Roma Tre News 1/2008

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Università degli Studi Roma Tre - Via Ostiense, 159 - www.uniroma3.it News ROMA TRE Interviste Guido Fabiani. Roma Tre e lo sviluppo sostenibile Oliviero Toscani «Tra cervello e cuore» Jean-Loup Amselle L’etnicizzazione del sociale Scenari globali Dal Chiapas. La lotta delle donne zapatiste tra rivoluzione e autodeterminazione Dalla Cina. L’impero del socialiberismo Dall’Amazzonia Lo Stato di Amapà e le donne vittime di escalpelamento n. 1 - 2008

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Scenari globali

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Università degli Studi Roma Tre - Via Ostiense, 159 - www.uniroma3.it

NewsROMATRE

IntervisteGuido Fabiani. Roma Tree lo sviluppo sostenibile

Oliviero Toscani«Tra cervello e cuore»

Jean-Loup AmselleL’etnicizzazione del sociale

Scenari globaliDal Chiapas. La lotta delle donne

zapatiste tra rivoluzione eautodeterminazione

Dalla Cina. L’imperodel socialiberismo

Dall’AmazzoniaLo Stato di Amapà e le donne

vittime di escalpelamento

n. 1 - 2008

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SommarioEditoriale 3

Primo piano

Globalizzazione 5Analisi delle conseguenze economichedi Paolo Leon

Il prezzo delle regole 6L’impatto ambientale dei processi globalidi Giovanni Scarano

«La globalizzazione che funziona» 8L’università come territorio di incontrodi Maria Vittoria Tessitore

Guido Fabiani. Roma Tre e lo sviluppo sostenibile 10di Monica Pepe

«La fabbrica del consenso» 11Dialogo filosofico tra Giorgio De Vincenti e Noam Chomskya cura di Alessandra Ciarletti

Vandana Shiva 14Un occhio critico sulla globalizzazionedi Camilla Spinelli

Oliviero Toscani. «Tra cervello e cuore» 16di Alessandra Ciarletti

La guerra dei marchi 18Il culture jamming come fenomeno di resistenza culturaledi Lia Luchetti

Il giudice o lo storico? 20Nell’inchiesta italiana sul Sistema Condor le storiedi venticinque desaparecidos di Federica Martellini

Jenoside in Ruanda: tra significanti globali einterpretazioni locali 22Il percorso linguistico del riconoscimento di una barbariedi Michela Fusaschi

Jean-Loup Amselle. L’etnicizzazione del sociale 23di Michela Monferrini

«Occhiali scuri, non ci sono gli occhi» 26Storia di un disastro colposo. Bhopal 1984di Alessandra Ciarletti

Il gran rifiuto delle ecoballe 27Il dramma napoletano come emblema di un sistema globaleiniquo e scelleratodi Valentina Cavalletti

Giulia Caneva e Paraskevi Tavladoraki 29Gli OGM, pro e controa cura di Martina D’Ermo

Incontri

Roberto Morassut. Roma: città eterna o metropoli globalizzata? 32a cura di Federica Martellini

Andrea Vidotto. Sostenibilità e riqualificazionedell’ambiente urbano 33di Camilla Spinelli

Andrea Riccardi. Globalizzazione ed ecumenismo 35a cura di Michela Monferrini

Reportage

La lotta delle donne zapatiste, tra rivoluzionee autodeterminazione 37dal Chiapas, Monica Pepe

L’impero del socialiberismo 40dalla Cina, Indra Galbo

Il fiume dai capelli rossi 42dall’Amazzonia, Elena Mortelliti

Orientamento

Sezione studenti iscritti 44Corri... ma più veloce della luce!di Gessica Cuscunà

La realtà dei servizi di Roma Tre 44Due studenti raccontano la loro esperienzadi Francesco Rossi e Carlo Guglielmo Vitale

Le trasformazioni del giornalismo nell’era di internet 45Gli effetti della globalizzazione sulla carta stampata in unatesi in Sociologia dei processi culturali e comunicatividi Silvia Venanzoni

Il ruolo dell’Europa nel mondo globale 46La proposta di Maria Zambrano in una tesi in Filosofiadi Ester Monteleone

Rubriche

Orme 47Non tutti sanno che 48

Recensioni

L’Occidente visto dai media arabi 51Il pluralismo della comunicazione tra est e ovestdi Michela Monferrini

Il libero mercato fa bene come un elettroshock 52Shock Economy di Naomi Klein: l’ascesadel capitalismo dei disastridi Ornella Mollica

«Le parole sono pietre» 53Nell’ambito del progetto Ethicamente,una giornata di studio sull’etica della comunicazionedi Federica Martellini

Periodico dell’Università degli Studi Roma Trenumero 1/2008

Direttore responsabileAnna Lisa TotaDocente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi

Coordinamento di redazioneAlessandra Ciarletti (Resp. Ufficio orientamento)Federica Martellini (Ufficio orientamento)Divisione politiche per gli studenti

RedazioneMarco Angelino (studente del C.d.L. in Finanza), Ugo Attisani (Ufficio orienta-mento), Valentina Cavalletti (Ufficio orientamento), Gessica Cuscunà (Ufficioorientamento), Tommaso D’Errico (studente del C.d.L. in Competenze linguisti-che e testuali per l’editoria e il giornalismo), Indra Galbo (studente del C.d.L. inScienze politiche), Elisabetta Garuccio Norrito (Resp. Divisione politiche per glistudenti), Michela Monferrini (studentessa del C.d.L. in Lettere), Monica Pepe(Resp.Ufficio stampa), Camilla Spinelli (studentessa del C.d.L. in Comunica-zione nella società della globalizzazione)

Hanno collaborato a questo numeroM° Isabella Ambrosini (direttore del Coro polifonico Roma Tre), Valentina Bellafante(studentessa IV B del Liceo scientifico Federigo Enriques), Elisabetta Bischetti (stu-dentessa del C.d.L. in Scienze biologiche), Martina D’Ermo (studentessa del C.d.L.in Lettere), Giorgio De Vincenti (Direttore del Dipartimento Comunicazione e spetta-colo), Margherita Fantoli (studentessa II C del Liceo classico Luciano Manara), Mi-chela Fusaschi (docente di Antropologia culturale), Paolo Leon (docente di Econo-mia pubblica), Lia Luchetti (collaboratrice della cattedra di Sociologia dei processiculturali e comunicativi) Ornella Mollica (studentessa del C.d.L. in Competenze lin-guistiche e testuali per l’editoria e il giornalismo), Ester Monteleone (studentessalaureata presso il C.d.L. in Filosofia), Elena Mortelliti (regista di documentari), Fran-cesco Rossi (studente C.d.L. in Scienze giuridiche), Giovanni Scarano (docente diEconomia dell’ambiente coordinatore del Master in Ingegneria ed economia del-l’ambiente e del territorio), Maria Vittoria Tessitore (docente di Teatro inglese del No-vecento e coordinatrice del Master in Politiche dell’incontro e mediazione culturalein contesto migratorio), Silvia Venanzoni (studentessa laureata presso il C.d.L. inTeoria della comunicazione), Guglielmo Vitale (studente C.d.L. in Scienze politiche)

Immagini e fotoAdbusters Media Foundation, Amnesty International, Martina D’Ermo, Fondazio-ne Giuseppe Tomasello, Indra Galbo, Maila Iacovelli, Magellan Geographix, San-ta Barbara CA, Elena Mortelliti, Monica Pepe, Stefania Pepoli, Francesco Pom-peo, Oliviero Toscani, Orazio Truglio, www.chomsky.info, www.naomiklein.org,www.urbanhonking.com

Progetto graficoMagda PaolilloConmedia s.r.l. - Piazza San Calisto, 9 - Roma06 64561102 - www.conmedia.it

Impaginazione e stampaStilgrafica s.r.l.Via Ignazio Pettinengo 31-33 - 00159 Roma06 43588200 - www.stilgrafica.com

CopertinaKaifeng, mercato notturno

Registrazione Tribunale di Roma n. 51/98 del 17/02/1998

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Globalizzazione e diritti umani: un tema difficilequello che abbiamo scelto per questo numero, maindubbiamente un tema centrale e scottante, con cuidobbiamo e vogliamo confrontarci. Sui processi diglobalizzazione si sono spesi negli ultimi decennifiumi di inchiostro: dal sistema-mondo di Waller-stein alla shock-economy di Naomi Klein, dal co-smopolitismo di Edward Said alle monocolture del-la mente di Vandana Shiva o alla guerra dei semi,per citare soltanto alcuni fra i molti autori possibili.I grandi teorici della globalizzazione hanno analiz-zato i profondi mutamenti negli assetti geopoliticidel nostro globo. Quando le economie diventano so-vranazionali, quando gli stati cessano di detenere ilmonopolio della sovranità politica sul territorio per-ché interdipendenti gli uni dagli altri, l’assetto com-plessivo del globo viene totalmente ridefinito. Mutala struttura, l’articolazione e la fisionomia del pote-re, mutano le Weltanschauungen dei cittadini, mutail panorama complessivo entro cui possiamo neldiscorso pubblico (globale) radicare il passato eguardare al futuro. Ci sono molte dimensioni su cuiinterrogarsi nel processo di globalizzazione: in que-sto numero ne articoliamo soltanto alcune, dovendonecessariamente operare delle scelte. Per noi allorala globalizzazione è in primo luogo interdipenden-za: interdipendenza nei consumi ad esempio, percui se io consumo ciò che a te serve per sopravvive-re, devo imparare a riflettere sul fatto che il mio

consumo alla lunga finirà per minare la tua possibi-lità di sopravvivere. O ancora: se il mio consumoinquina, significa che sto distruggendo pezzi del-l’ambiente che non mi appartengono. Posso decide-re di pagare, acquistando così il diritto di inquinaree riproporre così la logica ferrea del capitalismo edel mercato. Tuttavia stabilire il prezzo equo diquesta distruzione è un’operazione tutt’altro chescontata e, soprattutto, il prezzo non può essere fis-sato da chi acquista, quando chi vende è così pove-ro da non avere nessun potere negoziale oppure èsemplicemente impossibilitato a far sentire la pro-pria voce perché non c’è, come nel caso delle gene-razioni future. Ma l’interdipendenza riguarda anchei pensieri, le parole e le immagini, per cui ciò chevedo a Baltimora è simile a ciò che posso vedere aLisbona o a Roma, se sono dinnanzi ad esempio alcartellone pubblicitario della Coca-Cola o della Ni-ke. E allora abbiamo chiesto a Oliviero Toscani diraccontarci il corpo anoressico della campagna pub-blicitaria Nolita e di spiegarci perché le immaginipossono essere potenti più delle parole. Un’altra dimensione chiave della globalizzazione èla sostenibilità, un concetto che proviene dalla ri-flessione ambientalista. Sostenibilità significa im-parare a riflettere e a tenere conto di tutti i costi ef-fettivi implicati da ciò che produciamo e consumia-mo. Gli economisti hanno elaborato concetti raffi-nati per comprendere queste questioni, come adesempio quello di esternalità positive e negative: seuna petroliera affonda e distrugge la fauna di unacerta area costiera, questi costi saranno da compu-tare quando affidiamo alle navi il trasporto del pe-trolio, con cui riscaldiamo le nostre case o rifornia-mo le nostro automobili oppure no? Chi può pagarenell’“economia dei disastri”, come dice NaomiKlein? Sono davvero casi così eccezionali e impre-vedibili oppure il disastro è globalizzato e globaliz-zabile? Fra i molti casi, di cui avremmo potutoscrivere, abbiamo deciso di parlare di Bhopal, cheè ormai poco trendy e decisamente fuori moda, fre-quentata come è soltanto dai pochi che si ostinanoa non dimenticare. Ma senza andare così lontano,avremmo potuto parlare di Seveso oppure dellemolte discariche al Nord e al Sud, dove si sonostoccati per anni rifiuti troppo inquinanti. Parlere-mo di rifiuti ovviamente, perché la cronaca ce loimpone…

La globalizzazione delle ingiustizie,dei rifiuti e delle “cattive idee”di Anna Lisa Tota

Anna Lisa Tota

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Ma la globalizzazione è anche multiculturalismo:essa ha comportato fenomeni migratori crescenti,con masse di persone (“cittadini”) che hanno sceltodi spostarsi dai luoghi in cui si muore a quelli incui la speranza media di vita, almeno apparente-mente, è più alta. La trappola ideologica alla basedi questi spostamenti è che, se è pur vero che i cit-tadini e le cittadine europee hanno una speranzamedia di vita di molte volte superiore a quella deicittadini e delle cittadine ruandesi, ciò vale appuntoper gli europei che in Europa ci vivono e non certoper i ruandesi che clandestinamente riescono a im-migrarci. Arriviamo così all’altra questione centrale che vo-gliamo affiancare al concetto di globalizzazione:quella dei diritti umani. E allora parliamo diRuanda, di Chiapas, di Cina e di Amazzonia. Unlibretto, pubblicato qualche anno or sono, si inti-tolava: La globalizzazione delle cattive idee. Hosempre pensato che questo titolo nella sua sempli-cità fosse geniale: noi globalizziamo le merci, imercati, la forza lavoro, le informazioni, i consu-mi, le idee, le innovazioni, ma anche le ingiusti-zie, i rifiuti, l’inquinamento e … le cattive idee,appunto. Ciò che non si può fare in un paese siesporta semplicemente in un altro. C’è sempre unluogo dove anche l’illecito diventa lecito e con laglobalizzazione questi luoghi ora sono più acces-sibili, più vicini. Questo numero non è l’ennesimo

sguardo pessimista sul futuro, è semplicemente unnumero critico, dove ci interroghiamo sul futuroche vogliamo. Dopo anni di lotte ambientaliste,abbiamo imparato che noi siamo il cibo che man-giamo, l’aria che respiriamo, l’acqua che bevia-mo. Una frase celebre di qualche anno fa diceva:“chi inquina l’acqua, prima o poi beve”. Ma l’in-quinamento quando è globale non è soltanto acu-stico, elettromagnetico, ambientale. C’è un inqui-namento nuovo che si estende all’area del simbo-lico: è l’inquinamento delle parole e dei pensieri,è l’inquinamento dei marchi, degli stili di vita edelle immagini. Non è un caso che in questo nu-mero parliamo di culture jamming, ovvero di sa-botaggio o interferenza culturale: infatti, noi sia-mo anche le parole che ascoltiamo e le immaginiche vediamo. La globalizzazione delle idee buonee cattive, dunque, la globalizzazione del simboli-co sono i terreni centrali su cui ci interroghiamo,perché oltre ai conflitti armati, ci sono le guerredei sogni - come ricorda Marc Augé - le guerredegli immaginari. Le egemonie culturali, l’asser-vimento e la dominazione degli altri si possonoconseguire con le armi, ma sempre più nella con-temporaneità si ottengono attraverso la colonizza-zione degli immaginari, l’asservimento dei pen-sieri, la dominazione dei sogni. In definitiva, Mar-cuse, Adorno e i suoi amici sono sempre di grandeattualità, anche se talora un po’ datati…

La redazione

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Alla luce dellacrisi finanzia-ria e dell’in-combente re-cessione, c’èda chiedersi sela globalizza-zione subiràdei cambia-menti. Da unlato, infatti, èi m p o s s i b i l e

che le autorità monetarie centrali, di qua e di là dal-l’Atlantico, non determinino nuove regole quantoagli strumenti finanziari commerciati, sia nazional-mente sia internazionalmente. La crisi dei sub prime,com’è noto, non è la crisi di un particolare mercatofinanziario (quello delle cartelle fondiarie), ma è lacrisi dei soggetti che trattano ogni tipo di carta finan-ziaria e commerciale. Poiché si è rivelato possibilecostruire titoli che sono la composizione di altri tito-li, e poiché questa composizione non è realmente no-ta a chi li acquista, né ha una relazione stringente conil sottostante (la redditività dell’azienda, della merce,del settore o del paese), il prodotto finanziario ha vitapropria, basata sulla fiducia dell’emittente e sull’ab-bondanza di liquidità da investire. In queste circo-stanze, simili a quelle del capitalismo selvaggio del-l’Ottocento, è inevitabile un intervento regolativo.D’altra parte, bisogna anche riconoscere che la glo-balizzazione finanziaria produce moneta endogena,della quale si riforniscono anche gli stati. Si trattadella liquidità creata dagli stessi emittenti i titoli dis-cussi sopra; quanto più liquido è il titolo, tanto più sicomporta come moneta. Le imprese finanziarie, peracquistare un titolo, ne vendono un altro: quando ivalori borsistici crescono, e se non ci sono limiti dinorme o regolamenti alla creazione di titoli (apparen-temente) liquidi, la moneta si forma nella quantitànecessaria per acquistarli. Così, la speculazione, inbuona parte, finanzia se stessa: fino a quando i tassidi interesse negli USA erano bassi, e più bassi deltasso di inflazione sommato al tasso di crescita reale,la moneta cresceva indisturbata, insieme alla specu-lazione e non rispondeva alle politiche monetariedelle banche centrali. Quando queste decidono di in-terrompere il gioco alzando i tassi di interesse, facen-do emergere il rischio dei titoli, la moneta endogenasi asciuga e il sistema finanziario entra in la crisi. Lestesse banche centrali, di fronte alla crisi – che evi-

dentemente non si aspettavano – sostituiscono la li-quidità mancante con la creazione di moneta. Se vo-levano battere l’inflazione proveniente dalla monetaendogena, finiscono per ridarle momento con la mo-neta esogena. Questo spiega come mai, per un lungo periodo, iprezzi delle materie prime sono cresciuti più rapida-mente della domanda: petrolio e materie prime sonodiventati titoli di credito, sui quali si specula senzaun rapporto stretto con il sottostante - il prezzo dei ti-toli rappresentativi delle materie prime cresce, senzache sia cresciuta in una qualche proporzione la do-manda di materie prime. Quando poi il meccanismospeculativo tende a rompersi – come oggi – i prezzidelle materie prime non si riducono, perché quandogli acquirenti abbandonano i titoli spazzatura trattatiin borsa, acquisteranno titoli rappresentativi dellematerie prime più di quanto facevano in precedenza,quando tutti i titoli vedevano crescere i loro valori –e anche qui non c’entra la domanda, ma la prospetti-va che i prezzi continueranno a crescere.Se la bolla speculativa ha una bassa relazione con ilsottostante, tuttavia la recessione influenza certamen-te il sottostante (la produzione) e aggrava la crisi fi-nanziaria: se il sottostante è in crisi, si riducono pro-fitti e rendite, si licenzia e si riducono i salari. Dinuovo, le materie prime sono un’eccezione, perché sitratta di beni primari, la cui domanda è poco elasticaall’andamento dei prezzi e del reddito complessivo.Prima o poi, naturalmente, tutto crollerà, ma fino aquel punto le autorità sono ingannate dalla globaliz-zazione finanziaria, in modi perfino incredibili. Così,si pensa che l’aumento del prezzo del petrolio siafrutto di scarsità, e i governi tendono ad adottare po-litiche di risparmio e di diversificazione: sempre po-litiche giuste, salvo per il fatto – già avvenuto più diuna volta – che quelle politiche verranno abbandona-te il giorno in cui i prezzi delle materie prime torne-ranno a livelli più vicini all’equilibrio tra domanda eofferta. Come abbiamo già ricordato, la Riserva federaleUSA con maggior impeto, e la Banca centrale euro-pea con grande prudenza, spingono per ridurre o nonaumentare i tassi di interesse, pur in presenza di in-flazione (determinata dall’aumento dei prezzi dellematerie prime). L’idea è che riducendo i tassi e ali-mentando la liquidità nel sistema globale, le borsenon perderanno punti, e si pone un freno ad un calorovinoso degli indici. Si pensa anche che una ridu-zione dei tassi spinga le imprese ad investire e, per-

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GlobalizzazioneAnalisi delle conseguenze economiche

di Paolo Leon

Paolo Leon

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ciò, a far crescere il valoreaggiunto. Tuttavia, questasperanza è mal riposta: sec’è una recessione, la do-manda di beni e servizi ca-la o non cresce; anche aminori tassi di interesse,non conviene alle impreseintraprendere nuovi inve-stimenti, per i prodotti deiquali la domanda si attar-da. Piuttosto, poiché po-tranno prendere a prestitoa tassi bassi, andranno allaricerca di titoli ad alto ren-dimento. Così, la riduzionedei tassi non ha effetti reali, ma ha solo quello di te-nere in piedi una domanda di titoli, altrimenti calan-te. La crisi finanziaria è solo frenata, ma non sostitui-ta da un boom e, come abbiamo indicato, l’effettodelle politiche monetarie espansive è soprattuttoquello di sostituire la moneta endogena sparita.Uno dei nodi difficili da sciogliere è il rapporto trale grandi economie emergenti e i mercati finanziari.Fino a epoca recente, i surplus cinesi di bilanciacorrente dei pagamenti erano investiti in titoli deno-minati in dollari. Poiché il dollaro si è (o, meglio, èstato) indebolito, i surplus cinesi hanno la scelta serestare sui mercati americani, acquistando a bassoprezzo titoli, ma con il rischio della crisi finanzia-ria, o rivolgersi a mercati denominati in euro. Pro-babilmente, questo cambiamento è in corso: il raf-forzamento conseguente dell’euro, a sua volta, de-

termina una tendenza sta-gnazionista all’economiaeuropea, e riduce il tassomondiale di crescita delPIL. Il problema, tuttavia,è ancora quello del dolla-ro: quanto più la Cina (ealtri) diversificano i loroinvestimenti finanziari,tanto più debole è il dolla-ro, e tanto maggiore la ri-cerca di beni rifugio, co-me le materie prime. Siapure lentamente, l’equili-brio si potrebbe ricostrui-re, se la svalutazione del

dollaro facesse crescere l’avanzo nei conti con l’e-stero degli USA. L’evidenza è che il disavanzo at-tuale o resta costante o diminuisce poco, perché gliUSA hanno ormai poco da esportare. Sembra pro-prio che si sia in attesa di uno shock esterno, senzail quale il mercato finanziario resta sostenuto dafragilissime politiche, e la recessione prosegue ilsuo corso.Questa crisi dimostra, ancora una volta, che la globa-lizzazione va governata: ma non sembra si stia for-mando un consenso tra governi intorno alle regolenecessarie e alle istituzioni che dovrebbero farle ri-spettare. Non è un caso che il Fondo monetario inter-nazionale sia in profonda crisi, e tenda ormai a con-fondersi con la Banca mondiale, nella prospettiva diuna più grande istituzione di benevolenza verso ipaesi più poveri. Ci manca Bretton Woods.

Gli effetti dellaglobalizzazio-ne sulla gestio-ne delle risorsenaturali e sullatutela e conser-vazione degliecosistemi ter-restri possonoessere valutatiin modo estre-mamente varioe controverso.Ciò dipende inparte dal fatto

che si ha a che fare con un fenomeno complesso emultidimensionale, che può interagire con gli am-bienti naturali attraverso migliaia di strade diverse. Se si privilegia però un punto di vista meramenteeconomico, si può ricondurre la complessità dellaglobalizzazione a due sole grandi classi di fenomeni:l’espansione del commercio internazionale e l’incre-mento dei flussi di investimenti esteri. Di seguito siprenderanno quindi in considerazione solo gli effettiambientali di questi due tipi di fenomeni. Il commercio internazionale, in quanto attività di pu-ro scambio, non produce alterazioni dirette degli am-bienti naturali. Può però generare impatti ambientaliattraverso l’incremento dei trasporti su lunga distan-za, ma soprattutto attraverso le variazioni del reddito

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Il prezzo delle regoleL’impatto ambientale dei processi globali

di Giovanni Scarano

Giovanni Scarano

Corporate U.S. flag, spoof ad realizzato da Adbusters

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dei paesi partecipanti, le modifi-cazioni della divisione interna-zionale del lavoro e la riduzionedei gradi di libertà nell’adozionedelle regolamentazioni ambien-tali.Secondo i fautori del liberoscambio, la crescita del redditogenerata dal commercio interna-zionale tende a migliorare, nellungo periodo, l’impatto am-bientale dei sistemi economici.Ciò avviene attraverso il miglio-ramento dell’efficienza nellosfruttamento delle risorse natu-rali, l’instaurarsi di processi ditransizione demografica virtuo-si, che tendono a stabilizzare lapopolazione mondiale, e un in-cremento dei livelli di reddito pro capite e delle en-trate fiscali capace di garantire un maggiore livello disensibilità e di tutela ambientali.I paesi che conferiscono oggi maggior valore alla tu-tela ambientale trarrebbero ulteriori benefici dal libe-ro scambio. Potrebbero infatti penalizzare, mediantetasse o standard, le produzioni interne più inquinantisenza dover rinunciare ai consumi corrispondenti,che potrebbero essere soddisfatti con l’importazione.Sul mercato mondiale vi saranno infatti probabil-mente paesi che, avendo abbondanza di risorse natu-rali o minori livelli di reddito, attribuiranno minorvalore agli impatti ambientali e troveranno quindiconveniente espandere le produzioni più inquinanti afini di esportazione.I detrattori del commercio internazionale, invece, ri-tengono che esso può solo aumentare i divari esisten-ti tra paesi ricchi e paesi poveri, producendo un dete-rioramento delle condizioni sociali di ampi settoridella popolazione mondiale che porterà con sé nuoviimpatti negativi su alcuni fra i più fragili ecosisteminaturali, quali, ad esempio, le foreste pluviali.I mutamenti nella divisione internazionale del lavoropossono a loro volta generare effetti su diversi fronti.In un contesto di libero scambio è infatti possibile,come accennato poco prima, che i paesi poveri trovi-no incentivi a specializzarsi in produzioni a forte im-patto ambientale, con gravi rischi di degrado delle lo-ro risorse ambientali e del loro benessere sociale.Possono inoltre formarsi incentivi allo sviluppo delcommercio di sostanze pericolose, generando le con-venienze a esportare i rifiuti tossici dai paesi ricchinei paesi poveri. I liberoscambisti ritengono però che il protezionismoproduca normalmente distorsioni nella composizionedel prodotto sociale che generano a loro volta ricadu-te negative sul fronte ambientale. Un esempio tipicoè fornito dagli effetti ottenuti negli Stati Uniti dal-

l’introduzione di quote per leimportazioni di automobilistraniere, che ha spinto le caseautomobilistiche giapponesi aconcentrare i propri sforzicommerciali nella vendita dicilindrate più elevate, di mag-gior valore ma anche dotate diminore efficienza nei consumienergetici e nelle emissioni in-quinanti. Un ulteriore esempioè fornito dall’eccessivo uso difertilizzanti, anticrittogamici emacchine effettuato dall’agri-coltura europea, consentito dapolitiche protezioniste e di so-stegno dei prezzi.Infine, il libero commercio puòporre vincoli alla libertà dei go-

verni di scegliere le forme di regolamentazione am-bientale più opportune per il benessere delle propriecollettività, al fine di non intaccare unilateralmente lacapacità competitiva dei produttori nazionali o di nonridurre la capacità del paese di attrarre investimentiesteri. Le regolamentazioni ambientali, infatti, incre-mentano i costi di produzione degli investitori, e la li-beralizzazione dei movimenti di capitali potrebbecreare ulteriore incentivo ad abbassare gli standardambientali come fattore di attrazione per gli investi-menti esteri. Questi orientamenti di politica economi-ca possono a volte trovare giustificazione nella pro-spettiva di potenziare il posizionamento strategico diun sistema economico nazionale, ma possono ancheessere la mera conseguenza sui governi delle pressio-ni di gruppi di interesse organizzati.I gruppi di pressione operanti nei vari paesi possonogiocare anche un altro ruolo nell’interazione tra libe-ro scambio e problemi ambientali. Alcuni di essi, inparticolari congiunture economiche, possono infattitrovare conveniente mobilitare ampi movimenti diopinione in difesa di propri interessi protezionisticisulla base di principi che appaiono di respiro più ge-nerale. E i problemi ambientali, quando sono oppor-tunamente inseriti nel contesto di previsioni apocalit-tiche, si mostrano particolarmente adatti a questoscopo. Questo tipo di strategie opportuniste può peròfacilmente generare asimmetrie nel rapporto tra paesiricchi e paesi poveri. La sensibilità ambientale tendeinfatti oggi a concentrarsi nei primi, mentre nei se-condi si concentra la maggior parte degli ambientinaturali da tutelare. Le campagne protezionistichecondotte in nome della difesa dell’ambiente o dellatutela della salute possono così finire per assecondarel’interesse strategico dei paesi ricchi a incoraggiarela liberalizzazione commerciale dei paesi poveri oemergenti, riservandosi di difendere i propri mercatinel nome di valori etici di ordine superiore. 7

Gli effetti dell’uragano Katrina a New Orleans

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Si potrebbe di-re che il termi-ne globalizza-zione definisceun atto com-piuto, un feno-meno che ca-ratterizza inmodo pervasi-vo la moderni-tà contempora-nea. Definisceper lo più la

sfera del potere economico, cui siaggregano a caduta gli ambiti delpotere sociale, politico e culturale.Il termine fa pensare a un processodi omogeneizzazione del mondo,un appiattimento delle individuali-tà, un annientamento delle diffe-renze. Ma un’osservazione ancheapprossimativa del mondo ci pre-senta paesi, gruppi e individui at-traversati, possiamo dire pure af-flitti, da un vortice di guerra infini-ta, da conflitti a tutti i livelli, radi-calizzati e segnalati in una distanzasempre più profonda tra ricchi epoveri. A sentire Joseph Stiglitz ilfallimento della globalizzazioneeconomica – che pure avrebbe po-tuto colmare le ingiuste differenzedi sviluppo nel mondo – risiedenella gestione che ne ha fatto lapolitica incapace sia di governare iprocessi, sia di affrontare gli effettisui percorsi (o i destini?) di vitadegli individui. Tant’è che conclu-de il suo più recente libro MakingGlobalization Work (in italiano Laglobalizzazione che funziona, Ei-naudi, Torino, 2006) con un capito-lo politico, ricco di suggestioni«per una globalizzazione democra-tica». Le suggestioni di Stiglitz peruna possibile gestione efficace del-la globalizzazione si concentrano

sul cambiamento radicale di prospettiva e di funzio-namento delle istituzioni internazionali – i soggetticollettivi della società globalizzata – e sulla consape-volezza generalizzata dei soggetti individuali. Ma il terreno di osservazione della realtà sociale inazione resta per il soggetto individuale il territoriolocale. Dove la dinamica transnazionale presente ailivelli di vertice nella gestione finanziaria, politica,commerciale è spesso letta e vissuta secondo unaprospettiva fortemente nazionale. Una rivendicazionedi diritti da parte del capitale globale si accompagnanell’analisi di Saskia Sassen a una rivendicazione didiritti di cittadinanza da parte di settori svantaggiati

8 «La globalizzazione che funziona»L’università come territorio di incontro

di Maria Vittoria Tessitore

Maria Vittoria Tessitore

Locandina di uno degli appuntamenti organizzati dal Master in Politiche dell’incontro emediazione culturale in contesto migratorio

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della popolazione urbana. E il settore svantaggiatodella popolazione urbana è percepito a livello territo-riale come composto per lo più da migranti, personeche hanno prevalentemente un orizzonte di aspettati-va e di progetto certamente composito e a carattereglobale. All’immigrazione come «processo fondativodella nuova politica economica transnazionale» Sas-sen dedica tutta la prima parte del suo libro Globali-zation and its Discontents (titolo che in italiano supe-ra brillantemente l’ostacolo del riferimento shake-speariano e diventa Globalizzati e Scontenti, Il Sag-giatore, Milano 2002). Se trasferiamo questo quadro sommario della globa-lizzazione al territorio a noi più vicino che è quellodell’università, vediamo in che modo questo puòconsiderarsi alla stregua delle città globali osservateda Sassen, e come luogo di formazione della consa-pevolezza individuale auspicata da Stiglitz. L’univer-sità è spazio limen nella vita dei cittadini e delle cit-tadine, dove si costruisce ricerca e su questa base sipraticano i saperi in direzione della formazione dellenuove generazioni. L’università è quindi il luogo de-putato di formazione di una cultura aggiornata neisaperi, è anzi sicuramente un moltiplicatore di cultu-ra. E quindi è il nocciolo fertile di costruzione dellacittadinanza. Come si può trascurare la dimensionetransnazionale della cultura di cittadinanza? E dovesi esercita tale dimensione?

Se la ricerca è già per sua natura transnazionale, glo-bale, sia per quanto riguarda la collaborazione suiprogetti, sia, quindi, per quanto riguarda l’interazio-ne funzionale tra soggetti ricercatori (un po’ menoper quanto riguarda la messa in comune dei prodotti,altro problema politico legato allo sviluppo), ancorac’è molto da fare nell’ambito localmente italianoquanto all’apertura del territorio-università a studen-ti provenienti da altre culture e in particolare ai citta-dini e alle cittadine residenti in Italia ma affiliati anazionalità diverse. L’accesso agli studi e alla socia-lità che si esprime nel territorio-università permettedi valorizzare quella componente della globalizza-zione identificata da molti osservatori nella popola-zione migrante. È ipotizzabile, anzi auspicabile, ilformarsi di una popolazione studentesca di giovaniuomini e donne che affermando e declinando le lorosingolari identità plurime collaborino alla costruzio-ne di una nuova cultura transnazionale. Partecipandoal ruolo delle città globali che Sassen definisce sitistrategici non solo per il capitale globale ma ancheper la transnazionalizzazione del lavoro anche la cit-tà-università (o l’università-nella-città come il Retto-re Fabiani definisce Roma Tre) può/deve costituireun sito strategico per il capitale intellettuale della ri-cerca globale, e per la transnazionalizzazione dei la-voratori e delle lavoratrici dello studio che local-mente si pratica.

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Un’italianista al DAMSUn ricordo di Gioia Sebastianidi Maria Vittoria Tessitore

È difficile pensare che non sia più tra noi. È facile rappresentarla al-la nostra memoria: la sua presenza nelle nostre attività fin dagli iniziha assunto per me, ma per molte e molti di noi, un ruolo sempre piùsignificativo. Abbiamo condiviso l’onere e il piacere di traghettare ilgruppo ancora indistinto delle matricole DAMS dagli studi letteraridi stampo liceale ai primi strumenti di analisi e ricerca sul testo esulla storia della letteratura. Una sfida su cui Gioia ha lavorato met-tendo in campo con grande generosità il suo amore per gli studi let-terari e il rigore della ricerca. Nella convinzione che educare alla let-teratura e alla lettura è indicare una finestra che si apre al mondoGioia ha praticato attentamente l’arte dell’ascolto in interminabilisessioni di ricevimento studenti di cui catturava l’esplicitazione del-le mancanze come l’affermazione di un bisogno che meglio si pote-va soddisfare se espresso come desiderio e aspirazione. La sua estrema attenzione alla proprietà del lin-guaggio, la sua meticolosità nella ricerca, la puntualità, la precisione e la correttezza estrema che ha sem-pre mostrato nelle talvolta pressanti funzioni universitarie sono state un grande regalo di cui le siamo grati,e che non dimenticheremo di sicuro.

Gioia Sebastiani, Pofessore associato presso il Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo e docente neiCorsi di Studio in DAMS è venuta a mancare il 14 febbraio 2008.

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Il concetto di svi-luppo sostenibilecome migliora-mento della quali-tà della vita di unacomunità, nel ri-spetto dell’am-biente e delle ri-sorse naturali, èentrato semprepiù a far parte dellinguaggio comu-ne. Ma cosa vuoldire concretamen-te, come si può

coniugare all’interno di una struttura pubblica comeuna università? Roma Tre, che è al 16° anno di vita accademica, do-vrebbe essere stata facilitata rispetto ad altri Atenei arealizzare le proprie strutture secondo criteri di svilupposostenibile. Ne parliamo con il Rettore Guido Fabiani. «Roma Tre è nata anche come progetto urbanisticooltre che accademico. Nel recuperare le aree indu-striali dismesse nella zona Ostiense ci siamo impe-gnati da subito a conservare ove possibile le preroga-tive originarie delle strutture, ma è con la realizzazio-ne delle nuove Facoltà avvenuta negli ultimi anni cheabbiamo potuto fare investimenti strutturali più avan-zati nella direzione del risparmio energetico, del ri-spetto dell’ambiente e anche di una ‘naturalizzazio-ne’ del territorio. Il Polo della Vasca Navale di pros-sima realizzazione sarà un modello eccellente peruna completa integrazione degli spazi pubblici conquelli universitari all’interno del territorio. È previstauna separazione del traffico carrabile da quello pedo-nale, alcuni servizi pubblici come la piscina e l’asilosaranno a disposizione dei cittadini, così come un or-to botanico diffuso, ovvero non un unico spazio ver-de, ma molte aree sparse di vegetazione diversificataanche con piante di pregio. Certo gli scenari di inno-vazione tecnologica che si aprono oggi ci spingono afare sempre meglio per la difesa dell’ambiente. Masenza guardare solo al futuro, invito tutti a visitarel’area in cui sono insediati i dipartimenti di Geolo-gia, Matematica, alcune aule di Scienze MatematicheFisiche e Naturali e le strutture sportive circostanti.Molto spesso sono gli stessi docenti a prendersi curadelle aree verdi e stiamo lavorando per apportare ul-teriori miglioramenti».

Nel 2007 Roma Tre ha siglato un contratto GreenNetwork spa, grazie al contributo del Dipartimentodi Ingegneria meccanica e industriale, che consentedi realizzare una serie di interventi migliorativi fina-lizzati all’efficienza energetica. «Molto presto porte-remo a termine un sistema di monitoraggio che ciconsentirà di rilevare eventuali anomalie dei consuminell’erogazione della energia elettrica dalla rete allecabine di ogni singola struttura. Questo ci consentiràdi intervenire con dispositivi ad hoc che ridurranno iconsumi». Anche all’interno delle singole Facoltà è previstal’installazione di audit di monitoraggio dei consu-mi energetici che consentiranno di rilevare le dis-persioni termiche durante l’inverno e di ottimizza-re tutte le utenze energivore oltre a quelle elettri-che. Il primo ad esserne dotato sarà l’edificio delRettorato. Lo scorso anno inoltre sono state distri-buite gratuitamente 100.000 lampadine a bassoconsumo a docenti, personale, studenti e famiglie.È senz’altro importante sensibilizzare studenti epersonale ad una gestione domestica responsabiledelle risorse ambientali, ma quali sono gli altriambiti di intervento oltre a quello energetico?«Vorrei solo aggiungere che stiamo concentrando inostri sforzi anche nella direzione delle energie rinno-vabili. A breve presenteremo uno studio per realizzarel’applicazione del fotovoltaico all’edificio del Retto-rato da estendere alle altre strutture, mentre nel nuovoCampus della Vasca Navale tutti gli edifici sarannocostruiti con una copertura di pannelli fotovoltaici.Senz’altro un’altra questione cruciale è lo smaltimen-to dei rifiuti e Roma Tre ha sempre puntato sulla rac-colta differenziata come impegno prioritario per la di-fesa dell’ambiente. Da un anno a questa parte abbia-mo incrementato a 150 unità i raccoglitori per la car-ta, 200 per i toner e le pile usate distribuiti in tutte lestrutture. Stiamo inoltre concludendo un accordo perinaugurare la raccolta interna di plastica e vetro».Già l’emergenza rifiuti a Napoli, è uno dei temicaldi del dibattito politico attuale.Chiedo al Rettore Fabiani cosa farebbe comemembro della comunità scientifica se dovesse in-tervenire in tale circostanza.«Offrirei l’Università come sede permanente per di-battere la questione in modo rigorosamente scientifi-co e divulgativamente corretto. E proporrei ad alcunidipartimenti di collaborare alle azioni di monitorag-gio ambientale».

10 Roma Tre e lo sviluppo sostenibilePuò un’istituzione universitaria coniugare la propria espansionenel territorio con il rispetto per l’ambiente?

di Monica Pepe

Guido Fabiani

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Parlando di democrazia, Chomsky afferma che èil miglior sistema, ma al tempo stesso cita la rispo-sta che diede il Mahatma Gandhi a chi gli chiede-va cosa pensasse della civiltà occidentale:«Forse è una buona idea, perché non realizzar-la?». Chomsky continua dicendo che secondo unateoria diffusa negli Stati Uniti, «la democrazia èun sistema del quale i cittadini sono spettatori enon attori. A intervalli regolari, hanno il diritto dimettere una scheda nell’urna, di scegliere nellaclasse dei capi qualcuno che li diriga. Fatto ciò,tornano a casa, badano ai fatti propri, guardanola televisione, fanno da mangiare e consumano enon devono disturbare il manovratore. Questa èla democrazia. Quando si inceppa, la reazione èinteressante. In Europa, per esempio, si è mai dis-cusso della prima ricerca pubblicata nel 1975 dal-la Commissione trilaterale e intitolata La crisi del-la democrazia? Negli Stati Uniti una ricerca similescatena reazioni molto più vivaci che in Europa.(…) L’Europa si illude di avere intellettuali impe-gnati, ma fatte salve rare eccezioni la realtà è mol-to diversa. I progressi che ci sono stati non sonovenuti dagli intellettuali, ma prima di tutto dalleforze popolari e spesso dalle organizzazioni dellaclasse operaia».Queste parole suonano particolarmente incisiverapportate al momento storico italiano. La spe-ranza ci fa dire che il popolo italiano ce la farà esarà coeso, l’amarezza che deriva da una disin-cantata lettura dei fatti ci fa dire che siamo all’en-nesimo gioco delle parti. Qual è lo stato di salutedella democrazia italiana?

Chomsky distingue molto opportunamente la demo-crazia come metodo elettorale da un concetto piùcomplesso di democrazia, che mette in gioco unavasta e costante orchestrazione partecipativa dei cit-tadini a quella che viene chiamata la cosa pubblica.Chomsky ha sostenuto in più occasioni che oggi gliStati Uniti vivono qualcosa che somiglia più a unamonarchia che non alla democrazia dei padri fonda-tori della nazione, parlando dell’attenuazione dellegaranzie costituzionali che si è registrata nel suoPaese negli ultimi decenni e citando come esempioper tutti le cosiddette guerre del Presidente, dichia-rate da Bush senza rispetto per le garanzie previstedalla costituzione statunitense. In questo brano èmolto critico anche con l’Europa e con gli intellet-tuali europei. Ha ragione, soprattutto per quanto ri-guarda l’incapacità degli intellettuali di bilanciarel’ingigantimento del ruolo culturale dei politici.Prendiamo per esempio il nostro Paese: i media, eprima di tutto le televisioni, per motivi di mercatoda un lato e di controllo politico sui palinsesti dal-l’altro, hanno ridotto sempre più il ruolo della cul-tura nel quadro dei loro programmi, e hanno propo-sto al pubblico i politici, in forma sempre più diret-ta e massiccia, con la conseguenza che i politicihanno finito con il rappresentare quasi l’intero spet-tro della riflessione sui temi della vita civile, dando-si come leader di opinione e come garanti dei valo-ri. Un ruolo che in passato era ampiamente condivi-so con gli intellettuali. Quando Enrico Belinguer,per esempio, propose la “questione morale” e il“compromesso storico”, era circondato da intellet-tuali che avevano un ruolo nella messa a punto di 11

«La fabbrica del consenso»Dialogo filosofico tra Giorgio De Vincenti e Noam Chomsky

a cura di Alessandra Ciarletti

Noam Chomsky è uno scienziato e teorico della comunicazione statuni-tense. Ha rivoluzionato gli studi linguistici con la teoria generativista cheha avuto fondamentali ricadute nell’ambito della ricerca psicologica, lo-gica, filosofica. Attualmente è professore emerito presso il Department ofLinguistic and Philosophy del Massachusetts Institute of Technology(MIT). All’attività accademica Chomsky affianca un notevole impegno politicoe sociale. A partire dalla sua forte presa di posizione contro la guerra inVietnam, non ha mai rinunciato a porsi come coscienza critica della so-cietà occidentale. La costante e acuta critica nei confronti della politicaestera di diversi paesi, in primo luogo gli Stati Uniti, così come l’analisidel ruolo dei mass media nelle democrazie occidentali, lo hanno reso unodegli intellettuali più celebri e seguiti della sinistra radicale americana.

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quei processi, e magari erano critici e tutt’altro cheorganici; c’era una vita culturale intensa, nel nostroPaese, una vita culturale in cui le scienze, le arti, laletteratura, la poesia, il cinema giocavano un ruoloforte. Oggi siamo molto lontani da quella condizio-ne, c’è come un’eclisse della cultura e una sovrae-sposizione della politica, che assume compiti chefarebbe bene a demandare a un più ampio contestoragionativo e discorsivo, anche perché molto spessoquando li assume lo fa con funzioni di garanzia neiconfronti di poteri forti, tra i quali è centrale in Ita-lia (anche se non è l’unico) il potere ideologico edeconomico della Chiesa cattolica. Così accade cheall’inizio del 2007 in una crisi di governo di venti-quattr’ore si sganci il tema dei “dico” dal program-ma di governo perché altrimenti i cattolici esconodalla maggioranza; e che importanti leader politicipossano dichiarare senza pensarci troppo di volerprocedere in un futuro non lontano verso una formapresidenziale di Stato, che significa cambiare buonaparte delle garanzie costituzionali su cui si fonda laRepubblica italiana. E perfino che un politico auto-revole possa intravedere una possibilità di lesionipermanenti come prevenzione della pedofilia: unamostruosità incivile e incostituzionale. O ancora ilfatto che un candidato del PD sostenga pubblica-mente in televisione (Ballarò) che i controlli dell’i-spettorato del lavoro nelle aziende devono esserepreceduti da un congruo preavviso. Che è come da-re il via libera agli abusi. Tutto questo, purtroppo, cifa cogliere molto bene il distacco della politica dal-la vita civile e quanto sia reale il problema della de-mocrazia oggi in Italia, non meno che in altri paesi:bisognerebbe da un lato rileggere attentamente lanostra Costituzione, che è il nostro “luogo” per ec-cellenza di incubazione della democrazia, il dnadella nostra democrazia, e dall’altro attuarla facen-do vivere la democrazia nel senso che ho detto,piuttosto che ridurla al sistema elettorale per unadelega in bianco ai rappresentanti politici, che giàora, come si vede, mostrano di non essere davverorappresentativi. Figuriamoci con una delega in bian-co. Ed è il motivo per il quale oggi più che mai so-no in molti a chiedersi se non sia il caso di disertarele urne. Il che è un problema gravissimo. La demo-crazia è un processo dialogico e ragionativo com-plesso per la messa a punto dei fini e dei mezzi perconseguirli, un processo che per definizione richie-de la più vasta partecipazione possibile dei cittadi-ni, un processo che non ha mai fine e che coinvolgela società a tutti i livelli. Qualunque semplificazionedi questa complessità è inconstituzionale e rappre-senta un ritorno indietro sul piano non solo politicoma anche di civiltà. Personalmente sono molto piùpreoccupato della delega in bianco che non dellacoesione, che potrebbe essere di pura facciata, vistoche questo paese tende sempre più a configurarsi

politicamente come un coacervo di corporazioni. Equesto è un grande problema culturale: significache il dibattito si è molto abbassato e che la tensio-ne verso la solidarietà, l’armonia e la giustizia so-ciale si è molto allentata. E se, come ho detto, lanostra democrazia coincide in larga misura con l’at-tuazione della Costituzione, appare ben sintomaticoil fatto che nessun politico oggi faccia riferimento aquesto compito. È il segno di una forte attenuazionedella vivacità culturale del nostro paese. E, conse-guentemente, è il segno di una riduzione in atto del-la nostra democrazia. Il prof. Chomsky, ricordando i movimenti femmi-nisti degli anni Settanta, dice «all’interno del mo-vimento le donne cominciarono a lamentarsi per-ché gli uomini, mentre affermavano di lottare peri diritti umani, stavano di fatto opprimendo ledonne». Nel nostro paese proprio in questi giornisi è acceso un importante dibattito sul diritto allavita. Alcuni illustri docenti delle accademie roma-ne hanno esercitato il loro diritto alla libertà diparola stilando un documento in cui emerge chia-ramente che il diritto alla vita non è godibile datutti alla stessa maniera perché, riconoscendolocome valore assoluto, esso è addirittura primariorispetto alla stessa vita di chi la dà. Potenza e atto.Mi chiedo, è sempre vita quella di una donna vio-lata o non lo è già più dal momento che il nostrodiritto pur prevedendo la pena, non si fa garantedi quella vita spezzata? Pensa che sarà mai rico-nosciuto il dovere al silenzio di fronte al doloredelle donne? Credo che questo genere di dibattito in Italia nascainquinato e quindi assuma connotazioni e scopi im-propri. L’inquinamento deriva dalla presenza del-l’integralismo cattolico, che svolge un ruolo di co-pertura degli interessi economici di una lobby me-dica molto potente collegata da importanti fili con ilVaticano. Questo fa sì che quando si parla della fe-condazione assistita e dell’aborto non lo si fa allaluce della ragione e in spirito di verità, ma da unaprospettiva falsata in cui ideologia e bassi interessieconomici si sposano perfettamente. A questo si de-ve aggiungere la misoginia intrinseca alla culturacattolica, che gioca un ruolo importante nella que-stione. Il risultato è che non si fa chiarezza sui ter-mini dei problemi e si mescola tutto. Per esempio,già all’epoca del referendum sull’aborto le forze piùvive del cattolicesimo italiano si erano espresse indifesa della legge sull’aborto con ampie motivazio-ni, di fondo (con un discorso sulla crescita del fetoe sulla distinzione tra la presenza di una personaumana e quella che è invece una sua semplice pos-sibilità) e pragmatiche (con un discorso sull’oppor-tunità di sottrarre al dominio delle “mammane” edella clandestinità questo problema). E la legge hafunzionato, permettendo una riduzione degli aborti

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in Italia. E soprattutto tu-telando la salute e la vitadelle donne, che dobbia-mo imparare a considerarecome il primo degli scopi.Oggi un dibattito del ge-nere non sembra nemme-no possibile. Per fortuna ilmovimento delle donne ela loro consapevolezza so-no cresciuti e hanno con-quistato un qualche dirittodi parola, anche se nonancora nella pienezza chein tanti auspichiamo. Neè prova il successo dellasottoscrizione via internet di “liberadonna” -espressione della condanna che le donne hanno de-cretato alla violenza della polizia nei confronti diuna donna di Napoli che aveva abortito -, sottoscri-zione che ha ricevuto un numero altissimo di ade-sioni (e non solo di donne: siamo stati in molti, uo-mini, a sottoscrivere). In questo senso, al giusto ri-chiamo al silenzio per il dolore delle donne va ag-giunto io credo l’appoggio di tutti perché le donneparlino. E tutto questo nella consapevolezza che ledonne, che sulla vita sono di certo le più competen-ti, sanno autoregolarsi assai meglio di quanto nonpotrebbe accadere in virtù di leggi a loro estranee efrutto dell’atavica misoginia di cui parlavo. Va dettoinoltre che sull’intero terreno dell’eros la culturacattolica mostra limiti antichi e ottusità che hannodell’incredibile. Un esempio per tutti: il divieto del-l’uso degli anticoncezionali, uso che oltre ai sacro-santi (questi sì!) motivi di salvaguardia della salute,da un punto di vista culturale più ampio presentaanche il motivo dell’affidamento della fecondità alcomplesso della vita di ciascun essere umano e diciascuna coppia (o addirittura di più estesi gruppisociali, e comunque nel rispetto di scelte personalidi non fecondità), e non certo al singolo atto sessua-le. È una piccola grande cosa che mostra quanto siaarretrata la Chiesa cattolica su temi della vita quoti-diana di tutti e quanto formalismo ideologico inficila sua dottrina. «I regimi totalitari sono più trasparenti, più im-mediatamente leggibili e in fin dei conti meno in-teressanti. Non hanno bisogno di una grande ef-ficacia perché tengono sempre in serbo la possi-bilità di usare la forza e la paura. (…) Voglio sot-tolineare ancora una volta che quando le societàsi democratizzano e la coercizione smette di esse-re uno strumento di controllo e di emarginazionefacile da mettere in opera, le élite si rivolgononaturalmente alla propaganda. (…) le grandiaziende di pubbliche relazioni, pubblicità, artigrafiche, cinema, televisione hanno innanzitutto

la funzione di controlla-re le menti. Devono crea-re “bisogni artificiali” efar sì che le persone sidedichino a soddisfarli,ognuna per conto suo,isolata dalle altre. Inquesto sistema gli intel-lettuali svolgono un ruo-lo di prim’ordine». E di-ce «Più che una catego-ria di persone, si trattadi un atteggiamento checonsiste nell’informarsi,nel riflettere seriamentesulle vicende umane e

nel ben articolare la propria comprensione e lapropria perspicacia. Conosco persone prive dellabenché minima istruzione che sono, ai miei oc-chi, intellettuali notevoli. E conosco scrittori euniversitari rispettati che sono ben lontani dalcorrispondere a quell’ideale. Gli “intellettuali ri-conosciuti” sono un’altra faccenda. Con questotermine intendo quelli che all’interno del pro-prio sistema di potere sono insigniti con il titolodi “intellettuali responsabili” come in Occidentesi qualificano essi stessi, d’altronde. A volte ven-gono detti “intellettuali tecnocratici” per distin-guerli dagli “intellettuali sovversivi” che semina-no zizzania e sono “irresponsabili”». Di recentel’opinione pubblica si è divisa di fronte alla spac-catura verificatasi tra gli intellettuali riguardoalla opportunità della presenza del Papa all’in-terno della più antica accademia romana. Senzaarrivare a etichettare gli atteggiamenti mentali,ci può dire qual è la missione dell’università, luo-go deputato per eccellenza alla formazione degliintellettuali?Di fatto l’università, piuttosto che formare intellet-tuali, forma i futuri professionisti. La qualità di in-tellettuale è qualcosa di diverso. Si può essere otti-mi professionisti e non essere affatto degli intellet-tuali. E direi che di norma le cose stanno propriocosì. Inoltre, lo status di intellettuale non dipendenecessariamente dal titolo di studio. Lo sottolineaChomsky nel passo appena citato, e la mia espe-rienza va nella stessa direzione. Molti anni fa misono trovato a condividere la lotta politica con sin-dacalisti che erano ferrovieri e operai, con un gra-do di istruzione scolastica non elevato. Alcuni diloro, per la capacità di interpretare le cose, per lachiarezza con cui impostavano i problemi, per ladimensione vasta e universale delle loro argomen-tazioni e della loro visione del mondo, erano certa-mente degli intellettuali, e qualche volta di alto li-vello, e io ho imparato moltissimo da loro. Quelladel sindacato, ma anche quella delle sezioni e delle 13

Giorgio De Vincenti

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cellule del PCI, era spesso una scuola eccellenteper la formazione di quel discorso culturale di basecui accennavo sopra e di cui oggi sento la mancan-za. Non perché rimpianga quell’epoca o quel parti-to, ma perché nulla è stato fatto per riempire ilvuoto che si è determinato quando quei luoghi didibattito e formazione si sono esauriti. E lì c’è si-curamente una responsabilità molto pesante dei po-litici, che hanno scientemente ridotto il dibattitodemocratico nella società civile, in favore della ri-chiesta di delega di cui ho parlato prima. Ciò detto,ben venga la capacità dell’università, quando c’è,di aiutare la formazione di intellettuali. E dal miopunto di vista è certo che chi lavora al suo internodovrebbe operare perché questa capacità emerga esi consolidi. Ma appunto, se vogliamo raggiungerequesto scopo non possiamo darla per scontata: ilbravo tecnico, come dicevo, non è necessariamenteun intellettuale. Quest’ultimo si qualifica come talein virtù della dimensione in cui sa affrontare i pro-blemi, una dimensione capace di guardare agli ele-menti di universalizzazione e di farsi carico dellecomponenti esistenziali che lavorano nel reale eanche dentro le specifiche competenze dei varicampi professionali. Insomma, l’intellettuale si ca-ratterizza per la profondità e lo spessore umano esociale in cui sa collocare le problematiche cui sidedica. Ben venga l’università capace di agevolarequesto tipo di formazione. Ripeto però che non ba-sta conoscere la storia della filosofia per essere in-tellettuali. Né la letteratura, né le arti. Né il diritto,né l’ingegneria, né l’urbanistica, né la fisica, né labiologia. Quello dell’intellettuale vero e non “tec-nocratico”, per usare la giusta espressione diChomsky, è un compito più sottile, che richiede al-tro dalla pura competenza disciplinare, per quantoalta voglia essere. E qui si torna al discorso sulprocesso democratico come luogo più autenticodella cultura di un Paese, e alla responsabilità chetutti abbiamo di permettere a questo luogo di vive-re. L’università può (e a mio avviso deve) dare ilsuo contributo a questa vita, ma non lo farà per tra-

dizione, automaticamente, o per statuto: lo farà so-lo se sospinta da coloro che al suo interno sonodavvero degli intellettuali, e ciò non accadrà senzacontrasti. Anche perché la politica oggi nel nostropaese non vuole intellettuali veri, che per definizio-ne sono critici, ma, appunto, gli intellettuali “tec-nocratici” di cui parla Chomsky, che costituiscanogruppi di sostegno e propaganda. Quanto al casodel papa alla Sapienza, si tratta di un esempio, chesi colloca ai livelli minimi della sopravvivenza delsapere. Voglio dire che le perplessità dei firmataricirca il ruolo inaugurale offerto a Ratzinger dal ret-tore erano il minimo che una comunità scientificapotesse e dovesse fare di fronte alla violazione diqualsiasi spirito scientifico contenuta nella dichia-razione di Ratzinger su Galileo. Una dichiarazioneche assai più che al passato guarda al presente e alfuturo, e che mostra un profondo disprezzo perl’intelligenza dell’uomo, che pure, per la tradizioneebraico-cristiana, è il dono precipuo che Dio hafatto agli esseri umani, senza il quale l’umanitànemmeno esisterebbe e di conseguenza non avreb-be senso parlare né del Cristo né dell’intera temati-ca della salvezza. Credo che la Chiesa avrebbe tut-to da guadagnare se ricominciasse a pensare, aquesto e ad altri temi, come per esempio quellodell’evoluzionismo, ispirandosi ai suoi miglioriteologi: penso per esempio a Pierre Teilhard deChardin, gesuita, geologo e paleontologo evoluzio-nista di fama internazionale, nonché teologo e mi-stico di altissimo livello. Un intellettuale scomodo,che la Chiesa di Roma obbligò a vivere lontano(per lo più in Cina), arrivando perfino a chiederglidi bruciare i suoi testi di teologia, che non ebbemai il permesso di pubblicare mentre era vivo. Perfortuna, consigliato da altri eminenti teologi, nonlo fece. Sono un’eccellente lettura (per esempio, Ilfenomeno umano) sia per i cristiani sia per i laiciche vogliano incontrarsi con la parte più viva dellateologia cattolica. E sono l’esempio della possibili-tà di una Chiesa molto diversa da quella oscuranti-sta di oggi.

Nei momenti più importanti della storia dell’uomoesistono dei personaggi che si distinguono per i loropensieri, le loro opere o per la loro semplice voglia dimettere in risalto problemi che, senza un forte inter-

vento, rimarrebbero sconosciuti alla maggioranzadella popolazione mondiale. La globalizzazione è senz’altro un elemento chiavedella modernità. Nel dibattito su questo tema fin

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Vandana ShivaUn occhio critico sulla globalizzazione

di Camilla Spinelli

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troppo esteso, si di-vidono storici, scien-ziati, giornalisti, pro-fessori universitari.Da una parte coloroche la giustificano,dall’altra coloro chela disprezzano. Vandana Shiva è unodei massimi espertidi ecologia socialealla quale si devonoproprio quegli studiche criticano il mas-siccio intervento del-la globalizzazionenei paesi del cosid-detto Terzo Mondocome l’India, in cuilei è nata e cresciuta.I suoi studi hanno loscopo di mettere inrisalto tutti quei pro-blemi che le multina-zionali occidentalistanno creando pro-prio in questo paese,distruggendo la bio-diversità terrestre ela semplice vita quo-tidiana dei contadinio dei pescatori deivillaggi costieri.Per più di 10.000 an-ni gli agricoltori han-no lavorato con lanatura sviluppandomigliaia di varietà colturali adatte ai diversi climi eculture. Oggi questa enorme diversità è minacciatadalla cosiddetta “pirateria genetica”: le monoculturee i monopoli stanno distruggendo la ricca varietà disemi che la natura e la cura degli agricoltori hannocreato nel corso dei millenni.Shiva punta il dito contro il governo statunitense chenegli anni Sessanta ha imposto all’India, con il soste-gno della Banca Mondiale, metodi di coltivazionechimici e industriali sotto l’etichetta della Rivoluzio-ne verde. All’inizio questa avrebbe dovuto rappresentare un ap-proccio innovativo alla produzione agricola, che attra-verso l’accoppiamento di varietà ad alto potenzialegenetico e sufficienti input di fertilizzanti e altri pro-dotti, avrebbe dovuto garantire un incremento delleproduzioni agricole. Ma così non è stato.

Questa operazione in-vece di giovare allefamiglie indiane, haportato alla perditadella biodiversità, al-l’incremento dell’in-quinamento delle ac-que, attraverso lo sco-lo di fertilizzanti epesticidi, e alla dipen-denza economica chenasce per ragioni diforza tra contadini emultinazionali. I pri-mi si ritrovano a do-ver comprare i semigeneticamente modi-ficati che purtropponecessitano di pestici-di, erbicidi e macchi-ne agricole acquista-bili direttamente dallastessa multinazionale.È un dato di fatto chequesto meccanismogenera dipendenza emolti contadini sonocostretti a vendere lapropria terra per ripa-gare i debiti. Shiva critica forte-mente l’agricolturaindustriale che oggi siè trasformata in unaguerra contro gli eco-sistemi; questo si puòosservare anche dai

nomi, strani e fuoriluogo, che le multinazionali attri-buiscono ai propri erbicidi: la Monsanto ha chiamatoil suo Round – Up (Retata), mentre l’American Ho-me Products ha optato per Pentagon (Pentagono) eAvenge (Vendicare). L’India, come molti altri paesi del Sud del mondo,dovrebbe invece continuare ad avere un’agricolturabasata sulla diversità, le decentralizzazione e il mi-glioramento della produttività delle piccole aziendeagricole attraverso metodi ecologici. Oggi più che mai secondo la Shiva, siamo tutti partedi questa macchina distruttrice: i governi del Nordche impongono la loro agenda agli abitanti del Suddel mondo, ma anche noi semplici cittadini proprioper il nostro atteggiamento di semplice distacco ver-so tutti quei problemi che ci appaiono lontani geo-graficamente e “sentimentalmente”. 15

Vandana Shiva è una fisica, un’economista indiana nonchéuno dei massimi esperti di ecologia sociale, leader conRalph Nader e Jeremy Rifkin, dell’International Forum onGlobalization.È direttrice della Research Foundation for Science, Techno-logy and Ecology.Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award e il Global500 Annual dall’UNEP (United Nation Environment Pro-gramme) e l’Earth Day International Award of the UnitedNations (UN) per il suo continuo lavoro nella difesa e con-servazione del pianeta terra.Tra i suoi libri più conosciuti: Monocultures of the Mind: Bio-diversity, Biotechnology and Agricolture (1993), Biopiracy:the Plunder of Nature and Knowledge (1997), Stolen Har-vest: The Hijacking of the Global Food Supply (1999), Globa-lization’s New Wars: Seed, Water and Life Forms (2005),Earth Democracy; Justice, Sustainability, and Peace (2005).

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Nella sua recente campagna Nolita lei gioca con ilsignificato e il significante, imprimendo alla pub-blicità un carattere di denuncia di segno opposto.Perché ha scelto questo tema?Lavoro da anni sull’anoressia, ho anche girato unfilm su questo tema, Bianca, sedici anni, presentatoal Festival di Locarno. È la confessione di una ragaz-zina di sedici anni da cui si capisce bene per qualeragione ci si ritrova a vivere quella condizione. Biso-gna mostrare a tutti la realtà di questa malattia, nellamaggior parte dei casi causata dagli stereotipi impo-sti dal mondo della moda, ma non solo. Anche la re-cente campagna Nolita si muove in questa direzione:ha fatto molto discutere l’immagine della ragazzaanoressica ed è stata molto osteggiata, tanto è veroche a Milano è durata pochissimo e a Roma tre gior-ni in più. In Francia addirittura non hanno accettatol’affissione considerando l’immagine troppo forte. Inogni caso, per me, è molto interessante che finalmen-te proprio un’azienda di moda abbia capito l’impor-tanza del problema, ne abbia preso coscienza e concoraggio rischi, facendo questa campagna. La pub-blicità non deve uniformare, piuttosto deve essere ingrado di destabilizzare.Di quelle immagini si è a lungo parlato, ma sullestrade non sono durate a lungo. Di quanta libertàdispone oggi un creativo eticamente attento e cheprezzo paga?È dura perché non si possono fare delle cose, non di-co che non facciano pensare, ma che non siano nellenorme del consumismo, dell’economia, del profitto equindi del consumo. È molto difficile, perchè le isti-tuzioni sono quello che sono e anche i committenti

sono per lo più avvezzi a logiche di mercato. Devodire che per quella che è la mia esperienza ho sempreavuto la fortuna di incontrare persone che capivanociò che volevo dire e ho sempre disposto della mia li-bertà creativa. Ma per avere libertà, bisogna garantireai committenti il pieno e talvolta non basta. I Benet-ton li ho arricchiti da matti eppure non è bastato per-ché di fronte alla mia campagna sulla pena di mortesi sono ritirati. Il rischio viene sempre consideratouna perdita; sostanzialmente non c’è coraggio, men-tre la comunicazione e l’arte in generale, dovrebberoessere sempre coraggiose. In particolar modo, la co-municazione dovrebbe essere in grado di trovarenuove soluzioni senza trattare i problemi in modoproblematico; essa dovrebbe mettere in evidenza inodi sociali non ancora risolti. In questo senso si de-ve correre il rischio. L’arte è un rischio. Globalizzazione e censura, due aspetti che caratte-rizzano i nostri tempi.. Che ruolo è riservato all’ar-te? Può ancora denunciare o è ormai totalmentesoggiogata a logiche di mercato? Parafrasando Pa-solini, in un paese in cui si può tutto non si fa nulla,viceversa dove non si può nulla, si fa qualche cosa. C’è tanta gente che non vuole spostare il propriopunto di vista e i censori purtroppo sono dei subuma-ni con una mancanza totale di creatività e di genero-sità nei confronti della vita. La storia non ricordanessun tipo di censura che con il tempo si sia dimo-strata intelligente. La censura è stupida, becera, vio-lenta. Il ruolo dell’arte è un ruolo complesso, possodire che quando è censurata ha fatto il suo dovere.L’arte deve traghettare, deve accendere la luce innuovi spazi.

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Oliviero Toscani è nato a Milano e ha studiato fotografia alla Hochschulefur Gestaltung di Zurigo. I suoi lavori sono conosciuti e riconosciuti a livello internazionale e la suaforza creativa ha lavorato per i più famosi giornali e marchi del mondo. Perla United Colors of Benetton ha dato vita a immagini e strategie di comuni-cazione che hanno fatto scuola. Nel 1990 ha creato e diretto la rivista inter-nazionale Colors; nel 1993 ha inventato e diretto Fabrica, un centro per learti e la ricerca della comunicazione moderna, producendo libri, mostre,esposizioni e film. I suoi lavori sono stati esposti alla Biennale di Venezia,San Paolo del Brasile, alla Triennale di Milano e nei musei di arte modernadi Mexico City, Helsinky, Roma, Lausanne e Francoforte.Il suo lavoro contro la pena di morte è un’esposizione richiesta in tutto il mondo.Negli ultimi anni ha fondato un nuovo centro di ricerca della comunicazio-ne moderna chiamato La Sterpaia.Vive in Toscana, produce olio di oliva e alleva cavalli.

«Tra cervello e cuore»Intervista a Oliviero Toscani

di Alessandra Ciarletti

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Io non amo la violenza, anzi mi disturba molto, nonla sopporto. Non guardo mai film violenti. Nella vio-lenza manca completamente la bellezza della trage-dia. Ma oggi nessuno vuole più vedere la tragedia. Lacondizione umana a volte è tremenda. Un’immaginenon è mai scioccante, è la realtà che è scioccante.Lei ci ha abituato nel tempo a immagini scioccantiche se non sovvertono tutti i luoghi comuni, alme-no li mettono in evidenza. Al di là di un’irrinun-ciabile inclinazione a una sana sovversione, quan-do crea pensa che la sua istanza di libertà possaessere utile a qualcuno?È innanzitutto utile a me e probabilmente a un’altra per-sona. Se ciascuno di noi riuscisse ad essere utile ad unapersona soltanto, avrebbe fatto tantissimo. Se si riuscis-se a fare del bene almeno a un’altra persona, il mondoin breve avrebbe il doppio delle cose che gli servono.L’arte è una questione di valori, se è solamente esteticaè mediocre. A me interessa documentare l’uomo e lasua condizione, tutto il resto è cornice spesso evitabile. Quando creo non rinuncio mai alla mia etica, al miomodo di guardare, di essere curioso del mondo e del-la bellezza che contiene, spesso bellezza tragica. Lacuriosità non censura mai e si porta dietro il fardellodel coraggio che fa mettere l’occhio dove la maggiorparte della gente volta le spalle. La volontà di capiremeglio le cose che accadono, sì, credo che questo siail motore principale.Quale è la soddisfazione maggiore?La soddisfazione è come la creatività: deve essere unaconseguenza. Io non mi sono mai definito un creativo,sono gli altri che lo dicono quando guardano il mio la-voro. La creatività è una conseguenza ed è in strettarelazione con la soddisfazione. In ogni caso io non ri-cerco consenso; la ricerca costante del consenso iniziadalla scuola: si studia per ottenere buoni voti non perimparare, ma del resto sono pochissimi i maestri cheinsegnano per amore dell’insegnamento, la maggiorparte in realtà amano giudicare. Oramai si fa tutto peril consenso: ci si rifanno le labbra, i seni, il naso perottenere consenso, peradeguarsi a un modellodi bellezza che non è lapropria, si rinuncia per-fino alla propria perso-nalità fisica per confor-marci a una bellezzacommerciale, una bel-lezza definita dai mezzidi comunicazione dimassa. Questo che cidice? Che si vive in unacostante paura di essererifiutati. Benissimo. Iofortunatamente non hoquesta paura. Mi pro-pongo per quello chesono e se non piaccio

non è un problema. Anzi devo dire che le critiche mipiacciono e mi fanno bene, mi fanno riflettere e tantevolte capire qualcosa che magari mi è sfuggito. Nessu-no è perfetto. Mi considero una persona particolar-mente fortunata e privilegiata, innanzitutto per il pe-riodo storico in cui sono nato e cresciuto, per le espe-rienze che ho maturato, per le cose che ho e comunquesia ci tengo a precisare che questa mia fortuna non hamai corrisposto un favore politico. Da quando sononato, non ho mai votato un partito che sia andato algoverno. È incredibile! Credo che la politica sia unacosa fatta da imbecilloidi. Io appartengo sempre al2%; in tutte le cose c’è il due per cento. Nella mia bot-tega vengono cento ragazzi, due hanno veramente ta-lento…magari ce lo hanno anche gli altri, ma gli altrisono più attenti a riscuotere consenso, vogliono con-formarsi al successo e per questo ricercano come pri-ma cosa il consenso. In questo modo si va dritti versola mediocrità.Immagini globalizzate: l’anoressica di Nolita e icorpi denutriti di molta parte del mondo. Percen-tuale di rischio di globalizzare, ovvero, sedare lecoscienze? La pubblicità se ne giova? Tutto è pubblicità: il Papa che parla la domenica ve-stito di bianco è un comizio pubblicitario; in un certosenso la pubblicità l’hanno inventata loro, è la vocedella cultura moderna. La Repubblica fa pubblicità auna certa politica, il Corriere a un’altra e L’Unità aun’altra ancora e via così. No?Dobbiamo smettere di ragionare a compartimenti sta-gni, a valori dati. Tutto è strumentalizzato in funzionedel prodotto. Guardi che anche credere in Dio è unprodotto. Ormai la pubblicità condiziona il gusto, lacultura, la morale, l’etica della gente. Per un bambinola pubblicità è relativa al suo libro di scuola. Il mes-saggio cifrato, ma poi ormai mica tanto, è che si è ciòche si consuma, ciò che ci si mette addosso, quindi l’i-dentità è diventata qualcosa di estremamente superfi-ciale. Non ci si stupisce più di niente, travolti dall’effi-mero. Siamo anoressici, stiamo attraversando un pe-

La campagna pubblicitaria Nolita

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riodo di anoressia culturale. Liquidiamo ciò che noncomprendiamo nel modo più semplicistico possibile.Sono comunque ottimista, credo nell’evoluzione. Certoè che al momento c’è una predominanza di infelicità.Basta guardarsi intorno la mattina in tram: non si trovaun volto felice. Non solo. Non ce ne è uno che emanivoglia di vivere, solo sguardi feroci. Per quale motivoessere infelici? Io questo proprio non lo capisco. Si vi-ve una volta sola e l’infelicità è un lusso che l’uomo inquanto tale non può permettersi. La mia grande faticaquotidiana nasce da una spinta contraria, dalla consa-pevolezza nitida di non voler essere assolutamente co-sì. Per natura vado contro ai dati di fatto socialmenteaccettati: bisogna essere in un determinato modo, biso-gna lavorare in tal altro. Ecco, neanche quando andavoal liceo riuscivo ad adeguarmi: capii in fretta che eramolto più divertente andare al cinema e in quegli annimi sono fatto una cultura cinematografica incredibile,la scuola non mi ha insegnato così tanto. Io conosco inprima persona tutti i film degli anni Cinquanta. Ho imparato l’inglese così. In sintesi, però, ero unautodidatta con un incredibile senso di colpa, perchénon andavo a scuola e dovevo raccontare balle aimiei genitori, dovevo falsificare le assenze.

A cosa non può rinunciare?All’istinto. Saper seguire il proprio istinto è una ga-ranzia di felicità. Il resto ci porta all’infelicità. Certonon è facile ascoltarlo, bisogna imparare e non c’ènessuno che lo possa insegnare perché tutta l’educa-zione che riceviamo è volta a cancellarlo, a farci per-dere questa fondamentale sensibilità.Viviamo in tempi di incertezza, il lavoro, l’am-biente minacciato, la salute precaria.. L’insicu-rezza cara alla creatività è stata soppiantata dauna precarietà reale vissuta ogni giorno. Ne de-riva una necessità contraria, di stabilità, di pun-ti fermi che il sistema placa con analgesici effi-meri che non fanno altro che dilazionare la sof-ferenza.La sicurezza non esiste, è una balla! È un’operazionedi marketing. L’unica cosa certa è che moriremo. Bi-sogna quindi vivere fino a quel momento nel modopiù allegro, civile e bello possibile. Senza avere pau-ra. Bisognerebbe innanzitutto eliminare la televisio-ne. Il fatto che esista non comporta necessariamenteche bisogna averla. Io l’ho fatto tanto tempo fa. Nonc’è bellezza, etica, energia vitale in queste facce daprogrammi demenziali intrisi di buonismo.

Nella società dei consumi, leaziende hanno compreso datempo di poter avere accesso al-la realtà quotidiana dei consu-matori attraverso il marchio obrand, più che con il sempliceprodotto. Il marketing ha assun-to così un ruolo dominante nelsistema e la fase di produzionedelle merci viene data in appaltoa società d’oltreoceano (le co-siddette zone franche) che devo-no produrre la merce al prezzopiù basso possibile, per lasciarspazio agli investimenti sulbranding. Di qui la corsa versoil cosiddetto “peso zero” (Klein,2000): chi possiede di meno eproduce le immagini, anziché iprodotti, vince la corsa.All’interno di questi distrettiindustriali si trovano fabbrichedove milioni di persone, soprattutto giovani donne ebambini, lavorano in condizioni di sicurezza e igiene

deprecabili, non sono tutelatida alcun diritto sindacale e ri-cevono un salario insufficienteper vivere. A tale sfruttamentocercano di rispondere i gruppidi consumo critico, paragonatida Naomi Klein a un esercitoarmato di spilloni che vuole farscoppiare i palloncini gonfid’aria (i marchi). Questi diver-si movimenti possiedono unelemento in comune: la volon-tà di andare oltre l’imperiali-smo del marchio per svelarecosa c’è dietro le strategie dimarketing delle corporation. Il consumo equo e solidale e ilboicottaggio rappresentano unamodalità di resistenza culturalefondata sull’utilizzo del poteredei consumatori in termini discelta o di rifiuto di un prodotto.

Il commercio equo e solidale manifesta il potere deiconsumatori di scegliere quali prodotti comprare.

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La guerra dei marchiIl culture jamming come fenomeno di resistenza culturale

di Lia Luchetti

Spoof ad realizzato da Adbusters contro il clownRonald testimonial di Mc’Donalds

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Chiede maggiore digni-tà per il produttore,cioè una retribuzionedignitosa del lavoro,maggiore giustizia nelcommercio, per valo-rizzare i costi reali dilavorazione, e maggioreprotagonismo del con-sumatore, per garantirela trasparenza di tutte lefasi commerciali.Il boicottaggio consiste,invece, nell’interruzioneorganizzata e tempora-nea dall’acquisto di unoo più prodotti per indur-re le società, con un calo di vendite, ad abbandonarecomportamenti scorretti che creano ingiustizia socia-le, impoverimento delle risorse e inquinamento.Il movimento del culture jamming (in italiano inter-ferenza culturale) comprende, soprattutto negli StatiUniti e in Canada, diversi gruppi di attivisti che ope-rano in risposta allo strapotere dei media e delle mul-tinazionali mediante la manipolazione simbolica deimarchi. Le azioni dei culture jammers consistono nel capo-volgere il significato dei repertori mediali utilizzandoil linguaggio stesso dell’advertising: i messaggi pub-blicitari, con un’operazione simile al bricolage sotto-culturale (Hebdige, 1979) e al détournement (De-bord, 1967), vengono spostati dalla loro collocazioneper essere inseriti in un campo semantico opposto.Questa modalità di azione viene definita subvertising(subvert+advertising).Movimento ispiratore di queste pratiche è la rivistacanadese Adbusters che, dal 1989, è celebre per glispoof ad, le parodie di alcune pubblicità, di cui sfrut-ta l’estetica riconosciuta e il simbolismo forte per co-struire un messaggio antagonista. Adbusters ha co-struito moltissimi spoof ad con la tecnica del subver-tising; tra i più esemplari ed efficaci vi è la corporateflag, la bandiera americana in cui le stelle degli Statisono simbolicamente sostituite dai loghi delle piùnote corporation americane (Nike, Microsoft, Apple,Shell, Coca Cola, Mc Donald’s ecc.). I bersagli privilegiati di Adbusters sono le multina-zionali del tabacco, di alcool, del fast food e di mo-da. È il caso delle “spubblicità” contro l’industria deltabacco: il cammello Joe Camel, testimonial delleomonime sigarette, è ritratto come Joe Chemo in unaserie di parodie ambientate in un centro oncologico,con il cammello malato terminale in preda ai rimorsiper gli effetti dannosi del tabacco.Mc Donald’s, già oggetto di una durissima campagnadi boicottaggio nel 1990 per i suoi messaggi pubblici-tari ingannevoli sul cibo (il processo denominato McLibel) e nel 2004 protagonista del documentario Su-per size me, è travolta dalle azioni di subvertising. Ve-

diamo il clown Ronaldcon l’adesivo grease(unto) attaccato sullabocca, oppure la scenadi un’operazione chirur-gica con in primo pianoil grafico del monitorche assume l’inconsue-ta forma di M (gli archid’oro del logo) perché ilpaziente è stato colpitoda “Big Mac attack”.Come non citare, poi, lefalsificazioni della cam-pagna pubblicitaria Ab-solut Vodka, che abbinaal nome del noto alcoli-

co una serie di vocaboli attraenti (absolut fun, absolutjoy, absolut party). Nelle mani dei jammers lo slogandiventa, al contrario, Absolute end, con il profilo diuna bottiglia disegnata per terra con il gesso, comefosse la scena un incidente stradale.Infine, sono molteplici gli spoof ad che rispondonoall’obiettivo di sabotare l’industria della moda, re-sponsabile di trasmettere l’ideale di «bellezza=snel-lezza=giovinezzazza» (Capecchi, 2006). Uno deibersagli preferiti dai jammers è l’azienda CalvinKlein. Nell’anti-campagna sul profumo Obsessionfor women, lo slogan è associato all’immagine di unadonna di spalle, piegata di fronte ad un water sulpunto di dare di stomaco, simbolo di un rifiuto pato-logico del cibo che può insorgere adeguandosi ai mo-delli di femminilità imposti dal mondo della moda edella pubblicità. Anche Nike, prototipo di marchio svincolato dal pro-dotto (Klein, 2000), non sfugge agli attacchi. Unospoof ad, ritratto della campagna di boicottaggio chenel 1994 mise sotto accusa la Nike per le condizionidi lavoro nelle sue fabbriche asiatiche, mostra unasneaker nera su cui è scritto il prezzo in dollari paga-to nei negozi per un paio di Nike ($250) e il costo ef-fettivo ($0,83) di quando esce da una sweatshop, unafabbrica subappaltatrice del terzo mondo.Il culture jamming non si manifesta, però, solo con latecnica del subvertising, ma è oggi una rete comples-sa che utilizza sempre più la rete per diffondere inmodo capillare le sue campagne. Rientrano nelleazioni di “guerriglia semiologica” (Eco, 1973) le tec-niche di sniping attuate dai banditi dei cartelloni pub-blicitari, come il Billboard Liberation Front, il mediahoaxing, come le beffe mediatiche realizzate da Lu-ther Blissett o il caso Serpica Naro, la clonazione deisiti web, le azioni di sabotaggio degli stereotipi digenere, come le Guerrilla Girls, e molto altro anco-ra. Gli attivisti, negoziando il significato degli enun-ciati mediali (Hall, 1980), assumono il ruolo di attoridella comunicazione e dimostrano le possibilità diresistenza creativa e artistica insite nell’utilizzo criti-co dei repertori mediali. 19

Brand baby, spoof ad realizzato da Adbusters

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Febbraio 2008. Il New York Times pubblica un artico-lo su un’inchiesta italiana. Nei due mesi precedentigiornali argentini, uruguayani, brasiliani si sono occu-pati dello stesso tema. L’inchiesta, che è partita diecianni fa, indaga sulla cosiddetta Operazione (o Siste-ma) Condor, un accordo segreto stretto nel 1975 frasei paesi latinoamericani (Cile, Argentina, Uruguay,Paraguay, Bolivia e Brasile) che istituì fra i servizi disicurezza e di intelligence degli stati coinvolti – all’e-poca tutti governati da regimi dittatoriali – una formadi collaborazione repressiva illegale, una fitta rete discambio di informazioni sugli oppositori politici e unsistema di mutua collaborazione nella cattura, deten-zione e trasferimento illegale di cittadini da un paeseall’altro. Il supporto che gli apparati repressivi di cia-scun paese assicuravano agli altri era logistico e ope-rativo e implicò nella maggior parte dei casi la torturae la segreta eliminazione dei detenuti politici.La fase istruttoria dell’inchiesta italiana sul Condorsi è conclusa il 24 dicembre scorso con l’emissioneda parte del G.I.P. Luisanna Figliolia di 140 ordinan-ze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti exdittatori, militari, agenti dei servizi di sicurezza e diintelligence che a vario titolo, in veste di torturatori,sequestratori, capi militari o cariche governative fu-rono coinvolti, nell’ambito del Sistema Condor, nellascomparsa fra il 1974 e il 1980 di venticinque citta-dini italo-argentini, italo-uruguayani e italo-cileni. Dora Marta Landi e Alejandro José Logoluso, argen-tini, 22 e 21 anni, arrestati nel 1977 ad Asunción, tor-turati dalla polizia paraguyana e scomparsi su un ae-reo della marina militare argentina. Alejandro era mi-litante della Gioventù peronista, un movimento uni-versitario, Marta solo la sua fidanzata. Le loro fotosegnaletiche, le schede e i verbali sulla loro detenzio-ne nelle carceri paraguayane sono riemerse quindicianni fa, fra i documenti del cosiddetto “Archivio delterrore”. La giovane maestra Maria Emilia Islas, se-questrata con il marito e la figlia Mariana di 18 mesi,lo studente di architettura e disegnatore Juan PabloRecagno, il dirigente sindacale Gerardo Gatti, tuttivittime a Buenos Aires nel 1976 delle retate contro ilP.V.P., un partito politico dell’opposizione uruguaya-na. Luis Stamponi, guerrigliero argentino arruolatosinelle fila dell’E.L.N. boliviano e sua madre, la ses-santaquattrenne Mafalda Corinaldesi. Queste alcunedelle venticinque vittime per le quali si procede aRoma. E tuttavia il procedimento giudiziario italiano

non si limita alla ricostruzione dei casi individualima si propone di dimostrare la sistematicità dellepratiche repressive illegali e quindi le più ampie re-sponsabilità degli apparati repressivi all’epoca vigen-ti nei paesi coinvolti arrivando a fornire, secondoReed Brody, portavoce europeo di Human RightsWatch, citato proprio nell’articolo del New York Ti-mes «il più ambizioso quadro d’insieme tracciato fi-no ad ora sull’Operazione Condor».Dal punto di vista giudiziario la prima e più eclatanteconseguenza dell’inchiesta italiana è stata l’arresto aSalerno, dove da qualche tempo si era stabilito, diNéstor Jorge Fernández Troccoli, ex agente dei servi-zi di intelligence del Fusna, un corpo speciale dellamarina uruguayana. In Italia Troccoli è indagato inrelazione a sei dei venticinque casi presi in esame esu di lui pendeva già un mandato di cattura interna-zionale emesso dalla magistratura uruguayana. Ma gli effetti dell’Inchiesta Condor di Roma non do-vrebbero tardare a manifestarsi anche in America La-tina. Se è infatti assai improbabile che vengano con-cesse estradizioni (sia in Uruguay che in Argentina

20 Il giudice o lo storico?Nell’inchiesta italiana sul Sistema Condor le storie di venticinque desaparecidose le responsabilità degli apparati repressivi latinoamericani negli anni Settanta

di Federica Martellini

Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Brasile sono ipaesi coinvolti nel Sistema Condor

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fra l’altro la giusti-zia sta procedendonei confronti dimolti di quei 140),tuttavia qualcosa simuove: secondoquanto riportato ametà febbraio dalquotidiano argenti-no Página 12 unaserie di militari nonancora in carcerepotrebbero rischiaredi finire agli arrestiin seguito alle ordi-nanze arrivate dal-l’Italia. Fra i loronomi spicca quellodell’ex generale ar-gentino AlbanoHarguindeguy, mi-nistro degli internidurante la dittatura.In Brasile invece,dove di fatto non cisono mai stati pro-cessi, l’azione dellamagistratura italia-na sta provocandoforti reazioni equalche timore fracoloro che eranoconvinti di poterbeneficiare ormaidell’impunità. Così ha commentato Jair Krischke,presidente del Movimento de Justiça e Direitos Hu-manos dello stato di Rio Grande do Sul, in una re-cente intervista: «l’iniziativa della giustizia italianaaiuta a sollevare quel velo di silenzio e oblio che sistava creando. L’impatto è stato molto forte e anche imezzi d’informazione stanno seguendo il caso conestremo interesse. Nei prossimi mesi, quando i duerami del Parlamento torneranno a riunirsi, un senato-re ci ha già detto che chiederà alla Commissione di-ritti umani del Senato di convocare i militari coinvol-ti nel caso affinché diano una loro dichiarazione. Lacostituzione non permette l’estradizione di un cittadi-no brasiliano, ma il potere giudiziario ha il dovere digiudicare questi criminali in Brasile e non può igno-rare ciò che la giustizia italiana sta chiedendo».Non saranno pochi forse i repressori che dovrannofare i conti con un pensionamento meno tranquillo diquello preventivato e di cui hanno finora potuto be-neficiare personaggi come Alfredo Stroessner, il ge-nerale paraguayano che con una dittatura personaleautoritaria e corrotta ha dominato per 35 anni il suopaese e che, novantaquattrenne, ha finito i suoi giorni

nel suo dorato esi-lio brasiliano o Au-gusto Pinochet, chepersino dopo il cla-moroso arresto aLondra nel 1998, èriuscito sino alla fi-ne a sfuggire allagiustizia.Ciò che è più im-portante sottolinea-re è tuttavia che lavalenza dell’inchie-sta italiana, comedi altre analogheportate avanti negliultimi anni (pensoad esempio alle in-chieste spagnolema anche ai proces-si celebrati in Fran-cia e in Belgio eagli altri processigià conclusi o incorso di svolgimen-to a Roma) va al dilà dell’orizzontepuramente giudi-ziario. Per la possi-bilità che hanno difare in qualche mo-do rete le une conle altre e di poteraccedere a una mo-

le immensa di fonti, queste iniziative giudiziarie co-stituiscono importanti contesti di ricostruzione stori-ca. Gli atti giudiziari diventano a loro volta fontipreziose che, intrecciandosi con il materiale prodot-to da tutti quegli organismi e istituzioni che lavoranosugli archivi, selezionando documenti e producendodossier, vanno ad alimentare il patrimonio di cono-scenze storiche su capitoli drammatici della storiacontemporanea e contribuiscono a stimolare la ri-flessione. Una riflessione e un’attenzione che non ri-guardano soltanto il passato ma che dovrebbero par-lare anche al presente soprattutto in un momentostorico come quello odierno in cui, ad esempio, leextraoridinary rendition sembrano tornate (o conti-nuano) ad essere una pratica diffusa e in cui però siha spesso la sensazione che notizie come queste ri-schino di passare sotto silenzio o, nel migliore deicasi, di essere “digerite” dall’opinione pubblica (maanche dalle istituzioni) come uno dei tanti effetticollaterali di quella ipocrita e perversa esportazionedella democrazia che è forse, nelle sue moltepliciforme, una delle costanti più insidiose nelle relazio-ni internazionali del nostro tempo. 21

Gerardo Francisco Gatti Antuña, Juan Pablo Recagno Ibarburu, Alejandro JoséLogoluso Di Martino, Dora Marta Landi Gil, Edmundo Sabino Dossetti Techeira,Humberto Domingo Bellizzi Bellizzi, Armando Bernardo Arnone Hernandez,Raul Edgardo Borelli, Maria Emilia Islas de Zaffaroni, Hector Orlando GiordanoCortazzo, Ileana Sara Maria Garcia Ramos de Dossetti, Julio Cesar D'EliaPallares, Yolanda Iris Casco Ghelpi de D'Elia, Horacio Domingo CampigliaPedamonti, Lorenzo Ismael Viñas Gigli, Mafalda Corinaldesi de Stamponi, LuisFaustino Stamponi Corinaldesi, Jaime Patricio Donato Avendaño, Raul GambaroNuñez, Juan Josè Montiglio Murua, Juan Bosco Maino Canales, Maria CeciliaMagnet Ferrero, Guillermo Tamburini e Daniel Alvaro Banfi Baranzano e OmarRoberto Venturelli Leonelli dei quali non compare la foto

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Da anni svolgo lamia ricerca diterreno in Ruan-da sui temi del-l’identità e dellamemoria, allaquale si è andataassociando unacollaborazionecon l’Unatek diKibungo, piccolauniversità che hastretto un accor-do quadro con ilnostro Ateneo, ela supervisionedi un progetto dicooperazione lo-cale decentratasostenuto dallaProvincia di Ro-ma. Nella primavera del 1994 in cento giorni questopiccolo paese nel cuore dell’Africa ha conosciuto latragica esperienza di quello che sul piano internazio-nale, tardivamente, è stato riconosciuto come il terzogenocidio della storia dell’umanità. Accanto a una lettura esterna dei fatti del 1994, inun’ottica antropologica ho sempre ritenuto impor-tante recuperare il punto di vista degli attori socialiper ricostruire le dinamiche di dominazione chehanno condotto all’agire genocidario. Per compren-dere il carattere programmatico del genocidio ruan-dese occorre percorrere la storia del paese: la cosid-detta Rivoluzione sociale del 1959 e l’Indipendenzanel 1962 posero fine alla monarchia di espressioneTutsi. Gregoire Kayibanda fu proclamato presidentedella prima Repubblica ruandese a seguito della vit-toria del partito Parmehutu. Attraverso una politicaetnicista, già attuata dai colonizzatori e confermatanella nuova situazione, si determinarono le condi-zioni della progressiva estraniazione della compo-nente Tutsi, ritenuta nemica della nuova nazioneche, da quel momento, si sarebbe fondata sul pre-sunto primato storico dell’insediamento degli Hutu,riproposto a partire dal 1973 da Juvenal Habyari-mana, secondo presidente della Repubblica e gran-de ispiratore dell’agire genocidario. Il 6 aprile1994, l’attentato contro l’aereo di Habyarimana se-

gnò l’inizio dei massacri,presentati come lo scate-namento incontrollatodell’ira popolare dellacomponente hutu controla minoranza tutsi. Soloin maggio, giunto sul po-sto, José Ayala Lasso,Commissario dell’ONUpronunciò la parola ge-nocidio. Quasi tutti i me-dia avevano parlato dilotte tribali o interetni-che, di odi razziali e ata-vici, non spiegando ade-guatamente le vere ra-gioni del conflitto.Un’ampia letteraturascientifica ha invece con-fermato che il ‘94 fu iltentativo della “soluzio-

ne finale” programmata da decenni e quando nel lu-glio la mattanza ebbe fine, circa un milione di ruan-desi, tutsi e hutu moderati, avevano perso la vita al-le “barriere” e in tutti quei luoghi nei quali avevanocercato rifugio. Se sul piano internazionale, la colpevole situazionedi stallo fu direttamente connessa alla difficoltà po-litica di dare un nome alla barbarie, determinandoun ritardo irreparabile nei soccorsi; su quello locale,per ben altre ragioni, si è discusso molto su comenominare quell’orrore. In kinyaruanda non esisteuna parola per designare il genocidio anche perchécome le ricerche storico-antropologiche hanno di-mostrato Tutsi, Hutu e Twa non erano delle etnie:hanno condiviso per secoli lingua (kinyaruanda) ele medesime istituzioni culturali (ad esempio il ma-trimonio misto). La divisione etnica che si è real-mente prodotta all’interno della società, creando le“etnie”, trova le sue origini proprio nella politicacoloniale.A livello locale nominare l’innominabile è diventatauna questione vitale per ottenere un riconoscimentodelle vittime su scala globale dando così origine adun interessante processo di costruzione di un voca-bolario “glocale”. Nei primi anni del post genocidiovenivano impiegate due parole: ishyano e itsembat-semba. Ishyano significa qualcosa di sorprendente e

22 Jenoside in Ruanda: tra significantiglobali e interpretazioni localiIl percorso linguistico del riconoscimento di una barbarie

di Michela Fusaschi

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allo stesso tempo, traduceun’azione sconveniente, lasventura e la disgrazia. It-sembatsemba, è invece unaonomatopea che dal verbogutsemba esprime devasta-zione e annientamento. En-trambi i termini evocano losterminio, ma generica-mente e quindi se ne scel-sero altri due: itsembaba-tutsi e itsembaúbw–oko. Ilprimo per designare l’ecci-dio di un gruppo, i Tutsi. Ilsecondo contiene il termi-ne úbw–oko, che può signifi-care categoria o specie, ma tradizionalmente si tra-duceva espressamente con clan (gruppo di discen-denza che si riconosce in un capostipite comune, an-che mitico). Nella società tradizionale il clan com-prendeva tutti: Hutu, Tutsi e Twa; l’appartenenza aduno dei molti clan definiva l’identità di un qualsiasiruandese, trascendendo la questione etnica, così co-me si è conosciuta con la colonizzazione. Nel 1935,usando metodi arbitrari, i belgi eseguirono un censi-mento fissando sulle carte di identità la menzione et-nica, quella per cui nel ‘94 si viveva o moriva, utiliz-zando proprio il termine úbw–oko che da quel mo-mento non significava più clan ma “etnia” o “razza”,stravolgendo una realtà sociale plurisecolare e in-camminando, ora sì, le due “etnie” verso loro tragi-co destino. Itsembaúbw–oko diviene parola che i ruandesi nellaConferenza Mondiale sul razzismo di Durban(2001), chiedono di utilizzare al fine di riconoscereil loro genocidio a livello globale. Questo neologi-smo, coniugando due espressioni dotate di un sensoautonomo, prova ad adeguare al contesto locale

ruandese il concetto di ge-nocidio che viene sempredeclinato in una forma uni-ca e singolare, proprio co-me l’espressione Shoa tra-duce inequivocabilmente lasingolarità del genocidiodegli ebrei. Itsembaúbw–oko dovrebbemanifestare l’intenzione diri-costruire un’identità lo-cale di visibilità globale,ovvero quella della vittima,ri-utilizzando un terminedalla complessa stratifica-zione semantica. Local-

mente però itsembaúbw–oko, presenta problematicheinterpretative mentre a livello globale è difficile dacomprendere anche per la marginalità del Ruandasullo scacchiere internazionale. Da qualche tempo pubblicamente è comparso un ter-mine “glocale”: jenoside. Verosimilmente si tratta diuna “pidginizzazione” della parola che nelle lingueimpiegate dalle grandi organizzazioni internazionali(inglese e francese), si scrive quasi nello stesso mo-do, genocide e génocide e che, nel contesto ruandese,è stata adattata alla fonetica del kinyaruanda sosti-tuendo la lettera iniziale g con j e la lettera c con s.Questo nuovo vocabolo, jenoside, a livello globaledovrebbe consentire un riconoscimento e una com-prensione immediata, fornendo un’attestazione uni-versale del ’94; ciò consentirebbe di riconoscere an-che a livello locale le vittime della barbarie senzapossibilità di equivoci, perché le identità implicanouna traduzione e una conversione in quanto sono unessere per gli altri e la manifestazione delle identitàcontemporanee non può che passare attraverso unutilizzo di significanti globali.

Qualche anno fa lei disse che la globalizzazionenon è certo un fenomeno nuovo. Oggi, e sempre più, tale processo sembra crescerein maniera esponenziale. Lei è sempre della stessaidea?Effettivamente io credo che la globalizzazione attua-le, ciò che chiamiamo mcdonaldizzazione,co-cocalizzazione, non sia un fenomeno nuovo. Cisono state altre forme di globalizzazione, anche mol-

to lontane nel tempo, come quella provocata dall’im-pero romano, o la diffusione di religioni universalistecome il Cristianesimo o l’Islam, che hanno rappre-sentato delle fasi di globalizzazione, in particolareper l’Africa, che io ho studiato a lungo. L’islam, inparticolare, diffusosi nell’Africa subsahariana a par-tire dal decimo secolo, ha rappresentato una fase diglobalizzazione nella misura in cui la diffusione dellareligione ha provocato una ridefinizione dei rapporti 23

Una sopravvissuta racconta la sua testimonianza a MichelaFusaschi

L’etnicizzazione del sociale Parla l’antropologo Jean-Loup Amselle

di Michela Monferrini

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tra le società africane e ha portato aduna opposizione e distinzione tra lesocietà musulmane e quelle non mu-sulmane come quella pagana, quellafeticista, quella animista.Dunque la globalizzazione attuale èpiuttosto originale, ma ci sono statealtre forme dello stesso fenomeno neisecoli precedenti. Se parlando di etnia si rischia dicadere in errore, di appoggiare vi-sioni filo-razziste della società, qualè il nuovo concetto che in primoluogo il mondo occidentale deveapprendere?Il termine etnia può ricoprire un’am-pia gamma di significati, e ha valorediverso a seconda dei contesti, deiperiodi in cui lo si utilizza. Oggi sisente la necessità di destoricizzare ilconcetto di etnico e risituarlo nel so-ciale. I Malinké, o Malinka, sono un popolo che abita, dalMedioevo, una regione del Mali, e il loro nome hasempre designato una classe di guerrieri. Successi-vamente, con la colonizzazione, non solo i Malinkéhanno incominciato ad esser considerati un’etnia,ma la nozione stessa di categoria sociale ha assuntola valenza di etnia, collegandosi al significato diformazione politica: ogni chefferie (organizzazionepolitica dell’Africa Occidentale tradizionale vertici-sta spesso stereotipata dal colonizzatore, ndr.), sta-terello o regno africano, con la colonizzazione, è di-ventato ciò che può definirsi un’etnia. Anche perquesto l’Africa è stata sempre considerata la terra, ilcontinente delle etnie e proprio per questo il termi-ne ha già subito una destoricizzazione: il significatoche aveva in altri luoghi, prima della colonizzazio-ne, è stato dimenticato.

Quanto ha da insegnare la storiaculturale africana all’Occidente? Questo è uno dei temi che affrontonel mio ultimo libro, L’Occident dé-croché, l’Occidente sganciato, indi-cando l’esistenza di modi di pensarediversi da quello occidentale: c’è unmodo di pensare africano, uno asiati-co, uno latino-americano, e molti altriancora. Uno dei capitoli del mio libro si chia-ma proprio Alla ricerca d’un para-digma africano, e vi conduco l’anali-si di un istituto (Codresia, Consiglioper lo Sviluppo delle Risorse Econo-miche e Sociali in Africa) che si trovaa Dakar, in Senegal, la cui opera di-mostra l’esistenza della ricerca d’unsenso sociale africano. Questo per dire che ci sono diverselinee di pensiero, diversi paradigmi,

e che il senso sociale non è uguale dappertutto, maciò non significa che possano esistere antropolo-gie, sociologie, storie diverse: tutte le disciplinehanno una sola storia davanti, una sola origine, equesta origine è strettamente legata alla terra afri-cana.Qual è stato, nei suoi studi, il passo in avanti chevuole rappresentare con questo suo ultimo li-bro?Quest’ultimo lavoro si ricollega ai miei libri prece-denti. Nell’Arte africana contemporanea c’era giàuna riflessione su postcolonialismo e primitivismo, equesto ne è un po’ la continuazione.Quel che ora vorrei dimostrare è che gli studi postco-loniali si riferiscono a un’antropologia e un’etnologiadesuete, molto contestabili. Le società di oggi hannoinvece bisogno di un’antropologia più moderna, piùcontemporanea.

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Jean-Loup Amselle, al centro, con gli organizzatori della giornata, dasinistra Luigi M. Lombardi Satriani (Università La Sapienza), MichelaFusaschi e Francesco Pompeo (Università degli Studi Roma Tre)

L’Occident décroché, l’ultima opera diJean-Loup Amselle

Jean-Loup Amselle è direttore di studi all’Écoledes Hautes Études en Sciences Sociales(EHESS) di Parigi, direttore del dottorato in An-tropologia sociale e Etnologia, redattore capo deiCahiers d’études africaines e autore di numerosepubblicazioni, tra cui Logiche meticcie. Antropo-logia dell’identità in Africa e altrove (1999),Connessioni (2001), L’arte africana contempo-ranea (2007), nelle quali si è occupato, tra gli al-tri argomenti, di multiculturalismo, subalternità,postcolonialismo, soffermandosi anche sulla ri-flessione antropologica contemporanea italiana.Il suo ultimo libro, ancora inedito in Italia, èL’occident décroché. Enquête sur le postcolo-nialisme.

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Venerdì 15 febbraio, presso la Facoltà di Scienzedella Formazione dell’Università Roma Tre,l’antropologo francese Jean-Loup Amselle, invi-tato dell’Osservatorio sul Razzismo e in occasio-ne dell’assemblea generale dell’Aisea (Associa-zione italiana delle scienze etnoantroplogiche),ha tenuto la lectio magistralis dal titolo L’etni-cizzazione del sociale, prendendo le mosse dalsuo libro Au cœur de l’ethnie. Ethnie, tribalismeet État en Afrique (1985), ora pubblicato in Italiada Meltemi Editore col titolo L’invenzione del-l’etnia. L’opera, firmata assieme a Jean Bazin, Jean-Pierre Dozon, Jean-Pierre Chrétien, Claudine Vi-dal ed Elikia M’Bokolo, analizzando la contem-poranea realtà sociale africana, e particolarmentesituazioni come quelle di Mali, Ruanda, Burun-di, Congo, Costa d’Avorio, esprime il rifiuto delvalore semantico che oggi si attribuisce a terminied espressioni come etnia o identità etnica, ter-mini ed espressioni nati assieme ad un’idea diminoranza e di discriminazione razziale, e cheoggi, secondo lo studioso, non farebbero altroche rafforzare l’idea d’un’identità nazionalebianca dominante.L’idea di Amselle è che la lotta di queste mino-ranze stia oggi sostituendo le rivendicazioni so-ciali di cinquant’anni fa, e l’etnicizzazione delsociale sarebbe proprio la scomparsa dello Stato,delle grandi istituzioni di un tempo, dei partiticome macchina politica, nella battaglia dell’inte-grazione sociale. In particolar modo, in Francia,Amselle guarda con preoccupazione alla crisi ealla sparizione del Partito comunista francese,così come alla crisi della CGT, la più grande or-ganizzazione sindacale francese, «crisi che nasceanche dalla constatazione della eterogeneità del-la classe operaia». In altre parole, lo Stato sembra oggi demandareil suo compito d’integrazione delle minoranzevisibili a organizzazioni formate da microgrup-pi, che non sanno e non possono affrontare ilproblema se non ribadendo la loro identità etni-ca, spesso chiedendo l’aiuto a realtà religioselocali, quindi non facendo altro che aumentare ilproprio livello di ghettizzazione, restando bloc-cate ai margini della società. Non solo. Perché lo Stato (francese, ma ci sonoanalogie con la situazione italiana, studiata daAmselle), starebbe prendendo una strada che

l’antropologo non esita a definire razzista, e quivengono citati ad esempio alcuni recenti avve-nimenti francesi, come la creazione di un Mini-stero dell’identità nazionale, dell’immigrazionee del co-sviluppo, l’approvazione di una leggesull’immigrazione che include il ricorso ai testdel DNA per i ricongiungimenti famigliari, lacreazione dell’Istituto di ricerca sull’immigra-zione e l’integrazione, presieduto dall’accade-mica Hélène Carrère d’Encausses, la creazionedi una commissione dell’immigrazione perquote e la soppressione, da parte del Consigliocostituzionale, delle statistiche etniche. Lo studioso parla pertanto di biopolitica o politi-ca di sorveglianza (riprendendo le espressioni diFoucault e di Agamben) ad indicare comunque«una situazione ai limiti della democrazia», incui un governo tenta di mascherare qualcosa cheè invece riconoscibilissimo, e cioè la presenza ela messa in atto di idee appartenenti alla destraestrema di Le Pen. Questo porta inevitabilmente ad un’errata inter-pretazione dei fatti politico-sociali, come la ri-volta delle banlieues parigine del 2005, e ancorpiù quella del 2007. Ne è un esempio la dichia-razione di Hélène Carrère d’Encausses, secondola quale a origine dei fatti ci sarebbe stata la po-ligamia delle famiglie di molti “ragazzi selvag-gi”, cioè quei ragazzi che hanno partecipato atti-vamente agli scontri.Amselle evidenzia come, in realtà, ad abitarequelle zone siano sì persone di varie provenien-ze, ma di cittadinanza francese ormai da moltotempo, persone, francesi, che hanno la sfortunadi vivere confinate ai margini della società, inperiferie degradate e senza prospettive. Il proble-ma è sociale dunque, e non certamente etnico-razziale. E tuttavia, proprio presentando i problemi dellanazione come problemi di derivazione razziale,si mascherano le tematiche sociali che andrebbe-ro, ma non vengono, affrontate. Il pensiero diAmselle su questo punto è stato palesemente di-mostrato, come lui stesso ricorda, durante le ulti-me elezioni presidenziali, in cui, paradossalmen-te, i candidati di destra e di sinistra, proponeva-no gli stessi temi politici: se Sarkozy, per la de-stra, proclamava di voler difendere l’identità na-zionale francese, non diversamente faceva lacandidata socialista Ségolène Royal.

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Lectio Magistralis di Jean-Loup Amselle

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2 dicembre 1984. A Ram sembrauna notte come tutte le altre, fuo-ri un caldo tiepido, rassicurante.Si addormenta esausto. Dorme dapoche ore quando sua madre losveglia tirandolo per un braccio.Apre gli occhi con difficoltà euna vampata di aria tossica quasiglieli incendia dentro. La madrelo trascina letteralmente fuori dicasa e per le strade della città sisono già riversate centinaia dipersone. La città è Bhopal,Madhya Pradesh, al centro del-l’India e al centro del più graveincidente chimico-industriale della storia. In quella notte si riversarono nell’atmosfera caldadella città circa 40 tonnellate di isocianato di metile(MIC), pesticida di ultima generazione prodotto dallaUnion Carbide, una multinazionale americana. Uffi-cialmente quella notte circa 2.000 persone chiuseroper sempre gli occhi. Stime non ufficiali si attestanosui ventimila morti.Il pesticida prodotto in questa zona verde dell’Indiaavrebbe dovuto rendere migliori i raccolti nelle re-gioni meno fortunate del continente. Questa è la storia di una tragedia umana e di un de-grado ambientale che fa seguito alla perdita econo-mica. La storia si ripete spesso senza eccessivi guiz-zi di fantasia: una multinazionale investe un’ingentequantità di denaro in un paese “terzo” e il guadagnoè garantito. I profitti però tardano ad arrivare e siinizia a disinvestire. Manovra veloce negli ambientirarefatti dell’alta finanza con ricaduta letale nellarealtà, fatta di impianti iper-tecnologici e produzionedi prodotti chimici altamente instabili. Che ruologioca l’uomo “locale” in questo rapporto di causa-effetto? Come una vestale è lì che controlla e si ac-certa che tutto funzioni come gli hanno spiegato im-portanti ingegneri americani quattro anni prima,quando il presidente della Union Carbide premeva ilbottone che avviava la produzione dell’insetticidaindiano. Solo che i guadagni sperati non si verifica-no, perché in India il clima è imprevedibile: un annonon c’è acqua sufficiente e le colture muoiono, l’an-no successivo ce ne è troppa. Così i contadini nonsono in grado di garantire ogni anno lo stesso consu-mo di pesticidi. Già nel 1982 la crisi conduce a unarepentina riduzione del personale specializzato, cir-

ca il 40%. L’anno successivo sisospende la produzione del MIC,ma le quantità già prodotte resta-no stipate in serbatoi sotterranei.E le vestali? Non ci sono più, ab-battute come costi superflui. Lasicurezza, tanto cara all’inizioalla Union Carbide da farle do-nare all’ospedale di Bhopal le at-trezzature necessarie in caso dicontaminazioni gassose, diventala prima voce di spesa da elimi-nare. Gli impianti di sicurezzavengono disattivati, dalla refrige-razione delle vasche del MIC fi-

no allo spegnimento della fiamma pilota della torredi combustione. Le 63 tonnellate di isocianato “dor-mono”, stoccate nei serbatoi sotterranei, ormai prividi refrigerazione. Il 26 ottobre 1984, la fabbrica dalle uova d’oro vienechiusa. Non c’è neanche una testa d’uomo che si ag-giri all’interno delle sue strutture. Fuori, tutto intor-no, la città vive. La notte tra il 2 e 3 dicembre del1984 all’esterno la temperatura si aggira intorno ai20 gradi. Notte tiepida per quella latitudine, decisa-mente rovente per il MIC.L’isocianato è un composto organico dell’azoto, qua-si incolore ma dall’odore pungente. Deve essere con-servato a una temperatura non superiore a zero gradi.A contatto con l’acqua il suo stato liquido diventagassoso. Tossico e irritante tanto da procurare unatemporanea o irreversibile – dipende dai casi – ceci-tà, ma anche difficoltà respiratorie, enfisemi, emorra-gie e morte. A Bhopal il MIC divenuto gas, quellanotte non trovò valvole di sfiato e, saturate le condut-ture, esplose. Non si saprà mai il numero preciso del-le vittime, perchè il vento soffiava da nord a sud, dal-la fabbrica verso le bidonville.Accade così che l’acqua, elemento di vita per eccel-lenza, diventi vettore di morte immediata. Capita co-sì che l’uomo piegato a logiche di profitto, smetta ipanni del creatore e indossi quelli dell’homo hominilupus.Nel 1989 un accordo sancì che Union Carbideavrebbe pagato al governo indiano circa 470 milionidi dollari. Nel 1991 l’accordo fu riesaminato da untribunale indiano che imputò alla Union Carbide e aWarren Anderson, presidente della multinazionale altempo della strage, la responsabilità dell’esplosione

26 «Occhiali scuri, non ci sono gli occhi» Storia di un disastro colposo. Bhopal 1984

di Alessandra Ciarletti

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della fabbrica. Seguì unprocesso al quale né lamultinazionale né Ander-son presenziarono. Furonodichiarati latitanti e suc-cessivamente la UnionCarbide fu venduta. Chicomprò la multinazionalecomprò al netto, lasciandole responsabilità sul piattodella tara. Le vittime diBhopal, che da quella not-te si riverberano fino adoggi e chissà ancora perquanti anni, chiedono giustizia. Quindicimila sono imorti stimati negli anni successivi al disastro, alme-no centomila gli indiani che soffrono di malattie re-spiratorie croniche, derivate da quelle ferali esala-zioni. Oggi la popolazione continua ad ammalarsi perchél’acqua è contaminata, i suoi valori di inquinamento

sono di 500 volte superioriagli standard stabiliti dal-l’Organizzazione mondialeper la sanità. L’intera zonanon è stata ancora bonifi-cata. Per quel che ci è datoimmaginare i corrugatiglocalizzati arriverannoprima della bonifica. In-tanto altre multinazionalicontinuano per logica diprofitto a voltare le spallealla sicurezza, altrove, inluoghi diversi, ma l’uomo

è ovunque lo stesso, come il cielo e il sole.Forse verrà un giorno in cui nessuno potrà più per-mettersi il lusso di giocare nel giardino dei vicini,l’ecosistema avvisa da tempo che è inesorabilmentedanneggiato. Quel giorno, un pugno di uomini vorràsedersi su un fazzoletto di terra, ormai privo di risor-se. Si dirà poi che, troppo piccolo, sprofondò.

«La città di Leonia rifà sestessa tutti i giorni: ognimattina la popolazione sirisveglia tra lenzuola fre-sche, si lava con saponet-te appena sgusciate dal-l’involucro, indossa ve-staglie nuove fiammanti,estrae dal più perfeziona-to frigorifero barattoli dilatta ancora intonsi,ascoltando le ultime fila-strocche dall’ultimo mo-dello d’apparecchio» (Ita-lo Calvino, Le città invisi-bili).Il rifiuto è un business in quanto circola, come lemerci, si muove su camion che lo trasportano da unluogo ad un altro, entrando prepotentemente a farparte del mercato. Saviano con Gomorra ha sbiaditoi contorni di uno scenario che avevamo soltanto va-gamente intuito. La “munnezza è oro” perché instan-cabilmente produciamo rifiuti, che sono gli scartidelle nostre tavole, gli imballaggi dei nostri consumi,il simbolo del nostro sistema economico. Producia-mo ricchezza procapite da cui generiamo inevitabil-

mente scorie più o menonocive. E se il prodotto in-terno lordo si misura sullabase delle merci che con-sumiamo e che ci scambia-mo sul mercato, tanto più èalto il PIL tanto più altasarà la merce che avremoconsumato e di conseguen-za la mondezza che avre-mo prodotto, non soltantoin termini di rifiuti solidiurbani ma anche in terminidi inquinamento, di utiliz-

zo sfrenato delle risorse, diconsumo dell’energia.

La vicenda di Napoli diventa emblematica da unamiriade di punti di vista. Sta poi a noi evidentemen-te trarne degli insegnamenti. Napoli è finita sulleprime pagine di tutti i giornali e c’è chi grida scan-dalizzato alle ricadute negative in termini di imma-gine per il nostro bel paese. Ma il caso campanosembra piuttosto essere la dimostrazione di un mec-canismo perverso, malato, e che a buon bisogno siritorce contro la stessa specie umana che l’ha pro-dotto. 27

Il gran rifiuto delle ecoballe Il dramma napoletano come emblema di un sistema globale iniquo e scellerato

di Valentina Cavalletti

Due vittime del disastro. Bhopal, 1984

Sito di stoccaggio di ecoballe

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«Dove portino ogni giorno illoro carico gli spazzaturai nes-suno se lo chiede: fuori dellacittà, certo; ma ogni anno lacittà s’espande, e gli immon-dezzai devono arretrare piùlontano; l’imponenza del getti-to aumenta e le cataste s’innal-zano, si stratificano, si dispie-gano su un perimetro più va-sto. Aggiungi che più l’arte diLeonia eccelle nel fabbricarenuovi materiali, più la spazza-tura migliora la sua sostanza,resiste al tempo, alle intempe-rie, a fermentazioni e combu-stioni. È una fortezza di rima-sugli indistruttibili che circon-da Leonia, la sovrasta da ognilato come un acrocoro di mon-tagne».Sembra che ci vorranno oltre40 anni per smaltire le eco-balle che continuano ad accu-mularsi nei siti di stoccaggio.E tutto se ci fossero dei ter-movalorizzatori attivi, che di fatto sono invece incostruzione. E poi perché continuare a incentivaregli inceneritori, in completa controtendenza con ilresto d’Europa e del mondo? Gli inceneritori nonrisolvono il problema ma più semplicemente lo tra-sformano. D’altronde in natura nulla si crea e nullasi distrugge. È un semplice principio della termodi-namica. Non è vero che ciò che si brucia, se purcon tutte le norme di sicurezza, smaltisce i rifiutiproducendo energia pulita. Le sostanze bruciate adeterminate temperature (meno di 900°) produconodiossina. Quelle bruciate alle giuste temperature(superiori ai 900°) si trasformano in nanoparticelle,che non riescono ad essere filtrate da nulla, nean-che dai nostri polmoni. Ma si continua imperterritisulla strada, nonostante le relazioni di intellettualie scienziati che certificano, se ce ne fosse bisogno,quanto esemplificato perfettamente dalla normativaeuropea, che prevede nell’ordine: la riduzione, laraccolta differenziata e il riciclaggio, il recuperoenergetico senza combustione (fermentazioneanaerobica della frazione organica) e, soltanto allafine di questo virtuoso ciclo integrato dei rifiuti, ilrecupero energetico con combustione. Il problemaè che le vittime di questa politica miope sono sem-pre e soltanto gli ultimi anelli della catena produtti-va. Chi campa con un orto o con un allevamento dipecore o di mucche. Che non può più vendere né leannurche né le mozzarelle di bufala e che per libe-rarsene ci deve scrivere sopra made in china. Lepecore sono già morte di diossina a causa di tren-

t’anni di sversamenti illegalidi rifiuti tossici provenientidal nord e centro Italia (comeben raccontato in Biùtifulcauntri, film-documentario diEsmeralda Calabria, AndreaD’Ambrosio e Peppe Ruggie-ro). I bambini, che giocano adacchiaparella e a nascondinotra i cumuli di rifiuti; le don-ne e gli uomini del napoleta-no e del casertano, vittime diun alto indice di mortalitàcausato da tumori e di un altotasso di malformazioni conge-nite (come dimostrano i datipubblicati nello studio Tratta-mento dei rifiuti in Campa-nia: impatto sulla salute uma-na coordinato dall’Organizza-zione mondiale della sanità epubblicato in italiano sul sitoweb della Protezione civileitaliana). E perché Roma nonsi senta esclusa, i bambini diun asilo nido comunale alle

pendici di Monte Mario, per fare soltanto un esem-pio, possono vantarsi di avere come vicini di casagiardini che sono latrine a cielo aperto. I cittadinidi paesi e città che hanno nome e cognome sullacarta geografica e che non fanno parte della lettera-tura, come presagiva drammaticamente Calvino de-scrivendo Leonia. E il pensiero è una catena e nonsi ferma. Non si può fermare, non si deve fermarese vogliamo provare a diventare un paese civile.L’emulazione è il fondamento di ogni buona educa-zione. C’è da imitare forse quel che accade nei 145comuni campani, che nel 2006 hanno superato l’o-biettivo minimo del 35% di raccolta differenziataprevisto dal Decreto Ronchi (e di cui ben 75 comu-ni con percentuale al di sopra del 50%). «I comuniricicloni – sottolineano da Legambiente – rappre-sentano l’avamposto di una Campania più modernae più pulita: hanno imparato a trattare bene i rifiuti,creando economia e lavoro. Insomma hanno saputotrasformare i rifiuti da problema a risorsa. Nellarealtà la soluzione per uscire dall’emergenza esiste:estendere al territorio campano, cominciando daNapoli, l’esperienza dei comuni ricicloni, comple-tare l’impiantistica regionale realizzando almeno20 impianti di compostaggio e chiudere con i 14anni di commissariamento che hanno deresponsa-bilizzato la politica nazionale, regionale e locale».La nostra mondezza può ritrovare da subito la pro-pria identità: rifiutarsi di trasformarsi in ecoballe ecoscientemente accettare di riciclarsi per trasfor-marsi in verità.

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Locandina del film Biùtiful cauntri (2007) diEsmeralda Calabria, Andrea D'Ambrosio, PeppeRuggiero

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Qual è la giusta definizio-ne di OGM? Lei professo-ressa è favorevole a que-sto tipo di biotecnologie?G.C. «Negli organismi ge-neticamente modificati vie-ne inserito un gene checonferisce delle nuove pro-prietà ritenute utili all’uo-mo. Nel caso delle piantequesti geni vengono gene-ralmente introdotti con l’o-biettivo che siano più resi-stenti a certe malattie o ingrado di sopravvivere atemperature normalmente critiche, permettendo cosìuna resa produttiva più elevata a breve termine.Per i motivi che esprimerò in seguito, io però sonosfavorevole a queste biotecnologie».P.T. «Un organismo geneticamente modificato(OGM) è un essere vivente che possiede un patrimo-nio genetico modificato tramite tecniche di ingegne-ria genetica che consentono l’aggiunta, l’eliminazio-ne o la modifica di elementi genici. Le modifiche ap-portate al genoma dell’organismo, utilizzando questoapproccio biotecnologico, sono facilmente prevedibi-li, controllate e selezionate, oltre che di piccole di-mensioni.In realtà la modificazione del genoma delle piante èstata operata per secoli, prima dell’avvento dell’inge-gneria genetica, tramite diverse tecniche. Una di que-ste tecniche è la mutazione casuale o indotta in se-guito all’esposizione a radiazioni o a agenti chimicimutageni. Un’altra tecnica di manipolazione geneticadegli organismi, oggi molto diffusa e che ha dato ri-sultati molto buoni, è l’incrocio, non solo tra indivi-dui della stessa specie, ma anche tra specie per lequali è possibile riscontrare una compatibilità ripro-duttiva o per le quali è comunque possibile rimuove-re le barriere di incompatibilità. Utilizzando questestrategie tuttavia, le modificazioni genetiche sonopoco prevedibili e possono coinvolgere una estesaporzione del genoma. Inoltre, la selezione per il ca-rattere desiderato è un processo laborioso e costoso.Sì, sono favorevole all’utilizzo delle biotecnologie inquanto possono avere innumerevoli applicazioni. Inparticolare, tanto per fare qualche esempio, le biotec-nologie vegetali possono contribuire ad ottenere

piante resistenti ai patogenie vari stress ambientali,piante ad alto contenutonutrizionale come anchepiante in grado di produrreprodotti farmaceutici e vac-cini edibili».Secondo alcune tesi scien-tifiche le colture alimenta-ri geneticamente modifi-cate potrebbero rappre-sentare un’importante ri-sorsa nella lotta contro lafame. La cosiddetta Rivo-luzione verde degli anni

Sessanta e Settanta è riuscita a incrementare laproduttività dei raccolti e ad aiutare milioni dipersone a combattere la fame e la povertà. Ora siparla di un passaggio dalla Rivoluzione verde allarivoluzione genetica, ma come possiamo assicu-rarci che i paesi in via di sviluppo e con problemifinanziari, riescano a istituire sistemi adeguati divalutazione dei rischi per l’ambiente e la saluteumana, sia prima che dopo l’impiego delle biotec-nologie?P.T. «Voglio innanzitutto precisare che la fame e lapovertà in alcune zone del mondo non si possono dicerto risolvere unicamente con le biotecnologie ingenerale e le biotecnologie vegetali in particolare.Anche se le biotecnologie vegetali possono contri-buire allo sviluppo dei paesi poveri aumentando laproduttività agricola, migliorando il valore nutrizio-nale del cibo e rendendo i paesi poveri autonomi nel-la produzione di cibo, sono assolutamente necessarieanche altre strategie di sviluppo, come per esempioinvestire sulle persone (istruzione, acqua, igiene, ser-vizi sanitari), investire sulla crescita economica,creare condizioni politiche stabili, ridistribuire le ri-sorse etc. In un tale contesto, l’istituzione di sistemiadeguati di valutazione dei rischi per l’ambiente e lasalute umana provenienti dall’impiego delle biotec-nologie non dovrebbe essere molto problematico.Inoltre, le conoscenze ottenute da analoghi sistemi dicontrollo effettuati dai paesi ricchi potrebbero rende-re più semplici i controlli necessari nei paesi poveri.D’altra parte, in questi discorsi sulla valutazione deirischi, bisogna prendere in considerazione anche lagravità della povertà. Se la mortalità della popolazio- 29

Gli OGM, pro e controIntervista a Giulia Caneva e Paraskevi Tavladoraki

a cura di Martina D’Ermo

Giulia Caneva

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ne risultasse molto elevata,dovuta per esempio allascarsità della produzioneagricola per via dell’eleva-ta siccità e salinità del ter-reno, come realmente acca-de in certe zone del conti-nente africano, che sensoavrebbe la valutazione delrischio quando con pochisemi di piante resistenti aqueste condizioni si po-trebbero salvare delle viteumane? Sopratutto alla lu-ce del fatto che finora nonè stato verificato scientificamente alcun rischio deri-vante dall’impiego delle biotecnologie vegetali».G.C. «Sono decisamente contraria all’ipotesi, per-ché non penso che gli OGM siano in grado di scon-figgere la fame e la povertà in alcune zone del mon-do. Non voglio negare che in questo modo si po-trebbe avere più raccolto e più produzione nell’im-mediato, ma perché compromettere l’equilibrio chelega le piante di ogni regione geografica con il loroambiente?Ripeto, la produttività a breve termine è più elevata,ma bisogna anche tener presente da dove proviene ilseme (spesso viene comprato da multinazionali) e icosti. Con queste tecniche esiste la necessità di ac-quistare i semi dai produttori non potendoli ottenereda scorte della produzione agricola, e questo è moltograve perché limita l’autonomia degli agricoltori egenera dipendenza dalle multinazionali fornitrici, perle quali il profitto è invece chiaro. Poi è necessariovalutare la sostenibilità ambientale degli OGM. Èquesto un punto molto critico, perché anche la storiainsegna che quando si è cercato di introdurre piantepiù produttive a scapito della diversità preesistente edegli equilibri ecologici del sistema, spesso si è an-dato incontro a crisi ancora più gravi. Basti pensareche l’introduzione di estese monocolture di patate inIrlanda, eliminando le colture tradizionali, giustifica-ta per le stesse motivazioni di oggi – ridurre la famee la povertà – ha invece determinato uno degli episo-di più tragici della storia agricolo-economica delNord Europa. L’attacco della peronospora, malattiafungina prima non conosciuta, che nella seconda me-tà dell’800 ha distrutto rapidamente ogni raccolto.Ciò, in assenza di fonti alimentari alternative e dimezzi di lotta al patogeno, ha provocato oltre un mi-lione di morti di fame e un milione e mezzo di emi-grati verso l’America su una popolazione preesisten-te di otto milioni. È invece importante mantenere ladiversità genetica, come garanzia di un sistema chesappia reagire naturalmente a squilibri ambientali.Mi chiedo: perché non provare invece a imitare la na-

tura e ripristinare gli ecosi-stemi in equilibrio conl’ambiente, in modo da di-minuire i costi?» I risultati delle coltivazio-ni sperimentali di OGMsono stati chiari. In alcunidei casi studiati, gli erbici-di adatti alle colture han-no danneggiato piante eanimali che si trovavanonell’ambiente circostante.Una cosa che non ci do-vrebbe stupire, visto chel’impiego di queste biotec-

nologie ci consente di far sì che le colture non ven-gano danneggiate da parassiti. Ma quali potreb-bero essere i rischi per la salute di persone e ani-mali che si nutrono di alimenti geneticamente mo-dificati o a base di OGM?G.C. «I rischi degli OGM per quanto riguarda l’uo-mo non sembrerebbero molto gravi, però è bene direche non sono neanche sufficientemente noti a livelloscientifico; in altre parole non ne sappiamo molto. Per quanto riguarda l’ambiente, oltre al rischio colle-gato alla riduzione della biodiversità, fatto di per sémolto grave, va ricordato che gli OGM sono un po-tenziale elemento di squilibrio, un potenziale rischioambientale, che al momento non siamo in grado divalutare appieno. Le informazioni attualmente dispo-nibili non sono infatti ancora adeguate, in quanto cer-ti fenomeni si devono valutare a lungo termine e insituazioni ambientali diversificate».P.T. «Le molteplici ricerche che sono state effettuatee che tuttora si stanno effettuando non hanno eviden-ziato per la salute delle persone e degli animali alcunrischio generalizzato dall’applicazione delle biotec-nologie vegetali. Non è stato evidenziato alcun ri-schio anche dai prodotti specifici attualmente rila-sciati sul mercato. Questo non esclude la possibilitàche nel futuro un nuovo prodotto biotecnologico pro-vochi dei problemi alla salute degli animali. Peresempio, quando una proteina viene espressa in unnuovo organismo potrebbe diventare un allergene,anche se le conoscenze dei ricercatori permettono lapossibilità di prevedere un tale evento. Per questomotivo, ogni nuovo prodotto OGM deve essere ana-lizzato (come in realtà attualmente accade) prima delsuo rilascio sul mercato».Queste colture possono andare incontro a un’im-pollinazione incrociata con altre piante, con con-seguenze imprevedibili? Non rischiano di diventa-re una minaccia per la biodiversità e per l’integri-tà degli ecosistemi?P.T. « L’impollinazione incrociata delle piante OGMcon altre piante non OGM non si può escludere e po-

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Paraskevi Tavladoraki

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trei asserire che questa possibilità forse rappresental’unico rischio reale dell’impiego delle biotecnologievegetali. Tuttavia, non per tutte le piante questa pos-sibilità rappresenta un vero rischio. Dipende dalle ca-ratteristiche di dispersione e di sopravvivenza delpolline, la compatibilità o incompatibilità sessualetra le piante, l’ecologia delle piante che ricevono ilpolline OGM e infine il tipo di modificazione geneti-ca avvenuta. In tale maniera, la minaccia per la bio-diversità e l’integrità degli ecosistemi diventa remo-ta, ma va tenuta in considerazione. In ogni caso, sipuò drasticamente ridurre la possibilità di impollina-zione incrociata utilizzando specifiche pratiche dicoltivazione delle piante, come per esempio evitandola coltivazione di piante OGM vicino alle regioni do-ve crescono i loro parenti selvatici, lasciare tra i varicampi agricoli zone non coltivate da piante OGM.D’altra parte l’impiego di piante OGM può portarebenefici all’ambiente in generale e alla biodiversitàin maniera più specifica, come per esempio salvarespecie vegetali in via di estinzione, diminuire laquantità di pesticidi e fertilizzanti utilizzati, limitarelo sfruttamento dei terreni e dell’acqua».G.C. «Alcuni incroci casuali con piante selvatichesono stati osservati sperimentalmente, sia pure conbassa frequenza. È difficile, per i motivi sovraespo-sti, valutare l’effettivo rischio anche perché bisogne-rebbe differenziare un tipo di OGM da un altro».Il cibo, le abitudini alimentari, le tradizioni ga-stronomiche, tutto il settore delle economie agroa-limentari affondano le proprie radici e sono unaparte importante delle identità culturali e socialidi aree geografiche e comunitarie. Una diffusionesu vasta scala e a livello planetario delle colturegeneticamente modificate non rappresenta anche

una pericolosa spinta verso l’omologazione, lastandardizzazione, la perdita di identità?G.C. «C’è un’ulteriore perdita di biodiversità, un ri-schio da non trascurare, uno smarrimento di culture etradizioni che non si devono tralasciare. Se non sievitano questi fenomeni, si potrà avere uno sradica-mento dell’uomo dal suo contesto territoriale, perchése se ne fa un uso massiccio ogni zona diventeràuguale alle altre e le nazioni perderanno la loro agri-coltura tradizionale e il loro paesaggio tipico, fruttodell’interazione atavica fra uomo e natura, con con-seguenze a vari livelli. Oltre all’aspetto identitarioche ogni luogo deve conservare, proprio facendo levasugli aspetti economici che giustificano l’introduzio-ne degli OGM, si deve osservare che, nel caso di usiindiscriminati e non attentamente calibrati, esiste ilpotenziale rischio di perdite di tipo economico perquanto riguarda il turismo, come ad esempio la per-dita di paesaggi agricoli spesso fortemente caratteriz-zanti un territorio (es. oliveti tradizionali, sistemi ter-razzati misti, agrumeti, vigneti), che sono essi stessiun attrattore turistico. Dobbiamo invece evitare l’o-mologazione e combattere affinché la diversità siconservi in ogni suo aspetto».P.T. «Anch’io credo che le abitudini alimentari sonouna parte importante dell’identità culturale e socialedelle varie aree geografiche e vadano sempre tenutein considerazione. Per questo motivo ritengo che siamolto importante che le biotecnologie vegetali si ap-plichino su piante di interesse locale ed è di fattoquesto che si sta cercando di ottenere in vari paesi invia di sviluppo. In questa maniera si garantisce ancheun elevata produttività agricola, utilizzando delle va-rietà adattate alle condizioni ambientali locali, non-ché lo sviluppo di ricerca autonoma».

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Roma Tre e la ricerca

L’anno accademico 2007-2008 è stato per Roma Tre l’anno della ricerca. Il nostro Ateno ha organizzatoinfatti su questo tema quattro giornate di approfondimento e di riflessione. Gli incontri si sono svolti a par-tire da febbraio 2007 e fino al 6 marzo scorso e sono stati dedicati rispettivamente alla programmazione evalutazione della ricerca, alla sua valorizzazione economica, alla formazione e avviamento ad essa e allestrutture e ai supporti. Nel corso dell’ultimo appuntamento ci si è interrogati sullo sviluppo delle diverse fisionomie dei Diparti-menti, sul rapporto tra autonomia, iniziativa del centro e esigenze provenienti dall’esterno e fra Diparti-menti e Facoltà, sul ruolo del centri di ricerca, delle biblioteche, dei laboratori, degli uffici amministrativi edi supporto.Sono intervenuti, oltre al Magnifico Rettore Guido Fabiani e al Prorettore alla ricerca Renato Moro, MarioDe Nonno, coordinatore del collegio dei direttori di Dipartimento e Alessandro Verra, direttore del Diparti-mento di Matematica. Hanno inoltre partecipato alla tavola rotonda Alfonso Miola, coordinatore dellaCommissione ricerca 2 del Senato Accademico, il Direttore Amministrativo Pasquale Basilicata, e i diret-tori di Dipartimento Renato Funiciello, Elio Matassi e Andrea Vidotto. Tutti i materiali relativi alle quattrogiornate sono disponibili on line, sul sito web di Ateneo.

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Secondo quanto emerge dall’annuale rapporto dell’UNFPA, il fondo delle Nazioni Unite per la popo-lazione, nel 2008 per la prima volta nella storia del-l’umanità la popolazione globale che vive nelle cittàsupererà quella insediata nelle campagne. L’eradella globalizzazione è anche l’era delle città e dellemegalopoli. Quanto è importante il ruolo delle am-ministrazioni locali e in particolare di una città co-me Roma che ha, se così si può dire, una vocazioneglobale ante litteram, nell’attenuare l’impatto deiprocessi globali e in particolare nell’affrontare pro-blemi legati alla vivibilità come l’inquinamento, l’a-bitabilità, l’inclusione e l’esclusione?Non è un mistero che Roma aspiri a essere una gran-de città internazionale, ossia a entrare nella rete dellealtre aree urbane per divenirne un nodo essenziale. Ilnuovo Piano Regolatore è stato disegnato con l’oc-chio a questo obiettivo: basti vedere quanto si è inve-stito sul tema dell’accessibilità, sulla dotazione infra-strutturale, sull’accoglienza, sulla crescita socio-eco-nomica. Guai a ritenere, peraltro, la globalizzazioneun male in sé. Le opportunità che essa offre sonodavvero infinite, e una città come Roma non può ri-trarsi dinanzi a queste chance e alle risorse che nederivano. Il punto è un altro, e riguarda l’identità ur-bana, che per Roma (la città eterna) è davvero un te-ma capitale. Con molta probabilità, l’Urbe, tra legrandi città, è quella a più alta, diciamo così, densitàstorica. Ciò implica grandiose responsabilità per chila governa. E così, accettare la sfida della globalizza-zione ne comporta anche un’altra, di sfida: ossia la

salvaguardia dell’identità urbana. Io credo che l’i-dentità non sia una questione astratta, mitica, lettera-ria. L’identità è un fatto reale, e riguarda l’animaquotidiana di una città: ciò vuol dire tutelare l’am-biente, i parchi, il verde, le ville storiche; preservarele vestigia storiche; migliorare giorno dopo giorno laqualità della vita; equilibrare e risanare l’ambienteurbano; conservare la comunità locale, secondo unaltissimo indice di “inclusione”. Grandissima e du-plice sfida, dunque. Di una cosa sono certo. Lo skyli-ne di Roma resterà lo stesso. Non accadrà quel che èaccaduto e sta accadendo in altre grandi metropoli,che stanno assumendo una conformazione semprepiù simile tra loro, al punto da renderle indistinguibi-li sotto certi aspetti, a causa di oggetti architettonici osoluzioni urbane standardizzate e globalizzate.Il suo assessorato si è fatto promotore del rilanciodella grande architettura a Roma, dall’Audito-rium alla Città dei giovani, nell’area degli ex Mer-cati generali, dalla nuova Fiera di Roma all’ulti-mo progetto messo in cantiere, il Ponte della Mu-sica al Flaminio. Quanto è difficile portare avantiprogetti di modernizzazione senza perdere il sensodi un patrimonio storico, architettonico, culturalee umano come quello di Roma? Lo dicevo prima. Si tratta, in generale, di una doppiasfida: internazionalizzazione e modernizzazione, dauna parte – tutela e salvaguardia, dall’altra. Globaliz-zazione verso l’esterno – inclusione e composizionesociale, invece, all’interno. Sappiamo bene che “ag-giungere” oggetti urbani di qualità al tessuto esistente

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ntri

32 Roma: città eterna o metropoliglobalizzata?Intervista all’assessore uscente all’urbanistica Roberto Morassut

a cura di Federica Martellini

Roberto Morassut riveste dal 2001 l’incarico di assessore all’urbanistica ealle politiche di programmazione e pianificazione del territorio del Comu-ne di Roma.Anche prima di rivestire responsabilità dirette di governo si è occupato alungo di Roma e del suo territorio. È stato vicepresidente del comitatopromotore per la candidatura olimpica dal 1996 al 1997. Come consi-gliere comunale si è occupato della riforma del trasporto pubblico locale,delle aziende di servizio pubblico e della riforma amministrativa di Ro-ma Capitale e della Città Metropolitana. Durante il suo assessorato hacondotto i lavori che hanno portato all’approvazione del nuovo piano re-golatore.

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significa promuovere uno sviluppo che potrebbe por-tarci anche lontano dal nostro più tipico modello ur-bano (ormai millenario). Tuttavia, Roma deve costrui-re (e sta costruendo) una propria via alla modernizza-zione, il cui esito sarà quello di collocarla con succes-so nel novero della grandi metropoli, senza che essaperda alcuna delle qualità storico-ambientali che lacontraddistinguono. In certe occasioni la sfida parràdavvero complessa. Prendiamo il caso dell’Ara Pacis,e dell’alto grado di innovazione che essa ha introdottoin quel quadrante del centro storico. Io sono certo chequesta immissione di grande architettura (e di svilup-po urbano) nei tessuti cittadini sia assolutamente indi-spensabile; e sia un ingrediente ineliminabile perchéRoma possa davvero tutelare e rafforzare la propriaidentità. La modernizzazione è una componente es-senziale dell’identità urbana, e quest’ultima non è undato statico, ma un processo storico in cui l’innova-zione è, appunto, una componente ineliminabile.Si è parlato e si parla molto della cosiddetta “curadel ferro” ovvero dell’incentivazione del trasportosu rotaie e del conseguente sviluppo di una retemetroferroviaria più efficiente. In una città da questo punto di vista molto diffici-le come Roma a che punto è il percorso verso unamobilità che sia il più possibile sostenibile perl’ambiente e per i cittadini?Quindici anni fa il gap infrastrutturale tra Roma e ilresto d’Europa era davvero abissale. Si trattava diporre le basi di un nuovo sviluppo. Dovevamo, in so-stanza, quasi partire da zero. Oggi la situazione è mi-gliore, ma nei prossimi anni cominceremo a racco-gliere la maggior parte dei frutti del nostro lavoro. Ri-spetto al 1993, la metro A è stata ristrutturata e hanuovi treni. La metro B sarà prolungata da Piazza Bo-logna a Conca d’Oro (i lavori sono in corso). La retetranviaria è stata integralmente ristrutturata, e oggi

disponiamo di una linea moderna in più, l’8. Sono an-che nate le ferrovie metropolitane, e oggi fanno reteall’interno del sistema metrebus, accanto alle metro ealle ferrovie in concessione. La metropolitana C, la li-nea più grande d’Europa, è in cantiere. La D è in faseavanzata di progetto. L’Atac non è più la vecchiaazienda malandata di qualche anno fa, e la rete deibus è stata integralmente ridisegnata. Sono fatti. Chepreludono ad altri fatti futuri. Abbiamo messo in mo-vimento un meccanismo virtuoso, che migliorerà sen-z’altro l’accessibilità e la mobilità romana.Negli ultimi quindici anni l’Università Roma Tre èstata uno degli attori principali, in collaborazionecon il Comune, della valorizzazione e riqualifica-zione del territorio nell’area Ostiense - Marconi.Questa esperienza può rappresentare in qualchemodo un modello della collaborazione fra istitu-zioni nel processo di rilancio e rigenerazione di al-cune zone della città e in particolare di quelle piùperiferiche? Non esagero a dire che un aspetto essenziale del nuo-vo modello romano risiede nell’intreccio virtuoso tracrescita urbana, risanamento e sviluppo del sistemauniversitario, formativo e culturale in genere. RomaTre è davvero un paradigma: un’università che crescesull’onda della riqualificazione del quartiere e chepromuove lo sviluppo prima ancora di trarne vantag-gio. L’Università non diviene un volano di sviluppourbano solo in astratto e in linea di principio, ma trai-na, sospinge, promuove concretamente la crescita ela riqualificazione urbana. Al vecchio modello specu-lativo, alla crescita disordinata, all’espansione a mac-chia d’olio, abbiamo sostituito un modello di svilup-po sostenibile: cultura, formazione, ambiente, rete suferro, crescita equilibrata, policentrismo urbano. È ilpregio essenziale del nuovo Piano Regolatore. Ed èanche il lascito principale che lasciamo a Roma.

Quando si parla di sostenibilità in architettura,quali sono le problematiche che si vanno ad af-frontare?Sicuramente il tema della sostenibilità è molto ampioe abbraccia più ambiti che si manifestano anche nellavarietà di ricerche affrontate nel nostro Dipartimento.Oggi però, si può notare una differenza rispetto a

quello che facevamo una decina d’anni fa. Mi spiego:prima eravamo orientati a prendere coscienza dellericerche che si stavano facendo in Europa, relativa-mente alla sperimentazione di progetti riguardanti in-sediamenti edilizi orientati a dimostrare la loro soste-nibilità dal punto di vista energetico. Adesso invece,sviluppiamo ragionamenti e affrontiamo tematiche 33

Sostenibilità e riqualificazionedell’ambiente urbanoConversazione con Andrea Vidotto, Direttore del Dipartimento di progettazionee studio dell’architettura

di Camilla Spinelli

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che prendono in esameaspetti più circoscritti; par-lo di tutti quegli studi cheoltre alla riqualificazionedell’ambiente urbano sioccupano in modo specifi-co dell’“involucro” dell’e-dificio. A questo proposito, ildottorato del Diparti-mento di Progettazionee studio dell’architettu-ra in Progetto urbanosostenibile, credo pren-da in esame proprioquesto problema.Si, in questo dottorato cerchiamo di orientare la ri-cerca dei giovani in modo tale da poter affrontaretematiche che abbiano un’applicazione pratica.Come in molti altri paesi europei anche in Italiapossiamo constatare che gran parte dei nostri edifi-ci urbani sono malati dal punto di vista energeticoe anche degradati dal punto di vista estetico. Il te-ma del recupero della qualità e della conservazionefisica è diventato predominante. Se consideriamogli edifici d’abitazione, una parte importante della“cura” deve riguardare l’identità dell’edificio, lafacciata, la sua pelle. Massicci interventi innovatividiventeranno sempre più indispensabili. Quandoper esempio si sente parlare di “facciate verdi” ci siriferisce a soluzioni che sono molto interessanti esofisticate ma che non sono altro che lo sviluppodella tradizionale schermatura “verde”, realizzatasulle facciate di una casa, che contribuisce a purifi-care l’aria e a limitare la trasmissione termica ri-spetto a quello che accade per un edificio che siscalda costantemente sotto il sole.

Come vede studiamo i te-mi della sostenibilità perrisolvere problemi di ca-rattere generale attraversoprocessi e procedureadatti ma ci occupiamoanche di come l’ambienteurbano possa essere ri-qualificato se per esem-pio lo si vuole trasforma-re, con progetti adeguati,in un ambiente a misuradi bambini , di anzianiecc.Parlando più in genera-le, come sta affrontando

questo problema l’Italia?Il nostro paese dovrebbe cambiarsi la testa. Oggi ilproblema del consumo energetico è gravissimo.Sprechiamo moltissimo negli edifici che realizzia-mo e non abbiamo messo in atto una politica di tra-sformazione nel modo di costruire. Non ci rendia-mo conto che abbiamo la possibilità di utilizzare ilsole rispetto alla maggior parte dei nostri partnereuropei, i quali peraltro ricorrono alle energie rin-novabili con l’uso di dispositivi energetici diversi efacendo molta sperimentazione. Per comprendereproblematiche così estese credo sia ancora utile fa-re un esempio. In Italia non si pensa al fatto chequando una parte del patrimonio pubblico, pensoalla case popolari, viene venduto agli abitanti sipotrebbero preventivamente concordare azioni col-lettive di responsabilità per farsi carico della riqua-lificazione dell’edificio in cui si vive. Curarlo dalpunto di vista energetico dovrebbe essere uno degliobiettivi principali. Mano privata e mano pubblicasi dovrebbero unire per finanziare la realizzazione

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Andrea Vidotto

Prospetto sud della Vasca Navale

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di operazioni di manutenzione straordinaria sull’e-dificio ai fini del risparmio energetico.Dal punto di vista teorico questo discorso è giu-sto, ma nella maggioranza dei casi le famiglienon riescono a “vedere” il risparmio che si ha sesi sceglie l’energia rinnovabile.Il problema infatti è far partecipare il cittadino al“gioco” serio della sostenibilità. Anche consideran-do questioni minime bisognerebbe facilitare uncontrollo più accessibile per poter tenere d’occhiomensilmente i consumi dell’elettricità, del gas, edell’energia usata per il riscaldamento di casa. In-trodurre questi dispositivi aiuterebbe molto a capi-re che una certa spesa d’investimento iniziale - fi-nalizzata al risparmio - può dare successivi vantag-gi e farebbe vivere meglio. Come si sta muovendo l’Università Roma Trenel campo della sostenibilità?Abbiamo progettato per l’Ateneo una serie di edifi-ci che hanno caratteristiche tali da essere conside-rati sostenibili a pieno titolo. Parlo di nuove sediper laboratori di ricerca nella zona del Valco S.Paolo, dell’ampliamento della ex Vasca Navale peri dipartimenti di Ingegneria, di un edificio destina-to a case per studenti finanziato dall’ADISU. C’èstata da parte nostra molta attenzione sull’uso delleenergie rinnovabili.

Saranno edifici dotati di dispositivi per la captazio-ne dell’energia solare, ciò significa che userannoquesta energia a proprio vantaggio e riuscirannoanche ad immetterne il surplus nella rete pubblica.Inoltre sono edifici molto ben schermati dal sole epotranno contare per il ricambio dell’aria e ancheper il raffrescamento estivo su soluzioni di ventila-zione naturale.È nostro intento procedere ad un affinamento del-la qualità ambientale complessiva del Valco, conil disegno di tutte le aree pubbliche e di connes-sione fra i diversi edifici. L’Ateneo ha le miglioriopportunità per confermare il suo ruolo di prota-gonista dello sviluppo urbano sostenibile in unaparte importante della città in cui si è già insedia-to e dove estenderà la propria identità architetto-nica.Resta il fatto che ai fini della sostenibilità uno de-gli obiettivi principali è quello di realizzare opera-zioni di carattere simbolico. Bisogna far sí chequesti temi, questi slogan, diventino realistici, con-creti, visibili e percepibili dalla gente. Bisogna spe-rimentare per convincere. C’è una cultura del vivere e del consumare che vacambiata e questo si può ottenere se si effettuanointerventi che abbiano una forte capacità paradig-matica.

La globalizzazione è un’ottima oc-casione di scambio interculturalee di dialogo tra popoli o un peri-colo per il riaffermarsi di certecorrenti che di fronte alla convi-venza cercano di ribadire la pro-pria identità culturale e soprattut-to religiosa? La globalizzazione è innanzitutto unfatto, un dato storico, non una scelta.Se ne discute ormai da quasi ven-t’anni, poiché il fenomeno ha trattoenorme impulso dalla caduta del mu-ro di Berlino e la fine del sistema co-munista, ma esso ha radici molto piùantiche, che rimandano persino al tempo dell’Euro-pa del Cinquecento o della conquista dell’America.Certo l’accelerazione contemporanea, dovuta allastraordinaria mobilità e alla rivoluzione tecnologica

e telematica, è stata impetuosa. Dun-que va accettata e non demonizzata.Occasione di scambio o pericolo? Èentrambe le cose. Certo, la globaliz-zazione favorisce la rinascita dei na-zionalismi e dei fondamentalismi,ma il vecchio patriarca Athenagoras,erede di una tradizione ecumenicacristiana e bizantina, diceva: «tutti ipopoli sono buoni, ognuno merita ri-spetto e ammirazione». In lui, pulsa-va una visione universalistica del-l’uomo e delle nazioni. In un mondoframmentato e globalizzato comequello contemporaneo, non riterrei

negativo a priori cercare di ribadire la propria identi-tà. È necessario sapere chi si è. Il fatto è che si trattadi un processo aperto, che include le proprie originie tradizioni, ma anche il confronto con la contempo- 35

Globalizzazione ed ecumenismoIntervista ad Andrea Riccardi, docente di storia contemporanea e fondatoredella Comunità di S. Egidio

a cura di Michela Monferrini

Andrea Riccardi

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raneità. E la mia identità non è mai contro gli altri,ma sempre accanto agli altri.Perché la convivenza genera paura, e dunquechiusura, scatenando il fanatismo? È a causadella scarsa conoscenza dell’altro, di un’errataeducazione alla coabitazione?A tutti i livelli e di fronte alle situazioni più diver-se, ci si ripete la domanda: come vivere insieme?Se la pongono politici e intellettuali; ma la sentonol’uomo e la donna comuni, che osservano le vicen-de quotidiane e si ritrovano senza una soluzione aiproblemi e senza un ideale di società. Eppure larealtà è che, mentre ci rivolgiamo questa domanda,noi già viviamo assieme, a tante latitudini. Oltre al-la coabitazione con l’altro, fatta di vicinanza fisicae geografica, si realizza una convivenza virtuale,per cui la vita, la cultura, i gusti degli uni raggiun-gono quelli degli altri attraverso i canali della glo-balizzazione. Le tradizioni e i sapori si mescolanonel mondo globale. I viaggi portano gli uni nei pae-si degli altri. L’emigrazione crea legami profondi.La mobilità degli uomini, delle loro idee e delle lo-ro abitudini, non conosce confini. Vivere insieme èun destino inevitabile, anche se non sembra semprerassicurante.La comunicazione tra l’Occidente e il cosiddettoTerzo Mondo è un dialogo o un monologo?Quanto avrebbe da insegnare all’Occidente uncontinente come l’Africa, crogiuolo di culture?Dopo la lunga e contrastata vicenda storica del co-lonialismo, che, pur tra tante nefandezze, è stataportatrice di uno sguardo dell’Europa verso il con-tinente africano; esauritasi la fase del confronto trai due imperi, in cui l’Africa era un terreno rilevantedi posizionamento strategico, oggi i due mondisembrano aver perso interesse persino alla comuni-cazione stessa tra di loro. Quali i motivi di questo“black out” tra Europa e Africa, che si consuma ne-gli anni Novanta? Si esaurisce, con l’allontanarsidal colonialismo, il “senso di colpa” europeo: lenuove generazioni europee sono ormai distanti dal-l’avventura in Africa e hanno, nonostante la globa-lizzazione, meno legami e meno senso di responsa-bilità verso il continente nero. D’altra parte anchegli africani, specialmente quelli più giovani, vivonooggi come un senso di rivalsa nei confronti deglieuropei e sembrano dirci: lasciateci stare, non vo-gliamo i vostri modelli o i vostri consigli, l’Africaagli africani! Io invece sostengo da tempo che il futuro dei duecontinenti è quello di uno spazio e di un destinocomuni, per questo parlo di Eurafrica. Il passatocoloniale, la comunanza di lingue e culture, la vici-nanza geografica, l’immigrazione, legano indisso-

lubilmente Europa e Africa. Lo spazio euro-africa-no è una realtà della storia e del futuro.Basterebbe il dialogo interreligioso a risolvere lasituazione mediorientale? Il mosaico mediorientale è molto, molto comples-so. Certo un dialogo appassionato, franco, sinceroaiuterebbe molto e costituirebbe un grande soste-gno per quei cristiani che, in Libano, in Turchia, inIraq, in Siria, in Palestina, sentono di non avere, difronte a situazioni difficili e dolorose, altra alterna-tiva se non la fuga. La situazione dei cristiani d’O-riente è ancora ricca, ma anche complessa, sofferta:nasconde in sé potenzialità grandi. Questi cristianinon sono solo le vittime dell’intolleranza musul-mana, ma sono una grande chance per il mondomusulmano, per non essere solo con se stesso. Lascomparsa dell’altro non è soltanto la sua fine, maanche la fine della base per la convivenza pacificae la democrazia.Il dialogo tra la Chiesa e la popolazione, creden-te e atea, è corretto o la recente protesta di stu-denti e professori contro la visita del Papa all’U-niversità La Sapienza dimostra che c’è un pro-blema?Se un Papa, o chiunque altro al suo posto, non puòfar visita tranquillamente alla più antica istituzioneuniversitaria romana, allora vuol dire che l’univer-sità italiana non è libera, il che mi pare grave. Inrealtà, questo Papa, fine teologo ed intellettuale,ha tutte le carte in regola per continuare ed appro-fondire una delle migliori eredità del Concilio, acui il suo predecessore Giovanni Paolo II ha datogrande impulso, cioè il dialogo con i non credentie con il mondo della cultura laica. Il dialogo tralaici e cattolici è una delle sfide fondamentali diquesto nuovo secolo perché è la strada, forse l’uni-ca, che può allontanare conflitti laceranti e distrut-tivi della stessa convivenza umana. Del resto, lamodernità e il progresso, se da una parte hanno fa-vorito una comprensione più profonda della realtà,dall’altra hanno riversato sull’uomo contempora-neo una mole di paure e di angosce, senza peraltroil sostegno di quei valori che davano senso alla vi-ta. Oggi la questione etica torna con forza all’at-tenzione degli spiriti più attenti, proprio per l’ur-genza di porre un argine alla crescita di un indivi-dualismo generalizzato, che percorre trasversal-mente individui e collettività e che conduce ineso-rabilmente a una società conflittuale, dove il piùforte ha sempre ragione sul più debole. Questa è laposta in gioco e mi pare che valga la pena di af-frontarla con tenacia ed umiltà, al di là delle pole-miche di cortissimo respiro, che lasciano sempre iltempo che trovano.

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«Che scienza è senza umanità? Non comprendo per-ché le persone che hanno studiato non vogliano con-dividere la conoscenza con le popolazioni indigeneche ne hanno bisogno. L’Università della Selva co-munque è qui che ti aspetta, quando vuoi tornare saraila benvenuta». È Consuelo a parlarmi, una promotorade salud avanzada di La Realidad, cuore del territoriozapatista, uno dei cinque caracoles che riuniscono ilterritorio delle comunità rivoluzionarie del Chiapas. ALa Realidad si arriva dopo almeno otto ore di viaggioe di strade sconnesse, ripagati da una vegetazione di-rompente e mozzafiato. Non c’è tragitto in cui i ‘car-ros’ non si fermino almeno una volta per essere im-mediatamente riparati dagli stessi conducenti zapati-sti, sempre con un sorriso. Ho trascorso alcuni giornia La Realidad con la carovana dell’associazione YaBasta che da anni porta avanti il progetto di una turbi-na ecocompatibile che produce energia elettrica e ren-de autonomo il caracol. La forma di buon governodelle comunità zapatiste lotta dal 1994 per la comple-ta autonomia dal governo messicano e organizza congrande determinazione il sistema scolastico e sanita-rio in tutti i municipi e nei villaggi. Consuelo non è sposata, studia da autodidatta da cir-ca venti anni. Pervinca, la ginecologa italiana dellacarovana che è lì per insegnare alle altre promotorasde salud è impressionata dalla sua preparazione. «InItalia saresti una grande professoressa» le dice conconvinzione. «La salute delle donne è molto impor-tante - risponde sorridendo Consuelo - e gli uominisono sempre più consapevoli che le donne devono

poter sviluppare la loro personalità. Un po’ alla voltasi sta modificando la pianificazione familiare: anchenei villaggi gli uomini le lasciano frequentare le cla-ses de salud y de educación, occupandosi loro deibambini, degli animali e di tenere pulita la casa». Ilsuo castigliano è eccellente. «Prima di ogni cosa ledonne devono imparare a parlare la lingua che con-sente loro di studiare e di fare politica attiva all’inter-no delle Giunte»; mostra orgogliosa i libri di anato-mia e di medicina che è riuscita a raccogliere in que-sti anni. «A La Realidad ogni tre mesi organizziamoun corso di ostetricia e ogni due mesi uno per il pri-mo soccorso. È molto importante che tutte sappianofare della piccola chirurgia, sapere con quali erbe cu-rare le malattie di base, fare pronto intervento agli in-cidenti dei contadini. D’altra parte noi non abbiamoil diritto e la possibilità di usufruire degli ospedalidel mal governo messicano. Ma siamo riusciti con iltempo a costruire nostri ospedali e presidi medici,anche se per gli interventi chirurgici dobbiamo atten-dere che arrivino medici del mondo sviluppato».Molte indigene impiegano tre giorni di cammino e dicamion per raggiungere il caracol, «ma non ci rinun-cerei per niente al mondo» dice Maribel. L’umanitàcon cui Pervinca le guarda rende l’incontro qualcosadi molto diverso da una lezione. E la semplicità men-tre spiega che devono conoscere il loro corpo, deci-dere loro quando avere figli - in media ne hanno sei -e chiedere ai loro mariti di avere una sessualità piùresponsabile e attenta ai loro desideri regala a tutte 37

La lotta delle donne zapatiste,tra rivoluzione e autodeterminazioneRamona vive nel primo incontro delle donne zapatiste con le donne del mondoLas mujeres luchando, el mundo trasformando

dal Chiapas, Monica Pepe

Incontro internazionale delle donne zapatiste con le donne dellasocietà civile

Murales, Caracol Oventic

repo

rtag

e

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un sorriso. Quando scattole foto, sempre dopo averechiesto il permesso, ridonoschermendosi e tirandosisu la bandana rossa per co-prirsi il volto. Lascio La Realidad con ilricordo di un paradiso nel-la selva, prati immensi cir-condati dalle case di legnocon i murales più belli cheabbia mai visto, il fiumepopolato dalle indigeneche lavano i panni, unapartita di pallone con ibambini zapatisti, le stesedi chicchi bianchi di caffè rivolti al sole. Eppure anche in questo paradiso le incursioni dei mi-litari messicani sono molto frequenti e si stanno fa-cendo più minacciose e violente in tutto il territorio.Anche quando all’inizio del viaggio eravamo direttialla Garrucha siamo stati fermati dai militari. È ungioco delle parti. Loro sanno perfettamente perchései lì e del tuo sostegno ai zapatisti, ma voglionoguardarti in faccia e sperare che qualcosa non vadaper il verso giusto. Un ragazzo della carovana si vol-ta verso di me, mi chiede di tirargli su la zip dellafelpa senza farmi vedere. Sotto ha una maglietta del-l’Ezln, l’Esercito di Liberazione Nazionale Zapatistae i militari non apprezzano. L’Ezln è stato il primoesercito rivoluzionario a nominare donne, lesbiche etrans come propri referenti. Stiamo raggiungendo il ‘Primo incontro delle donnezapatiste con le donne del mondo’, tre giorni dedicatial protagonismo politico delle donne nell’esperienzazapatista e saranno solo loro a parlare. Agli uomini èstato richiesto di servire la comida, tenere in ordinel’accampamento e pulire le latrine, ma all’internodello spazio del dibattito non sono ammessi. Entriamo nel caracol de La Garrucha ed è la prima vol-ta che un luogo mi investe di così tante emozioni e tene-rezza. Sotto un sole battente una moltitudine di indigenie indigene colorate e laboriose lavorano in decine ditiendas di legno per acco-glierci e preparare i pasti:tortillas, huevos, frijoles.L’incontro è già cominciatoed entro nell’enorme fab-bricato di legno, ci sarannoalmeno 1000 donne da tut-to il mondo, i ragazzi ri-mangono ai margini esternicome gli fanno presente lezapatiste. In fondo il palcocon il tavolo da cui parlanoalmeno 40 indigene, giova-ni e anziane, in abito tradi-zionale e passamontagna.

Alle loro spalle un’enormebandiera dell’Ezln con ilbenvenuto alla Selva La-candona e all’Altra Campa-gna. La prima delegazioneè quella delle donne de LaGarrucha: sono responsabi-li regionali, rappresentantidelle Giunte del Buon Go-verno della Comandanciadell’Ezln, promotrici di sa-lute ed educazione. Nei tregiorni si succederannole delegazioni delle zapati-ste degli altri quattro cara-coles. A scandire le pause

lo stesso stacco musicale che diventerà la colonna so-nora dell’incontro, le donne zapatiste in fila indianadevono essere sempre le prime ad entrare e lasciare laplenaria. L’atmosfera è magica, l’energia travolgentesoprattutto grazie alla Comandanta Ramona, scompar-sa lo scorso anno, a cui è dedicato l’incontro. Quasitutte le zapatiste ricordano nei loro interventi questapiccola grande donna - al tavolo dei negoziati i suoipiedi non toccavano il pavimento - che al matrimoniopreferì la lotta per il suo popolo e contro la globalizza-zione. Il suo mestiere diceva era di svegliare la gente eil 1° gennaio 1994 era al comando degli indigeni checonquistarono San Cristobal de Las Casas. È questa ladata in cui gli zapatisti, con armi di fortuna e pochimezzi, sono insorti contro le persecuzioni e le umilia-zioni del mal governo messicano occupando più di 80villaggi per difendere i diritti e la cultura indigena, ecostringendolo a trattare. «Noi donne zapatiste uniamo la nostra forza e dimo-striamo ai nostri compagni che non siamo utili solo incucina e in famiglia, ma possiamo svolgere qualsiasicompito all’interno della comunità e abbiamo dirittoal nostro salario. Abbiamo la responsabilità della sa-lute collettiva, dell’istruzione, dell’agricoltura e lavo-riamo con gli uomini negli organi politici del BuonGoverno». Le loro parole sono semplici e penetranti«Educhiamo i bambini e le bambine ad aver rispetto

tra di loro, formiamo mili-ziane e miliziani. Il 1° gen-naio del 1994 come donnezapatiste abbiamo dimo-strato al mondo intero diaver lottato per recuperarela nostra madre terra, to-gliendola ai latifondisti chesfruttavano il lavoro deicontadini indigeni. Lottia-mo per fermare la privatiz-zazione e contro il capitali-smo». Prende la parolaMarina, una bambina dinove anni anche lei con il

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Le donne zapatiste raggiungono in fila il luogo dell’incontro

Murales, Caracol La Garrucha

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passamontagna, che proclamandosi orgogliosamentezapatista dichiara tra l’entusiasmo generale «non ac-cettiamo briciole né elemosine dal mal governo».La lotta clandestina prima dell’insurrezione, la LeyRevolucionaria de Mujeres di Ramona e il sangueversato da molte di loro hanno trasformato la condi-zione delle donne nella comunità. La loro partecipa-zione in massa al levantamiento, in una società per-vasa da un machismo imperante come quello messi-cano, è stata una rivoluzione nella rivoluzione. Oggile donne rappresentano un terzo dei militanti dell’e-sercito ribelle.All’interno della struttura militare e della dirigenzapolitica, le zapatiste possono essere insurgentes don-ne guerrigliere che vivono sulle montagne sempre inarmi, comandanti civili con incarichi di natura politi-ca, miliziane, cioè donne addestrate a combattere incaso di necessità. La base diappoggio femminile, rappre-sentata da tutte le donne deivillaggi zapatisti, ha il compitodi rifornire gli insurgentes. Molti interventi raccontano lacondizione delle donne primadell’insurrezione. Ester, Ama-lia, Eugenia e le altre ricordanole violenze e lo sfruttamentodei latifondisti messicani quan-do lavoravano nei campi. Nonavevano diritti e se partecipa-vano a una delle loro assem-blee, non sapendo parlare il ca-stigliano, venivano umiliate dailoro stessi compagni. «Bambi-ni in spalla lavoravamo dall’al-ba alle dieci di sera e quandotornavamo a casa dovevamooccuparci di tutto senza maipoter uscire di casa. Il giornodopo aver partorito dovevamo subito riprendere il la-voro, eravamo trattate come bestie». Ne hanno fattadi strada le donne zapatiste. L’alcol è rigorosamenteproibito in tutto il territorio ed è stata una loro vitto-ria, dal momento che gli uomini spesso tornavano acasa ubriachi e le picchiavano. «Grazie al lavoro collettivo abbiamo imparato a leg-gere e scrivere e stiamo imparando anche l’ingannodelle parole del mal governo». Molte insistono sullaforza della comunità, «la società è fatta di donne euomini, di anziani e bambini. Solo tutti insieme po-tremo farla progredire». Se una di loro è in difficoltàcon la lingua o troppo emozionata nel parlare, si alzaimmediatamente un’altra compagna per aiutarla a fi-nire autonomamente l’intervento. La loro sorellanzaè la loro forza.Non posso fare a meno di ridere guardando di tantoin tanto il murales alla destra della presidencia conuna guerrigliera armata e la scritta No anorexia, Si

cellulitis. Le zapatiste sanno usare internet e cono-scono bene le distorsioni della nostra società capitali-sta. Il loro senso dell’umorismo è grande anchequando alla fine delle singole sessioni danno la pos-sibilità alle donne della società civile del mondo difare delle domande. Rigorosamente per iscritto attra-verso biglietti che dall’ultima alla prima fila vengonopassati di mano in mano. Una domanda parla com-plicato e di sovrastrutture politiche, la compagnaOfelia guarda le altre e dice con bonaria sufficienza«questa non si capisce, passiamo alla prossima». Tut-ta la sala scoppia a ridere.Qualcuna chiede come si comportano quando una diloro subisce violenze dal marito. Sandra rispondeferma «È compito di tutte le donne zapatiste sorve-gliare che le altre compagne non subiscano più vio-lenze dai loro mariti, provando a intervenire. Se un

uomo persiste nelle violenzeviene punito dalla giustizia za-patista»; si ferma qualche se-condo «ma sappiamo che mol-te donne nel mondo, anche neipaesi più avanzati, subisconoviolenze e discriminazioni. Viinvito compagne della societàcivile del mondo ad unirvi eglobalizzare la nostra lotta». Due panche dietro di me ci so-no le donne di Atenco, tutteimpugnano un machete bran-dendolo in alto per tutti e tre igiorni senza mai abbassarlo.Applaudono gli interventi dellecompañeras zapatistas, facen-do sbattere le lame tra di lorotanto da risuonare in tutta lasala. Ad Atenco non lontano daCittà del Messico, nel maggiodel 2006 una brutale repressio-

ne del governo messicano contro i venditori di fiori ei contadini del Fronte dei Popoli in difesa della Terraprovocò l’arresto di centinaia di persone, tra cui qua-rantasette donne molte delle quali denunciarono vio-lenze sessuali da parte delle forze dell’ordine. Con laprofonda convinzione che la terra non si vende, ledonne di Atenco scesero per le strade armate di ma-chete per esprimere il proprio dissenso alla espro-priazione dei territori voluta dal Presidente Fox econtribuirono alla vittoria. La loro testimonianza ècoraggiosa e vibrante, «se proveranno ancora a to-glierci la terra noi continueremo a resistere lottando.È la loro parola contro la nostra, loro hanno armi elacrimogeni ma quello che abbiamo noi è molto piùpotente: il diritto e la ragione». Alcune di queste don-ne però sono ancora in carcere. Il loro grido risuonaforte per tre volte nella sala «Por las presas polticas,libertad!». E la sala esplode «Ramona vive, la luchasigue!». 39

Le donne zapatiste e Mafalda

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Un viaggio in Cina, per noi europei,è un viaggio verso qualcosa chesentiamo lontano sia dal punto di vi-sta linguistico che culturale. È unadi quelle esperienze che ti fannoguardare dentro e ti pongono solodomande alle quali difficilmente ri-esci a dare subito una risposta. Daquesto punto di vista il mio viaggionon ha fatto eccezioni. Ai primigiorni di euforia e curiosità sono se-guiti lunghi momenti di riflessione,di analisi, di dubbi. Prima di partire ero felice all’idea diavere come destinazione Xi’an inquanto pensavo che, a differenza del-la Pechino delle Olimpiadi o dellaShanghai dei super grattacieli, fosseancora un po’ salvaguardata dallamacchina globalizzatrice che sta por-tando la Cina ad essere vittima e car-nefice di questo sistema. Invece già percorrendo il tra-gitto dall’aeroporto alla città, vedendo una moltitudinedi fabbriche alle quali seguivano interminabili filoni dicase popolari, mi sono reso conto che anche Xi’an, co-sì come altre importanti città, è nel bel mezzo di quel-la che il Partito Comunista Cinese afferma essere unarinascita economica, ma che in realtà sta producendo,in proporzioni maggiori, le stesse disuguaglianze so-ciali che già possiamo vedere nel resto del mondo. Mafacciamo un breve passo indietro.Dal 1978, dopo la morte di Mao (1976), il PCC ab-bandona l’ideologia marxista-leninista in favore diuna nuova da esso creata e chiamata socialismo cine-se che afferma di poter coniugare il comunismo conl’economia di mercato. Qui inizia quello che può de-finirsi un vero e proprio caos politico-sociale inquanto, convinzioni politiche personali a parte, èsemplice capire che questa sorta di ibrido socio-eco-nomico in realtà è una vera e propria menzogna. Conle promesse di ricchezza, di prosperità e di sicurezza,in Cina è stata operata la più meschina operazione diingegneria politica del dopoguerra caratterizzata dainterpretazioni alquanto distorte sia dell’ideologiamarxista sia, in forma minore, di quella liberista. Ma cosa hanno di distorto questi due modelli ormaifusi nella realtà cinese? Per quanto riguarda quellomarxista c’è da dire che i cinesi lo studiano fin da pic-coli a scuola, ma il fatto incredibile è che lo apprendo-

40 L’impero del socialiberismoOvvero quando il dragone si accorge che invece che su una sedia di legnoè meglio sedersi su un divano di pelle (finta)

dalla Cina, Indra Galbo

Xi’an, vista dal Grande Muro

Xi’an, negozi su Chang an Lu

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no senza studiarne l’autore principale: in sostanza ana-lizzano il pensiero marxista-leninista senza studiareMarx. Anche un bambino comprenderebbe che la cosaè alquanto strana: è un po’ come studiare la matemati-ca senza saper contare. Ovviamente ai futuri cittadininon viene spiegata né l’equazione merce-denaro-mer-ce che nel sistema capitalistico diventa denaro-merce-denaro, né il concetto di alienazione dell’operaio enemmeno l’impossibilità dell’avvento di un sistemacapitalistico a seguito di una rivoluzione popolare. Sistudia quindi un pensiero politico distorto adattabilealle esigenze del momento storico che però di comuni-sta ha ben poco. Per quanto riguarda il modello liberi-sta la sua distorsione riguarda fondamentalmente lasua negazione: sulla carta la Cina è un paese comuni-sta non liberista. Negando ciò la classe dirigente e im-prenditoriale può così usufruire di tutti i vantaggi eco-nomici del nuovo capitalismo senza però essere obbli-gata a rispettarne gli obblighi che comporta. Cosa comporta questa mescolanza di sistemi politici?Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: condi-zioni di lavoro atroci e pericolose, repressione, con-trollo dei media, sfruttamento indiscriminato delle ri-sorse, inquinamento, autodistruzione della propriaidentità culturale, pena capitale ed uno stato socialepraticamente assente.A volte viene istintivo pensare come sia possibileche la popolazione possa vivere con delle condizionicome queste; questo però è un falso problema inquanto la popolazione, intesa come corpo sociale,non riesce a percepire queste conseguenze come

eventuali cause di problemi rilevanti, bensì vedequesto come un periodo di passaggio, una sorta difase transitoria che li porterà ad un futuro prospero efelice. Questa futura prosperità sembra già essere laprotagonista se si fa una chiacchierata con un qual-siasi cinese: le prime tre domande che vi verrannofatte saranno 1) come ti chiami 2) da dove vieni 3)quanto guadagni. Infatti, un’altra cosa che è cambia-ta in Cina negli ultimi due decenni è la percezionedella funzione del denaro all’interno della società: ilmodello consumistico obbliga inevitabilmente aduna interpretazione della realtà diversa dal passatoperché diverse sono le modalità e gli scopi di utiliz-zo della moneta.C’è chi afferma che l’avvento del modello liberistaporterà con sé anche uno sviluppo democratico e po-litico, ma questo appare alquanto improbabile inquanto è opportuno ricordare che la Cina è coinvoltain questo processo da una ventina d’anni e di riformedemocratiche e diritti ancora non se ne è vista l’om-bra. Si potrebbe completare questo pensiero dicendoanche che forse tutto ciò fa comodo e fa parte delgioco. Se infatti da noi determinati diritti e tutele peri lavoratori sono stati conquistati al prezzo di durelotte politiche e sociali e si è quindi tenuti a rispettar-li, è facile per un imprenditore spostare mezzi di pro-duzione e capitali dove queste tutele non ci sono.In Cina, quindi come abbiamo detto, non si sta svi-luppando un sistema completamente nuovo e origi-nale, ma un ibrido di due modelli socio-economici.Parlando in termini rousseauniani questo processoporta ad uno sdoppiamento sia della società che del-l’individuo: da un lato la volontà generale che siidentifica sostanzialmente in una volontà del governodi gestire la massa promettendo una prosperità diffi-cile da ottenere per tutti, dall’altro la volontà del sin-golo che porta a sviluppare un livello di individuali-smo imparagonabile a qualsiasi altra realtà in quantoproprio abbinato ad una volontà di massa e per que-sto in grado di sviluppare conseguenze culturali cheprobabilmente riusciremo a toccare con mano traqualche decennio. 41

Xi’an, fabbriche e abitazioni

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Lo Stato dell’Amapà, nell’estremo nord del Brasile,è ricoperto interamente dalla foresta amazzonica ed èuno dei posti più belli che mi sia capitato di vedere.Ci troviamo alla foce del Rio delle Amazzoni, laddo-ve uno dei fiumi più grandi al mondo incontra l’o-ceano, nei suoi mille estuari rigonfi d’acqua.Il Rio è in molti tratti l’unica strada percorribile inquesta terra dalla foresta fitta e inospitale; per questodunque le popolazioni dei ri-beirinhos, gli abitanti del fiu-me, utilizzano come mezzo ditrasporto le imbarcazioni.Si tratta di zone remote, pococonsiderate dal resto del pae-se, più preoccupato ad affron-tare i problemi della giunglad’asfalto. Ma anche la giun-gla verde, fatta di fiumi e al-beri, nasconde purtroppo sto-rie tragiche che per troppi an-ni sono state rimosse.Lo scorso dicembre ero aMacapà, la capitale dell’A-mapà, per preparare un docu-mentario che voglio girare inquelle zone. Nel momento incui ho deciso di realizzarequesto lavoro sapevo cheavrei dovuto affrontare tema-tiche legate allo stato di iso-lamento che caratterizza que-st’area, ma non sospettavo divenire a conoscenza di una tragedia perpetrata neltempo che mi ha profondamente colpita. Parlo dellarealtà in cui vivono le donne autoctone vittime diescalpelamento. A noi può sembrare una parola in-decifrabile, dal suono fastidioso; per loro significauna vita segnata dal dolore. Ho pensato fosse un im-perativo morale diffondere la notizia e cercare unmodo per aiutarle.Andiamo con ordine.A Macapà alcuni mesi fa è nata un’associazione didonne che lottano per dare dignità e aiuto economicoalle vittime dello escalpelamento.Lo escalpelamento è lo scoperchiamento del cuoiocapelluto, che raggiunge anche orecchie, sopraccigliae talvolta parti del naso e di cui rimangono vittimemolte di quelle donne che utilizzano delle barche perattraversare il fiume, unico modo per muoversi in

Amazzonia.La maggior parte di queste barche non è registrata.È fatta circolare illegalmente, non rispettando nem-meno le più elementari norme di sicurezza. Quindisi tratta spesso di barche pericolose, basti pensareche il motore solitamente si trova in un abitacolo po-sto al centro dell’imbaracazione, dove spesso siedo-no anche i passeggeri. Succede così che i proprietari

della barca per risparmiare, non muniscano di unaadeguata protezione il motore, che ruota ininterrotta-mente per tutta la durata del viaggio a velocità e for-za elevate. Può capitare che durante il viaggio, resotalvolta instabile dalle piogge e dal vento, i passeg-geri vengono trascinati da una parte all’altra dellabarca. Il disagio diventa dramma nel momento in cui ad es-sere sballottate da una parte all’altra sono bambine odonne con capelli lunghi: questi ultimi, imbrigliatinel motore, provocano lo escalpelamento. L’escalpe-lamento, come si può intuire è una ferocissima sco-perchiatura della testa, con conseguente deformazio-ne della faccia, perché spesso comporta anche la ri-mozione di orecchie, sopracciglia, naso, qualora nonimplichi la morte.Questa atrocità non è affatto un fenomeno isolato in

42 Il fiume dai capelli rossiLo Stato di Amapà e le donne vittime di escalpelamento

dall’Amazzonia, Elena Mortelliti

Un’imbarcazione sul Rio delle Amazzoni, Stato di Amapá

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questa zona dell’Amazzonia, è anzi piuttosto diffuso,ciononostante, forse per pudore, non trova espressio-ne a livello nazionale.Uso il termine atrocità perchè è l’unico che mi è ve-nuto in mente quando mi sono trovata di fronte a del-le donne deformate e rese mostruose da un eventoapparentemente così superabile.Incredibile che per una copertura mancante su unmotore, che avrebbe il costo di circa 100 dollari,migliaia di donne vivano in una condizione di emar-ginazione, di dolore e grande sofferenza, senzanemmeno ottenere un aiuto dalloStato.Le donne sono le principali vittimedi questa tragedia anche perché co-strette, a causa dei dettami dellaconfessione evangelica, molto diffu-sa nella zona, a tenere i capelli lun-ghi e a non tagliarli mai.Sembra una ridicola congiura risol-vibile con pochi accorgimenti da unasocietà razionale e pragmatica comela nostra, ma non lo è altrettanto perdelle popolazioni semplici, che vivo-no in un quasi totale isolamento, inuna regione in cui lo Stato non haancora provveduto a censire i suoiabitanti. Nell’Amapà vivono personeche a stento sanno di appartenere auna società, di essere cittadini, sonopersone che vivono di quello che pe-scano, del loro raccolto e che si pon-gono ben pochi problemi oltre quel-lo del mero sostentamento. È ovvioche in questo contesto l’accortezzadi coprire i motori delle barche nonè contemplata, anche perchè quella copertura coste-rebbe loro quanto il guadagno di un mese. Così nel si-lenzio più assoluto si consumano tragedie di cui nes-suno parla, di cui nessuno legge. Eppure solo nellostato dell’Amapà le vittime di escalpelamento sonocirca 1.400.Le vittime di escalpelamento sono perlopiù bambineche a seguito dell’incidente vengono spesso abban-donate dalla famiglia, incapace di elaborare il dram-ma e di accettare un “mostro” in casa. Crescono cosìai margini della comunità, come vagabonde, oppuresono rinchiuse in casa e trascorrono la loro vita incompleta segregazione.Al dolore intimo si aggiunge quello fisico, perchéqueste bambine, poi donne, soffrono di dolori acutis-simi alla testa. Invalide a tutti gli effetti, sono impos-sibilitate a fare la maggior parte dei lavori che richie-dono sforzo fisico. Discriminate dalla comunità incui vivono, cadono in depressione e vivono una vitadi stenti.

Negli ultimi anni, grazie al coraggio di Maria Trini-dade Gomes, si è costituita la Associação das Mul-heres Vítimas de Escalpelamento do Amapá, di cuiMaria Trinidade è la presidentessa. Ad oggi l’asso-ciazione conta 68 associate, tutte vittime di escalpe-lamento.Di recente alla Camera dei deputati del Brasile è sta-ta presentata una proposta di legge per garantire unintervento gratuito di chirurgia plastica alle vittime eper stabilire il diritto al lavoro fuori da ogni discrimi-nazione per queste donne. Al momento la proposta

non è ancora diventata legge e così queste donne nongodono di nessun tipo di indennità, non sono consi-derate invalide e le chirurgie plastiche di cui necessi-tano con urgenza non fanno parte del piano sanitariopubblico.Voglio precisare che questa realtà non appartiene so-lo al Brasile, ma si estende in ogni regione ricopertadalla foresta fluviale e attraversata dal Rio: ovverodel 60% del territorio del Brasile, ma anche zone del-la Colombia, del Perù, del Venezuela, dell’Ecuador,della Bolivia, della Guyana, del Suriname e dellaGuyana Francese.

Spero di riuscire a contribuire attraverso il mio la-voro a diffondere il più possibile la conoscenza diquesta drammatica realtà e attraverso la mobilita-zione internazionale indurre il governo brasilianoad accelerare l’approvazione della proposta di legge(1879/2007) e a occuparsi della realtà di questedonne. 43

Due donne vittime di escalpelamento

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Si sa, chi intraprende l’Università ha fatto una scelta(consapevole?) tenendo conto delle proprie inclinazio-ni e non trascurando di tenere presente le eventualipossibilità di lavoro tra senso di realtà e vecchi e nuovipregiudizi. La sfida? Arrivare in fondo al percorso nelminor tempo possibile con il massimo del risultato edentrare, con un ultimo sprint, nel mondo del lavoro. Atal fine l’Università italiana si è attrezzata con Rifor-ma, contro-Riforma, pre-Riforma, ecc. con il risultato,forse non nuovo, che stando ai dati ufficiali, il numerodei fuoricorso o di coloro che decidono di abbandona-re gli studi è costantemente in aumento. Questo è unfenomeno che anche Roma Tre sta monitorando. Ungruppo di lavoro composto da docenti, da studenti se-niores e dall’Ufficio orientamento si sta occupando diesaminare tutto ciò che ha a che fare con il percorsouniversitario al fine di proporre migliori e più efficacistrategie di orientamento in itinere. L’idea è quella diosservare quali sono le forme di tutorato messe in attodai diversi Corsi di laurea, qual è stato l’andamentodella dispersione negli ultimi cinque anni e qual è lapercezione che gli studenti hanno dell’Università. Puressendo ancora in una fase di analisi forse qualche ri-flessione la possiamo fare, partendo proprio dai prota-gonisti di tutte queste azioni: gli studenti iscritti. Daniel Pennac nel suo ultimo libro Diario di scuola ri-abilita l’imperfezione considerandola non come puntodi partenza verso la perfezione ma come strada alter-nativa alla migliore realizzazione di Sé. In particolaresecondo l’autore «le strade oggi tragicamente imper-fette verso la crescita personale sono la mancanza disogni, la mancanza di lentezza e la mancanza di gra-tuità». Certo non è il caso di generalizzare ma, forse,le affermazioni di Pennac fanno saltare all’occhio unaquestione attuale nel nostro villaggio globale (quante

contraddizioni!): il tempo. Il tempo della crescita, iltempo della riflessione, il tempo della ribellione, iltempo dell’assimilazione, il “giusto tempo”. Quale?Quanto? Il percorso universitario dovrebbe rappresen-tare una fase evolutiva della vita nella quale, dice loscrittore parigino, «lo scontro tra ignoranza e cono-scenza è un fenomeno violento» in quanto lo studente,a volte, sente la «paura di sbagliare e di fallire». Unapaura ingigantita dalle aspettative personali e del mon-do circostante. Ma si sa, come in un gioco perverso,tutto ciò che è proibito si manifesta. E allora dice Pen-nac «il segreto della nuova pedagogia è far passare lapaura» e «il lavoro dei docenti è quello di infondere ildesiderio di sapere». Chissà, magari facendo un taleesercizio, si saprà cosa si è, cosa si vuole, cosa si puòrischiare. Magari l’avvenire sembrerà meno minaccio-so. Non deve essere sembrato così a Nathalie! «L’av-venire, un strana minaccia. (…) Nathalie scende lescale di corsa (…) singhiozzando (…). Sono le cinquee mezzo, quasi tutti gli studenti se ne sono andati. So-no uno degli ultimi professori a passare lì. Il tam tamdei passi sugli scalini, l’esplosione dei singhiozzi (…)Nathalie giunta ai piedi delle scale. “Che succede Na-thalie? Resistenza di principio: “Niente prof, niente”. Isinghiozzi raddoppiano (…) “Pro…profes…sore..non… non… riesco a capi… non riesco a capire”. “Acapire cosa?” “La pr… la pro…”. E di colpo il tapposalta, ed esce tutto d’un fiato “La proposizione-subor-dinata-concessiva-introdotta-da-congiunzione”. Silen-zio. Non ridere. “La proposizione-subordinata-conces-siva?”. “È lei a ridurti in questo stato?” Che sollievo!».

Nel panorama universitario romano, emerge chiara-mente da parte di Roma Tre un impegno verso la dis-abilità fuori dal comune. Infatti, dove le altre univer-sità si fermano la nostra inizia: il lavoro per l’abbatti-mento delle barriere architettoniche è, ad esempio,

solo il primo passo verso l’inclusione di noi studentidisabili. L’Ufficio studenti in situazione di disabilità,istituito presso il nostro Ateneo, ha certamente una ri-levanza notevole: offre infatti servizi, come ad esem-pio il trasporto e l’accompagnamento, che consentono

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44 Sezione studenti iscrittiCorri... ma più veloce della luce!

di Gessica Cuscunà

La realtà dei servizi di Roma TreDue studenti raccontano la loro esperienza

di Francesco Rossi e Carlo Guglielmo Vitale

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e agevolano la nostra fre-quenza universitaria,in riferimento alle specifi-che esigenze di ognuno.Ogni attività è dettaglia-tamente descritta nel sitohttp://host.uniroma3.it/uffi-ci/accoglienzadisabili/ do-ve tra l’altro è stato attivatoun apposito web form pereffettuare la richiesta diogni servizio. Il sito è unostrumento ideato per pren-dere visione di ogni infor-mazione per noi utile, dalladescrizione della tipologiadi servizi erogati con le relative modalità per farne ri-chiesta, alle attività seminariali, ai contatti con i refe-renti di Facoltà. Tuttavia, pur non potendo dimentica-re che la nostra università, per ora, è l’unica nel terri-torio romano a offrire alcune tipologie di servizi spe-cifici, per noi indispensabili, ci sono comunque aspet-ti che andrebbero migliorati. Ad esempio per quantoriguarda la fornitura di materiale didattico che com-porta la trasformazione di un libro in una versione ac-cessibile (digitale, in linguaggio braille, ingrandimen-to…) i tempi sono ancora lenti. E ancora: per il perso-nale preposto al servizio di assistenza alla persona sa-rebbe opportuno prevedere dei corsi di formazione

mirati, in modo tale da as-sicurare un’assistenza ade-guata anche per l’uso deiservizi igienici. Altri aspet-ti da migliorare sono i con-tatti con le segreterie didat-tiche e le segreterie studen-ti. Forse sarebbe auspicabi-le anche l’istituzione di unmaggior numero di tutorsall’interno delle Facoltàper l’assistenza prettamen-te didattica. Sicuramente ledifficoltà ultimamente regi-strate, che hanno compor-tato per alcune settimane

l’interruzione dei servizi di assistenza alla persona edi interpretariato della lingua dei segni italiana (LIS),hanno inevitabilmente creato dei disagi. Sebbene siastato assicurato il servizio trasporto dalla propria abi-tazione alla sede universitaria e viceversa, la mancan-za del personale preposto ad esempio al servizio allapersona ha comportato infatti notevoli difficoltà pernoi studenti in relazione alla frequenza ai corsi in aulae alla presenza in sede di esame. Confidando dunquenell’impegno di tutti coloro che mantengono vivi i di-versi servizi, l’augurio è che possano migliorare sem-pre e che continuino ad essere erogati con costanza econtinuità.

La proliferazione dei giornali on line e l’estrema velo-cità di circolazione delle notizie ha indotto qualcuno aprofetizzare la scomparsa dei quotidiani cartacei, giàincalzati dalla concorrenza della televisione e strematidalla rincorsa dei mezzi audiovisivi. Un periodo que-sto, che ha generato timori ed incertezze nel mondoeditoriale dando vita ad una spaccatura di pensiero ver-so un immaginario futuro di questa nuova tendenza ri-spetto alla stampa tradizionale. Da una parte si schiera-no i visionari, i quali avevano predetto la morte dellacarta stampata e dei quotidiani; dall’altra gli scettici,convinti che nei primi anni di attività il giornale on linenon avrebbe mai raggiunto un suo equilibrio. Ma, come possiamo apprendere dalla nostra quoti-dianità, questo decennio ha smentito gli uni e gli al-

tri. La storia dei media insegna che l’affermazionedei nuovi mezzi di comunicazione non ha mai deter-minato la scomparsa dei precedenti. Li ha piuttostocostretti a una rivisitazione completa delle propriecaratteristiche.Il mercato potrà subire le più profonde modifiche si-no a parlare di trasformazione del mercato stesso, maqualsiasi evento tecnologico principale o collateraleche si verificherà non comporterà la fine del prodottocartaceo né lo stesso potrà essere sostituito completa-mente dai formati digitali. Prodotti presenti sia informato cartaceo che in quello digitale saranno usatiper scopi più diversi in un sano equilibrio determina-to dalla domanda di mercato completandosi a vicen-da: ad esempio i giornali tradizionali potranno punta- 45

Le trasformazioni del giornalismonell’era di internetGli effetti della globalizzazione sulla carta stampata in una tesi di laureain Sociologia dei processi culturali e comunicativi

di Silvia Venanzoni

Sede dell’Ufficio studenti in situazione di disabilità, Divisionepolitiche per gli studenti

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re su approfondimen-ti, articoli di opinio-ne, riflessioni e vice-versa, lasciare ai cor-rispondenti giornalion line spazio per gliaggiornamenti conti-nui, 24 ore su 24 intempo reale per lepiù diversificate in-formazioni, dalle no-tizie di cronaca aquella di politica nontrascurando gli oro-scopi e qualunque tematica “gettonata” al momento. L’avanzamento tecnologico ha quindi portato ad unavera e propria “esplosione” dell’attività editoriale online a dimostrazione che “a forza o ragione” gli edi-

tori hanno accettatoseriamente le oppor-tunità e le sfide di In-ternet. Lo scenariopiù probabile che sipotrà presentare èquello di una coesi-stenza, ovvero di uncompletamento a vi-cenda, tra media di-gitali e media tradi-zionali.La carta piena diodore acre di stampa

e i bits sono entrambi sopravissuti e il giornale dicarta e quello on line non sono diventati dei prodotticoncorrenti ma mezzi di informazione indirizzati adifferenti occasioni di consumo.

Il tema dell’identità e della citta-dinanza europea è oggi di gran-de attualità. Maria Zambrano, fi-losofa spagnola degli anni Qua-ranta, ha anticipato nei suoi sag-gi molti dei problemi che attual-mente ci toccano e fanno discu-tere. La sua proposta di nuovacittadinanza europea, pur neglievidenti limiti della distanza sto-rica, risulta significativa ancheper l’uomo del XXI secolo cheabita il mondo globale. La filosofa andalusa parte dauna diagnosi del malessere del-l’Europa, che attribuisce a tremalattie: il naturalismo, inteso come la natura senzala libertà, il liberalismo, inteso come l’individuo sen-za la comunità, e l’assolutismo, ossia il potere senzail diritto. La grave crisi dell’Europa è per lei soprat-tutto crisi filosofica, iniziata quando la metafisica oc-cidentale nata dalla meraviglia, thaumázein, si è al-lontanata dall’immediatezza della vita, dedicandosi,esclusivamente, a declinare il pensiero puro. In que-sto senso, Talete, Platone, Aristotele, Cartesio, Hegel,sarebbero tutti colpevoli. Questa brusca lacerazionedel legame del pensiero con la realtà, ha prodotto an-che l’allontanamento dal Sacro originario. Ma dopo la diagnosi, la proposta. Zambrano la artico-la in due direzioni: il ritorno alle radici ed il rinnova-

mento del politico. Il ritorno alleradici non è archeologico, piutto-sto archetipico. Si tratta di scava-re nella cultura europea e riporta-re alla luce alcuni modelli, alcu-ne figure-mentori dell’occidente.Innanzitutto Antigone, mito daimolteplici significati, figura sa-crificale che segna il passaggioall’«aurora della coscienza»; insecondo luogo Sant’Agostino eMaimonide, che esprimono la ri-cerca dell’interiorità e l’unità trascienza e filosofia. Circa il rinno-vamento del politico, Zambranoauspica la realizzazione di un’au-

tentica democrazia, possibile solo in una società dovela persona sia la protagonista. Una nuova cittadinanza europea è comunque realiz-zabile solo grazie ad alcune modalità di relazione in-terpersonale: la pietas, intesa come capacità di tratta-re con chi è diverso da sé; la philía, legame amicaleche rende possibile il superamento dell’indifferenzae dell’estraneità; infine l’amore, aperto alla dimen-sione orizzontale e verticale.Da Maria Zambrano, donna e filosofo, ci viene dun-que offerto se non un programma di azione, perlome-no un invito a pensare, che è anche un aiuto a ricono-scere se stessi: una condizione indispensabile per ri-conoscere gli altri.

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Confronto tra una pagina di La Repubblica e la sua corrispondente pagina web

Il ruolo dell’Europa nel mondo globaleLa proposta di Maria Zambrano in una tesi di laurea in Filosofia

di Ester Monteleone

Maria Zambrano

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47

Nell’intervista rilasciata dalla celeberrima astrofisica MargheritaHack si raccontano i suoi inizi ed i suoi pensieri circa il mondo cheoggi circonda l’ambiente scientifico.Partendo dalla domanda più classica, attraverso un percorso appro-fondito sui temi più attuali, impariamo a conoscere il nuovo pensieroscientifico diffuso oggigiorno.La scienziata risponde lanciando un energico messaggio ai giovani:“Farsi forza ed affrontare le difficoltà con competitività e aggressivi-tà sportiva (riconoscendo il proprio valore e quello di un ipoteticoavversario)”. È infatti questo che l’ha portata avanti: la sua grandecapacità di credere in se stessa.Successivamente viene affrontato un argomento molto delicato:complessi d’inferiorità delle donne nel campo del lavoro, in partico-lare nel settore scientifico; tema sempre attuale e mai superato total-mente, infligge pene morali incredibili che, pertanto, sono difficili dasuperare. Così, affrontando il problema, la professoressa sostiene chel’atteggiamento nei confronti delle donne sia dovuto ed incoraggiatoa partire dai modelli educativi ricevuti. Le donne sono sovente emar-ginate da mestieri ritenuti inadatti alle loro attitudini: pregiudizioquesto derivante dal profondo della nostra cultura.Anche la chiesa, che è una delle istituzioni più importanti del nostropaese ed è considerata un sommo esempio di educazione e culturaemargina il ‘gentil sesso’ in numerose occasioni. Basti pensare ai ve-scovi o ai sacerdoti: fra loro non si è mai vista una donna! Si puòpersino andare a ritroso nei millenni e trovare episodi come il pecca-to originale, in cui l’incarnazione della curiosità e della tentazione èuna donna: Eva.Questi avvenimenti o credenze, indipendentemente dalla loro veridi-cità, fanno sì che la donna viva in secondo piano senza raggiungerelivelli alti quanto un uomo potrebbe fare.Tali pregiudizi devono essere combattuti in prima battuta propriodalle donne stesse perciò, nell’intervista, la Hack esorta al rifiuto deicomplessi d’inferiorità. L’arretratezza del pensiero, legato alle tradi-zioni e alla cultura vetusta, porta notevoli svantaggi alla scienza, chenon consistono solo in nocive emarginazioni sociali e/o lavorative dialcune classi, ma anche in veri e propri atti di censura avviati permano di un’etica molto soggettiva. Le severe e rigide dottrine del Va-ticano, citate dall’astrofisica, sono un chiaro esempio di come vengamoderata la ricerca opponendovi argomenti religiosi che dovrebberoessere estranei alla scienza in quanto laica, come sostiene l’intervi-stata citando la ricerca sulle cellule staminali.Il freno etico imposto dal Vaticano è legato a un’antica e dogmaticaconcezione di Dio; da qui la riflessione della professoressa Hack, laquale sostiene che scienza e religione debbano viaggiare su due bi-nari diversi “la scienza indaga le leggi della natura […] la religione sibasa sulla fede che di per sé trascende la natura”.Il desiderio dei ricercatori è, quindi, la libertà d’indagine; anche se,talvolta, si possa incorrere in un eccesso di essa violando la natura,come sostiene l’intervistatrice.A questo proposito Margherita Hack risponde inglobando numerosiconcetti basilari della ricerca scientifica, quale il suo scopo primarioed allo stesso tempo l’etica del ricercatore: migliorare la condizionedegli uomini progredendo in funzione del loro benessere; lasciandocicosì comprendere che la scienza è attenta a non nuocere alla natura. Essa, infatti, mira a far del bene e molte volte, al principio di unesperimento, non ci si rende conto della sua eventuale pericolosità;

mentre molte altre volte gli interventi in natura producono grandiosescoperte come gli OGM, che non hanno registrato effetti negativi.Insomma la scienza ci è d’aiuto e come tale deve essere un obiettivoperseguibile da tutti allo stesso modo lasciando decadere gli idealiantichi di una morale stagnante ed i pregiudizi sulle donne…Perché in fondo, ma veramente in fondo, la differenza tra donna euomo è solo una X!

OrmeEva tentata e tentatrice: come uscireda questo vetusto complesso culturale

Analisi dell’intervista a Margherita Hack uscita sul precedente numero di Roma Tre News

di Valentina Bellafante

Gita fuori porta

L’esperienza extrascolastica che non facilitanuovi contesti di socializzazione

di Margherita Fantoli

Per quanto riguarda la nostra classe, non è mai stata fatta nessunaesperienza specifica per unificare il gruppo. E nemmeno un’espe-rienza che, per sbaglio, ci sia riuscita. Sorvolando il fatto che labora-tori teatrali, musicali, o scambi culturali sono un lusso che a ben po-chi è concesso, nemmeno i più comuni viaggi culturali hanno datouna mano.I problemi iniziano dalla scelta della mèta: la classe puntualmente sispacca in gruppi e sotto gruppi; Lisbona, Parigi, Berlino, Praga. Fortidei nostri radicati valori civili, procediamo con una democratica vo-tazione: ovviamente nessuno ottiene la maggioranza assoluta, e vin-ce il gruppo che fortunatamente conta più presenti in quel giorno.Orbene, dopo cotanto litigare, la classe propone dunque una mèta,alternativamente bocciata dall’insegnante accompagnatore o dallapreside. Alla fine si parte in una città che non aveva votato nessunocon una classe di cui non si conosce nessuno. Ma che importa? Ab-biamo comunque cinque giorni per stare insieme e divertirci!La fase veramente critica si presenta prima della partenza con la dis-tribuzione nelle camere! Oddio! Dormire sembra un’attività che vadafatta solo con persone particolarmente affini, se no, si sa, si fanno gliincubi. Sotterfugi, piani segreti, pianti, colpi di stato: ogni mezzo èlecito per accaparrarsi le 2 amichette/i in stanza. Alla fine, tappando-si il naso, tutti si ritrovano con qualcuno.Si parte! L’arrivo in albergo è spesso causa di ulteriori sconvolgi-menti: le stanza non sono da 3 ma da 4 e da 2. Di nuovo pianti, colpidi stato, piani segreti, litigate, con un’intrigante novità: l’omino a cuitutto ciò va riferito non parla un’acca di italiano.A questo punto iniziano le giornate: sballottati tra musei, cattedrali,strade, monumenti; tutti presi dal sonno, la fame, il mal di piedi, ilfreddo, il caldo, figuriamoci se abbiamo tempo di socializzare! Siscambiano parole di lamentela o urla entusiaste alla vista di un paiodi ballerine con quelle quattro persone che già si conoscono e chemostreranno solidarietà nei nostri confronti. Anche a pranzo è diffi-cile stare tutti insieme; come si conciliano gli interessi di: alternati-vi-noglobal anti mc donald, allergici- celiaci dalla dieta controllatis-sima, aspiranti modelle con esigenze ben precise, e infine i fan del-l’hamburger e patatine? Ognuno quindi si ritrova col proprio gruppodi appartenenza e mira verso un locale diverso. La sera sarebbel’occasione adatta, ma prima bisogna sormontare un grosso scoglio:l’insegnante che vorrebbe restare in albergo. La classe è a questopunto unitissima e mostra un fronte compatto dinnanzi al malcapita-to insegnante. Fronte che però si spezza non appena l’insegnante ac-consente all’uscita. Sì, ma dove? Discoteca! Parco! Pub! Hard RockCafè! Se si va in discoteca, io non esco! Al che l’insegnante spa-zientito ritira la sua concessione e tutti in albergo. Come si può so-cializzare dopo questa pessima figura? Ognuno arroccato sulle sueposizioni si ritira con le solite 4 persone che frequenta e che chiara-mente volevano fare la sua stessa cosa. E la serata va via così, in ca-mera, in albergo, in gruppetti. Insomma le giornate vanno così, cer-to non mancano momenti di sana allegria tutti insieme, ma sono ra-ri! Per lo più si sta con le stesse persone di sempre e anzi, la convi-venza forzata per cinque giorni, induce anche alla non sopportazio-ne di queste stesse.

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Il 18 marzo u.s. presso l’aula 1 della Facoltà di Giurispru-denza si è svolta la presentazione delle candidature e deiprogrammi per l’elezione del Magnifico Rettore per ilquadriennio 2008-2012.Ha aperto la seduta il decano dell’Ateneo, prof. Adolfo DiMajo. Si candidano a ricoprire il nuovo mandato:- Vito Michele Abrusci, Preside della Facoltà di Lettere

e Filosofia;- Guido Fabiani, attuale Magnifico Rettore;- Mario Girardi, Preside della Facoltà di Scienze

MM.FF.NN.- Giorgio Piccinato, Direttore del Dipartimento di Studi

urbani- M. Paola Potestio, Preside della Facoltà di Economia.Trovandoci in presenza di un candidato che ha già svoltodue o più mandati consecutivi (art.10, comma 7, lettera b,Statuto) il calendario elettorale risulta così fissato:1) La prima votazione avrà luogo nei giorni 28 e 29 aprile

2008 con il seguente orario:giorno 28 aprile, inizio operazioni di voto ore 9.00;chiusura seggio ore 18.00giorno 29 aprile, inizio operazioni di voto ore 9.00;chiusura seggio ore 17.00. Subito dopo avranno iniziole operazioni di scrutinio che proseguiranno fino a lorocompleta ultimazione.

2) È stata stabilita la data del 9 maggio 2008 alle ore11.00, presso l’Aula 1 della Facoltà di Giurispruden-za in via Ostiense 161, per la presentazione pubblicadi eventuali ulteriori candidature e delle linee pro-grammatiche che gli ulteriori candidati intendonoperseguire nel periodo del mandato.

3) La seconda votazione avrà luogo nei giorni 29 e 30maggio 2008 con gli stessi orari di cui sopra.

4) La terza votazione avrà luogo nei giorni 3 e 4 giugno2008 con gli stessi orari di cui sopra.

5) L’eventuale ballottaggio avrà luogo il giorno 11 giugno2008 con il seguente orario:inizio operazioni di voto ore 9.00; chiusura seggio ore18.00. Subito dopo avranno inizio le operazioni discrutinio che proseguiranno fino a loro completa ulti-mazione.

Alcune informazioni sui criteri e le modalità di voto.Il Rettore è eletto a scrutinio segreto, secondo le seguentiprocedure.In presenza di un candidato che abbia già svolto due o piùmandati consecutivi:- nella prima votazione il Rettore è eletto a maggioranza

assoluta degli aventi diritto al voto. In caso di non av-venuta elezione, il candidato che abbia già svolto due opiù mandati consecutivi se non ha conseguito il voto dialmeno un terzo degli aventi diritto al voto, non puòproseguire nell’iter elettorale;

- nel caso di mancata elezione nella prima votazione, laseconda votazione deve avvenire dopo 30 giorni. Du-rante questo intervallo possono essere presentate ulte-riori candidature;

- nella seconda e terza votazione il Rettore è eletto amaggioranza assoluta dei votanti;

- in caso di mancata elezione si procede con il metododel ballottaggio fra i due candidati che nell’ultima vo-tazione hanno riportato il maggior numero di voti. Nelballottaggio risulta eletto il candidato che riporta ilmaggior numero di voti e, a parità di voti, il più anzia-no in ruolo.

Il seggio elettorale unico sarà articolato in più sedi di vota-zione.Il seggio elettorale unico sarà in Via Ostiense, 139. Pressoquesto seggio sono iscritti a votare i seguenti elettori:- personale docente appartenente alla Facoltà di Giuri-

sprudenza, al Consiglio di Corso di studi in Scienzedella Formazione primaria, al Consiglio di Collegio di-dattico in Scienze e tecnologie delle arti, della musicae dello spettacolo;

- personale tecnico-amministrativo e bibliotecario ap-partenente a tutta l’Amministrazione centrale (salvol’area del Personale), alla Facoltà di Giurisprudenza,al Consiglio di Corso di Studi in Scienze della For-mazione primaria, al Consiglio di Collegio didatticoin Scienze e Tecnologie della arti, della musica e del-lo spettacolo, ai Dipartimenti di: Comunicazione espettacolo, di Storia e teoria generale del diritto, Di-ritto dell’economia e analisi economica delle istitu-zioni, Diritto europeo – studi giuridici nella dimen-sione nazionale, europea, internazionale, Sezione giu-ridica della Biblioteca di area giuridico-economico-politica, Sezione spettacolo della Biblioteca di areadelle arti.

In via Silvio D’Amico, 77 ci sarà il Comitato di sede divotazione n. 2, presso il quale sono iscritti a votare i se-guenti elettori:- il Personale Docente appartenente alla Facoltà di Eco-

nomia e alla Facoltà di Scienze Politiche;- il Personale tecnico-amministrativo-bibliotecario ap-

partenente a tutta l’area del Personale, alla Facoltà diEconomia, alla Facoltà di Scienze Politiche; ai Diparti-menti di: Economia, Scienze aziendali ed economico-giuridiche, Istituzioni pubbliche, Economia e società,Studi internazionali; Sezione economica e storico-poli-tico-sociale della Biblioteca di area giuridico-economi-co.politica.

In via Ostiense 234 ci sarà il Comitato di sede di votazio-ne n. 3, presso il quale sono iscritti a votare i seguentielettori:- personale Docente appartenente a: Facoltà di Lettere e

Filosofia, salvo il Consiglio di Collegio didattico inScienze e Tecnologie delle arti, della musica, dellospettacolo;

- personale tecnico-amministrativo-bibiliotecario ap-partenente a: Facoltà di Lettere e Filosofia, salvo ilConsiglio di Collegio didattico in Scienze e Tecnolo-gie delle arti, della musica, dello spettacolo; Diparti-menti di: Filosofia, Italianistica, Letterature compa-rate, Linguistica, Studi storici geografici antropolo-gici, Studi sul mondo antico, Studi americani; Bi-blioteca di area umanistica, salvo Sezione “A. Broc-coli”.

In via Vasca Navale, 79 ci sarà il Comitato di sede di vota-zione n. 4, presso il quale sono iscritti a votare i seguentielettori:- personale Docente appartenente a: Facoltà di Ingegne-

ria e Facoltà di Scienze M.F.N.;

48 Non tutti sanno che

Elezioni del Rettore:tempi e modi

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- personale tecnico-amministrativo-bibiliotecario appar-tenente a: Facoltà di Ingegneria e Facoltà di ScienzeM.F.N.; Dipartimenti di: Elettronica applicata, Infor-matica e automazione, Ingegneria elettronica, Ingegne-ria meccanica e industriale, Scienze dell’ingegneria ci-vile, Strutture, Biologia, Fisica, Matematica, Scienzegeologiche; Biblioteca di area scientifica-tecnologica;Centro C.I.S.DI.C.

Presso piazza della Repubblica, 10 ci sarà il Comitato disede di votazione n. 5, presso il quale sono iscritti a votarei seguenti elettori:- personale Docente appartenente a: Facoltà di Scienze

della Formazione, salvo il Consiglio di Corso di Studiin Scienze della Formazione Primaria;

- personale tecnico-amministrativo-bibiliotecario appar-tenente a: Facoltà di Scienze della Formazione, salvo ilConsiglio di Corso di Studi in Scienze della Formazio-ne Primaria; Dipartimenti di: Studi storico-artistici-ar-cheologici e sulla conservazione, Scienze dell’educa-zione, Progettazione educativa e didattica, Studi deiprocessi formativi, culturali e interculturali nella socie-tà contemporanea, Progettazione e studio dell’architet-tura; Sezione “A.Broccoli” della Biblioteca di areaumanistica, Sezione Storia dell’arte “L.Grassi” dellaBiblioteca di area delle arti.

Presso via Madonna dei Monti, 40 ci sarà il Comitato disede di votazione n. 6, presso il quale sono iscritti a votarei seguenti elettori:- personale Docente appartenente a: Facoltà di Architet-

tura;- personale tecnico-amministrativo-bibiliotecario appar-

tenente a: Facoltà di Architettura; Dipartimenti di: Stu-di urbani; Sezione Architettura “E. Mattiello” della Bi-blioteca di area delle arti; Centro CE.S.I.F.

L’elettorato attivo relativo alla componente studentesca èripartito in base alla rispettiva Facoltà di appartenenza.I collaboratori ed esperti linguistici sono ripartiti tra ilSeggio n. 1, se afferenti al C.L.A. e il seggio n. 3, se affe-renti alla Facoltà di Lettere e Filosofia.Il Personale T.A.B. assegnato alla S.S.I.S è incluso neglielenchi del Personale T.A.B. del seggio n. 1.Il Personale T.A.B. assegnato al C.A.B. è incluso neglielenchi del Personale T.A.B. del seggio n. 4.

Votiamo!

Per maggiori informazioni relative ai decreti e ai programmidi ciascun candidato si prega di consultare la pagina webhttp://www.uniroma3.it/news.php?news=893

Il Coro ROMA TRE, coro ufficiale dell’Ateneo formatoda studenti e personale di Roma Tre, di cui è DirettoreArtistico e Musicale il M° M. Isabella Ambrosini e Pre-sidente la Prof.ssa Marinella Rocca-Longo ha superatonell’ottobre scorso, con le esibizioni dell’ottobre 2007presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della

Musica di Roma, il traguardo del centesimo concerto. Ilcoro può vantare al suo attivo collaborazioni con forma-zioni orchestrali e realtà musicali di grande prestigio,come l’Accademia di Santa Cecilia, il Teatro dell’Ope-ra di Roma, l’Auditorium Parco della Musica e l’Orche-stra Filarmonica di Stato di San Pietroburgo. Al centro di un’intensa rete di rapporti con i cori e le or-chestre delle università italiane e straniere, il Coro RO-MA TRE nel 2006, insieme ai rappresentanti dei coridelle università di Roma Tor Vergata e della Sapienza, hafondato l’A.C.U. - Associazione Cori Universitari - e dal2007, in qualità di socio fondatore della A.C.U., è mem-bro del Coordinamento diritto alla musica, promosso dal-le Commissioni consiliari Cultura e Politiche giovanilidel Comune di Roma.

Stagione concertistica 2008

MAGGIO

Venerdì 16, 18.30Coro Polifonico ROMA TREAlma College Choir (Alma, Michigan, USA)Requiem K 626 di W.A. Mozart, per soli coro e orchestraUniversità degli Studi Roma Tre Facoltà di Lettere e FilosofiaAula MagnaVia Ostiense 236

Sabato 17, 19.30Patriarcale Basilica di San Paolo fuori le muraVia OstienseCoro Polifonico ROMA TREAlma College Choir (Alma, Michigan, USA)Requiem K 626 di W.A. Mozart, per soli,coro,ed orchestra

GIUGNO

Cattedrale di Empoli (FI)Centro Studi Musicali Ferruccio BusoniRassegna corale

Università degli Studi Roma TreStadio degli EucaliptiCerimonia di premiazione del Campionato di calcioConcerto 49

Coro polifonico dell’Universitàdegli Studi Roma Tre

a cura di Isabella Ambrosini

Coro polifonico Roma Tre

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OTTOBRE

Auditorium Parco della MusicaEstate romanaEvento musicale del Coordinamento diritto alla musica

NOVEMBRE

Università degli Studi Roma TreFacoltà di Lettere e FilosofiaAula Magna Via Ostiense 236Coro Polifonico ROMA TRECattedra di canto del Conservatorio di musica di PerugiaFestival Pucciniano

I mitocondri sono le centrali ener-getiche delle nostre cellule che at-traverso un processo assai compli-cato, tramite il flusso di elettronilungo una serie di complessi enzi-matici (catena respiratoria) gene-rano ATP, la principale molecolatrasportatrice di energia della cel-lula.Mutazioni a carico del DNA mito-condriale e/o DNA genomico pos-sono ridurre la capacità di questiorganelli di produrre energia conla conseguente comparsa di malat-tie alla muscolatura cardiaca escheletrica, al sistema nervosocentrale, reni e tessuti endocrini,mettendo a rischio la sopravviven-za dei bambini affetti da questepatologie.Un notevole contributo alla ricer-ca su una rara malattia metaboli-ca dei mitocondri denominataDeficit del complesso 1 della ca-tena respiratoria mitocondrialeviene dalla fondazione GiuseppeTomasello onlus costituta da Sil-

via Vinchesi e Francesco Tomasello, genitori di Giusep-pe, un bambino di 20 mesi al quale nel febbraio scorso èstata diagnosticata questa patologia. I medici non aveva-no dato ai genitori molte speranze, ma cominciando unacura di vitamine da loro fornita, il piccolo sta meglio, an-che se riscontra purtroppo problemi alla vista e non ri-esce a stare in piedi o seduto. La volontà di aiutare aguarire Giuseppe e tutti gli altri bambini affetti dallastessa anomalia ha spinto questi genitori a istituire unafondazione che avesse come scopo quello di trovare unricercatore scientifico e i fondi per avviare una ricercagenetica.Non solo la ricerca è stata avviata, grazie al contributo delProfessor Massimo Zeviani dell’Istituto Besta di Milano,ma poco meno di un mese fa il ricercatore stesso, insiemeal suo staff, in collaborazione con il laboratorio Istitur furHumangenetik di Monaco e al Dottor Holger Prokisch, haindividuato il gene deficitario che è denominato NDUFS1con una doppia mutazione.In seguito sono stati presi contatti con i maggiori espertiinternazionali, e ora si sta cercando di ottenere un progettodi ricerca finalizzato a una terapia, anche sperimentale chepossa essere applicata a tutti i bambini affetti dalla muta-zione di questo gene.Un altro obiettivo importante che si sta raggiungendo èl’acquisto di un nuovo macchinario chiamato Lightscan-ner, uno strumento ad alta efficienza e a basso costo nel-la diagnostica molecolare delle patologie ereditarie,

comprese le malattie mitocon-driali. Esso in Germania ha per-messo di individuare le mutazio-ni genetiche di Giuseppe, ma inItalia non è ancora presente innessuna struttura ospedaliera. In-fatti l’attuale tempistica nel no-stro paese, per l’individuazionedei geni deficitari è di parecchimesi e spesso per molti bambinila diagnosi viene effettuata trop-po tardi, invece attraverso questomacchinario i tempi di analisi sa-ranno azzerati.La sua validità è stata testatadall’Istituto Besta di Milano e ilsuo acquisto sarà finanziato tra-mite i concert i Gospel(www.forjoy.it) che si terranno afine febbraio e ad aprile a Firen-ze e a Incisa Val d’Arno, ai qualipossono partecipare tutti coloroche vogliono contribuire a soste-nere questo progetto. Per tutte lealtre informazioni necessarie asostenere la ricerca si può con-sultare il sito www.giuseppeto-masello.it.

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Un grande contributo italianoalla ricerca

La fondazione Giuseppe Tomasello onlusha dato il via allo studio di una rara malattiamitocondriale

di Elisabetta Bischetti

L’appello in favore della Fondazione GiuseppeTomasello

Teatro Palladium: concorso di scrittura creativa

Fino al 15 giugno 2008 è possibile partecipare al concorso di scrittura creativa, promosso dal Teatro Palladiume dedicato agli studenti di Roma Tre. Per maggiori informazioni: http://concorsi.teatro-palladium.it/scrittura2008/index.php

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Si è tenuto il 26 e 27gennaio scorso, pressoil Teatro Palladium, unweekend di appunta-menti sull’argomentoL’Occidente visto daimedia arabi: viaggio atrecentosessanta gradinell’universo, da noiperlopiù sconosciuto,della televisione araba,attraverso la proiezionedi programmi comeBlock 13, versione ku-waitiana del noto SouthPark, Fobia Baghdad,programma che spiegala vita della classe me-dia in Iraq sotto l’occupazione degli Usa, o ancoraAl Ittijah al mouakis, talk show di Al Jazeera, per ar-rivare ad alcuni programmi a tema religioso di Al Ri-sala tv, o alla proiezione del film Driving to Zigzi-gland, coproduzione tra Usa e Palestina, alla presen-za del produttore Khalaf (siriano). Particolarmente esplicativa della situazione di coabi-tazione di generi diversi nella televisione araba, laselezione di filmati da Lbc tv e Al Manar (entrambelibanesi), e dunque la contrapposizione tra una tele-visione che guarda all’Occidente con occhio benevo-lo, portando in Medio Oriente format da noi più checollaudati, come Star Academy (il nostro Amici),Survivor e La Fattoria, e un’altra, di proprietà diHezbollah, che critica duramente i modelli e la poli-tica occidentali.Momento saliente di tale full immersion, il dibattitocondotto dalla curatrice del progetto, la ricercatricesui media arabi Donatella Della Ratta: una tavola ro-tonda a cui hanno partecipato il siriano Anzour, regi-sta, e il conduttore di Al Jazeera Al Kasim, lo sce-neggiatore iracheno Al Maliky, l’autore televisivosaudita Al Otibi e infine il direttore kuwaitiano di AlRisala tv Al Suwaidan, alla presenza inoltre del de-putato al Parlamento italiano Fouad Allam e dellagiornalista ed europarlamentare Lilli Gruber. Si è trattato di più voci provenienti da paesi tra loroanche molto differenti, ma uniti dall’esistenza di unforte intreccio, inscindibile, tra cultura, politica e re-ligione, tanto che difficile è stato riuscire a mantene-re il discorso su temi puramente televisivi, senza par-lare, ad esempio, della guerra e delle relative respon-

sabilità del mondo occi-dentale (responsabilitàche vengono attribuiteal governo americano,unico argomento sulquale si sono trovati tut-ti d’accordo).Nel riportare il discorsosui propri binari, è statapresentata una televisio-ne che ha ammesso diessere condizionata dal-la presenza di argomen-ti tabù, ma che ugual-mente non smette dicercare espedienti persuperare tali barriere,nella convinzione che lo

sviluppo di alcuni paesi mediorientali possa giungereanche dai media e comunque, quotidianamente e pro-prio perché è là che se ne sente un maggior bisogno,è in quei paesi che vanno in onda programmi vera-mente coraggiosi, e questo avviene a testimonianzadel fatto che se dall’Occidente si può prendere tanto,è anche vero che molto si può dare. Al Jazeera hacorrispondenti in tutto il mondo che parlano la linguadel posto e ne conoscono la storia, la cultura. Non al-trettanto si può dire per ogni singolo paese occiden-tale, dove tra l’altro si assiste ad un’impennata di ge-neri televisivi di puro intrattenimento (non ne è esen-te l’Italia). Solo guardando all’universo della soap opera, ilmondo arabo insegna che non è detto che generi natia scopo di svago e di alleggerimento della program-mazione, non possano arrivare a trattare temi più se-ri, e a costituire un momento di riflessione. Il citta-dino arabo, amante del genere drammatico, chiedeche anche da tali canali gli venga insegnato qualcosae questo è quel che oggi avviene, anche grazie allaproliferazione di canali televisivi privati, lo stessofenomeno delle potenzialità satellitari cui noi assi-stiamo. La differenza è tutta nel fatto che se nelmondo occidentale questo comporta una program-mazione più differenziata, frammentata e specializ-zata, che quindi accontenta lo spettatore attirando lasua attenzione esclusivamente su ciò che il suo gustopersonale sceglie, in area mediorientale significa in-vece la possibilità di una maggiore libertà artistica,laddove l’arte vuole essere un canale d’educazionedel pubblico.

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L’Occidente visto dai media arabiIl pluralismo della comunicazione tra est e ovest

di Michela Monferrini

La locandina dell’incontro

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Shock economy, pubblicato nelsettembre del 2007, è un libroche studia gli effetti e le applica-zioni delle teorie liberiste di Mil-ton Friedman e della scuola diChicago in diversi stati del piane-ta, dagli anni Sessanta fino al2007.La tesi principale sostenuta dal-l’autrice è che «l’applicazione diqueste politiche (che prevedonoprivatizzazioni, tagli alla spesapubblica e liberalizzazioni dei sa-lari) sia stata effettuata sempresenza il consenso popolare, appro-fittando di uno shock causato daun evento contingente, provocatoad hoc per questo scopo oppuregenerato da cause esterne».Klein analizza a livello sociologico, economico e po-litico gli effetti del libero mercato in paesi colpiti datragedie naturali, tali da provocare un shock colletti-vo.Tra questi shock l’autrice annovera le torture e il re-gime di Pinochet in Cile nel 1973, il crollo del murodi Berlino e l’instabilità economica in Polonia e Rus-sia all’inizio degli anni Ottanta, l’inflazione inarre-stabile in Bolivia, l’effetto della guerra delle Fal-kland in Gran Bretagna negli stessi anni, la guerra inIraq e la distruzione di New Orleans per opera dell’u-

ragano Katrina in tempi più re-centi.Il suo libro è «una sfida alla pre-tesa centrale e più cara alla storiaufficiale: che il liberalismo sfre-nato vada a braccetto con la de-mocrazia – la giornalista aggiun-ge – mostrerò che questo fonda-mento è stato invariabilmente par-torito dalle più brutali forme dicoercizione, inflitte sul corpo po-litico collettivo».Nel suo saggio Naomi Klein af-ferma con forza come «la torturaè stata una partner silenziosa nel-la rivoluzione liberalista globa-le» sottolineando «che è unostrumento utile per imporre scel-te politiche indesiderate a chi si

ribella».Ma perché la giornalista parla di shock? Semplice-mente perché lo shock è una paralisi psicologica.L’esempio più chiaro è stato lo shock dell’11 settem-bre: «Bush è stato in grado di ottenere quello che pri-ma dell’11 settembre poteva solo sognare: combatte-re guerre private».L’autrice conclude il suo libro riflettendo sul fattoche, dietro al cosiddetto shock economy, in realtà sicela il desiderio di «irraggiungibile purezza, di im-biancare la tela e tirar su dal nulla la società ideale».

52 Il libero mercato fa bene comeun elettroshockShock Economy di Naomi Klein: l’ascesa del capitalismo dei disastri

di Ornella Mollica

Naomi Klein, nata a Montreal, il 5 maggio 1970, è una giornalista,scrittrice e attivista canadese; per anni corrispondente da Baghdad,ha ricevuto numerosi premi e ha una rubrica su The Guardian e suThe Nation; ha anche pubblicato su testate prestigiose come NewYork Times e Village Voice. Autrice del famoso saggio No logo, cheviene considerato il manifesto del movimento no-global.

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«L’etica della comunica-zione è il senso della re-sponsabilità sociale dellacomunicazione. Così comein una società di tipo mili-tare sono i militari che de-terminano il modo in cui sivive, nella società della co-municazione sono coloroche comunicano a determi-narlo: producono, riprodu-cono, rielaborano, forgianovalori in continuazione, se-lezionando e proponendole informazioni che contri-buiscono a formare la vi-sione complessiva dellasocietà. Non soltanto lagerarchia dei valori ma an-che la gerarchia di proble-mi, che determina a suavolta una gerarchia di va-lori. Quindi credo che tuttociò che contribuisce a ge-nerare comunicazione de-termina il nostro spaziomentale e anche il nostrospazio morale». Così Nan-do dalla Chiesa al margine della giornata su L’eticadella comunicazione promossa dal Dipartimento Co-municazione e spettacolo e dal Collegio didattico inScienze della comunicazione, lo scorso 11 marzo,nell’aula magna della Facoltà di Lettere e filosofia,nell’ambito del progetto Ethicamente. Ethicamente è un progetto del Ministero dell’Univer-sità e della ricerca che ha ormai un anno di vita. È sta-to presentato nel marzo 2007 in un’altra aula magna,alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, un luogoscelto non a caso perché lì, come si legge sul sito delministero, si sono laureati tanti servitori dello stato chehanno pagato con la vita la debolezza dell’etica pub-blica. E proprio alle università è dedicato il progettoche si propone di promuovere la cultura della legalitàfra le nuove generazioni, di mettere in atto una riformapiù profonda di quelle degli ordinamenti didattici o delsistema dei crediti. Una riforma che riguarda il tipo dicultura che all’interno del mondo accademico si tra-smette, che attiene, appunto, alla dimensione etica,che trascende (o dovrebbe trascendere), che pervade

(o dovrebbe pervadere) lesingole discipline perchécome sottolinea ancora dal-la Chiesa «la cultura pro-fessionale non è data soloda una somma di materie.La professione, lo spiritocon cui si entra nella pro-fessione si forma qui, poi ètroppo tardi. Anche se, daquesto punto di vista, oggil’Università continua a es-sere per molti studentiun’occasione mancata per-ché il problema non vieneposto se non da docentiparticolarmente sensibili oappassionati».Scorro, sul sito del Mini-stero l’elenco delle iniziati-ve legate al progetto Ethi-camente, un convegno aRoma su Etica in carriera.Il caso delle carriere uni-versitarie nell’Italia di og-gi, un altro a Palermo sulleMafie in Europa, uno a Ge-nova su etica e formazione,

un forum a Ferrara su Etica e scienza per l’ambiente. A Roma Tre l’11 marzo si parla di etica e comunica-zione. Giacomo Marramao commenta la situazioneinvolutiva che sta vivendo oggi l’Italia, parla di unadinamica democratica ostaggio di logiche corporati-ve, delle tante caste di cui si compone la classe diri-gente, altrettanti sistemi chiusi e autoreferenziali.Parla di una comunicazione (pubblicitaria, televisiva)che insegue al ribasso la domanda anziché contribui-re a crearne una di qualità. Parla di regole. Mario De Caro parla della comunicazione della scien-za nei media. Mostra il video di un recente serviziotrasmesso dal Tg2, suscitando nella platea un misto diilarità e sconcerto. Il servizio recensisce un libro checontesta la teoria scientifica dell’evoluzionismo. Asupporto della tesi viene intervistata una scienziatache dice di credere nella creazione e nella redenzione,poi un monsignore comunica che lui «non si sente» didiscendere da uno scimpanzè. «L’Italia è l’unico pae-se occidentale nel quale la televisione pubblica puòmandare in onda un servizio del genere». 53

«Le parole sono pietre»Nell’ambito del progetto Ethicamente, una giornata di studio sull’eticadella comunicazione

di Federica Martellini

La campagna di Amnesty International in occasionedelle Olimpiadi di Pechino 2008

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Ascoltando mi vengono in mente tante cose diverse.Una pubblicità di qualche tempo fa nella quale compa-riva Valentino Rossi in una stalla: «dalle stelle alle stal-le…» diceva, ironizzando sui suoi illeciti fiscali. Comedire: non mi vergogno per niente se hanno scoperto cheevado le tasse. E questo viene proposto come modello.Mi viene in mente Gherardo Colombo in un’intervi-sta di Enzo Biagi, l’anno scorso, dopo la decisione dilasciare la magistratura per dedicarsi alla diffusionedella cultura della legalità fra i giovani. Parlava, an-che lui, delle regole, della sofferta relazione dei citta-dini con la legalità.Mi tornano in mente, ancora, le parole di dalla Chiesasulla televisione pubblica «che trasforma i casi di cro-naca nera in talk show, che gradualmente ti inietta l’i-dea che un delitto possa diventare un gioco di socie-tà». O ancora sulla mancanza della memoria delle no-

stre classi dirigenti che, attente solo alla realtà contin-gente, sembrano aver perso il senso della storia e deiprocessi storici. Penso alle commemorazioni televisi-ve che si susseguono in questi giorni, in occasione deltrentesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro,spesso piene di retorica e indifferenti, appunto, deiprocessi storici. E mi torna in mente Winston Smith,il protagonista di 1984, che ogni giorno doveva can-cellare e riscrivere le notizie della cronaca di ieri perallinearle alla presente visione dei fatti e della storia,eliminando per sempre nei “buchi della memoria» idocumenti della storiografia di domani.È stata una giornata di studio ricchissima di spunti diriflessione. Una di quelle giornate dalle quali si escecon l’impressione che forse, fra tanti sofisti, albergaancora, a volte, il barlume della limpidezza e del co-raggio di qualche Socrate.

I commenti

Mario Morcellini, Preside della Facoltà di Scien-ze della comunicazione, Università La Sapienza«Sappiamo che la comunicazione ha un ruolo deci-sivo nello smottamento dei valori del passato e nel-la ricostruzione di valori nuovi e nel lavoro di chi sioccupa di comunicazione dovrebbe apparire unaproduzione di valori, una produzione di sentimentidi identità e di partecipazione. Nel momento stessoin cui la comunicazione attacca il potere di disposi-zione dei valori, cioè l’architettura dei valori condi-visa dalla società precedente è chiaro che se non necostruisce una nuova finisce per essere produttricedi anomia. Si ha oggi la terribile sensazione che lacomunicazione oscilli continuamente fra produzio-ne di controvalori e produzione di anomia. Vistadal punto di vista politico la vicenda è un po’ menodrammatica e cioè anche se il corpo della comuni-cazione non è esaltante in termini di qualità, tutta-via la capacità dei soggetti di prendere le misure al-la comunicazione e di riuscire a implementarla conla propria soggettività è forse superiore a quellache gli studiosi vedono. Il pubblico è più compostodi soggetti che di automi, più di persone che di ta-gliandi di audience e quindi tutto sommato nell’in-sieme di elementi di antagonismo rispetto alla crisidella modernità ci sono una capacità di adeguarsirispetto ai disvalori che la dice lunga sul fatto chesenza valori noi non possiamo vivere».

Roberto Pujia, Presidente del Collegio didatticoin Scienze della comunicazione, Università degliStudi di Roma Tre«Mi pare che gli interventi che si sono succedutinell’arco del giornata hanno inequivocabilmentemesso in luce in primo luogo la necessità di tema-

tizzare la comunicazione come un ambito al qualedeve necessariamente essere sotteso un impegnoetico considerata la pervasività e l’impatto nella so-cietà attuale dei processi di comunicazione, e delladimensione globale che essa assume nel mondocontemporaneo. I processi di comunicazione, so-prattutto quelli della comunicazione pubblica qualeche siano i mezzi investono inoltre e interagisconocon le mutevoli architetture dei rapporti tra i gruppisociali, etnici e le strutture di governo determinandoi modi dell’interazione nella struttura complessivadelle società complesse. Una particolare responsa-bilità grava poi su coloro che operano direttamentenei media per i quali talora l’etica coincide da un la-to con una corretta padronanza delle metodologie e,dall’altro, con l’indipendenza dai poteri forti».

Gianpiero Gamaleri, docente di Teoria e tecni-che delle comunicazioni di massa, Università de-gli Studi Roma Tre«Quanto più la comunicazione si intreccia con il po-tere, tanto più deve ispirarsi a criteri etici. Ne derivache dovrebbe essere costante la tendenza allo studioe all’applicazione degli strumenti istituzionali e or-ganizzativi più idonei a verificare che i vari flussi dicomunicazione si ispirino a un criterio socialmenteutile. Individuerei tre criteri di indirizzo e di verifica.Il primo riguarda gli organismi del sevizio pubblico,e cioè la Rai, che occorre – a mio avviso – semprepiù legare a un indirizzo di tipo parlamentare e nongovernativo. I privati invece hanno bisogno di rifarsia codici deontologici propri a salvaguardia di un usocorretto della comunicazione. Ultima e decisivaistanza è infine quella formativa in cui l’Università ein particolare i corsi di comunicazione devono farinteriorizzare alle giovani generazioni dei criteri eti-ci per l’uso della comunicazione».

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Mentre stiamo chiudendo questo numero di Roma Tre Newsarrivano notizie incalzanti e contrastanti sulla sorte di IngridBetancourt, la ex candidata alla presidenza della Colombia,da oltre sei anni prigioniera delle FARC (Fuerzas armadasrevolucionarias de Colombia).In questo numero abbiamo parlato di globalizzazione, di di-ritti umani, di etica, di ambiente, di comunicazione. Credia-mo che Ingrid Betancourt, una donna rapita da guerriglieriche combattono il governo cui lei stessa si opponeva, che siè battuta contro la corruzione, la violenza e l’ipocrisia delpotere, che crede profondamente che «vivere è impegnarsi»sia in qualche modo un simbolo.Sperando cha la missione umanitaria promossa dalla Franciain queste ore riesca a restituirlela libertà, pubblichiamo qui al-cuni brani di una sua lettera in-dirizzata alla madre e ai figli equella che al momento è l’ulti-ma immagine di Ingrid Betan-court. Entrambe risalgono al no-vembre scorso.

«È un momento molto difficileper me. Chiedono le prove chesono viva e ti apro l’animo inquesto scritto. Fisicamente stomale. Non mangio, non ho fa-me, mi cadono molti capelli.Non ho voglia di niente. Credoche sia la cosa migliore che pos-sa capitare, non aver voglia diniente, perché qui, in questagiungla, l’unica risposta a qua-lunque richiesta è “no”. Dun-que, è meglio non avere voglia di nulla ed essere almeno li-bera dai desideri. Sono ormai tre anni che chiedo un diziona-rio enciclopedico per poter leggere qualcosa, per impararequalcosa, per mantenere viva la curiosità intellettuale. Conti-nuo a sperare che, almeno per compassione, me ne procuri-no uno, ma è meglio non pensarci». […]«Voglio chiederti, mamma cara, di dire ai ragazzi di mandar-mi tre messaggi alla settimana. Niente di speciale, se questoè anche il loro desiderio e se avranno voglia di farlo. Non hobisogno d’altro se non di essere in contatto con loro. È la so-la informazione vitale, essenziale, indispensabile, il restonon mi interessa più».[…]«Ho le mani sudate e la mente annebbiata, finisco per fare lecose molto più lentamente del normale. Le marce sono perme un calvario perché il mio equipaggiamento è molto pe-sante e non riesco a sostenerlo. Ma tutto è stressante, perdole cose o me le sottraggono, come i jeans che Mélanie (è lafiglia, ndr) mi aveva regalato a Natale e che avevo addossoquando mi hanno preso. L’unica cosa che sono riuscita aconservare è la giacca e questa è stata davvero una benedi-zione, poiché le notti sono gelide e non ho altro per coprir-mi». […]«Prima, approfittavo di ogni occasione per fare un bagno nelfiume. Dato che sono la sola donna del gruppo, lo devo fare

quasi completamente vestita: pantaloncini, camicia e stivali.Prima mi piaceva nuotare nel fiume, ma adesso non ne hopiù neppure la forza. Sono debole, sembro un gatto davantiall’acqua. Io che amavo tanto l’acqua, non mi riconoscopiù». […]«Nel corso degli anni non ho potuto pensare ai ragazzi e ildolore per la morte di papà ha assorbito tutta la mia capacitàdi resistenza. Piangevo pensando a loro, mi sentivo soffoca-re, incapace di respirare. […] Sono quasi impazzita a causadella morte di mio padre. Non ho mai saputo come sia acca-duto, chi c’era, se mi ha lasciato un messaggio, una lettera,una benedizione». […]«Alla mia Melelinga, mio sole di primavera, mia principessa

della costellazione del cigno, a lei che amo tanto, desiderodire che sono la madre più orgogliosa di questa terra. E sedovessi morire oggi stesso, me ne andrei soddisfatta della vi-ta, ringraziando Dio per i miei figli. Mélanie, ti ho sempredetto che sei la migliore, molto migliore di me, una specie diversione perfezionata di ciò che io avrei voluto essere. È perquesto, con l’esperienza che ho accumulato nella vita e nellaprospettiva che mi offre il mondo visto a distanza, che tichiedo, amore mio, di prepararti per raggiungere le mete piùalte. Al mio Lorenzo, al mio Loli Pop, il mio angelo della lu-ce, il mio re dagli occhi azzurri, il mio musicista che canta emi incanta, al signore del mio cuore, voglio dire che dalgiorno in cui è nato e fino ad oggi è stato la fonte delle miegioie». […]«Mamita, ci sono tante persone che voglio ringraziare per ilfatto di ricordarsi di noi, per non averci abbandonato. Per unlungo periodo, siamo stati come i lebbrosi che rovinano lafesta. Noi, i sequestrati, non siamo un tema “politicamentecorretto”, suona meglio dire che bisogna affrontare con fer-mezza la guerriglia, anche se dovesse costare il sacrificio divite umane. Di fronte a ciò, il silenzio. Solo il tempo puòaprire le coscienze ed elevare gli spiriti. […] Bene, Mamita,che Dio ci aiuti, ci guidi, ci dia la pazienza e ci protegga persempre e addio».

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