Roma protesta · Ragionare soltanto sulla base degli algoritmi non ri-specchia la realtà complessa...

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Mensile della FEDERPROPRIETÀ-ARPE Novembre 2018 • n°11 Poste Italiane Spa Spedizione abbonamento postale 70% DCB Roma Roma protesta

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Mensile dellaFEDERPROPRIETÀ-ARPENovembre 2018 • n°11

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Roma protesta

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SOMMARIO

4 L’Italia tra il casuale e l’imprevedibile

6 Cedolare seccauna vittoria del Coordinamento

9 I rischi della sovranitànella finanza

11 Una misura a sostegnodel commercio e dell'occupazioneJean-Claude Mochet

12 «Costruire il bene socialeinfrastrutture,sostenibilità, sicurezza»

14 Rigenerazione urbanae consumo del suolo

16 Nuova indagine sui crac bancariSergio Menicucci

18 Consolidare o ricostruire?Massimo Cestelli GuidiPaolo Clemente

21 FEDERPROPRIETÀ Sicilia:proposta di legge sulle aste immobiliariLivio Mandarà

22 Il pianeta scuolaè un colabrodoSergio Menicucci

24 Rapporto sui mutui ipotecari in ItaliaGianni Guerrieri

26 I problemi del sistemapresidenzialeStefania Craxi

31 Il PuntoLe lacrime del coccodrillo

32 Romani, forti imposteper servizi inesistenti

34 FEDERPROPRIETÀ Flash

35 Giurisprudenza

36 Officina meccanica nell’edificioed emissioni sonore intollerabiliMauro Mascarucci

38 B&B o affittacamereRoma chiama, Milano risponde

40 Il trattamento retributivoe contributivo del portiereAlberto Celeste

44 IDEE IN MOVIMENTOGreco e latinonon sono “lingue morte”Gennaro Malgieri

46 CONTROCORRENTEGli algoritmi sono idioti

47 COSTUMEI bambini italianiMaria Giulia Stagni

48 La «Macchia» come StoriaLuigi Tallarico

50 TABELLE ISTAT

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Novembre 2018

Direttore editoriale: Massimo Anderson | Direttore responsabile: Giuseppe Magno Amministrazione: Via San Nicola da Tolenti no, 21 - 00187 Roma • Tel.: 06485611 (r.a.) • Fax: 064746062 - [email protected] • Editrice: ARPE - Via San Nicola da Tolentino, 21 - 00187 - Roma

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ditorialeeÈ servita l’ennesima mediazione del premier Conte,

anche se le tensioni non si sono spente. Ciò dimostra che l’attuale maggioranza non è una coalizione. Anche perché come ha analizzato Giuseppe De Rita: “Nel voto del 4 marzo di sono manifestate due convergenti, ma diver-se questioni. La prima è quella del “rancore” (verso la casta e l’elite, ma anche verso chi guadagna di più) la seconda è l’esplosione di un bisogno collettivo e radicale di sicurezza (verso gli immigrati e in difesa delle frontiere, ma anche verso l’Europa e il mercato) queste richieste si sono somma-te e confuse.” Analisi questa ripresa anche in un edito-riale sul “corsera” da Mieli ove si afferma: “Ci sono due movimenti antisistema che hanno conquistato il potere tra i due, infatti può nascere una divisione di quelle destinate a sconvolgere il sistema e ad avviare all’evoluzione dell’intero quadro politico. Ciò non si è verificato in quanto non era an-cora maturo il momento delle divisioni questo probabilmen-

te si determinerà dopo i risultati delle elezioni Europee”. Ma tutto ciò può essere casuale e imprevedibile.

Un percorso accidentato quello del go-verno giallo-verde che intende procedere su strade innovative, utilizzando il deficit del 2,4 per cento.

C’è, però, preoccupazione nel Paese spa-ventato da uno spread che si aggira intorno ai 300 punti base (conseguentemente il va-lore del mercato dei nostri risparmi si è già ridotto con l’impennata record dello spread: oggi siamo tutti più poveri), dai saliscendi della Borsa che rischia di affondare con la conseguenza che le Banche vengano colpite

nel loro patrimonio (ogni 100 punti di differenziale il patrimonio si erode dello 0,4%), dagli investitori diso-rientati, dalle incertezze politiche derivanti da infortu-ni e tensioni all’interno della coalizione giallo-verde e dai nuovi scenari che si prospettano con le elezioni di maggio 2019 in Europa.

Cosa c’è che non va nella manovra? I punti critici riguardano soprattutto la copertura delle spese. Alla Camera e al Senato si prospetta un duro scontro con le opposizioni sull’approvazione del bilancio che dovrà avvenire entro dicembre.

Per il capo economista di Moody’s Mark Zandi “la fi-nanziaria è un errore” e l’agenzia ha declassato l’Italia per troppo debito e crescita debole.

A supporto della tenuta italiana vengono portati molti dati. Il risparmio privato ammontava nel 2017,

Per i vertici di Bruxelles nella manovra di bilan-cio 2019 dell’Italia “c’è una deviazione senza pre-cedenti nella storia del Patto di stabilità”. In so-stanza non conciliabile con gli obblighi assunti

in precedenza dai governi italiani. Ma per il governo italiano si tratta di scelte difficili ma necessarie davanti alla situazione di svantaggio di milioni di cittadini.

La bufera che era nell’aria dall’estate si è materia-lizzata con una lettera consegnata dal Commissario Moscovici al collega Giovanni Tria, sollecitando entro 5 giorni chiarimenti. Nella fretta di Bruxelles di boccia-re i conti italiani c’è qualcosa che stona ed elementi di pregiudizio. Il premier Conte era a colloquio con gli al-tri 27 Capi di Stato e di governo mentre il commissario francese a Roma saliva anche al Quinale dal Capo dello Stato Mattarella.

Debito troppo alto, in verità, anche per Belgio, Spa-gna e Portogallo. Sforare è un’abitudine della Francia, anche se le condizioni sono diverse e il presidente Ma-cron accanto al 2,8% di deficit pone un taglio di tasse di circa 24 miliardi. Le ripercussioni sono state immediate e lo spread è “schizzato” prima a 327 e poi a 340 punti base per chiudere la settimana a 315 e riaprirla a 285-300.

Sul piano politico interno le fibrillazioni già forti tra Lega e il Movimento 5 stelle si sono acuite per la vicenda del decreto fiscale e la “manina” che avrebbe inserito una disposizione più favorevole agli evasori, non gra-dita al mondo grillino ma molti altri impegni vengono bloccati, per il veto dei 5 stelle, dicono no alla TAV e alla TAP etc, ma impongono 10 miliardi per il “reddito di cit-tadinanza” che dovrebbe essere giustamente investito per la ripresa economica e per l’occupazione.

L’ITALIA TRA IL CASUALE E L’IMPREVEDIBILE di Massimo AndersonPresidente Nazionale di FEDERPROPRIETÀ

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secondo i dati di Bankitalia, a 4.290 miliardi di euro. Il grosso di questo tesoro (circa 1.400 miliardi) risulta par-cheggiato in conti correnti e depositi. Il resto è investito in azioni (990 miliardi), in obbligazioni ( 455), Fondi co-muni ( 515) e riserve assicurative ( 995 miliardi). La forza dell’Italia è il risparmio privato tra i migliori al mondo dopo Usa, Giappone, Belgio e Olanda.

L’altro filone sono le proprietà immobiliari che han-no un valore oltre i 6 miliardi a fronte di un debito con gli investitori esteri di 780 miliardi, imprese come Eni, Enel, Poste, Ferrovie, Fincantieri, Leonardo possono aiutare ad aumentare il lavoro e il Pil e le eccellenze dell’agroalimentare, della moda e del turismo fanno dell’Italia un Paese con solide basi.

Per molti ambienti occorre fare attenzione alle con-clusioni affrettate e alle Cassandre dei mercati. Quando si ragiona sull’economia italiana spesso si dimenticano alcuni dati essenziali: il primo è che il patrimonio im-mobiliare vale quasi 3 volte il prodotto interno lordo. La casa è un tesoro. Non lo diciamo solo noi di FEDERPRO-PRIETÀ (e ne siamo orgogliosi), ma lo conferma l’Agen-zia delle Entrate e il dipartimento delle finanze del Mi-nistero dell’economia. Il pericolo è che si svaluta anche a causa di un eccesso di tassazioni nazionali, regionali e comunali.

Dal dossier di via XX settembre “Gli immobili in Italia” si ricava che il patrimonio vale 6.227 miliardi di euro, pari al 3,8% del Pil. Le famiglie italiane che vivono in abitazioni di proprietà sono quasi otto su dieci, pari al 77,4 per cento del totale che raggiungono 62.877 mila immobili (34 milioni e 424 mila case residenziali, 23.348 mila pertinenze e 5 milioni di immobili non residenzia-li), dove vivono quasi 26 milioni di residenti, pensio-nati, dipendenti, professionisti mentre i locatori sono quasi 5 milioni.

Il prelievo fiscale sul patrimonio immobiliare è in percentuale il più alto in Europa.

Il secondo elemento è la ricchezza globale delle fa-miglie italiane: i privati detengono attività finanziarie nette per 4.407 miliardi, più del doppio del Pil nazio-nale.

Sulla base dei dati della Banca d’Italia, si ricava che valore delle case, risparmi e investimenti rappresenta-no una composizione di portafogli che oscilla negli anni leggermente ma che ha come punto fermo ( dati riferiti al 2016) depositi bancari per un importo di 1.168 miliar-di a cui aggiungere le azioni e le partecipazioni per un valore di 1.063 miliardi, la voce assicurazioni che com-prende anche i fondi pensioni e il Tfr per 996,2 miliardi,

le obbligazioni per 305 miliardi, le quote dei fondi co-muni per 537 miliardi e altre attività per 338 miliardi.

Tutto bene allora? L’Italia è ricca? No. Basti pensare ai 5 milioni di italiani che vivono in povertà, al numero di disoccupati (3 milioni) e aumenta il dato che riguar-da le nuove generazioni. Se si somma il debito pubblico (2.341,7 miliardi a luglio 2018, pari al 131,2%) con quello privato l’Italia fa un passo indietro, piazzandosi al terzo posto. Il problema è che il prodotto interno lordo è stato nel 2017 soltanto di 1.725 miliardi, con una crescita del Pil di appena 1,1% che dovrebbe salire all’1,6% nel 2019, grazie soprattutto all’aumento del 5,7% registrato dalle esportazioni. A tutto questo si aggiungono gli sprechi e l’evasione fiscale che ha raggiunto i 130 miliardi.

Il governo: “Non abbiamo intenzione di cambiare li-nea” ma Giorgetti media: “Verifiche mensili sui conti”, l’opposizione Gasparri: “Rischi per famiglie ed aziende” Renzi: “5 stelle e Lega siamo allo scontro totale con l’Euro-pa” . La Meloni sul governo: “Così pagano i deboli”

Risponde a tutti Standard & Poor’s (vedi pag. 8) che taglia le previsioni sull’Italia: “Le prospettive sono ne-gative”. Interviene Draghi che sottolinea il fatto che “lo spread danneggia l’economia italiana”. Di Maio: “Mi meraviglio che un italiano si metta ad avvelenare il clima”. L’“infantile” attacco contro il Presidente della Bce non ha trovato condivisioni da parte di nessuna forza politi-ca, anzi dalla Lega una incisiva e veritiera uscita di Gior-getti che riconosce i meriti di Draghi : “In questi anni ha salvato l’Europa e l’Italia”. Segue Tria che difende Draghi su “spread e banche”. E giunge un dovuto riconoscimento da parte di Salvini: “Draghi ha fatto tanto per l’Italia”.

I problemi allora sono e restano la crescita nel trien-nio 2018-2020 e la riduzione delle disuguaglianze so-ciali. Come riuscirci?

È possibile? L’impostazione della manovra ha susci-tato perplessità da parte delle istituzioni indipendenti difese dal Presidente della Repubblica.

Ragionare soltanto sulla base degli algoritmi non ri-specchia la realtà complessa dei Paesi membri.

Le partite economiche come si vede sono anche politiche e condizionate dai partiti che hanno le mag-gioranze parlamentari. Le Istituzioni pubbliche vanno, quindi, rafforzate e rimesse in marcia tutte le forze pro-duttive.

FEDERPROPRIETÀ a tutela dei proprietari di casa rinnova una richiesta al governo: meno tasse più defi-scalizzazione.

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Il provvedimento, a lungo so-stenuto da FEDERPROPRIETÀ, per l’introduzione della cedo-lare secca anche per le locazio-

ni commerciali è stato inserito nel disegno di legge di bilancio 2019 varato dal Consiglio dei Ministri.

Si tratta, ha osservato il presi-dente di FEDERPROPRIETÀ Massi-mo Anderson, di una misura molto attesa e positiva per il settore im-mobiliare in crisi. La lunga batta-glia portata avanti da FEDERPRO-PRIETÀ in accordo con il Coordi-namento unitario dei proprietari immobiliari (FEDERPROPRIETÀ, CONFAPPI, UPPI, Movimento per la Difesa della Casa), si è avviato a conclusione al fine di stabilizzare, con un provvedimento legislativo, il settore degli affitti a canone cal-mierato.

A metà ottobre 2018 FEDER-PROPRIETÀ e il Coordinamento hanno organizzato un convegno-dibattito sull’estensione della ce-dolare secca agli immobili ad uso non abitativo al quale hanno par-tecipato gli esponenti del settore e i parlamentari di tutti i partiti.

Nell’introduzione dei lavori il Presidente Nazionale di FEDER-PROPRIETÀ Massimo Anderson ha ricordato che già la VI Commissio-ne della Camera aveva approvato durante la XVII Legislatura una ri-soluzione (promotore l’on. Piero Laffranco di FEDERPROPRIETÀ) che impegnava il governo a «va-lutare l’opportunità di rivedere la disciplina tributaria applicabile al mercato delle locazioni non resi-denziali, per prevedere strumenti a favore dei piccoli proprietari di

immobili di modeste dimensioni, destinati a locazioni non residen-ziali, verificando in prospettiva di estendere le norme attualmente in vigore sulla cedolare secca anche alle locazioni ad uso diverso dall’a-bitazione». Su questo argomento FEDERPROPRIETÀ ed il Coordina-mento avevano indetto una serie di convegni a dimostrazione che la nostra Associazione è riuscita a realizzare un obiettivo ambito dal mondo dei proprietari di case e de-gli addetti al commercio.

Anderson, infine, ha ribadito che FEDERPROPRIETÀ non si iscri-ve al partito di chi sostiene che tut-ti i provvedimenti del governo sono una catastrofe; nel Paese reale rie-mergono molte e forti perplessità politiche ed economiche, in parti-colare sul “reddito di cittadinanza”

Cedolare secca una vittoria del CoordinamentoLa proposta avanzata da FEDERPROPRIETÀ, UPPI, CONFAPPI e Movimento per la difesa della Casa è stata inserita nel DDL di Bilancio 2019

I NOSTRI CONVEGNI

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perché il problema è dare un lavo-ro e non assistenza e occorre tener conto anche dai riflessi negativi che si registrano, nella pubblica opinione, a danno del risparmio e dello sviluppo economico.

I Presidenti nazionali dell’UPPI Gabriele Bruyère e della CONFAP-PI Silvio Rezzonico hanno rilevato che la proposta si basa sulla triste costatazione della chiusura di oltre 600 mila negozi a causa della crisi delle attività che ha favorito l’e-spandersi di un selvaggio commer-cio ambulante.

Anche Giovanni Bardanzel-lu, Vicepresidente vicario ARPE, ha ricordato che già due anni fa il Coordinamento aveva proposto di estendere le norme attualmente in vigore sulla cedolare secca anche alle locazioni ad uso diverso dall’a-bitazione, per contribuire al rilan-cio dell’attività economica che il Paese ancora attende dopo la grave crisi economico-finanziaria che lo attanaglia dal 2008.

La proposta, portata all’esame della VI Commissione Permanente Finanze della Camera dei Deputati nel corso della XVII Legislatura, era stata approvata con risoluzione unanime, ma la caduta di quel Go-verno impedì purtroppo di tradurre quella risoluzione in un provvedi-mento di legge.

Il Coordinamento, allora, anche sulla spinta della ormai estesa at-tenzione al problema, ha presentato nel giugno di quest’anno un disegno di legge a firma del sen. Gasparri, nel quale si fa riferimento a chiare note alla indubbia circostanza che l’introduzione a suo tempo della ce-dolare secca per i contratti di loca-zione degli immobili abitativi aves-se fatto rivivere un settore ormai fortemente depresso, con migliaia di appartamenti sottratti al merca-to, perché i proprietari preferivano tenerli chiusi piuttosto che vedersi la rendita ricavata dall’affitto de-pauperata di oltre il 50% a causa

della enorme imposizione fiscale.

Ed aveva anche riaperto tut-to l’indotto che da sempre gravita nell’orbita di quel settore.

Oggi ci troviamo di fronte ad una identica situazione di emer-genza per le attività commerciali, artigianali, industriali, professio-nali, ecc., che sono state pressoché distrutte dalla crisi economico-finanziaria, così da creare un ciclo depressivo che ha alla sua volta ge-nerato un impoverimento visibile in tutto il Paese, in termini di ces-sazione di attività delle imprese, di offerta merceologica e di servizi ai cittadini.

Occorre riavviare quelle atti-vità senza più perdere tempo ed è, quindi, arrivato il momento di estendere la cedolare secca anche alle locazioni non abitative.

E ciò potrebbe, ha concluso l’avv. Bardanzellu, attuarsi con un provvedimento legislativo che ab-bia la forma del decreto legislativo oppure del decreto legge, che ne garantisca l’immediata esecutivi-tà, che offra alle parti, fra le qua-li devono essere necessariamente compresi anche enti e persone giu-ridiche, la possibilità di stipulare contratti nei quali, a fronte della introduzione dell’opzione di cedo-lare secca, diversamente modulata

quanto all’aliquota, concordino il canone o altre misure a favore del conduttore.

Qualche miglioramento si nota nella svolta della giurisprudenza che sta chiamando la Pubblica am-ministrazione a pagare una giusta indennità ai proprietari le cui unità abitative risultino da tempo occu-pate senza titolo e in assenza di in-terventi delle autorità proposte ad effettuare lo sgombero.

Sono, infatti, in aumento le de-cisioni esecutive della Magistratura per sbloccare, soprattutto nei casi di perdurante morosità, la liberazio-ne degli immobili. Sull’argomento FEDERPROPRIETÀ ha elaborato un provvedimento di legge al Senato (Disciplina della morosità nelle cor-responsione del canone di locazione per gli scopi abitativi (403/XVIII).

Dal dibattito è emerso l’auspicio di avere procedure ordinarie, tra-sparenti, snelle tenuto conto che l’avvio da parte dei Comuni del-la ricerca di soluzioni alternative (come sollecitato dal Ministro de-gli Interni) non debba ostacolare il diritto dei proprietari di tornare in possesso delle abitazioni.

Il settore immobiliare, ha so-stenuto il dott. Jean-Claude Mo-chet Presidente della Commissione Fiscale Nazionale UPPI, riveste un

Da sinistra: on. M. Anderson, avv. G. Bruyére, sen. M. Gasparri

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ruolo rilevante nell’economia ita-liana e ha importanti interazioni con gli altri settori dell’economia nonostante nel giro di 10 anni, il sistema “costruzioni” si sia lette-ralmente sgretolato, in quanto il suo peso sul Pil nazionale si è pra-ticamente dimezzato, passando dal 29% al 17% attuale, e arrivando a rappresentare un serio pericolo per il sistema bancario. Tra le cause di questa contrazione, oltre alla crisi economica che ha investito il no-stro paese, si ha certamente il ca-rico tributario sugli immobili, che ammonta a 50 miliardi di euro l’an-no, il quale costituisce un macigno fiscale che frena pesantemente il settore immobiliare e il suo indotto, specie per effetto della tassazione patrimoniale, passata da 9 miliardi di euro del 2011 (con l’ICI) ai 21 mi-liardi del 2017 (con IMU e TASI).

Per tali motivi, il Coordinamen-to della proprietà immobiliare, for-mato da FEDERPROPRIETÀ, UPPI e CONFAPPI, richiede l’introduzione della cedolare secca sulle locazioni ad uso diverso da quello abitativo, ossia, su tutte le locazioni che gra-vitano intorno alle attività com-merciali, alberghiere, artigianali, già fortemente in crisi a causa della recessione economica e ulterior-mente penalizzate da una legisla-zione non più adeguata ai tempi e da un’eccessiva tassazione che ha portato alla chiusura di molti locali anche nei centri storici.

La cedolare secca, oltre che un deciso passo avanti nel contrasto alla desertificazione commerciale delle nostre città, permetterebbe di colpire l’inarrestabile aumento del numero dei locali commerciali ab-bandonati, riducendo anche la mo-rosità in un contesto di recessione economica.

In conclusione occorre ribadire che aumentare le tasse sulla casa, introducendo patrimoniali come IMU e TASI, genera enorme perdita di ricchezza. Il Paese ha bisogno di politiche espansive della domanda, di una tassazione snella e traspa-

rente, di facile e meccanica appli-cazione, equa e sostenibile, che non solo generi beneficio alle casse dello Stato, ma sia anche trampolino di lancio per la ripresa di importanti settori dell’economia, come il set-tore immobiliare, oltre che disin-centivo all’evasione.

Dai parlamentari intervenuti (Maurizio Gasparri (FI), Mauro Ma-ria Marino (Pd), Bianca Laura Gra-nato (M5S), Stefano Fassina (LeU), Alessandro Pagano (Lega) e Albert Lanière (Autonomie SVP-PATT, UV) è stato assicurato l’impegno a so-stenere la proposta della cedolare secca alle locazioni ad uso diverso dall’abitazione affinché il disegno di legge diventi operativo nel minor tempo possibile.

Il provvedimento essendo stato inserito nel disegno di legge di bi-lancio 2019 passerà all’esame del-le Commissioni e poi dell’Aula di Montecitorio e di Palazzo Madama al fine di essere approvato entro di-cembre.

A conclusione dell’incontro Massimo Anderson ha rilevato che finora manca un approfondito con-fronto tra istituzioni e categorie (proprietari, inquilini, costruttori) sui temi delle politiche abitative. Si tratta quindi di colmare un vuo-to con un’operazione partecipativa al fine di prendere corrette scelte di fondo, quindi ha rivendicato che un “tavolo” del genere consenti-rebbe un più meditato esplicarsi della sussidiarietà orizzontale pre-vista dall’art.118 della Costituzione. Sull’argomento FEDERPROPRIETÀ ha elaborato un disegno di legge (Istituzione del Tavolo permanente di confronto sulle politiche abitati-ve (429/XVIII)).

Occorrono certezze al risparmio delle famiglie dopo la perdita in po-chi mesi del 15% (10 mila euro di un anno fa valgono 8.500), difendere il valore delle case che ha perso circa il 20% mentre il settore dell’edilizia continua a registrare aumenti di di-soccupati e cassintegrati.

Così parlò: Prodi

Tra le tante dichiarazioni, valutazioni, osservazioni sui problemi econo-mici dell’Italia di questo infuocato autunno-inverno spiccano le rifles-sioni dell�ex Presidente del Consiglio, già leader dell’Ulivo Romano Prodi.

Ecco una sintesi di quanto scritto in un editoriale per il Messaggero.

«Non ho alcuna simpatia per le agenzie di rating. In primo luogo perché tutte e tre le agenzie che contano sono figlie di una cultura esclusivamente america-na, sensibile quindi in modo istintivo e prevalente ai valori e agli interessi del dollaro e di Wall Street. Valori e interessi importanti e consolidati ma che non coincidono con i nostri. Un’altra ragione mi ha reso prudente nei loro confron-ti, pur prendendo sempre sul serio le loro opinioni e le loro argomentazioni. Quello che le agenzie di rating sanno fare meno bene è il giudizio politico che provoca le conseguenze più pesanti sul paese sottoposto a giudizio. Per questi motivi non sono sorpreso e ho ritenuto sensato il giudizio pronunciato da S&P sull’Italia».

Fin qui il prof. Prodi che prosegue sull�analisi della debolezza dell�Italia perché i conti non tornano e sulla fragilità della Commissione europea, vicina alla scadenza.

C�è da aggiungere che sono trascorsi 10 anni dal crack del colosso finan-ziario Usa Lehman Brothers che ha provocato cambiamenti che prose-guono a ritmo travolgente. Il mondo economico e politico ancora trema da quegli avvenimenti che hanno innescato reazioni a catena che sono sfociati nella più grave crisi finanziaria dagli anni Trenta del secolo scor-so. L’effetto terremoto non fu previsto dalle agenzie di rating.

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Mai come quest’anno è difficile o meglio diffi-coltoso parlare di legge di bilancio per il 2019

ossia quella che una volta si chia-mava la Finanziaria e che alla fine spesso ha rappresentato l’occasio-ne per destinare fondi a destra e a manca con una logica che di bilan-cio e investimenti non aveva niente, ma era piuttosto il modo di distri-buire risorse a pioggia a fini clien-telari. Nel momento in cui queste note sono scritte il testo destinato a essere presentato in Parlamento è ancora simile a una colata lavica o forse meglio è il risultato di feno-meni di tipo stromboliano ossia di varia natura, incostanti nel tempo e che si manifestano in un ambito territoriale vasto quanto appunto l’isola di Stromboli e soprattutto che non si sono ancora raffredda-ti. Insomma di certo ci sono solo le dichiarazioni soprattutto di un vi-cepremier impegnato a sostenere il cavallo elettorale del reddito di cittadinanza, che si cerca per così dire di ammaestrare con l’obiettivo di ridurne l’impatto sul bilancio an-nuale e sui parametri di deficit pre-visti dall’Ue.

Situazione pressoché analoga, ma forse meno complessa, si pre-senta anche nell’altro cavallo elet-torale dello schieramento in questo momento minoritario nel Governo. Si tratta della riforma della leg-ge Fornero che in realtà potrebbe rappresentare, pur con i suoi co-sti, un’occasione importante per far entrare nel mondo del lavoro risorse nuove, soprattutto giovani che saranno probabilmente meno rispetto a quelli che ne usciranno. Ogni giorno qualche limatina, qual-che dichiarazione del tipo indie-tro non si torna, l’Unione Europea e magari anche le agenzie di rating che ci classificano come un Paese a rischio crescente che dicono che così non va, ma alla fine il tira e molla è sempre presente e lo spread sale divorando risorse.

Certamente un atteggiamento più duro nei confronti dell’Unione

Europea su determinate questioni, ad esempio quella dei migranti, non è male, ma è altrettanto vero che facendo parte di un sistema costi-tuito da più entità nazionali nelle quali la finanza ossia le banche sono presenti in forze, maggiore cautela era doverosa soprattutto nei con-fronti dei cittadini elettori che poi alla fine restano con i debiti da pa-gare per anni.

In realtà, ciascuno Stato, nessu-no escluso, oggi come in passato è soggetto alla finanza e ai suoi inte-ressi sempre più sovranazionali e se si va a ripercorrere le vicende sto-riche dalla seconda metà dell’Ot-

tocento in poi è abbastanza facile trovare una conferma di ciò. Con-siderazioni finanziarie a parte le idee, perché in questi giorni si pos-sono definire come tali, sulla leg-ge di stabilità 2019 lasciano a dire poco perplessi, così come si rimane leggendo le dichiarazioni di alcuni esponenti del Governo.

Certamente si può aumenta-re la partecipazione dello Stato nel welfare, anzi nell’assistenzialismo che sarebbe più corretto, ma è al-trettanto vero che farne il modello operativo prevalente per la finanza pubblica equivale a ridurre il Pa-ese alla miseria nel giro forse non

I rischi dellasovranitàdella finanza

FEDERPROPRIETÀ NAPOLI - BANCA MEDIOLANUMC O N IL PAT R O C INIO DI :

Ordine degli Ingegneridella Provincia di Napoli

Ordine degli Architettidi Napoli e Provincia

Associazione costruttoriedili di Napoli

CONVEGNO 8 NOVEMBRE ORE 18:00Salone Circolo Nautico Rari Nantes, Scogliera Santa Lucia, 1 - Napoli

Acquisto e ristrutturazione immobiliare. Opportunità fiscale e Valorizzazione patrimonio

Saluti Dott. Ugo FRASCA - Delegato Rari Nantes Prof. Ing. Edoardo COSENZA - Ordine Ingegneri Prof. Arch. Leonardo DI MAURO – Ordine degli Architetti

InterventiProf. Ing. Aldo AVETA - ordinario Restauro architettonico, Univ. Federico IIIng. Paolo CLEMENTE – Dir. ENEA e Coord. Task Force emergenza sismica Dott. Antonio GIUSTINO – Vice Presidente Acen Ass. Costruttori Dott.sa Luisa MARTONE – ODCEC Commissione Real EstateArch. Antonio CERBONE - Delegato Ordine degli ArchitettiIng. Prof. Marco DI LUDOVICO – Delegato Ordine degli Ingegneri Dott. Salvatore PIERRO - Banca Mediolanum

Conclusioni Avv. Luciano SCHIFONE – Presidente di FEDERPROPRIETÀ Napoli

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di qualche mese ma di pochissimo di più. Il reddito di cittadinanza rischia di essere l’elemento maggiormente critico anche perché pensare che in tal modo si possano favorire i consumi di beni da parte dei beneficiati equi-vale a fare pura demagogia e magari a incrementare la tendenza al sommerso che spesso, fino ad ora, ha per-messo di occultare situazioni di crisi preoccupanti.

Il presidente di Confindustria, Boccia, in una sua di-chiarazione d’inizio dibattito sulla legge di stabilità, ha evidenziato come la quota destinata dal progetto di leg-ge a investimenti e quindi alla produzione sia minima con la conseguenza che sarà proprio l’assistenzialismo a trionfare a scapito degli investimenti, ma con risorse che non si rigenerano. Oggi il Paese è in una situazione territoriale critica e in questa espressione ci va di tutto un po’. Dai temi più volte richiamati negli ultimi anni quali l’assenza di continuità nella realizzazione di nuo-ve infrastrutture, l’insufficiente manutenzione delle stesse, il dissesto idrogeologico, l’emergenza rifiuti, il degrado del patrimonio culturale e artistico. Poi ci sono nuove necessità, quali dare una casa a chi non è in grado di accedere al mercato, e procedere con la rigenerazione urbana senza la quale si rischia di essere simili a una baraccopoli di qualche paese del terzo mondo.

Insomma, i problemi del Paese non si risolvono cer-to con le delibere regionali o dei sindaci con cui si vieta circolazione di determinati modelli di veicoli, né con in-viti ministeriali a “chiudere” la caccia le domeniche, al pari degli esercizi commerciali. Già in questi primi gior-ni di esame nelle varie Commissioni della Camera dei deputati i giudizi non sono stati teneri ed è sufficiente leggere i resoconti per comprendere quale sia il livello del testo in discussione. E non si tratta solo delle cosid-dette grandi opere il cui futuro è ogni giorno più incer-to essendo rimesse all’ennesimo esame economico da parte di tecnici di parte nonostante siano state anche inserite nel contratto di programma tra ministero delle infrastrutture e Rete Ferroviaria, ma anche d’interventi più spiccioli come il piano per le periferie la cui revoca dei fondi non colpisce solo i comuni inadempienti, ma anche quelli che i progetti li avevano pronti.

Il dissesto idrogeologico torna a essere gestito da procedure ordinarie che, se non saranno modificate con celerità, faranno sì che le opere saranno forse realizza-te dopo l’ennesima ordinaria alluvione. Ordinaria an-che perché se non si esegue la manutenzione corrente, alla fine, ogni evento atmosferico, magari ecceziona-le, rischia di essere ordinario! E questo ci porta a fare una riflessione in tema di semplificazioni amministra-tive: tutti ne parlano tutti le vogliono, ma poi nulla si semplifica effettivamente e anzi si aggiunge ogni volta qualcosa, in modo che dalla complicazione, magari per disperazione, si passi alla non osservanza delle regole.

A.G.

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Il settore immobiliare riveste un ruolo rilevante nell’economia italiana: complessivamente la filiera immobiliare contribui-

sce per un quinto al prodotto interno lordo e ha importanti interazioni con gli altri settori dell’economia nono-stantenel giro di dieci anni, il siste-ma “costruzioni” si sia letteralmente sgretolato, poiché il suo peso sul PIL nazionale si è in pratica dimezza-to, passando dal 29% al 17% attuale, e arrivando a rappresentare un serio pericolo per il sistema bancario. Tra le cause di questa contrazione, oltre alla crisi economica che hainvestito il nostro paese, si ha certamente il carico tributario sugli immobili, che ammonta a 50 miliardi di euro l’anno, il quale costituisce un macigno fiscale che frena pesantemente il settore im-mobiliare e il suo indotto, specie per effetto della tassazione patrimoniale, passata da 9 miliardi di euro del 2011 (con l’ICI) ai 21 miliardi del 2017 (con IMU e TASI).

Tale scelta di politica fiscale è sta-ta, dunque, una decisione miope e controproducente, in contrasto con la volontà, dichiarata dal legislatore, di voler propiziare crescita e occu-pazione, e rispettare il risparmio. In base ai dati, dunque, non ci sono ra-gioni tecniche oggettive per sostenere nuove politiche di austerità, specie se contemplano altri prelievi fiscali. Tali politiche, come detto, non solo non hanno contribuito a risollevare l’eco-nomia, ma hanno anche peggiorato la condizione del debito pubblico italia-no. Durante il Governo Monti il rap-porto debito/PIL è passato dal 117% del 2011 al 129% del 2013.

Per tali motivi, il Coordinamento della proprietà immobiliare, formato

da FEDERPROPRIETÀ, UPPI e CON-FAPPI, ha richiesto nuovamente al legislatore, in occasione del convegno tenutosi a Roma lo scorso 10 ottobre, l’introduzionedella cedolare secca sulle locazioni a uso diverso da quello abitativo, ossia, su tutte le locazio-ni che gravitano intorno alle attività commerciali e artigianali, già forte-mente in crisi a causa della recessione economica e ulteriormente penaliz-zate da una legislazione non più ade-guata ai tempi e da un’eccessiva tas-sazione che ha portato alla chiusura di molti locali anche nei centri storici.

Le motivazioni alla base della ri-chiesta sono molteplici. In primis, la cedolare secca è una misura a soste-gno della crescita. La stessa Confe-sercenti nazionale ha affermato che sarebbe un deciso passo avanti nel contrasto alla desertificazione com-merciale delle nostre città. A oggi ci sono oltre 650 mila negozi sfitti a causa della chiusura dell’azienda che vi operava, quasi uno su quattro, e in alcune periferie si sfiora il 40%, con conseguente aumento del degrado e peggioramento delle condizioni di vita degli abitanti. L’introduzione di cano-ni concordati e cedolare secca darebbe un impulso importantissimo alla ri-presa del commercio e al processo di riqualificazione delle città, portando nell’arco di due anni – secondo le sti-me di Confesercenti – alla nascita di circa 190 mila nuovi negozi e pubblici esercizi. Un modo intelligente per ri-dare ossigeno a un settore ancora in sofferenza, per aiutare le zone urbane depauperate dalla crisi a tornare vivi-bili e anche per aumentare il gettito fiscale. L’apertura di nuove attività innescata dall’arrivo della cedola-re, infatti, porterebbe nelle casse del

Fisco circa 1,5 miliardi di euro in più, tra Irpef, Tari e Irap pagati dalle im-prese. La cedolare secca è anche uno strumento favorisce l’emersione delle basi imponibili e del gettito. I dati uf-ficiali confermano che, con l’introdu-zione della cedolare secca sugli affitti abitativi, il divario fra gettito teorico ed effettivo è diminuito del 42% e la propensione all’inadempimento si è ridotta del 40%. Il successo della ce-dolare secca è la dimostrazione della necessità di estenderla, oltre che alle locazioni abitative, anche agli affit-ti non abitativi (locali commerciali, uffici ecc.). La propensione all’eva-sione è scesa dal 25,3% al 15,3%. L’A-genzia delle entrate ha riconosciuto che lacedolare secca è uno strumento di contrasto all’evasione. Di anno in anno cresce il numero di persone che sceglie quest’opzione. Le statistiche riguardanti le dichiarazioni presen-tate nel 2016 parlano di 1,7 milioni di soggetti (+22,4% rispetto all’anno d’imposta 2014) per un imponibile di 11,2 miliardi di euro (+21,2% rispetto al 2014) e l’importo soggetto a cedo-lare secca cresce maggiormente nelle regioni meridionali (+26,9%) e isole (+29,7%) rispetto al trend nazionale. Il gettito derivante dalla cedolare secca sulle locazioni di abitazioni è passato da € 1,23 miliardi nel 2012 a € 2,07 nel 2016. La cedolare secca permettereb-be di colpire l’inarrestabile aumen-to del numero dei locali commerciali abbandonati oltre che di calmierare i canoni di locazioni nelle zone dove la domanda è maggiore, riducendo an-che la morosità in un contesto di re-cessione economia.

In conclusione occorre ripete-re che aumentare le tasse sulla casa, introducendo patrimoniali come IMU e TASI, genera enorme perdita di ric-chezza. Il Paese ha bisogno di politi-che espansive della domanda, di una tassazione snella e trasparente, di facile e meccanica applicazione, equa e sostenibile, che non solo generi be-neficio alle casse dello Stato, ma sia trampolino di lancio per la ripresa di importanti settori dell’economia, come quello immobiliare, oltre che disincentivo all’evasione.

* Presidente Commissione Fiscale Nazionale UPPI

Una misura a sostegnodel commercioe dell'occupazioneJean-Claude Mochet *

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L’attesa per l’Assemblea dell’ANCE, l’Associazione di Confindustria rappre-sentativa delle imprese edi-

li non è andata delusa: due mini-stri sul palco, numerosi politici nel parterre e poi la relazione a tutto campo del Presidente Buia che ha evidenziato lo stato di crisi dal qua-le non si riesce a uscire, il dramma-tico calo non solo degli occupati, ma anche del numero delle imprese nonostante la domanda di edilizia del Paese e dei cittadini sia più che elevata.

Si diceva dell’intervento di due ministri, anzi del Vicepremier Mat-teo Salvini e del Ministro delle in-frastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli. Entrambi hanno pro-messo la riforma (con il contributo delle parti sociali) del codice degli appalti del 2016 che tanti problemi sta evidenziando.

Mentre Salvini ha confermato tutto il suo sostegno alla categoria, Toninelli ha dato alcune indicazioni su quelle che saranno le sue azioni non formulando però le attese va-lutazioni e anticipazioni sul pro-seguimento di alcune opere infra-strutturali importanti per il Paese, quali il Terzo Valico Milano-Geno-va, né dando risposte tangibili alla domanda di rigenerazione urbana, ma limitandosi ad annunciare la volontà di proseguire, per i prossi-mi anni nella politica degli incenti-vi fiscali per eco e sisma bonus che però già beneficiano in larga misura di un prolungamento, salvo per al-cune tipologie, sino al 2021.

Com’era prevedibile di fronte a questi orientamenti la numerosa platea dei presenti è stata abba-stanza fredda con applausi finali più di circostanza che altro. Detto questo sugli importanti ospiti in rappresentanza del Governo e tra-lasciando il dibattito condotto da Enrico Mentana con Sabino Casse-se, Pietro Salini, Dario Scannapieco e Stefano Boeri è inevitabile andare a raccontare l’intervento introdut-tivo di Gabriele Buia, presidente dell’ANCE dal 2017.

«Costruire il bene sociale. In-frastrutture, sostenibilità, sicu-rezza» è il titolo della relazione presidenziale che ha toccato, come anticipato, tutti i punti dolenti del settore delle costruzioni.

Investimenti in opere pubbli-che diminuiti del 50% in dieci anni, split payment che drena al settore e quindi agli investimenti 2,4 miliar-di di euro l’anno, incapacità diffu-sa di spendere le risorse disponi-bili dove, per fare un esempio tra i tanti, è stato evidenziato l’utilizzo di soli 300 milioni su 60 miliardi, proprio miliardi, già stanziati e in carico al Fondo investimenti della Presidenza del Consiglio, e poi an-cora i fondi europei con il 9% speso in cinque anni, oppure i 50 miliardi circa per programmi infrastruttu-rali e di messa in sicurezza del ter-ritorio da spendersi in 15 anni, ma che dopo due anni evidenziano un impiego solo del 4 per cento!

Grido di dolore anche nei con-fronti della burocrazia, che pur a fronte d’importanti e interessanti interventi di semplificazione con-

tinua a rappresentare un macigno per le imprese che, alla fine, più che di tecnici e operai necessitano per il quotidiano agire di avvocati!

Ma i numeri della crisi sono an-che nei rilevamenti dell’Istat che certifica, nel primo semestre 2018, un nuovo calo negli addetti delle costruzioni (-2,7%), stessa musi-ca anche per le Casse edili che tra 2008 e 2017 evidenziano un segno negativo (-45% tra i dipendenti e -42% nel numero delle imprese), trend che è continuato sino a giugno scorso e che non sembra arrestarsi. Ecco, dunque, la “ricetta” dell’AN-CE per un cambio nei lavori pubblici e nell’edilizia privata.

È indispensabile semplificare le regole nazionali, velocizzare le procedure e accelerare la spesa, at-traverso l’eliminazione di tutte le norme nazionali superflue che non hanno equivalenti nel mondo.

L’ANCE ha già individuato un piano d’azione di forte impatto:

il CIPE deve solo programmare e assegnare le risorse alle opere;

«Costruire il bene sociale infrastrutture, sostenibilità, sicurezza»Il tema, di stretta attualità, sviluppato nell’incontro romano dal Presidente dell'ANCE, Gabriele Buia

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il Consiglio superiore dei lavori pubblici si esprima obbligatoriamente ma per i progetti superiori a 200 milioni di euro;

la Corte dei conti si concentri sulla programmazio-ne e dopo sull’operato delle amministrazioni, come avviene in quasi tutti gli altri Paesi europei.

Insomma questo scenario va semplificato.

Occorre varare un pacchetto di misure sblocca-cantieri, da inserire in un decreto-legge valido fino a quando la riforma degli appalti non andrà a regime.

Il clima di sospetto nei confronti della pubblica am-ministrazione, ha proseguito Buia, non può e non deve condizionare anche l’attività delle tante imprese sane che con essa lavorano e che subiscono la concorrenza sleale di chi opera fuori dalle regole.

Costruire il bene sociale significa anche investire nel futuro delle città. Le lungaggini amministrative frenano ogni possibilità di rinascita dei centri urba-ni. Si deve ripensare, secondo Buia, agli edifici e alle aree urbane in funzione delle necessità sociali. Gli stili di vita si evolvono: sono cambiati i modelli familiari, un nuovo mercato del lavoro, con una maggiore mobi-lità solo per citare due temi, che richiedono differenti soluzioni abitative. Ma un’attenzione più che elevata va riservata alla “città costruita” che si avvia all’ab-bandono. Le emergenze sono tante e anche qui vale la pena di ricordarne qualcuna. Il patrimonio immobiliare versa in condizioni disastrose: il 74% delle abitazioni esistenti è stato costruito prima del 1980, anno in cui è entrata pienamente in vigore la normativa antisismica.

E le cose non migliorano sul fronte energetico visto che il livello di emissione degli edifici esistenti è ben sopra la media europea.

Rottamare vecchi edifici, inutili e inquinanti, inter-venire su aree urbane degradate o non più efficienti, dotandole dei servizi e delle infrastrutture che servono alla comunità, non solo deve essere possibile, ma an-che conveniente, per i cittadini e per le imprese. Per tutto questo è necessaria una nuova stagione di politica fiscale. Il fisco deve essere lo strumento per realizzare l’interesse pubblico, orientato all’ambiente e allo svi-luppo sostenibile.

Di rilevante valore, ha ricordato infine Buia, è anche la sinergia attivata con Assoimmobiliare, associazione degli sviluppatori immobiliari, con cui è stata fondata una Consulta che avrà il compito di valorizzare un set-tore fondamentale della nostra economia come quello dell’immobiliare.

Non è più il tempo di alzare steccati e di difendere ognuno il proprio orticello: è ora di lavorare tutti insie-me, responsabilmente, per il futuro del nostro Paese.

M.C.

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Il dibattito sulle città degli ulti-mi tempi si è incentrato su due temi che devono essere tra loro complementari, ma per com’è

stato impostato, il risultato che si ottiene rischia di essere di segno opposto. Infatti, da un lato si parla di consumo del suolo e della neces-sità non tanto di ridurlo quanto di bloccarlo soprattutto sulla base dei dati che periodicamente diffonde l’Istituto superiore per la protezio-ne e la ricerca ambientale e da qui i numerosi disegni di legge già pre-sentati o ripresentati in Parlamen-to anche nell’odierna legislatura, dall’altro le iniziative per la verità in misura minore e comunque quasi sporadiche o, nella migliore ipote-si, incidentali per promuovere la riqualificazione o rigenerazione ur-bana come si preferisce chiamarla. Insomma due problematiche che devono essere strettamente colle-gate, altrimenti l’agricoltura pre-vale, ammesso che sia in grado di farlo, e l’adeguamento delle infra-strutture e del tessuto urbano ri-marrà lettera morta.

È evidente la necessità di un’in-tesa tra i due temi anche perché forse negli anni le esigenze sono mutate, ma nello stesso tempo le “imposizioni” europee sul non consumo del suolo devono esse-re modulate in funzione in primo luogo delle esigenze locali e poi del raggiungimento dell’obiettivo co-munitario. Se oggi da più parti si fa notare che le previsioni degli stru-

menti urbanistici non rispondono alle esigenze che a suo tempo por-tarono alla loro determinazione e quindi si è alla presenza di sovradi-mensionamento, è altrettanto vero che spesso è proprio la pianificazio-ne urbanistica, con le sue rigidità, a determinare il consumo del suolo e questo soprattutto in quei comuni nei quali essa è più datata. Esigen-ze mutate, mancato coordinamento tra varie tipologie di pianificazione (es. commercio, infrastrutture, pa-esaggio, idrogeologico ecc.) e so-prattutto dei livelli di pianificazione (comunale, provinciale, regionale, opere di interesse statale ecc.), ag-giramento delle rigidità attraverso la possibilità di deroga riconosciu-ta a determinati piani e programmi che, di riflesso, dalla teorica stra-ordinarietà passano all’ordinarie-tà. D’altro canto è ormai più che noto che gli investitori esteri che da qualche tempo hanno ripreso a guardare al nostro Paese con inte-resse tendono a interessarsi a ope-razioni di prossima cantierizzazione o con lavori in corso proprio perché non intendono assumersi il rischio urbanistico derivante da un’opera-zione che il comune non ha ancora approvato in via definitiva.

E allora la riduzione del consumo del suolo non può passare esclusi-vamente per un’azione legislativa di fatto mirata a bloccare la trasfor-mazione nel solo presupposto che si tratta di suolo agricolo in genere destinato alla coltivazione di ma-

terie prime per gli alimenti umani o degli animali. Oggi una sempre maggiore quota di aree è destinata a colture che con l’alimentare non hanno nulla a che fare ma sono uti-lizzate per la produzione di gas per centrali elettriche o per altri com-bustibili verdi. Peccato però che siano necessarie pratiche agricole a notevole impatto ambientale con ampio utilizzo di mezzi meccanici ecc. Che sia il caso di uscire defini-tivamente dall’equivoco?

Se le indicazioni di questi disegni di legge dovessero trovare conferma nell’approvazione da parte del Par-lamento, è già oggi facile ipotizzare che i comuni si troveranno a doversi difendere da una valanga di ricorsi e di richieste di rimborso per le impo-ste percepite negli anni e calcolate sull’edificabilità delle aree stesse. Ma il problema è ben più grave se si considera che, a fronte di un’edifi-cabilità bloccata nelle aree di espan-sione o comunque inedificate, nello stesso tempo non vengono assunti provvedimenti per consentire il ra-pido avvio dei processi di recupero e riqualificazione dell’edificato.

Infatti, gli strumenti normativi esistenti non si sono rivelati all’al-tezza della situazione più che altro per la mancata volontà politica de-gli enti locali.

Insomma se si vuole evitare il consumo del suolo e nello stesso tempo non mummificare le nostre città, magari partendo dal recupe-ro delle aree industriali dismesse o dai contenitori immobiliari non uti-lizzati, l’azione legislativa non può che snodarsi su profili urbanistici, civilistici e ambientali: vale a dire modificare la strumentazione urba-nistica, superare, con le dovute ga-ranzie il frazionamento della pro-prietà tutto questo in un contesto di raccordo con gli altri strumenti di pianificazione e tutela ambientale e del paesaggio coordinando la nor-mativa del codice ambientale con quella urbanistica in modo da evita-re che sia attuata un’azione di veto reciproco.

G.A.

Rigenerazione urbanae consumo del suoloLe "imposizioni" europee sul non consumo del suolo devono essere modulate in funzione delle esigenze locali e del raggiungimento dell'obiettivo comunitario

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Allarme banche. Da mag-gio a ottobre sono andati in fumo quasi quaranta miliardi per la crisi dello

spread. Cosa c’è dietro la voragine di Borsa? Il differenziale tra Btp e Bund sopra i 300 punti è preoccu-pante e se si mettono in controlu-ce i bilanci bancari e gli andamenti dei titoli si scopre che la Borsa sta facendo scontare alle banche uno scenario molto più critico di quello che appare.

I mercati sembrano un ottovo-lante e il legame tra debito sovrano e banche si è sempre basato sulla fi-ducia. Le banche assieme alle assi-curazioni detengono quasi un terzo degli oltre 2.300 miliardi di debito pubblico.

La Bce, che smetterà a inizio del prossimo anno di acquistare emis-sioni governative con l’esaurirsi del Quantitative Easing, ha acquistato, insieme alla Banca d’Italia, titoli governativi per 360 miliardi. Inde-bolire, quindi, banche e assicura-zioni diventa pericoloso. Il filo che regge l’economia italiana è fragile.

La pietra al collo del debito pubblico

La preoccupazione del primo gruppo bancario italiano (Inte-sa Sanpaolo, quasi venti milioni di clienti per 5600 sportelli) è quella di aiutare le aziende a investire. Il presidente Gian Maria Gross-Pietro parlando a Bali in Indonesia ha in-dicato uno scenario di solidità pa-trimoniale del sistema bancario ita-liano, raddoppiato in dieci anni.

La lunga crisi iniziata nel 2008 si

avvia a essere messa dietro le spal-le e Intesa Sanpaolo ha deciso uno stanziamento di 150 miliardi in tre anni per la crescita. La pietra al col-lo che soffoca la capacità del paese, ha aggiunto Gross-Pietro, è il debi-to pubblico ma «facendo fruttare il patrimonio immobiliare degli enti pubblici non utilizzato o sottouti-lizzato e quindi male gestito si po-trebbero ricavare cinquanta miliar-di». L’ipotesi sarebbe di far conflu-ire i beni in un Fondo immobiliare e con quote da collocare sul fronte domestico per generare risorse e abbattere il debito pubblico.

Tensione, quindi, nel sistema bancario e nel mondo politico ed

economico per il balzo dello spread che incide sul capitale degli istitu-ti di credito, per l’annuncio di una nuova commissione d’inchiesta proposta da Fratelli d’Italia (di-segno di legge Urso-Meloni) e dai grillini (primo firmatario il sen. Stefano Patuanelli), per la fuga dei grandi istituti di credito da Londra a Parigi, per l’effetto dell’opera-zione di fusione di Commerzbank con Deutsche Bank in Germania che potrebbe influenzare la nomina del presidente del meccanismo di vi-gilanza unico europeo (a dicembre scade la francese Danièle Nouy) e del successore di Mario Draghi alla Bce di Francoforte.

C’è allarme tra i risparmiatori italiani per l’aumento della tenuta dei conti correnti (i prezzi sono sa-liti del 6,5% da febbraio a ottobre), per le difficoltà e le lungaggini dei rimborsi dei milioni andati in fumo a causa dell’acquisto dei titoli in-sicuri delle banche fallite (Etruria, CariChieti, CariFerrara, le due Ve-nete) con l’aggravante della crisi del Monte dei Paschi di Siena e della Carige di Genova.

Non mancano le preoccupazioni e le incertezze per la montagna di

Nuova indaginesui crac bancari

Sergio Menicucci

Nuovi strumenti a tutela del patrimonio

LUNEDÌ 12 NOVEMBRE 2018 PRESSO UNIONCAMERE LOMBARDIA VIA OLDOFREDI 23 -MILANO

INTERVENGONO

Avv. Giovanni Bardanzellu: Vicepresidente Nazionale Federproprietà

Avv. Francesca Pizzagalli: Avvocato civilista del Foro di Milano Esperta di diritto condominiale e immobiliare Presidente provinciale per Milano di Federproprietà

Dott. Ivan Giordano: Giurista d’impresa, tributarista

Avv. Luana Lia: Avvocato specializzato in diritto tributario Dott. Claudio Sottili: Giurista e tributarista, Mediatore Civile

Avv. Nicola A. Maggio: Avvocato civilista del Foro di Milano Titolare dello studio legale associato Pizzagalli - Maggio

Allarme dei risparmiatori per i ritardi nei rimborsi peraltro inadeguati a quanto dovuto

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NPL (non performing loans) superiore ai 252 miliardi di euro globali anche se nel corso del 2018 si sta assistendo a un miglioramento tra sofferenze lorde e nette con i crediti difficili in regresso.

Undici anni dopo il fallimento di Lehman Brothers

Quando entrano in fibrillazione le banche, che sono il cuore delle nostre attività quotidiane, le famiglie e le imprese si spaventano. Sono passati undici anni dal fal-limento dell’americana Lehman Brothers che innescò con i suoi mutui subprime la più grossa crisi economica e finanziaria dopo il crollo di Wall Street del 1929.

Alla debacle bancaria italiana hanno influito molto le vicende del MPS dall’incauto acquisto di Banca Anton-veneta nel novembre 2007 per 9 miliardi cash e 7 mi-liardi assunti quali debiti della banca veneta dalla spa-gnola Santander. A Siena volevano far crescere il terzo polo bancario italiano dopo Intesa Sanpaolo e Unicre-dit, operazione con la benedizione della Banca d’Italia e dell’allora Ministro del Tesoro dal quale dipendeva la vigilanza sulla Fondazione Mps, a quei tempi azioni-sta di maggioranza della banca e nel cui Cda sedevano i consiglieri comunali e provinciali di centrosinistra di Siena.

Errori su errori. La banca senese fu salvata solo cin-que anni dopo nel 2017 in seguito alla “ricapitolazione precauzionale” di 8,1 miliardi complessivi tra aumento di capitale vero e proprio da parte del Tesoro per 3,9 mi-liardi e conversione forzosa di bond subordinati in nuo-ve azioni per 4,2 miliardi. Ora lo Stato è socio pe il 65 per cento. A ogni impennata dello spread il valore delle banche va giù.

I calcoli sbagliati delle banche italiane

La radice delle difficoltà si trova nel fatto che le ban-che italiane hanno creduto di approfittare della politi-ca monetaria accomodante della Bce per parcheggiare denaro nei titoli di Stato invece di investirli o prestarli alle famiglie. Hanno preso a Francoforte soldi a basso interesse tentando di guadagnarci in maniera sicura.

Le criticità erano emerse già nel corso dell’inchiesta parlamentare presieduta da Pierferdinando Casini della passata legislatura conclusa con un documento votato dall’allora maggioranza Pd e centristi (19 voti favorevo-li, sedici contrati e sei astenuti).

In tutti e sette casi di crisi bancarie oggetto dell’in-dagine «le attività di vigilanza sia sul sistema bancario (Banca d’Italia) sia sui mercati finanziari (Consob) si erano rilevate inefficaci ai fini della tutela del rispar-mio». Ora il segretario di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e l’on. Adolfo Urso insistono per riaprire il caso e hanno presentato in Parlamento un articolato pacchetto che comprende anche la separazione tra banche commer-ciali e d’investimento (tema condiviso dalla Lega) e la nazionalizzazione della Banca d’Italia.

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Massimo Cestelli Guidi *

Lunedì primo ottobre, nel po-meriggio, ho partecipato a un seminario organizzato da Luca Zevi nella sala dell’AN-

CE a Roma.

Erano stati invitati a parlare illu-stri ingegneri e architetti connessi in qualche modo con il tema riguar-dante il salvataggio di quello che era rimasto (molto più esteso rispetto alla parte crollata) del Viadotto sul torrente Polcevera progettato negli anni sessanta da Riccardo Morandi.

Dopo che hanno parlato gli ora-tori invitati, si è dato spazio a inter-venti liberi per alcuni dei numerosi presenti al Seminario.

Le voci ricorrenti nei media di una demolizione totale del viadot-to, al fine di realizzarne uno nuovo, forse lungo lo stesso tracciato, han-no suscitato le giuste rimostranze di tutti i presenti, concordi sulla valutazione che demolire un’opera d’arte (anche in campo tecnico sono così chiamati i ponti, in questo caso la dizione è oltremodo appropriata) ideata da un Progettista mondial-mente famoso, rappresentereb-be un grave danno per l’immagine dell’Italia.

L’eventuale demolizione del Viadotto richiama alla memoria le demolizioni di opere d’arte porta-te a termine in Oriente (in Cina per mano delle Guardie Rosse, e più re-centemente in Siria da parte dell’I-SIS) fatti deprecati in tutto il mondo.

L’abbattimento di quello che rimane del Viadotto rappresente-rebbe un danno culturale, ma an-che economico per Genova e una dilatazione notevole dei tempi per ripristinare la viabilità interrotta e il mancato uso di alcuni edifici che necessariamente dovrebbero essere demoliti.

Ritengo che non sia stata valu-tata a fondo la necessità di allonta-nare e trasportare in discarica i ma-teriali di generati dalle demolizioni. Un intervento libero di un ingegne-re al Seminario, ha precisato che solo quelli derivanti dalle strutture in cemento armato ammonterebbe-

ro a circa 2.500 tonnellate, che per l’ingente mole non potrebbero es-sere portati alle discariche del terri-torio. Dovrebbero essere allontanati via mare, ossia trasportati al porto di Genova e caricati sulle navi.

Si bloccherebbe in parte il porto per qualche mese.

Gli stessi problemi si pongono con le demolizioni degli edifici.

Salvando le parti rimaste in pie-di del Viadotto, sorge spontaneo il dubbio: le strutture rimaste sono ancora staticamente affidabili?

È evidente che si devono esegui-re alcuni interventi di risanamento o consolidamento statico. Innanzi-tutto, individuato l’elemento strut-turale che è collassato, dovranno essere consolidati staticamente quelli rimasti. Poiché l’ipotesi più probabile, avvalorata dai video del crollo, è che sia stato uno strallo a cedere, coinvolgendo poi gli altri e l’impalcato, tutti gli stralli rimasti dovranno essere rinforzati, come d’altra parte si era iniziato a opera-re per uno dei tre piloni con stralli nel 1993.

A seguire si dovrebbero compie-re interventi di ripristino su ele-menti strutturali, eventualmente degradati, che si riscontrassero lungo il Viadotto.

Non fa testo poi quanto è stato detto e riportato dai Media che la vita di una struttura realizzata negli anni 50-60 e da considerarsi in cinquan-ta anni. Un valore medio che può

avere anche una sua validità, ma la durabilità di una struttura realizzata in quegli anni dipende dalla qualità della progettazione e realizzazione e dall’idoneità della manutenzione. Ci sono strutture, costruite in quel periodo, che sono crollate quaranta anni dopo la realizzazione e altre che distanza di oltre sessanta anni sono ancora efficienti e affidabili.

Con la notevole evoluzione tec-nologica dei materiali che com-pongono le strutture in cemento armato, calcestruzzo e acciaio, la durabilità minima di una struttura realizzata oggi e di 100 anni.

Quale intervento si dovrebbe in seguito fare nel tratto di Viadotto crollato?

Al Seminario, un noto proget-tista di ponti ha mostrato una sua soluzione, risultata molto valida dal punto di vista tecnico ed estetico. Essa consiste nella realizzazione di un pilone (al posto di quello crol-lato) che sostiene stralli di acciaio (questa volta non rivestiti di cal-cestruzzo) con lo schema statico dell’impalcato progettato da Mo-randi, ossia con due campate alle estremità che si andrebbero a pog-giare sulle parti del Viadotto rima-ste.

Questa soluzione è stata da tutti apprezzata perché s’inserisce este-ticamente molto bene fra le parti di Viadotto rimaste e non stravolge l’idea progettuale di Morandi per l’Opera.

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Consolidare o ricostruire?

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Chissà che cosa avrebbe detto Riccardo Morandi se avesse visto il suo viadot-to crollare e soprattutto,

chissà che cosa penserebbe sul fu-turo delle campate della sua opera rimaste ancora in piedi.

Abbiamo già scritto su queste pagine del Viadotto Polcevera, del-la dinamica del crollo e delle pos-sibili soluzioni per la ricostruzione dell’intero viadotto. Abbiamo anche detto che per gli appassionati dei ponti e della loro storia (e chi scri-ve è tra questi) il viadotto andrebbe conservato. Al riguardo, sono sta-te organizzate petizioni, cui hanno aderito numerosi esperti e studiosi autorevoli.

Dicevamo per gli amanti dei ponti e della loro storia. Sì perché il viadotto Polcevera fa parte della storia dei ponti e della storia d’Ita-lia. Progettato per collegare l’aero-porto Cristoforo Colombo, il porto e la città di Genova, fu costruito tra il 1963 e il 4 settembre 1967, quan-do fu inaugurato alla presenza del Presidente Saragat. È stata un'in-frastruttura strategica anche per il collegamento fra il nord dell’Italia e il sud della Francia. Si tratta cer-tamente di un’opera d’arte e non soltanto nel senso comune del ter-mine come utilizzato in ingegneria stradale, che rappresenta un’epoca

importante per l’ingegneria civile, italiana e mondiale.

Detto questo, la soluzione sem-brerebbe ovvia: l’opera d’arte va conservata, costi quel che costi. E sarebbe bello lasciare alle future generazioni i due sistemi bilanciati ancora esistenti e poter spiegare i concetti di Morandi con degli esem-pi “viventi”. A tal fine, basterebbero dei rinforzi strutturali, soprattutto sugli stralli della pila numero 10, che non dovrebbero modificare la strut-tura ma nemmeno l’architettura del viadotto: infatti, nei ponti, specie quelli rilevanti, l’aspetto estetico e l’impatto ambientale sono fonda-mentali, e il viadotto di Morandi si inseriva molto bene nel contesto ambientale, superando con legge-rezza ed eleganza la valle del Polce-vera. Le campate rimaste, una volta consolidate, potrebbero invitare a una bella passeggiata con vista sul golfo; in sostanza l’opera rimasta potrebbe essere ridimensionata a viadotto pedonale o, comunque, con traffico limitato a mezzi “turistici” leggeri.

Questa affascinante proposta, però, non risolverebbe il problema del traffico e lascerebbe un’opera ingombrante in una zona strategi-ca, dove non sarebbe facile trovare percorsi alternativi.

È possibile recuperare e riaprire al

traffico veicolare la parte di viadotto rimasta, ricostruendo quella crolla-ta? Quali lavori sarebbero necessari per rendere la struttura conforme alle attuali esigenze di sicurezza? I piloni, gli stralli e la travata sareb-bero ancora utilizzabili con piccoli ritocchi o richiederebbero pesanti interventi di miglioramento?

Le risposte a tali domande po-trebbero essere date soltanto dopo un’accurata valutazione dello sta-to di salute dell’intero viadotto che comprendeva, oltre ai tre sistemi bilanciati strallati di cui uno crolla-to, anche una lunga porzione a tra-vata con pile a V.

Tale soluzione, ossia consolida-mento della parte rimasta e rico-struzione di quella crollata, rispet-terebbe i vincoli che il progetto di Morandi soddisfaceva: l’allaccio ai tratti di autostrada a monte e a val-le, il superamento del fiume Polce-vera e della ferrovia senza distur-barne l’operatività. Inoltre, richie-derebbe tempi certamente inferiori rispetto alla ricostruzione dell’inte-ro viadotto e consentirebbe anche di utilizzare le fondazioni esistenti.

Non sarebbe, però, soddisfatta la domanda di traffico attuale. Infat-ti, appare ovvio che le dimensioni stradali dovrebbero essere adeguate al traffico attuale e prevedibile nel prossimo futuro e, quindi, andreb-bero realizzate almeno 3 o 4 corsie per ciascun senso di marcia, oltre alle corsie di emergenza. Ciò vale anche per la porzione di viadotto a travata con le pile a V, che non pre-senta particolari segni di degrado. Qualora si ricostruisse con le stesse dimensioni stradali, l’uso potreb-be essere limitato alle autovetture e andrebbe costruito contempora-neamente un percorso alternativo, parallelo al Polcevera, nelle imme-diate vicinanze o anche distante da esso, per il traffico pesante.

In definitiva, che cosa rimar-rebbe dell’opera d’arte di Morandi?

Paolo Clemente *

Consolidare o ricostruire?

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A parte il fattore culturale, una soluzione di questo tipo di recupero del Viadotto sarebbe molto più econo-mica e comporterebbe un tempo notevolmente inferio-re per il ripristino della viabilità e l’uso degli edifici eva-cuati, rispetto alla demolizione dell’intero manufatto per realizzarne uno nuovo.

Se con l’attuale politica ci è stato prospettato che si realizzeranno cambiamenti anche in economia (si spe-rano benefici) è il momento di dimostrarlo evitando la demolizione e ricostruzione del Viadotto. Altrimenti si ricadrebbe in uno dei soliti sprechi italiani, come pur-troppo abbiamo riscontrato nel passato.

In ogni caso si dovrebbe iniziare il percorso alterna-tivo “La Gronda”, perché una volta che sia realizzato si potrebbe lasciare il viadotto Morandi alla viabilità della città.

Un problema è anche rappresentato dal fattore psi-cologico, comprensibilissimo, soprattutto per le per-sone che hanno perduto dei familiari nel crollo e che quindi nutrono dei risentimenti verso il ponte. È op-portuno convincere queste persone che la soluzione del recupero è la migliore per la città di Genova e inoltre permetterebbe a chi è stato allontanato da casa di rien-trarvi in sicurezza in tempi brevi.

È auspicabile quindi un intervento razionale per ri-sanare questa ferita della città di Genova, senza farsi condizionare da risentimenti (quasi un desiderio di ve-detta) nei confronti di un’opera d’arte la cui unica colpa potrebbe essere quella di non aver subito nei cinquanta anni di vita un’idonea manutenzione.

* Docente di Scienza delle Costruzioni,Componente del Consiglio direttivo di FEDERPROPRIETÀ

Poco o nulla; anzi si rischierebbe un “falso” che non renderebbe onore a uno dei più grandi progettisti di ponti di sempre, vanto dell’ingegneria italiana. Inoltre, con la mancanza di un’adeguata manutenzione, eve-nienza sempre in agguato nel nostro Paese, si rischie-rebbe un altro flop in un prossimo futuro, con ulteriore enorme danno all’immagine di Morandi e delle scuole di ponti italiane.

Allora possiamo immaginare, a malincuore, la rispo-sta di Morandi sul futuro della porzione della sua opera rimasta ancora in piedi: meglio demolire il viadotto an-ziché rischiare di legare al suo nome un altro insuccesso per il quale, come per il precedente, non avrebbe alcuna responsabilità. Della stessa tipologia restano, a memo-ria del grande genio, il Ponte General Rafael Urdaneta sul lago Maracaibo in Venezuela (nella foto in basso) e il ponte sul Wadi al-Kuf in Libia e speriamo che le auto-rità locali dedicheranno alle due grandi opere la giusta attenzione, eseguendo la necessaria manutenzione per tempo.

Dirigente di Ricerca ENEA, Componente Consiglio Direttivo Nazionale Federproprietà

Continua da pag. 18

(articolo dell'ing. Cestelli Guidi)

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(articolo dell'ing. Paolo Clemente)

Un colpo al cuore e giù lacrime per il rientro a casa delle 283 famiglie sfollate di Genova ad oltre due mesi dal crollo del ponte Morandi che ha fatto 43 vittime.

L’operazione per il recupero dei beni nei palazzi disabitati da quel tragico 14 agosto sono state coordinate dal Commissario straordinario il sindaco della città Marco Bucci e dai due por-tavoce degli sfollati. Amarezza per

dover dire addio alla propria abita-zione dove alcuni vi abitavano da 50 anni e raccogliere i ricordi che affio-ravano per ogni oggetto da mettere nei 50 scatoloni messi a disposizione dall’amministrazione comunale.

Molti pianti, tanti incoraggiamenti da parte del personale del servizio psicosociale della Croce rossa, che ha fornito assistenza sul campo. “Non avere più la propria casa significa,

spiega Cristina Olmi della Cri, perde-

re i punti di riferimento di una vita”.

Un trasloco molto sofferto anche

se tutte le cinquecento persone in-

teressate si stanno sistemando nei

170 immobili di proprietà pubblica,

e nelle 73 case messe a disposizio-

ne dai privati con contratti regolati

dall’Agenzia sociale per la casa del

Comune di Genova.

DOLORE E RICORDI DEGLI SFOLLATI

Il ponte sul Lago di Maracaibo (Venezuela) gemello del viadotto Morandi

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FEDERPROPRIETÀ Sicilia:proposta di leggesulle aste immobiliari

“ Cittadini che possiedono una sola

casa e questa viene loro sempli-

cemente tolta, sottratta dai creditori.

Ebbene - dice l’on. Giorgio Assenza,

il quale deposita un ddl che corre in

aiuto di questi esecutati - bisogna

istituire uno scudo economico per

questi soggetti e per le loro fami-

glie che sono già parecchie migliaia

nell’isola”

Secondo una recente indagi-ne (dati 2017) solo in Sicilia sono oltre 27.800 gli immo-

bili oggetto di pignoramenti: se si rapporta il dato in proporzione alla popolazione, è – di fatto – la prima regione per numero d’immobili sot-toposti ad asta immobiliare.

La legge prevede che per la pri-ma asta il prezzo base è fissato dalla stima fatta dal perito del Tribunale e man mano che i tentativi di vendi-ta vanno deserti, esso diminuisce di 1/4 alla volta. Con la Legge n. 162 del 10/11/2014, è stato introdotto nelle disp. di attuaz. del Cpc l’art. 164-bis, il quale dispone che «quando risul-ta che non è più possibile consegui-re un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche te-nuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realiz-

zo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo» purtroppo, però, questa norma non basta a evi-tare la speculazione e lascia, parec-chio spazio alla discrezionalità del giudice.

La Regione siciliana ha un pia-no di interventi di Social Housing di vari milioni di euro per l’acquisto di immobili da adibire a case popolari su tutto il territorio siciliano, soldi spesso non spesi per gare d’appalto deserte o per la mancata pubblica-zione degli appositi bandi.

In questo quadro FEDERPRO-PRIETÀ Ragusa ha formulato una proposta per una legge regionale, che consentirebbe al debitore ese-cutato, se proprietario di prima e unica casa sita nella Regione Sicilia il cui valore, a seguito di più espe-rimenti di vendita del Tribunale, è ribassato di più del 50% del prezzo

base di stima, di presentare istan-za affinché la Regione Siciliana ac-quisisca l’immobile da destinare a edilizia popolare. All’ex proprieta-rio sarebbe riconosciuto diritto di prelazione sull’immobile e diritto di abitazione nello stesso a fronte del pagamento di un affitto calmie-rato, con diritto di riscatto. Questo intervento si propone di ottenere i seguenti risultati:

La Regione Siciliana acquisisce beni immobili a prezzi ribassati da destinare al social housing

Il creditore viene immediata-mente soddisfatto

Il proprietario esecutato non vede mortificato il valore del suo im-mobile, e viene lasciato ad abita-re la propria casa con i meccani-smi propri dell’edilizia popolare.

Cessano e vengono inibite le odiose speculazioni immobiliari

La proposta di FEDERPROPRIE-TÀ Ragusa ha trovato riscontro nell’attività parlamentare dell’on. Giorgio Assenza che, nelle scorse settimane, ha presentato all’As-semblea regionale siciliana (ARS) un DDL che ne ricalca le linee fon-damentali e ne coglie lo spirito. L’i-niziativa dell’on Assenza prevede d’istituire un Fondo di rotazione (di 5 milioni di euro) per acquisire la casa pignorata all’edilizia popolare permettendo all’ex proprietario di continuare ad abitarla pagando un canone di affitto fissato dall’Istitu-to autonomo case popolari. Adesso il DDL dovrà passare al vaglio della commissione parlamentare com-petente all’ARS, auspichiamo che tutte le forze politiche la vorranno sostenere per dare un concreto aiu-to ai proprietari di case esecutati, e che l’iniziativa siciliana possa esse-re da ispirazione per il varo di una normativa nazionale

* Presidente provinciale FEDERPROPRIETÀ Ragusa

Livio Mandarà *

Sabato 1 dicembre a Vittoria (RG)Convegno regionale di

FEDERPROPRIETÀsul tema:

Proposta di legge regionale per la salvaguardia

del valore degli immobili sottoposti a esecuzioni

giudiziarie

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Cornicioni pericolanti, fac-ciate decrepite, solai rotti, cartoni alle finestre, siste-mi antiincendio carenti,

insufficienti finanziamenti per co-prire interventi antisismici: questa è la preoccupante situazione del “Pia-neta Scuola”.

A Roma c’è il caso del liceo ar-tistico Caravillani di Piazza Risor-gimento, nei pressi del Vaticano, chiuso dal terremoto del 2016, con gli alunni trasferiti in un altro edi-ficio a Monteverde. A Ostia il li-ceo scientifico F. Enriques è ancora transennato a causa degli intonaci dalle facciate pericolanti.

A Catanzaro lesioni alle guaine del tetto hanno costretto i vigili del fuoco a mettere i sigilli alla scuola media statale Lampasi per una bo-nifica e la verifica delle infiltrazioni d’acqua.

A Campobasso trentadue scuole presentano lesioni tanto gravi da ri-chiedere l’intervento del Capo della Protezione civile, Angelo Borrelli. In Campania ben cinquanta episodi di crolli o distacchi di intonaco si sono registrati tra settembre 2017 e set-tembre 2018.

Per garantire la completa sicu-rezza dei 340 istituti superiori (licei e indirizzi tecnico-professionali) di Roma e provincia è stato calcolato che ci vorrebbero circa 865 milioni di euro per il triennio 2019-21. Le ri-sorse in bilancio, secondo il rappor-to di ottobre 2018 del dipartimento edilizia scolastica e programmazio-ne della Città Metropolitana (che

mantiene aggiornato un elenco delle scuole in cui intervenire), non supe-rano però i trenta milioni.

Quasi tutte le scuole costruite prima degli anni Quaranta del Nove-cento non hanno avuto un’adeguata manutenzione. La situazione è pre-occupante perché a soffrirne le con-seguenze sono gli studenti, i profes-sori e il personale amministrativo.

Per ora si va avanti con “lavori tampone” e non è migliore la situa-zione di tante altre città italiane.

È scattato ultimamente l’allarme per l’alto tasso di abbandono scola-stico raggiunto in appena venti anni, per il basso numero di laureati e la fuga di giovani (circa 100 mila l’an-no) verso l’estero.

Secondo un dossier della rivista Tuttoscuola ripreso a settembre dal settimanale l’Espresso, dal 1995 a oggi tre milioni e mezzo di studenti ha abbandonato la scuola. L’emor-ragia provoca il declino culturale del Paese e pensare che per ogni alunno lo Stato spende 7 mila euro l’anno (aule, riscaldamento, luce, stipen-di del personale, libri gratis, corsi di formazione, acquisto di materiali didattici).

Per Tuttoscuola, dei circa 590 mila ragazzi e ragazze che hanno iniziato l’anno scolastico a settembre, in-torno a 130 mila non arriveranno al diploma. Secondo la pubblicazione il costo degli abbandoni in ventitré anni si aggirerebbe sui 55 miliardi. Un flop che rasenta un fallimento sociale ed economico.

Scuola colabrodo? Sì se si guar-da poi al rapporto scuola-lavoro, un percorso che in Italia non ha mai debuttato con efficienza. La prova viene dall’elevato numero di giova-ni che sta affrontando, con grandi difficoltà, il delicato passaggio dal mondo della scuola o della forma-zione universitaria a quello del la-voro.

La disoccupazione giovanile è stabilmente sopra al 35%, gli under 35 che vivono ancora con i genitori tocca il 65%, i Neet (ragazzi che tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi formativi) superano il 24%, quando la media europea è di appena il 14 per cento.

I giovani scoraggiati o generi-camente incapaci di trovare strade che possano portarli verso la vita lavorativa superano i 2,2 milioni. Un

Il pianeta scuolaè un colabrodo

Carente la prevenzione antincendio e antisismica. 130 mila ragazzi non arriveranno al diploma.È fermo il rapporto scuola-lavoro. I giovani restano più a lungo in casa dei genitori. I NEET sono oltre 2,2 milioni

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problema che coinvolge la crescita del Paese e quindi serve puntare sul ruolo che i giovani possono giocare nella comunità in cui vivono, crean-do condizioni favorevoli che non si limitino alle competenze lavorative, ma abbraccino la capacità di contri-buire alla crescita e sviluppo della collettività.

Secondo gli esperti del sociale la sfida è quella di valorizzare processi di socializzazione che vadano oltre il lavoro, che favoriscano la piena in-clusione e la partecipazione alla vita politica e sociale all’interno delle comunità d’appartenenza.

Qualche sociologo la chiama “cittadinanza attiva” per contrasta-re fenomeni di accentuato indivi-dualismo e d’isolamento spesso in-dotti dall’uso smodato dei cellulari o dei computer.

I giovani che sono tenuti alla porta del mondo del lavoro e che re-stano in famiglia più a lungo dei loro coetanei europei trovano sbarrato l’accesso a una casa di proprietà e spesso non hanno con che pagare un affitto.

Le giovani coppie allora non fan-no figli e l’Italia è diventata, con il crollo delle nascite e l’aumento delle aspettative di vita, un Paese per vec-chi. Il deserto generazionale si av-verte di più a Sud.

Un giovane su quattro ha un la-voro precario e di questi ancora 1 su 4 è a orario ridotto perché non si tro-va di meglio. La quota di occupati in lavori atipici è del 52% per i laureati e del 64,4% per i diplomati. L’Italia inoltre è la nazione europea popo-lata dalla più bassa percentuale di giovani.

Una società “senilizzata” con la conseguenza che manca la spinta, l’entusiasmo, il coraggio giovani-le e lo spirito di andare avanti ca-ratteristici di chi vuole conquistare l’avvenire e salire la scala sociale. La crisi economica e sociale, secondo una ricerca del Censis e di Nomisma, ha rappresentato una trappola con poche vie d’uscita. Le nuove gene-razioni sono bloccate da un difficile

passaggio in avanti in un contesto che le costringe ad adattarsi a un at-teggiamento pragmatico, flessibile e quindi piegato sull’oggi.

Meno lavoro e impiego precario incidono sull’accesso alla casa Il di-vario tra Italia e altri Paesi occiden-tali avanzati è notevole. Le scuole italiane fanno poco orientamento e l’alternanza obbligatoria tra scuola/ lavoro pur introdotta con una legge del 2015 è stata poco praticata.

Nell’edizione per il 2019 del World University Rankings del Times Higher Education il primo ateneo italiano che s’incontra è la piccola scuola superiore Sant’Anna di Pisa, al 153°

posto. Nella classifica delle prime 2.000 Università ci sono la Norma-le di Pisa al 161°, quella di Bologna al 180°e di Padova al 201° posto. La Sapienza di Roma e gli Atenei di Mi-lano e Napoli sono tra il 250esimo e il 350esimo posto. Un abisso. Mentre le Università in cima alla classifica, inglesi (Oxford, Cambridge) e Usa, (Harvard, Yale) hanno un budget tra uno e due miliardi di dollari. Per tut-te le settanta Università italiane, lo Stato mette a disposizione appena sette miliardi di euro.

Un quadro che fa dire che manca una politica per la gioventù. In realtà manca anche un Ministero.

(smen)

Ristrutturazioni edilizie ed ecobonus

Attualmente di certo c’è quanto riportato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, nel Documento Programmatico di Bilan-cio 2019, il quale per favorire gli investimenti e la messa in sicurezza del territorio prevede le seguenti proroghe.

Bonus ristrutturazione1) Proroga al 31 dicembre 2019 della detrazione per gli interventi ristrut-turazione edilizia al 50 per cento (da suddividere in 10 quote annuali)mantenendo il tetto a € 96 mila.

Ecobonus2) Proroga al 31 dicembre 2019 della detrazione per gli interventi di effi-cienza energetica (da suddividere in 10 quote annuali) ma in misura in-feriore per alcune fattispecie (50 per cento invece che 65 per cento, per sostituzione di infissi, schermature solari, impianti di climatizzazione invernale tramite caldaie a condensazione e a biomassa), anche per gli immobili degli Istituti autonomi per le case popolari.

Bonus mobili3) Proroga per il 2019 della detrazione per l’acquisto di mobili e di gran-di elettrodomestici  di classe energetica elevata finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione. Ricordiamo che per accede-re al bonus mobili è necessario realizzare un intervento di ristruttura-zione edilizia approfittando del relativo bonus.

Bonus verde4) Proroga per il 2019 della detrazione al 36 per cento per interventi di cura, ristrutturazione e irrigazione del verde privato.

Resterebbero inoltre “in vita” gli sconti triennali previsti fino al 2021 per il sisma bonus e lo sconto dedicato alle parti comuni condominialiQuesto è quindi quanto indicato dal Ministro e quanto ora sui tavoli delle Commissioni che porteranno il Documento al vaglio del Parla-mento.Si era paventata una riduzione delle aliquote detraibili che attualmen-te non è indicata e di contro si sperava ad una proroga triennale che avrebbe messo in tranquillità i cittadini che potevano così avviare la-vori più impegnativi e di importi anche più ingenti.

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Alla fine di ottobre 2018, l’Osservatorio del mer-cato immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle entrate

ha pubblicato un nuovo Rapporto annuale dedicato ai mutui ipote-cari in Italia. Su questo tema l’OMI già provvedeva a fornire statistiche nell’ambito degli annuali Rappor-ti residenziali, ma limitatamente ai mutui contratti da persone fisiche, finalizzati all’acquisto della stes-sa abitazione ipotecata. Peraltro su questi dati si è già fornito un raggua-glio su questa rivista (vedi numero giugno 2017). La novità del nuovo Rapporto sta nel fatto che il cam-po di osservazione riguarda tutte le nuove iscrizioni ipotecarie registra-te annualmente. Le informazioni elaborate riguardano il capitale di debito erogato a fronte delle garan-zie immobiliari, il tasso di interesse, la durata.

Il Rapporto presenta una certa complessità, sostanzialmente per-ché gli atti d’iscrizione ipotecaria possono contenere ipoteche su una pluralità di immobili di tipologie diverse, a fronte di unico contratto di mutuo (un complessivo ammon-tare di credito concesso, un tasso di interesse e una durata), sicché per orientare l’analisi, l’OMI ha proce-duto a una complessa classificazio-ne per tipologia di atto, distinguen-doli in base alla destinazione d’uso (catastale) degli immobili ipotecati.

Nel corso del 2017 sono state ipo-tecate circa 917 mila unità immobi-liari (+3,9% rispetto al 2016), da cui è stato “estratto” un capitale di debito erogato, a persone fisiche e non, da istituti di credito e finanziari pari a circa 93,5 miliardi di euro, pari a cir-ca il 5,4% del Pil a prezzi correnti. In base alla classificazione anzidetta de-gli atti per tipo di immobili ipotecati, possiamo considerare la tabella 1.

Quel che è classificato come MISTO RES riguar-da gli atti in cui è stata ipotecata una pluralità di immobili di diverse tipo-logie, tra cui è presente almeno una abitazione. Per contro, il MISTO NON RES riguarda gli atti in cui è ipotecata, anche in questo caso, una plurali-tà di immobili di diverse tipologie tra le quali non è compresa alcuna abita-zione. La classificazione “Altro” riguarda l’iscri-zione ipotecaria di immo-bili censiti catastalmente in categorie diverse dalle precedenti.

Dalla tabella 1 si può osservare che sommando la voce abitazioni e pertinenze con quella delle per-tinenze, si ha che circa il 64% degli immobili ipotecati appartiene al comparto residenziale. Gli atti misti in cui è compresa almeno una abita-zione (MISTI RES) contengono il 21% degli immobili ipotecati nel 2017. La restante parte degli immobili ipote-cati attiene immobili non residen-ziali (circa 10%) e terreni (4,6%).

D’altra parte il capitale di debi-to erogato a fronte delle abitazioni e delle pertinenze è pari a circa 40 miliardi di euro (il 42 % del totale). Gli atti MISTI RES generano circa 17 miliardi di euro di capitale di debito (18% sul totale). Dagli immobili non residenziali ipotecati si “estraggo-no” 30 miliardi di capitale di debito (32%) e dai terreni 6,5 miliardi (7%).

Un tema interessante del Rap-porto è la rielaborazione dei dati in relazione alle compravendite im-mobiliari effettuate dai soggetti proprietari degli immobili ipoteca-ti. Per questa via si ricavano alcuni ambiti presumibili di destinazione del capitale erogato a fronte degli immobili ipotecati.

Nella tabella 2 sono stati riela-borati dati presentati dall’OMI. In particolare la domanda cui cerca di rispondere questa elaborazione è semplice: quanta parte del capitale di debito derivante dai mutui con garanzia ipotecaria su immobili è utilizzata per acquistare immobili (anche lo stesso ipotecato o altri), ovvero torna sul mercato immobi-liare ?

La risposta contiene tre gradi di possibilità di reinvestimento in im-mobili:certo (quando tutti gli immobili

ipotecati sono stati acquistati;possibili in parte, ma non deter-

minabile nel quantum (costituita da una pluralità di combinazioni, ma caratterizzata dal fatto che al-meno un soggetto proprietario di immobili ipotecati ha compiuto una compravendita immobiliare);

nessuna (quando nessun soggetto proprietario degli immobili ipo-tecati risulta aver effettuato una compravendita immobiliare).

Rapporto sui mutuiipotecari in ItaliaGianni Guerrieri

Tabella 1: N. immobili ipotecati e capitale erogato(anno 2017) Fonte: OMI-Agenzia entrate

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Esiste poi una serie di atti (e di capitali erogati) per cui non è possibile svolgere questo tipo di elaborazione.

È interessante notare che almeno il 45% del capitale erogato con mutuo ipotecario (circa 42 miliardi di euro) non finanzia il mercato immobiliare in senso stretto. È ovviamente possibile che tale capitale sia utilizzato co-munque per finanziare attività connesse all’immobilia-re (ristrutturazioni, restauri, manutenzioni ordinarie/straordinarie), ma in generale è probabile che sia impie-gato nel sostegno dell’attività economica prevalente del soggetto mutuatario. Nella figura 1 è dettagliato il dato della seconda colonna della tabella 2 per tipo di atto. Al riguardo, si evidenzia immediatamente che nell’ambi-to degli immobili ipotecati del comparto residenziale (abitazioni e pertinenze, ovvero RES, RES PLUS e PERT), qualora l’ipoteca attiene su una pluralità di abitazioni (RES PLUS), la quota di capitale reinvestita nel merca-to immobiliare è assai più contenuta che nel caso RES (rispettivamente 19% e 73%). È comunque interessante che anche nel caso di atti relativi a una sola abitazione ipotecata (con eventuali pertinenze) – RES – il 21,6% del capitale derivante dal mutuo non è stato utilizzato sul mercato immobiliare.

Si ha così la conferma che il patrimonio immobiliare di proprietà di famiglie e imprese, oltre al valore econo-mico in sé, ha un’importanza notevole nella possibilità di accedere a un capitale di debito che sostiene la do-manda sul mercato immobiliare, ma prevalentemente a sostegno delle altre attività economiche di investimento o di consumo.

Tabella 2: Destinazione capitale sul mercato immobiliare Fonte: ns elaborazioni su dati OMI-Agenzia entrate

Figura 1: composizione % per tipo di atto del grado di possibilità di reinvestimento nel mercato immobiliare del capitale di debito Fonte: ns elaborazioni su dati OMI-Agenzia entrate

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La rigenerazione del nostro sistema democratico rimane un tema tanto necessario quanto eluso. Esso giace da un quarantennio sul tavolo della discussione pubblica e politica tra indifferenza

e contrasti, tra tentativi falliti e progetti di riforma rin-novati, senza che si affacci all’orizzonte la ragionevole consapevolezza di dare corso ad una organica stagione di trasformazioni istituzionali.

Sono il tempo, la realtà dei fatti, le disfunzioni cro-niche e le storture continue cui il nostro sistema è sog-getto ad indicare le forme ed i percorsi più idonei da se-guire, ben sapendo che l’argomento rappresenta, oggi come ieri, un terreno accidentato su cui si sono scontra-ti destini e fortune politiche.

Nessuna democrazia occidentale, né tantomeno nessun Paese europeo, ha da così tanto tempo aperto questo capitolo senza risolverlo, così come nessun’al-tra realtà presenta un elevato grado di conflittualità su tale materia. È sufficiente questo raffronto non solo per rende l’idea dei ritardi accumulati, ma per comprendere la portata della sfida cui il Paese tutto dovrebbe sentirsi chiamato.

La ‘grande riforma’ è rimasta in questo clima di scontro continuo, di faziosità e di immobilismo un so-gno incompiuto, una chimera. Ma non è spostando la palla in avanti o ignorando la questione che riusciremo a dipanare una matassa sempre più intricata che, tut-tavia, risulta decisiva per ridare impulso e slancio alle istituzioni democratiche ed alla vita politica, quanto per sostenere la ripresa del nostro sistema economico e produttivo.

Infatti, il mantra secondo cui le ‘riforme costituzio-nali’ non generano crescita e sviluppo è stato tanto sba-gliato quanto fuorviante ed ha rappresentato nel corso di questi anni un alibi di comodo per celare fallimenti, ipocrisie, incapacità ed omissioni di una classe gover-nante il cui orizzonte è sbarrato dalle continue scaden-ze elettorali e dalla miopia di chi, guarda ad esse, come unico metro di giudizio, dimenticando quello della sto-ria.

Da troppo tempo abbiamo un sistema soggetto a cri-

I problemi del sistemapresidenzialeStefania Craxi*

si ricorrenti, prossimo al collasso, in cui i tempi, i luoghi e la stabilità delle decisioni rappresentano variabili di-pendenti e condizionanti per quanti investono nel no-stro Paese e per quanti, pur tra mille difficolta, vi ope-rano con coraggio e passione.

Non è un caso se gli effetti della perdurante crisi economica si sono rivelati assai più forti e provanti nel nostro Paese. Essi si sono innestati in un corpo già ma-lato, hanno fatto il paio con una ancor più profonda crisi della politica e delle istituzioni, dando luogo a reazioni sociali dirompenti ed a fenomeni politici che non rap-presentano una risposta coerente alle istanze di riforma e di cambiamento che pur emergono con forza.

La falsa rivoluzione di ‘Tangentopoli’ ha lasciato sul campo macerie che non sono state sgombrate e con-traddizioni profonde con la stagione del bipolarismo maggioritario a costituzione invariata, che ha acuito, com’era del tutto prevedibile, lo ‘spread’ tra costituzio-ne ‘materialè e ‘formalè.

È un vuoto in cui con il trascorrere degli anni si è in-cuneato di tutto, in cui prosperano conflitti tra poteri, tra organi dello Stato ed in cui cresce lo scollamento tra politica e cittadini.

A pagarne le conseguenze è stata la qualità della nostra democrazia, con riverberi sul fronte dei diritti e delle libertà, delle garanzie e delle prerogative del cit-tadino, specie quando queste interessano il fronte della giustizia.

Abbiamo confidato, specie agli albori della seconda repubblica - nata proprio sullo scontro nefasto tra po-litica e giustizia - nelle virtù taumaturgiche dei mec-canismi elettorali, alle quali vanamente si è più volte fatto ricorso, senza però prendere atto che la sola legge elettorale non può dare le risposte desiderate e che ri-chiedono le nostre Istituzioni per un corretto funziona-

DIBATTITO SULLE RIFORME ISTITUZIONALI

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mento. La legge elettorale può certamente indirizzare i comportamenti delle forze politiche ed in parte degli stessi elettori, ma non ‘normalizza’ il sistema. Anzi, l’uso capestro che ne è stato fatto ha finanche, se pos-sibile, aggravato i mali già presenti.

Su tale materia serve pertanto una ‘moratoria’. Si vari prima una ‘riforma’ che metta mano alla forma di governo e dopo - solo dopo - un meccanismo elettorale coerente.

Se analizzassimo con attenzione i fatti, se fossimo in grado di recepire la lezione della storia scevri da logiche di parte e dalla cultura del tifo che fin dagli anni ’70 si è impossessata della materia costituzionale, capiremmo che senza un’evoluzione coerente della nostra forma di governo, i default di sistema si presenteranno in forma sempre più acuta e drammatica.

Il rischio, è quello di condannare il Paese alla para-lisi, all’incapacità cronica di governare i mutamenti in atto nella società ed i processi economici e produttivi, perdendo così opportunità ed occasioni che potrebbero contribuire ad una stagione di rinascita.

Il tema della ‘forma di governo’ è pertanto il cuore della questione. Non mi illudo certo che sia la materia dei prossimi mesi viste e considerate tanto le contin-genze quanto le urgenze, nonché l’inadeguatezza del-la maggioranza. Ma rimane un nodo insoluto che, alla prima occasione, anche dopo un nuovo voto e con una nuova leggere elettorale, non mancherà di ripresentarsi con tutta la dirompenza del caso.

La strada da intraprendere non può quindi che es-sere quella del Presidenzialismo. Non è solo un valido ed efficiente sistema di governo, ma rappresenta per il nostro Paese una terapia d’urto utile ad affrontare e ri-solvere antichi mali e nuovi vizi.

Ma non solo. Serve un meccanismo di governo atto a

ridare protagonismo diretto ai cittadini, molti dei quali sono oggi sedotti, un po’ come Ulisse con le sirene, dai richiami sibillini di quanti, celandosi dietro la teorizza-zione della ‘democrazia diretta’, coltivano un disegno di disarticolazione e di disgregazione della società at-traverso la distruzione di ogni corpo intermedio.

È questa una premessa inquietante che porta, nella sua attuazione più avanzata, alla destrutturazione della ‘democrazia rappresentativa’, cardine fondante delle liberldemocrazie moderne ed unico modello in grado di garantire un’effettiva libertà ed una compiuta forma democratica.

Tutta l’esperienza e la stessa storia dell’ultimo quarto di secolo spingono verso un sistema di gover-no semipresidenziale. Non è un caso se tale modello sta ormai sostituendo quello parlamentare ed è oggi di gran lunga maggioritario nel globo. Le realtà pre-sidenziali sono quelle che più di ogni altra riescono a far fronte ed a garantire con coerenza, senza torsioni ed iperboli poco comprensibili all’elettorato, governabili-tà e rappresentatività, specie innanzi alla scomposizio-ne degli assetti tradizionali dei sistemi politici ed alla nuova polarizzazione, che potremmo impropriamente semplificare tra forze ‘sistema’ ed ‘antisistema’.

Le resistenze e le perplessità verso una riforma di tipo semipresidenziale, motivate dalla paura di una eccessiva concentrazione di potere nelle mani di una sola figura istituzionale, lasciano il tempo che trovano. Il rischio, semmai, è l’opposto. Le derive autoritarie, nonché lo stesso dibattuto conflitto tra élite e popolo, sono piuttosto il frutto dell’ingovernabilità, dell’im-mobilismo, dell’incapacità di reagire con tempismo e decisione alle urgenze ed agli accadimenti quotidiani ed alla conseguenziale inadeguatezza nel dare risposte ai cittadini.

Dobbiamo temere la paralisi, l’inerzia, non certo la decisione e la vitalità istituzionale. Dobbiamo liberarci dei fantasmi del passato, che tali devono rimanere, e che, semmai, vanno esorcizzati con lo studio e la cono-scenza dei fatti storici al fine di non ripetere errori già compiuti.

Per raggiungere l’obiettivo di una ‘grande riforma’ il metodo che si intenderà adottare non rappresenta una variabile indipendente.

Preso atto delle recenti esperienze, è evidente che bisogna individuare soluzioni che, pur restando nel re-cinto della legittimità costituzionale, superino le pro-cedure ordinarie del 138 (lo stesso Messaggio alle Ca-mere di Cossiga del giugno ‘91 sulle riforme è ricco di spunti in tal senso). Ripercorrere le strade già esplorate equivarrebbe a condannare ogni nuovo tentativo di ri-forma a sicuro fallimento. Nel migliore dei casi il giudi-zio dell’elettorato non sarebbe sul merito della riforma, ma sul gradimento politico della maggioranza o dell’e-secutivo che la sposa o la promuove.

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MATERA CAPITALE DELLA CULTURA EUROPEARiflettori puntati, dal 19 gennaio 2019, su Matera la città dei sassi inserita dall’ONU dal 1993 nella lista dei beni patrimonio dell’u-manità. L’Italia in materia di bellezze archeologiche, culturali e paesaggistiche è tra i paesi maggiormente presenti nella lista.Per un anno da quella data la città della Basilicata sarà al centro per cinquanta settimane di un’intensa programmazione di eventi all’insegna di “Matera capitale europea della cultura”.Una manifestazione, a quindici anni di distanza da quella di Ge-nova che si tenne nel 2004, che vuole trasmettere il messaggio di una cultura aperta al confronto mondiale.I temi scelti per il dossier sono cinque: radici e percorsi, continui-tà e rotture, futuro remoto, utopie, riflessioni e connessioni.Si tratta di uno sforzo impegnativo che si avvale di diciannove mi-

lioni di euro erogati dal Ministero dei beni culturali, undici messi a disposizione dal Ministero dell’economia, dieci dalla Regione Basilicata e uno dal Comune di Matera.Altri sette milioni di euro di finanziamenti arrivano dai privati di cui il 50 per cento da alcuni grandi sponsor e l’altro 50 per cento dal merchandising. In particolare, gli interventi sono finalizzati a migliorare l'accoglienza, l'accessibilità dei visitatori, il sistema di sicurezza della mobilità e il decoro urbano, e per l'attuazione del pro-gramma culturale Il contenimento delle spese è nella logica della razionalizzazione della programmazione che in un primo momento, osserva il direttore Pietro Verri, prevedeva una spesa di cinquantadue milioni.

L’Assemblea costituente, la bicamerale o quel che sarà, non può pertanto avventurarsi sulla strada di una riforma al buio, senza un indirizzo ed un coin-volgimento popolare preventivo. Siano i cittadini ad indicare la rotta, così come fecero nel ’48 quando le forze politiche non trovavano l’accordo sulla forma di Stato (Repubblica o Monarchia), attraverso la cele-brazione di referendum di indirizzo.

Scelgano la forma di governo su cui lavorare; scel-gano tra una forma presidenziale o un cancellierato. E perché no, anche se mantenere lo status quo, as-sumendosi così tutte le responsabilità del caso. Pa-rallelamente a questa scelta, i cittadini dovrebbero anche esprimersi ed indicare la propria preferenza su un’organizzazione federale o centralista dello Stato e su alcune questioni di maggior rilievo ed insolute. Su tutte, il capito che interessa l’Ordinamento giudizia-rio (Csm, Separazione delle carriere, ecc…).

È una strada di buon senso che, proprio nell’attua-le travagliata ed articolata fase storica, per necessità magari più che per virtù, può vedere luce. Aprire una seria discussione nel Paese tra forze vive e respon-sabili, tra le forze della ragione e del buonsenso, non è quindi un esercizio retorico, né tantomeno materia d’accademia.

Significa, piuttosto, introiettarsi in una discussio-ne sul domani, tracciare il futuro per una democrazia viva, fatta di cittadini consapevoli e non di semplici follower, utili da aizzare alla bisogna, ma nella realtà del tutto incapaci di incidere e contare.

*Presidente onorario della Fondazione Craxi, editorialista della

rivista "Le Sfide", Parlamentare

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IL PUNTO

Le lacrime del coccodrillo

C'è una città nella città. Luoghi sottratti alla legalità, dove la polizia non può entrare e dove l'unica legge è quella dello spac-cio e della violenza. L'ultimo caso ha avuto come scenario San Lorenzo. Ma di posti così, nella capitale governata da Virginia Raggi, ce ne sono a decine. Sparsi in molti quartieri. Ce ne sono al Pigneto e ce ne sono sulla via Tiburtina. Tante piccole Scam-pie o peggio. Dove si entra solo dopo aver passato l'esame delle vedette sistemate a controllare gli ingressi. Piccole repubbliche, antistato, tollerate da decenni da tutte le amministrazioni che si sono succedute al timone della città. Non sono palazzi occupati, che pure rappresentano un problema enorme per la legalità, per uno Stato che non riesce più a fare lo Stato. Qui siamo di fronte a baracche, favelas, capannoni abbandonati e riconquistati da un popolo di emarginati, spacciatori, immigrati, delinquenza spic-ciola.

In via dei Lucani a San Lorenzo la situazione è la stessa. Pic-coli capannoni che ospitavano attività artigianali che quando la crisi ha cominciato a mordere con più ferocia hanno gettato la spugna e hanno chiuso i cancelli. E quelle baracche sono diven-tate terra di nessuno. Dove nessuna amministrazione ha avu-to il coraggio di entrare e ripristinare la legalità. E a nulla sono servite le proteste dei residenti, esasperati da una movida che, la sera, sette giorni su sette, trasforma il quartiere in un’enorme piazza di spaccio dove si aggirano ragazzi ubriachi.

Ma vietare la vendita di alcolici, come ha fatto la sindaca, non risolve il problema. È come voler svuotare il mare con un secchiello, un'aspirina per guarire un tumore. Una mossa de-magogica e basta. La vera piaga sono le strade alle spalle di san Lorenzo, dove chi entra lo fa solo per cercare droga e per dro-garsi. Lo sanno bene i poliziotti che per due volte, ad aprile e a marzo di quest'anno hanno dovuto rinunciare a inseguire degli scippatori che si erano rifugiati in quel dedalo di vicoli, cunico-li, pertugi, mura diroccate e tetti sfondati. La prima volta sono stati costretti a correre dietro, alle due e mezzo di notte, due romeni che avevano preso a bastonate un ragazzo che rincasava per rubargli il portafoglio. La seconda volta cercavano di affer-rare un tunisino, anche lui in fuga dopo uno scippo. Lì, in via dei Lucani, la notte lo Stato non è più Stato, la città non è più città. Come nelle baracche lungo la via Tiburtina o nello scheletro di un palazzo mai costruito sulla stessa strada a ridosso del Rac-cordo Anulare.

Matteo Salvini, in visita al quartiere dopo la morte di Desirée ha annunciato che il suo ministero farà in un anno quello che le amministrazioni comunali non sono riuscite a fare in venti. Che sostanzialmente vuol dire fare pulizia. Ci riuscirà? Per il mo-mento c'è da registrare un fatto positivo, un cambio importante di prospettiva: nonostante le critiche a un ministro visto troppo di destra, il quartiere si è schierato con lui chiedendo legalità. E isolando quei pochi esponenti dei centri sociali che sono anda-ti a san Lorenzo per fischiarlo e insultarlo. Può essere un buon inizio.

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La ricerca di Uil-Eures è sta-ta impietosa: a Roma e nel Lazio si pagano più tasse locali che in tutt’Italia ma i

servizi pubblici sono fra i peggiori. Qualche dato: la media di Irpef re-gionale pagata da ogni romano è di 636 euro (a Milano sono 406) e l’ad-dizionale comunale è di 278 euro, ben oltre lo standard nazionale. «Con tali primati di contribuzione – scrive Il Corriere della Sera – do-vremmo aspettarci una città linda come un fazzoletto ricamato, bus e tram che sfrecciano puntuali, silen-ziosi e senza smog, giardini pubblici alla francese, pronto soccorso senza coda, un arredo urbano gradevole e ben tenuto e via dicendo». La realtà invece, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti. Ne è conferma un recente sondaggio sulla qualità della vita cittadina, secondo il quale i romani si dichiarano molto insoddisfatti, in particolare, della gestione dei rifiu-ti e del funzionamento dei trasporti (si salva solo la cultura, grazie ai te-sori storico-artistici).

Tornando alla ricerca realizzata dalla Uil del Lazio, in collaborazio-ne con l’Eures, elaborando dati del ministero dell’Economia e parago-nandoli con quelli delle altre regio-ni e delle altre città metropolitane, emerge che a Roma e nel Lazio nel 2017 ogni cittadino ha versato di Irpef regionale 636 euro in media (il 37,3% in più rispetto al 2013). E l’addizionale comunale per i roma-ni è arrivata a 278 euro (il 12,9% in più rispetto al 2013). Analizzando il quadro generale, l’Irpef è al pri-mo posto tra le fonti delle entrate tributarie nazionali: ammonta, in-fatti, al 36% degli introiti comples-sivi facendo incassare all’erario 156

miliardi, ben un quinto del reddito complessivo dichiarato in Italia. Nella classifica dell’Irpef regionale un cittadino ha pagato nel Lazio 636 euro, in Piemonte 514 e in Lombar-dia 406. Va peggio in Campania con un’aliquota di 460 euro, mentre in Sicilia si sono versati in media 385 euro. Quanto alle città metropoli-tane che risentono dei prelievi più consistenti, in testa è la Capitale nella quale un cittadino ha versato in media 278 euro (+12,9% rispetto al 2013), seguita a ruota da Milano con 277 euro in media (dove l’au-mento è però arrivato al +44%). Se-guono distanziate Torino (199 euro), Napoli (189) e Palermo 186 (somma uguale alla media nazionale).

Lapidario il segretario generale della Uil del Lazio, Alberto Civica: «Una situazione quella della Capi-tale che abbiamo più volte denun-ciato perché, se è vero che i romani ricevono pro capite 11 euro in più di trasferimenti pubblici rispetto ai milanesi (287 euro Roma e 276 Mi-lano), è anche vero che i nostri con-cittadini pagano oltre 200 euro in più di Irpef regionale e comunale». Lo stesso vale per gli incrementi su scala nazionale: «L’aumento delle maggiorazioni locali nel resto del Paese è pari in media al +13% per le addizionali regionali e al +19,8% per quelle comunali – continua Civica – cioè meno della metà degli aumenti subiti dai romani, i quali continuano a fare i conti con costanti situazioni di crisi e con una tassazione che è la più alta del Paese e che, paradossal-mente, non produce alcun servizio aggiuntivo. Anzi». La qualità della vita nella Capitale «è di gran lun-ga inferiore a quella degli abitanti delle altre regioni – osserva il sin-

dacalista della Uil – E non ci riferia-mo soltanto allo smaltimento dei rifiuti, la cui aberrazione è sotto gli occhi di tutti, ma alla manutenzio-ne delle strade e del verde pubblico, alla carenza di organico nelle scuole comunali e quindi ai posti sempre più esigui negli asili nido».

Sulla questione Il Corriere della Sera ha intervistato Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi del-la Cgia di Mestre, esperto di fisco e tasse: «Sebbene dal 2015 le Regio-ni e i Comuni non possano più au-mentare le tasse locali (come l’Imu, la Tasi, le addizionali Irpef, l’addi-zionale regionale Irap), per le ta-sche degli italiani le cose non sono migliorate. Molti amministratori hanno continuato ad alimentare le proprie entrate agendo sulla leva tariffaria. Da tre anni, però, l’in-troduzione di sgravi e detrazioni (come quelle promosse dalla Regio-ne Lazio) per i contribuenti meno abbienti è stato un atto dovuto che in parte ha compensato questa smi-surata corsa agli aumenti registrati delle tasse locali. Non ci sono ricet-te miracolistiche, ma a Roma, come nel resto del Paese, è necessario ridurre il carico fiscale che ha rag-giunto livelli non più sopportabili».

Che le cose non siano cambiate lo dimostra la “Mappa del fisco lo-cale” realizzata meno di un anno fa dal Centro studi di Unimpresa. Tra i tanti record della Capitale e del Lazio, secondo la ricerca, il 2017 si è chiuso con il poco invidiabile pri-mato delle tasse locali più alte d’I-talia su imprese, famiglie, capan-noni industriali e case: e anche nel 2018 Irpef e Imu hanno raggiunto i massimi consentiti (pari rispetti-vamente a 4,23% e 1,06%), con Irap e Tasi appena un filo sotto (4,82% rispetto al tetto di 4,97 e 0,25% ri-spetto al top fissato allo 0,33). Se la città e tutto il Lazio sono stati i più tartassati, non se la sono pas-sata meglio gli abitanti di Torino, Napoli, Genova, Bologna, Ancona e Campobasso. L’analisi, realizzata elaborando dati dell’Agenzia delle entrate e della Corte dei conti, vede poco distanti Firenze, Palermo e Pe-

Romani, forti imposte per servizi inesistentiC'è grande insoddisfazioneper la gestione dei rifiuti, i trasporti pubblici e la mobilità in generale

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rugia, più staccate Milano, Cagliari e L’Aquila. Fisco leggero, invece, a Venezia, un centro che non è mai tra le città con le aliquote elevate. Per il vicepresidente di Unimpre-sa, Claudio Pucci, «le tasse record a Roma hanno un’origine precisa: la Capitale paga decenni di catti-va gestione e, senza entrare troppo nei dettagli politici, le responsabi-lità sono da condividere fra tutti gli schieramenti che hanno avuto in mano la guida del Campidoglio». L’associazione imprenditoriale non ha risparmiato critiche ai vertici at-tuali del Comune: «Chi è arrivato da poco si è illuso e, forse, ha illuso l’elettorato, di poter risolvere i pro-blemi con la bacchetta magica. Ma qui non c’è spazio per i miracoli».

Nella sua ricerca Unimpresa ha assegnato tre punti su una scala da uno a quattro: più è alto il punteg-gio, più è pesante la mano del Fisco. E, tra le sette le città col carico di imposte al top, nel 2017 a Roma si è pagato il 4,82% di Irap (Imposta regionale sulle attività produttive), una tassa a tutti gli effetti propor-zionale al fatturato dell’azienda, a prescindere dall’utile di esercizio. Dal 2008 questa gabella dipende dalla Regione. Solo in Campania e in Molise si paga un’Irap più alta (4,97) che nel Lazio. Un vero record è quello dell’Irpef: i romani devo-no versare il 4,23% di imposta sul reddito delle persone fisiche che nel 2018 è proporzionale. In prati-ca è calcolata sui redditi percepiti nel corso del 2017 cui si applicano specifici scaglioni e addizionali co-munali e regionali che hanno fatto lievitare fino al massimo consentito il tetto dell’addizionale.

Insomma, una situazione de-solante, aggravata dal fatto che, a fronte di questa tassazione, la cit-tà non corrisponde adeguati servi-zi per quel che concerne la pulizia e la manutenzione delle strade, la raccolta dei rifiuti, il trasporto pub-blico, l’inquinamento, l’arredo ur-bano.

S.F.

L’industria del Lazio, tremila imprese, 220 mila dipendenti delle cinque province, cam-mina su terreni impervi, con

infrastrutture materiali e immateriali inadeguate, all’economia del millennio, senza un sostegno reale di tutela e salvaguardia dei rischi idrogeologici, provocati dal cambiamento climatico e dal rischio si-smico.

Davanti a circa mille imprenditori di Roma, Viterbo, Rieti, Frosino-ne e Latina il presidente di Unindustria Filippo Tortoriello ha svolto un’ampia disamina dei problemi sociali della Regione Lazio.

Interventi attesi da anni, tra cui la chiusura dell’anello ferroviario della Capitale e la linea Orte-Civitavecchia, sono bloccati da impedi-menti giuridici, burocratici, urbanistici.

Sono fatti positivi quelli dell’accorpamento dei cinque enti che ge-stiscono i Consorzi industriali e la fine del commissariamento della sanità regionale nel 2019.

Manca la pianificazione del territorio e quindi gli interventi che pos-sono incidere sul futuro. Non c’è stata e non s’intravede una visione strategica unitaria.

Per il presidente Tortoriello preoccupa lo scivolamento della capitale verso il basso nei confronti internazionali.

«Come industriali vorremmo, ha precisato Tortoriello, trovare in chi governa quell’alto senso di responsabilità che impone la guida di una Capitale. Un credito di fiducia elettorale importante non può essere impegnato solo in operazioni di piccolo cabotaggio amministrativo. Sono gli stessi cittadini romani a descrivere una città ferma, intrap-polata dalle sue consuete difficoltà».

Per Tortoriello «quel vento che doveva cambiare Roma, non si per-cepisce. Unindustria ha sempre dimostrato rispetto per la politica, abbiamo riconosciuto alla Sindaca le difficoltà della situazione in cui iniziava il suo mandato e ci siamo imposti un esercizio di riflessio-ni molto paziente. Quest’attesa sembra essere vana e lo status quo ci preoccupa soprattutto per non avere ancora ascoltato un’idea chiara su come Roma dovrebbe diventare nei prossini 20-30 anni. Manca la visione unitaria».

Gli industriali del Lazio hanno promosso “Roma Futura 2030-2050”, un progetto concreto per la messa a punto di un “masterplan” con obiettivo di sviluppi misurabili nell’arco temporale dei prossimi 30 anni.

La partita è già iniziata. Tutte le capitali più importanti si sono dotate di un piano strategico per caratterizzarsi in maniera unica in questa competizione.

Londra vuole diventare la città più grande d’Europa. Berlino intende trasformarsi in un hub dell’innovazione economica e scientifica. Pa-rigi s’immagina come un’icona di stile mondiale.

Secondo gli industriali, Roma dovrebbe diventare una delle venti grandi capitali del nuovo millennio ed essere riconosciuta come “la città più bella del mondo”.

(red. econ.)

Roma Futurasecondo Unindustria

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Flash

Una vittoria del Coordinamento (FEDERPRO-PRIETÀ – CONFAPPI – UPPI - Movimento per la Difesa della Casa)

Il Comitato Unitario dei proprietari immobiliari (FE-DERPROPRIETÀ – CONFAPPI – UPPI - Movimento per la Difesa della Casa) ribadisce la propria soddisfazione al Governo, che accogliendo le richieste più volte avanzate dal Comitato stesso in rappresentanza della categoria, ha finalmente introdotto nella legge di bilancio l’estensione del canale concordato alle locazioni di unità immobilia-ri ad uso commerciale, con conseguente possibilità per i proprietari di fruire dell’aliquota fiscale ridotta (c.d. ce-dolare secca). Ritiene tuttavia, per ulteriore chiarezza, di suggerire che la locuzione “commerciale” sia integrata dalla formula “comprese le attività artigianali” .

Nel contempo sollecita il Ministro per le infrastrutture e i trasporti a porre mano tempestivamente agli adem-pimenti necessari per gli adeguamenti della convenzione

nazionale di cui alla legge n. 431/1998.

Convegno a Torino

Grande successo di pubblico e di addetti ai lavori del pri-mo Convegno organizzato da FEDERPROPRIETÀ Torino nel-la prestigiosa sede del Golden Palace di Torino.

Erano presenti come ospiti il Presidente Nazionale UPPI, avv. Gabriele BRUYERE, il Presidente dell’Ordine Architetti di Torino Massimo GIUNTOLI, il Responsabile ANCE Torino, ing. Marco ROSSO, la dottoressa Daniela RENDINE, com-mercialista, e rappresentanti delle Istituzioni regionali tra i quali i membri della Commissione edilizia, Andrea TRON-ZANO ed Elvio ROSTAGNO.

Sono intervenuti inoltre, i membri del Direttivo torine-se, arch. Gabriella GEDDA, ing. Claudio MUSUMECI, arch. Djamal TABATABAI.

Ha presentato e condotto il convegno, il dott. Roberto SALERNO, Presidente di FEDERPROPRIETÀ Torino e l’ha concluso con grande stile il Vicepresidente nazionale, avv. Giovanni BARDANZELLU.

Calabria: contratti di locazioneLe locazioni abitative costituiscono ormai un vero rebus

e i relativi contratti si concludono spesso mediante scrittu-re che, pur apparendo formalmente corrette, sono spesso contrarie alla legge e rischiano di essere poste in dubbio in ogni momento, con notevoli danni potenziali sia per i pro-prietari sia per gli inquilini.

Di questo si è parlato nel Convegno «Gli accordi terri-toriali per le locazioni: ambito e modalità di applicazione», organizzato da FEDERPROPRIETÀ Calabria che si è svolto il 21 ottobre scorso presso EDILEXPO nel Parco Commerciale “Le Fontane” di Catanzaro Lido.

L’evento è stato presentato dalla dottoressa Tommasina Lucchetti, Presidente regionale della Federazione, con rela-zioni degli avvocati Francesco Granato e Ugo Gardini.

Hanno partecipato anche altre Organizzazioni della Proprietà: UPPI, ASPPI, Movimento in Difesa della Casa, e dell’inquilinato, ANIA e Federcasa.

FEDERPROPRIETÀ all'Expo di BolognaSi è svolta giovedì 18 ottobre a Bologna presso la Fiera pa-diglione 25 la IV edizione di «CondominioItalia Expo», la partecipazione della FEDERPROPRIETÀ, rappresenta-ta dall’avv. Mauro Mascarucci. Il convegno, presieduto dal Presidente di Cassazione dott. Roberto Triola, si è svolto sul tema della responsabilità civile e penale dell’amministra-tore di condominio con numerosi interventi.

Biennale del Condominio a BariFEDERPROPRIETÀ ha preso parte, con i propri rappre-

sentanti, alla Biennale del Condominio Bari (BICOBA) la cui seconda edizione si è svolta lo scorso mese di ottobre.

L’on. Anna Rita Tateo è intervenuta (anche in sosti-tuzione del Sottosegretario di Stato alla Giustizia, Jacopo Morrone), per annunciare che il governo intende istituire, presso il Ministero della giustizia, un registro nazionale degli amministratori, i quali, se in possesso dei necessari requisiti, potranno iscriversi dopo avere pagato una con-tenuta tassa.

Ai lavori ha partecipato, per FEDERPROPRIETÀ, il Vice-presidente nazionale, avvocato Francesco Granato.

Convegno dell’UNAIIl 13 ottobre u.s. presso il Radisson Blu Hotel in via Fi-

lippo Turati, Roma, si è svolto un convegno organizzato dall’UNAI sul tema: «Gestione del fabbricato in sicurezza, efficienza, tranquillità nell’interesse di tutti».

A conclusione dei lavori, ai quali hanno partecipato, tra gli altri, il prof. Paolo Rocchi della Sapienza e l’on. Marcello De Vito, Presidente dell’Assemblea Capitolina, ha portato il saluto della FEDERPROPRIETÀ, il Presidente Nazionale Massimo Anderson, il quale ha puntualizzato che le batta-glie di FEDERPROPRIETÀ convergono con le esigenze degli amministratori.

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di Mauro Mascarucci

GIURISPRUDENZA

1) Termine per impugnare la delibera condominiale

Secondo Ordinanza della Corte di Cas-sazione n. 24399, pubblicata in data 4 ottobre 2018 ai fini del decorso del termine d’impugnazione, ex art. 1137 c.c., ove la comunicazione del verba-le assembleare al condomino, assente all'adunanza, sia stata data a mezzo raccomandata con avviso di ricevimen-to, la stessa deve aversi per eseguita, in caso di mancato reperimento del destinatario da parte dell'agente po-stale, alla stregua dell'art. 1335 c.c., al momento del rilascio del relativo avvi-so di giacenza del plico presso l'ufficio postale, in quanto idoneo a consentirne il ritiro (e quindi indipendentemente dal momento in cui la missiva viene ri-tirata), salvo che il destinatario dedu-ca e provi di essersi trovato senza sua colpa nell'impossibilità di acquisire la detta conoscenza. È opportuno ricor-dare come della questione si sia inci-dentalmente occupata anche la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 52, del 21 marzo 2014, con la declaratoria di manifesta inammissibilità della que-stione di legittimità costituzionale de-gli artt.1137,1334 e 1335 c.c.Ciò posto tale interpretazione è stata, altrettanto di recente, messa in discus-sione dalla stessa Suprema Corte (Sent. 25791/2016), la quale ha dato atto del sopra detto (quasi) costante orienta-mento ma, nondimeno, ha osservato che «questa Corte ha affermato che la prova dell'avvenuto recapito del-la lettera raccomandata contenente il verbale dell'assemblea condominia-le all'indirizzo del condomino assente all'adunanza comporta l'insorgenza della presunzione "iuris tantum" di co-noscenza, in capo al destinatario, posta dall'art. 1335 c.c., nonché, con essa, la decorrenza del "dies a quo" per l'impu-gnazione della deliberazione, ai sensi dell'art. 1137 cod. civ. (cfr. Sez. 6 - 2, Sentenza n. 22240 del 27/09/2013 Rv. 627897)», ritenendolo condivisibile, ma che, tuttavia, solo «ove lo si col-leghi effettivamente "all'avvenuto recapito dell'atto all'indirizzo del con-domino assente", ma il problema per

l'interprete sorge allorché l'atto non venga, di fatto, recapitato all'indirizzo ma venga compiuto solo un tentativo di recapito stante l'assenza del destinata-rio o delle persone abilitate alla ricezio-ne: in tale ipotesi appare davvero arduo estendere la suddetta regola perché il presupposto è ben diverso». La stessa ricorda come la fattispecie, in assenza di esplicita previsione normativa, do-vrebbe essere trattata alla stessa stre-gua della notificazione degli atti giudi-ziari effettuata a mezzo posta, discipli-nata dall'articolo 8 Legge n. 890/1982.

2)Muro di recinzione del giardino non è bene comune

Secondo la Corte di Cassazione ordi-nanza n. 22155, depositata il 12 settem-bre 2018, l’art.1117 c.c. contiene un’e-lencazione solo esemplificativa e non tassativa dei beni che si presumono comuni, poiché sono tali anche quelli aventi un’oggettiva e concreta desti-nazione al servizio comune, salvo che risulti diversamente dal titolo, mentre, al contrario, tale presunzione non ope-ra con riguardo a beni che, per le pro-prie caratteristiche strutturali, devono ritenersi destinati oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.Il muro di recinzione che delimita il giar-dino di proprietà esclusiva, quand’an-che inserito nella struttura dell’intero immobile in condominio, in assenza di titolo contrario, non può ritenersi bene comune, in considerazione del fatto che per sua natura è destinato a svol-gere funzione di contenimento del giardino e, pertanto, edificato a tutela degli interessi del singolo proprietario. Conseguentemente, le spese di manu-tenzione dello stesso sono poste esclu-sivamente a carico del condomino pro-prietario.Una condomina, proprietaria dell’abi-tazione – con annesso giardino – sita al piano terra dell’edificio condominiale, ritenendo il muretto di recinzione del suddetto giardino di proprietà comune tra i condòmini, chiedeva al Tribunale di Palermo di accertare la condominialità

del muro di cinta e, pertanto, di porre a carico di tutti i condòmini, le spese necessarie alla riparazione dello stesso. Il Tribunale di Palermo accoglieva la do-manda, tuttavia, la Corte d’Appello del capoluogo siciliano, nel frattempo adita dal condominio, riformava la sentenza di primo grado affermando la proprie-tà privata del muro perimetrale, in re-lazione alla funzione effettivamente svolta dallo stesso e in assenza di titolo contrario.

3) Amministratore e controllodella contabilità

Secondo il Tribunale di Roma, sez. V, 2 ottobre 2018 sentenza n. 18600 l'arti-colo 1130 bis del codice civile stabilisce che il rendiconto condominiale, oltre ad avere uno specifico contenuto, si com-pone, tra l'altro, di un registro di con-tabilità, mentre l'articolo 1130, comma 1, n. 7, dello stesso codice, dispone che il registro di contabilità deve contenere l'annotazione in senso cronologico dei singoli movimenti in entrata e in usci-ta.Da tali disposizioni discende quindi che il registro di contabilità è parte essen-ziale del rendiconto di gestione, poiché ha la funzione di fornire una rappre-sentazione precisa delle spese effet-tuate e dei versamenti ricevuti e quindi di consentire ai singoli partecipanti del condominio la verifica dei dati inerenti alla situazione economica e patrimo-niale riportati nell'atto di rendiconto.Premesso ciò, in giurisprudenza, è stato affermato che in tema di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea condominiale, benché l'amministrato-re del condominio non abbia l'obbligo di depositare la documentazione giu-stificativa del bilancio, egli è tuttavia tenuto a permettere ai condomini che ne facciano richiesta di prendere visio-ne ed estrarre copia, a loro spese, della documentazione contabile, gravando sui condomini l'onere di dimostrare che l'amministratore non ha loro con-sentito di esercitare detta facoltà.

* Avvocato, consulente

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Officina meccanica nell’edificio ed emissioni sonore intollerabili

Ai sensi dell’art. 844 c.c. sono considerate illecite le immissioni intollera-bili, di qualsiasi natura,

comprese quelle sonore.

L'art 844 del codice civile con-tiene il cosiddetto divieto di immis-sioni per il quale è interdetta al pro-prietario di un fondo la possibilità di determinare immissioni nel fondo del vicino se superano la normale tollerabilità o per converso nell'ac-cezione positiva il proprietario di un fondo può dar corso ad immis-sioni nella proprietà del vicino so-lamente a condizione che rientrino nella normale tollerabilità. Per im-missioni possono intendersi tutte quelle intrusioni di tipo immateria-le (fumo, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e consimili) che deri-vano direttamente o indirettamente dall'attività (emissioni rumorose) del proprietario di un fondo e che finiscono per interferire e conflig-gere in senso deteriore col diritto di proprietà del vicino limitando se non impedendo il legittimo e pieno godimento del fondo stesso.

Le immissioni di rumore vietate dalla legge sono quelle che supera-no la c.d. "normale tollerabilità". Contro le immissioni rumorose è prevista una tutela sia in sede civile (art. 844 e 2043 del codice civile) sia in sede penale (articolo 659 del co-dice penale). C'è peraltro una tutela in sede amministrativa, anche se nei fatti è risultato sempre piutto-sto difficile convincere la pubblica amministrazione ad intervenire a tutela dei privati.

L’art.844 c.c. stabilisce che il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo, ca-lore, scuotimento o rumore prove-

nienti dal fondo del vicino, tranne nel caso in cui le stesse superino il limite della normale tollerabilità.

Il concetto di normale tollera-bilità non è stato ben definito dal legislatore. Il codice spiega solo che nel valutare tale parametro si deve tenere conto:

della condizione dei luoghi;

del dover contemperare le esi-genze della produzione con le ra-gioni della proprietà.

Il rumore è stato classifica-to, dalla ricerca medica, uno degli stressanti più insinuanti che coin-volgono risposte reattive anche violente richiedendo la partecipa-zione di tutto l'organismo.

La definizione di rumore va quindi letta alla luce dell'incompri-mibile diritto alla salute e in fun-zione dei diritti connessi con la pro-prietà in materia di immissioni. Con riferimento alla nozione di immis-sione eccedente la normale tollera-bilità agli effetti dell'azione di cui all'art. 844 c.c. per rumore si deve intendere qualunque stimolo sono-ro non gradito all'orecchio umano e che, per le sue caratteristiche di intensità e durata, può divenire pa-togeno per l'individuo" (Tribunale Napoli - 17 novembre 1990).

Il rumore può definirsi come:

Il rumore ambientale è quello prodotto da tutte le sorgenti di rumore esistenti in un dato luogo e durante un determinato tempo. Esso è costituito dall'insieme del rumore residuo e da quello pro-dotto dalle specifiche sorgenti disturbanti (all. a, art. 4 D.P.C.M. 01.03.1991).

Il rumore residuo è quello che

si rileva quando si escludono le specifiche sorgenti disturbanti. Per la sua misurazione si seguo-no le medesime modalità im-piegate per la misura del rumore ambientale (all. a, art. 3 D.P.C.M. 01.03.1991).

Il rumore di fondo è la fascia ru-morosa costante nella quale si verificano le immissioni ritenute moleste (Cass. 17 febbraio 2014 n. 3714).

Nell’accertare la normale tol-lerabilità delle immissioni e del-le emissioni acustiche, ai sensi dell’art. 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposi-zioni che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determi-nato uso. Le disposizioni di legge, che disciplinano un tipo di sorgente di rumore specifica, sono i decre-ti attuativi della Legge n. 447/95, come le ferrovie, gli aeroporti, le strade e gli impianti condominiali (DPCM 5/12/97 che norma la rumo-rosità: centrali termiche, torri eva-porative, ascensori, idrosanitari, condizionamento, ecc).

La giurisprudenza dell’art. 844 c.c., pacifica e consolidata, sia di legittimità sia di merito, stabilisce che il rumore immesso non deve eccedere il rumore di fondo di oltre 3 dB, limite della normale tollera-bilità. In ogni caso il quadro nor-mativo del limite della tollerabilità come eccedenza massima di 3 dB sul rumore di fondo non è stato modifi-cato dall’emanazione di detti DPCM 1/3/91 e 14/11/97 che stabiliscono i limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno e adottano il differente criterio del livello equiva-lente. I due criteri, dell’accettabilità

Mauro Mascarucci*

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amministrativa e della tollerabili-tà giudiziaria, convivono perché si applicano in ambiti diversi: il primo presso la pubblica amministrazione e il secondo in tribunale civile.

Il criterio differenziale, come dice il nome, si basa sulla differenza tra il livello di rumore ambientale e quello di rumore residuo e trova il proprio ubi consistam normativo nel D.P.C.M. 14 novembre 1997. Il cri-terio comparativo, invece, è di crea-zione giurisprudenziale e considera intollerabili le immissioni che su-perino il rumore di fondo di oltre 3 db. «Posto che per valutare il limite di tollerabilità delle immissioni so-nore occorre tener conto della ru-morosità di fondo della zona in relazione alla reattività dell'uomo medio, rettamen-te il giudice di merito ritiene eccedenti il limite normale le immissioni che supera-no di 3 decibel la rumorosità di fondo» (Cass. 6 genna-io 1978, n. 38). Tale princi-pio è stato ribadito anche da una pronuncia a Sezioni Unite (Cass. S.U. 27 febbra-io 2013 n. 4848). Di rego-la, nei rapporti tra pubblica amministrazione e soggetti che esercitano attività produttive, commerciali,  trova applicazione la disciplina normativa di cui sopra ed il criterio differenziale; mentre nei rapporti inter-privatistici si ricorre all’art. 844 c.c. ed al metodo com-parativo. Il cittadino che lamenta rumori provenire dall’immobile del vicino che superano la soglia della normale tollerabilità, ha diritto al risarcimento del danno non patri-moniale anche senza la prova di uno specifico danno alla salute come quello biologico. Né il risarcimen-to può essere limitato tenuto conto della priorità temporale dell’attivi-tà commerciale esercitata, rispetto alla destinazione abitativa, nella determinazione dei danni. A riba-dirlo la Cassazione con l’ordinanza 21554/18.

In tema di immissioni intolle-rabili, il danno alla salute può es-

sere risarcito solo se il danneggiato ne fornisca la prova, in quanto non sussiste "in re ipsa". L'assenza di un danno biologico non impedisce comunque il risarcimento del dan-no non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché si-ano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare e la piena esplicazione delle abitudi-ni di vita quotidiane. L’ordinanza di cui anzi scaturiva da una vicenda in cui il Tribunale condannava il ti-tolare di un'officina al risarcimen-to dei danni causati al proprietario dell'appartamento soprastante, a causa delle immissioni di rumore intollerabili prevenienti dal proprio stabile.

In appello, il risarcimento veni-va ridotto, escludendo il danno alla salute.

La Corte d'appello riteneva che, seppure le immissioni di rumore privavano il proprietario della pos-sibilità di godere in modo pieno e pacifico della propria abitazione, non poteva ritenersi provato un danno alla salute, per cui l'unico danno risarcibile era quello della compromissione del pieno svolgi-mento della vita domestica. Si con-siderava inoltre che le immissioni provenienti dall'officina risultava-no superare la soglia di normale tol-lerabilità in un solo ambiente della casa e in misura contenuta (da 3 a 5 dBA) e nel solo orario di apertura dell'officina.

Il danneggiato proponeva quindi ricorso in cassazione per ottenere

anche il risarcimento del danno alla salute.

Secondo la Cassazione l'assenza di un danno biologico documentato non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svol-gimento della vita familiare all'in-terno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplica-zione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzio-nalmente garantiti, nonché tute-lati dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cass. Ss.Uu.2611/2007).

L'art. 844 cod. civ. im-pone, infatti, nei limiti della valutazione della normale tollerabilità e dell'eventua-le contemperamento del-le esigenze della proprietà con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propa-gazioni attuate nell'ambi-to delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. Viceversa, l'ac-certamento del superamen-to della soglia di normale

tollerabilità di cui all'articolo 844 c.c., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, l'esclusione di qualsiasi criterio di contempera-mento di interessi contrastanti e di priorità dell'uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceità del fatto ge-neratore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'articolo 2043 del codice civile e, specificamente, per quanto con-cerne il danno non patrimoniale ri-sarcibile, dell'articolo 2059 cod. civ.(Cass.5844/2007).

Inoltre, secondo il consolidato indirizzo della Corte di Cassazione, la valutazione equitativa, avendo ad oggetto un apprezzamento di fatto, è sottratta al sindacato di legittimi-tà.

* Avvocato, consulente

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B&B o affittacamereRoma chiama, Milano risponde

Il fenomeno sempre più diffuso del Bed and Breakfast (B&B) sta comportando – tra i condominia-listi – un’attività interpretativa dei

regolamenti condominiali di non facile soluzione.

Posto che la stragrande maggioran-za dei regolamenti condominiali è stata redatta in un periodo sensibilmente an-teriore rispetto al diffondersi dell’attivi-tà di B&B, ci si domanda se è possibile interpretare in modo estensivo il divie-to, previsto dal regolamento, di svolgere l’attività di affittacamere anche all’at-tività di B&B.

Prima di entrare nel merito della questione, occorre partire dalla defini-zione di B&B: «Sistemazione a pa-gamento comprendente l’alloggio e la prima colazione». E quella di af-fittacamere: «Chi, dietro pagamento dà alloggio in camere ammobiliate del proprio appartamento» (per en-trambe le definizioni si veda Dizionario Devoto-Oli).

Ciò premesso, sulla questione se il

divieto di attività di “affittacamere” previsto dal regolamento condominiale possa essere estese anche all’attività di B&B, si rileva una prima pronuncia del Tribunale di Roma dove si legge: «In particolare, l’attività esercitata va identificata, in mancanza di ulteriori elementi, in quella di affittacame-re, ma la conclusione non sarebbe diversa anche qualora essa desse luogo, come prospettato da un teste in relazione alla targa apposta sulla porta di ingresso dell’appartamen-to, ad attività di Bed and Breakfast, la quale, si caratterizza rispetto alla prima per la prestazione di ulteriori servizi personali (quali il riassetto dei locali stessi, la fornitura della bian-cheria da letto e da bagno e della pri-ma colazione), e quindi va senz’altro ricompresa e assimilata, quanto ai divieti condominiali, all’attività di affittacamere» (vedi Trib. Roma, sez. V civ., 13 marzo 2018, giud. Bertuzzi).

Il Tribunale di Roma si è orienta-to con convinzione (leggi l’espressione “senz’altro”) nel senso che l’attività di

B&B debba essere ricompresa nell’atti-vità di affittacamere.

A circa due mesi di distanza dal-la pronuncia del Tribunale capitolino, il Tribunale di Milano decide in senso diametralmente opposto: «Quanto ad “affittacamere” il divieto è eviden-temente riferito alla locazione di parte di una singola unità e, non già, come nella fattispecie, della singola unità nella sua interezza» (vedi Trib. Mi., sez. XIII civ., 8 maggio 2018, giud. Folci).

In estrema sintesi, secondo l’orien-tamento del Tribunale lombardo per at-tività di affittacamere s’intende soltan-to una locazione parziale; ne consegue che non rientrerebbe in tale attività an-che quella di B&B, poiché nella maggior parte dei casi viene ceduto il godimento dell’intero appartamento.

Sul punto nell’anno 2016, si era già pronunciata la Corte di Cassazione, la quale si era orientata nel senso di rite-nere «ontologicamente l’attività di affittacamere […] del tutto sovrap-ponibile – in contrapposto all’uso abitativo – a quella alberghiera e, pure, a quella di Bed and Breakfast» (V. Cass. civ. sez. II, 07 gennaio 2016, n. 109, rel. Bianchini).

Ad avviso di chi scrive, il regola-mento condominiale – posta la sua natura contrattuale – deve essere in-terpretato ai sensi degli artt. cod. civ. 1362 «nell’interpretare il contratto si deve indagare la comune inten-zione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole» e 1365 «quando in un contratto si è espres-so un caso al fine di spiegare un pat-to, non si presumo esclusi i casi non espressi ai quali, secondo ragione, può estendersi lo stesso patto»; ne consegue che – anche se la lettera del regolamento condominiale si limita a indicare l’attività di affittacamere – ben potrà l’interprete non limitarsi al dato letterale, ma estendere l’interpre-tazione a casi simili e/o sovrapponibili come il caso del rapporto tra l’attività di affittacamere e l’attività di B&B.

Avv. F. Pizzagalli, avv. N. A. Maggio, FEDERPROPRIETÀ Milano

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Anche se il portiere è una figura in via di estinzione nei moderni edifici con-dominiali, rimangono an-

cora controversi i profili attinenti al trattamento retributivo e contribu-tivo, che coinvolgono anche in ma-niera rilevante, sul versante civile e penale, la persona dell’ammini-stratore, sicché appare opportuno delineare i vari obblighi, e le corre-late responsabilità, alla luce della (scarna) giurisprudenza che si è espressa sul punto.

Il trattamento economico del portiere, riportato nel singolo con-tratto di lavoro, comprende due componenti: il compenso, ossia la retribuzione mensile che, unita-mente alla 13^, alle ferie e alla liqui-dazione – accantonata annualmen-te e trasferita al termine del rappor-to di lavoro – viene percepita diret-tamente dal lavoratore, nonché i contributi previdenziali che atten-gono all’aspetto pensionistico e as-sicurativo.

L’amministratore, come datore di lavoro, è tenuto a pagare lo sti-pendio al portiere e consegnargli la busta-paga attestante le somme versate; al contempo – a decorrere dal 1° gennaio 1998 – deve effettuare la ritenuta fiscale per ogni importo corrisposto a tale titolo, avendo cu-ra di consegnare al portiere, entro il febbraio di ciascun anno, il modello 101 inerente alle retribuzioni eroga-te nell’anno precedente.

Nello specifico, il compenso in senso stretto è costituito da: salario mensile, eventuali indennità a ca-rattere continuativo, scatti di an-zianità, gratifica natalizia, alloggio gratuito, riconoscimento di una quota mensile di energia elettrica,

acqua e riscaldamento dell’alloggio; qualora l’abitazione del portiere sia sprovvista di riscaldamento, al la-voratore va riconosciuta un’inden-nità sostitutiva.

Le somme inerenti all’alloggio non competono ai portieri che non ne usufruiscano, mentre gli addetti alle pulizie sono retribuiti con paga oraria, altre indennità e scatti di an-zianità; per tutti i lavoratori, po-trebbero essere contemplate ulte-riori indennità correlate all’assolvi-mento di determinati incarichi fa-coltativi (ad esempio, per la condu-zione della caldaia dell’impianto di riscaldamento centralizzato).

Tuttavia, va puntualizzato che, nel rapporto di portierato, la con-cessione in uso dei locali di abita-zione non costituisce retribuzione parzialmente in natura ex art. 2099, comma 3, c.c., ma ha funzione di prestazione accessoria, come tale funzionalmente collegata alla sus-sistenza del rapporto di lavoro e non all’effettività della prestazione, conseguendone che il portiere ha diritto a usufruire dei locali anche nei periodi in cui, pur essendo so-spese le prestazioni delle parti, per-manga il rapporto di lavoro (v. Pret. Milano 18 febbraio 1987, in Lavoro 80, 1987, 492, il quale ha affermato il diritto del portiere a usufruire dell’alloggio durante il periodo di astensione dal lavoro ex art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla “tutela delle lavoratrici ma-dri”).

Si è, del pari, affermato – v. Cass. 25 settembre 1996, n. 8477 – che il diritto del portiere al godimento dell’alloggio di servizio è funzional-mente collegato con la prestazione lavorativa, costituendone un par-

ziale corrispettivo, e viene meno al momento della cessazione del rap-porto di lavoro, senza che sull'ese-cuzione della conseguente obbliga-zione restitutoria possa incidere il mancato adempimento da parte del datore all'obbligazione, derivante da una particolare pattuizione che lo vincoli a concedere in locazione all’ex dipendente un’altra abitazio-ne o, in caso di non disponibilità di alloggi, a corrispondergli un’inden-nità sostitutiva: infatti, la mancata restituzione del suddetto alloggio non ha alcuna fonte di legittimazio-ne, dato che il lavoratore può solo vantare il diritto alla stipulazione di un contratto di locazione relativa-mente ad un diverso immobile, mentre mancano i presupposti per la proposizione da parte sua di un’eccezione di inadempimento, poiché un nesso di corrispettività è configurabile solo nell’àmbito di un medesimo rapporto contrattuale.

D’altra parte, il godimento dell’abitazione rimarrebbe privo di causa e neanche potrebbe farsi va-lere un diritto di ritenzione, facoltà giuridica non rispondente a un principio generale e prevista dalla legge, in via eccezionale, solo in ipotesi determinate (v., altresì, Cass. 25 agosto 1987, n. 7015).

Ove, poi, il contratto collettivo preveda quali siano le mansioni del lavoratore specificandole in un elenco tipico e dettagliato e, nello stesso tempo, contempli che ogni prestazione ulteriore dia luogo a un compenso supplementare rispetto ai minimi salariali della categoria, è illegittima, ex art. 2077 c.c., la clau-sola del contratto individuale di la-voro che ampli le mansioni predette senza attribuire al lavoratore alcun

Il trattamento retributivo e contributivo del portiereAlberto Celeste*

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autonomo corrispettivo integrativo, che pertanto può essere rivendicato dal lavoratore e quantificato dal giu-dice anche con valutazione equitati-va ai sensi dell’art. 432 c.p.c. (v. Cass. 27 giugno 1986, n. 4302: nella specie, si è cassata la pronuncia del giudice di merito il quale, adìto da un lavoratore che, svolgendo man-sioni di portiere di uno stabile e avendo anche effettuato, nel nor-male orario di servizio, lavori di giardinaggio in aiuole condominiali, chiedeva il compenso supplementa-re per tale specifica attività, aveva respinto la domanda affermando che anche la mansione di giardinag-gio rientrava, secondo la previsione espressa del contratto individuale, nella prestazione lavora-tiva cui si riferiva la retri-buzione normale).

In una fattispecie par-ticolare, una pronuncia di merito – v. Trib. Napoli 24 maggio 1997, in Arch. loc. e cond., 1997, 1037 – ha statuito che l’inden-nità supplementare pre-vista dal contratto nazio-nale di lavoro per i por-tieri non è posta a carico di tutti gli appartamenti destinati a uso ufficio, ma soltanto a carico di quelli che aggravino no-tevolmente il lavoro del portiere (nella specie, si è ritenuto che l’attività di commer-cialista non sia tale da comportare quell’aggravio di notevole entità per il portiere di uno stabile, in termini di clienti o di inoltro di corrispon-denza, che giustifica la correspon-sione dell’indennità supplementa-re).

Resta inteso che il rapporto di portierato è caratterizzato, rispetto al normale rapporto di lavoro subor-dinato (della cui realtà normativa partecipa), da aspetti particolari, connessi alla natura non imprendi-toriale del datore di lavoro (condo-minio) e al tipo di servizio (pulizia, custodia e vigilanza) affidato al la-voratore, ed è disciplinato, quanto ad alcuni istituti, da leggi speciali

(come la legge 21 marzo 1953, n. 215 sulla gratifica natalizia, la legge 16 aprile 1954, n. 111 sull’estensione delle feste infrasettimanali, e la leg-ge 16 maggio 1956, n. 526 sul tratta-mento economico del lavoro presta-to nei giorni festivi).

Per quanto concerne, poi, il pro-filo previdenziale, tutto ciò che il portiere percepisce va assoggettato a contribuzione – di regola, mensil-mente tramite modelli DM-10/M – con aliquote differenti secondo la categoria di appartenenza del lavo-ratore.

Segnatamente, il compito di iscrivere i lavoratori all’I.N.P.S. e all’I.N.A.I.L. compete all’ammini-stratore, il quale deve versare i rela-

tivi contributi e premi alle scadenze di legge, e anticipare, se del caso, gli assegni per nucleo familiare nonché le eventuali indennità di malattia e maternità (in proposito, si ricorda che, dal 1995, è stata istituita la Cas-sa portieri per la gestione del fondo di malattia, utile ai proprietari di fabbricati al fine di coprire tale ri-schio qualora i dipendenti non frui-scano aliunde della relativa inden-nità).

Al contempo, appare pacifica l’applicabilità delle norme protetti-ve antinfortunistiche al lavoro svol-to nell’àmbito di un rapporto di por-tierato privato (v. Cass. pen. 2 aprile 1998, n. 6426); sul punto, si è sotto-lineato che il portiere è soggetto

all’assicurazione obbligatoria con-tro gli infortuni sul lavoro ove in concreto esso sia preposto ad attivi-tà rientranti nella previsione di cui all’art. 1 del T.U. 30 giugno 1965, n. 1124, a prescindere da qualsiasi in-dagine sulla pericolosità concreta delle macchine o apparecchiature alle quali sia addetto (v. Cass. 1 di-cembre 1981, n. 6387).

A fronte del diritto del portiere ai contributi previdenziali, corrispon-de l’obbligo in capo all’amministra-tore del relativo versamento presso gli Enti competenti; si è precisato, al riguardo, che l’azione promossa dal condominio contro l’amministrato-re, diretta a far valere la sua respon-sabilità per omesso versamento

all’Ente previdenziale dei contributi del portiere è da qualificare come azio-ne di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale all’obbligo dell’amministratore di eseguire il mandato con-feritogli con la diligenza del buon padre di fami-glia di cui all’art. 1710 c.c., sicché tale azione è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. (v. Cass. 27 maggio 1982, n. 3233).

Restano da esaminare i riflessi di natura penale in ordine all’obbligo

dell’amministratore di condominio di versare i contributi previdenziali del portiere.

Premesso che l’amministratore, quale datore di lavoro, è obbligato al versamento delle ritenute previ-denziali e assistenziali dei lavoratori dipendenti, si rileva che l’omesso versamento può comportare la com-missione del reato di cui all’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 463/1983 (convertito nella legge n. 638/1983), punito con la pena della reclusione fino a 3 anni e la multa fi-no a € 1.032,91.

Il reato si consuma nel momento in cui scade il termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento,

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termine attualmente fissato, dall’art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 422/1998, al giorno 16 del mese succes-sivo a quello cui si riferiscono i contributi (v. Cass. pen. 14 maggio 2009, n. 20251); tuttavia, il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il ter-mine di 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione (art. 2, comma 1-bis).

Tale reato ha natura istantanea, può essere compiu-to solo dal datore di lavoro, e la condotta si realizza nell’omesso versamento delle ritenute previdenziali che egli ha l’obbligo di detrarre dall’importo della retri-buzione dei propri dipendenti e di versare all’I.N.P.S., quale sostituto del soggetto obbligato.

La norma è finalizzata a reprimere il più grave reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p., da parte del datore di lavoro, delle somme prelevate dalla retribu-zione dei lavoratori dipendenti e non il mancato versa-mento dei contributi (v. Cass. S.U. pen. 26 giugno 2003, n. 27641, secondo cui il reato di cui all'art. 2 della legge n. 638/1983 non è configurabile in assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente a ti-tolo di retribuzione; contra, Cass. pen. 6 giugno 2002, n. 21920).

L’obbligo del versamento sorge quando sussiste la prova del materiale esborso, anche in nero, della retri-buzione (v. Cass. pen. 25 settembre 2007, n. 38271); il reato si configura non solo nel caso dell’integrale paga-mento delle retribuzioni dovute ai lavoratori dipenden-ti ma anche nel caso della corresponsione di acconti, pur se modesti, sulle retribuzioni medesime, in quanto ciò comporta il mancato versamento, quantomeno in percentuale, dei contributi sui predetti acconti (v. Cass. pen. 1° ottobre 2007, n. 35880); per l’elemento sogget-tivo del reato, esaurendosi la condotta nella coscienza e volontà dell’omissione/ritardo del versamento delle ri-tenute, basta il dolo generico (v. Cass. pen. 18 novembre 2009, n. 20251).

Infine, l’amministratore potrebbe commettere un reato qualora non effettui una o più denunce obbligato-rie, oppure le esegua in tutto o in parte inveritiere; in-vero, l’art. 37, comma 1, della legge n. 689/1981 – come modificato dall'art. 116, comma 19, della legge n. 388/2000 – prevede che: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, è punito con la reclusione fino a 2 anni quando dal fatto deriva l'omesso versa-mento di contributi e premi per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra € 2.582,28 men-sili e il 50% dei contributi complessivamente dovuti».

* Magistrato

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Il greco e il latino sarebbero "lingue morte"? Secondo la vulgata corrente, sì. È il peso dell’ignoranza cui si deve il de-

grado civile e culturale dal quale siamo avvolti. Tuttavia da qualche tempo si assiste a una rivalutazio-ne, davvero in controtendenza con lo spirito dei tempi, di entrambe. Studiate con crescente successo in molte università occidentali, e non solo, vengono quasi universalmen-te riconosciute come le fonti del sa-pere universale e della logica. Cu-riosamente in Italia, almeno nelle scuole e nelle università, continua-no a essere sottovalutate. E ciò spiega, secondo alcuni esperti, la decadenza della stessa lingua ita-liana che non si avvale più della co-noscenza del greco e del latino le cui "costruzioni" fraseologiche e sintattiche, di derivazione indoeu-ropea, sono per secoli state – sia

pure in versione "volgare", come diceva Dante – i fondamenti della nostra lingua.

Se gli studenti scrivono male è senz'altro perché si offre loro un pessimo insegnamento dell'italia-no nelle scuole primarie e seconda-rie, ma anche perché il greco e il latino sono stati inopinatamente banditi in ragione della loro indi-mostrata "inutilità". Ci stiamo pri-vando, generazioni dopo genera-zioni, di una preziosa miniera dalla quale estrarre non soltanto l'ele-ganza della parola scritta e orale, ma soprattutto la profondità di concetti che "tradotti" non rendo-no come nell'originale. Sarebbe il caso che i numerosi "sovranisti" improvvisati, cui sta a cuore evi-dentemente soltanto la moneta, si prendessero cura almeno un po' anche della sovranità dell'idioma. Ce lo suggerisce il linguista Giusep-pe Antonelli nel libro Un italiano vero (Rizzoli) asserendo che se l'i-taliano perfetto non esiste, conti-nua a cambiare, offre pure una sug-gestiva analisi di come si parla e si scrive al tempo di Internet. Non è per niente scontato essere sgram-maticati, insomma, perfino usando WhatsApp e tutte le diavolerie in-formatiche si può praticare un buon italiano. «La nostra lingua ci nutre – scrive Antonelli – educa i nostri pensieri e i nostri sentimenti, pla-sma la nostra visione del mondo». Per comprenderne meglio il senso, dovremmo anche sapere dove na-sce e come si è formata la lingua italiana.

Dal greco, innanzitutto. Lo so-stiene con vigore la grecista Andrea Marcolongo con il godibilissimo li-bro La lingua geniale. Nove ragioni per amare il greco (Laterza). Un li-bro che parla di un amore, la storia più lunga e intensa della sua vita, ammette l'autrice, dalla quale ha tratto non soltanto la conoscenza di una lingua viva come poche altre per ciò che riesce a trasmettere, ma anche una concezione della vita, se così si può dire, che l'ha quasi tra-sformata. Una lingua "spirituale", insomma, la cui dimensione sin-tattico - grammaticale, per quanto importante, resta comunque ac-cessoria. E la lettura dei classici do-vrebbe provarlo ampiamente, al di là di ogni ragionevole perplessità. Purtroppo, scrive la Marcolongo, ci avviciniamo a questa eredità cultu-rale da diseredati e da disadattati.

Greco e latinonon sono “lingue morte”Gennaro Malgieri*

IDEE IN MOVIMENTO

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Lo stesso si può dire per il latino. Inar-rivabili ignoranti abusivi dell'ammi-nistrazione scola-stica e universitaria, nell'ultimo mezzo secolo l'hanno de-classato, umiliato, abrogato. È eviden-te che si può vive-re senza Properzio e Catullo, Cesare e Cicerone, Ovidio e Tacito, Svetonio e Virgilio ... ma cono-

scere le origini del linguaggio che comunque, ancorché sciattamente pratichiamo, è non soltanto eticamente doveroso, ma anche necessario. Una "lingua morta" non serve assolutamente a niente. Ma morta non è, Nicola Gardini, docente di letteratura italiana e com-parata all'Università di Oxford, in un libro piacevole e convincente, Viva il latino. Storia e bellezza di una lin-gua inutile (Garzanti), confessa: «Grazie al latino non sono stato solo. La mia vita si è allungata di secoli e ha abbracciato più continenti. Se ho fatto qualcosa di buo-no per gli altri, l'ho fatto grazie al latino. Il buono che ho dato a me stesso, quello, non c'è dubbio, l'ho tratto dal latino».

Una dichiarazione d'amore, come quella della Mar-colongo, che dovrebbe tentare qualcuno ad addentrarsi in questo libro che non è noioso in nessuna sua parte, anzi è avvincente come un romanzo al punto che di-spiace girare l'ultima pagina, prendere congedo leg-gendo l'ultima riga: «Ricominciamo dal latino». Per-ché? Per riappropriarci di ciò che si sta spegnendo: la bellezza. Anche la bellezza delle parole, «il dono più grande», secondo Gardini, che ce la propone nella sua forma più classica: la lingua latina che contiene un fa-scino che va al di là del tempo; una «squisita perfezio-ne», come diceva Giacomo Leopardi.

Sulla stessa lunghezza d'onda si colloca Enzo Man-druzzato con il libro Il piacere del latino (Lindau). Gre-cista e latinista finissimo, scomparso nel 2002, con la prima edizione di quest’appassionato saggio pubblica-to nel 1989 lanciò una pietra nello stagno del conformi-smo. Dimostrò allora e dimostra oggi, riproposto, che il latino riaffiora anche quando non ce ne accorgiamo. E per di più è espressione di una civiltà che per quanto ammaccata mostra ancora segni di vitalità. È, insom-ma, la radice dell'identità dell'uomo occidentale.

* Scrittore e Saggistala PROPRIETÀ edilizia • Novembre 2018 | 45

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La nostra vita è a quanto pare in mano agli algoritmi, di cui spesso si sente parlare. Dietro questa parola dal sapore arca-

no, quasi esoterico (a me ricorda la stella che gli arabi chiamano Algol) si cela semplicemente la latinizzazione, tipica del Medio Evo, del nome di un matematico persiano del IX secolo, al-Khwarizmi, che per primo teorizzò il concetto di un metodo di risoluzio-ne di problemi di calcolo attraverso singole tappe progressive e limitate nel tempo. Evolvendosi insieme alla matematica l’algoritmo è diventato oggi fondamentale nell’informatica, cioè nel metodo di creazione dei pro-grammi per computer: volendo risol-vere un problema si crea un algorit-mo codificato nel software che attra-verso gradi successivi di approssima-zione giunge a esso. Il ragionamento è più o meno questo.

Ormai i Nuovi Media come Wiki-pedia, Google e Facebook soprattutto, sono diventati dopo un decennio dal-la loro nascita così complessi e diffusi sull’orbe terraqueo che i suoi addetti umani a monte non possono più go-vernarli direttamente, controllare in prima persona, per decine di migliaia che essi siano. Si pensi ai miliardi di richieste giornalieri che giungono a Google o a Wikipedia, ai miliardi di messaggi che sono inviati giornal-mente su Facebook, alle immagini

messe su Instagram ogni giorno in tutto il mondo. Quale essere umano potrebbe controllare tutto ciò per ca-pire se qualcosa non va o è fuori dalle regole o dalla legge? Internet è un Far West, come si dice spesso, ma i sin-goli gestori per precauzione delle re-gole di massima le hanno stabilite, dato che la legge non ne ha ancora, di fatto, stabilite.

Quindi ecco gli algoritmi. I sof-tware vengono ad esempio program-mati per individuare tutto quel che di volta in volta si ritiene che sia un in-sulto, un’offesa, la morale, il buon gusto ecc. E poiché l’aria che tira è questa, anche quel che vada contro le regole del “politicamente corretto” e affini. L’algoritmo così impostato in-dividua il testo o l’immagine incrina-ti, li blocca, li mette al bando e avver-te gli amministratori.

Ma l’algoritmo, pur se creato da un programmatore, è un sistema au-tomatico che non ragiona, che non discerne, che non fa la differenza, esegue solo il suo lavoro ciecamente. Perciò è idiota.

Di esempi ce ne sono a iosa ...

La Rete è stracolma di immagini porno e anche peggio, ma Facebook ne ha tarato uno sulle rappresenta-zioni di nudo, sicché è stato indivi-duato e chiuso un sito, dove si pubbli-cizzava una mostra milanese di Au-

gust Rodin, con la fotografia di un gruppo marmoreo con due nudi, ma-schile e femminile, abbracciati. Non solo le immagini ma anche, ovvia-mente, le parole reputate inopportu-ne, e una di quelle messe al bando perché considerata un insulto discri-minante, un termine volgare e sprez-zante è “negro” che una volta era semplicemente un termine descritti-vo. Ora l’algoritmo sempre di Face-book ha cancellato il profilo persona-le di un signore che di cognome fa “Della Negra” (così come esiste il co-gnome Della Bianca) che all’improv-viso si è trovato senza identità.

L’algoritmo di un navigatore sa-tellitare a bordo di un taxi milanese non ha indicato il tracciato di via Ne-gri (Gaetano Negri). «Non mi dà l’iti-nerario perché contiene una parolac-cia: N***», dice il conducente al giornalista che poi ha raccontato l’assurda vicenda.

Ovviamente gli amministratori delegati ai controlli non hanno preso il minimo provvedimento per evitare simili idiozie che però pesano. E non potrebbero, perché l’algoritmo ese-gue ottusamente. La situazione è grottesca ma reale e ovviamente non ci si porrà rimedio perché sarebbe andare contro il conformismo gene-rale: infatti, certe parole non dovreb-bero più essere considerate al bando Il politicamente corretto portato alle estreme e cieche conseguenze dall’uomo (il programmatore al quale è stato affidato l’incarico) ottiene grazie ai meccanismi della logica ma-tematica effetti del genere. Noi siamo in queste mani.

Gli algoritmi sono idioti. Ma all’o-rigine c’è sempre l’idiozia umana. In tal modo, grazie alla gestione dei Si-gnori della Silicon Valley si crea il Pensiero Unico epurando il vocabola-rio dell’umanità in un modo che nep-pure George Orwell avrebbe mai im-maginato. L’unica scelta rimane la carta stampata che è ancora plurali-sta, non esistendo per fortuna nessun algoritmo che la possa dirigere.

Gianfranco de Turris

Gli algoritmi sono idiotiCONTROCORRENTE

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COSTUME

Arriva da Milano l’ennesima notizia che conferma come ormai i cosiddetti ammor-tizzatori sociali in Italia sia-

no risorse di cui usufruiscono per lo più gli extracomunitari.

I fatti sono questi: la giunta Sala ha istituito una misura volta ad aiu-tare economicamente le neomam-me. È denominata bebè card o anche reddito di maternità e consiste in un contributo mensile di € 150 per dodici mesi, erogato tramite una carta acqui-sti elettronica prepagata. La donazione è destinata alle neomamme, italiane o extracomunitarie, con un ISEE inferiore a € 17.141.

Il risultato di questa iniziativa è sta-to che il 72% delle domande accettate è di soggetti extracomunitari. Infatti, tre carte prepagate su quattro sono state consegnate a donne straniere.

Naturalmente questo è solo un esempio di come la destinazione del welfare italiano sia notevolmente squilibrato a favore degli stranieri: ba-sti pensare alla sanità, agli asili nido, all’assegnazione delle case popolari.

Va da sé che questo problema pre-giudica seriamente il patto sociale tra cittadini e Stato, un patto che dovrebbe concretarsi nella rinuncia del cittadino a una parte delle proprie ricchezze e delle proprie libertà in cambio di aiuto e protezione in momenti di difficoltà e bisogno. Naturalmente se questo pat-

to sta venendo meno, non è solo col-pa dell’immigrazione, la questione è complessa e articolata. Tuttavia il pro-blema di una disparità di trattamento tra italiani e stranieri esiste e non si può ignorare.

Il caso milanese è discutibile per-ché riguarda un problema serissimo che affligge la società italiana: la scar-sa natalità. Nascono pochi bambini. La cosa peggiore è che nascono pochi bambini italiani.

Le famiglie italiane fanno fatica ad allargarsi, perché trovano difficoltà di ogni tipo, soprattutto economiche, e lo Stato spesso latita.

C’è chi ritiene che in realtà il pro-blema stia nell’egoismo dei giovani italiani che pensano più agli agi e alla

carriera a discapito del diventare ge-nitori. In realtà non è così. I figli non li fanno perché vorrebbero garantire loro un minimo di certezze e di opportunità. Non sfornano cinque figli per poi affi-darsi alla provvidenza (o agli aiuti sta-tali) per sfamarli ed è giusto così.

Quello che non è né giusto né giu-stificabile è che lo Stato non li aiuti, che rivolga maggiormente la sua at-tenzione ai figli degli altri, intesi come stranieri, quasi come se ritenesse fatale l’estinzione dei bimbi italiani, destinati ormai a sparire per fare spazio ai bam-bini africani, mediorientali e via dicen-do. Questo non è accettabile, per molte ragioni. Perché non si può dissipare un capitale culturale e umano, un’identità, una comunità, un’appartenenza, come se niente fosse. Non si può, in nome di un modaiolo multiculturalismo, esibito come un orpello per mostrarsi solidali e all’avanguardia davanti all’Europa e al mondo intero, far finta che non esista il problema dei bambini italiani che non nascono più.

Il torto non è perpetrato solo ai danni dei figli che non nascono, ma anche nei confronti di una generazione di giovani defraudati dell’esperienza fondamentale di diventare genitori.

Maria Giulia Stagni

I bambini italiani

"Casa nostra, perchè e come difenderla"

L’abitazione è diventata il bancomat per le tasse, soprattutto di quelle locali, scrivono il giornalista Sergio Menicucci e il presidente della FEDERPRO-PRIETÀ Massimo Anderson nel libro «Casa nostra, perché e come difenderla». In vendita su ilmiolibro.it, su Amazon e su lafeltrinelli.it al costo di 10,50 euro, il libro contiene un excursus sul valore etico, sociale, patrimoniale dell’abitazione e ripercorre i rappor-ti tra città e sistemi urbanistici, dalla prima legge, post-Unità d’Italia del 1865 fino a quella base di Lui-gi Luzzatti del 1903. Sono poi passate in rassegna le

riforme del 1942, del 1962 (la cosiddetta 167), il piano Ina-casa, il piano regolatore generale di Roma al quale contribuì l’ingegner Pietro Samperi, i condoni edilizi degli anni Ottanta.

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Una duplice rassegna sui Macchiaioli – “Arte ita-liana verso la moderni-tà” – al Palazzo della

Meridiana a Genova (14.9. – 9.12. 2018) e alla Gam di Torino (26.10.2018 – 24.3.2019), è stata avviata nel ricordo della coraggiosa sperimentazione portata avanti a Firenze dai giovani frequentatori di Caffè Michelangelo, scossi dagli echi dell’Esposizione Universale del 1855, della Scuola di Barbison e del romanticismo storico.

La mostra è un’idea di Francesco Hayez, che aveva vinto un impor-tante concorso, prevalendo su In-gres, mentre gli storici e i movi-menti citati rappresentavano una novità, nel rispetto della tradizione accademica. I partecipanti odierni all’insegna della modernità sono uniti nel dialogo e nel racconto della vita extra-cittadina e dell’operosa attività della vita di campagna, da Signorini a Cabianca, da Lega a Fat-tori, da Borrani Banti, da Sernesi ad Abbati.

Gli storici avanzano l’ipotesi (Mario Praz, “Quando le macchie ispiravano i pittori”, Il Tempo, 17 maggio 1981) che gli “sceglitori” delle macchie, come promozione linguistica, hanno seguito il sugge-

La «Macchia» come Storia

rimento di Leonardo, il quale aveva individuato nei marmi franti del passato un riscontro oggettivo delle pietre dure degli opifici della tradi-zione fiorentina.

Sicché, in arte, la divisione assu-merà i connotati della bipolarità concettuale e politica, diffusa nel Paese, per cui gli artisti rispondeva-no alle esigenze di una parte legata alla pratica purista, che si nutriva del nazionalismo e della fede reli-giosa di Gioberti, mirando a una spiritualità anti-positivistica, al contrario del resto d’Europa. Nell’altro settore operativo, la poe-tica romantica, più laica e liberale, si è legata alla visione nazionalista che aleggiava intorno all’Antologia del Viesseux e di Gino Capponi.

In questo raffronto, gli artisti di Genova e in gran parte quelli di To-rino, sono stati stilisticamente fuorviati dal contrasto fra le luci e le ombre, messo in atto da Telemaco Signorini che mentre teorizzava una pittura di macchie, sottolineava fortemente le masse e i profili delle cose, sintetizzando le forme nell’opposizione fra la luce, tesa al massimo chiaro, e l’ombra diretta essenzialmente al nero (catalogo “I macchiaioli 1856-70” Edizioni De Luca, 2000).

Per queste variazioni cromatiche non veniva attribuita all’arte una scelta soltanto grafica ma una im-portanza aperta alla vita nazionale nella diversificata versione tra Maz-zini e il nerbo dei macchiaioli. D’al-tra parte era ed è palese che la pit-tura dei due decenni (1820-1840), nel passaggio dal neoclassico al ro-manticismo, non aveva inciso nella realtà nazionale, dismettendo così i principi mazziniani, per i quali l’ar-te è una «manifestazione eminen-temente sociale» e come tale in grado di «rinnovare le coscienze e rendere il suo linguaggio utile all’artista», alle prese con la lotta armata. Occorreva infatti fortificare il nuovo linguaggio, così come pre-visto dal “critico d’arte” genovese, anche se l’esule Mazzini, ormai iso-lato e fuori dai processi unitari, non aveva dato alcuna conferma identi-taria alla nuova rivolta d’arte, esplosa dopo quella romantica, non più al Nord, ma in Toscana e nel Me-ridione, presto in tutte le altre re-gioni, anche in quelle non legate all’Europa.

In effetti, la nuova poetica mac-chiaiola, anche senza le conferme di Leonardo, aveva recepito fin dalla sua nascita i dettati mazziniani, se è vero che Diego Martelli, il critico che teneva a battesimo il movimen-to, aveva confermato che essi erano stati usati come «un’arma e una bandiera», nella decisa convinzio-ne che occorreva adeguare il lin-guaggio artistico nella conquistata libertà. In questo scenario storico e artistico, i pittori della “macchia come luce” affrontavano la realtà, scendendo in campo per fare storia e per confermare che l’ideale arti-stico è in eguale misura fede e testi-monianza politica.

* Critico d’arte

Luigi Tallarico *

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Nel prospetto che segue sono riportate le variazioni percentuali, annuali e biennali, dell’indice Istat, da valere per gli aggiornamenti dei canoni locatizi.

MAGGIO2016 2017 2018

Rispetto al 2015 Rispetto al 2014 Rispetto al 2016 Rispetto al 2015 Rispetto al 2017 Rispetto al 2016V.% tot. = -0,40V. 75% = -0,30

V.% tot. = -0,50V. 75% = -0,375

V.% tot. = 1,40V. 75% = 1,05

V.% tot. = 1,00V. 75% = 0,75

V.% tot. = 0,90V. 75% = 0,675

V.% tot. = 2,30V. 75% = 1,725

COME PAGARE I CONTRIBUTI

Tramite MAV - Il MAV fornito dall’INPS non comprende il versamento ad Ebilcoba. Per ottenere il rimborso della malattia della Colf e/o Badante e tutti gli altri impor-tanti vantaggi che offre il nostro contratto il datore di lavoro deve riprodurre ogni trimestre un nuovo MAV dal sito internet www.inps inserendo il codice E1 applican-do la seguente procedura:

1) servizi on line: per tipologia di utente; cittadino.

2) pagamento contributi lavoratori domestici: paga-mento di un singolo o più rapporti di lavoro; inserimen-to del codice fiscale del datore di lavoro e del codice di rapporto di lavoro; cliccare su “modifica”; inserire nel campo “c.org” il codice E1; inserire l’importo risultan-te dalla moltiplicazione di 0,03 per le ore lavorate nel trimestre.

METODI DI PAGAMENTO ALTERNATIVI

Online sul sito www.inps.it - Selezionare nel campo “codice orga-nizzazione” il codice “E1” e inserire l’importo risultante dalla mol-tiplicazione di 0,03 per le ore lavorate nel trimestre.Con Home Banking - Se si dispone del servizio di Banca via internet, accedere alla sezione “conto on line” >pagamenti > contributi INPS selezionando nel campo cod. org E1” ed inserire l’importo risultante dalla moltiplicazione di 0,03 per le ore lavorate nel trimestre.

IMPORTANTI AGEVOLAZIONI FISCALI

Il datore di lavoro che versa regolarmente i contributi per colf e ba-danti puo’ usufruire delle seguenti agevolazioni fiscali: 1) deduzione dal reddito dei contributi versati per un importo massimo 1.549,37 2) detrazione dall’imposta lorda del 19% delle spese sostenute in caso di assunzione di un lavoratore addetto all’assistenza di persone non autosufficienti (badante) per un importo massimo di 2.100 euro.

Assistenza telefonica 24/24allo 0642746977o [email protected]

FIRMATO IL NUOVO CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE CHE AMPLIA LE TUTELE E OFFRE SEMPRE MAGGIORI GARANZIE AI DATORI DI LAVORO ED AI LAVORATORI ED AL QUALE LA FONDAZIONE DEI CONSULENTI DEL LAVORO HA FORNITO LA PROPRIA VALIDAZIONE GIURIDICA

“La Fondazione Studi ha esaminato la parte normativa del presente contratto e la ritiene coerente con il quadro giu-ridico di riferimento e non sono stati oggetto di valutazione i profili di rap-presentanza e gli effetti del presente contratto.”

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