cosa di importante.

Queste date sono state identificate nei seguenti giorni: il 10 giugno 2011, il 14 giugno 2011, il 18 giugno 2011, il 22 giugno 2011, il 26 giugno 2011 e il 30 giugno 2011.

e.B.: quale è la sua opinione a riguar-do? ritiene anche lei ci possano esse-re dei simbolismi nascosti?V.D.g.: Purtroppo il crop è apparso nei giornali il 6 giugno, ma è stato avvista-to il giorno prima e sicuramente si è for-mato tra il 3 ed il 5 giugno. l’ipotesi che quindi i 24 cerchi esterni potessero indi-care i giorni dei mesi di giugno viene a decadere. Ma se volessimo proseguire su questo filone di interpretazione, solo per vedere dove ci porta, potremmo ipotizzare che al posto dei giorni, i cer-chi, indichino i mesi a partire da questo della sua formazione. Partendo quindi dal giugno 2011 le date che vengono da questo nuovo “calendario” cadrebbero a cavallo dei mesi : Settembre/ottobre 2011, gennaio/Febbraio 2012, Maggio/giugno 2012, Settembre/Ottobre 2012, gennaio/Febbraio 2013. la prima data da “curare” è quindi un giorno di set-tembre quale esempio l’anniversario del crollo delle torri gemelle l’11 settembre

a cura di Enrico baccariniArcani simbolismi nei campi di braccagni?

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36 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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a cura di Enrico baccariniArcani simbolismi nei campi di braccagni?

una straDa che corre per qualche Decina Di metri parallela al Vecchio torrente che conDuce aD una serie Di “anomalie” Di Forma circolare, retaGGio Di Vecchie costruzioni.

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GiuGno 2011 | n.0 37Runa Bianca

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del 2011. Ma questo tipo di “profezie” hanno l’indubbio fascino di tutte le pro-fezie, ma per contro anche l’insicurezza e l’indeterminatezza. Infatti in un arco di tempo così vasto (due mesi) nel mondo può succedere di tutto, da calamità na-turali a omicidi più o meno “eccellenti”.

e.B.: Ci sono state altre ipotesi a ri-guardo?V.D.g.: Si! Sul sito CropCircle Decoder è

apparsa una seconda teoria secondo cui il messaggio nascosto dai creatori del cerchio implicherebbe un bisogno di cambiare il sistema attuale al fine di affrontare la sfida proveniente da un im-minente periodo caotico. Tra le modifi-che proposte vi sarebbe la riallocazione della misurazione temporale delle 24 ore di un giorno introducendo un nuovo sistema a 6 ore e il passaggio dai 24 fusi orari a 6 fusi orari. Ma perché abbiamo bisogno di cambiare? E perché sei fusi orari? beh, sarà necessaria la saggezza per capirlo...

a cura di Enrico baccariniArcani simbolismi nei campi di braccagni?

suGGestiVa panoramica Del campo Di Grano DoV’è stato realizzato crop circle

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38 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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e.B.: quali altri elementi di interesse ha rilevato durante il suo sorvolo?V.D.g.: Soffermerei l’attenzione su di un fatto oggettivo e molto particolare. Il Crop di grosseto si trova in località brac-cagni in un campo di grano dall’esten-sione di circa 250 Ettari. In questo campo le foto aeree hanno rivelato la presenza di un paleoalveo che scorre sulla piana e passa esattamente al centro del crop. Casualità? Ma non solo osservando la foto in dettaglio si scorge la presenza di una strada che corre per qualche decina di metri parallela al vecchio torrente e che conduce ad una serie di “anomalie”

di forma c i rcolare, retaggio di

vecchie costruzioni. Abbiamo mostrato questa foto ad un archeologo specia-lizzato nel periodo pre-storico e ci ha confermato che con molta probabilità si tratta o di un villaggio dell’età del bronzo (4000 anni) o di una necropoli etrusca. A seguito abbiamo ovviamente avvertito le autorità competenti. Siamo quindi anche in presenza di un notevole sito ar-cheologico completamente sconosciu-to e che affiora solo adesso grazie alla formazione di questo crop ed alle foto aeree ad esso correlate. giova sottoline-are per chi non studia questo fenomeno, che in moltissimi crop “storici” spettaco-lari formatisi nelle campagne inglesi, si è constatato la stretta correlazione tra la formazione e un sito archeologico una

a cura di Enrico baccariniArcani simbolismi nei campi di braccagni?

altra immaGine Del crop circle

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GiuGno 2011 | n.0 39Runa Bianca

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per tutte quello apparso a Silbury Hill.

e.B.: quale è la sua opinione sui cerchi nel grano? V.D.g.: Secondo il mio personalissimo punto di vista, soggettivo e quindi opi-nabile, di Crop veri non ce ne sono ... Ci sono solo quelli fatti bene… quelli fatti male... e quelli fatti malissimo. Quelli in-glesi son fatti bene per la professionalità di quegli artisti organizzati in squadre che sanno esattamente cosa fare e come farlo. Rimane indubbio il fatto che sono delle opere di land Art. Il vero mistero dei Crop è nella psiche di chi li fa e di chi

li va a visitare. Il realizzare un’opera che ha molti valori simbolici e numeri “magi-ci”... o ritenuti tali da migliaia di persone per migliaia di anni.

Evocare certe “forze” a volte funziona. gli effetti elettromagnetici... le energie che si sentono quando si entra in un Crop “vero”... prescinde su chi lo ha fatto... ma è la potenza del simbolo evocato. Chi ha provato a fare delle sedute spiritiche col sistema delle lettere in cerchio... sa cosa vuol dire ... aprire porte che non si sanno dove portano.

Per il 90% questo Crop sarà stato fat-to dai soliti buontemponi ... ma casual-mente il Crop ha centrato perfettamente un sito archeologico assolutamente in-visibile dal basso.

Vista raVVicinata che eViDenzia il paleoalVeo che scorre sulla piana e attraVersa il crop circle

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40 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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e.B.: Vero o falso che sia quindi gli autori sono stati ‘guidati’ a realizzarlo in quel campo?V.D.g.: Sara’ un caso? O vi sono delle doti ESP che vengono eccitate dai sim-boli realizzati in scala enorme.

Quello che mi chiedo è se siamo pro-prio sicuri che visualizzare in dimensioni mega ...un sigillo di Salomone, dei sim-boli sacri, celtici, magici... anche se fat-ti da 4/6 ragazzi... non possa innescare realmente energie per noi poco note? Io penso di si! Quindi il problema di ap-proccio al problema Crop è sempre sta-to sbagliato. Non occorre impostare il dilemma sul falso o vero! Ma che simboli evoca! la forza di un Crop è per me solo in questo. Il fatto che in questo Crop è stato usato come unita di misura il “cu-bito reale egizio” di 52,3 cm e suoi mul-tipli ... può aver evocato forze sopite da millenni. 52 gradi e’ l’inclinazione della piramide di keope. Alessandro Pancia come descritto ha intepretato questo Crop come una specie di Stonehenge, di calendario profetico... e se fosse vero ?

Se il disegno prevaricasse la stessa vo-lontà dei costruttori ed acquistasse una sua autonomia profetica ? Occorre riflet-tere anche su questo.

e.B.: i Crop Circle sarebbero quindi come degli enormi catalizzatori di energie?V.D.g.: E’ un discorso simile a quello dell’effetto placebo. Adesso si sa che se uno crede fermamente in qualcosa... quella cosa si realizza... questo nella guarigione di certe malattie, ma anche in quasi tutto quello che ci succede nella

vita di tutti i giorni. Se non credi in una cosa... puoi fare anche a meno di farla. Se ci credi veramente ed intensamente...!!! Quanti simboli che abbiamo ereditato dalle culture precedenti hanno avuto e continuano a mantenere un significato ben preciso per migliaia di persone ? Non è quindi il simbolo in se... ma la “psi-che” di coloro che in quel simbolo han visto certe cose/doti... che ne costituisce la sua forza.

Per aggiornamenti dell’interpretazio-ne della Teoria del Sigillo di Salomone sul Synergy Forum: la teoria del Sigillo di Salomone e le sfere di consapevolez-za della CAbAlA

Ulteriore intervista a Vincenzo Di gre-gorio sul podcast di Radio kiss kiss da ascoltare o scaricare: Dillo alla lillo cer-chi nel grano

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Il mistero dellepiramidi lombarde

Vincenzo Di gregorio

una delle scoperte più affascinanti d’italial’individuazione negli anni ‘90 di tre colline dalla curiosa forma

piramidale è stato l’inizio di uno studio che ha portato alla luce un periodo poco noto della storia dell’umanità

in LiBreriA

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Curi

osi

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Il mistero della spedizione Doria-Vivaldi

di Elena Serughettitempo di lettura 7 minuti

Punteggiature storiche

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GiuGno 2011 | n.0 43Runa Bianca

Curio

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Vi sono personaggi e vicende della storia che, sebbene ben documentati, risulta-no quasi del tutto sconosciuti al grande

pubblico. lasciati scivolare nel baratro dell’oblio, si trovano purtroppo in buona compagnia; ed è proprio in questo baratro che vorremmo intru-folarci, per andare alla scoperta di fatti curiosi e interessanti, levando un po’ di quella polvere che si portano addosso da secoli.

Una vicenda quanto mai misteriosa è quella di un’ardita spedizione avvenuta nell’anno del Si-gnore 1291, la cui fine è avvolta dalle fitte nebbie del mistero.

Nel Medioevo le grandi città marinare della penisola si contendevano il primato dei mari per conquistare vie preferenziali verso paesi ricchi di materie prime. la Repubblica di genova aveva già dall’XI secolo stretto una serie di importan-ti sodalizi e trattati di amicizia con diversi paesi arabi, stabilendo per esempio in Siria una serie di possedimenti commerciali e aprendosi ai canali medio-orientali in direzione delle Indie. Si tratta-va però di territori instabili e i molti balzelli richie-sti, uniti ai tentativi di frode, alle troppe interme-diazioni di popolazioni locali e alla concorrenza con le altre repubbliche marinare, spinsero i ge-novesi a cercare una via per mare in sostituzione di quelle troppo insicure di terra.

gli stretti e duraturi rapporti tra i genovesi e il mondo arabo permisero alla repubblica ma-rinara di attingere a una serie di conoscenze di potenziale importanza strategica. Si sapeva per esempio che l’Africa altro non è che una grande penisola: era possibile quindi circumnavigarla, aprendo così una via di mare verso le Indie e le loro ricchezze. I genovesi si erano perciò persuasi che si poteva ben girare attorno all’Africa: biso-gnava solo trovare qualche ardimentoso patriota che si cimentasse nell’impresa, ricca di incognite, di navigare là dove nessuno aveva mai navigato

di Elena Serughetti

elena seruGhetti Naturalista, si occupa di edu-cazione ambientale e da anni coltiva per passione lo studio della storia, dell’archeologia e delle “scienze di confine”. Col-labora con diversi siti web che si occupano di informazione e attualità ed è responsabile del sito Crocomania.com.

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“Ad partes Indiae per mare oceanum” (verso l’India attraverso l’oceano): era questo il proposito della repubblica ge-novese, ancor più dopo la caduta delle ultime piazzeforti cristiane in medio-oriente. Nello stesso mese di maggio del 1291 in cui S. giovanni d’Acri veniva espugnata dagli “infedeli”, Tedisio Doria e Ugolino Vivaldi terminavano di arma-re due galee e Ugolino stesso insieme al fratello Vadino prendeva il mare alla vol-ta dell’Africa.

Diversi autori dell’epoca e successivi, tra cui il Petrarca, Pietro d’Abano e Ago-stino giustiniani, riportano interessanti particolari della coraggiosa spedizione, che anticipa di ben due secoli le imprese celeberrime di Vasco Da gama. Quanto estremo e straordinario fosse il proposi-to dei navigatori genovesi viene palesa-to da jacopo Doria, testimone all’epoca dei fatti e cronista degli Annali del Caffa-ro, che lo descrisse come un viaggio che nessuno prima di loro aveva mai osato tentare (“quod aliquis usque tunc facere minime attemptavit”).

Sulle due galee, la Sant’Antonio e la Allegrancia, si imbarcarono certamente i due fratelli Vivaldi, mentre permango-no forti dubbi che anche Tedisio Do-ria avesse preso parte alla spedizione, comparendo quindi solo in veste di ar-matore. la spedizione partì dunque da genova e, superato lo “Stretto di Setta” (Ceuta, oggi Stretto di gibilterra), giunse fin oltre il “Capo di gozola” (gazora, sulle coste africane, all’incirca all’altezza del-le Isole Canarie). Dopo ciò, non si seppe più nulla dell’eroico viaggio.

Nel suo “L’Expédition génoise des frères Vivaldi” (1859), il Cavaliere D’Avezac so-stiene che una delle due galee (quella secondo lui capitanata da Tedisio Doria) si arenò poco dopo avere oltrepassato il Capo di gozola, mentre l’altra continuò il viaggio da sola “verso il Mar di guinea, fino a che pervenne ad una città della costa di Nigrizia chiamata Mena, poco discosta dal fiume Senegal che i dotti d’allora riguardavano come un ramo del Nilo d’Egitto ed ugualmente indicavano col nome di gihon. I fratelli Vivaldi ven-nero sostenuti dagli indigeni, né più rivi-dero la propria patria. Ciononostante la loro stirpe non si estinse sopra quella re-mota terra; e più di 170 anni dopo, il na-vigatore Antoniotto Usodimare, arrivato colà vi ritrovò un superstite degli antichi avventurieri della spedizione dei fratelli Vivaldi.” (1) Non è dello stesso parere lo storico genovese Michele giuseppe Ca-nale, che in diverse sue opere della metà dell’800 riporta cronache relative alla misteriosa spedizione.

In una di queste obietta al D’Avezac due fondamentali incongruenze: come poteva Tedisio Doria tornare indietro a raccontare i fatti, se la sua galea si arenò tanto da non poter più “né muoversi né continuare il viaggio”? Inoltre la stessa presenza del Doria a bordo delle navi non solo non è certa ma sembra anzi da escludersi in base alle cronache del tem-po redatte da jacopo Doria.

I genovesi, sostiene il Canale, avreb-bero potuto essere informati del rag-giungimento del Capo di gozola da re-lazioni pervenute dalle terre africane o spagnole, con cui la repubblica marina-

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ra aveva frequentissimi scambi. (2)Il Canale prosegue aggiungendo ul-

teriori particolari: una delle Isole Cana-rie venne chiamata Allegrancia, proprio come una delle due galee della spedizio-ne, come si vede in una carta dell’Africa del Portolano Mediceo risalente al 1351; sembra quindi probabile che la scoper-ta di quelle isole da parte europea fosse avvenuta con la spedizione Doria-Vival-di nel 1291. D’altra parte, l’impresa che sancisce l’avvio di contatti con le isole, quella di lanzerotto Malocello del 1336 (da cui prese nome l’isola di lanzerotta, oggi lanzarote), potrebbe essere stata approntata proprio per cercare tracce della spedizione precedente.

Anche Cristoforo Colombo riconosce il merito ai prodi navigatori genovesi, ai quali tributa l’onore di avere “scoperto o trovato di nuovo le dimenticate Cana-rie”, evento che molti storici successivi tendevano a datare al XV secolo. (3)

girolamo Tiraboschi ci ricorda che an-che il poeta Petrarca nel 1346 dava per certa la scoperta delle Canarie da par-te dei genovesi (“Eo siquidem et patrum memoria Genuensium armata classis pe-netravit”, De Vita Solitaria) (4), mentre Dante Alighieri ha in mente probabil-mente proprio la sventurata spedizio-ne dei fratelli Vivaldi quando descrive l’ultimo viaggio di Ulisse nel XXVI Canto dell’Inferno.

Cosa sia potuto accadere alle due ga-lee genovesi dopo il “Capo di gozola” non è dato sapere. la fine dell’ardimen-tosa impresa, che anticipa di due secoli lo spirito che pose fine al Medioevo e aprì le porte alla storia moderna, è avvol-

ta nelle nebbie di congetture e silenzi. le cronache di jacopo Doria riportano un laconico “Non abbiamo più avuto notizia certa di loro” (“aliqua certa nova non habuimus de eis”); autori posteriori si lanciano in supposizioni che mancanco però di testimonianze e dati certi.

Possiamo immaginare che almeno una galea possa aver costeggiato anco-ra per un buon tratto le coste africane, scoprendo paesaggi e popoli insoliti, profumi bizzarri, orizzonti lontani. Forse i fratelli Vivaldi e il resto dell’equipaggio fecero naufragio alla foce del fiume Se-negal, forse si salvarono e continuaro-no le proprie vite lontano dalla patria, come sostiene D’Avezac, o forse riusciro-no persino a raggiungere il Sudafrica e sperimentarono le turbolente acque del Capo di buona Speranza.

Non possiamo saperlo, ma ci piace almeno rispolverare dai meandri della storia questi brandelli di un’avventura grandiosa e rendere così omaggio ai co-raggiosi navigatori della Sant’Antonio e dell’Allegrancia.

note1) “L’Expédition génoise des frères Vivaldi a la découverte de la route maritime des Indies Orien-tales aux XIII° siècle”, M. D’Avezac. Paris, 1859. Pagg. 18-19. 2) “Storia del commercio, dei viaggi, delle scoper-te e carte nautiche degl’Italiani”, Michele giu-seppe Canale. genova, 1866. Pagg. 305-312. 3) “Lettere autografe edite ed inedite di Cristoforo Colombo”, g. Daelli. Milano, 1823. Pagg. 24-25.4) “Storia della letteratura italiana. Volume II”, girolamo Tiraboschi. Niccolò bettoni e Comp., 1823. Pagg. 49-50.

di Elena SerughettiIl mistero della spedizione Doria-Vivaldi

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tÀ Il significato alchemicodel Baphomet

di lilly Antinea Astoretempo di lettura 2 minuti

Perle di Saggezza

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Il baphomet era in origine raffigurato come un triangolo isoscele rovesciato simbolizzante l’acqua e contenente, un secondo triangolo più piccolo, rivolto in senso inverso rispetto al primo, che riproduceva il naso di una figura umana a rappresentare il fuoco incluso nell’acqua.

Sulla base del grande triangolo vi era un se-gno simile ad un’ H maiuscola, ma più largo e munito di un cerchio centrale, indicante lo spiri-to universale creatore. Nel gran triangolo a sim-boleggiare degli occhi,erano raffigurati la falce lunare e il cerchio solare. Alla base del piccolo triangolo era posto il globo crocifero indicante lo zolfo associato al mercurio. Dalla figura alla base del triangolo, si propagavano dei raggi che, vero-similmente miravano a simboleggiare una barba. Così, in una prospettiva ingannevole e forzata di natura demonologico-zoomorfica’; si presenta-va la ‘terrificante’ figura del baphomet templare, il quale, in realtà, non è altro che un geroglifico

completo dell’OPERA ermetica. Per quel che concerne l’etimologia di questa parola, essa de-riva da bAPHEUS (tintore), MES (messo) e MEN (lA lUNA), e quindi “TINTORE DEllA lUNA” o, ancora, “TINTORE DEllA MATRICE (meter rife-rendosi al battesimo simbolico di Meteo, haphe meteos), battesimo della natura naturante, bat-tesimo della luce o battesimo del fuoco. la pa-rola latina bAPHEUS (tintore) e il verbo meteo (cogliere raccogliere, mietere) segnalano ugual-mente questa virtù speciale posseduta dal Mer-curio, o lUNA DEI SAggI, di captare, durante l’immersione o il bagno del re, la madre che l’ab-bandona e la conserverà nel suo seno per il tem-po richiesto. Si tratta qui del gRAAl contenente il Vino Eucaristico, liquore di fuoco spirituale (lo Spirito Santo), del colore del sangue, che gesu’ versò per l’ Ordine Umano e per l’UNIONE nel padre creatore, come atto di estremo sacrificio: il Sangue Reale DEl RE DEI RE.

di lilly Antinea Astore

lilly antinea astoreConduttrice e creatrice dei pri-mi convegni di parapsicologia con relatori Massimo Inardi e Peter Kolosimo. Archeoastrono-ma, Cavaliere dell’ordine mistico Rosacrociano, rappresentante internazionale Synergetic Art, creatrice della trasmissione ra-diofonica Dimensione X, condut-trice di UFORAMA.

Il significato alchemico del baphomet

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di Alberto Arecchi

Il cavallo di Leonardo da VinciNascita, vita e rinascita di un monumento

tempo di lettura 18 minuti

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nascita di un monumento

galeazzo Maria Sforza, duca di Mila-no, pensò di celebrare la figura e le imprese del padre Francesco Sforza con una statua equestre in bronzo, in grandezza naturale, da collocare all’interno del Castello Sforzesco, o nel rivellino verso la piazza.

Nel 1473 diede quindi incarico al funzionario ducale bartolomeo da Cremona di cercare artisti capaci di realizzare l’opera. bartolomeo contattò il figlio di Maffeo da Civate ed i fratelli Mantegaz-za, ma né l’uno né gli altri erano fonditori esperti e proposero il primo di realizzare la statua in rame martellato e dorato, i secondi in ottone, anch’es-so dorato. galeazzo sollecitò ulteriori informazio-ni, ma si finì per non farne nulla, probabilmente perché le soluzioni tecniche proposte non appa-rivano soddisfacenti.

Il duca morì improvvisamente tre anni dopo e l’idea fu ripresa dal fratello ludovico il Moro, nei primi anni del suo governo. Nel 1484 i protocol-li medicei registrano due lettere, oggi perdute, inviate da lorenzo il Magnifico in risposta alle ri-chieste di artisti avanzate dal Moro. è probabile che il Magnifico cercasse di venire incontro alla ri-chiesta del signore milanese e consultasse diversi artisti, fra i quali sicuramente Antonio del Polla-iolo. Suoi sono infatti due disegni che la critica,

concorde, mette in relazione con il monumento Sforza. Il coinvol-gimento di Pollaiolo nel proget-to, tuttavia, finì qui, perché nello stesso 1484 egli partì per Roma per realizzare la tomba di papa Sisto IV.

la commessa passò allora a leonardo da Vinci, che si trova-va a Milano già dal 1482 e aveva manifestato il proprio interesse a

di Alberto Arecchi

alberto arecchiMessinese di nascita, pavese di adozione, è architetto e scritto-re. Dal 1975 al 1995 ha vissuto e operato in Africa come esperto di cooperazione per lo svilup-po internazionale. Fondatore e presidente dell’Associazione culturale liutprand, che cura in particolare pubblicazioni sul patrimonio storico e culturale del territorio pavese, con una grande apertura per le indagini “alternative”. Tra i suoi libri ricor-diamo: Anonimo Ticinese e l’ul-timo templare (EMI, 1988), la Maledizione di San Siro: la veri-tà pericolosa (liutprand, 1999), Il Tesoro dell’Antipapa nei sot-terranei segreti della Certosa di Pavia (liutprand, 2003), Rac-conti da due mondi (liutprand, 2006) e...

Atlantide: un mondo scomparso un’ipotesi

per ritrovarloLiutprand, 2001

leggi scheda completa >>

Il cavallo di leonardo da Vinci

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riA lavorare al progetto,

come dimostra una lettera, di solito datata al 1483, nella quale, of-frendo i propri servigi al Moro, si dichiarava in grado di “dare ope-ra al cavallo di bronzo”. Negli anni seguenti l’artista si dedicò ad approfondire lo studio di cavalli dal vivo, ese-guendo meravigliosi disegni. Impossibile dire a quale stadio del lavoro fosse giunto nel 1489, quando l’am-basciatore fiorentino a Milano, Pietro Alamanni, scrisse a lorenzo, su incari-co dello Sforza, per richiedere l’invio di “uno maestro o dua, apti a tale opera”, precisando che la commessa per “uno grandissimo cavallo di bronzo, suvi il Duca Francesco armato” era stata affida-ta a leonardo, ma avanzando il sospetto che il Moro nutra dubbi sulla capacità dell’artista di portare l’opera a compi-mento.

le parole dell’ambasciatore sono in realtà poco chiare e autorizzano ipote-si diverse: o leonardo, occupato anche da altri interessi, non aveva prodotto niente di concreto o di convincente e ludovico cercava possibili sostituti; op-pure l’opera era a buon punto e il Moro, temendo che leonardo non riuscisse a condurre a termine da solo il difficile la-voro di fusione, pensava di procurargli

degli aiuti. Che vi sia stata un’interru-zione nell’impegno dell’artista è indub-bio, come conferma una sua annotazio-ne sul codice C: “A dì 23 d’aprile 1490 cominciai questo li-bro e ricominciai il cavallo”.

la ripresa dei la-vori coincide con un mutamento di pro-gramma iconogra-fico, che comporta fra l’altro un forte in-grandimento delle

dimensioni della statua. Un caval-lo di bronzo alto

otto metri, del peso di 70 tonnellate. Tali dimensioni rendono difficile pensare che la sua collocazione possa essere an-cora il rivellino del Castello Sforzesco. Un decreto ducale del 1492, con cui il Moro progetta di aprire una vasta piazza da-vanti al Castello, fa supporre che proprio questa dovesse diventare lo scenario definitivo del monumento. Dal 1490 in poi il lavoro di leonardo prosegue ala-cremente e tra il 1491 e il 1493, il model-lo è pronto e visibile nel suo laborato-rio di Corte Vecchia, l’ex palazzo ducale presso il Duomo. lì sicuramente si trova nel 1493, quando si celebra il matrimo-nio fra bianca Maria Sforza e Massimilia-no d’Asburgo.

leonardo, tuttavia, non riuscirà mai ad arrivare alla fusione. Nel 1494 i fran-

copertina Del libro “un caVallo per il Duca”

di Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

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cesi di Carlo VIII scendono in Italia, ed una enorme quantità di bronzo, pari a poco meno di 160.000 libbre (circa 70 tonnellate), che sarebbe dovuto servire alla realizzazione del monumento, viene invece mandata a Ferrara al duca Ercole d’Este per fabbricare cannoni. Il bron-zo non sarà più reintegrato, a causa dei problemi finanziari del Moro, che, per sostenere la spedizione del re francese e pagare l’acquisizione del titolo ducale, ha finito per coprirsi di debiti.

leonardo tuttavia non abbandona il progetto e, secondo una suggestiva ipo-tesi di Pedretti, fra 1495 e 1497 trasferi-sce modello e forma di fusione dal labo-ratorio di Corte Vecchia ad una vigna di sua proprietà, nei pressi di Santa Maria delle grazie, dove pensa probabilmente di sistemare la fonderia.

le speranze di portare a termine l’o-pera svaniscono però del tutto nel 1499, con la caduta del Moro. Il 9 e 10 settem-bre, quando ludovico è già fuggito da

Milano, un’avanguardia delle milizie francesi di luigi XII entra in Milano da Porta Vercellina e si accampa nei pa-raggi di San Vittore al Corpo. la vigna di leonardo è poco lontana e l’enorme modello, ben visibile a così breve distan-za, deve costituire un’irresistibile tenta-zione per i balestrieri guasconi che se ne servono come bersaglio, danneggian-dolo e forse distruggendolo. Si salva invece la forma, che giace in completo abbandono, finché nel 1501 viene fatta richiedere da Ercole d’Este, intenzionato a riutilizzarla nella fusione di un monu-mento equestre a Ferrara. Non pare però che la sua richiesta sia stata accolta. Da quel momento della forma non si ha più notizia.

leonardo lascia Milano nel dicembre 1499, avendo senz’altro visto lo scempio del modello, e questo ricordo forse non è estraneo alla lapidaria e celebre frase con cui commenta la fine della fortu-na del Moro: “Il Duca perso lo Stato e la

roba e libertà, e nessuna sua opera si finì per lui”.

La sfida della fusione

la questione più complessa era la tecnica di fusione, di cui leonardo si occupò a più riprese, lasciandone testimonianza in numerosi appunti, nei fogli di windsor e nel secondo codice di Madrid. gli studi si concen-trano negli anni 1491–1494, quando egli cambia programma e concepi-sce un progetto di dimensioni ab-

normi, che esasperano i problemi le-gati alla fusione in bronzo.

la ricostruzione in realtà Virtuale Del proGetto Del caVallo, nel cortile Del castello sForzesco

di Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

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riA Di tali problemi egli è perfettamente

a conoscenza, essendo stato allievo di Verrocchio, uno dei maggiori fondito-ri in bronzo dell’epoca, dal quale aveva appreso la tecnica della fusione a cera persa, risalente all’età classica e riportata in auge nel Quattrocento, nel quadro di una più generale tendenza all’imitazio-ne dell’antico.

Essa prevede la realizzazione di un’anima in terra refrattaria, cioè resi-stente alle alte tem-perature, sbozzata sommariamente e ricoperta di uno strato di cera, poi modellato fino ad assumere l’aspet-to definitivo della statua. Il modello così realizzato vie-ne racchiuso in una cappa, anch’essa in terra refrattaria, in cui sono predispo-sti i canali di cola-ta. Il tutto, detto in gergo forma, viene calato nella fossa di fusione per la cottura, che ha la dop-pia funzione di asciugare e solidificare l’argilla e di sciogliere la cera la quale, fuoriuscendo, lascia fra l’anima e la cap-pa un’intercapedine, destinata a venire occupata dal bronzo. A questo punto si può procedere alla colata vera e propria, cui seguono l’eliminazione della forma e i lavori di rifinitura.

Questa tecnica presenta tuttavia una serie d’inconvenienti, difficili da affronta-re. l’irregolarità dello spessore della cera, dovuta al fatto che l’anima sottostante è sbozzata solo in modo sommario, ren-de a sua volta irregolare lo spessore del bronzo, con la doppia conseguenza di dover impiegare più metallo di quanto

sarebbe in effet-ti necessario e di non poterne cal-colare in anticipo la quantità occor-rente, a rischio di non riuscire a con-cludere la colata.

Per leonardo, che ha bisogno di alleggerire il più possibile il peso della statua, è in-vece essenziale ottenere un spes-sore del bronzo ridotto al minimo e uniforme. la

tecnica della fusione a cera persa non è quindi adeguata allo scopo e l’artista, riprendendo una variante già in uso per la realizzazione di rilievi ma non ancora adottata nella statuaria a tutto tondo, elabora un procedimento nuovo, che verrà poi teorizzato da Vasari e che nelle sue linee essenziali continua ad essere impiegato ancora oggi.

stuDi Di leonarDo su caValli, per monu-mento equestre

di Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

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Tale procedimento prevede innan-zitutto la realizzazione di un model-lo d’argilla identico alla scultura finita. Del modello viene effettuato un calco in gesso che, per poter essere staccato dall’originale senza rompersi, è realizza-to in un gran numero di pezzi (tasselli), ciascuno contrassegnato, così da poterli poi riaccostare nel giusto ordine. Il calco viene quindi ricomposto in due metà, all’interno delle quali si stende uno stra-to uniforme di una sostanza malleabile – ad esempio cera – che leonardo chiama grossezza. All’interno del calco, in modo da riprenderne esattamente la forma, viene realizzata in materiale refrattario l’anima (o maschio), rinforzata con strut-ture metalliche di sostegno. A questo punto, le due metà del calco vengono chiuse sul maschio dopo aver tolto la grossezza e, nello spazio lasciato vuoto da quest’ultima, si procede a colare del-la cera. Eliminato anche il calco, la super-ficie della cera viene lisciata e rifinita e infine ricoperta con la cappa di fusione.

la forma così ottenuta può ora esser calata nella fossa, pronta per la cottura e la colata.

Con questa tecnica, più sofisticata e complessa di quella tradizionale, leo-nardo raggiunge gli obiettivi che si è proposto: il controllo puntuale dello spessore del bronzo, garantito grazie all’utilizzo della grossezza, e la possibili-tà di calcolare, mediante un preciso rap-porto fra unità di peso della grossezza e unità di peso del bronzo, la quantità di metallo necessaria alla fusione.

Tratto dal Cap. 5 de “Un Cavallo per il Duca”, Anthelios Editore.

il problema della colata

Risolto il problema della forma, leo-nardo deve affrontare quello della co-lata, per la quale decide di procedere con un getto solo, salvo forse la coda, la cui complessità di realizzazione sembra suggerire una fusione a parte.

la fusione in getto comincia a dif-fondersi nel Quattrocento, contrappo-nendosi a quella tradizionale in parti separate e poi saldate assieme e rifini-te, rispetto alla quale risulta di assai più complessa realizzazione. Del resto, pro-prio le difficoltà tecniche, oltre alla resa estetica, sembrano fare di essa una sorta di ideale con cui gli artisti rinascimentali sono indotti a misurarsi ed è probabil-mente per questo che leonardo si osti-na a tentarla, nonostante tali difficoltà siano ingigantite oltre misura dall’enor-me mole del monumento.

I maggiori ostacoli derivano dalla scelta della tecnica di fusione e della ne-

stuDio Di leonarDo per la Fusione Del caVallo “a testa in Giù”

di Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

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riA cessità di mantenere l’enorme quantità

di metallo a temperatura costante nel corso della colata. Riguardo al primo problema, leonardo studia due possibili alternative: fondere in verticale, collo-cando la forma rovesciata, con la testa del cavallo in basso e gli zoccoli in alto, oppure fondere in orizzontale, collocan-do la forma a giacere sul fianco.

Entrambe le soluzioni presentano dif-ficoltà di cui egli è ben consapevole. Una fusione in verticale richiederebbe una fossa profondissima che finirebbe per toccare la falda freatica, con un’umidità dannosa per la fusione e difficilmente eliminabile. Inoltre leonardo teme che le zampe, che devono essere gettate piene, possano sfondare le altre parti, realizzate cave.

Una fusione in orizzon-tale, invece, rischierebbe di comportare un raffred-damento non uniforme del metallo, ostacolan-done quindi la distribu-zione.

Complica ulteriormen-te le cose il secondo pro-blema, ossia la necessità di garantire al bronzo una temperatura costan-te durante tutta la colata. Date le dimensioni della statua, esso non è risol-vibile con una sola for-nace; leonardo progetta di attivarne diverse con-temporaneamente, ma la loro dislocazione crea ulteriori difficoltà.

Collocarle tutte a livello del terreno sarebbe la soluzione più naturale ma, se può andare bene nel caso di fusione in orizzontale, diventa improponibile qualora si decida di fondere in verticale, poiché il bronzo, dovendo scendere da un’altezza elevata, finirebbe per raffred-darsi prima di aver raggiunto tutte le par-ti della fusione. Nell’esaminare quest’ul-tima ipotesi, leonardo prevede perciò di distribuire i forni su più livelli sovrapposti lungo i lati della fossa. Un procedimento molto complesso, che comunque non dà garanzia di risultati ottimali. Entram-be le scelte (fusione in verticale e fusio-ne in orizzontale) presentano quindi sia vantaggi sia inconvenienti, che leonar-do analizza accuratamente. Una nota

contenuta nel secon-do codice di Madrid: “A dì 20 di dicienbre 1493 conchiudo gitta-re il cavallo sanza coda e a diacere” lascerebbe pensare che egli sia orientato verso questa soluzione, ma in realtà il fatto che le sue ricer-che proseguano an-che oltre il 1493 rende difficile affermare con certezza che questa sia veramente la deci-sione definitiva.

leonardo appare dunque perfettamen-te conscio dell’enor-

leonarDo: composizione Di testa Di caVallo

di Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

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mità dei problemi tecnici connessi alla realizzazione del monumento Sforza, tanto da temere ad un certo punto di non riuscire a concludere l’opera. A testi-monianza dei suoi dubbi resta la minuta di una lettera del 1497 per i Fabbricieri del duomo di Piacenza, in cui, parlando di sé, egli scrive: “ ...lonar fiorentino, che fa il cavallo del duca Francesco di bron-zo, che non ne bisogna fare stima, per-ché ha a che fare il tempo di sua vita, e dubito che, per l’essere sì grande opera, che nolla finirà mai”.

Tratto dal Cap. 5 de “Un Cavallo per il Duca”, Anthelios Editore.

i due cavalli

Dal settembre 1999 a S. Siro, Milano, è presente un nuovo monumento: un gi-gantesco cavallo di bronzo ispirato ai di-segni di leonardo, realizzato negli Stati

Uniti e donato alla città dalla Fondazione “leo-nardo’s Horse”.

leonardo aveva con-cepito la costruzione della più grande statua equestre del mondo, un’impresa che coniu-gava arte e sfida tecni-ca; durante i diciassette anni di permanenza a Milano, leonardo riuscì però a preparare sol-tanto un gigantesco modello in creta che fu distrutto, durante l’oc-cupazione francese del-

la città, dai soldati francesi che

armatura Della testa Del caVallo, Da un altro DiseGno Di leonarDo

di Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

charles Dent con il suo moDello Del caVallo Di leonarDo

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riA scelsero il modello come bersaglio per

le loro balestre.Quasi cinquecento anni dopo, nel

1977, Charles Dent, un ex–pilota di linea statunitense, lesse un articolo del Natio-nal geographic sul Cavallo di leonardo e s’innamorò dell’idea di realizzare quel cavallo che leonardo aveva potuto sol-tanto sognare, per regalarlo alla città di Milano come segno di gratitudine verso il Rinascimento italiano che tanto aveva dato al mondo intero.

Dent creò quindi una fondazione (www.leonardoshorse.org) per racco-gliere i fondi necessari alla costosissima fusione del Cavallo; il problema era però che in realtà dell’idea originale di leo-nardo non restavano che pochi schizzi, del tutto insufficienti a farsi un’idea pre-cisa del progetto originale. Dent creò un comitato scientifico di esperti leonarde-schi e fece realizzare un modello del ca-vallo che però neppure lui riuscirà a ve-dere realizzato in bronzo: morirà infatti nel 1994.

Nel 1999, finalmente, sotto la guida della scultrice Nina Akamu, il cavallo viene fuso in pezzi separati poi uniti; nel settembre 1999 il Cavallo viene portato a Milano, presso l’Ippodromo di San Siro, luogo nel quale è oggi visibile in tutta la sua mole e la sua bellezza. In verità il Ca-vallo di San Siro non ha molti legami con il Cavallo originario pensato da leonar-do. Come scrisse nel 1999 l’allora Diret-tore del Museo della Scienza Domenico lini: “siamo di fronte non al ‘cavallo di le-onardo’, ma ad un omaggio a leonardo che appartiene all’area dell’ispirazione e dell’interpretazione, non a lui”.

A fronte di questo fatto il Museo del-la Scienza ha cercato di riportare l’atten-zione su ciò che sappiamo del progetto originario di leonardo, con uno studio intitolato “Un cavallo per il duca – Sto-ria e Fortuna del Monumento Sforza” (Anthelios Editore), del quale abbiamo riportato due capitoli e la bibliografia.

Simulazioni virtuali dimostrano la correttezza dei calcoli di leonardo da Vinci per il progetto del capolavoro mai realizzato.

Una nuova ricerca multidisciplinare ha rivelato che “Il Cavallo”, l’enorme sta-tua equestre che leonardo Da Vinci non ebbe modo di realizzare, non era afflitto da problemi tecnici, come era opinione diffusa. Al contrario, il piano di leonardo da Vinci per la statua equestre più gran-de del mondo era un progetto perfetta-

di Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

ricostruzione computerizzata Della Forma Di Fusione e Dei punti più Delicati per il Flusso Del bronzo Fuso

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GiuGno 2011 | n.0 57Runa Bianca

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riAdi Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

mente possibile che, se portato a termi-ne, avrebbe costituito probabilmente la sua eredità più grande, più de ‘’l’Ultima Cena’’ o di qualsiasi altra opera.

gli ingegneri hanno sempre creduto che l’audace progetto per realizzare la maggior fusione mai fatta sarebbe falli-to a causa di problemi tecnici.

“Come mantenere calda, a tempera-tura uniforme, una tale massa di bronzo liquido, e come tenere in equilibrio una struttura dall’enorme peso di parecchie tonnellate su tre gambe? l’informatica avanzata e i dati precisi conservati nei manoscritti di leonardo hanno fornito le risposte”, ha detto a Discovery News Paolo galluzzi, direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firen-ze, in Italia. Combinando le note di leo-nardo e il software Computational Fluid Dynamics, il team galluzzi ha mostrato che il cavallo di bronzo alto otto metri, del peso di 70 tonnellate, sarebbe stato

gettato con successo in un’unica colata di fusione, in soli 165 secondi.

“Il progetto era del tutto fattibile nelle due diverse versioni che leonardo ave-

va concepito, con il cavallo posto sia in posizione orizzontale, sia verticale. Tuttavia, dovette abbandonare la po-sizione a gamba levata, in quanto in una fossa profonda 20 metri la fusio-ne non sarebbe stata sicura”, ha detto galluzzi.

Per costruire il suo cavallo al trotto, leonardo pensò di utilizzare la cosid-detta tecnica della colata indiretta, che permette il riutilizzo degli stampi negativi preparati per la costruzione del nucleo centrale. ben noto ai greci sin dal VII secolo a.C., il metodo non

era noto agli artisti del Rinascimento, poiché nessuna descrizione era soprav-vissuta dall’antichità. Una sfida scienti-fica e artistica per il genio di leonardo, che nel suo progetto esaminò tutti gli aspetti critici della procedura di colata.

Per raggiungere la temperatura idea-le nella tempistica voluta, Da Vinci aveva anche ideato un sistema di forni tempo-rizzato.

“I forni si aprivano in base a una se-quenza predeterminata. Essi erano controllati da sensori pirotecnici che esplodevano quando il bronzo fuso li raggiungeva, inviando il segnale per aprire il forno successivo”, ha detto gal-luzzi.

Il maestro del Rinascimento aveva an-che preso in considerazione tutti i possi-bili punti critici della statua, nel momen-to delicato in cui il bronzo fuso fosse defluito dai forni nello stampo.

la copia Del caVallo, posta DaVanti all’ippoDro-mo Di san siro a milano

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di Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

“Il modello ha ri-velato che tutto era stato attentamente pianificato. è risul-tato che le parti più critiche della fusio-ne, dove il bronzo si raffredda più ve-locemente, sono quelli meno impor-tanti per l’equili-brio del cavallo”, ha detto a Discovery News Alessandro Incognito, direttore di XC Engineering, la società che ha effet-tuato la simulazione della colata.

Dai modelli in 3D è emerso che il bronzo fuso avrebbe riempito gli stam-pi della colossale statua in meno di 165 secondi e che il metallo avrebbe avuto il peso 70 tonnellate, esattamente come leonardo aveva calcolato.

Secondo Alessandro Vezzosi, diretto-re del Museo Ideale nella città toscana di Vinci, dove l’artista nacque nel 1452, questo studio è importante, in quanto mette in evidenza gli aspetti che non è possibile indagare con i tradizionali strumenti di ricerca storica.

“Presenta un modo interessante di affrontare i progetti artistici delle epo-che antiche, dal momento che mette insieme la tecnologia contemporanea e i documenti storici”, ha detto Vezzosi a Discovery News.

I risultati di galluzzi e la ricerca dei col-leghi saranno visualizzati in una mostra

presso il Museo di Firenze, mentre uno spettacolare evento è previsto per l’Expo di Mila-no 2015.

“Ora che la no-stra ricerca ha di-mostrato che il progetto di leo-nardo era possibi-le, stiamo proget-tando finalmente di realizzare il cavallo, proprio nella città in cui

doveva vedere la luce”, ha detto gal-luzzi.

la riproDuzione moDerna Del caVallo Di leonarDo, in stuDio

stuDi Di leonarDo per l’incastellatura a so-steGno Della statua eretta

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GiuGno 2011 | n.0 59Runa Bianca

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riAdi Alberto ArecchiIl cavallo di leonardo da Vinci

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nument horse. The art and the engineering, bethlehem, leigh university press e london, Associated university press, 1995, pp. 64–78. lEIN Edgar, Il problema della fusione in un getto o in parti separate dei bronzi del Rina-scimento italiano, in I grandi bronzi antichi. le fonderie e le tecniche di lavorazione dall’età ar-caica al Rinascimento, Siena, Nuova immagine, 1999, pp. 385–399. lEINATI luigi, l’anatomia comparata, in leo-nardo da Vinci, Novara, De Agostini, 1956, pp. 389–398. lEONARDO da Vinci, The drawings and miscel-laneous papers of leonardo da Vinci in the col-lection of Her Majesty the Queen at winsord Castle. Volume II: Horses and other animals, edited by Carlo Pedretti, london, johnson, 1987. MAlAgUzzI VAlERI Francesco, la corte di lo-dovico il Moro. Volume II: bramante e leonardo da Vinci,, Milano, Hoepli, 1915. PEDRETTI Carlo, Un disegno per la fusione del cavallo per il monumento Sforza,in “Raccolta vinciana”, (XX) 1964, pp. 271–275. PEDRETTI Carlo, I cavalli di leonardo, Firenze, giunti, 1996. PEDRETTI Carlo, The Sforza horse in context, in leonardo da Vinci’s Sforza monument horse. The art and the engineering, bethlehem, leigh university press e london, Associated universi-ty press, 1995, pp. 27–39. SPENCER john, Il progetto per il cavallo di bronzo per Francesco Sforza, in “Arte lombar-da”, 1973, n. 38–39, pp. 23–35. Storia di Milano. Volumi VI e VII, Roma, Fonda-zione Treccani degli Alfieri per la storia di Mila-no, 1955.

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nZA Lo spauracchio

dell’ Escherichia coli

di Ennio Piccaluga

Come è mai possibile che si sia trasformato in un batterio killer?tempo di lettura 3 minuti

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GiuGno 2011 | n.0 61Runa Bianca

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grande allarme ha generato il diffonder-si, in germania, di una rara infezione da Escherichia coli, un batterio che proli-

fera normalmente nel colon di alcuni mammiferi, compreso l’uomo.

Il microorganismo è comunissimo ed assolu-tamente innocuo. Come è mai possibile che si sia trasformato in un batterio killer? Il fatto è che l’escherichia coli, proprio per la sua struttura ele-mentare, è usato correntemente nei laboratori di biotecnologie allo scopo di trasformarlo in altre tipologie di batteri con differenti utilizzi, alcuni dei quali potrebbero risultare utili per determina-te applicazioni. Non siamo però in nessun modo al riparo dalla possibilità che qualcuno di questi laboratori possa trasformare un banalissimo bat-terio in un killer a larga diffusione. E’ mia opinione che ogni laboratorio di biotecnologie dovrebbe essere assoggettato a rigidissime verifiche pub-bliche onde tenere sotto rigido controllo delle ri-cerche i cui risultati, nelle mani di multinazionali senza scrupoli, potrebbero rappresentare un pe-ricolo enorme per la collettività. Ci preoccupia-mo molto, e giustamente, dei materiali nucleari e dei pericoli della radioattività, ma abbiamo fi-nora sottovalutato ingenuamente i rischi molto più grandi, legati allo sviluppo delle biotecnolo-gie. Con appropriate tecniche, è ormai possibile progettare in laboratorio dei batteri o dei virus in

grado di operare in qualsiasi mo-dalità e di essere inattaccabili con ogni tipo di antibiotico o arma biologica a nostra disposizione. la mia maggiore perplessità è generata dalla reazione del tutto sbagliata dei nostri media e delle nostre autorità, e non mi riferisco solo a quelle italiane. Se l’’e.c. è un microorganismo che vive nell’in-testino degli animali, che c’en-

di Ennio Piccaluga

ennio piccaluGaIngegnere Elettronico ed esper-to di astronautica, si dedica da sempre allo studio del Pianeta Rosso. E’ autore del libro Ossi-moro Marte. Vita intelligente sul Pianeta Rosso. Le prove (Hera books, 2006) e di vari articoli e conferenze sul tema “Vita intel-ligente su Marte”.

ossimoro marteHera Books, 2006

leggi scheda completa >>

lo spauracchio dell’ Escherichia coli

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62 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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nZA

trano, di grazia, i cetrioli e i germogli di soia? Come è possibile che delle verdure o degli ortaggi trasformino in killer que-sto batterio? Al massimo, più che accu-sare questa o quella verdura, si potrebbe consigliare di lavare bene tutto ciò che si porta alla bocca. Credo invece che cer-cando in qualche laboratorio, potrebbe venir fuori tutta la verità, in quanto è praticamente impossibile che un qualsi-asi batterio diventi “sua sponte” resisten-te a ben otto famiglie di antibiotici. Con una piccola, ulteriore messa a punto, questo organismo potrebbe diventare lo strumento perfetto per ridurre dra-sticamente la popolazione mondiale, lì

dove si salvereb-bero solo alcuni

“prescelti” immunizzati in modo pro-grammato. Questa che potrebbe sem-brare una fantasia folle, fa ormai parte di una realtà che sta andando ben al di là delle nostre capacità di difesa e di comprensione. Qualcuno, neanche poi tanto folle, potrebbe contaminare l’inte-ra umanità, vendendo solo a pochi, ed a prezzi astronomici, il relativo antidoto. Quale il veicolo più adatto per l’infezio-ne? gli acquedotti, quelli che qualcuno ha pensato di sottrarre al controllo pub-blico. Quest’ultimo dovrebbe sempre essere attuato sull’aria, sull’acqua, sulle fonti di energia, sulle comunicazioni e

sui laboratori di ricerca. la sperimen-tazione potrebbe sortire effetti benefici per la collettività, ma anche (se non con-trollata) killer mostruosi pronti ad essere impiegati a scopi delittuosi da soggetti, nazioni e/o organizzazioni senza scru-poli. Il tutto purtroppo è enormemente facilitato dalla bovina accondiscenden-za di una collettività disabituata a pen-sare, ormai condizionata da una pub-blicità martellante che sta costruendo una generazione di individui spogliati di ogni spirito critico.

Consiglio finale: riappropriatevi del sacrosanto diritto di dubitare di ogni cosa che pubblicamente viene detta o

fatta “per il vo-stro bene”. Non pensate mai che lo Stato sia lì per preoc-cuparsi per la vostra salute: se non lo fa-rete voi, altri soggetti semplicemente ne approfitteranno in ogni modo per trarne profitto. Sciacquate bene con acqua e un pizzico di bicarbonato le verdure, cetrio-li e germogli compresi, e consumateli in tutta tranquillità. Ma soprattutto diffida-te, diffidate sempre, è l’unica possibilità che avete per evitare che soggetti senza scrupoli, traggano profitto a spese della nostra integrità fisica.

Per approfondire: “Infezione da E. Coli. Oltre l’ipotesi terroristica nuovi e più al-larmanti scenari” di Carmelo Scuderi

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di Ennio Piccalugalo spauracchio dell’ Escherichia coli

batterio escherichia coli

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L’alba delle piramidi

Christopher knight e Alan butler

Il più grande mistero dellastoria è stato svelato

DA mAggio 2011in LiBreriA

Chi ha davvero ideato e progettato le piramidi?Dopo aver studiato i più antichi luoghi di culto del mondo, knight e

butler possono affermare che il progetto per gli straordinari monumenti funerari dei faraoni precede la civiltà egizia... di oltre mille anni

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nZA “Dr. Victor von Frankenstein,

I suppose?”

di Roberto Volterri

breve e indimenticabile conoscenza di alcuni emuli realmente esistititempo di lettura 10 minuti

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GiuGno 2011 | n.0 65Runa Bianca

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No, stare tranquilli (faccio per dire…) in queste pagine – quasi novelli Stanley sulle tracce dello scompar-

so esploratore – non incontreremo il frutto del par-to letterario di Mary Shelley, ma faremo una breve e indimenticabile conoscenza con qualche suo emu-lo realmente esistito…

ti ho chiesto io, Creatore…

“Ti ho chiesto io, Creatore, dalla creta di farmi uomo? Ti ho sollecitato io a trarmi dall’oscurità?”

Così scrive john Milton (1608 – 1674) nel suo poema ‘Paradiso perduto’ , pubblicato nel 1667, in cui il poeta narra della ‘cacciata’ dell’Uomo dal Paradiso Terrestre e delle tentazioni a cui l’Uomo stesso (e la Donna, Eva, naturalmente) cedette ad opera dell’Angelo caduto, di Satana in persona.

Questi versi si attagliano bene alle vicende narrate in un celeberrimo romanzo che ha dato origine a centinaia di film e… imitazioni: “Fran-kenstein, o il moderno Prometeo”. Ma vediamo come esso nasce…

Maggio del 1816. lago di ginevra. la sorellastra di Mary Shelley, Claire Clairmont, amante di lord george byron, invita i coniugi Shelley a seguirla a Villa Diodati, affittata per le vacanze. Il tempo piovoso li costringe a stare in casa e ad annoiarsi.

Cosa c’è di meglio, in queste cir-costanze, che leggere davanti al camino storie di fantasmi?

Però, letto tutto ciò che c’era da leggere, la noia incombe an-cora…

Ed ecco la geniale idea di lord byron, idea che ha dato origine sia al ‘Frankenstein’ della Shelley sia al ‘Il Vampiro’ di Polidori, gio-vane medico dello scrittore, ospi-

di Roberto Volterri

roberto Volterrilaureato in Archeologia, con tesi sperimentale in Archeome-tria, ha conoscenze nel campo dell’Elettronica, della Fisica, del-la biologia e si occupa da tempo di Archeometallurgia in ambito universitario. Studioso degli aspetti meno consueti della re-altà e delle questioni “di confi-ne” in ambito storico-archeolo-gico, ha raccolto i suoi studi in articoli comparsi in riviste come Arcani, Abstracta, Hera e scritto più di una ventina di libri tra cui ricordiamo: Rennes-le-Château e il mistero dell’Abbazia di Carol (SugarCo, 2005); I mille volti del Graal (SugarCo, 2005); Archeo-logia dell’Introvabile (SugarCo, 2006); Archeologia dell’Invisibi-le (SugarCo, 2007); Gli ‘stregoni’ della Scienza (Eremon Edi-zioni, 2009); Archeologia dell’Impossibile (Eremon Edizioni, 2010) e infine...

il Laboratoriodel Dr. frankestein

Eremon Edizioni, 2011

leggi scheda completa >>

“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

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66 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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te anch’egli della villa. byron propone infatti che ciascuno

degli ospiti scriva una storia di fanta-smi.

Nel frattempo, durante le lunghe serate, le conversazioni vertono sulla natura della vita, sulla morte, sul dar-winismo, sull’elettricità, sul galvani-smo e, non ultimo, sulla possibilità di dare origine ad una creatura artificiale ed infondere in essa la vita.

Queste riflessioni scatenano l’imma-ginazione di Mary, le ricordano qual-che cosa di cui parleremo tra breve, ri-svegliano in lei incubi ormai sopiti e la conducono però all’origine di uno dei ‘miti’ del romanzo gotico: uno studen-te in medicina, un medico che osserva la creatura che ha – diremmo in modo ‘blasfemo’ – assemblato, una creatura che, grazie alle energie del Creato, co-mincia a mostrare segni di vita.

la Shelley descrive efficacemente sia il successo dello scienziato per esse-re riuscito ad infondere una parvenza di vita nella ‘sua’ la creatura sia il terro-re che poi lo attanaglia pensando che il ‘mostro’, abbandonato a se stesso – “Ti ho sollecitato io a trarmi dall’oscurità?”… – possa morire.

E anche creare, intorno a se, distruzio-ne e morte.

Non entro affatto negli sviluppi del romanzo poi pubblicato nel 1818 ed uscito successivamente in innumerevo-li edizioni – romanzo che esorto a leg-gere: ne vale veramente lo ‘sforzo’! – ma sono ben certo che Mary Shelley venne a conoscenza di qualcuna delle opere di uno strano personaggio che risponde al

nome di konrad Dippel e che, verosimil-mente, visitò anche qualcuna delle loca-lità ove Dippel aveva dimorato ed ese-guito i suoi ‘proibiti’ esperimenti. Non è affatto escluso che abbia visitato anche il castello situato a pochi chilometri da Darmstadt, oggi conosciuto proprio come il ‘Castello di Frankenstein’, e che tutto ciò le abbia dato lo spunto, duran-te la sua vacanza sul lago di ginevra, per scrivere il suo celeberrimo romanzo. Ma-gari anche a seguito di ciò che era acca-duto a londra ad opera di quel giovanni Aldini i cui “orrorifici” esperimenti ho de-scritto nel recentissimo libro “Il laborato-rio del Dr. Frankenstein”.

di Roberto Volterri“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

mary shelley, autrice Del romanzo ‘Frankenstein’

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GiuGno 2011 | n.0 67Runa Bianca

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Tutto ciò troverebbe conferma an-che nelle indagini di uno studioso ru-meno, Radu Florescu, docente al boston Institute, autore del libro ‘In Search of Frankenstein’, libro che farebbe luce su questa appassionante vicenda.

Florescu avrebbe trovate le prove che il ‘sulfureo’ alchimista johann konrad Dippel era effettivamente riuscito a cre-are un ‘arcanum chymicum’, lo strano

composto organico che egli stesso bat-tezzò ‘Olio di Dippel’, ottenuto maceran-do ossa di cadaveri con Acido prussico allo scopo di ridar la vita a corpi omai in via di disfacimento.

Ma, anziché rappresentare una sorta di diabolico ‘elisir di lunga vita’, le ve-nefiche sostanze contenute nell’Olio di Dippel’, assunte anche dall’alchimista, lo avrebbero condotto a sicura morte nel

1734. Venuta a conoscenza della vicen-da, la Shelley l’avrebbe resa ancor più tenebrosa e ‘scientifica’ enfatizzando l’uso dell’elettricità atmosferica quale

di Roberto Volterri“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

ciò che resta, a DarmstaDt, Del castello Dell’al-chimista konraD Dippel

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68 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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agente catalizzatore delle improbabili reazioni che avrebbero dovuto ridestare la mostruosa creatura.

Un inno, insomma, all’eterno delirio di onnipotenza che sembra albergare perennemente nell’animo umano e che fa credere alla più ‘intelligente’ creatura del pianeta di poter fare concorrenza all’Onnipotente. Ovunque e chiunque Egli sia…

Potevano mancare dei ‘folli’ e geniali emuli?

21 maggio 1908. Il dottor Charles guthrie (1880-1963), docente di fisio-logia e farmacologia all’Università di washington e poi a Pittsburgh effettua il trapianto della testa di un cane di pic-cola taglia nel corpo di un altro cane, di dimensioni maggiori, ottenendo una sorta di strana ‘chimera’ in cui i due mal-capitati animali convivono con le loro due teste affiancate.

Nel 1912 – quattro anni dopo il suo strano esperimento ‘alla Frankenstein’ – guthrie pubblica un interessante libro dal titolo “blood Vessel Surgery and Its Applications” in cui descrive minuziosa-mente le complesse tecniche da lui usa-te nei primi tentativi di trapianti di orga-ni. Compresa la testa…

In realtà guthrie sta cercando di met-tere a punto svariate tecniche chirurgi-che ad hoc, evidenziando anche tutti

quelli che potevano essere gli aspetti legati al ‘rigetto’. guthrie – una sorta di genio della medicina – in quegli anni è ‘in odor di Nobel’, ma i suoi esperimen-ti, che fanno rabbrividire e indignare gli animalisti dell’epoca, almeno secondo il parere di Hugh E. Stephenson, chirurgo della University of Missouri Columbia, gli costano l’esclusione dall’ambito rico-

di Roberto Volterri“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

il libro Del Dottor charles Guthrie, pubblicato nel 1912. contiene la Descrizione Delle tecniche chirurGiche necessarie all’esecuzione Di trapianti D’orGani. anche Della testa Di sVenturati ani-mali. illustrazioni Della tecnica usata Dal Dottor Guthrie per colleGare tra loro i Vasi sanGuiGni e esempliFicazione Di come le Due teste DeGli sVenturati animali siano state colleGate tra loro.

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GiuGno 2011 | n.0 69Runa Bianca

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noscimento scientifico.Spero vivamente che gli animalisti,

gli antivisezionisti non me ne voglia-no, ma ora incontreremo tre altri emu-li del dottor Frankenstein i quali – al di la del bene e del male, alla Nietsche insomma – osarono effettuare opera-zioni chirurgiche forse ben più ‘proi-bite’ di quelle del dottor Robert white che avremo occasione di conoscere in altra occasione…

Iniziamo con il dottor Robert Cor-nish, della Università di California, il quale nel 1939 tentò di ‘resuscitare’ animali morti introducendo nel loro circolo sanguigno anticoagulanti e adrenalina senza che fossero danneg-giate parti interne importanti. Utilizzò vari cani – che ovviamente chiamò tutti… lazarus – e, dopo averli asfis-siati, li sottopose all’esperimento sot-toponendoli all’azione di una sua spe-ciale ‘altalena’ su cui li faceva oscillare. Alcuni animali si ripresero ma rimase-ro seriamente menomati nell’organo della vista e al cervello.

Più o meno in quegli anni uno scien-ziato russo, il medico Sergej bryukho-nenko, metteva a punto il primo di-spositivo ‘cuore-polmone’ artificiale, denominato ‘Autojektor’ e con esso condusse una lunga serie di esperi-menti sui cani, esperimenti in con-fronto ai quali quelli del Dr. Voronoff assomiglierebbero forse ad un gioco da ragazzi! Mediante l’Autojektor, lo scienziato riuscì a tenere in vita alcu-ne teste di cane e realizzò un filmato – visibile in Internet su You-Tube, cer-cando ‘Russian Dog Experiment’ – in

di Roberto Volterri“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

un ritaGlio Di Giornale in cui il Dottor robert cor-nish mostra orGoGliosamente Due Delle sue caVie ‘resuscitate’.

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cui si vede chiaramente la testa di una povera ‘cavia’ staccata dal resto del cor-po ma ancora ben sensibile a qualsiasi stimolo esterno, tattile, acustico, chimi-co, ecc.

Successivamente, nel 1954, il chirur-go russo Vladimir Demikhov riesce ad impiantare la testa di un piccolo cane sul corpo (testa compresa) di un anima-le di maggiori dimensioni. Ovviamente non ci riesce al primo tentativo e molte coppie di animali sono state certamente sacrificate sull’altare di una scienza forse folle.

Demikhov tenta anche con trapianti di teste di scimmie, aprendo il varco ver-so gli esperimenti che decenni dopo fu-rono effettuati dal dottor Robert white che in una futura occasione andremo a visitare nel suo ‘Antro’…

Alcuni decenni più tardi…

Agosto 1999. Sul ‘Corriere della sera’ compare un interessante articolo in cui si relaziona sui recenti sviluppi avuti da un’avveniristica tecnica ideata da un neurochirurgo ame-ricano, il dottor Robert white. la tecnica messa a punto riguarda i trapianti d’organi: fin qui nulla di eccezionale diremmo, poiché all’epoca eravamo abituati a simi-li prodezze della medicina e della chirurgia, dopo l’ormai lontano primo trapianto di cuore ad ope-ra del dottor Christian barnard. E allora, cosa c’è di eccezionale in quell’articolo?

l’eccezionalità consiste nel fat-

to che a poter essere trapiantata sareb-be un‘intera testa umana, questa volta! Ma è proprio possibile tutto ciò? Vedia-mo…

Sappiamo bene che in una testa di un animale, staccata dal resto del cor-po, priva cioè di irrorazione sanguigna, le cellule del cervello muoiono in poco tempo per carenza di Ossigeno. Però, già dall’Ottocento, alcuni ricercatori cerca-no di capire se sia possibile mantenere il cervello in vita ossigenando il sangue e facendolo circolare artificialmente nella testa… mozzata.

Sembra ci riescano, poiché la circola-zione artificiale riesce a mantenere l’at-tività cerebrale, tanto che ciò che resta del povero animale è in grado di reagire alle stimolazioni sensoriali. Osando un po’ di più, da tali ricerche si potrebbe arguire che, nel caso di un trapianto di

di Roberto Volterri“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

l’esperimento Del Dottor bryukhonenko: la testa Della poVera bestia ViVe in maniera Del tutto autonoma…

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GiuGno 2011 | n.0 71Runa Bianca

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una intera testa… umana, la circolazio-ne artificiale potrebbe servire a tenere in vita il cervello durante la più che com-plessa operazione.

Negli anni Ottanta del se-colo appena trascorso, un neurochirurgo americano, il dottor Robert white, di Cle-veland (Ohio), afferma di ave-re risolto gran parte dei pro-blemi legati al trapianto di testa umana,

abbassando la temperatura dell’ence-falo da 37°C a circa 10°C. Tale espediente gli consente di rendere il cervello attivo per circa un’ora. Quell’ora necessaria a ricollegare tutte le innervazioni, tutto l’apparato circolatorio che poi dovreb-be consentire alla testa trapiantata di dare le necessarie informazioni al corpo su cui è stata trapiantata. Fantascienza? Non proprio, poiché… “Raffreddando il cervello – ha spiegato white – si rallenta il metabolismo e si recupera tempo pre-zioso per attaccare la testa al suo nuovo corpo”.

la complessa operazione chirurgica prevede dapprima una profonda inci-sione sulla schiena del corpo destinata-rio della testa ‘estranea’, in modo da met-tere in luce la spina dorsale e i principali

vasi sanguigni.Successivamente la testa deve es-

sere collegata alla macchina per il raf-freddamento cerebrale, macchina che inizialmente fornirebbe al cervello il sangue del corpo originale. Secondo il dottor white – il quale ha già effettua-to l’operazione su alcuni cadaveri – si può staccare definitivamente la testa dal corpo che l’aveva ospitata fino a quel momento e, anche se l’encefalo dovesse rimanere senza la dovuta os-sigenazione, il drastico abbassamento di temperatura ( di circa 27°C) dimi-nuirebbe notevolmente il rischio di provocare danni irreversibili ai tessuti cerebrali.

Se la ipercomplessa operazione è fino a qui riuscita, avremo a disposizio-ne una testa da collegare ad un nuovo

corpo. Facile a dirsi!

di Roberto Volterri“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

il riuscito esperimento Del Dottor DemikhoV

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72 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

sCie

nZA

di Roberto Volterri“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

lo stesso dottor white – un ‘Franken-stein’ dei nostri giorni – ammette senza remore che i rischi sono grandissimi poi-ché è estremamente difficile collegare tutti le innervazioni alla spina dorsale ed è elevatissimo il rischio che il pazien-te rimanga paralizzato dal collo in giù!

white si è esercitato a lungo prima di pronunciarsi sulla possibilità di trapian-tare un’intera testa umana. E’ già riusci-to ad effettuare lo scambio delle teste tra due scimmie o, più esattamente, la testa di una scimmia e’ stata trapianta-ta sul corpo di un’altra che, attraverso il suo cuore e i suoi polmoni, ha mantenu-to in vita per circa sette giorni la testa trapiantata.

Capisco che infiniti sono a questo punto della ricerca gli interrogativi d’or-dine bioetico che, senza dubbio, ferme-ranno ulteriori ricerche in questa dire-zione. gli

stessi problemi d’ordine morale più che di ordine medico e biologico, che posero non solo scienziati ma anche rappresentanti del mondo religioso in-torno alle onnipresenti ‘tavole rotonde’ – anche televisive: ricordo qualcosa del genere anche nelle trasmissioni RAI… – dopo quel lontano 3 Dicembre 1967, giorno in cui Christiaan barnard effettuò con successo il primo trapianto di cuo-re umano su louis washkansky. E poco importa se, a causa del ‘rigetto’, quest’ul-timo muore diciotto giorni dopo il tra-pianto. Da quegli lontani anni la cardio-chirurgia ha effettuato passi da gigante e, anche se non tutti i problemi sono sta-ti risolti, oggi il trapianto di cuore è di-ventata operazione … quasi di routine.

D’altra parte, la Scienza e la Cono-scenza in genere procedono proprio così: con errori, con perfezionamenti, con coraggio…

Se non siete rimasti eccessivamente frastornati da questo brevissimo excur-sus nei ‘territori proibiti’ della Conoscen-za, potreste fare un altro illuminante giro nel “Laboratorio del Dr. Frankenstein” (Eremon Edizioni, 2011) che, con qual-che ‘brivido’, ho appena pubblicato…

buon viaggio!

il Dottor robert White, il neurochirurGo ameri-cano che sostiene Di poter trapiantare un’intera testa umana. problemi Di bioetica ne hanno arre-stato le ricerche…

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mis

tero I misteri dei sacri

boschi di Bomarzo

di Marisa Uberti

Alla scoperta nel cuore della Tuscia

tempo di lettura 11 minuti

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GiuGno 2011 | n.0 75Runa Bianca

mistero

bomarzo, un paese di poco più di mille abitanti, situato a 19 chilometri a Nord-Est dal suo capoluogo, Viterbo. Ci trovia-

mo nel cuore della Tuscia, un luogo dove gli dei sembrano aver lasciato il loro spirito nella pietra. Anticamente era chiamato Polimartium cioè ‘cit-tà di Marte’ (vicino c’è anche un paese chiamato giove e la cima che corolla il vicino lago di Vico è il Monte Venere…). Fu abitato fin dalla preistoria, per divenire poi un importante centro etrusco, in seguito caduto sotto il dominio romano. Nel 741 d.C. venne conquistato dai longobardi di re liu-tprando e da questi donato alla chiesa. Succes-sivamente, passò nelle mani di diverse famiglie, tra le quali la più famosa è senz’altro quella degli Orsini, che hanno lasciato tracce indelebili, come l’attuale Palazzo Comunale e il Parco dei Mostri. Il paese, di vocazione agricola, sorge su un’alta rupe, a 263 m, che domina la Valle del Tevere ed è circondato dai Monti Cimini, massicci vulcanici di remota formazione. la sua fortuna è da sem-pre stata l’abbondanza di acqua, di boschi, e di un materiale lavico da costruzione ideale: il pe-perino.

Se la fama di bomarzo è nota in tutto il mondo per la presenza del giardino delle delizie, ovvero il Parco dei Mostri, voluto da Vicino Orsini nel XVI secolo, quasi nessuno conosce cosa si nasconda nell’intricata selva dei suoi boschi sacri. Si, sacri,

poiché al loro interno, in epoche imprecisate (che possono risalire a quella Etrsuco-romana ma an-che anteriore), giacciono struttu-re artificali create da una civiltà che nei boschi viveva, praticava culti, moriva e si seppelliva. Non si trovano ancora descrizioni di questi manufatti sui libri scolasti-ci, ed è ancora lontano il momen-to in cui ne sentiremo parlare dif-

di Marisa Uberti

marisa ubertiRicercatrice indipendente, ow-ner del sito www.duepassi-nelmistero.com, fondato nel 2002, ha unito la sua forma-zione scientifica all’attrazione per il mistero ed il simbolismo. Instancabile viaggiatrice, ama documentare “sul campo” i soggetti dei suoi studi, conscia che ogni ricerca sia un tassello dell’immenso mosaico della co-noscenza. Ha all’attivo numero-si articoli sia in formato digitale che cartaceo. Fa parte della li-bera Associazione Ricercatori Templari Italiani. Ha collaborato con la rivista Hera e con nume-rose testate culturali nel web. Ha scritto un libro insieme a giulio Coluzzi dal titolo I Luoghi delle Triplici Cinte in Italia. Alla ricerca di un simbolo sacro o di un gioco senza tempo? (Eremon Edizioni, 2008)

i Luoghi delle triplici Cinte in italia

Eremon Edizioni, 2008

leggi scheda completa >>

I misteri dei sacri boschi di bomarzo

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tero

fusamente. Da un lato per fortuna (in quanto stando isolati, i siti si conservano, in un certo qual modo), dall’altro sareb-be auspicabile una loro tutela, un censi-mento, ai fini di uno studio mirato e di un inquadramento cronologico, storico ed antropologico. Altari e abitazioni ru-pestri, necropoli e massi sacralizzati, Vie Cave e la straordinaria ‘piramide’, emersa nella sua stupefacente bellezza dopo l’o-perazione di ripulitura di Salvatore Fosci (l’uomo dei boschi che per pura passione, nel tempo libero, si dedica a questa atti-vità), danno soltanto una parziale idea di cosa si celi nel fitto di questa boscaglia. Abbiamo visitato nell’agosto 2010 e poi nel gennaio 2011 alcuni dei siti arche-ologici che i selvaggi boschi bomarzesi gelosamente custodiscono e nascondo-no, ausiliati dalla presenza di Salvatore, socio onorario dell’ Associazione Arche-

otuscia, che ci ha fatto da gui-

da e al quale vanno i nostri amichevo-li ringraziamenti. Addentrarsi nel folto dei boschi, infatti, se non li si conosce, è sconsigliato.

Imboccando una strada il cui nome è tutto un programma, via Cupa, ci calia-mo letteralmente nel passato. la prima struttura che abbiamo incontrato è un altare arcaico, intagliato interamente nella viva roccia. Questo sito lo ha in-dividuato e ripulito il Fosci nell’inverno 2009-2010, nessuno lo aveva mai sco-perto prima. Il manufatto si presenta come un lungo sedile di peperino, ma più largo di un normale sedile, assu-mendo l’aspetto di un altare sacrificale o rituale. Nella parte attaccata alla collina, che diremmo fa da ‘schienale’, si notano alcune nicchie, una in particolare pre-senta dimensioni notevoli: a cosa servi-va? Un’altra nicchia, più piccolina, è stata ricavata poco distante. Una colorazione scura verticale è visibile a sinistra della

nicchia, circa a metà del ma-nufatto: probabilmente qui scendeva acqua dalla roccia che veniva convogliata, tra-mite appositi canalini sca-vati nel masso, in una sorta di bacile o vaschetta scava-ta nella piattaforma che ab-biamo chiamato altare. An-cora oggi, dopo un periodo di pioggia prolungato, l’ac-qua fuoriesce nel medesimo punto, andando a riempire la piccola vasca, che pote-va servire per le abluzioni, o purificazioni, o per quali al-tri scopi? Di certo, quest’ac-

altare arcaico rupestre

di Marisa UbertiI misteri dei sacri boschi di bomarzo

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GiuGno 2011 | n.0 77Runa Bianca

mistero

qua era considerata sacra, in quanto la sua origine era mi-steriosa, un dono della Natu-

ra e quindi, ‘divina’. Numerose sono le ‘pestarole’ che abbiamo incontrato lun-go gli itinerari. Si tratta di grandi vasche di raccolta di forma quadrilatera, ricava-te direttamente nella pietra, dove veni-va messa l’uva che, un tempo, cresceva anche su alberi d’alto fusto (ci informa Salvatore). Qui veniva pigiata (donde il nome di ‘pestarole’), con l’aggiunta magari di erbe aromatiche, e poi drenata tra-mite canali di scolo appositi in una vasca più piccola, situata ad un livello inferiore, anch’es-sa quadrangolare. Da questa, un foro permetteva al liquido di fuoriuscire ed essere raccolto in vari contenitori. A volte, però, la piattaforma della vasca grande di raccolta presenta vani circola-ri di forme differenti e di ignota destinazione (forse vi si mette-va il prodotto da far macerare?).

Quanti le hanno studiate, ritengono che le ‘pestarole’ risalgano all’epoca etrusco-romana, e siano state utiliz-zate anche nel Medioevo, forse come una sorta di ‘cantina sociale’. Difficile però avere una certezza assoluta in merito al loro effettivo impiego ori-ginale, a nostro avviso.

Uno dei siti archeologici più im-portanti, che è stato anche mappato dalla Soprintendenza della Tuscia, è il complesso funerario di santa Ce-cilia, che presenta sepolture di vario tipo, a fossa e in sarcofagi antropo-morfi. I bomarzesi chiamano questo

cimitero ‘camposanto di Chia’ (nome del vicino centro abitato, dominato dalla torre medievale omonima), ma l’intera necropoli è nota come ‘santa Cecilia’. Vi sono infatti le rovine di una chiesa, con ogni probabilità intitolata a questa

di Marisa UbertiI misteri dei sacri boschi di bomarzo

pestarola

pilastri/menhir Vicino alla necropoli Di s.cecilia

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Santa, risalente all’alto medio-evo (VIII-X secolo). Oggi non restano che le fondamenta dei muri perimetrali ed un pilastri-no che, forse, reggeva la mensa dell’altare. Sopra una necropo-li arcaica, dunque, o vicino ad essa, sorse un luogo di culto cristiano. Ma frequentato da chi? Qualche blocco squadra-to è ancora presente, ma tutto il resto è alla rinfusa. Il padre di Salvatore, il signor Abbondio (Cleto per gli amici), afferma che fino agli anni ‘70 del XX se-colo, questa zona (seppure vio-lata già in antico), non era ridot-ta in questo modo. Molti massi sono stati buttati nel dirupo, i sarcofagi sono stati completamente scoperchiati e spezzati. le tombe terra-gne o a fossa, scavate nel macigno (che fu spianato apposta per accoglierle), si presentano di varia dimensione (per bambini e per adulti), e con la piog-gia si riempiono di acqua; a quando ri-salgono? I sarcofagi sono monolitici e scavati in sagoma umana, ricordando parecchio quelli antropomorfi egiziani: sembra infatti che la salma possa es-sere stata fasciata come una mummia, per entrare lì dentro. Alcuni coperchi di sarcofago giacciono per terra; su uno di essi notiamo una grossa croce gre-ca, scolpita in rilievo, indice che almeno queste sepolture risalgono sicuramente al periodo cristiano. Un’altro dettaglio molto importante ce lo fa notare Salva-tore, il quale ripulendo il sito ha no-tato su un masso una bellissima cro-

di Marisa UbertiI misteri dei sacri boschi di bomarzo

sarcoFaGi e tombe terraGne nella necropoli Di ss.cecilia

croce su concio in pietra nella necropoli Di s.cecilia

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mistero

ce (templare?): bagnandola, si nota che l’acqua si raccoglie in una sorta di fosset-ta (un caso?). Data la cospicua presenza di croci cristiane sui massi rupestri, sugli altari (ve n’è una anche sulla ‘piramide’) e molte ancora sono da scoprire, c’è da ritenere assai probabile un intento di ri-consacrare questi luoghi in sen-so cristiano o di segnarli con in-tento magico-apotropaico onde allontanare gli ‘spiriti’ dei pagani antenati, il cui potere ancora si temeva (e forse si teme!). Senza tener conto che quello ‘spirito’ trascende qualsiasi forma teo-logica e appartiene all’Universa-le. Esso è sempre in ogni Essere che si senta parte della Natura e del suo Creatore. Come lo si voglia chiamare, o dove esso si trovi, o alberghi, quali siano le sue leggi, i suoi disegni, fa par-te del mistero insondabile che

dalla notte dei tempi accompagna l’Uomo, più o meno serenamente, lungo il cammino della vita su que-sta Terra. Accanto alla necropoli di S. Cecilia, vi è un tempio rupestre, articolato su livelli diversi. Il mistero si fa palpabile; il respiro si ferma per un lungo istante, l’attimo è estatico. Osserviamo la struttura enigmatica, che poteva essere una sorta di san-tuario, forse dove si eseguivano riti sacri funerari. Salvatore l’ha ripulito negli ultimi tempi e si riesce a vedere un grosso masso lavorato, preceduto da un pilastro con un incavo, supe-

riormente. Sulla sinistra si trova un se-dile ricavato direttamente nella roccia, mentre a destra si individua un percorso che sale verso la piattaforma del masso, dove probabilmente si inerpicava un sa-cerdote. E’ tutto estremamente interes-sante e senza risposta.

Procedendo nel nostro cammino, in-contriamo un’altra, strabiliante abita-

di Marisa UbertiI misteri dei sacri boschi di bomarzo

Frammento Di pietra laVorata (appartenuta alla chiesa meDieVale?), necropoli Di s. cecilia

abitazione rupestre

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di Marisa UbertiI misteri dei sacri boschi di bomarzo

zione rupestre, di notevoli dimen-sioni, con delle buche negli stipiti, per alloggiarvi i pali lignei come chiusura dell’ingresso. Va ricordato che questi ripari furono riutilizzati sovente negli anni passati dai contadini e dai pasto-ri, per ricoverarvi gli armenti. Stando-vi dentro, osservandola e ascoltando con tutti i sensi, anche quelli più fini e sottili, nel silenzio del bosco, pare di percepire l’eco di un ricordo impreciso, labile, sfumato nel tempo. Forse qui stava rintanato uno sciamano, un asce-ta, cui la gente del posto si rivolgeva per la sua saggezza, o per procurarsi rimedi curativi, non sembra insomma una semplice abitazione rupestre, ma

qualcosa di più. Quando Salvatore pas-sò da questa zona, qualche anno fa, era completamente invisibile a causa dei rovi che l’avevano totalmente ingloba-ta. Una parete tufacea all’imboccatura della scalinata, intagliata nella roccia, ci conduce alla radura e da lì al terreno di Salvatore. la parete presenta, in alto, un riquadro incassato, una nicchia molto ben squadrata, ma a che periodo risale? Si ritiene che nel Medioevo vi potesse trovare posto qualche immagine sacra, di conforto al viandante che si trovava a percorrere questa strada. Salire i gradini intagliati nella roccia è ormai agevole, e prima di congedarci dal bosco, Salvato-re ci fa notare un’altra sepoltura antro-pomorfa, solitaria, intagliata nella viva roccia.

La ‘tagliata’ etrusca e le epigrafi latine

l’indomani, prendendo la ormai nota Via Cupa, a poca distanza dal terreno di Salvatore, ci addentriamo nella strada comunale delle Rocchette, la quale ricalca in alcuni tratti un’antica strada romana, attraversando un rado bosco di querce fino a quando la stradina precipita netta-mente in discesa. Siamo nei pressi di tre ‘tagliate’, ovvero di strade rupestri che si sviluppano in trincea, profondamente incassate, con pareti vertiginose ai lati di chi cammina. Da un ripiano roccioso che precipita su una di queste profonde tagliate, Salvatore ci mostra dall’alto il punto in cui è situata la ‘piramide’. Restia-mo incantati nel vedere una costruzione

sepoltura antropomorFa

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mistero

di Marisa UbertiI misteri dei sacri boschi di bomarzo

simile nel fitto dei boschi, e speriamo di arrivarvi presto; tuttavia la strada è ancora lunga...Costeggiamo il bordo del ripiano roccioso verso destra e imboc-chiamo la discesa della ‘tagliata delle rocchette’ (lunga 72 m e larga circa 2 m). Ci sentiamo piccolissimi: l’altezza della parete tufacea si aggira sui 20 m! Que-sta doveva essere una strada pedonale di notevole importanza, quale raccordo con la località sottostante, detta valle del Tacchiolo. A conferma del fatto che

q u e s t o luogo era usato in

epoca romana, rimane un’epigrafe la-tina sul bordo superiore della parete si-nistra, che recita TER (terminus, cioè ter-mine di confine) e, più a destra di questa e un poco più in alto, ITER PRIVATVM DVORVM DOMITIORVM (Strada Privata dei due Domizi). Chi ha studiato dette iscrizioni le ha classificate come romane, appartenenti al periodo alto imperiale (ca. 59-94 d. C.); esse dimostrano che questo passaggio era privato, di proprie-tà ‘dei due Domizi’, ovvero i fratelli Cn. Domitius lucanus e Cn. Domitius Tullus, che timbrano le tegole dei tipi C. I. l. XV 989.1, 1001 e 1010, di cui parlano Plinio

epiGraFi romane Dei ‘Due Domizi’

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tero

di Marisa UbertiI misteri dei sacri boschi di bomarzo

il giovane e Marziale. Un’altra iscrizione TER si localizza una cinquantina di me-tri più avanti, sulla medesima parete di tufo. Mentre un’altra ancora, per ora la terza che si conosca, è stata individua-ta da Salvatore. “Si tratta - dice il Fosci - di una mia recente scoperta, che non ha visto ancora nessuno ed è posizionata su una rupe a strapiombo che guarda in di-rezione della ‘piramide’. Arrivare a vedere quell’ iscrizione non è cosa facile, in quan-to fu posizionata in modo che nessuno la potesse vedere, quasi a nascondere quel termine e fino ad oggi nessuno l’aveva mai vista”. Altro mistero che il prosieguo del-la Ricerca tenterà si svelare. Dopo aver camminato a mezza costa nel fitto della vegetazione per una decina di minuti, la nostra solerte guida ci conduce ad una struttura che egli stesso ha ripulito e che oggi possiamo vedere libera da i rovi. Ma di cosa si trattava, in origine? Un antico altare? Un rifugio? Salvatore la definisce scherzosamente ‘pirami-dina’ e ci dice che ‘è in assetto’ con la piramide grande, ma bisognerebbe sa-perne di più... Scendiamo ancora e rag-giungiamo un viottolo da cui dovremo inerpicarci per raggiungere la ‘grande piramide’. la vegetazione si fa più fitta, sembra che il bosco si restringa e op-prima fisicamente il respiro. Salvatore ci tiene a mostrarci un’altra epigrafe su roccia tufacea (località Macinara), piut-tosto misteriosa. Essa consta, in realtà, di due scritte, una più lunga dell’altra e apparentemente composta da caratte-ri alfabetici distinti e forse cronologica-mente differenti. la scritta superiore è più spostata a destra di quella inferio-

re. la scritta è stata analizzata dal prof. Alvaro Caponi, il quale sostiene che “[... ] i caratteri arcaici in cui è vergata sono di difficile attribuzione, potendo appartene-re ad una di quelle lingue scritte non più comprensibili; una proto-lingua formata da caratteri greci, fenici ed etruschi, poi evoluta in una lingua distinta[...]. Noi riu-sciamo ad individuare una D, una T, una C, una Q, sembrano lettere sia maiusco-le che minuscole, ma senza un senso lo-gico, per noi profani. Sopra, lettere più piccole e forse anche dei numeri romani (I, II, l ?). Che cosa significano e chi ha in-ciso questa epigrafe? A che epoca risale?

scala intaGliata nella roccia

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Il mistero della genesi

Robert bauval con Thomas brophy

L’incredibile scoperta delle vere origini dei faraoni

DA mAggio 2011in LiBreriA

Da chi ha avuto origine la civiltà egizia?le popolazioni nere vivevano nel Sahara migliaia di anni prima

dell’ascesa dei faraoni e esse hanno costituito non solo la genesi delle antiche civiltà ma di tutta la storia umana

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tero “Omero nel Baltico”

di Felice Vinci

le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade

tempo di lettura 12 minuti

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GiuGno 2011 | n.0 85Runa Bianca

mistero

Il reale scenario dell’Iliade e dell’Odis-sea è identificabile non nel mar Me-diterraneo, dove dà adito ad innume-

revoli incongruenze (un clima sistematicamente freddo e perturbato, battaglie che proseguono durante la notte, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, fiumi che invertono il loro corso, il Peloponneso pianeggiante, isole e popoli intro-vabili...), ma nell’Europa settentrionale. le saghe che hanno dato origine ai due poemi proven-gono dal baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva una splendida età del bron-zo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia e Itaca; le portarono in gre-cia, in seguito al tracollo dell’Optimum climatico, i grandi navigatori che nel XVI secolo a.C. fonda-rono la civiltà micenea: essi ricostruirono nel Me-diterraneo il loro mondo originario, in cui si era-no svolte la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta.

già gli studiosi dell’antichità avevano notato che la geografia omerica presentava enormi in-congruenze rispetto alla realtà del mondo greco-mediterraneo. Ma la geografia omerica è stata motivo di perplessità anche in tempi molto più recenti, allorché la decifrazione della scrittura mi-

cenea, la cosiddetta “lineare b”, graffita sulle tavolette provenien-ti da Cnosso, Pilo e a Micene, ha permesso di confrontare il mon-do di cui esse erano espressione con la realtà descritta nei due po-emi. Ne è emersa, come rileva il prof. Moses Finley, “la completa mancanza di contatto tra la geo-grafia micenea come ora la cono-sciamo dalle tavolette e dall’ar-

di Felice Vinci

Felice VinciFelice Vinci è ingegnere nucle-are con la passione di Omero e della mitologia greca. Ha ini-ziato la sua ricerca sulla reale lo-calizzazione dell’Iliade e dell’O-dissea nel 1992. Negli anni è riuscito a trovare numerose coincidenze e tracce di un pas-sato nel nord Europa e ha rac-chiuso le sue scoperte nel libro “Omero nel baltico” che è stato aggiornato più volte e tradotto di molte lingue. Un documen-tario è stato trasmesso da Voya-ger nel 2008 girato in Finlandia e in Norvegia.

omero nel BalticoPalombi Editori, 2008

leggi scheda completa >>

“Omero nel baltico”

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cheologia, da una parte, ed i racconti omerici dall’altra”.

A questo fanno riscontro le eviden-ze archeologiche a favore della possi-bilità che la civiltà micenea abbia avu-to un’origine nor-dica: al riguardo, il prof. Martin P. Nilsson enumera vari significativi indizi, quali la presen-za, nelle più antiche tombe micenee, di grandi quantità di ambra baltica (che invece scarseggia sia nelle sepolture più recenti, sia in quelle minoiche a Creta), l’impronta prettamente nordica della loro architettura (il “megaron” miceneo “è identico alla sala degli antichi re scan-dinavi”), l’”impressionante somiglianza” di alcune lastre di pietra provenienti da una tomba di Dendra “con i menhir co-nosciuti dall’età del bronzo dell’Europa centrale”, i crani di tipo nordico trova-ti nella necropoli di kalkani e così via. D’altronde, arche-ologi come geof-frey bibby e filoso-fi come bertrand Russell considerano probabile il fatto che la civiltà mi-cenea abbia tratto origine dai “biondi invasori nordici che

portavano con loro la lingua gre-ca” (Russell).

A sua volta il prof. klavs Ran-dsborg mette in rilievo che certi reperti dell’ar-cheologia scan-dinava, ed in par-ticolare le figure incise sulle lastre del tumulo di ki-

vik, nella Svezia meridionale, presen-tano rimarchevoli affinità con i modelli dell’arte egea, al punto da indurre qual-che studioso del passato a ipotizzare che quel monumento fosse opera dei Feni-ci. Ed un altro significativo indizio della presenza degli Achei nel nord dell’Euro-pa, attorno all’inizio del II millennio a.C., è costituito da un graffito di tipo mice-

di Felice Vinci“Omero nel baltico”

tumulo Di kiVik nella sVezia meriDionale

particolare Della FiGura Di un cocchio su una Delle lastre presenti nel tumulo Di kiVik

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GiuGno 2011 | n.0 87Runa Bianca

mistero

neo ritrovato nel complesso megalitico di Stonehenge, nell’Inghilterra meridio-nale, insieme con altre tracce, riscontra-te dagli archeologi sempre nella stessa area (“cultura del wessex”), di epoca probabilmente precedente all’inizio del-la civiltà micenea in grecia.

Insomma, gli studi portati avanti sulla civiltà micenea e sulle sue origini, quali emergono dall’archeologia e dalla deci-frazione dei testi riportati sulle tavolet-te, lungi dal chiarire i suoi rapporti con

i due poemi, hanno fatto emergere un quadro complesso, in cui coesistono le divergenze, non soltanto geografiche, tra il mondo miceneo e quello omerico, le corrispondenze di quest’ultimo con l’Europa barbarica dell’età del bronzo (sottolineate con forza dal Prof. Stuart Piggott, grande accademico ed archeo-logo inglese) ed una serie di indizi sull’o-rigine nordica dei Micenei, a cui fanno riscontro le singolari analogie tra reperti nordici e mediterranei della stessa epo-

ca.A questo punto, un modo

per far “quadrare i conti” po-trebbe essere quello di intro-durre un ulteriore tassello: la verifica dell’eventuale coinci-denza della geografia omeri-ca, così problematica rispet-to al contesto mediterraneo, con quel mondo nordico da cui potrebbero essere discesi i Micenei allorché si stabiliro-no in grecia. Si tratta di una prospettiva che se da un lato è una conseguenza logica del quadro sopra delineato, dall’altro potrebbe consen-tire a tutti i pezzi sparsi del puzzle di trovare una collo-cazione logica in una visione d’insieme finalmente chiara e coerente.

Un primo indizio in favo-re di tale ipotesi si riscontra nella meteorologia dei due

poemi: nel mondo cantato da Omero effettivamente si avvertono le asprezze tipiche

di Felice Vinci“Omero nel baltico”

il monDo Di omero e Della mitoloGia Greca lunGo il baltico all’inizio Del ii millennio a.c., ricostruito attraVerso le in-Dicazioni GeoGraFiche Fornite Dall’iliaDe e Dall’oDissea

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88 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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dei climi nordici. Sui combattenti nel-la pianura di Troia cala spesso una “fitta nebbia” ed il mare di Ulisse non è quello splendente delle isole greche, ma appa-re spesso “livido” e “brumoso”; dovun-que si riscontra un clima tutt’altro che mediterraneo, con nebbia, vento, fred-do, pioggia, neve – quest’ultima anche in pianura e perfino sul mare – mentre il sole, e soprattutto il caldo, sono presso-ché assenti. In quello che, secondo la tra-dizione, dovrebbe essere un torrido bas-sopiano dell’Anatolia, il tempo è quasi sempre perturbato, al punto che i com-battenti, ricoperti di bronzo, arrivano addirittura a invocare il sereno durante la battaglia. D’altronde, a tale contesto è perfettamente adeguato l’abbigliamen-to dei personaggi omerici, tunica e “fol-to mantello”, che non lasciano mai, nep-pure durante i banchetti: esso trova un preciso riscontro nei resti di abiti ritrovati nelle tombe da-nesi dell’età del bronzo.

Inoltre, in tale pro-spettiva si spiega an-che la macroscopica anomalia della grande battaglia che occupa i libri centrali dell’Iliade, con due mezzogiorni e una notte interposta, durante la quale i com-battimenti non s’inter-rompono per il buio, cosa incomprensibile nel mondo mediterra-neo: potrebbe invece essere stato il chiarore notturno tipico delle

alte latitudini nei giorni attorno al sol-stizio estivo a far sì che le truppe fresche guidate da Patroclo, entrate in battaglia poco prima del calare di una “notte fu-nesta”, continuassero a combattere fino al giorno successivo, senza un attimo di tregua. Questa chiave di lettura consen-tirebbe di ricostruire tutto lo svolgimen-to della battaglia in modo perfettamen-te logico e coerente, senza le perplessità e le forzature delle attuali interpretazio-ni.

Ed un ulteriore indizio della possibi-le collocazione nordica della geografia omerica, che costituisce anche la chiave per entrare nel mondo dei due poemi, ce lo fornisce lo scrittore greco Plutarco, il quale in una sua opera, il De facie quae in orbe lunae apparet, fa un’affermazio-ne sorprendente: l’isola Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a lungo Ulisse pri-

il monte hoGoyGGj in un’isola Delle Faroer (l’isola oGiGia)

di Felice Vinci“Omero nel baltico”

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mistero

ma di consentirgli il ritorno ad Itaca, era situata nell’Atlantico del nord, “a cinque giorni di navigazione dalla britannia”.

Partendo da questa indicazione e se-guendo la rotta verso est, indicata nel V libro dell’Odissea, percorsa da Ulisse dopo la sua partenza dall’isola (identifi-cabile con una delle Färöer, tra le quali si riscontra un nome curiosamente “gre-cheggiante”: Mykines), si riesce subito a localizzare la terra dei Feaci, la Scheria, sulla costa meridionale della Norvegia, in un’area in cui abbondano i reperti dell’età del bronzo. Non solo: da un lato Ulisse nel suo approdo è aiutato dall’in-versione della corrente del fiume, evi-dentemente dovuta all’alta marea – fe-nomeno comune nei mari nordici, ma pressoché sconosciuto nel Mediterraneo – dall’altro nell’antico nordico “skerja” significava “scoglio”. Successivamente, partendo da qui, è possibile localizza-

re una piccola isola danese, chiamata lyø, la quale combacia perfettamente con l’Itaca omerica, sia per la topografia che per la posizione geografica rispetto alle isole vicine (tra le quali langeland, l’”isola lunga”, corrisponde alla misterio-sa Dulichio omerica, introvabile nel Me-diterraneo). Invece l’Itaca del Mar Ionio non ha nulla a che vedere, né per la po-sizione geografica né per la topografia, con la patria di Ulisse, descritta da Ome-ro in ogni dettaglio.

A questo punto, in un’area ben delimi-tata nel sud della Finlandia si ritrovano numerosissimi toponimi che ricordano i nomi degli alleati dei troiani (Askainen, Reso, karjaa e tanti altri) ed un villag-gio, Toija, il cui territorio coincide esat-tamente con la descrizione omerica di Troia (mentre il sito anatolico trovato da Schliemann all’imbocco dei Dardanelli, corrispondente alla Troia greco-romana, dà adito a molte riserve, di cui era al cor-rente anche l’antico geografo greco Stra-

bone). Addirittura, verso il mare si trova il sito di Aijala, corrispondente alla “spiag-gia”, “aigialos” in greco, dove gli Achei sbarcarono e co-struirono il loro campo for-tificato, mentre verso l’in-terno i toponimi “Tanttala” e “Sipilä” ricordano nomi ben noti della mitologia greca. Ciò coincide col fatto che, secondo Omero, Enea dopo la guerra di Troia non partì per l’Italia (come avrebbe poi affermato Virgilio con la tendenziosa ricostruzio-

di Felice Vinci“Omero nel baltico”

un antico tumulo Vicino al VillaGGio toija

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ne dell’Eneide, mirante a ricondurre l’origine della famiglia dell’imperatore Augusto alla linea dinastica dell’eroe troiano), ma fu il successore del vecchio re Priamo: insomma dopo l’incendio e il saccheggio da parte degli Achei la città fu ricostruita, come d’altronde di norma accade in questi casi. E forse dal nome di Enea, che secondo Omero fu il caposti-pite di una lunga dinastia, deriva quello di “Aeningia”, attestato da Plinio, con cui i Romani conoscevano la Finlandia me-ridionale.

Nel contempo, la scansione del “Cata-logo delle navi” dell’Iliade trova una se-rie di straordinari riscontri lungo le coste del baltico, a partire dalla Svezia, dove nel II millennio a.C., in un contesto cli-matico molto più favorevole di quello at-tuale, fioriva l’età del bronzo. E’ così pos-sibile ricostruire integralmente il mondo descritto da Omero (Tebe, Atene, Tirinto, Aulide, lemno, Samotracia, Chio, l’Eu-bea, Creta, Naxos...) – cioè quello dell’età del bronzo nordica, che in effetti nel secondo millennio A.C. ebbe una grande fioritura – elimi-nando tutte le incongruenze della tradizionale ambienta-zione mediterranea, quali il “Peloponneso” pianeggian-te (che in realtà corrisponde alla grande isola danese di Sjaelland) o la prosecuzione notturna della più lunga bat-taglia dell’Iliade, spiegabile soltanto con la notte chiara delle alte latitudini attorno al solstizio estivo. Inoltre, in tale contesto settentrionale sono

localizzabili anche le avventure di Ulis-se, le quali trovano precisi riscontri lun-go le coste e le isole del Mar di Norvegia, attraversato da un ramo della Corrente del golfo, il “fiume Oceano” della mito-logia.

Si delinea in tal modo una prospettiva del tutto nuova riguardo sia all’ambien-tazione degli avvenimenti narrati nei poemi omerici, sia all’origine della stes-sa civiltà greca: le saghe che hanno dato origine all’Iliade e all’Odissea provengo-no dal nord dell’Europa; le portarono a sud i biondi navigatori che nel XVI secolo a.C., in seguito al tracollo dell’”optimum climatico”, migrarono in grecia (pre-sumibilmente scendendo per i grandi fiumi russi, quali il Dniepr, come avreb-bero fatto millenni dopo i Vichinghi, la cui civiltà ha molti punti di contatto con quella descritta da Omero) e fondarono la civiltà micenea. Essi poi ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo origina-rio, in cui si erano svolte le vicende rac-

di Felice Vinci“Omero nel baltico”

il Fiume Finnico corrispettiVo Dell’omerico scamanDro

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mistero

contate dalla mitologia greca. Quest’ultima dunque rappresenta il ri-

cordo, trasmesso attraverso i secoli dagli aedi alle civiltà successive, delle vicende che a suo tempo si erano svolte nella perduta patria “iperborea” (a cui in effet-ti i greci classici continuavano a sentirsi legati, come ci attestano vari Autori). Ciò altresì consente di spiegare il fatto, nota-to dagli studiosi, che il mondo omerico appare più primitivo di quello miceneo (mentre sotto molti aspetti risulta simile a quello vichin-go, a dispetto dell’abisso tem-porale tra que-ste due civiltà): evidentemente i contatti che i migratori achei, navigatori e commercianti, dopo la discesa dal nord intra-presero con le raffinate civiltà mediterranee ne favorirono una rapida evoluzione.

la localizzazione baltico-scandinava del primitivo mondo acheo trova confer-ma nel tracollo dell’”optimum climatico” in tale area, avvenuto verso l’inizio del II millennio a.C., dopo un lunghissimo periodo di clima nettamente più mite di quello attuale, che si era protratto all’in-circa dal 5500 al 2000 A.C.: ecco dunque la probabile ragione che spinse i vari po-

poli indoeuropei a spostarsi dalle loro sedi originarie. Non a caso, le loro migra-zioni ebbero tutte luogo in un periodo compreso tra il XVIII ed il XVI secolo a.C., allorchè i Micenei scesero in grecia, gli Arii in India, gli Hittiti in Anatolia, i Cassi-ti in in Mesopotamia, gli Hyksos (che se-condo recenti studi sarebbero indoeu-ropei) in Egitto, i Tocari in Turkestan ecc. D’altronde, già alla fine dell’Ottocento il colto bramino indiano b.g. Tilak aveva

ipotizzato l’o-rigine artica degli antichi Arii – “cugini” degli Achei omerici non-ché parlanti una lingua molto affine, simile all’at-tuale lituano – basando-si sull’antico c a l e n d a r i o vedico, che p r e v e d e v a un periodo di sole continuo

ed uno di notte perenne, inter-

vallato da “albe rotanti”: sono le “danze dell’alba” della mitologia indiana, a cui anche Omero accenna a proposito dell’i-sola di Circe: qui in effetti avvengono anche altri fenomeni che sembrano allu-dere ad una collocazione estremamente settentrionale, al di sopra del circolo po-lare artico.

Ciò d’altronde si può inquadrare nel-

di Felice Vinci“Omero nel baltico”

cariDDi in una mappa meDieVale Del norD europa

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la nuova situazione introdotta nella cronologia tradizionale dalla datazione col radiocarbonio corretta con la den-drocronologia (la calibrazione con gli anelli annuali degli alberi). Al riguardo, il prof. Colin Renfrew afferma che “si verifica tutta una serie di rovescia-menti allarman-ti nelle relazioni cronologiche. le tombe megaliti-che dell’Europa occidentale di-ventano ora più antiche delle pira-midi o delle tom-be circolari di Cre-ta, ritenute loro antecedenti; (…) in Inghilterra, la struttura definiti-va di Stonehenge, che si riteneva fos-se stata ispirata da maestranze micenee, fu completata molto prima dell’inizio della civiltà micenea”.

Infine, una straordinaria, e recentissi-ma, conferma archeologica alla presen-te teoria ci viene dal cosiddetto “disco di Nebra” (un villaggio situato 50 km ad ovest di lipsia, nella germania orientale) e delle spade, di tipo miceneo, ritrovate nello stesso sito. Il disco di Nebra è un manufatto in bronzo datato al 1600 a.C., circolare (diametro 32 cm) con riportati sole, luna e stelle (tra cui si distinguono le sette Pleiadi). Esso è il perfetto pen-dant dei versi del XVIII libro dell’Iliade in

cui Omero illustra le decorazioni astro-nomiche fatte dal dio fabbro Efesto sul-lo strato in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: “Vi fece la terra, il cielo e il mare,/ l’infaticabile sole e la luna pie-na,/ e tutti quanti i segni che incoronano

il cielo,/ le Pleiadi, le Iadi, la forza d’O-rione/ e l’Orsa...”. I reperti di Nebra in-somma mostrano lo stretto rapporto, per così dire “trian-golare”, che, attra-verso l’archeologia, si può stabilire tra il mondo nordico della prima età del bronzo, quello mi-ceneo (le spade) e quello omerico (lo scudo).

Ciò d’altronde è perfettamente in li-nea con quanto af-

ferma il prof. Piggott nel suo Europa Antica: “la

nobiltà degli esametri [di Omero] non dovrebbe trarci in inganno inducendo-ci a pensare che l’Iliade e l’Odissea siano qualcosa di diverso dai poemi di un’Eu-ropa in gran parte barbarica dell’Età del bronzo o della prima Età del Ferro. ‘Non c’è sangue minoico o asiatico nelle vene delle muse greche... esse si collocano lontano dal mondo cretese-miceneo e a contatto con gli elementi europei di cultura e di lingua greche’, rilevava Rhys Carpenter; ‘alle spalle della grecia mice-nea... si stende l’Europa’”.

di Felice Vinci“Omero nel baltico”

elmo Danese Dell’età Del bronzo

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La Toscana dei misteri

Enrico baccarini

gli enigmi e i misteri più affascinanti della toscanaUn tuffo nel passato, una ricerca tra le pagine del tempo attraverso le millenarie leggende che la regione nasconde, alla scoperta di un

territorio che deve ancora svelare molte delle sue arcane conoscenze

in LiBreriA

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tero Costantino Cattoi

di Enrico baccarini

Tra UFO e antiche civiltà

tempo di lettura 7 minuti

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mistero

I misteri delle Vie Cave non sono gli unici che sembrano segnare i luoghi della Toscana. Una sottile linea ha, negli ultimi cento anni,

delineato uno scenario diverso quanto enigmati-co entro cui poter riscoprire questa terra e le sue radici. Tra coloro che maggiormente cercarono risposte all’intricato puzzle toscano troviamo il Colonnello Costantino Cattoi, famoso aviatore ed eroe pluridecorato dell’aviazione italiana nel secondo conflitto bellico mondiale. Nel 1930 vie-ne assegnato al comando e all’aeroporto militare baccarini di grosseto, ben presto però un incon-tro segnerà la sua vita e il suo destino di uomo e studioso.

Nel grossetano l’eroe dell’aviazione conoscerà Maria Domenica Mataloni, una giovane ragazza di cui si innamorerà e che, successivamente, gli donerà due figlie giovanna Atlantina (!) nel 1932 e Maria Pia nel 1938. la giovane moglie non fu una donna qualunque, una grande sensibilità era il dono che fin da piccola l’aveva contraddistin-ta, un sesto senso che ben presto Cattoi iniziò a conoscere e ad apprezzare. Comprendendo le straordinarie facoltà della moglie il giovane asso dell’aviazione lascerà la carriera militare per fon-dare assieme a Maria la Società Radiogeotenica di grosseto per le ricerche idriche, minerarie e archeologiche nel sottosuolo. Cattoi non era un semplice aviatore, nel corso delle sue trasvolate aveva avuto modo, più volte, di identificare in vari

siti italiani strane costruzioni ab-bandonate o sepolte dalla bosca-glia, questa sua qualità ed acume erano diventate tanto note che il vate e amico gabriele d’An-nunzio lo aveva ribattezzato, nel ’39, con l’appellativo “Costantin dall’ala occhiuta” mentre il mon-do dell’archeologia misteriosa lo conoscerà come il “Cercatore di

di Enrico baccarini

enrico baccarinigiornalista, pubblicista e scrit-tore, ha compiuto studi univer-sitari di indirizzo psicologico e antropologico. E’ stato membro fondatore del Comitato Interdi-sciplinare per le Ricerce Proto-storiche e Tradizionali (CIRPET) e co-fondatore della rivista as-sociata Archeomisteri, I Qua-derni di Atlantide. Dal 1989 al 2009 è stato membro del Cen-tro Ufologico Nazionale (CUN) con incarichi direttivi. Ha colla-borato con Notiziaio UFO per l’Editoriale Olimpia di Firenze, con Ufo Notiziario per la Acacia Edizioni, Archeomisteri, gli spe-ciali dei misteri, HERA e i Misteri di HERA, SECRETA, nonché in di-verse altre testate di settore.

La toscana dei misterizona, 2010

leggi scheda completa >>

Costantino Cattoi, tra UFO e antiche civiltà

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giganti”. Oltre a diversi rilevamen-ti effettuati lungo le Alpi Apua-ne, Cattoi aveva fatto convergere buona parte delle proprie risorse, e future spedizioni, sul versante dell’Argentario e dell’Ansedonia e pose la propria base abitativa ad Orbetello. Qui, nascosto dal tem-po, si trova un mundus subterra-neus che grazie alle doti della mo-glie Maria sembrerà lentamente disvelarsi e riemergere ai suoi oc-chi. Continuando le proprie ricer-che nel campo dell’archeologica e nello studio della storia delle origini dei popoli italici, Cattoi lo-

calizza l’antica città di Cosa presso la

costa maremmana, fotografa quella che diventerà nota come la Sfinge di Cosa, sull’Argentario, e identificherà numero-antiche terre emerse

carta Della presunta tirreniDe realizzata Dall’orientali-sta teDesco heinrich-julius Von klaproth (1783-1835)

di Enrico baccariniCostantino Cattoi, tra UFO e antiche civiltà

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GiuGno 2011 | n.0 97Runa Bianca

mistero

se sculture rupestri nell’Ansedonia.A ulteriore conferma delle sue ipo-

tesi Cattoi riesce a localizzare nel Mar Tirreno alcune citta’ sommerse, che sa-rebbero da annoverare tra le propaggini di quell’antico continente che avrebbe dato successivamente vita alla civiltà’ megalitica che il Colonnello chiamò “la civilita’ degli eredi di Atlantide”. Nella sua ipotesi si trattò di un popolo che dall’Ir-landa a Stonehenge, dalla Spagna sino all’Egitto ha lasciato ai posteri innume-revoli tracce sopravvissute fino ai gior-ni nostri. la nostra Italia, in particolar modo Toscana, liguria e lazio sarebbe-ro stati tra i luoghi ove quell’antichissi-ma cultura si sarebbe maggiormente manifestata.

Cattoi nelle sue ricerche ricevette l’in-dispensabile aiuto di due importanti

studiosi del periodo, il Dr. F. Martinel-li, un collega di penna che lo consigliò e coadiuvò nelle sue ricerche tra il ’55 e il ’60 e il ricercatore americano geor-ge Hunt willamson (che era in realtà il Principe Dobrenovich), trasferitosi in Perù per studiare affondo la misteriosa città di Tiuhanaco, e non solo… Il perio-do che sottende il decennio tra i ‘50 e i primordi degli anni’60, rappresenta per il Cattoi l’apice delle sue aspirazioni di uomo e studioso. Oltre ai citati Marti-nelli e wiliamson, quest’ultimo giunto in Italia per confermare gli studi di Cattoi e produrre interessantissime correlazio-ni, il Colonnello intratterrà scambi con i massimi studiosi del periodo. Come non ricordare le sue conversazioni con lo studioso Daniel Ruzo, grande esote-rista, conoscitore dei misteri sud-ameri-cani, esploratore peruviano e scopritore dei misteriosi volti nella pietra di Mar-chahuasi. williamson stesso paragone-rà le sculture rupestri dell’Ansedonia a quelle scoperte da Daniel Ruzo in Sud America, creando un incredibile colle-gamento tra due civiltà tanto distanti quanto affini. Pur non essendo stato a Carrara e sulle Apuane, williamson indi-cherà anche a

Cattoi e Martinelli una interessante etimologia per la catena delle Apua-ne che viene fatta derivare dal termine Apu-an.

Attraverso i testi di wilhem wanscher questa catena viene letta come “Il Sole alato ritorna”, ad indicare un possibile antico collegamento con divinità ce-lesti, o extraterrestri come le definiva Cattoi, apportatrici di conoscenza e sa-

il colonnello cattoi con pierluiGi iGhina

di Enrico baccariniCostantino Cattoi, tra UFO e antiche civiltà

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pienza. Ai tempi odierni, come in quelli del Colonnello Cattoi, sono numerosi gli studiosi del settore definito ‘Archeologia misteriosa’, o proibita a sostenere una singolare ipotesi che vede nella peniso-la italica la sede, o un centro importante, di una civiltà che diede origine a scul-ture rupestri di dimensioni gigantesche nonché di una remotissima civiltà oggi totalmente scomparsa e dimenticata.

Ma chi erano, da dove venivano e che cosa hanno fatto esattamente quel-le antichissime popolazioni? l’ipotesi cardine su cui poggia il lavoro di Co-stantino Cattoi è quella che, sempre negli anni ’30, era stata propria di un altro studioso solitario e indipenden-te, il medico Evelino leonardi. Tale ipo-tesi è riassunta nella teoria di un’ “At-lantide Tirrenica” di cui avrebbero fatto parte, tra l’altro, il monte Circeo, gae-ta, le Isole Pontine, ma che si sarebbe estesa fino alla Toscana Settentrionale ipotesi poi ripresa, per lo meno in par-te, alla fine degli anni Sessanta da Pier Paolo Cavallin nel suo saggio “L’Atlanti-de fu la Tirrenide”. Queste terre sarebbero quindi state propaggini, emanazioni o colonie del mitico continente descritto da Platone. Tra i suoi principali sosteni-tori vi fu, nel primo 800, anche un serissi-mo studioso tedesco, Einrich julius von klaproth, tra i padri dell’orientalismo e dell’indoeuropeistica moderne. lo stes-so giorgio Almirante, nella rivista “la Di-fesa della Razza”, nel quadro di un’ampia inchiesta su “l’Uomo Sardo” e sulla Sar-degna intervistava il prof. luigi Castaldi, antropologo che affermava “La Tirrenide, se esistette, dovette scomparire nei gorghi

durante il miocene o forse durò anche nel pliocene fino all’età quaternaria. L’uomo sardo, che secondo alcuni – come Arturo Issel – sarebbe comparso nell’età terzia-ria, deve essere in realtà apparso ancora più tardi. Il progenitore nostro più antico, l’Homo heidelberghensis, visse nel paleoli-tico pleistocene, cioè 550 o 600 mila anni fa. La Tirrenide, allora, era già sommersa”. Ipotesi sconcertanti ma quantomeno suggestive.

tirrenide o Atlantide?

Il tutto sembra ulteriormente colle-garsi, attraverso studi oggi condotti sui Nuraghi e sul popolo degli Shardana, con il mito della nascita della Sardegna. Secondo la più antica delle leggende millenni fa, agli albori della vita sul no-stro pianeta, sarebbe esistito un con-tinente chiamato TIRRENIDE. Improv-visamente, per motivi inspiegabili, l’ira

una mappa moDerna Della tirreniDe

di Enrico baccariniCostantino Cattoi, tra UFO e antiche civiltà

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mistero

divina si sarebbe scagliata su di essa. Il suolo cominciò ad agitarsi, scosso da ter-ribili sussulti; il mare fu sconvolto da una furia terribile. le onde sarebbero state talmente alte quasi da toccare il cielo. Sfortunatamente questo diluvio di inu-mana potenza si abbatté sulla Tirrenide in modo rovinoso, scuotendo le coste e invadendo le fertili pianure. la leggenda narra che le onde, come se questo non bastasse, si alzarono tanto da arrivare a coprire le ridenti colline, ed ancora di più fino a coprire le più alte vette. la Tirrenide stava per inabissarsi del tutto

finché la divinità, im-provvisamente, placò la propria collera. “Oh terra infelice! A quale sterminio ha portato la mia collera!” avreb-be esclamato il dio pentito.

laddove una pic-cola parte di terra emersa sopravviveva ancora, vi pose sopra un piede e riuscì a trattenerla prima che il mare la inghiottisse completamente. Fu così che della grande Tirrenide sarebbe ri-masta quell’impronta solitaria in mezzo alla grande distesa d’ac-qua. Dapprima prese

il nome di ICHNUSA, che significa ap-punto “orma di piede” e in seguito SAR-DEgNA, da SARDUS, eroe bérbero, venu-to dall’Africa. Il mito platonico potrebbe quindi avere una possibile origine nelle nostre terre, o quantomeno, secondo le ipotesi oggi predominanti la stessa Toscana avrebbe potuto ospitare colo-nie di quel mitico continente descritto da Platone e successivamente distrutte come descritto nei suoi Timeo e Crizia.

Comunque la si voglia vedere tanto le leggende quanto i riscontri e ritrova-menti archeologici potrebbero testimo-niarci tale possibilità, non parlando delle misteriose mura megalitiche che ancora oggi sono visibili in buona parte dell’al-to lazio.

un articolo De la nazione Dell’aGosto Dell’58 in cui GeorGe h. Williamson perlustra l’arGen-tario nei luoGhi stuDiati Dal colonnello cattoi

di Enrico baccariniCostantino Cattoi, tra UFO e antiche civiltà

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tero I misteri di Saliceto

di luigi bavagnoli e Margherita guccione

Tesori nascosti, gallerie misteriose, camere segrete, simboli esoterici da decifrare...

tempo di lettura 8 minuti

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mistero

Molte sono le storie di tesori nascosti, di gallerie misteriose, di camere se-grete, di simboli esoterici da decifra-

re. Si tratta di elementi ricorrenti in molte leggen-de e, per certi versi, diffusi capillarmente su tutto il territorio nazionale.

Eppure esiste un paese reale in grado di amal-gamare tutte queste situazioni. E’ Saliceto, in pro-vincia di Cuneo.

Sorto sul colle detto anticamente “della Mar-gherita” e diviso in due borghi, borgovero e bor-goforte, lasciò poi la scena al borgonuovo edifi-cato a fondovalle e fortificato con mura e torri già nel XV secolo.

I primi due insediamenti furono probabilmen-te distrutti dai saraceni, e proprio da questa epo-ca si eredita la prima leggenda che affrontiamo.

Nel XI secolo morì Abdul Amin, principe sara-ceno che si era insediato sulle colline fuori Salice-to creando il suo alcazar (1) ed arricchendosi gra-zie alle scorrerie perpetrate ai danni dai villaggi e delle abbazie limitrofe.

Egli decise di far seppellire con se tutte le sue ricchezze e, per questa ragione, convocò i migliori

di luigi bavagnoli e Margherita guccione

Luigi BavagnoLiSpeleologo ed esploratore, presidente dell’associazione speleo-archeologica TE.S.E.S. (www.teses.net), da lui fondata nel 1996. E’ stato co-fondatore e consigliere della Federazione Nazionale Cavità Artificiali fino al 2008. Appassionato di storia, archeologia, geologia, folklore ed esoterismo tiene anche nu-merose conferenze sulle ricer-

che, e le scoper-te effettuate.

M a r g h e r i ta guccionegrande ap-passionata di archeologia e

materie storico-artistiche, con studi beni Culturali. Nel 2010 entra a far parte dell’associazio-ne T.E.S.E.S. come responsabile delle ricerche storiche e cultu-rali e come esploratrice. grazie all’esperienza di esplorazione promuove la tutela e la valoriz-zazione del patrimonio artistico ed archeologico italiano.

I misteri di Saliceto

Fase Dell’esplorazione Del pozzo Del castello

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orafi di Piemonte e liguria. Fece realizzare, con una parte dell’oro a sua disposizione, la sua statua in oro pieno a grandezza natu-rale. Secondo altri, dal momento che giunse in Italia via mare, deci-se di far creare un vascello, in oro massiccio, in ricordo del viaggio che gli portò fortuna. In parallelo un gran numero di schiavi avreb-be scavato nel ventre di una collina una camera sotterranea, all’interno della quale furono poi portati gli scrigni contenenti il suo tesoro.

Al fine di mantenere segreta l’ubicazione del suo sepolcro, fu-rono uccisi tutti gli schiavi che avevano partecipato alla sua realizzazione. I loro corpi sarebbero poi stati gettati in una fossa comune poco distante.

I cavalieri a lui più fedeli trasportaro-no la sua salma all’interno della sua tom-ba, fecero franare l’accesso e piantarono delle querce per cancellare le tracce dei lavori e rendere il luogo irriconoscibile.

Alcuni ricercatori ipotizzano che il se-polcro non venne scavato nella collina, ma sotto al letto del bormida, fatto de-viare appositamente per l’occasione e poi ricondotto al suo percorso naturale.

Allo stato attuale delle indagini, in at-tesa di ritrovare fonti di prima mano con un grado di attendibilità più elevato del-le attuali, non possiamo far altro che ri-portare la leggenda, così come è giunta fino a noi.

Ci permettano i lettori una sola con-siderazione: l’eventuale scavo doveva essere realizzato con la massima discre-

zione possibile, in un luogo poco fre-quentato e lontano da occhi indiscreti, per mantenere la segretezza sulla sua posizione. Deviare un corso d’acqua po-teva non passare così inosservato.

Negli anni molti abitanti della zona hanno cercato qualche traccia di questa tomba, ritrovando però un numero no-tevole di strane gallerie, ipotizzando che potessero essere state realizzate per de-pistare eventuali ricercatori e sperando che una di queste potesse condurre al sepolcro nascosto. Molti tratti di queste cavità artificiali sono ancora percorribili e spesso rinforzate da rivestimenti mu-rari a secco realizzati con materiale lapi-deo.

Sono ricorrenti due elementi, comu-ni nella maggior parte di queste opere ipogee: l’ampiezza della loro sezione, che consente il comodo passaggio di una persona adulta, e la presenza, più o meno abbondante, di acqua al loro in-terno.

la nicchia sotto il liVello Dell’acqua nel pozzo Del castello

di luigi bavagnoli e Margherita guccioneI misteri di Saliceto

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mistero

l’ipotesi più accreditata è che si trat-ti di opere idrauliche poiché alcune di queste gallerie intercettano sorgenti d’acqua direttamente da alcuni grotti-ni naturali. Una di queste, in particola-re, presenta recenti piscine limarie (2) a conferma del suo impiego come opera di captazione, di presa e di trasporto delle acque.

Nel XII secolo la località mutò nome: il colle “della Margherita” divenne il colle “della Rosa”, lasciando supporre a molti storici una marcata influenza templare (3), considerando anche la potente ed enigmatica figura dei marchesi Del Car-retto.

di luigi bavagnoli e Margherita guccioneI misteri di Saliceto

una Delle numerose Gallerie Delle colline

altra lunGa Galleria misteriosa

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Fu il cardinale Carlo Do-menico Del Carretto a volere l’edificazione della splendida chiesa rinascimentale, intitola-ta a San lorenzo, che possiamo considerare, con parole dello storico guido Araldo, “un libro di pietra ancora da leggere”.

la sua facciata, ma anche il suo interno, presenta una gran quantità di simbologie esoteri-che ed alchemiche, rappresen-tanti figure che non dovreb-bero trovarsi su di una chiesa cristiana.

Questi bassorilievi raffigura-no anche sirene dai seni scoperti e dalle doppie code, salamandre, l’araba feni-ce, il pellicano che nutre i piccoli con il proprio sangue.

Va ricordato che Carlo Domenico era molto amico di Papa giulio II e del re di Francia luigi XII, che molto proba-bilmente conobbe leonardo da Vinci e

che fu fratello maggiore di Fabrizio, gran maestro dei Cavalieri di Rodi.

E’ infatti sulla sua facciata, in cima alla lesena di destra, che troviamo un possi-bile bafometto (4) ed un possibile per-corso alchemico, dove l’acqua è rappre-

sentata da anfore e dalla rana alata, il fuoco dalle salamandre e dalle torce accese, la terra dal-le tartarughe e dai melograni e l’aria da uccelli e grifoni.

Compare anche un possibile Ermete Trismegisto, un athanor (5), vari simboli contrapposti dal tipico dualismo templare, e così via. Venne fatta costruire pro-prio sulle fondamenta dell’anti-ca pieve di Santa Maria, la quale, stando a recenti scavi, risulta di-sassata di circa 60° rispetto alla navata attuale.

le pietre di questa chiesa rappresen-ermete trismeGisto

presunto baFometto sulla chiesa Di san lorenzo

di luigi bavagnoli e Margherita guccioneI misteri di Saliceto

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mistero

tano ancora oggi un enigma che va studiato e forse messo anche in corre-lazione con un’altra scultura: una pietra rinvenuta casualmente sull’architrave di una casa del centro storico. Vi è scolpi-to lo stemma dei marchesi Del Carretto sormontato da un curioso manico di for-ma triangolare e da due martelli ai lati. Per alcuni storici e ricercatori locali po-trebbe trattarsi di una testimonianza dei Francs-Maçons. la pietra è stata rinve-nuta durante alcuni restauri, in quanto inglobata nella muratura con il rilievo ri-volto all’interno e quindi invisibile. Oggi è stata voltata ed è possibile ammirarla.

Anche al suo interno la chiesa custo-disce interessanti enigmi. Di recente è stato riconsegnato un dipinto, rimasto per anni lontano dalla chiesa per moti-vi di restauro. Chi scrive ha avuto la for-tuna di essere tra i primi ad osservarlo ed ha potuto notare elementi sfuggiti

ad altri. Il dipinto mostra la Vergine du-rante l’Annunciazione, ma la curiosità è un teschio presente nella parte inferiore della tela.

Questo teschio ad un primo esame sembra non essere umano, la mascella è allungata, così come i denti e la cavità nasale è più ampia della norma. Ricorda un primate, forse un australopiteco. Non solo, sulla tempia in vista pare esserci un grande foro o una concavità che può dare spazio a numerose interpretazioni.

Anche il castello di Saliceto, che con-serva ancora pregevoli affreschi trecen-teschi e alcuni motivi decorativi medie-vali mescolati a volte gotiche, nasconde un segreto. Tra le sue mura, nei sotter-ranei, sarebbe celata una camera se-greta. In questa stanza, nel XVI secolo, si sarebbero ritrovati di nascosto alcuni nobili delle langhe per tramare contro la dominazione spagnola di Filippo II, or-

ganizzati dal conte di Millesimo, Ottaviano Del Carretto.

Dai documenti rin-venuti negli archivi storici, tra cui gli atti del processo intenta-to a Milano contro il conte di Millesimo, si apprende della sua esistenza. Dalla ri-costruzione dei dati sembrerebbe che questa camera potes-se trovarsi sotto alla “grande cisterna”, ri-tenuta da tutti scom-

parsa in seguito alla ripavimen-

di luigi bavagnoli e Margherita guccioneI misteri di Saliceto

DettaGlio Del Dipinto Dell’annunciazione: teschio Forato

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106 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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tazione della stanza un tempo adibita a stalla.

Nel corso della nostra indagine preli-minare abbiamo osservato il pozzo del castello, notando, all’interno della can-na, una curiosa nicchia situata sotto al li-vello dell’acqua. E’ stato quindi richiesto l’intervento della Protezione Civile per svuotarlo, tramite pompe idrovore.

Durante le operazioni abbiamo avuto modo di esaminare la pavimentazione della vecchia stalla. l’allenamento a scru-tare ogni dettaglio ci ha portato ad indi-viduare un tombino di modeste dimen-sioni, in precedenza ignorato da tutti. Esso si è rivelato essere proprio l’accesso alla cisterna. Mentre una nuova idrovora era impegnata a svuotare questa nuova cavità, scendevamo nel pozzo, nel frat-tempo liberato dalle acque.

la nicchia, purtroppo, non era un suggestivo passaggio segreto, che ipo-tizzavamo dotato di semplici ma efficaci sistemi per il deflusso ed il riempimento rapido ma, piuttosto, una semplice nic-chia ricavata nell’intercapedine tra il ri-vestimento in muratura e la roccia viva, cavata durante la perforazione verticale del terreno e realizzata per ragioni anco-ra ignote.

la cisterna, invece, ha mostrato molti detriti al suo interno ma nessuna ulte-riore apertura. Uno studio completo e sistematico potrebbe rivelare indizi con-futabili con le fonti scritte.

note1) Parola spagnola di origine araba che indica un luogo fortificato.2) Serie di vasche di decantazione per far preci-

pitare le impurità dall’acqua captata.3) Per via del dualismo della “rosa”, luogo di preghiera e di rifugio, e della “spina”, avampo-sto fortificato che proteggeva la rosa.4) l’idolo pagano che si ritenne adorato dai Templari. Una figura con enormi baffi e zampe da caprone, coincidente con l’unica descrizio-ne giunta fino a noi dal gran cancelliere del re di Francia guglielmo da Nogaret nell’arringa di accusa contro jacques de Molay.5) Termine di origine araba che indica il forno. Spesso utilizzato in alchimia per intendere la digestione alchemica. la metafora è con lo spi-rito umano, che si purifica e si migliora come il piombo che diventa oro.

BibliografiaAraldo, g., “Le colline dell’arcano”, Il mio libro, 2011Araldo, g., “I Templari, la loro presenza in Pie-monte Liguria Nizzardo… e quattro luoghi ma-gici. Poi oltre il mito”, Il mio libro, 2011Fenoglio, A., ”A caccia di tesori”, Piemonte in bancarella, Torino, 1978 luppi b. (pref. De Ubaldo Formentini), I Sarace-ni in Provenza, in Liguria e nelle Alpi occidentali, Collana storico-archeologica della liguria occi-dentale, Istituto Internazionale di Studi liguri-Museo bicknell, bordighera, 1973Pregliasco, A., “Saliceto, il nostro paese, fram-menti di arte e storia”. Omega Edizioni, Torino, 1999Settia A., I Saraceni sulle Alpi: una storia da riscri-vere, in “Studi Storici”, n.1, [s.l.] 1987 Relazione presentata al convegno: “Nel millenario di S. Michele della Chiusa. Dal Piemonte all’Europa: esperienze monastiche nella società medieva-le”, svoltosi a Torino, 27-29 maggio 1985

Tutte le foto: (C) Teses - Stefania Piccoli

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tero Origine della

geometria sacra

di Marisa grande tempo di lettura 5 minuti

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GiuGno 2011 | n.0 109Runa Bianca

mistero

Molte sono le storie di tesori nascosti, di gallerie misteriose, di camere se-grete, di simboli esoterici da decifra-

re. Si tratta di elementi ricorrenti in molte leggen-de e, per certi versi, diffusi capillarmente su tutto il territorio nazionale.

l’essere umano, cogliendo l’essenza degli ele-menti della natura, ha cercato e cerca le strutture portanti di tutte le forme dell’universo e costru-isce modelli, con implicite le leggi dell’armonia che presiedono all’ordine nel cosmo.

Da millenni egli ha inteso, di conseguenza, riproporre in terra opere perfette basate su mo-delli composti da forme geometriche, le cui leggi matematiche derivano dalle dinamiche che re-golano i cicli degli astri nel cosmo.

Per questo le forme ideate dall’uomo per porre in sintonia la terra con il cielo rientrano in una co-noscenza antica, estratta dall’astronomia empiri-ca e applicata per mezzo della “geometria sacra”.

la geometria sacra è ispirata alle strutture pro-fonde e regolari delle forme naturali semplici e complesse appartenenti al piano del visibile e alle dinamiche cicliche che le generano.

la conoscenza di base della “geometria na-turale” ebbe origine quando l’uomo scelse un centro privilegiato per governare con lo sguardo tutte le direzioni possibili di uno spazio semisferi-co e luminoso, all’interno del quale si manifesta-

vano fenomeni di natura appa-rentemente caotica, ma che egli intuiva essere sicuramente in-terdipendenti e connessi in una macro-struttura cosmica.

la “geometria sacra”, quindi, scaturì molto precocemente dal rapporto dell’uomo con l’am-biente. Il suo relazionarsi con gli aspetti mutevoli della natura lo spinse a cercare un ordine all’in-

di Marisa grande

Marisa grandeDopo la sua carriera di inse-gnante di Disegno e Storia dell’Arte, continua nel campo artistico con un linguaggio ori-ginale, la Synergetic-Art, che trova la sua piena espressione nel “meta-realismo” della sua pittura e della sua poesia. Con il Manifesto del Movimento culturale “Synergetic-art 1990” (www.synergetic-art.com) ha avviato un’attività di studi e di ricerca pluri-disciplinare, con-dotta con approccio sistemico, per cogliere le interconnessioni esistenti tra le varie branche del sapere e promuovere una rin-novata visione della conoscen-za. Collabora con associazioni culturali e case editrici e scrive articoli per riviste di cultura. Tra le sue pubblicazione ricor-diamo: L’orizzonte cultura-le del megalitismo (besa, 2008) e...

Dai simboli universali alla scrittura

Besa, 2010

leggi scheda completa >>

Origine della geometria sacra

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terno di elementi che pur non sem-bravano governati da regole compren-sibili. la capacità di cogliere l’insieme delle forme naturali di un paesaggio in cui egli era fenomenologicamente im-merso, facoltà propria del lobo celebra-le destro, gli permetteva di relazionarsi facilmente con gli elementi che compo-nevano il suo habitat e di usufruire delle sue risorse. Un carattere di tipo adesivo con la natura, dovuto alla sua apparte-nenza al mondo animale, gli permetteva di attivare le sue capacità sensoriali ed emotive per percepire le caratteristiche ambientali e reagire di conseguenza, ri-correndo in extremis al suo innato spiri-to di sopravvivenza. l’uomo, in quanto essere pensante, espresse ben presto anche le sue caratteristiche di razionali-tà, proprie dell’ordine intellettuale, co-niugando alla percezione globale del lobo destro del cervello le facol-tà insite nel lobo sinistro. Preposte alle capacità ra-ziocinanti, queste gli permettono di catalogare, di as-sociare e di valu-tare tutto ciò che riesce a percepire con i suoi sensi e di attribuire si-gnificati più pro-fondi e complessi rispetto al signi-ficato intrinseco, oggettivo, di ogni elemento del cre-

ato. la sua “anima intellettiva”, vitalità pre-

cipua del suo essere razionale che lo fa distinguere dagli altri esseri di natura, facendo leva sull’universalità della sua “anima spirituale”, coniuga le facoltà di entrambi i lobi del cervello e gli per-mette di intuire, associare, catalogare, connettere, confrontare e valutare gli elementi oggetto della sua esperienza e della sua conoscenza, fino a permet-tergli di esprimere un giudizio critico e di “ricrearli” nelle condizioni che ritiene ottimali per meglio usufruire delle loro proprietà e funzioni.

la sua posizione eretta, indubbia-mente, lo favorì nello stabilire le rela-zioni spaziali con l’ambiente. Egli poté completare la sua visione ruotando su

estensione all’orizzonte. Foto Di ezio sarcinella

di Marisa grande Origine della geometria sacra

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GiuGno 2011 | n.0 111Runa Bianca

mistero

se stesso, per osservare una circonferen-za di un limite apparente composto da un circuito di 360 gradi. Tale orizzonte-li-mite visivo, pur essendo percepito come una linea retta, delimitante l’estensione visibile della terra e l’estensione visibile del cielo, sviluppandosi per 360 gradi risultava essere composto da una linea chiusa, poiché non presentava alcuna

soluzione di continuità. l’uomo concepì simbo-licamente tale circon-ferenza massima come simile ad un serpente che si morde la coda. Da qui l’immagine dell’Ou-roboros, uno degli ar-chetipi più potenti e più onnicomprensivi di significati, a volte anche contrastanti ed ambi-gui.

Poiché quella curva lontana e irraggiungibi-le si sviluppava ad equi-distanza da un mede-simo luogo centrale di osservazione, ogni suo punto poteva essere considerato tanto il suo inizio, quanto la sua la fine.

Essendo l’uomo il tramite visivo di quella curva senza ordine ge-rarchico tra i suoi pun-ti, tutte le curve chiuse sottomultipli di essa

avevano il medesimo centro, dal quale dipendeva la regolarità delle circonfe-renze concentriche che si espandevano da quel punto centrale fino all’orizzonte.

Ogni area compresa in quel luogo pri-vilegiato era ritenuta sacra, poiché simu-lava

l’espansione del grembo di una madre feconda intorno a un ombelico centrale.

Non essendoci ordine gerarchico tra ogni punto di una circonferenza, ma

Fuoco sacro. elaborazione Di marco sarcinella

di Marisa grande Origine della geometria sacra

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solo tra il centro e la circonferenza, ogni cerchio umano, stretto intorno ad un punto centrale vitale - focolare, mensa, altare, coppella sacra - fu quindi conce-pito come composto da elementi parite-tici, partecipanti ad un’azione collettiva condivisa.

le azioni svolte in quel cerchio risulta-vano tanto centripete, per la concentra-zione delle energie convogliate al cen-tro e rivolte al cielo, quanto centrifughe, poiché discendenti dal cielo e irradiate sulla terra tramite il medesimo centro.

l’intento di vincolare energeticamen-te la terra con il cielo in punti precisi sembrò, perciò, essere la condizione ne-cessaria per rendere tangibile un incon-tro con il cielo, impossibile da realizzare sulla linea irraggiungibile dell’orizzonte.

Poiché un innato horror vacui attana-glia l’essere umano di fronte al mistero che si coniuga con uno spazio esteso all’infinito e con un tempo dilata-to fino all’eterni-tà, concepire sulla terra una serie di cerchi sacri misu-rabili, riflessi dei cerchi sacri irra-diati intorno a pre-cisi astri del cielo, gli permetteva di esorcizzare la pau-ra provata di fron-te ad uno spazio e ad un un tempo incommensurabil-mente estesi.

Tali condizioni di indeterminazione spazio-temporale sembravano essere più facilmente comprensibili da facoltà proprie di esseri divini e immortali, os-sia da menti superiori, anziché da menti limitate di un essere terreno e mortale.

Il luogo centrale di circonferenze espanse, composte da punti paritetici dipendenti dal centro, corrispondeva pertanto al punto tangibile di contatto dell’uomo con tali entità superiori, es-sendo anche quel punto, come quelli dell’orizzonte sul quale essi sembravano ciclicamente atterrare, uno degli innu-merevoli punti dello spazio infinito, che, se pur percepito dall’uomo in forma di calotta semisferica, alla luce della sua ragione limitata, risultava comunque in-commensurabile e illimitato.

coppella. Foto Di ezio sarcinella

di Marisa grande Origine della geometria sacra

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di Anja zablocki

ContattismoSono un essere divino rinchiusoin un involucro di carne

tempo di lettura 8 minuti

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GiuGno 2011 | n.0 115Runa Bianca

mistero

Sono un essere divino rinchiuso in un in-volucro di carne. è ciò che vedo quan-do mi guardo allo specchio. Per arriva-

re a questo semplicistico concetto ho navigato trent’anni in un oceano di incognite. I termini “contattato”, “ufologia”, “esoterismo”, erano solo concetti astratti. Oggi, ciò che condivido con un crescente pubblico di curiosi, un tempo appar-teneva solamente al giardino segreto della mia anima.

l’esperienza di contatto con altri mondi è ini-ziata precocemente, attorno ai cinque anni di età, ma solo durante l’adolescenza si è pienamente concretizzata, anche se a quei tempi non avevo realmente consapevolezza di quanto fosse im-portante per me ciò che stavo vivendo. Era la mia “normalità”, ma capivo che era molto diversa dal-la normalità degli altri.

Ne parlo ora perché credo di avere raggiunto l’età in cui si tirano le prime somme sulla vita che si conduce, e lasciare dietro di me questi sassoli-ni d’esperienza spero sia utile a qualcun altro, sia che soddisfino una semplice curiosità, sia che rie-scano a far sentire meno sole le persone che fan-no o che stanno per fare il mio stesso percorso.

Tengo a precisare che non voglio predicare da un pulpito, né spacciare come verità assolute ciò che è una piccola tessera personale di questo in-finito puzzle chiamato universo. Sono convinta che nessuno conosca la verità assoluta, ma ognu-no può contribuire alla comprensione del miste-ro della vita.

l’entità che chiamo Ra’bey mi ha contattato per la prima volta nell’estate del 1999. Prima an-cora di apparire nella sua forma energetica (que-ste creature non hanno un corpo fisico come il nostro) ha passato alcune settimane popolando i miei sogni. Durante le visite, era accompagna-to da altre tre entità che restavano sempre in disparte. Comunicavano con un insieme di im-

di Anja zablocki

anja zablockiNasce in bosnia nel 1981, si tra-sferisce in Italia a nove anni persfuggire alla guerra civile. Fin da piccola ha esperienze di contat-to coi mondi sottili. Nel 1999 inizia un rapporto amichevole con entità provenienti da un’al-tra dimensione, con le quali condivide un percorso evoluti-vo. Da un paio d’anni frequenta il forum di Nexus (forum.nexu-sedizioni.it) di cui diviene mo-deratrice col nickname di Res-say. le sue esperienze son state oggetto di discussione in alcu-ne trasmissioni televisive tra cui “mistero” Italia1.

Contattismo

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magini tridimensionali, fonemi appar-tenenti ad un’arcaica lingua, e sensazio-ni. Il contatto risultava intimo e invasivo allo stesso tempo, perché io percepivo ciò che volevano mostrarmi come se na-scesse direttamente dalla mia mente, e lo scambio avveniva a velocità pensiero.

In principio non si avvicinavano mai più di tanto, perché il loro “peso” ener-getico è molto eleva-to e l’interazione tra le nostre energie mi causava un senso di malessere, con nausea e un senso di pressione al pet-to. Come promes-so, dopo un paio di visite hanno risolto questo problema agendo energetica-mente sul mio dna, ma la sensazione di essere una for-mica di fronte a un elefante, al loro co-spetto, non mi ha mai abbandonato. Sono davvero cre-ature imponenti. l’aspetto con cui si mostrano è irri-levante, perché la loro qualità vibratoria è molto più ele-vata della nostra, e usano simbolismi archetipici per assumere una forma che la nostra mente possa accettare. A volte sono umanoidi eterei come fantasmi, di colore blu elettrico e occhi a mandorla, a volte assumono una forma più pesante

con un corpo rosso e testa da falco.Non sono sempre presenti nella mia

vita. Arrivano per motivi precisi e alter-nano periodi di visite assidue a lunghi si-lenzi, sia per darmi il tempo di riposare, sia perché pianificano le visite cercando di non interferire troppo con le mie deci-sioni, sia perché, per mostrarsi in questa dimensione devono succhiare energia

da ciò che li circonda, quindi dall’ambiente e ovviamente

da me.Durante le prime

visite ho rivissuto momenti di alcu-ne vite preceden-ti, che sarebbe più corretto chiamare vite parallele, in quanto le nostre anime fanno diver-se esperienze con-temporaneamen-te. In tutte seguo un percorso miste-rico e ho contatti con loro. Sono vite in cui occupo corpi umani ma anche di strane creature sicuramente ap-partenenti ad altri pianeti.

loro dicono che abbiamo la stessa origine, ma che abbiamo scelto percorsi diversi. la loro evoluzione li ha portati a un’esistenza per noi inconcepibile; vivo-no in una dimensione diversa dalla no-stra, e parlano della casa Orione, anche se è un dato molto generico, e non so

DiseGno Dell’entità ra’bey

di Anja zablockiContattismo

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GiuGno 2011 | n.0 117Runa Bianca

mistero

in quale forma sia evidentemente con-nesso alla costellazione. Dicono che ci sono molte persone come me su que-

sto pianeta, e che siamo arrivati qui per nostra scelta, per fare un’esperienza indispensabile dentro contenitori che teoricamente non sono più adatti a con-tenere la qualità vibratoria delle nostre anime, come vestiti di due taglie più piccoli. Questa esperienza ci serve da rodaggio, diciamo. Ci chiamano Rispon-denti, perché rispondiamo tutti alla stes-sa legge. Terminato il compito in questa

vita, potrò tornare a casa oppure sce-gliere di fare il loro stesso “mestiere” e diventare un Viag-giatore.

In quegli anni hanno inserito in-formazioni in una zona della mia mente a cui anco-ra non ho accesso. Altri concetti li ho semplicemente ri-mossi perché per me incomprensi-bili, nonostante lo sforzo di capire. A molte domande invece non hanno dato risposta, per-ché secondo loro

erano cose superflue, che volevo ac-quisire per un superficiale desiderio di “saperne più degli altri”, o perché non avevano attinenza con il mio percorso. Ci sono periodi in cui mi visitano per alcune notti di fila e mi mettono in uno stato a metà tra so-gno e veglia, come in stand by, per

di Anja zablocki

uomini uccello e la loro presenza in alcune cul-ture umane. in sequenza: horus per Gli antichi eGizi, raFFiGurazione atzeca Di uomo uccello, mitico uccello DiVino, caValcatura Di Vishnu,

Contattismo

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118 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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inserire a velocità incredibile una serie di dati, come se stes-sero scaricando dei files su un computer.

Come ho già ac-cennato, riguardo a ciò che credo sia il mio compito, non mi pongo nella condi-zione di profeta né guru, e la mia espe-rienza, nonostante coinvolga il mondo in cui vivo, credo sia più un viaggio ver-so la consapevolezza personale; quella che ognuno di noi è tenuto a fare dal momento in cui viene al mondo, anche se in modalità e con risultati molto di-versi tra loro.

Il ricordo più vivo delle conversazioni avvenute dodici anni fa riguarda il par-ticolare periodo che sta attraversando tutta l’umanità e insieme a noi, tutta la galassia. Mi parlarono di un periodo di sconquasso, di perdite umane, di stra-volgimenti nella natura e nella società, ma dissero anche che era un fenomeno naturale e ciclico, sempre prevedibile e assolutamente necessario, ma che non dovevo averne timo-re, perché il nostro compito è trarre in-segnamento da que-sta preziosa espe-rienza e utilizzarla come catalizzatore per la consapevolez-za.

A fasi alterne, i contatti sono durati

di Anja zablocki

fino al 2003 quando, per sfinimento psi-co-fisico, ho sentito la necessità di pren-dermi una pausa. Il giorno dopo avere vissuto un’esperien-za particolarmente forte, ho espressa-mente chiesto che non mi contattasse più nessuno e che mi

“addormentassi” in attesa del momento in cui mi sarei sentita di nuovo abbastan-za forte per continuare questo percorso. In quel momento un’abbagliante luce bianca ha illuminato come un fulmine la mia camera e da quel momento, e per i successivi quattro anni, non ho avuto più alcuna esperienza di contatto.

Nel 2008 ho cominciato a sentire una familiare irrequietezza. Fenomeni strani tornavano ad accadere e dentro di me una voce insistente mi tormentava nel-le occasioni più impensabili dicendo “é ora di svegliarsi”. Ho cercato di negare a me stessa questa realtà, non mi sentivo ancora pronta, ma il mio stesso corpo mi stava dando segnali di allarme. Febbri

improvvise, astrali frequenti, attacchi di panico, spossatezza, incubi ogni notte; ogni cellula del mio corpo cercava di ri-bellarsi al fuoco del risveglio che si stava ravvivando dentro di me. Solo mesi più tardi ho trovato il co-

Contattismo

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GiuGno 2011 | n.0 119Runa Bianca

mistero

di Anja zablockiContattismo

raggio di cedere a ciò che in fondo è la mia natura di Rispondente.

Devo ammettere che un grande aiuto l’ho trovato nelle splendide persone che ho conosciuto grazie al Forum di Nexus Edizioni, http://forum.nexusedizioni.it/addotti_cercasi-t3161.0.html

dove Ra’bey mi aveva invitato a rac-contare per la prima volta la mia storia. Queste persone sono ormai legate al mio percorso, e ognuna di loro ha illu-minato un pezzetto di buio. Quando si fa esperienza di una vita come la mia, l’appoggio di amici e parenti allevia il senso di isolamento e solitudine che ac-compagna per sempre chi vi è immerso. Sono stata fortunata. la gente tende a denigrare e a scappare da ciò che non conosce perché l’ignoto fa paura, ucci-dendo così in modo graduale l’animo sensibile di chi invece potrebbe trova-re forza anche solo venendo ascoltato. Questa terribile operazione di lavaggio del cervello viene fatta già da bambini, spegnendo anno dopo anno la magia delle loro menti. Se così non fosse, ci sa-rebbero molte più persone capaci di ve-dere oltre il Velo.

Oggi posso dire che si è avverato ciò che mi avevano predetto; gli avveni-menti che sarebbero accaduti nella mia vita, nel mondo, le persone che avrei in-contrato, i cambiamenti che avrei vissu-to.

So di avere fatto un errore cedendo alla paura, perdendo anni dietro a cose futili e convinzioni sbagliate ed espe-rienze estreme. Ma forse, anche questo errore è stato a suo modo la strada giu-sta, la strada che mi ha portata fino a qui.

Capire che gli anni di negazione mi hanno precluso una più profonda sco-perta di me stessa e del mondo mi ha portata alla decisione di condividere ora con più persone possibile la mia espe-rienza, per iniziare una nuova strada nel-la ricerca. Per questo motivo ho anche partecipato due volte alla trasmissione Mistero, dove ho rilasciato brevi intervi-ste.

Al di là della valenza o meno di quel tipo di programma, o dell’opinione de-nigratoria degli scettici, credo che sia servito esattamente al suo scopo: per-mettermi di conoscere ed entrare in contatto con altre persone come me.

Mentre scrivo queste parole, sono ancora lontana dal completamento del mio percorso. Questa Via non è facile da percorrere, e durante il cammino si possono anche fare incontri spiacevoli e vivere esperienze che creano ulteriori dubbi invece di dare risposte.

Ma questo è l’unico modo in cui io posso essere, è il sassolino che lascerò sul sentiero insieme a milioni di altri. Quello che abbiamo è un dono e un do-vere: la paura di noi stessi e del giudizio degli altri, il timore dell’ignoto, sono il male peggiore che potevamo creare per noi stessi, e siamo noi, questo sia chia-ro, a creare tutto. Io non smetterò mai cercare. Del resto, l’importante non è la meta, ma il viaggio.

Invito i lettori desiderosi di condividere la loro esperienza, o per avere risposta a domande e curiosità, a contattarmi all’in-dirizzo e-mail [email protected]

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tero Il Libro di Oera Linda

di Antonio Soldani

la storia dimenticata di un Continente scomparso

tempo di lettura 10 minuti

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GiuGno 2011 | n.0 121Runa Bianca

mistero

Centotrentacinque anni fa, un mano-scritto antico fu tradotto in lingua mo-derna, in seguito conosciuto come il li-

bro di Oera linda. le storie che racconta hanno rivelato i segreti dell’Età Matriarcale nell’Europa Occidentale, infatti in esso è registrata la storia dei Figli di Frya, la dea madre della loro razza e del suo “Sacro Tex” che ha fornito loro i valori so-ciali e morali necessari per costruire una grande nazione, forse la più grande civilizzazione del mondo antico. Racconta delle lotte che le Madri Terra dovevano sostenere per mantenere la liber-tà contro le invasioni e le influenze dei principi e dei sacerdoti del nemico proveniente dall’Est. Ed è grazie a questa lotta che siamo e ci sono giunti i nostri valori Occidentali, e molti degli eroi e delle eroine della nostra mitologia classica.

la storia inizia nell’Età del Toro quando le mi-tiche dee fecero da madri ai loro “bambini” ma quell’età terminò nei “tempi cattivi” con terre distrutte e sommerse da devastanti maremo-ti ed eruzioni vulcaniche, incendi di foreste ed inondazioni che cambiarono la faccia dell’ Euro-pa annunciando la venuta dell’Età dell’Ariete. Ed è nel 2193 a.C. che l’isola continentale di Atland scomparve, svanita come l’altrettanto leggen-daria Atlantide, completamente disintegrata da immense catastrofi. Molti superstiti riuscirono a trasferire la loro civiltà altrove, volgendosi verso l’Egitto e Creta compresa, infatti nel libro di Oera linda leggiamo che Minno (Minosse), il favoloso re di Creta, costruttore del labirinto, era un frisone e che era stata questa sua civiltà a originare in se-guito quella ancora più splendente di Atene, fon-data da Minerva che era una Madre. gli abitanti di Atland veneravano un solo dio, che si celava sotto il nome di wr-alda. Frya era la prima di tre sorelle. le altre si chiamavano lyda e Finda. lyda aveva la pelle scura ed aveva dato origine alle po-polazioni negroidi; Finda aveva la pelle giallastra

di Antonio Soldani

antonio solDani Nato nel 1954 a lorenzana un paesino delle colline Pisane è libero ricercatore e amante della storia delle nostre origini e delle antiche civiltà, ricerca verità alternative, insoddisfat-to delle risposte ufficiali messe a disposizione dall’accademia istituzionalizzata; questo attra-verso la correlazione di storia e religione con miti e leggende. è webmaster del sito www.miste-romania.it

Il libro di Oera linda

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ed aveva dato origine alle popolazioni orientali, Frya aveva la pelle chiara.

l’età nuova iniziò con le Madri Terra, con le ancelle della cittadella ed i lunghi viaggi dei Re del mare, finendo due mila anni dopo con i patriarchi, ed i re che richiesero il riconoscimento e la fedeltà per i favori concessi, ed una “diffidenza” chiamiamola pure così nei “contribu-ti femminili” alla società. Questa storia riguarda una società razzialmente protetti-va, con un alto stato di coscienza e di libertà individuale basato su una morale ed un codi-ce civile, dove uomini e donne erano rispettati per le loro intrinseche capacità, che migliaia di anni fa nell’Europa Occidentale tentò di mantenere, ma inevi-tabilmente fallendo la sua integrità, anche se le sue persone tentaro-no di educare alle loro usanze e costumi tanto i commercianti stranie-ri quanto i marinai, per poi scomparire infine nei polders dell’Olanda.

A loro però dobbia-mo molto della nostra attuale civilizzazione Occidentale. Da loro derivano i nostri concetti di libertà, di democrazia, il nostro senso dell’ onore

e le basi del nostro linguaggio che ha dato struttura alla maniera di pensare. Molto spesso siamo colpevoli di descri-vere i nostri antenati come contadini pri-mitivi o ignoranti, incapaci di capire una cultura civilizzata moderna; ma leggen-dolo si scopre le origini di molti nobili concetti che anche adesso, pur essendo lontani, non sono meno lodevoli. Dob-biamo a questo punto ricordare lo svol-

gimento ed il modo della scoperta, che ebbe origine nell’aprile del 1820, nella piccola cittadina di Enkhuizen, di fronte

alFabeto Frisone

di Antonio Soldani Il libro di Oera linda

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GiuGno 2011 | n.0 123Runa Bianca

mistero

all’isola Frisona di Texel in Olanda, con la morte di Andries Over de linden.

Tra i suoi effetti fu trovato un mano-scritto molto antico che nessuno era in grado di leggere. Aveva 61 anni e sua figlia, Aafjie Meylhoff, sapeva della sa-cra tradizione che da sempre esisteva nella sua famiglia concernente questo libro. Per innumerevoli generazioni che nessuno ormai poteva ricordare, era sta-to tenuto nella famiglia degli Over de linden, passando di mano tra padre e figlio, con le ristrette istruzioni di preser-varlo e proteggerlo dalle autorità e cioè dalla Chiesa. Il successivo erede era suo

nipote Cornelius Over de linden che aveva soltanto 10

anni, infatti suo padre era morto prima di suo nonno, cosicché fu appunto sua zia Aafjie, a prendere il libro in custodia finche egli stesso non avesse raggiun-to la maggiore età. Nel 1848, Cornelius ricevette il manoscritto, manifestando la curiosità che da sempre provava nei riguardi della storia misteriosa che esso raccontava e che non poteva leggere, ma fu solo nel 1867, che trovò qualcuno in grado di tradurlo. Durante una sua visi-ta alla libreria Provinciale a leeuwarden in Friesland, incontrò il bibliotecario, il Dott. Verwijs, e gli parlò del manoscritto tanto che questi incuriosito chiese di ve-derlo, ed immediatamente si rese conto che era scritto in antico Frisone, forse il più vecchio esempio che mai aveva in-

contrato. la sua prima impressione fu che il libro fosse uno scherzo, ma esaminandolo più attentamente, si convinse della sua estrema antichità e convinse anche Cornelius a conce-dergli di copiarlo a beneficio della Friesland Society. Il Dott. Verwijs cer-cò poi un supporto finanziario dal-la Societá che era stata fondata per fare ricerche sulla lingua e la storia dei Frisoni, ma incontrò lo scettici-smo immediato, dovuto forse alle ri-velazioni di qualche frammento che aveva già tradotto. la Societá quin-di pensò ad un falso sin dall’inizio, anche prima di essere in grado di consultarlo, ponendo il marchio che da allora ha perseguitato il libro di Oera linda. Il Dott. Verwijs ebbe, co-munque, la soddisfazione di riceve-re la commissione da un “alderman” deputato dello stato di Friesland di

caratteri in Frisone

di Antonio Soldani Il libro di Oera linda

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redigerne una copia. Il lavoro continuò per altri tre anni rivelando informazioni sorprendenti e fantastiche che confer-marono inizialmente al Dott. Verwijs i primi sospetti di falso ma, continuando nella traduzione, sempre più i fatti so-stenuti erano storicamente riconosciuti ed insieme ai dati mitologici conquista-rono la fiducia completa del traduttore che, alla fine, fu finanziariamente aiutato dal Dott. j. g. Ottema, che entusiastica-mente sostenne le spese della traduzio-ne stampando e pubblicando la prima copia in Frisone moderno sotto il titolo di “Thet Oera linda bok”.

Nel febbraio, 1871, fu presentata una carta alla Societá di Friesland che riassu-meva queste origini e menzionava alcu-ne delle dichiarazioni sorprendenti tro-vate nel suo contenuto, causando una controversia immediata. Non ci deve sor-prendere se guardiamo a queste “rivela-zioni”, considerando gli atteggiamenti del tempo nei confronti di scoperte che potevano sconvolgere credenze lunga-mente conservate. la scienza sostituiva la teologia nella storia e l’antropologia. la scoperta e la successiva traduzione della Stele di Rosetta erano avvenuti soltanto cinquanta anni prima, dando origine ai moderni concetti di storia an-tica basata sul calendario egiziano, giu-sto o sbagliato che sia. Abbiamo anche scoperto che la civilizzazione di Sumer è molto più vecchia di quella Egizia ma ancora oggi la maggior parte dei libri di testo danno quest’onore alla seconda. (Naturalmente considerando la storia accademica e non quella chiamata “ere-tica”). Heinrich Schlieman non aveva an-

cora pubblicato le sue scoperte riguar-danti l’attuale luogo storico di Troia, una città menzionata ed anche databile nel libro, e le leggende furono tuttavia con-siderate “favole di fate” senza qualsiasi contenuto reale come d´altronde molte sono considerate ancor oggi.

la versione in lingua Frisone fu imme-diatamente seguita da una traduzione in lingua olandese con lo stesso titolo, e fu la versione olandese ad essere tradot-ta in inglese nel 1876. Questa edizione mostra il testo originale Frisone stam-pato sulla pagina sinistra in caratteri romani con la traduzione inglese sulla destra. Quando fu pubblicato creò un certo scompiglio nei circoli accademici però fu rapidamente dimenticato; forse perché troppo controverso o perché si-gnificava un grosso strappo al retaggio delle idee tradizionali. Il manoscritto ori-ginale aveva i caratteri fonetici inscritti in un cerchio, il segno di sole, con un “ I “ verticale ed una “X” ed attraverso questi si hanno sorprendentemente una serie di caratteri nel cui contesto si ritrova la maggior parte delle lettere dell’alfabe-to e la maggior parte dei numeri facil-mente riconosciuti dai moderni Europei. Questo libro fu scritto da Hiddo Over de linden nell’anno 1256 d.C. che copiò gli originali sopra la nuova carta araba, molto ricercata al tempo in Europa, che era senza filigrana e praticamente fab-bricata con cotone egiziano. Hiddo la chiamò “carta straniera” e usò un inchio-stro di carbone senza ferro, e ciò è stato una fortuna perché i popolari inchiostri basati sul ferro usati in seguito sono fa-cilmente riconoscibili dal loro scolori-

di Antonio Soldani Il libro di Oera linda

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mento, e questo da una prova in più per sostenere l’autenticità del libro. In esso Hiddo ha usato dei termini moder-ni del suo tempo conservando anche le varianti ortografiche e di stile degli scrit-tori originali, inoltre non è stata trovata nessuna prova di “contaminazioni” ricon-ducibili a qualcosa di più moderno del tredicesimo secolo, e neppure sono stati usati, nel testo, alcuni nomi di luogo ori-ginati dall’occupazione romana al tem-po di giulio Cesare. le contese c’erano e sono rivelate dal libro Oera linda, infat-ti si parla a lungo di un prode guerriero di nome Friso, ufficiale di Alessandro il

grande (nato nel 356 a.C.) citato anche in altre cronache storiche dei popoli del nord, nelle quali si narra che Friso giun-geva dall’ India. Nell’Oera linda, l’eroe viene fatto discendere da una colonia di Frisoni stanziatasi nel Punjab attorno al 1550 a.C.; ed anche il geografo greco Strabone menziona queste stranissime tribù “indiane”, da lui chiamate in modo generico (Arii) germania. Nel testo si ri-corda anche Ulisse e la sua ricerca della sacra lampada, una profetessa gli aveva predetto infatti che qualora l’avesse tro-vata sarebbe diventato re d’Italia. Falli-to il tentativo di farsi consegnare sotto lauta ricompensa (i molti tesori portati da Troia) la lampada dalla sacerdotessa, la “Madre Terra”, che la custodiva, Ulis-

mappa Della FrislanDa scoperta Da nicolò zeno

di Antonio Soldani Il libro di Oera linda

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di Antonio Soldani Il libro di Oera linda

se aveva fatto vela fino a raggiungere un luogo chiamato walhallagara (nome che suona molto simile a walhalla) dove aveva avuto una storia d’amore con la principessa kalip (ovviamente Calipso) e con la quale era convissuto per molti anni fra «lo scandalo e la disapprovazio-ne di tutti coloro che lo conoscevano». Questo frammento di storia greca in-serito nel libro di Oera linda è quanto mai interessante. Data le avventure di Ulisse attorno al 1188 a.C., vale a dire una cinquantina di anni oltre la moder-na datazione della caduta di Troia. Ma l’Oera linda potrebbe essere nel giu-sto. Da quel che la leggenda tramanda, la ninfa Calipso era una burgtmaagd (parola che significa “vergine suprema”, una sorta di capo di un gruppo di ver-gini vestali), un concetto che trova ri-scontro nelle affermazioni fondamentali dell’Oera linda, secondo il quale dopo la catastrofe i Frisoni avevano ripreso a navigare per tutto il mondo conosciuto, civilizzando l’area del Mediterraneo per spingersi fino in India. Ma non solo, ci sono situazioni che si adeguano alle te-orie “isostasiche” di biddel Airy, con l’in-terramento dello stretto (canale) di Suez preesistente, forse dovuto all’episodio Thera di Santorini. Recentemente sono state rinvenute Mummie nelle regioni cinesi con aspetto prettamente nordico, capelli biondi o rossi con occhi azzurri e di alta statura oltre i 2 metri, conosciuto anche come l’uomo di “Cherchen”, che possono essere riferibili a queste migra-zioni, ed inoltre per fare un esempio, se accettiamo che l’isola di Calipso, walhal-lagara, era l’isola di walcheren nel Mare

del Nord, allora Ulisse aveva compiuto i suoi viaggi anche al di fuori del Mediter-raneo. A tutt’oggi, comunque, non esi-stono prove che il libro sia un falso e per questo motivo che sarebbe quanto mai utile una nuova, moderna edizione del testo, non solo per consentire agli stu-diosi di valutarlo appieno, ma anche per permetterne la lettura ai lettori comuni, certamente affascinati dai tanti racconti di battaglie e uccisioni, e rispondere ma-gari alla domanda se la civilizzazione Eu-ropea venne dunque dall’Asia e dall’ Est o c’era una fonte Occidentale ?

Non c’è nessuna contestazione delle origini di comunità civilizzate nel mon-do ma il libro reclama una fonte origi-naria Occidentale per il suo sistema di governo, della comunità e del codice morale per l’Europa, insieme alla descri-zione di una comunità molto più antica attraverso l’Atlantico del nord, (Oldland-Aldland anche Atland) la Vecchia Ter-ra, la loro casa antica, data in termini nostalgici come i tempi buoni prima del cattivo, (termini che ricordano l’ Età dell’oro o lo zep-Tepi egizio) ed anche se esso non è certamente scorrevole come un romanzo, e tratti dei vari argomen-ti passando dall’uno all’altro talvolta in modo improvviso, come emozioni e pensieri annotati rapidamente su di un foglio, bisogna però essere consapevoli che se qualcuno riuscisse a dimostrare in modo incontrovertibile l’autenticità di questo libro, ovverosia che racconta fatti realmente accaduti, allora la storia dell’umanità Europea dell’età del bron-zo dovrebbe essere completamente rivi-sitata e conseguentemente riscritta.

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tero La Luna

di luana Monte

Signora splendente della notte

tempo di lettura 9 minuti

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la terra, nel suo continuo girovagare per lo spazio, può contare su una compagna fedele che le orbita intorno ad una di-

stanza media di 384.000 chilometri, la luna, il suo satellite (1).

la luna, che con il suo freddo splendore illu-mina il cielo notturno, ha un diametro di circa 3470 chilometri; gravità pari ad un sesto di quella terrestre; temperatura superficiale che oscilla fra i +130 ed i -150 gradi centigradi; essa agisce sul-la terra provocando maree marine e della crosta terrestre, e variazioni sul magnetismo.

Secondo le credenze popolari, alla luna era im-putabile anche una influenza su tutta una serie di stati e situazioni, dalla salute fisica e mentale de-gli esseri umani ai ritmi biologici, dal ciclo vegeta-le al clima ed alle acque, alla crescita delle piante e dei capelli, alla qualità del vino. Così nel mondo agricolo la semina si effettuava con la luna nuova, in modo che, similmente all’astro della notte, che allora inizia la sua fase crescente, il seme spuntas-se dalle zolle diventando una pianta sempre più alta e rigogliosa; il raccolto o il taglio di alberi e piante invece doveva farsi, per essere in armonia con i cicli cosmici, con la luna calante, così da non eliminare qualcosa ancora ricco di vitalità.

Una leggenda egizia racconta che il dio supre-mo Ra proibì ai suo i nipoti geb (la terra) e Nut (il cielo) di amarsi, non consentendo loro di sta-

re insieme nemmeno uno dei 360 giorni dell’anno. Il dio Thot, commosso dall’amore dei due, volle aiutarli e giocò a dama con la luna, vincendole una parte del suo splendore, con il quale creò 5 giorni in più all’anno, i cosiddet-ti giorni epagomeni (= aggiunti), nei quali finalmente geb e Nut poterono amarsi, dando vita a quattro figli illustri, Iside ed Osiri-

di luana Monte

luana monte giornalista pubblicista, scrittri-ce, laureata in lettere, ha col-laborato con diversi quotidiani e riviste (Il giornale d’Italia, TV Sorrisi e Canzoni, Il Messaggero, Radiocorriere, Annali dell’Asso-ciazione Nomentana di Storia e Archeologia...). Nel 1997, ha cu-rato la sezione dedicata all’im-magine di Iside in Astrologia e nei Tarocchi sul catalogo Iside. Il mito, il mistero, la magia. Dal 2005 partecipa a vari congressi su Atlantide proponendo la sua ipotesi a conferma della identi-ficazione del mitico continente scomparso con l’Impero Minoi-co. Tra i suoi libri ricordiamo: Il Cristo simbolico (Atanor, 1983), con il padre Francesco Monte L’uomo e lo Zodiaco (Edizioni Mediterrannee, 1984) e in-fine...

Atlantis L’isola misteriosa

ECIg, 2004

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la luna

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de, Set e Nefti.Nell’antichità, analogamente al Sole,

la luna era adorata come divinità con vari nomi: in Egitto bastet , Iside (2); nel mondo greco Pasifae, e Artemide, Sele-ne, Ecate, corrispondenti all’aspetto di luna crescente, piena, calante, o, per dir-la con Robert graves, di fanciulla, ninfa, vegliarda.

A Roma la luna era Diana, la divinità dei boschi e delle selve, la dea dei parti e delle nascite, la Signora degli animali, la dea della luce notturna, come si evin-ce dall’etimologia del suo nome, che si-gnifica luminosa, splendente; la sua festa cadeva il 13 agosto. Presso Nemi, sull’o-monimo lago, esisteva un famosissimo santuario dedicato a Diana, venerata in aspetto triforme ( era detta trivia o tri-

plex o triformis), mentre il lago stesso, superficie riflettente in cui la dea amava rimirarsi, veniva designato anche come speculum Dianae.

Attributi costanti di Diana erano la torcia, la capacità di far luce nel buio; le corna, assimilabili al crescente lunare e simbolo di divinità e regalità; le frecce, assimilate ai raggi del nostro satellite, capaci di provocare danni alla mente e al corpo. Infatti, anche la licantropia o malattia del lupo mannaro (dal lat. lu-pus hominarius) era, ed è popolarmen-te associata alla luna, e sarebbe stata causata dall’aver dormito all’aperto in una notte di luna piena: in taluni luoghi, per la sua caratteristica di comparire alla mezzanotte di una notte di plenilunio, viene detta mal di luna.

Nel Satiricon (lXII) di gaio Petro-nio Arbitro, Nicerote racconta di aver convinto un soldato ad accompagnar-lo ; così all’alba, messisi in cammino “

con una luna così chiara che sembrava di essere di gior-no” giunsero in un cimitero, dove all’im-provviso il soldato si spo-gliò, e, trasfor-matosi in un lupo sparì nel-la vicina selva. Te r r o r i z z a t o Nicerote riuscì a raggiungere la casa di una

il Dio shu (l’atmosFera) tiene separati la Dea nut Dal Dio Geb (Fonte: phoenixqi.bloGspot.com)

di luana Montela luna

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amica che gli raccon-tò come poco prima un lupo avesse mas-sacrato tutte le pecore e poi fosse riuscito a scappa-re malgrado una ferita al collo; poi, rientrato a casa trovò il soldato sul letto con un medi-co che gli curava una ferita al collo: quel soldato era un lupo mannaro!

Ancora nel se-colo scorso luigi Pirandello scrisse una novella, Mal di luna, in cui il pro-tagonista, batà, lasciato da bambi-no tutta una notte esposto alla luna, che lo aveva “incantato”, divenuto adulto, si trasformava in un lupo mannaro ad ogni plenilunio.

la luna ha avuto una importanza ba-silare per il computo del tempo: i popoli della Mesopotamia, grandi osservatori della volta celeste, indagandone i moti, scoprirono il mese, il tempo impiegato dal nostro satellite a compiere un suo ciclo completo; poi divisero il mese in settimane, in relazione a ciascuna delle quattro fasi mensili che esso presenta (luna nuova, Primo quarto, Plenilunio, Ultimo quarto); quindi dedicarono cia-scun giorno della settimana ad una delle sette divinità planetarie allora conosciu-te ed adorate, una delle quali era la luna

(lunedì = lunae dies).Associata per le sue

fasi e le relati-ve variazioni di luminosità, alla mutevolezza, alla ricettività ed alla passivi-tà, per il fatto di risplendere di luce rifles-sa, al freddo e all’umido, alla notte ed alle acque, alla fe-condità ed alla donna (per la corrispondenza del ciclo lunare con quello me-struale - i ter-mini mestruo

e menarca sono riconducibili allo stes-so vocabolo greco che significa mese e luna), la luna fu considerata la Madre celeste, la Signora della notte, dei sogni, delle fantasticherie, e del sensibile se-gno zodiacale del Cancro.

In Astrologia la luna personifica il sen-timento, l’intuito, l’emotività, la creati-vità, la fantasia, l’anima, l’inconscio, l’ir-razionale, la femminilità, la fecondità, la fertilità, l’istinto materno, e, in negativo, l’incostanza, la mutevolezza, la volubili-tà, la capricciosità, l’illogicità, l’infantili-smo, la vulnerabilità, l’introversione, l’in-ganno. Un elemento particolare, la luna Nera, cioè il punto dell’orbita lunare più distante dalla terra (apogeo), psicologi-camente simboleggia l’aspetto nottur-

la luna, De sphaera, sec. xV

di luana Montela luna

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no, tenebroso della donna, il mondo degli istinti e delle passioni, la sessualità mal vissuta.

Alla luna è attribuita anche una delle 22 carte (22 come le lettere dell’alfabe-to ebraico), la numero 18, degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, un antico mazzo di carte formato da 78 “lame”, 56 Arca-ni Minori (suddivisi in quattro semi cia-scuno di 14 carte, dall’asso al dieci, più valletto, cavaliere, dama, re), 2 jolly ed i suddetti 22 Arcani Maggiori. Datate dai più intorno al sec. XIV°, queste carte, spesso artisticamente apprezzabili, dal sec. XVIII° divennero, oltre che strumenti di gioco e passatempo, anche un mezzo di divinazione.

luminoso ornamento del cielo not-turno, la luna, celeste ispiratrice di sogni, miti e fantasie, si ritrova in poesie, rac-conti, proverbi, film, canzoni, a tutte le latitudini e longitudini.

Così la luna ora è rossa, ora pallida, verde, malinconica, infida, tacita, silen-ziosa, rugiadosa, graziosa, cara... Secon-do la saggezza popolare: gobba a po-nente, luna crescente, gobba a levante, luna calante; Mutando luna si muta for-tuna; la luna, non si cura dell’abbaiare dei cani; Ogni granchio, ha la sua luna; la luna di gennaio splende come giorno chiaro; Non ne azzecca una chi guarda la luna; la luna è bugiarda; quando fa C, diminuisce e quando fa D, cresce; Tutti i mesi fa la luna, tutti i giorni se ne im-para una... Si può volere la luna, cioè de-siderare cose impossibili; avere la testa nella luna, tra le nuvole; vivere nel mon-do della luna, fuori dalla realtà; avere la luna di traverso (..allora è meglio stare

alla larga...); abbaiare alla luna, come nel Tarocco, per protestare senza risulta-to; i chiari di luna, indicano momenti di ristrettezze; la luna nel pozzo è qualcosa di impossibile; la pietra di luna o adu-laria è un minerale (silicato di potassio) che presenta delle luminescenze simili ai bagliori lunari. la mezzaluna con vi-

la luna nei tarocchi Di marsiGlia. xViii

di luana Montela luna

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GiuGno 2011 | n.0 133Runa Bianca

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cino una stella è simbolo dell’Islam e compare sulle bandiere di diversi stati .

Nell’Orlando Furioso di ludovico Ario-sto, il duca Astolfo, in groppa al cavallo alato Ippogrifo, per recuperare il senno di Orlando, impazzito, vola sulla luna, la dove finiscono tutte le cose che vengo-no perse sulla terra: il tempo, i sospiri di chi si ama, le lacrime, i desideri, la ragio-ne degli uomini.

l’autore dell’Ecclesiastico (43,8) la de-finisce “faro nelle regioni eccelse, splen-dente in alto nel cielo”; giacomo leo-pardi la osserva e le si rivolge sovente: “Placida notte, e verecondo raggio della cadente luna”; “Queta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna”; “Che fai tu, luna, in ciel ? dimmi, che fai, silenzio-sa luna”; D’Annunzio la saluta: “O falce di luna calante che brilli su l’acque deserte, o falce d’argento, qual messe di sogni ondeggia al tuo mite chiarore qua giù”; Saffo ne coglie la bellezza: “gli astri d’in-torno alla leggiadra luna nascondono l’immagine lucente, quando piena più risplende, bianca sopra la terra”.

note(1) dal latino satelles-itis = guardia del corpo, scorta, designa corpi celesti che ruotano in-torno ai pianeti. Pianeta, dal greco planetes= errante, vagante, è il nome attribuito a quei corpi celesti che, ruotando intorno ad una stel-la centrale, sembrano muoversi con libertà e velocità, in contrapposizione agli altri astri ap-parentemente fissi sulla volta celeste. Quando nel luglio 1969 l’astronauta Armstrong scese sulla superficie lunare, a tutti noi che fummo spettatori di una impresa che sembrava impos-

sibile ( di cui però taluni dubitano), parve di fare insieme a lui “un piccolo passo per l’uomo un grande passo per l’umanità”. Secondo una credenza, la luna che vediamo adesso non sa-rebbe la prima del nostro pianeta: anticamente ce n’era una più grande, affermano, che con la sua forza d’attrazione maggiore consentiva la vita sulla terra di animali enormi come i dino-sauri ed uomini altissimi, i giganti.(2) Plutarco asserisce: “Iside altro non è se non la luna: e perciò fra i vari tipi di immagini della dea, quelle con le corna rappresenterebbero la luna crescente, mentre quelle vestite di nero alluderebbero ai periodi in cui essa è nascosta e invisibile, quando cioè è presa d’amore per il sole e lo insegue”. Plutarco, op. cit. , p. 115.

BibliografiaSacra bibbia, Roma, 1966.Chevalier j. - Dictionnaire des Symboles, Paris, 1969.De Rachewiltz b., I miti egizi, Milano, 1983.Dizionario Enciclopedico Treccani, RomaD’Annunzio g., in: www.incontroallapoesia.itgraves R., Miti greci, Milano, 1977.leopardi g., Canti, in: www.filosofico.netMonte F., Astrologia occulta, Roma, 1979Monte F. - Monte l., l’uomo e lo zodiaco, Roma, 1984.Pairault F. H., Diana Nemorensis deesse latine, Mefra 81, 1969.Petronio Arbiter, Satyricon, in: www.latin.itPirandello l., Novelle per un anno, in :www.pi-randelloweb.comPlutarco, Iside e Osiride, Milano, 1985.Proverbi degli elementi, in: www.angelfire.comSelene, Dizionario dei proverbi, Milano, 1991.

A mia madre Raffaella, che, come la luna, ora mi sorride da lassù.

di luana Montela luna

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tero Gli Etruschi e le Rune:

mistero o enigma?

di Mario Moiraghi

Etruschi, ma anche Reti

tempo di lettura 6 minuti

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GiuGno 2011 | n.0 135Runa Bianca

mistero

l’alfabeto etrusco, anzitutto, può ritenersi ragionevolmente noto e decifrato. Si trat-ta, anche in questo caso, di un alfabeto

di chiara marca mediterranea. Interessante è il raffronto con quello greco, con il quale possiede notevoli affinità, ma anche con altri alfabeti, con quello fenicio e con quello ebraico (con i quali condivide quasi una decina di lettere e l’anda-mento da destra a sinistra) e con quello latino, del quale fu probabilmente il seme e lo strumento di distacco dal greco.

lettura non difficile, dunque, ma il vocabolario con cui è costruita la maggioranza delle frasi si compone di poche centinaia di parole. Molte, fra queste, sono nomi di divinità, nomi di persona, verbi elementari, come donare o fare, qualche pronome, numeri, oggetti votivi, ... Mancano, o sono insufficienti, o sono incomplete, molte cate-gorie di parole fondamentali del vivere quotidia-no, i nomi di animali e di vegetali, i verbi di azione, ... quanto insomma consentirebbe di percepire un discorso corrente, un racconto, una poesia, una sistematica successione logica del pensiero.

l’alfabeto etrusco è stato, nella storia, il primo sistema di caratteri organico, completo e matu-ro, che ha condizionato e favorito il diffondersi di tutta la cultura occidentale.

Di questo sistema di scrittura esistono testimo-nianze diffuse, ma la prima forma organica e, più

tardi modificato, adattato o perfi-no contrabbandato sotto il nome di rune celtiche. è assai importan-te sottolineare che il primo alfa-beto completo, strutturato e ma-turo, comprensivo di vocali (che fino allora erano assenti) com-pare per la prima volta nel baci-no mediterraneo per opera degli Etruschi. Di tale primogenitura esiste una testimonianza precisa:

di Mario Moiraghi

mario moiraGhi Nato a Milano, nel 1942, si de-dica attualmente alla realizza-zione di testi storici e scientifici, allo studio di eventi sociali di rilievo e alla progettazione di piani operativi per la gestione di situazioni di rischio ambien-tale e di emergenza. In campo linguistico, in aggiunta a quat-tro lingue moderne, al greco antico e al latino, ha compiuto studi sulle calligrafie medievali, sulle lingue del bacino mesopo-tamico e sull’egiziano geroglifi-co. Ha diretto riviste scientifiche e pubblicato numerosi articoli tecnici e storici, per riviste italia-ne e di lingua inglese. gestisce il sito www.scriptorium.it. Tra i suoi libri ricordiamo: La scoper-ta del vero sacro Graal (Piemme, 2001), L’enigma di San Gal-gano. La spada nella roccia tra storia e mito (Ancora, 2005) e...

il grande libro del graalAncora, 2006

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gli Etruschi e le Rune: mistero o enigma?

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136 GiuGno 2011 | n.0Runa Bianca

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una tavoletta assai nota agli etruscolo-gi e ritrovata a Marsiliana D’Albegna, nei pressi di grosseto, contiene il primo completo ed esau-riente alfabeto di 26 lettere, già strutturato prati-camente nella se-quenza a noi nota e comprensiva di q u e l l ’e l e m e n t o innovatore fonda-mentale nelle no-stre lingue, costi-tuito dalle vocali.

le lingue me-diterranee più an-tiche, infatti, non possedevano le vocali ma si limi-tavano ad utilizza-re le consonanti. Solo l’esperienza e la pratica diretta consentivano di pronunciare una parola in modo concreto, aggiun-gendo i suoni vo-calici più per cul-tura che per reale scrittura.

Se ancor oggi questa fosse la pratica scrittoria, la terna TRN potreb-be significare treno, trono, Trani, turno, eterno, Torino, torno

e, naturalmente terna. è facile immagi-nare quali difficoltà si pongono quindi

ad interpretare fenicio, ebraico antico ed arabo, che sono stati tramandati nel tempo in base alla loro struttu-ra consonantica. l’introduzione delle vocali co-stituisce pertan-to una rivolu-zione scrittoria fondamentale per la compren-sione delle pa-role.

P o s s i a m o porre la que-stione in questi termini: sia la scrittura greca che quella etru-sca compaiono nel secolo VIII a.C., ma la prima forma rivoluzio-naria, organica e completa di caratteri, ormai stabilizzata su una sequenza alfabetica come oggi utilizzata in Occidente, è messa a fuoco

dagli Etruschi, nel secolo VII a.C.

l’alFateto etrusco conFrontato con altre linGue Del passato

di Mario Moiraghigli Etruschi e le Rune: mistero o enigma?

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GiuGno 2011 | n.0 137Runa Bianca

mistero

etruschi e rune

la connessione fra caratteri etruschi e le cosiddette rune è un problema com-plesso, sul quale occorre procedere per gradi.

Un primo accostamento alla materia deve tener conto del cosiddetto “proble-ma retico”. I Reti sono una popolazione presuntivamente diffusa in un area che include la Valtellina, il Veneto, l’odierno Cantone dei grigioni e la Val Venosta, con qualche prosecuzione areale verso l’Austria e la Svizzera più settentrionale. Collegamenti di questo areale giungono in Slovenia e sulle coste dalmate, giun-gendo fino in Albania, dove il nome Ti-rana è riconosciuto come legato ad una divinità etrusca, Turan, dea della bellez-za.

Iscrizioni retiche o comunque stret-tamente legate alla grafia dei Reti, com-paiono in Trentino (Sanzeno, Val Di Non, Val Di Fiemme e altre località), Veneto Settentrionale (Magrè, Padova, Verona, Treviso), Alto Adige (bolzano, Schlu-derns, Malles, bressanone-brixen e alto), Tirolo (Inntal, Steinberg, Engadina).

In realtà l’analisi diretta rivela la stretta parentela con i caratteri etruschi, come

si osserva anche nelle Iscrizioni Vene-tiche, facilmente assimilabili allo stesso ceppo grafico, a Este, Padova e Cadore, o alle iscrizioni Camune della Provincia Di brescia (berzo-Demo, Cividate Camuno, Naquane, Scale di Cimbergo, Foppe Di Nadro, Piancogno...) e alle iscrizioni le-ponzie diffuse nelle Province di Verona, bergamo, brescia, Milano, Pavia e Varese, fino alla Provincia di Vercelli.

l’alluvione di grafie imparentate con il ceppo degli Etruschi, anzi dei Rasenni o Rasna, si manifesta negli infiniti topo-nimi che vanno dai molti Piz Rasna della Val Venosta, al palese nome etrusco di Vipiteno, Sterzing in tedesco.

Anche wikipedia afferma che “le rune probabilmente derivano da una scrittu-ra appartenente al gruppo delle cinque principali varietà di alfabeto italico set-tentrionale, derivato dall’alfabeto etru-sco, e perciò detto nord-etrusco”.

Si rivela però che questa assimilazione dell’alfabeto etrusco e la relativa trasfor-mazione nelle cosiddette rune avviene qualche secolo dopo Cristo, quando or-mai gli Etruschi stavano scomparendo per l’azione congiunta dei latini e, come diremo in altra sede, della Chiesa.

Il fenomeno segnala anche la profon-da traccia che la cultura etrusca ha semi-nato nell’intero continente europeo.scritta etrusca presso il museo Di Fiesole

di Mario Moiraghigli Etruschi e le Rune: mistero o enigma?

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fupark

Qualcosa di più si può dire in merito al fupark. Vengono definiti rune i caratteri appartenenti ad una serie più o meno ampia di lettere certamente utilizza-te in area germanica e nord europea, con scopi di breve iscrizione su pietre, oggetti votivi, prodotti di artigianato o strumenti militari.

Ma attorno alle rune è stata creata un’atmosfera misteriosa, dando credi-to al fatto che esse siano state usate, per eccellenza, nelle pratiche di magia. Il che non è vero. In realtà le rune, inte-se come apparato calligrafico usato in modo sistematico nel nord europeo, ap-paiono nei primi secoli d.C. e la loro serie più nota è detta fupark, o sistema runico germanico antico, datato non prima dei secoli II e III d.C.

Per quanto i più recenti studi ne ipo-tizzino ormai senza dubbio un origine classica, la scrittura runica compare per la prima volta nel II sec. della nostra era nel nord dell’Europa ed il mito vuole che la sua invenzione sia opera degli Dei. è certo che la più antica iscrizione runica risale al I° o più probabilmente II° sec. d.C. ed è un incisione che si trova sulla celebre fibula di Charnaix, ora conserva-ta nel museo di Saint-germaine en laye, comune della cintura urbana di Parigi, originaria della Danimarca e facente parte di un carniere ritrovato in borgo-gna.(1)

In merito alle rune e al fupark vale la pena elencare sinteticamente quale sia l’opinione consolidata dei maggiori stu-diosi in materia.

1. il fupark ha la sua fonte prima-ria negli alfabeti di derivazione etrusca dell’Italia nord orientale e, secondaria, nell’alfabeto latino.(2)

2.Il processo creativo, che ha portato alle rune, ha avuto come intermediario probabile il popolo venetico.(3)

3. il fupark non ha avuto origine né funzione rilevante nel mondo della ma-gia.

Nel complesso, si può affermare che le rune si possono a buon diritto con-siderare la più importante acquisizione dei germani nel loro contatto con le po-polazioni dell’Italia antica.

Su queste basi è interessante osserva-re che, a partire da queste prime forme imitative germaniche, le rune si sono diffuse in tutta Europa, fino alla Dani-marca, alla Svezia, alle isole britanniche e all’Islanda.

In ogni caso le rune non si prestarono mai ad un uso letterario e pratico, non ebbero una versione corsiva, furono uti-lizzate soprattutto nelle epigrafi e diven-nero un “passatempo di dotti”.(4)

note:1) Carlo Recalcati | Pubblicato il 30/04/2003 sul citato sito bibrax2) R. gendre in Alfabeti: preistoria e storia del linguaggio scritto – Colognola ai Colli 2000 – Ed. Demetra, pag. 2313) ibid.4) R. gendre ibid. Quanto la materia sia com-plessa lo dimostrano incredibili vicende lingui-stiche, come quella dell’influenza esercitata dai monaci irlandesi (!) nella formazione e nello sviluppo dei caratteri cirillici slavi. Vedere D. Poli in Alfabeti citato, pag. 218.

di Mario Moiraghigli Etruschi e le Rune: mistero o enigma?

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tero Sfingi e piramidi

in Sardinia

di leonardo Melistempo di lettura 9 minuti

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mistero

l’estate del 2010 vedeva la nascita di “Shardana Jenesi degli Urim” che, oltre alla pubblicazione di un documento in

scrittura shardana, annunciò anche la scoper-ta di una seconda Ziqurat dopo quella di Monte d’Akkodi. la scoperta, annunciata da leonardo Melis già nella Pasqua precedente alla Tv e alla Stampa, provocò la rabbia incontrollata di Arche-ologi della Sovrintendenza e Cattedratici. le mi-nacce di pubblicazioni di smentite si sprecarono, anche perché la nuova edizione del libro appena dopo due mesi dalla pubblicazione annunciava che la ziqurat era costruita sopra un Nuraghe. E poiché i nostri amici “Archeobuoni” avevano tra l’altro dichiarato essere tale costruzione un sem-plice Protonuraghe… possiamo immaginare la figura!

Mentre la ziqurat di Pozzomaggiore finiva in Tv e Stampa, il Documento scritto finiva in Parlamen-to per un’interrogazione al Ministro della Cultura. Una petizione con migliaia di firme portava a Set-tembre la segnalazione dell’esistenza di questo documento all’opinione pubblica e alle Autorità. Ricordiamo che il reperto fu trovato in uno scavo ufficiale dalla Sovrintendenza di Sassari non lon-tano dalla stessa ziqurat. Questo accadeva nel 2006, ma del Documento nessuno sapeva nien-te, fino al ritrovamento casuale delle immagini da parte di leonardo Melis. lo stesso Melis inca-

ricava un suo amico della decifra-zione e della scoperta di quanto sospettava. Nel documento vi è la parola SaRDaNa e l’Aleph Sinai-tico molto presente anche in altri scritti segnalati da Melis.

Un antico detto recita che “una ciliegia tira l’altra”, e così a genna-io di quest’anno ci arrivava una segnalazione di una strana co-struzione più a Nord di quella di

di leonardo Melis

leonarDo melis è noto per essere autore di al-cuni saggi sui Popoli del mare, gli Shardana. Ha presenziato un centinaio di conferenze ed interventi su questo tema che considera trascurato dalla sto-riografia ufficiale, soprattutto in Italia. Insieme al matematico Nicola de Pasquale ha sviluppa-to un’interpretazione delle pin-taderas (o Arrodas de tempus) come calendario della civiltà nuragica, in analogia a quelli di altri popoli dell’epoca. Tra i suoi libri ricordiamo: Shardana: I popoli del mare (PTM Editrice, 2002), Shardana: I principi di Dan (PTM Editrice, 2005), Shardana: I calcolatori del tempo (PTM Edi-trice, 2008), Shardana: I custodi del tempo (PTM Editrice, 2008), e infine...

shardana:Jenesi degli urim

PTM Editrice , 2010

leggi scheda completa >>

Sfingi e piramidi in Sardinia

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Pozzomaggiore già pubblicata. Anche stavolta si trattava di una costruzione a gradoni, ma di forma rotonda. A noi ri-corda le Pajare pugliesi e alcune costru-zioni delle baleari, sempre a gradoni. Appena il tempo di esplorare la “Pajara”, che già un’altra segnalazione ci arrivava dalla zona della Prima ziqurat, nel Nord Sardinia. Questa è più alta e ricorda la “Torre di babele “ dei film.

l’annuncio in Conferenza di sabato 26/02/2011 della scoperta destava l’in-teresse dei Media e la probabile reazio-ne della “Scienza Ufficiale” che di sicuro dichiarerà trattarsi di qualche ricovero di pastori (a tre o quattro piani!) o al massi-

mo di “Ne-viere”! Si, di Neviere.

Questo quanto dichiarato da un ad-detto ai lavori alla domanda da parte di Daniele (uno degli scopritori). le Nevie-re, anzi le “Domus de su Nie” (case della neve) erano costruzioni che si potevano vedere nel Gennargentu fino ai primi del secolo scorso. Si tratta di pozzetti con co-pertura in pietra ove i baroni della zona conservavano la neve per la produzione dei sorbetti in estate. Vi è il sospetto che l’esperto interpellato abbia preso un granchio, visto che la “Neviera” si trova a livello del mare!

sfingi nel sinis?

Nella conferenza del sabato 26 feb-braio 2011 annunciavamo al pubblico, già meravigliato per le nuove ziqurat, il

Vista Frontale Della ziGGurat

di leonardo MelisSfingi e piramidi in Sardinia

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mistero

ritrovamento di una Sfinge nella favo-losa penisola del Sinis, già consacrata al Dio Nanna/Sin e residenza di Sharda-na e Tursha fino al 216 a.C. nella città di Tharros. A pochi passi dal luogo del ri-trovamento della Sfinge furono trovati nel 1974 le 35 Statue di Monti Prama, dimenticate per trent’anni in uno scan-tinato del Museo di Cagliari.

Conoscevamo la strana figura anima-le già dal 2009, segnalata da un amico del forum dei Popoli del Mare, Stefano. la roccia però risultava in parte coperta

dalla mac-chia medi-terranea e

non ci era parsa troppo interessante.Una serie di articoli di stampa e al-

cuni comunicati nelle TV locali ci incu-riosirono ancora ai primi di gennaio di quest’anno (2011). Un medico di Orista-no, appassionato di archeologia (Salva-tore Zedda) ci invitò a fare un sopraluogo per indicarci un ritrovamento che poteva testimoniare l’autenticità del manufatto. Poco distante dalla figura animale si tro-vava un masso di circa 700 kilogrammi per metà sottoterra. la parte affiorante è compatibile con il corpo, ma la faccia è sotto. Non possiamo, senza le autorizza-zioni della Sovrintendenza, toccarla per il momento, ma un altro particolare, anzi

Vista Frontale Della sFinGe

di leonardo MelisSfingi e piramidi in Sardinia

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due, ci hanno convinto dell’autenticità. Il collo presenta dei fori regolari, siste-mati a coppie, mentre la “testa” ha delle protuberanze che, anche se consumate dalle intemperie e dal tempo, sembrano compatibili con i fori. la sistemazione movibile della testa non è il primo esem-pio in queste sculture, la Sfinge di giza ha una testa probabilmente posticcia.

la Sfinge del Sinis non è l’unica sfinge ritrovata in Sardinia. A parte le tre prove-nienti da Solky (S. Antioco) e conservate nei musei dell’Isola, un’altra gigantesca che già pubblicammo in “I Calcolatori del Tempo” troneggia nel Sud-Ovest sardo. Anche questa poteva sembrare un ca-polavoro del vento, come le varie scultu-re nella costa della gallura. Questa però appare lavorata e soprattutto si presen-ta con una conformazione diversa dalle rocce circostanti. Appare liscia e con un “Pulpito” scavato sulla testa. Alta circa 4,5 m sovrasta una foresta con all’inter-no dei resti di insediamento umano e con tracce di ceramiche e altri manufatti. Nella sua parte destra del colo presenta un’abrasione, come di un’asportazione di una probabile scritta.

A riprova che si tratti di un manufatto, la foto mostra il “pulpito” scavato sulla testa della stessa Sfinge. Altra prova è dovuta al fatto che da qualsiasi parte la si guardi, risulta sempre essere una testa di fattezze egizie. Di contro, le varie roc-ce della gallura, l’Orso, l’Elefante ecc… cambiano se le si guarda da diversa an-golazione.

Qualcuno si chiederà ora il perché di tanta presenza egizia in Sardinia e nel Mediterraneo del II millennio a.C. la ri-

sposta sta proprio nell’identificazione dei Popoli del Mare in coloro che gli Egi-zi chiamavano SRDN.N.PI.YAM, (I Shar-dana del Mare), i “Signori delle Isole poste nel Grande Cerchio d’acqua, nel grande Verde”.

• Migliaia di scarabei con i cartigli dei faraoni Ramesse II, Ramesse III, Amenophe IV, Tothmose III…

• Testi geroglifici con le invocazioni alla Triade di Tebe.

• Statue raffiguranti la stessa Triade e diverse riproducenti Horus, Osiri-de, Hator, Sekmet, il Dio Nilo e altre divinità.

• Sfingi e altri animali sacri agli Egizi.• Imbarcazioni di giunchi, i Fassones,

identici a quelle egizie… tantissi-mi altri oggetti riferiti alla cultura del sacro fiume.

Certo non furono gli Egizi a portarli in Sardinia. Un popolo, quello egizio, che mai si sarebbe mosso dal suo paradiso. Qualcuno però frequentava assidua-mente la terra dei faraoni, per motivi di commercio e soprattutto per svolgere un compito che risulta dai testi egizi in maniera chiara. I Shardana erano un cor-po scelto dell’esercito egizio. Addirittu-ra fungevano da guardia del Corpo dei faraoni.

A Medinet Abu, luxor, Abu Simbel, si possono ammirare questi guerrieri a fianco al faraone. Assolutamente ricono-scibili dall’armatura, lo scudo tondo, l’el-mo con le corna e la spada a cuneo. Un ritrovamento avvenuto in quel di Thar-ros, non lontano dal luogo della Sfinge e

di leonardo MelisSfingi e piramidi in Sardinia

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da Monti Prama, ci ha fatto incuriosire e gioire per un’ulteriore conferma della presenza di mercenari shardana nell’e-sercito del faraone: un occhio di Horus. Non il solito occhio di Horus, di cui si contano decine di esemplari nel mu-seo di Cagliari, ma un Occhio di Horus a ciondolo che veniva consegnato a chi si arruolava appunto nell’esercito egizio. Questi soldati si comportavano come tutti i soldati del mondo e di ogni epo-ca: quando tornavano a casa in licenza o in congedo, portavano con sé i ricordi della Terra che li aveva ospitati! Piccoli souvenir, come gli scarabei, o statuette degli dei a cui si erano magari invocati durante le battaglie nel Delta o in Pale-stina, o in Siria (Qadesh!).

geroglifici in sardinia!

Una segnalazione fatta da un amico di Oristano, che ci inviò anche le imma-gini, ci ha lasciati di sasso. Pur essendo abituati ormai a cose insolite fino a po-chi anni fa, questa nuova acquisizione ci ha fatto fare un salto sulla sedia. Sa-pevamo del gruppo Statuario che raffi-gurava in una lastra di pietra (steatite?) la triade di tebe. Si tratta di una lastra che raffigura Amon-Ra, la moglie Mut e il loro figlio Khonsu. Una scoperta fat-ta, crediamo, dall’archeologo Taramelli decenni orsono.

la foto del nostro amico P. z. rap-presenta un’iscrizione geroglifica che, tradotta a suo tempo, parve proprio un’invocazione alla Triade in questio-ne. Si tratta in effetti di tre invocazioni, una per ogni Dio rappresentato. Siamo

riusciti ad avere le prime due, che vi proponiamo.

• Amon.ra. suten. neteru. tu. f. anch. utja. senb. nib. Cioè: “Amon-Ra, re degli Dei, signore del cielo, dia vita, salute e vigore pieni”.

• mut. urt. nebit. Pet tu. s. senb, ossia: “Mut… la gran Signora del cielo, dìa vigore”

Ora, già trovare una lastra con dei ge-roglifici in Sardinia è di per sè un fatto eclatante. Se poi lo scritto è collegato anche a un’immagine chiaramente egi-zia, la cosa assume i contorni del “giallo”. Vero è che il commento, probabilmente da attribuire al taramelli, sa proprio di dichiarazione tipicamente archeobuo-nica, del tipo “Scaraboide egittizzante di stile hyksos”. Vero è… sentiamo. “Sicura e... o almeno una famigliarità con la Lin-

lastra con GeroGliFici scoperta Da taramelli

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di leonardo MelisSfingi e piramidi in Sardinia

gua e la Scrittura egiziana. Per cui anche se trattasi di un’opera Fenicio/Punica... dovrebbesi pensare che l’autore (Fenicio, è naturale! N.d.A.) fosse conoscitore della Lingua e della scrittura in Egitto”

già da allora, anzi soprattutto allora, si faceva passare tutto per Fenicio/Pu-nico. Con buona pace della lampante realtà egizia del documento. lampante, perché abbiamo scoperto che la lastra in steatite con i geroglifici corrisponde esattamente alla lastra (in steatite) che rappresenta la Triade Tebana che vi mo-striamo. Insomma sul retro della lastra vi è la scritta, sul diritto il gruppo di Tebe. la nostra domanda è: perché una cosa tal-mente singolare (per essere cauti), ritro-vata in Sardinia, in una di quelle città da noi definite shardana e abita-ta proprio da quei popoli che frequentavano assiduamen-te l’Egitto, non è stata resa pubblica e pubblicizzata? Forse perché si deve conti-nuare a ignorare questa pre-senza? Perché tutto quanto è egizio, chiaramente egizio, deve essere attribuito a un Popolo, quello fenicio, mai esistito come Popolo “altro” e ad eseguire queste opere deve necessariamente esse-re stato un “artista fenicio” che conosceva a menadito i geroglifici? Stesso problema con gli scarabei con tanto di cartiglio dei faraoni egizi, de-finiti “Scaraboidi egittizzanti di tipo hyksos” datati al VII sec. a.C. quando degli hyksos

non vi era manco più memoria. Tutto questo per far “quadrare il cerchio” sulla presenza presunta dei Fenici?

Noi non ci crediamo. E pensiamo che sempre meno persone oggi credono a queste sciocchezze.

la cosa peggiore è il perché un docu-mento così importante al solito sia stato tenuto nell’ombra per tanto tempo.

Si argomenterà: “Ma il Taramelli la pubblicò”. “Si rispondiamo noi, anche lilliu pubblicò qualcosa sulle statue di Monti Prama. Diverso è DIVUlgARE, in modo che la gente possa fruire e com-mentare”.

iscrizione riscoperta Da melis a pozzomaGGiore