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TARANTO - VIA VENETO N.116 - TEL./FAX 0997305417 www.studiorizzo.biz
Studio Rizzo
La passione e l’amore per il lavoro sono la nostra vera forza.
Rubrica di Aggiornamento
Febbraio 2016
a cura della D.ssa Francesca Barbi
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INDICE
1. INVESTIRE ALL’ESTERO
da pag. 3 a pag. 7
2. CONSULENZA AZIENDALE da pag. 8 a pag. 18
3. CONTENZIOSO da pag. 19 a pag. 22
4. REVISIONE LEGALE da pag. 23 a pag. 24
5. CONCESSIONE DEL CREDITO da pag. 25 a pag. 26
6. ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI da pag. 27 a pag. 29
7. BANDI DI FINANZIAMENTO da pag. 30 a pag. 31
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INVESTIRE ALL’ESTERO
AVVIARE UNA STRATEGIA DI
INTERNAZIONALIZZAZIONE
- CENNI SUGLI INVESTIMENTI IN CINA - Nella fase di avvio di un progetto di internazionalizzazione è imprescindibile considerare
prima di tutto due elementi fondamentali quali l’attrattività del mercato di destinazione e la sua
accessibilità. Successivamente occorre valutare se l’offerta dell’impresa potrebbe ottenere consenso
nel Paese di destinazione. Su quest’ultimo aspetto vi sono diverse analisi da effettuare e soluzioni
attuabili. Si può adottare, per esempio, un approccio basato su un mercato globale (c.d. impresa
globale) caratterizzato da una sempre maggiore condivisione di consuetudini di vita e di consumo a
livello mondiale, ovviamente senza tralasciare le peculiarità di ogni mercato nel quale si opera.
Oppure l’impresa può adottare un approccio multi-domestico nel quale le variabili del
marketing-mix sono adattate alle caratteristiche del mercato di destinazione.
Accanto a questa analisi occorre poi valutare la più opportuna strategia di ingresso, che
definisce come affrontare i concorrenti già presenti nel mercato di destinazione. Si possono
scegliere strategie di attacco diretto oppure indiretto. Le modalità di ingresso nel mercato di
destinazione sono essenzialmente tre:
a) Esportazione;
b) Alleanze;
c) Insediamento produttivo
Con l’esportazione l’impresa entra nel mercato estero collocando sul mercato i suoi prodotti
in modo diretto oppure indiretto. In tal modo, si riducono i costi ed i rischi connessi ad un processo
di internazionalizzazione maggiormente invasivo ma, allo stesso tempo, si perde la possibilità di
agire in modo diretto nel mercato estero.
Con le alleanze strategiche si collabora su un progetto con un’impresa già presente nel
mercato di destinazione. In alternativa, si possono scegliere accordi di licenza o il c.d. piggyback.
Da ultimo si può decidere di stabilire un insediamento nel mercato estero. Questo implica
dei costi iniziali elevati, ma diversi vantaggi strategici e di marketing. Nel dettaglio l’insediamento
può essere di tipo greenfield oppure di tipo brownfield.
In particolare nel caso da noi analizzato in Cina gli imprenditori italiani che hanno deciso di
internazionalizzarsi hanno optato, nella maggior parte dei casi, per l’istituzione di un ufficio di
rappresentanza. Quest’ultimo non è un ente giuridico e non può né fatturare né incassare pagamenti,
tranne alcune eccezioni. Tuttavia, può avere un conto corrente e deve essere registrato presso le
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autorità locali (State Tax Bureau e Local Tax Bureau). L’ufficio di rappresentanza si limita ad
effettuare il controllo della qualità, e a gestire le attività di marketing ed altre attività ausiliarie. Il
rendiconto è costituito prevalentemente da costi. Nonostante ciò si applica la tassazione su un
reddito figurativo. In questo caso il reddito potrà essere calcolato in tre modi alternativi:
1. actual income, solo per uffici di rappresentanza che esercitano direct profit making
operations;
2. tassazione del reddito presunto mediante un tasso presunto di profitto;
3. cost- plus method (costo maggiorato). Con questo metodo la tassazione si suddivide in
corporate income tax, business tax e tasse locali.
Alternativamente si può optare per l’istituzione di una Foreign Invested Commercial
Enterprise (FICE) la quale implica una tassazione maggiore; infatti, solo l’aliquota sul profitto è del
25%. Tuttavia, in quest’ultimo caso si può sfruttare il vantaggio di poter detrarre l’IVA e di
usufruire di agevolazioni fiscali soprattutto per imprese operanti in alcuni settori strategici quali
ricerca, energia, tecnologia. Infine, un ulteriore vantaggio della FICE è quello di poter assumere
personale direttamente.
PMI VERSO I MERCATI ESTERI, IL ROADSHOW DEI
COMMERCIALISTI PER
L‟INTERNAZIONALIZZAZIONE
Dopo il Protocollo d'Intesa siglato il 26 gennaio u.s. con il Consiglio Nazionale dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC), Assocamerestero é intervenuta oggi alla
Conferenza stampa "PMI verso i mercati esteri, il roadshow dei Commercialisti per
l'internazionalizzazione", svoltasi presso il Senato della Repubblica.
Obiettivo della conferenza, presentare le opportunità di assistenza specializzata e
qualificata, soprattutto per quanto riguarda la legislazione commerciale e fiscale, a disposizione
delle imprese sul tema dell’internazionalizzazione.
Questa iniziativa di raccordo con i dottori commercialisti si lega anche con la legge di
Stabilità 2016 che porta in dote per i professionisti il libero accesso ai fondi strutturali. Da
quest’anno, infatti, i liberi professionisti, in conformità alla normativa comunitaria, sono equiparati
alle PMI in quanto esercenti attività economica, diventando quindi a tutti gli effetti destinatari dei
fondi europei stanziati fino al 2020.
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Per i professionisti si apre quindi la possibilità di concorrere a oltre 31 miliardi di euro
di risorse comunitarie, a cui si aggiunge la quota di cofinanziamento nazionale e a carico delle
regioni.
ICE – MIPAAF, DUE PIANI PER FAVORIRE
L‟EXPORT ITALIANO
L’Istituto per il commercio estero (ICE), con la collaborazione del Ministero delle politiche
agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), ha varato i primi due piani d’intervento per favorire
l’export nel settore agroalimentare e proteggere i prodotti italiani dalla contraffazione. Due dei
quattro interventi che rientrano nel piano di Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy.
Nel dettaglio il primo intervento, mira a diffondere l’agrifood italiano negli Stati Uniti
focalizzando la sua azione nei punti vendita tramite una maggiore presenza sulle piattaforme di e-
commerce, degustazioni e altre attività di valorizzazione delle DOP e IGP.
Il secondo è dedicato, invece, al mercato del Canada al fine del consolidamento della presenza
dell’agrifood italiano nella grande distribuzione organizzata e nella ristorazione.
Per entrambe le tipologie di intervento sono è stata prevista una dotazione finanziaria pari a 3
milioni di euro. Per i successivi interventi mirati ai processi di penetrazione in
nuovi mercati, anche mediante accordi di distribuzione, saranno destinati fondi per
1 milione di euro.
BANDO PER LA SELEZIONE DI START-UP
INNOVATIVE PER PERCORSO DI SVILUPPO
INTERNAZIONALE Il bando si colloca all’interno del progetto pilota “InnovAzione - Assistenza allo Sviluppo
Internazionale di start-up innovative” realizzato da Assocamerestero in collaborazione con le 79
Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE), con ICE - Agenzia per la promozione all’estero e
l’internazionalizzazione delle imprese italiane e con il supporto finanziario del Ministero dello
Sviluppo Economico - MiSE.
Il bando è aperto a tutti gli operatori pubblici e/o privati che erogano da almeno 12 mesi
programmi di accelerazione di startup in Italia o all’estero, ovvero che operano da almeno 12 mesi
attraverso call periodiche per il supporto di startup in gruppi o classi nel loro primissimo periodo di
vita con finanza, mentorship, formazione e altri servizi necessari alla loro crescita e che in questo
periodo di 12 mesi abbiano collaborato all’attivazione di almeno 3 startup.
Fra tutte le candidature pervenute saranno selezionate 20 startup che avranno a disposizione:
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mentoring finalizzato all'individuazione del mercato estero, tra i 54 in cui hanno sede le
CCIE, più adatto al prodotto/servizio offerto;
agende di incontri con controparti estere interessate allo sviluppo del business proposto;
possibilità di coworking - fino a 3 mesi - presso la CCIE del paese prescelto e/o altra sede
da questa individuata;
collegamento e networking con ICE Agenzia e con le altre presenze imprenditoriali
italiane localizzate nel mercato target;
collegamento con qualificati intermediari della finanza operanti sulle principali piazze
internazionali.
La domanda di partecipazione per candidare le startup deve essere presentata avvalendosi
esclusivamente della modulistica predisposta da Assocamerestero.
In base alla proroga intervenuta, le domande dovranno pervenire, pena l‟esclusione, entro e
non oltre le ore 12:00 del giorno 31 marzo 2016 e dovranno essere inviate tramite
raccomandata del servizio delle Poste Italiane S.p.A., ovvero mediante agenzia di recapito
autorizzata, indirizzata a:
Assocamerestero - Associazione delle Camere di Commercio Italiane all‟Estero Via Sardegna,
17 – 00187 Roma, indicando sulla busta la dicitura “Progetto InnovAzione”
E’ altresì possibile la consegna a mano del plico direttamente o a mezzo di terze persone, dal
lunedì al venerdì dalle ore 9:00 alle ore 18:00, entro lo stesso termine perentorio (ore 12:00 del
31 marzo), presso la sede di Assocamerestero.
CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO PER PMI IN RETE
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha messo a disposizione dei contributi a fondo
perduto riservati ai Consorzi per l‟Internazionalizzazione composti da almeno cinque piccole e
medie imprese consorziate.
L’agevolazioni previste mirano a:
sostenere le PMI nei mercati esteri;
favorire la diffusione internazionale dei loro prodotti e servizi;
incrementare la conoscenza delle autentiche produzioni italiane presso i consumatori
internazionali, per contrastare il fenomeno dell’italian sounding e della contraffazione dei
prodotti agroalimentari.
In particolare possono essere finanziati i progetti di internazionalizzazione:
valore non inferiore a 50.000 € e non superiore a 400.000 €;
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realizzati tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2016;
che vedono coinvolte in tutte le sue fasi, almeno cinque PMI consorziate provenienti da
almeno tre diverse regioni italiane, appartenenti allo stesso settore o alla stessa filiera (il
Progetto presentato da Consorzi con sede legale in Sicilia o Valle d’Aosta può anche avere
una strutturazione monoregionale, prevedendo il coinvolgimento di sole imprese con sede
legale in una delle citate regioni);
che non annoverino imprese che siano in liquidazione o soggette a procedure concorsuali.
Allo stesso modo le tipologie di spese agevolabili sono rappresentate:
partecipazioni a fiere e saloni internazionali;
eventi collaterali alle manifestazioni fieristiche internazionali;
show-room temporanei (durata max 6 mesi);
incoming di operatori esteri;
incontri bilaterali fra operatori esteri e all’estero;
workshop e/o seminari in Italia con operatori esteri e all’estero;
azioni di comunicazione sul mercato estero;
attività di formazione specialistica per l’internazionalizzazione, destinata esclusivamente
alle imprese partecipanti al progetto. Tale attività non può costituire più del 25% del costo
totale delle iniziative;
realizzazione e registrazione del marchio consortile.
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CONSULENZA AZIENDALE
LE OPZIONI DA ESERCITARE IN DICHIARAZIONE
IVA
Durante il Telefisco di quest’anno gli esperti si sono soffermati sul tema di minimi e
forfetari facendo luce su alcuni punti poco chiari.
Nel dettaglio le risposte più importanti sono state essenzialmente 2:
• possibilità anche per i minimi nati nel 2015 di portare a conclusione il regime (per 5 anni o
fino ai 35);
• possibilità di derogare al vincolo triennale per chi nel 2015 ha optato per il regime
ordinario.
In particolare la prima questione nasceva dal fatto che l’esplicita possibilità che la continuità
del regime potesse trovare applicazione solo per i contribuenti minimi tali al 31.12.2014. Tuttavia
nel corso del Telefisco si è eliminato qualsiasi dubbio in proposito estendendo analoga facoltà
anche ai minimi nati nel 2015.
In merito alla seconda questione altra apertura si è data ai soggetti che nel 2015 hanno
optato per il regime ordinario e che nel 2016 vogliano passare al regime forfetario. Infatti nella
generalità dei casi i contribuenti che pur avendo i requisiti per aderire al regime forfetario,
applicano il regime ordinario, possono farlo optando per tale regime nella prima dichiarazione Iva
dopo la scelta e tale opzione vincola per almeno un triennio. Ciò nonostante in caso di modifica del
sistema normativo è prevista la possibilità di variare l’opzione. Perciò appoggiandosi a tale ultima
previsione, gli esperti di Telefisco, hanno risposto individuando anche per gli ordinari del 2015 la
possibilità di revocare la scelta consentendo l’applicazione dall’1.01.2016 del regime forfetario,
date le rilevanti modifiche nell’impianto di tale regime agevolato. Pertanto la revoca del regime
ordinario andrà effettuata nella dichiarazione IVA 2016, barrando il rigo VA14 per indicare che il
2015 sarà l’ultimo anno in regime ordinario.
In rifermento alle differenti opzioni che si possono esercitare nella dichiarazione IVA 2016
sono stati introdotti nuovi righi nel quadro VO al fine di esplicitare il regime adottato nel 2015 se
diverso da quello naturale, ossia il regime forfettario, avendone i requisiti.
In altre parole, un soggetto che nel 2015 aveva tutti i requisiti per accedere al regime dei
forfettari ex L.190/2014 ma, attraverso il comportamento concludente, ha aderito al regime
ordinario oppure al regime dei minimi (ex D.L. 98/2011) deve “confermare” la sua scelta barrando,
nel quadro VO:
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• il rigo VO33 per optare per il regime ordinario dall’1.01.2015. Tale rigo esplica la volontà
di non aderire al regime forfetario nel 2015 e quindi di aver tenuto con comportamento
concludente un regime ordinario, ossia emissione di fatture in Iva, detrazione dell’Iva
acquisti ed eventualmente applicazione della ritenuta se il soggetto è un professionista;
• il rigo VO34 per optare per il regime dei minimi dal 2015, il quale anch’esso non era un
regime naturale per il 2015, poiché soppiantato da quello dei forfetari.
Altro caso è il soggetto nato nel 2015 che, in virtù della proroga del regime dei minimi
anche per tutto il 2015, ha scelto di avvalersi di tale regime. In tal caso dovrà barrare il rigo VO34,
tuttavia tale opzione sarà una conferma della scelta che ha già fatto in sede di inizio attività.
IL TRATTAMENTO DEL SOCIO LAVORATORE
NELLE SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA
L’inquadramento del socio lavoratore nelle srl rappresenta da sempre un tema controverso,
soprattutto nelle piccole e medie imprese. Cerchiamo quindi di chiarire i principali dubbi.
Innanzitutto occorre distinguere due fattispecie rappresentate rispettivamente dalla figura del
socio prestatore d‟opera e quella del socio dipendente.
La prima presuppone la partecipazione del socio al capitale sociale e quindi l’apporto del
proprio lavoro a titolo di conferimento. Di conseguenza, il venir meno di questa condizione può
determinare l’esclusione del socio stesso dalla società.
La seconda fattispecie, contrariamente alla precedente, presuppone l’instaurazione di un
vero e proprio rapporto di lavoro e, come tale, si può configurare al ricorrere di tre condizioni
strettamente necessarie:
subordinazione al potere di direzione del datore di lavoro;
continuità della prestazione oggetto del contratto di lavoro subordinato;
onerosità della prestazione pattuita nel contratto di lavoro.
Tuttavia occorre precisare che conditio sine qua non affinché si possa parlare di lavoro
dipendente è che il socio “lavoratore” non partecipi al capitale sociale con una percentuale che gli
affidi il potere di direzione e controllo e che il suo voto nelle delibere assembleari risulti
determinante alle decisioni oggetto delle stesse.
Appare ovvio escludere quindi l’Amministratore Unico dai soggetti inquadrabili come
dipendenti all’interno della società, nel rispetto dell’etero-direzione che configura il rapporto di
lavoro subordinato.
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Pertanto, l’inquadramento del socio come dipendente della S.r.l. alla quale costui partecipa non
si può escludere, ma deve necessariamente tenere conto di alcune condizioni affinché si rispetti il
vincolo di subordinazione tra le due parti. In caso contrario è valutabile che lo stesso socio si
configuri come prestatore d’opera all’interno della propria Società.
RIDUZIONE CONTRIBUTI PREVIDENZIALI REGIME
FORFETARIO
La riduzione contributiva Inps prevista per chi aderisce al regime forfetario può essere
fruita esclusivamente mediante richiesta da inviare all‟INPS entro il 28 febbraio, anche per
coloro che già nel 2015 avevano fatto domanda per la diversa agevolazione all’epoca vigente, ora
modificata dal comma 111 dell’articolo 1 della legge di Stabilità 2016. È quanto prevede il
messaggio Inps 26 gennaio 2016, numero 286 .
In particolare nel 2015 chi rientrava nel regime forfettario aveva la possibilità, su apposita
istanza da presentarsi entro il 28 febbraio per i soggetti già attivi a tale data, di determinare la
contribuzione dovuta sul reddito forfettariamente determinato senza applicare il livello minimo
imponibile evitando, quindi, i cosiddetti “contributi fissi” ed effettuando i versamenti in acconto ed
a saldo in corrispondenza delle scadenze della dichiarazione dei redditi.
Tale scelta (opzionale) è stata regolamentata dall’Inps con circolare n. 29 del 10 febbraio
2015, cui ha fatto seguito, per i dettagli operativi, il messaggio Inps n. 1035 del giorno successivo.
La legge 208/15, tuttavia, oltre a ridisegnare in larga misura il regime fiscale dei forfettari, ha
modificato anche l’agevolazione contributiva prevedendo, in luogo dell’abbandono degli importi
minimali, l’attuale riduzione del 35% del reddito che costituisce base imponibile ai fini
previdenziali.
Resta fermo che il diritto all’accreditamento dei contributi mensili versati ai fini previdenziali è
proporzionalmente ridotto (articolo 2, comma 29, legge n. 335/95).
In relazione a tale agevolazione l’Inps ha chiarito che:
• la nuova agevolazione è facoltativa e viene riconosciuta solo previa domanda
dell’interessato;
• l’istanza deve pervenire all’Istituto attraverso l’apposito modulo disponibile all’interno del
cassetto previdenziale del contribuente;
• il termine di presentazione dell’istanza è “tassativamente” fissato, per i soggetti già attivi,
per il prossimo 28 febbraio. In caso di ritardo, l’accesso all’agevolazione ha effetto dal 1° gennaio
dell’anno successivo e comporta, comunque, l’invio di una nuova istanza (circolare n. 29/2015);
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Nessun rilievo assumono, a questi fini, le istanze già presentate nel 2015, le quali sono state
chiuse d’ufficio al termine dello scorso anno.
Occorre, infine, precisare che l’Istituto fa sempre riferimento alla gestione “artigiani e
commercianti”, escludendo quindi, implicitamente, i forfettari iscritti alla gestione separata.
ASSEGNAZIONE AGEVOLATA DI BENI AI SOCI
La Legge di Stabilità 2016 introduce la possibilità, per le società di persone e di capitali, di
assegnazione agevolata ai soci di beni sociali.
In linea generale stando all’interpretazione della norma, in attesa di chiarimenti da parte
dell’Agenzia delle Entrate, le disposizioni si rivolgono alle società di persone e di capitali e
consentono, entro il 30.09.2016, di assegnare o cedere ai soci i beni immobili diversi da quelli
strumentali per destinazione e di beni mobili iscritti in pubblici registri diversi da quelli
utilizzati come beni strumentali nell‟attività d‟impresa.
Una condizione da rispettare è che tutti i soci risultino iscritti al libro soci (ove prescritto)
alla data del 30.09.2015 oppure che siano iscritti entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della
legge.
La società che assegna il bene al socio, sulla differenza tra il valore normale dei beni
assegnati e il loro costo fiscalmente riconosciuto, applica un’imposta sostitutiva dell’imposta sui
redditi e dell’IRAP in misura dell’8%. L’imposta sostitutiva sale al 10,5% per le società non
operative.
Le riserve in sospensione di imposta, annullate per effetto dell’assegnazione sono
assoggettate a imposta sostitutiva nella misura del 13 per cento.
Per quanto, invece, riguarda l’applicazione delle imposte indirette, la norma prevede che per
le cessioni e le assegnazioni di beni ai soci le aliquote dell’imposta proporzionale di registro
(eventualmente applicabili) siano ridotte della metà e le imposte ipotecarie e catastali siano
applicate in misura fissa.
Infine, poiché la norma nulla prevede ai fini Iva si devono seguire le regole ordinarie.
Per completare l’analisi dell’assegnazione agevolata dei beni ai soci, torna utile fare un breve
approfondimento sui beni oggetto dell’agevolazione, la cui individuazione potrebbe non essere del
tutto scontata. La norma, infatti, fa riferimento ai beni mobili registrati non utilizzati come
strumentali nell’impresa e ai beni immobili diversi da quelli indicati nell’art. 43, primo periodo, c.2,
TUIR che sono stati più volte indicati come gli immobili strumentali per destinazione. Pertanto, per
esclusione, dovrebbero considerarsi oggetto dell’agevolazione i seguenti beni immobili:
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a) immobili-merce;
b) immobili-patrimonio;
c) immobili strumentali per natura.
Questa elencazione, senza le dovute precisazioni, potrebbe trarre in inganno. A parte le
cessioni o assegnazioni di immobili-merce e di immobili-patrimonio che sono senz’altro agevolabili
(a patto che siano correttamente individuati), la locuzione ” immobili strumentali per natura” non
deve portare a considerarli agevolabili tout court, ma solo nel caso in cui gli stessi non siano
utilizzati direttamente come beni strumentali dell’impresa. In buona sostanza la ratio della norma
sembra essere quella di consentire l’uscita agevolata dalla società di tutti quei beni che non sono
utilizzati come strumentali nell’attività. Un dubbio potrebbe riguardare quei beni immobili
strumentali per natura delle società immobiliari di gestione. Si sottolinea in proposito che secondo
l’orientamento della Cassazione essi non sarebbero strumentali per destinazione nel caso in cui
siano detenuti per la locazione.
LA SOSPENSIONE DEL FERMO AMMINISTRATIVO
DI BENI MOBILI REGISTRATI
La circolare Equitalia n. 105/2016 promuove la possibilità di ottenere la sospensione dei
fermi amministrativi sui veicoli di proprietà del contribuente.
Questo intervento è stato ritenuto necessario al fine di mitigare gli effetti della nuova
disposizione introdotta dal D.Lgs. n. 159/2015 in vigore dallo scorso 22.10.2015. Tale norma ha
stabilito che per i piani accordati a partire da tale data, l’ammissione alla dilazione da parte di
Equitalia e il contestuale pagamento della prima rata non sono sufficienti a consentire la rimozione
del fermo amministrativo già disposto sul veicolo essendo necessaria per la cancellazione del fermo
l’integrale pagamento del debito.
Ovviamente trattandosi di una previsione normativa particolarmente gravosa per il
contribuente Equitalia, grazie alla circolare 105/2016, fornisce una soluzione operativa che mitiga
tale effetto punitivo della norma nei confronti del debitore, riconoscendo la possibilità di ottenere
una sospensione del fermo previa richiesta mediante apposita istanza a decorrere dal 15.02.2016.
La domanda potrà essere inoltrata solo dopo aver ottenuto la concessione del piano di
rateazione a partire dal 22.10.2015 e aver pagato la prima rata. L’istanza, il cui modello è
disponibile online, assieme alla fotocopia del versamento della prima rata dev’essere presentata agli
uffici di Equitalia, i quali procederanno alla verifica della documentazione inoltrata e all’esistenza
dei tre elementi sostanziali:
1. che la dilazione sia stata concessa dopo il 22.10.2015 e non sia decaduta;
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2. che la rateazione comprenda tutte le cartelle per le quali è stato trascritto il fermo;
3. che la prima rata del piano sia stata effettivamente pagata nei termini.
Qualora l’agente di riscossione rilevi degli impedimenti al rilascio del mezzo, potrà rifiutare
la richiesta di rilascio del contribuente, previa però motivazione della decisione.
Se tutto risulterà in regola, l’agente emetterà in forma scritta il proprio consenso e a questo punto il
contribuente potrà recarsi al Pra e presentare apposita richiesta di rilascio entro 60 giorni, non
ottenendo la cancellazione del fermo, ma una sospensione; ciò significa che nel caso di mancato
pagamento delle successive rate, tale decisione di sospensione potrà essere revocata.
E‟ POSSIBILE FIDELIZZARE IL CLIENTE IN TEMPO
DI CRISI?
La soddisfazione dell’acquirente può essere considerata come il principale motore della
fedeltà e della redditività di lungo termine dell’impresa.
In prima analisi si potrebbe pensare che ci sia un rapporto lineare tra il livello di soddisfazione della
clientela e la relativa fedeltà. In realtà è stato dimostrato che il rapporto è più complesso e solo una
completa soddisfazione del cliente può generare una forte brand loyalty.
Mettendo in relazione il livello di soddisfazione con quello di fedeltà abbiamo la
possibilità di identificare quattro diversi segmenti di clientela nella matrice rappresentata nella
figura seguente per comprendere su quali effettuare un maggior investimento dal punto di vista
relazionale.
Clienti giustamente infedeli (da lasciare) – dovendo dare delle priorità è sicuramente il
segmento meno importante. Evidentemente la value proposition dell’offerta non risponde
alle esigenze di questi clienti che si rivolgono ad altri fornitori per soddisfare i propri
bisogni. Probabilmente non è solo una questione di prezzo e difficilmente si otterebbero
risultati anche attraverso operazioni mirate.
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Clienti precari (da presidiare) – probabilmente questo segmento è “obbligato” ad
acquistare perché nonostante il livello di soddisfazione sia molto basso non trova alternative
valide sul mercato. Ovviamente in questa situazione il rischio per il fornitore è molto elevato
perché questa fedeltà “fittizia” si verrà a perdere nel momento in cui qualche altro fornitore
riuscirà a proporre un’offerta comparabile.
Clienti distratti (da fidelizzare) – con questo segmento di clientela diventa importante
attivare operazioni di fidelizzazione. In realtà pur essendo soddisfatti del prodotto/servizio
cercano sempre alternative rispetto all’acquisto continuativo. Potrebbero esserci limitazioni
dovute alla volontà di mantenere basso il livello di rischio legato all’acquisto da un unico
fornitore (se l’acquisto è strategico per il cliente è possibile che succeda questo) oppure una
propensione alla ricerca della migliore offerta a parità di condizioni tecniche. E’ comunque
considerabile come una zona di grande opportunità perché si riesce a soddisfare il cliente e
questo può essere una buona base per lo sviluppo successivo della relazione (anche se
ancora manca qualcosa).
Clienti stabili (da coccolare) – è il miglior segmento di clientela considerando queste
variabili; l’acquisto continuativo rende il rapporto di fedeltà stabile ma occorre comunque
continuare a “coccolare” questi clienti per evitare di incrinare il rapporto. Il focus deve
essere spostato su un orizzonte temporale di medio-lungo termine evitando di forzare
all’acquisto il cliente nel momento in cui non ci sia la necessità effettiva (questa logica di
Customer Relationship Management potrebbe entrare in conflitto con gli obiettivi di breve
termine dell’area vendite).
Riuscire “solamente” a soddisfare i clienti che hanno la possibilità di scegliere fra diverse
alternative è ancora sufficiente per ottenerne la fedeltà, soprattutto in un contesto come quello
attuale di forte crisi? Questa è la domanda che si stanno facendo tutti gli imprenditori che negli anni
passati hanno ottenuti buonissimi livelli di redemption. Oggi anche i rapporti più solidi rischiano
di essere messi in discussione per ottenere qualche vantaggio di breve periodo: così, dopo tanti
anni di forniture con buoni livelli di soddisfazione da parte del cliente/distributore ci si potrebbe
trovare di fronte ad un “abbandono” per ottenere qualche punto percentuale di sconto in più da un
fornitore alternativo. Tale tipo di approccio viene molto utilizzato in queste fasi in cui il prezzo
finale all’utilizzatore non riesce più a garantire la marginalità voluta dagli attori della filiera e gli
attori più forti del sistema di mercato in cui ci si trova faranno valere il loro maggior potere
contrattuale.
Ecco perché diventa fondamentale attivare una strategia di marketing relazionale.
Già nel 1992, Philip Kotler, considerato ancora l’autorità mondiale nell’ambito del
marketing disse: “Le imprese devono spostare la loro attenzione da obiettivi a breve termine
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incentrati sulle transazioni alla costruzione di relazioni a lungo termine con i clienti”. Forse è giunta
l’ora di tenere in considerazione questo approccio che potrebbe diventare un’arma in più in questo
periodo di crisi perdurante ma siamo davvero sicuri che le aziende abbiano spostato la loro
attenzione verso il cliente non solo a parole ma anche nella complessa attività operativa quotidiana?
INDUSTRY 4.0
Industry 4.0, Internet of Things (Internet delle Cose), Smart factory, Big Data : sono
altri nomi e altre facce di un processo di innovazione già in atto che gli esperti considerano come
la quarta rivoluzione industriale. In cosa consiste? Immaginate una azienda manifatturiera in cui
macchine, uomini e prodotti, tramite sensori e chip, dialogano tra loro scambiandosi informazioni
che ottimizzano processo e prodotto in modo estremo e poi la stessa azienda interconessa tramite
internet a monte e a valle, con fornitori e clienti, in una supply chain altamente digitalizzata: dopo la
meccanizzazione alla fine del ’700, l’elettrificazione nell’800 e la computerizzazione nella seconda
metà del XX secolo questa è la quarta rivoluzione industriale.
In questa nuova dimensione digitale la fabbrica del futuro può analizzare in tempo reale
grandi quantità di dati e gestire in modo intelligente e più vantaggioso le attività di gestione scorte e
magazzino, attuare interventi di manutenzione predittiva, personalizzare in tempi brevi prodotti e
servizi, ecc. raggiungendo livelli di competitività impensabili fino a pochi anni fa.
Lo sforzo richiesto per sostenere la transizione dell’Italia alla manifattura digitale è stimato dal
Governo in 10-15 miliardi di investimenti aggiuntivi all’anno con l’obiettivo di invertire gli indici
di produttività che ci vedono in ritardo rispetto ai principali competitor, creare 800mila posti di
lavoro in cinque anni, aumentare il valore aggiunto del manifatturiero di quasi 40 miliardi in dieci
anni.
Per realizzare questi grandi investimenti si deve necessariamente attingere risorse dal
mercato dei capitali. Naturalmente occorre fare squadra con Governo e associazioni di categoria,
come Confindustria, per realizzare una politica industriale coerente con gli obiettivi finanziari
richiesti da Industry 4.0 e preparare ed assistere le imprese nella progettazione di interventi di
innovazione tecnologica e finanziaria per accedere a tutte le opportunità che si presentano nei
mercati dei capitali e degli investitori.
In Italia, stando alle prime anticipazioni relative ad un documento a cui sta lavorando da
tempo unaTask force del Ministero dello Sviluppo Economico, il Governo sta studiando una serie di
interventi finalizzati ad orientare verso Industry 4.0 tutte le policy, gli incentivi, i bandi e le nuove
misure di politica industriale. Si pensa a una cabina di regia con alcune decine di medie – grandi
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industrie e selezionate associazioni di categoria e università con l’obiettivo di fissare una road map
di interventi ed investimenti per una serie di tecnologie abilitanti: big data, cloud computing, banda
ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 3D, Rfid.
«Dovremo attuare strumenti che spingano i capofiliera a fare da aggregatori. – spiega Stefano
Firpo, direttore generale Politica Industriale, competitività e Pmi dello Sviluppo economico – Il
made in Italy ha una chance irripetibile: gestione industrializzata anche di produzioni in piccola
seria, di nicchia e “artigianali”, ma sempre più customizzate».
Il piano a cui sta lavorando il Governo individua una lista di filiere più immediatamente
toccate dalla trasformazione digitale: aerospazio e automotive, cantieristica, nano e micro
elettronica, efficienza energetica, elettronica per la difesa, energie alternative, agroalimentare,
infrastrutture e trasporti, tlc e banda larga, istruzione e formazione, sanità e scienze della vita,
edilizia e costruzioni.
Sono otto, invece, le aree di intervento individuate per spingere Industry 4.0, alcune delle
quali in fase di attuazione: sostegno agli investimenti in R&S, crescita dimensionale delle imprese e
focalizzazione sui capofiliera, startup e imprenditorialità innovativa, valorizzazione degli asset
immateriali, definizione di protocolli e standard condivisi a livello Ue, cybersecurity, infrastrutture
di rete, sostegno alla formazione e potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro, risorse finanziare
dai mercati dei capitali.
LA FORMAZIONE DIVENTA DEDUCIBILE
Con il 2016 sono arrivate grosse novità per i lavoratori autonomi e per le partite iva. In
particolare tra le novità attese, di cruciale importanza sono quelle relative alla formazione,
all’aggiornamento e alle certificazioni professionali.
Il ddl di riordino del lavoro autonomo, infatti, si propone non solo di intervenire su alcune
zone d’ombra della tutela del professionista, ma scommette sulle partite iva come leva strategica per
la competitività nazionale. Il professionista viene di conseguenza messo nelle condizioni di poter
investire in competenze e certificazioni al fine di favorire la crescita professionale.
Due sono, in particolare, i fronti dai quali le partite iva potranno trarre vantaggio investendo
in formazione ed accrescendo di competenza la propria competitività su mercati ogni giorno in
evoluzione e sempre più esigenti.
1) Formazione deducibile: cresce fino a 10mila euro l’importo deducibile per le spese
di formazione. Corsi, master, convegni diventano così parte centrale degli sconti
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fiscali riservati ai professionisti, con un ampliamento dello sconto stesso che cresce
dal 50% al100% dell’importo speso, da cui restano escluse le sole spese di viaggio;
2) Incentivi alle certificazioni: un ulteriore incentivo, fino a 5mila euro, riguarderà le
spese sostenute dal lavoratore per servizi personalizzati di certificazione delle
competenze, orientamento, sostegno all’autoimprenditorialità o riqualificazione
professionale, erogati da organismi accreditati.
BOOM DI STARTUPPER OVER 50
Strart-up, innovazione, imprese “green”, e – commerce e incubatori d’impresa rappresentano
tutte realtà e tematiche automaticamente associate alle fasce più giovani della popolazione che
tentano di entrare nel mondo del lavoro creandosi un’opportunità in maniera autonoma e
indipendente. In realtà però, non è proprio cosi, infatti, come emerge dal Rapporto Italia Startup
2015 nel nostro Paese appena il 15% degli start upper sono under 30, mentre 2 startupper su 3
hanno un’età compresa fra i 30 ed i 49 anni e quasi il 20% sono in realtà degli over 50.
Per di più se si va a fondo con l’analisi si evidenzia come nella fascia 55-64 anni si concentri
quasi il 15% delle nuove imprese e in questa fascia si riscontrano non solo molti lavoratori
dipendenti e manager di aziende che possiedono esperienza e know-how preziosissimi nel processo
di avviamento di nuove attività di business, ma anche docenti universitari alla ricerca di nuovi
stimoli ed attratti soprattutto dalla possibilità di creare qualcosa di proprio che permetta di mettere a
frutto i lunghi anni di ricerca e di studio.
Il vantaggio per questa categoria di imprenditori è rappresentato dall’acquisita
consapevolezza che uno dei segreti per raggiungere il successo sta nella creazione di un team di
lavoro ben assortito in cui la contaminazione possa fungere da principio guida di ogni attività
aziendale. Affinchè il team funzioni p necessario che sia vario sia a livello di età che di competenze,
soprattutto se l’obiettivo è quello di attirare l’attenzione e i capitali a disposizione dei cosiddetti
Business Angels. Quest’ultimi sono rappresentati da quei soggetti impegnati a setacciare i mercati
alla ricerca di tutte quelle imprese che presentano ottime prospettive di crescita e di guadagno.
In proposito è utile ricordare che il capitale messo a disposizione dai Business Angels costa
normalmente non meno del 10% del patrimonio netto della società, e per le imprese in fase di
maturazione il costo può addirittura superare il 50% senza considerare che molti di questi investitori
addebitano un costo di gestione fisso nella forma di contributo mensile.
In Italia non è raro assistere a fenomeni nei quali i Business Angels si riuniscono in una
“cordata” al fine di investire cifre variabili tra diverse tipologie di startup o PMI.
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Riuscire a guadagnarsi il supporto finanziario di questi soggetti non è affatto semplice
perché, apportando risorse proprie, questi devono valutare con attenzione il progetto in essere al
fine di individuarne le opportunità ed i rischi connessi e soprattutto cercando di monetizzare il loro
investimento in un periodo di tempo che oscilli tra i 3 e i 5 anni realizzando una significativa
plusvalenza. Molto spesso, infatti, gli investitori oltre ai capitali possono mettere a disposizione
della neo azienda la loro esperienza manageriale ed i loro contatti professionali.
Ovviamente anche se ad attirare le attenzioni dei Business Angels siano maggiormente gli
start upper più esperti, non mancano dubbi in proposito. Infatti una delle critiche più comuni che gli
investitori muovono nei confronti degli imprenditori over 60 è il fatto che sia difficile immaginare
un sessantenne che possa investire il medesimo entusiasmo e le stesse energie di un ragazzo/a che,
almeno in teoria, dovrebbe essere più affamato e pronto a dedicarsi al proprio progetto
imprenditoriale. Appare dunque fondamentale prestare sempre molta attenzione a non generalizzare
e ad incorrere nell’errore di sottovalutare i senior start upper poiché i numeri ad oggi conosciuti
dimostrano ampiamente quanto l’innovazione non sia una questione anagrafica.
Concludiamo accennando ai settori maggiormente attrattivi rappresentati da: ITC, Terziario
e Commercio.
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CONTENZIOSO
DETRAZIONE IVA E CONTABILITÀ REGOLARE
Il diritto alla detrazione dell’IVA non risulta precluso dalla irregolare tenuta (omessa
“stampa”) del registro acquisti, qualora i dati contabili unicamente memorizzati su supporto
informatico siano comunque concordi con le risultanze delle rispettive dichiarazioni annuali
d’imposta.
La III^ Sezione Civile della Cassazione sancisce definitivamente il depotenziamento delle
irregolarità formali in materia tributaria, procedendo all’annullamento di un avviso di contestazione
e rettifica, mosso dall’Amministrazione Finanziaria, fondato sulla asserita “non detraibilità”
dell’IVA computata sulle rispettive fatture d’acquisto, la cui annotazione non risultava confluita
nell’apposito “REGISTRO IVA CARTACEO” (la cui “stampa” era stata omessa, ancorché i dati
fossero integralmente inseriti nel computer aziendale): i medesimi elementi, tuttavia, erano
comunque correttamente confluiti nell’apposita dichiarazione annuale, sostanzialmente diretta alla
determinazione del corretto carico impositivo (Cass., sent. 23.12.2015, n. 25871).
Nello specifico, le censure e la difesa erariale si erano unicamente concentrati sulla
necessarietà ed essenzialità della stampa dei registri contabili, ancorché la tenuta meccanografica
sia risultata priva di irregolarità e/o incongruenze di sorta, sostenendo che in mancanza di stampa su
supporto cartaceo, ai dati comunque contenuti nei registri informatici non sia possibile conferire
alcuna valenza ai fini fiscali.
Con ciò non si vuol conferire discredito all’obbligo di stampa dei registri contabili, in quanto
è assodato che le registrazioni informatiche non possano sostituire le risultanze su supporto
cartaceo.
Tuttavia, in termini di prevalenza della sostanza sulla forma, nel rispetto del principio di neutralità
fiscale che presiede la legittimazione all’esercizio della detraibilità dell’ IVA, non può essere negata
al contribuente la possibilità di dimostrare la ricorrenza dei presupposti che riconoscono tale diritto:
ciò integra “un principio fondamentale del sistema e non può quindi essere oggetto di alcuna
limitazione” (Corte Ue C-590/2013).
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CONTRADDITTORIO PREVENTIVO
Con la sentenza del 9.12.2015 n. 24823, la Cassazione a Sezioni Unite si esprime
definitivamente sul contraddittorio preventivo, gelando tutte le attese. In particolare nelle 46
pagine di sentenza gli Ermellini spiegano le ragioni della decisione sulla base della quale hanno
concluso che il contraddittorio endoprocedimentale non rappresenti sempre e comunque un obbligo
a carico dell’Amministrazione Finanziaria.
La premessa (e anche la conclusione) è che nel nostro ordinamento tributario non esiste un
principio generale che prevede l’obbligatorietà per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio
prima dell’emissione di un atto impositivo, salvo ovviamente i casi in cui la norma lo disponga
testualmente.
I giudici di legittimità, con la sentenza in oggetto, hanno preferito una soluzione a doppio binario,
distinguendo tra tributi “armonizzati” e “non armonizzati”. Il diritto dell’Unione Europea, infatti,
considera l’obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale come un principio
immanente all’ordinamento stesso e che trova fondamento nell’art. 41 della Carta di Nizza, facendo
salva soltanto la fase delle indagini.
In buona sostanza, il contraddittorio deve essere attivato solo prima dell‟emissione
dell‟atto, essendo l’Amministrazione Finanziaria libera di procedere alla raccolta di informazioni
senza informare il contribuente o conoscere il suo punto di vista.
Diversamente, nell’ordinamento nazionale non esiste un principio generalizzato che prevede la
formazione del contraddittorio prima che il contribuente sia destinatario di un provvedimento
fiscale lesivo dei propri diritti ed interessi.
Il principio affermato dalla Cassazione si può quindi sintetizzare come segue: in tema di
tributi non armonizzati, l’obbligo per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio preventivo,
pena l’invalidità dell’atto, sussiste solo nelle ipotesi in cui detto obbligo risulti da precisa
disposizione di legge; per i tributi armonizzati, invece, la violazione dell’obbligo del
contraddittorio endoprocedimentale comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto, purché il
contribuente provi in giudizio le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere nel caso in cui tale
contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato.
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IL NUOVO DIRITTO DI INTERPELLO
Dallo scorso 22 ottobre sono entrate in vigore le norme introdotte dal D.Lgs. 156/2015
relative alla revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario.
L’interpello è un istituto messo a disposizione del contribuente al fine dell’ottenimento di
indicazioni interpretative circa l„applicazione di una determinata norma fiscale, obiettivamente
incerta.
Stando alle nuove disposizioni i contribuenti possono fare ricorso a 4 principali tipi di interpello,
ossia:
- interpello ordinario: con il quale il contribuente richiede all’Amministrazione la corretta
interpretazione di una norma tributaria;
- interpello qualificatorio: per mezzo del quale il contribuente che, avendo individuato la
fattispecie concreta, richiede lumi sul trattamento della fattispecie stessa;
- interpello probatorio: ai fini della verifica della sussistenza di condizioni che potrebbero
portare all’applicazione di un regime fiscale agevolato o meno;
- interpello disapplicativo: rappresenta l’unica ipotesi in cui l’interpello è obbligatorio,
collegato all’ipotesi del riporto delle perdite, nei casi indicati dall’artt. 84 e 172 TUIR, e alla
deducibilità delle minusvalenze, in caso di cessioni delle partecipazioni.
Un cenno a sé merita, infine, la fattispecie dell’Abuso del diritto. In particolare si tratta di
una ipotesi di interpello prevista dal D.Lgs. n.128/2015. In questo caso al contribuente è
riconosciuto il principio della richiesta di disapplicazione da indirizzare all’Amministrazione
Finanziaria.
Le istanze devono essere presentate in via preventiva rispetto alla data di scadenza della
presentazione della dichiarazione o ai fini dell’assolvimento di obblighi tributari. Il mancato rispetto
dei termini corretti comporta la nullità dell‟istanza presentata.
Ricapitolando la riforma introduce le seguenti novità: generale non obbligatorietà
dell‟istanza, fatti salvi alcuni casi prima enunciati; termini tassativi di risposta differenziati: 90
giorni per la risposta ad interpelli ordinari e 120 giorni per gli interpelli probatori. La riposta
scritta e motivata vincola l‟Amministrazione Finanziaria in merito alla lettura fornita circa una
determinata questione, e in riferimento a quel preciso contribuente istante; in caso di silenzio
assenso nei confronti del contribuente, in riferimento a una tenuta comportamentale da lui
prospettata, saranno nulli gli atti di imposizione o sanzionatori difformi dalla risposta tacita o
espressa, salvo l’ipotesi di una rettifica alla precedente interpretazione, che però non ha efficacia
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retroattiva.
In caso di risposta fornita al contribuente, in merito a credito d’imposta, detrazioni e
deduzioni, l’atto di accertamento deve essere preceduto da una richiesta di chiarimenti da fornire
entro 60 giorni. I dati e le notizie dedotti in fase di richiesta possono essere utilizzati in fase
amministrativa o contenziosa.
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REVISIONE LEGALE
NUOVI CRITERI DI FORMAZIONE DEL BILANCIO
Le modifiche alle norme codicistiche sul bilancio contenute nel Dlgs 139/2015 –
obbligatorie dall’esercizio 2016 – determinano un necessario adeguamento da parte del legislatore
fiscale nazionale.
In particolare le imprese devono iniziare a valutare l’entità di tali modifiche, poiché le scelte
che verranno assunte influiranno già sulla determinazione del reddito imponibile del periodo
d’imposta in corso (e, di riflesso, sulla fiscalità differita da rilevare in bilancio).
Nel seguito si sintetizzano le principali norme valutando i possibili impatti:
1. Poste straordinarie
Un primo elemento da considerare è l’eliminazione dal conto economico dell’area E,
dedicata a gli oneri e proventi straordinari. Pertanto, le poste che precedentemente
trovavano allocazione in tale sezione verranno rilevate, nella maggior parte dei casi,
assieme a quelle di natura ordinaria, “risalendo” il conto economico e con disclosure in
nota integrativa. Fiscalmente l’impatto è notevole, in particolare ai fini delle imposte
dirette, vi sono diverse disposizioni che fanno riferimento a grandezze che si basano su
voci che concorrono a determinare il risultato operativo, basti pensare ad esempio: al Rol
per la deducibilità degli interessi passivi, al Mol per le cause di disapplicazione delle
società non operative, all’ammontare su cui si calcola la soglia di deducibilità per le spese
di rappresentanza. A questo punto spetterà al legislatore fiscale decidere se mantenere
invariate le regole di calcolo o “disinnescare” le poste straordinarie, staccandosi così dalle
risultanze di bilancio. Nel primo caso, vi saranno vantaggi e svantaggi per le imprese, nel
secondo invarianza di effetti, ma maggiori difficoltà applicative.
Sicuramente, invece, andrà riscritto il comma 4 dell’articolo 5 del Dlgs 446/1997 , che
regola il «principio di correlazione» in ambito Irap, introdotto proprio per disciplinare i
componenti straordinari collegati a voci rilevanti passate o future. Presumibilmente, si
agirà “al contrario”, estromettendo dalla base imponibile Irap le voci non correlate iscritte
ora nelle aree A e B del conto economico.
2. Costo ammortizzato
Altrettanto difficoltosa rischia di essere la valutazione di crediti, debiti e titoli
immobilizzati con il criterio del costo ammortizzato, per le non ammesse alla redazione
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del bilancio abbreviato. Andranno, infatti, disciplinati gli oneri e proventi finanziari che
emergono da questa differente valutazione, come accaduto per i soggetti Ias con il
comma 1-ter dell’articolo 110 Tuir. Si ricorda tuttavia che il nuovo criterio civilistico
può non essere applicato alle voci riferite a operazioni che – all’apertura del primo
esercizio che inizia dal 1° gennaio 2016 – non hanno ancora esaurito i loro effetti in
bilancio.
3. Spese di pubblicità e ricerca
In merito all’eliminazione della possibilità di capitalizzare i costi di ricerca e di
pubblicità, gli aspetti da prendere in considerazione sono due, anche ai fini Irap:
il comportamento a regime e lo “smaltimento” degli oneri residui nell’ultimo bilancio
chiuso con le vecchie regole. In riferimento al primo aspetto, il legislatore potrebbe
ritenere necessario adeguare il testo dei commi 2 e 3 dell’articolo 108 Tuir con la
conseguenza che la scelta potrà cadere alternativamente sulla deducibilità integrale o su
una ripartizione fiscale effettuata extracontabilmente. In merito agli oneri residui, invece,
molto dipenderà anche dalla scelta dell’Oic sulla loro collocazione a cui dovrà
necessariamente “agganciarsi” la scelta del legislatore fiscale per dettarne la deducibilità.
4. Derivati
L’iscrizione contabile, a conto economico o nel patrimonio netto a seconda dei casi, di
nuove voci che emergono dalle modifiche alla rilevazione dei derivati dovrà essere
disciplinata fiscalmente, presumibilmente attraverso un adeguamento dell’articolo 112
Tuir.
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CONCESSIONE DEL CREDITO
IL RENDICONTO FINANZIARIO E L‟ANALISI DEI
FLUSSI DI CASSA
Il rendiconto finanziario, allegato spesso all’informativa di bilancio, è in genere utilizzato
per spiegare come le varie aree della gestione aziendale concorrono alla variazione della liquidità
dell’impresa.
Tuttavia il rendiconto, dovrebbe essere utilizzato dalle imprese come un vero e proprio
strumento di analisi aziendale utile ad individuare come la liquidità si distribuisce all’interno
dell’attività e quali sono le aree da migliorare.
Generalmente, le differenze di liquidità sono articolate secondo 3 principali gestioni:
1. Operativa, data dalla variazione delle voci della gestione operativa;
2. Investimenti, frutto delle movimentazioni delle immobilizzazioni;
3. Finanziaria, relativa alle fluttuazioni delle posizioni debitorie e creditorie verso soggetti
finanziatori o finanziati, e ad operazioni sul capitale della società.
Quello che conferisce importanza ad un rendiconto finanziario è il fatto che si ci si basa
esclusivamente su un’analisi dello stato patrimoniale, solo poche voci permettono di individuare il
motivo per cui la liquidità è variata rispetto al precedente esercizio. Al contrario, mediante il
rendiconto finanziario è possibile individuare le cause delle variazioni intervenute in tutte le altre
voci dello stato patrimoniale.
Dal momento che il rendiconto di liquidità mette in evidenza le cause della variazione
intervenuta alla liquidità tra l’inizio e la fine dell’esercizio, la prima informazione utile fruibile dal
rendiconto sarà quindi la valutazione di come varie gestioni concorrono all’equilibrio finanziario
dell’impresa, intesa come produzione di liquidità. In questo caso particolare attenzione dovrà essere
posta alle imprese che registreranno un assorbimento di liquidità nella gestione operativa. Tale
valore, anche detto Cash Flow Operativo, in una situazione di normalità, dovrebbe avere segno
positivo e concorrere al sostenimento degli investimenti, tuttavia questo appare spesso influenzato
dagli esborsi della gestione finanziaria, assumendo valori negativi, in quanto condizionato dalla
quota capitale del debito restituito (es. mutui).
In tale ottica, quindi, il rendiconto sulla liquidità permette di espandere l’analisi di bilancio non
limitandola più solo ad una valutazione per indici e margini, ma concentrandosi sui flussi.
Questi, come noto, sono per determinati aspetti più attendibili in quanto non influenzati dalle
movimentazioni contabili non monetarie. In particolare i flussi di cassa prodotti rappresentano
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informazioni molto utili anche in sede di programmazione aziendale in quanto permettono una
stima dei flussi destinati al rimborso dei debiti finanziari (Free cash flow), delle risorse monetarie
destinate all’auto-finanziamento, nonché alla remunerazione dei soci.
Per tale ragione, sia a livello di bilancio che di eventuale piano industriale, il cash flow
diventa un indicatore fondamentale di sostenibilità del debito.
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ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI
L‟ASSENZA DI DEMOCRATICITÀ NEGLI ENTI NO
PROFIT
La rilevata mancanza di democraticità nel processo decisionale del sodalizio e lo scarso
coinvolgimento degli associati può spingere il Fisco al disconoscimento dello status di ente
associativo non lucrativo con pesanti conseguenze sotto il profilo fiscale e sanzionatorio.
Tra le agevolazioni applicate e maggiormente contestate, la prima consiste nella possibilità
da parte di determinate tipologie di associazioni (culturali, di promozione sociale, sportive
dilettantistiche, ecc.) di farsi corrispondere un vero e proprio “prezzo” dai propri associati, da quelli
di altre associazioni affiliate alle medesime organizzazioni nazionali nonché dai tesserati di queste
ultime per la partecipazione alle attività svolte dal sodalizio in diretta attuazione dei propri scopi
istituzionali, senza che questo sostanzi alcuna attività commerciale per l’ente percipiente.
Tuttavia, al fine di poter applicare tale de-commercializzazione è richiesta la presenza nei
propri statuti (redatti nella forma dell’atto pubblico, della scrittura privata registrata o con firme
autenticate) di specifiche clausole, tra le quali quella che prevede una forte impronta democratica in
senno al sodalizio “eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo,
sovranità dell’assemblea dei soci”. Contro l’applicazione di tali agevolazioni la strategia spesso
applicata dall’Amministrazione Finanziaria ricalca un percorso alquanto standardizzato basato sul
binomio “assenza di democraticità-decadenza dai benefici”. Infatti, secondo il Fisco, la mancata
conoscenza e/o applicazione alla lettera dello statuto da parte degli organi amministrativi e degli
associati, la gestione del sodalizio in mano ad una cerchia limitata di soggetti collegata ad una
scarsa partecipazione alle assemblee sarebbero indubbiamente segnali di un sistema feudale ove il
presidente (o il Consiglio Direttivo) assumerebbe la veste di monarca assoluto, gestendo l’ente
come “cosa propria” nell’esclusivo suo interesse.
Tale gestione personalistica permetterebbe, quindi, il raggiungimento di vantaggi fiscali e
semplificazioni contabili-amministrative diversamente non conseguibili con lo strumento
dell’impresa commerciale.
Le contestazioni in oggetto potrebbero essere rappresentate sia da forme dirette di
distribuzione degli utili (sottrazione di denari ovvero di altre risorse dell’ente) sia in forme indirette
di utilità (utilizzo dei beni sociali per fini personali, ecc.) tali da trasformare il sodalizio in un vero e
proprio ente avente come obiettivo il vantaggio per chi lo gestisce. Tale convinzione, sempre
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secondo la stessa Amministrazione Finanziaria, sarebbe sostenuta, in primis, dalla
mancata/irregolare tenuta dei libri sociali quale segnale della volontà degli amministratori di non
informare e/o coinvolgere gli associati nelle scelte gestionali.
Quanto sopra, quindi, ci porta a considerare l’assoluta convenienza per l’ente di informare
gli individui, già all’atto di presentazione della richiesta di adesione, della natura associativa e non
lucrativa del sodalizio, aggiornandoli, nel corso dell’anno, circa l’andamento delle iniziative
istituzionali, sulla presenza di un minimo di iniziative gratuite accessibili a tutti gli associati, sulla
composizione degli organi sociali nonché della fissazione, nel rispetto dei tempi statutariamente
previsti, delle assemblee per l’elezione del Consiglio direttivo, approvazione del bilancio e per tutte
le altre materie alla stessa attribuite in statuto.
LA SIAE PER ASSOCIAZIONI, ONLUS E
ASSOCIAZIONI SPORTIVE
I rapporti tra Siae ed enti no profit non sono sempre semplici, proprio per questo di seguito
si individuano determinati casi in cui un’associazione, una pro loco, o un qualsiasi altro ente
associativo, deve provvedere a prendere contatti con la SIAE e corrispondere dei corrispettivi
erariali o somme per il pagamento dei diritti d’autore:
manifestazioni sportive pubbliche svolte da associazioni sportive dilettantistiche, in
cui il pubblico per assistere paga un biglietto d’ingresso o un abbonamento;
manifestazioni pubbliche svolte da pro loco o associazioni culturali, in cui il
pubblico per assistere o partecipare paga un biglietto d’ingresso o un abbonamento;
associazioni di qualsiasi genere che organizzano attività di spettacolo o di
intrattenimento musicale (imposta sugli spettacoli);
quando viene diffusa musica o video presso i locali dell’associazione (come ad
esempio le palestre sportive);
quando l’associazione aderisce al regime fiscale di favore di cui alla legge 398/91,
riguardante l’attività commerciale svolta da enti no profit;
In tali casi sarà opportuno prendere contatti con l’ufficio della SIAE di riferimento nella
propria zona o richiedere l’assistenza di un professionista che si occupi di tutte le pratiche
necessarie.
Per gli aderenti ad associazioni di categoria che hanno sottoscritto specifici accordi con la
SIAE sono previste riduzioni tariffarie.
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2 PER MILLE PER LE ASSOCIAZIONI CULTURALI
Legge di stabilità 2016 introduce per le Associazioni culturali la possibilità della
destinazione del 2 per mille dell’Irpef. In particolare possono usufruire del beneficio le associazioni
culturali che risulteranno iscritte in un apposito elenco che dovrà essere depositato presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La disposizione si applica già per l’anno d’imposta 2015 e pertanto possibile effettuare tale
scelta già nei modelli dichiarativi 2016, ovvero, nei casi di esonero dalla presentazione della
dichiarazione, il contribuente potrà effettuare la scelta di destinazione del 2 per mille mediante
l’apposita scheda da inoltrare agli uffici postali o telematicamente.
A completamento, si ricorda che già in dichiarazione 2016 l’importo delle erogazioni
liberali effettuate dai contribuenti nei confronti delle Onlus per le quali è possibile usufruire della
detrazione del 26 per cento, passa da euro 2.065 a euro 30.000 annui.
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BANDI DI FINANZIAMENTO
CREDITO DI IMPOSTA PER INVESTIMENTI AL SUD
La legge di stabilità 2016 ha introdotto la possibilità di fruire di un credito d‟imposta
destinato alle imprese che effettuano investimenti nelle regioni meridionali (Campania, Puglia,
Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo) nel periodo compreso tra l‟1/1/2016 e il
31/12/2019.
In particolare danno diritto al credito d’imposta gli investimenti facenti parte di un progetto
di investimento iniziale relativo all’acquisto, anche tramite leasing, di beni strumentali nuovi (nello
specifico, macchinari, impianti e attrezzature varie) e destinati a strutture produttive nuove o già
esistenti.
La misura del credito d’imposta è differenziata in relazione alle dimensioni aziendali.
Ai fini del riconoscimento del credito d’imposta è necessaria la presentazione di un’apposita
comunicazione, una volta ottenuta dall’Agenzia delle Entrate la comunicazione di autorizzazione
sarà possibile fruire del credito.
AUTOIMPRENDITORIALITÀ: INCENTIVI PER
GIOVANI E DONNE
Dal 13.01.2016 è possibile presentare le domande di agevolazione a valere sul Titolo I
D.Lgs. 185/2000 la c.d. Autoimprenditorialità.
Le agevolazioni mirano ad erogare incentivi a giovani e donne under 36 prevedendo
la possibilità di accedere a finanziamenti a tasso zero ai fini della realizzazione di progetti di
investimento in diversi settori di attività.
L’obiettivo è quello di sostenere la nuova imprenditorialità per il tramite della creazione di
micro e piccole imprese a prevalente partecipazione giovanile e femminile.
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CREDITO D‟IMPOSTA PER LA RISTRUTTURAZIONE
DEGLI ALBERGHI
Il DL n. 83/2014 ha concesso alle imprese alberghiere, esistenti al 1° gennaio 2012, un
credito d’imposta pari al 30% delle spese sostenute dal 01.01.14 al 31.12.16 per interventi di
riqualificazione edilizia, eliminazione delle barriere architettoniche, per interventi di incremento
dell’efficienza energetica e per l’acquisto di mobili e componenti d’arredo.
Beneficiari di tale agevolazione solo le strutture così come definite nel DM 7 maggio 2015,
ovvero quelle strutture alberghiere individuate dalla specifica normativa regionale, purché
effettivamente operanti come tali e non ricettive in senso generale. Pertanto restano esclusi i
campeggi, i villaggi turistici, le aree di sosta, i parchi vacanza, i bed and breakfast, gli affittacamere
per brevi soggiorni, le case e gli appartamenti per vacanze.
Il credito d’imposta è utilizzabile in compensazione con le modalità previste all’art.17 del
D.Lgs. 241/97, presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici Entratel o
Fisconline, pena il rifiuto del versamento.
Tuttavia, si precisa, che lo scarto del versamento potrebbe avvenire anche in seguito ai
controlli automatizzati effettuati dall’Agenzia delle Entrate, nei casi in cui l’importo del credito
d’imposta utilizzato risulti superiore all’ammontare del credito residuo, ovvero nel caso in cui
l’impresa non rientri nell’elenco dei soggetti ammessi al beneficio.
Si ricorda, infine, che il codice tributo da utilizzare è il 6850 ed è denominato “credito
d’imposta per la riqualificazione delle imprese alberghiere – D.M. 7 maggio 2015” (sezione
“erario” – “anno di riferimento” andrà valorizzato con l’anno di sostenimento della spesa, nel
formato).