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RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE damihi animas 2012 Anno LIX Mensile n. 11/12 Novembre/Dicembre Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma RESPONSABILI PER LA CITTÀ DELL’UOMO

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RIVISTA DE

LLE FIGLIE DI M

ARIA AUS

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damihianimas2012Anno LIX Mensile n. 11/12 Novembre/Dicembre

Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 2 - DCB Roma

RESPONSABILIPER LA CITTÀDELL’UOMO

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4EditorialeFede credibileGiuseppina Teruggi

5DossierResponsabili per la città dell’uomo

13Primopiano14IncontriDue vocazioni a confronto

16Cooperazione e sviluppoCDEW con le donneverso la pienezza della vita

18Costruire la PaceDonne per la Pace

20Filo di AriannaVerso la saggezza

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

sommario

dmaRivista delle Figlie di Maria Ausiliatrice

Via Ateneo Salesiano 8100139 Roma

tel. 06/87.274.1 • fax 06/87.13.23.06e-mail: [email protected]

Direttrice responsabileMariagrazia Curti

RedazioneGiuseppina TeruggiAnna Rita Cristaino

CollaboratriciTonny Aldana • Julia ArciniegasPatrizia Bertagnini • Mara BorsiCarla Castellino • Piera Cavaglià

Maria Antonia ChinelloEmilia Di Massimo • Dora Eylenstein Maria Pia Giudici • Palma LionettiAnna Mariani • Adriana Nepi

Maria Perentaler • Loli Ruiz PerezPaola Pignatelli • Debbie PonsaranMaria Rossi• Bernadette Sangma

Martha Séïde

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FOTO UNICEF SIEGFRIED MODOLA

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27In ricerca 28CultureCredo nel futuro del carismasalesiano

30PastoralmenteOratorio Centro giovanile:quale futuro?

32Donne in contestoDonne per il bene comune

33MosaicoDiritti in gioco

sommario

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ANNO LIX • MENSILE / NOVEMBRE DICEMBRE 2012

35Comunicare36Comunicazione e veritàInformare nella verità

38A me le affidiLa nostra bella vita

40Video A simple life

42ScaffaleRecensioni video e libri

45LibroL’estate alla finedel secolo

46140 anni di storia

n.11/12 Novembre Dicembre 2012Tip. Istituto Salesiano Pio XIVia Umbertide 11,00181 Roma

ASSOCIATAUNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

Traduttricifrancese • Anne Marie Baud

giapponese • ispettoria giapponeseinglese • Louise Passero

polacco • Janina Stankiewiczportoghese • Maria Aparecida Nunesspagnolo • Amparo Contreras Alvareztedesco • ispettorie austriaca e tedesca

EDIZIONE EXTRACOMMERCIALEIstituto Internazionale Maria AusiliatriceVia Ateneo Salesiano 81, 00139 Roma

c.c.p. 47272000Reg. Trib. Di Roma n. 13125 del 16-1-1970Sped. abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96 – Filiale di Roma

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coscienza della propria vocazione nella comu-nità politica”, e li sollecita ad “essere d’esem-pio, sviluppando in se stessi il senso della re-sponsabilità e la dedizione al bene comune”.

La rubrica Incontri lo evidenzia nel vissuto diMaria D. Mazzarello che “sentiva in sé un vi-vo desiderio di far del bene alle ragazze, euna voce intima le diceva di radunarle, d’i-struirle nella Religione, d’insegnar loro a fug-gire il peccato e a praticare la virtù”. È impor-tante riscoprire nei Fondatori, e riattualizza-re nell’oggi, l’appartenenza totale ed esclu-siva al Dio dell’amore, la fede nella sua pre-senza vicina che rende attenti e operosi neigesti di amore agli altri.

Da un sondaggio tra i giovani si rileva che adattirare e convincere è il clima di famiglia, lacordialità, l’ascolto, la relazione con educa-trici che insegnano a pregare. È un ambien-te dove si favorisce, attraverso modelli con-creti, un modo di essere alternativo a quel-lo dominante, nella logica del Vangelo, do-ve si vive il perdono, la solidarietà, la respon-sabilità, il senso del mistero. La nostra tradizione e la testimonianza di nu-merose sorelle di ieri e di oggi sono la dimo-strazione che la fede credibile si incarna nel-la vita: una consegna di speranza carisma-tica per il domani.

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Fede credibileGiuseppina Teruggi

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Un anno ricco di eventi quello che stiamo perconcludere, con il suo intreccio di speranzee preoccupazioni a livello planetario. E un“anno della fede” da poco iniziato, che Be-nedetto XVI auspica possa suscitare “in ognicredente l’aspirazione a confessare la fede inpienezza e con rinnovata convinzione”.

DMA propone alcune riflessioni sull’urgen-za di dare profondità e credibilità alla fede og-gi. “Anche noi, donne consacrate, rischiamotalvolta di rimanere ai margini diventandocomplici di quell’atteggiamento che separala fede dalla vita e dai problemi concreti”, sirileva in una delle rubriche. La nuova evan-gelizzazione richiede un cammino di fede cheridoni slancio alla relazione con il Signore Ge-sù, centro dell’esperienza del credente, rife-rimento totalizzante nella vita di consacrazio-ne. Una relazione che apre inevitabilmenteagli altri e al servizio educativo dei giovani. Ciè richiesto l’impegno concreto alla causa del-la persona, perché “una fede che non si fa sto-ria è una fede vuota, è una falsificazione deldono inesauribile di Dio che vuole incontra-re la persona umana per liberarla e rigenerar-la a vita nuova, nelle situazioni ordinarie”.

Siamo interpellate a stare “nel mondo senzaessere del mondo”, ad entrare nel cuore deiproblemi e delle trasformazioni della so-cietà. Come indica il Concilio nella Gaudiumet spes quando invita i cristiani a “prendere

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Responsabili

per la città dell’u

omo

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te, a recuperare e far ripartire meccanismiche si sono inceppati ma il tempo di inven-tare. Questa è la grande provocazione cheviene fatta oggi dai giovani: inventare. Co-me credenti è tempo di aprirsi con dispo-nibilità alla fonte di verità che è il Vange-lo per tutti ancora oggi.Ma fino a quando non restituiamo ai gio-vani la possibilità di esprimere le loro pro-vocazioni, la politica non potrà recupera-re il suo ordine, la sua natura, la sua fun-zione, la sua capacità di iscriversi in una di-mensione di servizio alla persona, all’uo-mo e alla donna contemporanei.

La domanda

Quali sono i compiti, allora, di una Pasto-rale giovanile impegnata per la vita e lasperanza come la nostra? Si tratta di allargare il nostro sguardo pa-storale sul tema, ossia promuovere una in-terpretazione educativa che tenta di pro-porre un approccio diverso, progettandoe agendo in quello spazio di azione che èla formazione.A livello planetario siamo immersi in unatriplice crisi: la finanziarizzazione dell’e-conomia, la crisi ambientale determinatadal sovra-consumo da parte della genera-zione attuale, e la crisi della dimensionecostituzionale della politica. Queste hanno un unico denominatore co-mune: l’assenza di futuro.Una radice comune che ha a sua volta un

Responsabili per la cittàdell’uomoMara Borsi, Palma Lionetti

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Giovani e politica… non è un film!

Tanti, ormai, sono i luoghi comuni cheusiamo noi educatori per descrivere ilmondo giovanile, un mondo di cui abbia-mo la responsabilità. I Giovani, come noi adulti, non si interes-sano di politica, preferiscono occuparsi dialtri argomenti: dai reality della televisio-ne, allo sport, al divertimento. Rimangono sempre un po’ ai margini,fermi lì davanti alla realtà che scorre co-me un film. Anche noi come consacraterischiamo di rimanere ai margini del di-scorso diventando un po’ complici diquell’atteggiamento che separa la fededalla vita e dai problemi concreti, addu-cendo la scusa che don Bosco ha fatto lapolitica del pater noster.La politica sembra essere caratterizzata so-lo da corruzione, interessi individuali edalla ricerca del vantaggio personale. La parola killer è “disincanto”. Termine chesta uccidendo espressioni come ripartire,rinnovare, riqualificare…Questo diffuso e persistente sentimentorischia di farci credere che sia praticamen-te impossibile uscire dalla crisi cercandosoluzioni comuni e condivise.Allora, prevalgono le vie individuali, le so-luzioni liquide, il galleggiamento esisten-ziale che ci fa scivolare nell’abitudinarietà.Quello che viviamo non è il tempo di ri-fare, di ritornare a fare cose che si sono fat-

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risvolto antropologico, l’individualismoche è mancanza, dentro la società, diuno scopo comune. Pertanto, diventasempre più urgente accompagnare a vive-re una cittadinanza concreta, progettuale,coraggiosa, condivisa, consapevole.

Gratuità e libertà responsabile…parole che fanno la politica

«Ci impegniamo, noi e non gli altri, sen-za pretese, per trovare un senso alla vita.Non ci interessa la carriera, non ci interes-sa il denaro. Abbiamo il cuore giovane eci fa paura il freddo della carta e il freddodei marmi. Non ci interessa né essere eroiné essere traditori davanti agli uomini seci costasse la fedeltà a noi stessi». Sono leparole che don Primo Mazzolari, sacerdo-te italiano considerato precursore del

Concilio Vaticano II e voce profetica cheparla ancora per l’oggi, ha rivolto ai giova-ni in un suo testo del 1943: “Impegno conCristo”. I suoi scritti sollecitano a un im-pegno politico che non mette tra paren-tesi le motivazioni valoriali, che parteproprio da quella passione, da quegliideali di giustizia, pace, non violenza, fra-ternità autentica. Parole, queste, valide perogni contesto e per ogni continente. Facendo un salto nell’oggi troviamo nei di-versi contesti giovani, comunità, gruppi so-ciali, famiglie che si impegnano in espe-rienze caratterizzate dalla solidarietà checostituiscono il grande e il vivace mondodel “volontariato”. Espressione di quella parte della societàcivile che non si rassegna all’individuali-smo e all’indifferenza. Una grande forza

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ANNO LIX • MENSILE / NOVEMBRE DICEMBRE 2012

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to, di rinnovamento della politi-ca, a partire dal linguaggio e daicomportamenti concreti di vita.Gratuità e libertà responsabilesono parole ancora utili alla po-litica? Se “la responsabilità” siproduce quando ci facciamo ca-rico del fatto di volere o meno leconseguenze delle nostre azioni,parimenti la “libertà” si producequando ci facciamo carico del fat-to di volere o meno le conse-guenze delle nostre azioni. Vale a dire che responsabilità elibertà intervengono entrambenella nostra azione educativa epastorale, soprattutto se diven-tiamo consapevoli che il mondoin cui viviamo dipende dai nostridesideri. E se l’educazione non spinge igiovani verso la responsabilità ela libertà di essere co-creatoridel mondo in cui vivono, limi-tando la riflessione, l’educazio-ne serve a ben poco.Così Teresa Californi, descrive la

sua esperienza a riguardo: «Pensare allaresponsabilità mi spaventava perché vo-leva dire farmi carico di alcuni doveri…morali, civili, cristiani, famigliari… Tutti gli impegni bisogna viverli con en-tusiasmo e piacere, solo così riesci a da-re il giusto significato per te stessa, per glialtri e per la vita che ti circonda. Ci si edu-ca alla responsabilità da piccoli nei gestiquotidiani per maturare un senso civico,cristiano e morale. Se penso alla parola “responsabilità” au-tomaticamente nella mia mente c’è un’as-sociazione negativa, perché culturalmen-te vivo in una realtà socio-politica in cui

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dal punto di vista motivazionale, che con-cepisce la gratuità come valore, il bene re-lazionale come possibilità di diventare im-presa economica, di esprimere la capacitàdi costruire legami sociali veri. Ma come mai questa ricchezza sociale nonsempre riesce a rinnovare la politica? A volte sembra relegata nella retoricaesortativa o, al massimo nella buona testi-monianza. Pertanto, abbiamo bisogno dicomprendere, attraverso una seria forma-zione alla responsabilità ed esperienza diessa, come la domanda etica e di sensoche ispira e alimenta il Vangelo può diven-tare energia politica capace di cambiamen-

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… “meglio evitare responsabilità” si èproprio così, si innescano certi mecca-nismi di allontanamento da ciò che pos-sono essere i propri impegni civili, mo-rali, cristiani senza pensare che questostile “leggero” non faccia altro che smi-nuire la personalità di ognuno. Crescendo ho imparato che al contrarioassumersi i propri impegni o doveri, au-menta la com-partecipazione ad una vi-ta sociale in cui si diventa con-responsa-bili di un percorso collettivo che favori-sce quel “sano protagonismo attivo”. Se penso alla vita oratoriana, credo chemi abbia offerto numerose occasioni

per fare esperienza di responsabilità noncome dovere, ma come realizzazione diun progetto condiviso. Solo dalla partecipazione di tutti con ipropri impegni è possibile intravedere unfuturo con prospettive nuove».

La responsabilità…il nostro cammino comune

Come restituire alla parola responsabilitàquella positività che incoraggia e spazzavia il disagio che suscita? Forse perchésembra nascere da un certo senso di col-pa, dalla sventura, dalla sensazione didover pagare con la perdita della libertà,

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La vera blasfemia è uccidereil proprio fratello...Anche la politica, nonostante l’attuale cri-si, ha i suoi martiri. Uomini e donne chehanno il coraggio della coerenza e del-l’onestà, che sanno battersi per i diritti ela libertà.

«Ogni giorno prima di andare al lavoro,si sedeva su un piccolo tappeto, prende-va la Bibbia e pregava per circa mezz’o-ra». Lo racconta Paul fratello di ShahbazBhatti, ministro per le minoranze religio-se del Pakistan, barbaramente ucciso loscorso anno. Sul sangue di Shahbaz la so-cietà pakistana dilaniata dai conflitti diogni tipo spera di far sorgere un germo-glio di pace. Cattolico di origini modeste,Shahbaz Bhatti ha sempre lavorato per ildialogo tra i musulmani e la minoranzacristiana del Pakistan, vittima del clima diintolleranza. La legge sulla blasfemia, percui, anche per futili motivi, si può esse-re condannati a morte, sta inasprendo lasituazione.L’imam di Lahore, amico personale diShahbaz ha dichiarato recentemente: «Il

peggiore errore dei miei fratelli musulma-ni è l’uso strumentale di una legge che inrealtà è fatta solo per creare rispettoper ciò che è sacro. Lotto e parlo ognigiorno, anche con gli imam delle altrecittà perché comprendano che la vera bla-sfemia è uccidere un proprio fratello».La figura di Shahbaz Bhatti ha lasciato unsegno nel Paese, il vescovo Joseph Couttsin un’intervista ha affermato che quelladi Shahbaz è stata una grande testimo-nianza di coerenza cristiana e lo ha de-scritto: «Un cristiano fedele, una perso-na di grandi capacità umane, un uomobuono, ma anche un grande patriota. Cre-deva fermamente nel riscatto del suo po-polo e nella convivenza pacifica di cre-denti di differenti religioni». Un martirelaico, un eroe della fede che aveva assun-to il suo ruolo politico per amore dei po-veri e dei perseguitati. Non a caso la Con-ferenza episcopale pakistana ha chiestoal Papa l’immediata apertura della suacausa di beatificazione.

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con la sofferenza. «La responsabilità è lagiusta risposta generata dal riconosci-mento di un valore. E ogni autentico valo-re è un dono da cui scaturisce quella re-sponsabilità che non è una facoltà parti-colare, poiché è l’espressione della li-bertà e dell’unicità della persona. Finché ci limitiamo ad avere una reazionea ciò che capita non siamo liberi; lo diven-tiamo quando diamo una risposta origina-le. La responsabilità è la capacità di rispon-dere personalmente agli eventi della vita,anzitutto all’altro che ha bisogno di me.«Dire ‘io – scrive Lévinas – significa dire‘eccomi’». Destarsi alla responsabilitànon porta a vedere solo il “tu” che ho di-nanzi, ma comporta anche il riconosci-mento del “terzo”, cioè potenzialmente diogni altro. Questa dismisura non va lettacome se ci fosse chiesto di diventare on-nipotenti, ma ci ricorda che non possia-mo fissare a priori il confine della respon-sabilità, né accettare che altri siano lascia-ti fuori dai suoi benefici frutti.

Dunque la responsabilità non è un pesoe neppure una condizione statica. È il cammino della persona per diventarepienamente umana, è il fondamento per-manente della vita comune. E deve poter-si tradurre in educazione, politica, econo-mia» (R. Mancini).In questa prospettiva ha senso parlare diinteresse per il bene comune, di centra-lità della persona umana, di solidarietà, disussidiarietà, di fedeltà ai valori; una fe-deltà che sa dialogare, rischiare la frater-nità con chi è ostile. Una linea di pensiero seguita nel docu-mento Caritas in Veritate di Benedetto XVI,a cui dobbiamo, innanzitutto, una cosa im-portantissima: l’aver superato l’ormai ob-soleta frattura tra la sfera economica e lasfera sociale. Il principio di fraternità pro-posto dalla Dottrina Sociale della Chiesacome fondamento per una buona so-cietà, da molti è considerato non appro-priato alle leggi del mercato e della libertà,ma sembra appartenere alla sola sfera pri-vata o alla pura filantropia.Dal punto di vista educativo, passare dal-la fraternità al bene comune diventa un im-pegno urgente che traduce l’invito dellaDottrina Sociale della Chiesa a proporreun umanesimo integrale a più dimensio-ni, nel quale la politica, il mercato non so-no realtà da combattere o controllare, mamomenti importanti della sfera pubblicache, se pensata e vissuta come luogoaperto anche ai principi della reciprocitàe del dono, possono costruire la “città”.

Testimoni di buona politica

All’interrogativo A che scopo educare?,Humberto Maturana (Santiago del Cile) ri-sponde sostenendo che si tratta forse diprodurre un convivere tra adulti e giova-

Dedizione al bene comune

Nella situazione odierna, più che mai at-tuale è l’indicazione della Costituzionepastorale Gaudium et spes del ConcilioVaticano II: «I cristiani devono prendere coscienzadella propria vocazione nella comunitàpolitica. Essi devono essere d’esem-pio, sviluppando in se stessi il senso del-la responsabilità e la dedizione al benecomune, così da mostrare con i fatti co-me possano armonizzarsi l’autorità e lalibertà, l’iniziativa personale e la solida-rietà di tutto il corpo sociale, la oppor-tuna unità e la proficua diversità».

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ni che intrecci educazione e politica inquel gioco combinatorio di emozioni e lin-guaggio che è il vivere quotidiano. «L’esistenza umana ha luogo nello spaziorelazionale, fortemente emotivo, del “con-versare”. Noi ci costruiamo, ci educhiamoe agiamo nello spazio politico attraversole conversazioni. Le conversazioni, inquanto intreccio di emozioni e linguaggio,costituiscono e configurano il mondo incui viviamo come un mondo di azioni pos-sibili. (…) L’educazione e la politica sonoattività intrecciate in un fluire storico nelquale gli adulti fanno politica e i giovanisi educano negli spazi cittadini che gliadulti definiscono, generano o modula-no con la loro attività politica. Così gli adulti educano i giovani, e i gio-vani, divenuti adulti, educano i giovani

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che vengono dopo di loro (…)». Con il nostro convivere educhiamo ediamo forma a modi di sentire della po-litica diversi, comprensibili e condivisidai giovani. Le donne poi, quando fanno della norma-lità la possibilità di cercare con la men-te e di trovare con il cuore, con passio-ne, i segni che indicano dove è più ur-gente il bisogno di intervento, diventa-no speciali, grandi perché sanno metter-si in gioco in prima persona nel dare del-le risposte di vita e di futuro, nel segnodella pace e della democrazia.Joyce Hilda Banda è la nuova presidentedel Malawi. Da sempre impegnata nellebattaglie per i diritti delle donne, a 62 an-ni diventa la prima presidente donna del-l’Africa meridionale e la seconda dell’in-tero continente, dopo lo Stato della Libe-ria guidato dalla Premio Nobel per la Pa-ce 2011 Ellen Johnson Sirleaf. Pedagogista, con un corso di managementin Italia, si è da sempre messa in prima li-nea per i diritti civili, dando vita, ancoraprima di entrare in politica ad una fonda-zione a suo nome per l’infanzia in diffi-coltà. Durante il suo primo governo, Bin-gu wa Mutharika la nominò prima al mi-nistero del Welfare e poi degli Esteri. Negli ultimi anni la sua popolarità è au-mentata tanto da mettere in ombra la fa-miglia dell’ex presidente che aspirava adun passaggio di consegne di tipo dinasti-co. La transizione invece sta dando i pri-mi frutti in modo molto pacifico.È stata capace di allontanare il governato-re della Banca centrale, Perks Ligoya, so-stituito dalla vice governatrice Mary Nko-si; il capo della radio-tv pubblica BrightMalopa, sostituito da Benson Tembo, ex di-plomatico e al ministero dell’Informazio-ne Patricia Kaliati con Moses Kunkuyu, de-

La convivenza basata sull’amicizia civile

Il significato profondo della conviven-za civile e politica non emerge immedia-tamente dall’elenco dei diritti e dei do-veri della persona. Tale convivenza ac-quista tutto il suo significato se basata

sull’amicizia civile e sulla fraternità. …L’amicizia civile è l’attuazione più auten-tica del principio di fraternità, che è in-separabile da quello di libertà e di

uguaglianza. Si tratta di un principio ri-masto in gran parte non attuato nelle so-cietà politiche moderne e contempora-nee, soprattutto a causa dell’influssoesercitato dalle ideologie individualisti-che e collettivistiche.

(Compendio Dottrina Sociale dellaChiesa, 390)

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putato del partito di governo. «Banda hail compito di affrontare subito i problemidella povera gente – ricorda monsignorMsusa, alla guida della diocesi di Zomba,dove la neo presidente nacque 62 anni fae in cui ha lasciato i segni più importantidel suo impegno in aiuto degli orfani e deibambini in difficoltà –, e per farlo bene do-vrà saper ascoltare anche chi la pensa di-versamente, in uno spirito di dialogo e ve-ra riconciliazione».

Ellen Johnson Sirleaf è presidente della Li-beria e prima donna capo di Stato dell’A-frica moderna. Nata a Monrovia il 29 ottobre 1938, ha stu-diato economia nel suo Paese; negli Sta-ti Uniti, presso la Harvard Kennedy School,ha conseguito un master in amministrazio-ne pubblica. In politica dal 1997, viene elet-ta presidente nel 2005 e si dedica alla rico-struzione del Paese, devastato da lunghianni di guerra. Da sempre attenta alla promozione del-la donna, fonda Measuagon, organizza-zione non governativa votata all’educazio-ne delle giovani e allo sviluppo delle co-munità, e prende parte alle iniziativeche studiano l’impatto della guerra nel-la vita delle donne e il loro ruolo nella co-struzione della pace.

Leymah Gbowee, 39 anni, altra liberiana eattivista della pace, nel 2002 fonda il Wo-men of Liberia Mass Action for Peace, unmovimento che riunisce donne cristianee musulmane nella lotta nonviolenta.Instancabile nella difesa dei diritti delledonne, è direttrice esecutiva del Wo-men Peace and Security Network Africa,associazione che si batte per dare appog-gio alle donne nella prevenzione e riso-luzione dei conflitti, con sede ad Accra,

in Ghana. Ha fatto parte della Commissio-ne per la verità e la riconciliazione in Li-beria e attraverso il network Women inPeacebuilding Program ha allargato atutta l’Africa occidentale la sua rete didonne interessate alla pace.Tawakkul Karman è yemenita, ha 33 annie nel suo Paese è considerata la “madredella rivoluzione” per il suo ruolo di mi-litanza pacifica per i diritti civili, un com-pito che da tempo la vede in prima lineaa chiedere la fine della presidenza di AliAbdullah Saleh, in carica dal 1978 e notoper il suo stile dittatoriale. Prima donna araba della storia a vedersiassegnare il premio Nobel, TawakkulKarman ha fondato nel 2005 l’associazio-ne Women Journalists Without Chains, indifesa della libertà di stampa e di espres-sione. Arrestata più volte per le sue proteste infavore della libertà e della democrazia,dall’inizio di quest’anno è un punto di ri-ferimento per i manifestanti che con lei,sulle piazze, reclamano una partecipa-zione democratica nella gestione dellavita del Paese. Tawakkul ha dedicato ilpremio alla primavera araba.

Joyce Hilda, Ellen, Leymah e Tawakkuldonne da Nobel, ma è la loro capacità distare in contesti non facili e al cuore del-le loro complicate realtà che sono dive-nute e sono rimaste “leader”. Donne in ascolto delle fatiche e delle spe-ranze dei loro popoli, il simbolo e mes-saggio anche per noi del diritto di ognidonna alla libertà da ogni forma di violen-za e di sopruso, del diritto a vivere la vi-ta in pienezza.

[email protected]@gmail.com

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dalità con cui viverla: «Non con le percosse,ma con la mansuetudine e con la carità do-vrai guadagnare questi tuoi amici. Mettitiadunque immediatamente a fare loro un’i-struzione sulla bruttezza del peccato e sul-la preziosità della virtù». Giovannino reagisce con un incalzare didomande, vuole spiegazioni chiare: «Chisiete voi, che mi comandate cose impossi-bili? Dove, con quali mezzi potrò acquista-re la scienza? Ma chi siete voi che parlatein questo modo? Mia madre mi dice di nonassociarmi con quelli che non conosco,senza suo permesso; perciò ditemi il vostronome». Il Personaggio misterioso rispondealle varie obiezioni e indica soluzioni: «Ap-punto perché tali cose ti sembrano impos-sibili, devi renderle possibili con l’ubbi-dienza e con l’acquisto della scienza. Io tidarò la maestra, sotto alla cui disciplinapuoi diventare sapiente, e senza cui ogni sa-pienza diviene stoltezza». E rivela la sua iden-tità: «Io sono il figlio di colei che tua madreti ammaestrò di salutare tre volte al giorno.Il mio nome domandalo a mia madre». Maria poi si presenta tutta bellezza esplendore, prende per mano Giovanninolo rassicura e gli indica il campo specificodella sua missione: «Guarda, ecco il tuocampo, ecco dove devi lavorare. Renditiumile, forte e robusto; e ciò che in questomomento vedi succedere di questi anima-li, tu dovrai farlo per i figli miei. … A suotempo tutto comprenderai».2

Due vocazioni a confrontoCarla Castellino

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Nell’Antico Testamento i racconti di vocazio-ne, si articolano secondo un modello partico-lare, abbastanza fisso. Di solito c’è un’introdu-zione, a cui segue la missione che Dio affidaalla persona che chiama; il chiamato normal-mente muove un’obiezione alla proposta diDio, ma il Signore risponde e risolve le dif-ficoltà. Qualche cosa di analogo capita a Gio-vannino Bosco e a Maria Domenica.

Cosa faceva Dio prima di creare il mondo?

«Che cosa faceva? Contemplava se stesso,amava se stesso ed era beato in se stesso»1.A questa risposta data alla piccola Main dalpadre se ne potrebbero aggiungere altre:“Pensava a te e all’Istituto che tu avresti con-tribuito a fondare per la salvezza di tantegiovani; pensava come formare il tuo cuo-re e come metterlo in sintonia con quellodi don Bosco”. Le nostre Costituzioni affer-mano: “Nella sua ammirabile provvidenzaDio ha dato a don Bosco un cuore grandecome le arene del mare. […] Con un unicodisegno di grazia ha suscitato la stessaesperienza di carità apostolica in SantaMaria Domenica Mazzarello” (C 2).

Ecco il tuo campo

Quanto il sogno dei 9 anni abbia segnato lavita di don Bosco lo si deduce dalla sua af-fermazione: «Non mi fu mai possibile toglier-mi quel sogno dalla mente».Il personaggio del sogno lo chiama per no-me, gli affida una missione e indica la mo-

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Gratitudine e responsabilità

Il sogno dei nove anni, la “visione” di Bor-goalto sono lì ad indicare che il dono del ca-risma custodito nel cuore di Dio lascia l’e-ternità per percorrere lo spazio e il tempo.Sosta ai Becchi e a Mornese, luoghi geogra-fici piccoli, poveri, sconosciuti. Comincia abussare al cuore di un ragazzino di 9 an-ni e di una giovane di 24, a distanza di tem-po: 1824 per Giovannino e 1860-61 per Ma-ria Domenica, accende ed alimenta desi-deri, trova accoglienza, senza troppa con-sapevolezza. Si chiarisce e approfondiscecon il passare del tempo nelle scelte cheGiovanni Bosco e Maria Domenica fannonel quotidiano e attraverso esperienze dimistero pasquale. Dio agisce con gradualità: attende, pazien-ta, prepara, crea sintonia a distanza. Scegliechi non conta, un orfano di padre e una gio-vane debilitata dal tifo. Egli non guarda al-la forza, ma al cuore disponibile e puro;non esita a consegnare il suo amore aigiovani e la sua sete di salvezza alla pic-colezza e fragilità umana, i suoi gusti so-no un po’ diversi dai nostri. Una consegnadestinata a varcare i confini del mondoche ha incrociato la nostra vita e doman-da collaborazione. Dio continua ad ave-re bisogno di noi, della nostra fragilità perrealizzare il suo disegno di amore, lasua logica ci sorprende e riempie i nostricuori di gratitudine e responsabilità.

Carla Castellino

1 Ferdinando MACCONO, Santa Maria D. MazzarelloConfondatrice e prima Superiora generale delle Figlie diMaria Ausiliatrice I, Torino, Istituto FMA 1960, 17.

2Cf San Giovanni BOSCO, Memorie dell’oratorio di S. Fran-cesco di Sales dal 1815 al 1855, Roma, Editrice SDB, 22-25.

3 CF Giselda CAPETTI, Cronistoria I, Roma, Istituto FMA1977, 96-97.

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A te le affido

Il Maccono, parlando di Maria Domenicaafferma: “Ella sentiva in sé un vivo deside-rio di far del bene alle ragazze, e una vo-ce intima le diceva di radunarle, d’istruir-le nella Religione, d’insegnar loro a fuggi-re il peccato e a praticare la virtù.Questo ardente desiderio di donarsi agli al-tri si fa più forte dopo la consegna di Bor-goalto: A te le affido.Su quella collina una “presenza” misteriosasi fa sentire, Maria Domenica piena di me-raviglia e un po’ sgomenta vede qualcosa distrano, di nuovo: “un gran caseggiato con tut-ta l’apparenza esteriore di un collegio di nu-merose giovanette”. Attonita si domanda:«Cosa è mai questo che vedo? Ma qui nonc’è mai stato questo palazzo! Che succede?» E poi una voce, una consegna, un mandato“A te le affido”, che rimane profondamen-te nel suo cuore.La Cronistoria annota: “Abituata a padroneg-giarsi, Maria si allontanò rapidamente di làe procurò di non ripensarvi; ma sì, quellegiovani erano sempre lì quasi a chiamarla,specialmente ogni qualvolta era costretta aripassare per quell’altura; e a niente le gio-vava il distrarsi, il gettarsi nel lavoro con cre-scente attività”.3

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mazione della vita di donne e bambini. Silavora per la dignità ed i diritti delle don-ne attraverso la promozione dell’autoco-scienza, la partecipazione sociale, l’istruzio-ne, la formazione culturale, l’autonomiaeconomica e l’assistenza sanitaria. La loro attenzione è per le donne e i lorosforzi sono per uno sviluppo sostenibile ela trasformazione delle condizioni di vitadella parte più povera della popolazione. Il centro di sviluppo della donna, chiama-to CDEW, è l’organo di azione sociale uffi-ciale delle FMA dell’ispettoria. È nato nel 2003 come un’organizzazione divolontariato. La sua missione è costruire unasocietà fondata sull’amore, la fratellanza, lasolidarietà, il miglioramento economico el’empowerment delle donne. Cinque sono le strategie del CDEW perl’empowerment: nell’organizzazione, nel-l’istruzione, nell’autosufficienza economi-ca, nella cura della persona, nella capacitàdi prendere decisioni. Queste strategie portano a buoni risultati.Nel corso degli anni il CDEW ha seguito consuccesso diversi progetti e programmi: laformazione e la crescita di circa 700 Centridi Auto Aiuto che formano una federazio-ne; Programmi di generazione di Reddito,costruzione di case, scuole, programmi dipromozione dell’alfabetismo per bambinipoveri in tre Stati raggiungendo circa 3000bambini, programmi di prevenzione einformazione sull’HIV/AIDS. La costruzio-

CDEW con le donneverso la pienezza della vitaLa Redazione

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In tutta l’India, le Figlie di Maria Ausiliatri-ce hanno scelto di alleviare la povertà epromuovere l’alfabetizzazione attraversouna campagna in cui le donne acquistanoabilità di base per rendere le loro vite piùsostenibili. Le FMA hanno scelto come de-stinatarie le donne perché costituisconola carta vincente per alleviare la povertà emigliorare gli standard di vita della fami-glia in termini di cibo, cure sanitaria eistruzione dei bambini.Nella punta sud-occidentale dell’India c’èlo stato di Karnataka la cui capitale è Ban-galore. È la terza città più popolosa dell’In-dia ed una delle città d’Asia che sta diven-tano velocemente cosmopolita. L’ industria della tecnologia delle informa-zioni prospera, ma questo a scapito dellapopolazione rurale. Solo il 28% di Bangalore è urbano e la mag-gior parte della sua popolazione si basa suimprese agricole. La differenza economi-co-culturale diventa sempre più grande eil puntare sulle tecnologie ad alto livello ri-spetto ai principi dell’economia agraria hadato due facce alla stessa città. La prima è vibrante, innovativa ed estrema-mente moderna, mostra il successo di unanazione in sviluppo. La seconda fa vederegente che vive ai margini, per strada e conenormi differenze di reddito, con poca sa-lute e opportunità.Nell’ispettoria di Bangalore le FMA sonoimpegnate per l’empowerment e la trasfor-

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ne di più di 500 pozzi per la raccolta del-l’acqua piovana per i più poveri in Ka-nakakkunnu e Kattappana, programmi perbambini esclusi dalla scuola. 10 mila per-sone guarite dall’alcolismo. Il CDEW è diffuso in 30 centri nei tre Statiindiani del sud: Andhra Pradesh, Karnatakae Kerala. Si occupa di bambini, giovani edonne delle comunità delle caste più emar-ginate, che formano una popolazione diquattrocentomila persone.Ongole, città che si trova a circa 500 km daBangalore, antico centro tessile nello Sta-to di Andhra Pradesh è fra le aree più den-samente-popolate dove le fma hanno inizia-to il loro apostolato sociale nel 2003, con gliabitanti degli slum. La popolazione che appartiene alle tribù piùpovere vive in piccole capanne ricoperte dipaglia, costruite in luoghi paludosi, accan-to alle discariche. Spesso i bambini sono pri-vati del diritto allo studio e costretti a svol-

gere piccoli lavori per aiutare la famiglia. L’estrema povertà è il motivo per cui in que-ste baraccopoli il livello di alfabetizzazioneè molto basso; non raggiunge neppure il40%. Le fma con i Gruppi di Auto Aiuto del-l’Auxilium Akhila Vikas Women Develop-ment Centre (AAWDC) hanno iniziato cor-si di formazione con programmi di consa-pevolezza, risparmio ed economia, conazioni di micro-credito. Questi gruppi di Auto Aiuto si radunanoogni settimana e mettono in un fondo co-mune la loro raccolta di risparmi, eseguo-no varie attività sociali nei loro villaggi e par-tecipano a tutti i programmi comuni e allecelebrazioni organizzate da AAWDC. Molte delle esperienze fatte da questigruppi si possono vedere nel DVD cura-to da Missioni don Bosco e dall’Ambitoper la Comunicazione sociale, che è giànelle nostre case e ha come titolo: Uniteper una società migliore.

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sta. Si preoccupa soprattutto della gente,perché sono le persone coloro “che inrealtà scrivono la storia”. «Si possono vede-re le rovine delle case, ma non è possibilevedere le rovine nelle nostre anime» , hascritto di recente nella striscia di Gaza.

ElLEEN KAMPAKUTA BROWN (Australia)“Non sprecate la nostra terra, non spreca-te il nostro futuro.”

Eileen Kampakuta Brown è una donna abo-rigena dell’Australia. È una delle fondatricidel Kupa Piti Kungka Tjuta, il Consiglio de-gli anziani aborigeni di Coober Pedy in Au-stralia del sud, che ha lottato contro il pro-getto del governo australiano di creare unadiscarica nucleare nel deserto australiano.“Dire No alla discarica radioattiva nel no-stro ngura, sulla nostra terra”, è il loro slo-gan. “È puro veleno e non lo vogliamo!”“Noi, donne, non vogliamo soldi, vogliamovita e terra per i nostri figli.” Eileen e le suesorelle più anziane hanno capito che, pervincere la battaglia, avrebbero dovuto ipregiudizi razziali. Si sono unite, quindi, adonne non-aborigene e hanno lottato in-sieme per la difesa dell’ambiente. Esse han-no dimostrato che quando il danno è co-mune a tutta l’umanità, si può e è necessa-rio lavorare insieme. Alla fine il governoaustraliano ha abbandonato il progetto edEileen ha ricevuto il premio Goldman perl’ambiente. “Prendetevi cura della vostraterra e la terra, si prenderà cura di voi.” È il

Donne per la PaceJulia Arciniegas, Martha Seide

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1.325 donne tessitrici di pace. È questo iltitolo di una pubblicazione del “Centro diEducazione e Ricerca per la Pace” (CEI-PAZ), che presenta settanta ritratti di don-ne, note e anonime, attive promotrici dipace nel mondo. Presentiamo un breve profilo di alcune diesse, vissute in diversi continenti.

AMlRA HASS (Israele)“Il mio lavoro è quello di vigilare il potere.”

Amira Hass, giornalista israeliana, nata aGerusalemme, ha scelto di mostrare ai suoiconnazionali cosa accade a pochi chilome-tri dalle loro case, realtà che molti non vo-gliono vedere. Per anni ha trascorso alcuniperiodi di tempo nella striscia costiera pa-lestinese e raccontato com’è la vita sotto as-sedio. Voleva vedere e contare gli effetti de-vastanti delle bombe, spari e serbatoi. Da lìha scritto regolarmente per il suo giornale,uno dei più influenti del Paese.“Israele sa che la pace non compensa”, haintitolato uno dei suoi ultimi articoli, e haspiegato che il commercio delle armi sareb-be stato gravemente colpito, mentre le ri-sorse e la terra si sarebbero impoverite.Hass è sata arrestata più volte dalla poliziadel suo Paese, insultata dai lettori del suogiornale, condannata a pagare multe... Perlei, vincitrice di premi prestigiosi conferitidall’UNESCO, il giornalismo dovrebbe con-centrarsi “sulla vigilanza dei centri di pote-re”. Più che oggettiva lei vuole essere giu-

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segreto che le donne Aborigene voglionotramandare alle generazioni future.

ROSALlNDA TUYUC (Guatemala)“Ci alziamo dalle ceneri dei massacri acercare soluzioni.”

Indigena Maya ha iniziato la sua attività so-ciale con un gruppo di giovani cristiani ne-gli anni settanta. Dieci anni dopo, i militarihanno sequestrato e ucciso suo padre e suomarito, lasciandola vedova con due bambi-ni. Il Guatemala ha sofferto una delle guer-re più lunghe dell’America Latina, ed è statacolpita dalle più gravi violazioni dei dirittiumani. “Continuiamo a vivere con paura,persecuzioni e minacce. Questa situazioneci ha portato ad organizzarci come donneindigene e a proteggere i nostri figli dal re-clutamento forzato”, afferma Rosalinda. Or-gogliosa di appartenere a una cultura anti-ca, è lieta di poter lavorare per un paese di12 milioni di persone, di cui più della metàsono indigeni. È stata nominata per il pre-mio Nobel della pace nel 2005. “Abbiamo ot-tenuto buone cose per le donne indigene,siamo meglio organizzate, conosciamo i no-stri diritti economici, politici e culturali, maabbiamo ancora problemi per accedere allagiustizia, alla salute, e siamo sempre espo-

La pace è possibile anche in situazio-ni difficili. Ce lo mostra la testimonian-za di queste donne. Accogliamo il loro invito e rafforziamoil nostro impegno ad educare alla pa-ce i/le giovani di tutti i contesti, ricor-dando che la pace del mondo vienecoltivata anzitutto nel nostro cuore. Un compito accessibile a tutti.

www.1325mujerestejiendolapaz.orgwww.ceipaz.org

ste a discriminazione”, aggiunge con occhitristi. “La cultura dei nostri popoli è unagrande riserva di umanità, anche se non è ri-conosciuta dalla cultura occidentale”, ag-giunge con forza. Si oppone alle guerre, alconsumismo, all’ambizione, alla violenza evalorizza l’armonia, il rispetto, la solidarietà.

MONICA McWILLIAMS (Irlanda del Nord)“Quando una persona si fissa in un inac-cettabile livello di violenza, allora la pacerichiede molto, molto tempo.”

Professoressa e Studiosa della questionefemminile e di Politica Sociale presso l’U-niversità dell’Ulster e ricercatrice pressol’Istituto di Giustizia, è cofondatrice dellaCoalizione delle Donne dell’Irlanda delNord. Si è impegnata come rappresentan-te nell’Assemblea del suo Paese e come Al-ta Responsabile della Commissione di Di-ritti Umani a livello nazionale (NIHCR). Isuoi lavori hanno ricevuto diversi premiper la Pace. A soli sedici anni, Monica co-mincia ad impegnarsi in politica. Dopoaver lavorato per 25 anni con diverse co-munità e gruppi, ha creato il partito politi-co delle donne (NIWC), che lei riteneva in-dispensabile per poter raggiungere unapace duratura e stabile. Questo partito si èrivelato un esempio di convivenza rispet-tosa e pacifista, capace di dialogo e diascolto reciproco. Il suo obiettivo eraquello di garantire che i principi fonda-mentali dei diritti umani, dell’inclusione edell’uguaglianza fossero inclusi nelle ne-goziazioni per la pace. A partire dal conflit-to, le donne si sono trasformate in agentidi cambio e promotrici di diverse propo-ste, ad es. quella di creare scuole comuni-tarie d’integrazione per educare i/le bam-bini/e protestanti e cattolici insieme.

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pidità [doti della gioventù], ma piuttosto lasaggezza, la lungimiranza e il discernimen-to. Qualità di cui non solo la vecchiaia nonè priva, ma che, al contrario, essa può am-piamente sfruttare». E, nella Roma repub-blicana di Cicerone, il consiglio dei senato-ri (= vecchi), nelle decisioni politiche, ave-va un peso determinante.

Cos’è la saggezza? E chi è il saggio?

Nell’ambito filosofico, i modi di concepir-la sono tanti quanti sono i modi di conce-pire il fine supremo della morale. Nei siti in-ternet, si possono trovare varie e interessan-ti definizioni date dai filosofi lungo la sto-ria. Nell’ambito psicologico, la saggezza èritenuta una virtù, una forza psichica che siestrinseca in una specie di consapevole edistaccato interesse per la vita, anche difronte alla morte; una matura consapevo-lezza delle cose della vita e del mondo chesi esprime nell’equilibrio del comportamen-to e del consiglio; lo stadio più avanzato del-lo sviluppo umano.La persona saggia ha la capacità di unosguardo positivo e distaccato su di sé, su-gli altri, sul mondo. Si sente responsabiledella vita, del creato e di quanto vive, manon si carica d’ansia. Sa prendersi cura disé senza trascurare gli altri, anzi ha il gu-sto di far contenti quelli che vivono con leio che l’avvicinano. Vive le situazioni ordi-narie con speranza, gioia e piacere, ten-dendo a un pacato ottimismo e a una se-

Verso la saggezzaMaria Rossi

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In alcuni racconti del passato, si narra diindividui che, in un momento particolaredella vita, decidono di affrontare lunghiviaggi per incontrare una persona ritenu-ta saggia e avere indicazioni riguardanti ilsenso della vita o la soluzione di angoscio-si dilemmi esistenziali.Un tempo c’erano i saggi. Oggi, scorrendole pagine dei giornali e vedendo la televi-sione, pare che la saggezza sia cosa d’altritempi. Non passa giorno, infatti, che nonvengano segnalati scandali riguardanti so-prattutto persone che detengono poteri po-litici, economici, sociali, religiosi. Per fortuna, quella presentata dai “media”,non è tutta la realtà. Chi ha esperienza di per-sone e la capacità di coglierne lo spessorespirituale, sa che la saggezza non è scompar-sa dalla faccia della terra. Esiste. Basta guar-darsi intorno o sfogliare le pagine della pro-pria vita per scorgerla: ha il volto di coloroche ci vogliono e/o ci hanno voluto bene.La saggezza è una caratteristica attribuita ge-neralmente alle persone anziane, anche senon sempre l’essere vecchi coincide conl’essere saggi e sprazzi di saggezza ci pos-sono essere anche in altre età. Cicerone laconsidera una qualità propria della vec-chiaia e frutto di una vita sobria e virtuosa. Nell’interessante, anche se datato, Catomaior de senectute (44 a.C.) scrive: «La vi-ta… arricchisce ogni età di qualità proprie…Le qualità che consentono grandi impresenon sono la forza, né l’agilità fisica, né la ra-

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rena libertà. Non è insensibile, anzi. Sof-fre con chi soffre, indipendentementedall’etnia, dalla religione, dallo stato socia-le e fa quanto può per attenuare o risolve-re le situazioni. Gradisce le attenzioni, il ri-spetto, i riconoscimenti, ma non va a ele-mosinarli: sapendo che il bene è bene persempre, non si ferma e dona indipen-dentemente dalla riconoscenza. Di fronte alla mancanza di rispetto, alla vol-garità, alla violenza, alla stupidità, alla pre-potenza, può provare disgusto, pena, rab-bia e anche un momentaneo senso di diso-rientamento. Ma non si turba più di tanto,non fa tragedie, né si ferma. La matura con-sapevolezza delle cose della vita e delmondo, l’accettazione del proprio e dell’al-trui limite che porta alla grande compassio-ne, l’interiorizzazione e il riferimento aigrandi valori etici, il senso di affidamentoa quella misteriosa Provvidenza che seguee protegge ogni vita anche oltre la morte,consentono al saggio di guardare in facciaalle situazioni, di chiamare le difficoltà e gliatteggiamenti con il loro nome, di relativiz-zare ciò che sembra assoluto e insormon-tabile, di discernere il positivo e, con sere-na chiaroveggenza, trovare le giuste solu-zioni e/o dare saggi consigli. A differenza di chi dispensa consigli anchea chi non sa che farsene, consiglia soloquando è richiesto e, spesso, invece delconsiglio, dopo un attento ascolto empati-co, guida le persone a trovare da se stessela soluzione al problema che le angustia.Il saggio, pur non essendo privo di cono-scenze, non è mai sazio di quel sapere cheva oltre la cronaca. È aperto, appassionatodella verità e costantemente la ricerca, pur- come dice Niccolò Cusano - “sapendo dinon saperla mai”. La saggezza preserva dal ripiegamento sudi sé, dalla depressione, dall’amarezza, dal

rimpianto, dall’incapacità di cogliere gliaspetti positivi presenti nelle persone e ne-gli avvenimenti, dal disprezzo degli altri chespesso non è altro che un malcelato di-sprezzo di sé, dal rifiuto di quanto non faparte della propria esperienza, dalla criticamiope e negativa, dal lamento continuo,dalla prepotenza specialmente con i più de-boli, dalla paura del cambiamento e dellamorte. Erikson dice che la virtù della saggez-za preserva dalla disperazione che si mani-festa soprattutto nell’ultimo stadio della vi-ta in tanti atteggiamenti di disgusto, incapa-ci di un grande rimorso. La disperazione èl’atteggiamento di chi, avendo pensato so-lo a se stesso, non ha generato e avverte dinon avere più il tempo per farlo.

Come si raggiunge?

Non esistono ricette, tantomeno facili. Lasaggezza non dipende dal livello culturale:avere una o più lauree può aiutare, ma an-che essere di ostacolo. Rileggendo le Me-morie dell’oratorio di Don Bosco, come pu-re il Cato maior de senectute di Cicerone,le vite dei Santi, anche di quelli considera-ti socialmente “modesti”, si può notarecome questa caratteristica sia maturata at-traverso il superamento delle difficoltà in-contrate nella vita, mediante scelte dettatenon dal più facile o dal proprio interesse,ma dai grandi valori etici dell’onestà e dal-l’amore per gli altri. Una vita troppo facili-tata e godereccia, chiusa nella preoccupa-zione del proprio benessere, non porta ge-neralmente in questa direzione.Dal punto di vista psicologico, si arriva al-la saggezza attraverso il superamento del-le crisi proprie di ogni stadio del ciclo vita-le, l’ultimo, quello della vecchiaia, compre-so. Nel corso della vita, risulta importantela continua rielaborazione e il rafforza-

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ancor più il cambiamento di stato socia-le dovuto al non poter più ricoprire ruo-li prestigiosi o professioni per la prepa-razione delle quali si era molto faticato,possono portare a una dolorosa crisi diidentità e alla profonda sofferenza delcredere che la vita non abbia più senso,dato che, come la società efficientista pro-pina, non poter fare può essere avvertito,come un non poter essere.L’accettazione e la elaborazione di tuttoquello che c’è stato nella propria vita, sba-gli compresi, consente di ristrutturare con-tinuamente la propria identità personale, dirafforzarla e di arrivare a quell’integritàdell’Io che contrasta con il non senso e conla disperazione che può prendere spazioanche per l’avvicinarsi della morte. Il supe-ramento di ogni crisi spalanca orizzontisempre più vasti e liberi e avvia sulle stra-de della saggezza, strade impegnative, macolme di serenità, di pace, di gioia. I sagginon sono tristi, ma suscitatori di gioia.Riguardo al suo ritorno a Gerusalemme,Martin Buber scrive: “I saggi talmudici di-cono che essa [l’aria di Gerusalemme eper noi l’incontro con Lui] rende saggi. Ioho ricevuto da essa qualcosa d’altro: laforza di ricominciare.”1 Nel viaggio versola saggezza, la fede è un grande aiuto. Ilcredere che Qualcuno ci ama indipen-dentemente dall’avvenenza e dall’agilitàfisica, dall’età, dal ruolo, dal livello cultu-rale, dalla considerazione sociale, è unaforza che consente all’umano di arrivarealla sua pienezza, alla saggezza o di rico-minciare. E la saggezza è un gioioso pre-ludio, un sereno inizio del “per sempre”.

[email protected]

1 BUBER Martin, I racconti dei hassidim,Guanda, Par-ma 1992, pag. XIII.

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mento della propria identità personale. L’identità personale si configura nell’adole-scenza con la conoscenza e l’accettazionedella propria corporeità, così come si pre-senta; delle proprie caratteristiche psichi-che (intelligenza, creatività, modi di senti-re e di essere); del proprio stato sociale edella propria storia. Nello scorrere della vita, molte cose cambia-no: nelle relazioni, le vicende positive si al-ternano a quelle negative o problematiche;nel lavoro, a periodi di entusiasmo e di suc-cesso, succedono tempi di insuccesso, diroutine e di stanchezza; agli applausi gene-ralmente misurati, si alternano le critichepiuttosto generose; la memoria, l’intelligen-za cambiano. Anche il corpo, dopo aver rag-giunto il suo massimo sviluppo, lascia gra-dualmente intravedere i segni del tempo.Per rafforzare la propria identità persona-le e andare verso la saggezza, si richiede diaccettare ed elaborare tutta la propria sto-ria, con successi e insuccessi; amicizie fe-deli e tradimenti; comprensioni, riconosci-menti e fraintendimenti; sogni professiona-li e spirituali realizzati e possibilità deside-rate, ma rimaste nel “cassetto”; godere diaver ricoperto o di ricoprire ruoli prestigio-si, ma anche di aver fatto e di fare la/il tap-pabuchi e di non rammaricarsi troppo di es-sere o sentirsi non considerate. Si tratta an-che di riconoscere, discernere, e, accettan-do, andar oltre i condizionamenti positivie negativi propri di ogni convivenza uma-na e di ogni cultura.È pure molto importante, anche se non fa-cile, accettare le modificazioni corporee cheintervengono nel passare delle stagioni eche, in genere, vanno verso la diminuzio-ne e la perdita dell’avvenenza e dell’efficien-za, specialmente nell’ultima stagione. Nella vecchiaia o nell’andare verso que-sta stagione, le modificazioni corporee e

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maI COLORI SQUILLANO

E PROCLAMANO AL MONDO LA LORO INDIVIDUALITÀ, LA LORO INTANGIBILITÀ.

I GIOVANI E I COLORI

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GRIGIO

IL GRIGIO È IL COLORE DELLA SFUMATURA, ANZI È IN SE STESSO UNA SFUMATURA

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TESTI PRESI DA “SVOLTA DI RESPIRO” DI ANTONIO SPADARO

IL GRIGIO PUÒ AFFASCINARE

IN QUANTO SEGNO DI SAGGEZZA

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Intervista a suor Wilma Lucía Ramírez (Colombia)

Credo nel futuro del carisma salesianoMara Borsi

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Credo nel futuro del carisma perché ho lacertezza che ci sarà sempre in qualche lu-ogo un cuore giovane che desidera veritàe amore. Per questo contemplo con stuporeil dono del carisma salesiano alla Chiesa.Perché posso parlare di futuro? Perché il futuro appartiene ai giovani, alle“sentinelle del mattino”, come li ha chiamatiGiovani Paolo II. I giovani sono presenti intutte le nostre realtà e saper stare lì, conloro, camminare al loro fianco, come han-no fatto don Bosco e Maria DomenicaMazzarello è l’essenza del carisma sale-siano.

Credo nel futuro del carisma salesianoperché…

Il futuro non è domani, il futuro è oggi, quie ora, nel momento in cui contemplandoe facendo memoria del passato rendiamonuovo ogni giorno. Riprendere l’espe-rienza delle prime comunità ci consentedi incontrare esperienze vive che dannovigore alla passione educativa e sostengo-no il sacrificio che comporta il farsi donogratuito per le nuove generazioni.Siamo chiamate non solo a sognare il fu-turo del carisma, ma a ricrearlo essendofedeli al dono e all’identità della nostramissione nella Chiesa, come ricorda il pri-mo l’articolo delle Costituzioni: «San Gio-vanni Bosco ha fondato il nostro Istitutocome risposta di salvezza alle atteseprofonde delle giovani».

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I giovani sono il futuro, ma è nel vissutoquotidiano di ogni giorno che stiamoconsegnando loro la speranza carismati-ca del domani. È questa la ragione per cuicontinuiamo in tanti, direi moltissimi, acredere nel carisma salesiano. Spetta agli educatori di diffondere con co-raggio la spiritualità salesiana capace di da-re felicità e pienezza di vita.Siamo noi adulti ad essere interpellati per

Ognuna di noi è personalmente respon-sabile della vitalità dell’Istituto e dellafecondità vocazionale (cf C 73). Il carisma, infatti, contiene in sé un’ener-gia che deve essere sprigionata con lanostra corresponsabilità, nel confrontocon le sfide attuali, per esprimerne tut-ta la forza profetica e creativa, dentro lefragilità e povertà che ogni giorno con-statiamo in noi e nelle comunità.La storia dell’Istituto, scritta dalle nostresorelle in questi 140 anni superando dif-ficoltà di ogni genere per mantenersi fe-deli ai Fondatori e per dare risposte in-novative alle varie forme di povertà, èscintilla di futuro, ispirazione e chiaroorientamento di vita. Oggi, con la nostra esistenza, continuia-mo a scrivere questa storia.

Un sogno di Dio che si realizza nel tempo,Yvonne Reungoat, Superiora generale.

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primi; credo sia importante riscoprire neinostri Fondatori il senso di appartenenzatotale ed esclusiva al Dio dell’amore, la fe-de ardente nella sua presenza vicina, co-stante che rende attenti alla sua volontà.

Il cuore oratoriano è garanzia di futuro

Penso che il futuro del carisma sia legatoalla capacità di essere fedeli al “cuore ora-toriano”, che ci impegna a costruire luoghidove far sperimentare in modo concreto lasperanza verso il futuro. Luoghi dove si respirano fatti di speranza,nel coraggio di affrontare le questioni del-la vita quotidiana secondo modalità alter-native a tante dominanti. Scuole, oratori, centri di formazione pro-fessionale, pensionati universitari, centri diaccoglienza per chi è in difficoltà, dove,proprio perché pulsa il “cuore oratoriano”,si promuove un’accoglienza incondiziona-

ta dei giovani, per far toccare con manoche sono “amati”. Ambienti dove si favo-risce, attraverso esempi concreti, un mo-do di essere uomini e donne, alternativoa quello dominante, nella logica del Van-gelo: perdono, solidarietà, libertà e re-sponsabilità, senso del mistero. Spazi dove gli “interessi” concreti (sport,musica, incontro…) siano sperimentaticome “valori in sé”… mai strumentalizza-ti verso altri obiettivi, dove si incontra unaproposta cristiana (e la sua celebrazionesacramentale e liturgica) come “bellanotizia” per guardare al futuro.Lasciare esprimere il “cuore oratoriano”,che pulsa in ogni educatrice, educatoresalesiano e rileggere il Sistema preventi-vo a partire dalla speranza, per essere ingrado di incontrare il punto accessibile albene, sono i compiti che ci attendono nelnostro oggi della storia.Mi pare importante camminare con spe-ranza coltivando la ricchezza della nostraidentità carismatica, così sarà più facile farrisuonare in noi la chiamata del Capito-lo generale XXII a convertirsi all’amoreper essere oggi segni ed espressionedell’amore preveniente di Dio.La Madre parlando del carisma salesianocome una memoria che ci interpella af-ferma: «Il futuro del carisma non dipen-derà tanto dalla crescita delle opere,quanto dalla crescita delle persone, dal-la forza del loro amore e della loro fedeltàal progetto di Dio».Allora non ci resta che vivere l’avventu-ra di sognare e rendere concreta ognigiorno l’attualità del carisma salesiano,perché la passione per Dio si converta innoi in passione per la crescita integraledelle nuove generazioni.

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Don Michal: L’Oratorio ha un ruolo fonda-mentale nella vita di un Salesiano. Penso che la maggioranza dei confratelligiovani abbiano riconosciuto la loro voca-zione salesiana grazie all’informalità e fa-miliarità dell’ambiente oratoriano. E sicu-ramente anche grazie alla vicinanza di unSalesiano che accompagnava personaliz-zando il cammino. Almeno così dicono iracconti delle storie vocazionali... L’Oratorio Centro giovanile avrà un futu-ro in quest’epoca individualistica, consu-mistica e secolarizzata se diventerà, attra-verso tutte le proposte, la casa dei giova-ni, sopratutto di quelli che non ce l’hanno.È indispensabile la presenza amorevoledei membri di una comunità educativache offrono vicinanza e itinerari per quel-la formazione che manca nelle altre istitu-zioni educative. Cioè orientamento per ilfuturo anche attraverso uno scambio in-tergenerazionale, apertura alle questioniesistenziali, spazi di scambio intercultura-le, proposte forti di impegno e di volonta-riato, accompagnamento personale, con-fronto intelligente ed inculturato dellequestioni di fede.

Don Giancarlo: La validità di un qualsiasiOratorio dipende... dalla proposta. Coltempo abbiamo imparato a capire che l’O-ratorio – come proposta “ideale” e comerealtà “storica” o socio-esistenziale (cioècome istituzione che ha una sua valenza esignificato nel territorio per la gente e per

Oratorio Centro giovanile:quale futuro?Anna Mariani, Mara Borsi

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L’evoluzione della società complessa,le nuove sensibilità giovanili, le problematiche e le opportunità da essi vissute richiedono di ripensarele forme di annuncio e di incontro.Già nella pre-adolescenza i ragazzi vivono le esperienzepiù diversificate: l’ambivalenza dei mondi giovanili mette in evidenzal’importanza del sostegno e dell’accompagnamento educativo.

Maria Lan, FMA vietnamita racconta chenel suo Paese quasi tutte le comunità han-no l’Oratorio e i giovani in genere sonomolto sensibili alla proposta educativa,così come i genitori sono particolarmenteattenti e desiderosi che i propri figli fre-quentino questo ambiente. La sfida per ilfuturo, afferma suor Maria, è qualificarsimeglio nell’accompagnamento educativodei giovani, aggiornare la metodologia ca-techistica, perché i giovani nella loro li-bertà possano fare un reale cammino diincontro con Cristo e dare una rinnovataattenzione all’educazione della coscienza.

Michal Vojtáš, salesiano slovacco si trovaa Roma per redigere la sua tesi di dottora-to a lui e al direttore di Note di Pastoralegiovanile, Giancarlo De Nicolò, abbiamochiesto che futuro intravedono per que-sto ambiente educativo così importanteper la Famiglia salesiana.

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la persona che lo frequenta) – è l’offertaeducativa che esprime il tutto della genia-lità di don Bosco e dell’impegno della Fa-miglia salesiana lungo il tempo della sto-ria. È, in una parola, il luogo dove l’educa-zione diventa non solo proposta provo-cante ma anche coinvolgente, assunzionein proprio della responsabilità della matu-razione e della crescita, spazio di autono-mia e di protagonismo, luogo concretodove avviene quella sintesi di educazioneed evangelizzazione che a livello teoricoancora stride e non si riesce a vivere senon con separatezza, gerarchizzazione,negazione. Ciò è ovviamente valido perogni proposta educativa che passa in un’i-stituzione dove intenzionalmente si in-contrano gioia di vivere e di condividere,ascolto e accoglienza di quanto sta nelcuore dei soggetti, passione per Gesù eper il giovane, dunque non solo gli orato-ri: di qui la validità costante del “criteriooratoriano”! Oggi l’Oratorio e il Centrogiovanile sono da reinventare. Si fa faticaa pensare nella Famiglia salesiana a nuoveforme. Il Centro giovanile ha futuro se ri-trova un presente. Che ovviamente non èda ricopiare da un passato glorioso, ma dareinventare sulla base anzitutto dei biso-gni formativi dei giovani di oggi e dall’ac-coglienza delle loro risorse.

La qualità del Centro giovanile è quello diessere “per”, non semplicemente di esse-re “per sé”, nella falsa convinzione che pri-ma di tutto ci si forma e poi si agisce... inun eterno processo di autoformazione ecompiacimento da piccola comunità finoa scoppiare. Penso come una bella moda-lità di “virtuale” (o possibile) Centro giova-nile tutto quanto avviene attorno e dentrola realtà del MGS, là dove esso vive dellafreschezza del carisma salesiano e della ca-pacità di riproporre “ciò che piace ai gio-vani” e nelle forme a loro gradite (GMG,incontri, attività di impegno, impegni diformazione, feste, scuole di preghiera...).

Francesco – giovane animatore – Sono en-trato nell’Oratorio all’età di 9 anni, attrat-to dall’allegria e dalla festa. Ci voleva po-co per divertirci: tutto per me era diverti-mento e gioco. La presenza di giovani ani-matori ha sollecitato in me la domanda...Perché non essere come loro? È iniziatacosì l’avventura... prima come aiuto ani-matore e poi come animatore. L’Oratoriooggi per me? ... un luogo aggregativo,educativo e ricreativo destinato a tutti, ri-volto con speciale attenzione ad adole-scenti e giovani. Un’opportunità per cre-scere e maturare nella fede ... un luogo,dunque, di formazione umana e spiritua-le. Il Centro giovanile è un luogo accessi-bile ad ogni ragazza/o al di là del suo cre-do: è la persona di ognuno che viene ac-colta, valorizzata, stimata e rispettata al dilà delle sue credenze e sensibilità religio-se purché ciò non si traduca in atteggia-menti e comportamenti che violino i va-lori e i principi della fede cristiana a cuil’Oratorio-Centro Giovanile fa riferimen-to per ogni sua iniziativa.

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sione più femminile, globale e sostenibi-le al lavoro, alle comunità e alla vita. In un’intervista rilasciata un anno fa lan-cia la sua lucida proposta alle donne delmondo del lavoro: «Invito le donne acercare la propria autentica strada. Questo significa sviluppare anche una vi-ta interiore e avere ampi orizzonti di fron-te a sé, anche nella necessità: è difficile,infatti, rimanere in una situazione in cuici sentiamo a disagio. Ma la forza delledonne, quando possono essere se stes-se, è la capacità di collaborazione, di crea-re armonia, di prendersi cura e di lotta-re per ciò che si ama. Molte donne sono grandi comunicatrici eriescono a captare intuitivamente quantonon viene detto. Per la nostra crescita, co-me esseri umani, è necessario, per questo,cercare di imparare sia dal femminile, siadal maschile ed è importante saper valo-rizzare le nostre differenze».

Per il bene comune a “doppio taglio”

È la storia di Lou Xiaoying di Jinhua nellaprovincia di Zhejiang. Ha 88 anni ed ha unamalattia ai reni. Il primo agosto 2012, daUCAN News (Agenzia Notizie Cattolichein Asia) viene pubblicata una notizia chela riguarda. L’articolo intitolato “Una don-na salva 30 neonati dalla spazzatura”, rac-conta che nel 1972 quando il marito era an-cora vivo, Lou, mentre raccoglieva in unadiscarica materiale utile per il riciclaggio,

Donne per il bene comunePaola Pignatelli, Bernadette Sangma

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Verso il bene comune era il tema del terzoincontro della Zermatt Summit Founda-tion svoltosi dal 21 al 23 giugno scorso inSvizzera. L’evento ha visto radunati 150 lea-der internazionali dal mondo dell’econo-mia, della politica, della spiritualità e del-la società civile. La loro convinzione: laglobalizzazione può essere messa a ser-vizio del bene comune e quindi va realiz-zato un processo di umanizzazione del-la globalizzazione stessa. Tra tante significative condivisioni, sotto-lineiamo la testimonianza di Kristin Eng-vig, donna norvegese, fondatrice e capodella rete Women’s InternationalNetworking, che accomuna più di 4000donne professioniste di più di 70 paesi. Il tema della sua testimonianza: “La leader-ship delle donne per il bene comune”. Lasua proposta di percorso di femminilitàoriginaria e creativa, è affascinante. Affer-ma infatti: «Sono giunta alla convinzioneche l’autentico femminile, può salvare ilmondo. Il mio idealismo mi ha portato aincoraggiare le donne, con tutta la loroumanità, ad assumere un ruolo guida neiprogetti e contribuire, così, a creare unmondo migliore. Affinché tutto questo ac-cada, credo sia necessario che le donnecollaborino tra loro e abbiano uno spazioesclusivamente per loro». A tal fine, pro-pone una leadership delle donne chenon cerchi di ricalcare lo stereotipo ma-schile, ma che punti ad apportare una vi-

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ha trovato una neonata abbandonata inmezzo alla spazzatura sulla strada. La bimba sarebbe morta se lei non l’aves-se portata in salvo.È commovente notare il valore assoluto at-tribuito alla vita umana quale componen-te fondamentale del bene comune. Pur insituazione di povertà, la vita umana è mes-sa al primo posto: «Mi sono chiesta: se ab-biamo forza sufficiente per raccogliere e ri-ciclare l’immondizia, come non possiamonon raccogliere e “riciclare” qualcosa tan-to importante come la vita umana. Questibambini hanno bisogno di affetto e di cu-ra. Sono tutte vite umane preziose. Non ca-pisco come la gente possa lasciare una crea-tura tanto vulnerabile per la strada». Quando ha raccolto l’ultimo bambino dinome Zhang Qilin, Lou aveva già 82 anni.Dice, «Anche se ero anziana, non potevoignorare il bambino e lasciarlo morire nel-la sporcizia. Il bimbo era tanto dolce e tan-to bisognoso che non ho potuto far altroche portarlo a casa con me, anche se la ca-sa era molto piccola e modesta. Ho inizia-to a prendermi cura di lui. Ora è un bam-bino sano e allegro. Gli altri miei figli (tut-ti raccolti nella stessa maniera) mi aiutanoa prendermi cura di Zhang Qilin nome chein cinese significa “eccezionale e prezioso».

Pozzi per l’educazione delle ragazze

Ci si potrebbe chiedere dove sia il lega-me tra un pozzo e l’educazione delle ra-gazze. Eppure sappiamo che in tanteparti dell’Africa, dell’Asia e dell’AmericaLatina, l’acqua come bene comune è didifficile accesso e porta a delle conse-guenze gravose di povertà, incidendo sul-la salute e sull’educazione, soprattuttodelle donne e delle ragazze. Per affrontare tale situazione in Sud Sudan,

la comunità FMA di Tonj ha messo in at-to un’azione strategica, capace di genera-re notevoli cambiamenti. È un progettorealizzato alcuni anni fa, con il sostegnofinanziario della Confederazione delle/deiEx-allieve/i delle FMA. L’area di attenzione erano i villaggi diWaramel e Laithok, nei presi di Tonj. Nel-la zona, l’accesso all’acqua, soprattutto du-rante il periodo di siccità, è scarso. Unadelle conseguenze immediate è l’alta per-centuale delle ragazze che non frequen-tano o abbandonano la scuola. La raccol-ta dell’acqua tiene infatti le ragazze lonta-ne dalla scuola, perché devono cammina-re ore e ore per trovarla. Per questo motivo le FMA hanno proget-tato la costruzione dei pozzi presso i vil-laggi. Tale strategia, oltre ad offrire lapossibilità di facilitare l’accesso all’acquaa tutti gli abitanti del villaggio, ha potutoattirare e favorire la frequenza scolasticadelle ragazze e contribuire così ad un fu-turo diverso, non solo per le ragazze, maper l’intera società. L’azione ha molteplici potenzialità di tra-sformazione della realtà, in quanto l’acces-so all’educazione potrà generare il cambiodi mentalità nella considerazione della di-gnità delle donne e delle ragazze. Nella cul-tura dinka, etnia di maggioranza nella re-gione, le ragazze valgono per la dote cheportano alla famiglia. È il padre che decidea chi dare la figlia in matrimonio e, solita-mente, la scelta va all’uomo che offre unmaggior numero di mucche. La ragazza nonha nessuna possibilità di esprimersi. “Pozzi”, quindi… carichi di futuro e di spe-ranza a 360°! Profondi e ricchi, comepuò essere la vita e la dignità di unadonna, ad ogni latitudine!

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manda «Sei maggiorenne?» e che per ac-quistare le carte e giocare serve solamen-te una paypal.Insomma si tratta del «primo gioco di car-te dedicato allo sfruttamento della prosti-tuzione», spiega don Fortunato Di Noto:«Ogni giocatore ricopre un ruolo, quel-lo di sfruttatore di prostitute, gestendocolpo su colpo le sue ragazze, ognuna conuna propria “particolarità”, parcella e ri-cavato finale, e in caso di ko successivavendita degli organi». Il commento di don Di Noto e durissimo:«Con queste cose si possono generarecomportamenti» e «questo è un “gioco”che induce a pensare che sfruttare le per-sone sia ludico, che vendere organi è co-me vendere pezzi di ricambio. I dirittiumani vengono calpestati da un gioco».

Non solo, ma «chi ha ideato questo gio-co, persona conosciuta nel mondo delporno forse non conosce cosa significhiessere sfruttato, o il dramma di una schia-vitù legata a profittatori di turno, o vende-re un organo per acquistare un pezzo dipane». Importa poco: «Non credo questopossa interessargli, dato che il gioco rien-tra nel business che sfrutta l’imbecillità diuna illogica perversione sessuale».

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Diritti in giocoAnna Rita Cristaino

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Don Fortunato Di Noto, ha fatto della lot-ta per la tutela dei diritti dell’infanzia la suamissione. Con l’associazione Mater, da lui fondata,ha iniziato una vera e propria guerra allapedofilia on-line. Formare, informare eprevenire sono gli obiettivi dell’associa-zione che opera a stretto contatto con po-lizia, medici, genitori, insegnanti.

Nel mese di ottobre ha denunciato la pre-senza di un gioco a carte a pagamento on-line i cui contenuti sono raccapriccianti.Un gioco internazionale, social, facil-mente condivisibile. La sua segnalazione ha portato all’indigna-zione di molte associazioni che lavoranoper la tutela dei diritti dei minori e delledonne. In breve con questo gioco, per soli quin-dici euro, il giocatore acquista on line no-vantanove carte (dai contenuti e dai dise-gni che evocano violenze e stupri digruppo), gestisce le sue “ragazze”, classi-ficate in escort di lusso, prostituite di stra-da e “giovani promesse”, le fa lavorare acolpi di sfrenate perversioni e, se non ren-dono tanto da battere gli altri giocatori ingara, alla fine le uccide e ne vende gli or-gani. Tutto finto, ma anche tutto largamen-te accessibile a chiunque, visto che per en-trare nel sito basta cliccare sul «sì» alla do-

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un anno di prigione e 45mila euro di am-menda, più l’ordine a restituire tutte le fo-to scattate. Ma gli introiti economici, nel gi-ro di pochi giorni, hanno segnato cifre al-tissime, senza pensare alla pubblicità: la ri-vista ha venduto 500 mila copie (100 mila inpiù del solito). Internet nel frattempo ha ri-preso e rilanciato la storia e le immagini: èimpossibile chiedere il ritiro delle copie giàin circolazione sulla Rete. Il lancio su YouTube del film “Innocence ofmuslims” scatena la rabbia delle folle in al-cuni paesi arabi e l’ambasciatore statuniten-se in Libia viene ucciso insieme a tre fun-zionari. Una settimana dopo, una rivista sa-tirica francese pubblica alcune vignettedissacranti su Maometto. La rabbia, che il settimanale americanoNewsweekmette in prima pagina, scatenareazioni contrastanti anche su Twitter.

Bavaglio al diritto o autodelimitazione del dovere?

Non è la prima volta che ci si trova di fron-te a casi in cui la libertà d’informare (o an-che solo di comunicare un’opinione) entrain conflitto con i costumi, la buona educa-zione, la legge. Senza dubbio va condanna-ta la violenza fine a se stessa; vanno tenu-te in conto le differenze tra diritto di opi-nione e diritto d’offesa, ma ci si chiede: ègiusto pubblicare tutto sempre, come indi-ca il modello Wikileaks? Ci sono limiti, so-prattutto nell’era di Internet in cui le infor-

Informare nella verità

Uno sguardo sul mondoPatrizia Bertagnini, Maria Antonia Chinello

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Il diritto all’informazione non è un privile-gio degli addetti ai lavori, ma una compo-nente della libertà dei cittadini, una garan-zia di democrazia. Il dovere essenziale èquello di rispettare le persone, di non tra-sformare l’informazione in uno spettacoloche ignora e travolge la dignità. La libertà diinformazione è un diritto insopprimibile. Suqualunque supporto venga fornita, su car-ta, video, radio, digitale deve avere un vol-to, una finalità, dei valori di riferimento. Chi informa non può essere un comunica-tore qualsiasi. Questa convinzione, si scontra con alcu-ni fatti di cronaca dalla risonanza inter-nazionale che, in questo ultimo periodo,inducono a chiederci quale è la veritàdell’informare, se sia giusto cioè pubbli-care qualsiasi notizia e immagine, sem-pre e senza autocensure.

Dietro le notizie

Alcuni fatti. Settembre 2011, Wikileaksmet-te integralmente in rete 251 mila cabledella diplomazia statunitense senza cancel-lare i nomi di collaboratori e informatori lo-cali che, di conseguenza, diventano noti achiunque. Viene attaccata l’organizzazioneguidata da Julian Assange, che si appella al“diritto di cronaca”. Settembre 2012: il settimanale franceseCloser viene condannato per la pubblica-zione delle foto di Kate Middleton in to-pless. Il direttore del giornale rischia fino a

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mazioni viaggiano a 360° e alla velocità del-la luce assumendo, una volta “postate”, unaautonomia quasi irreversibile? La questione è aperta e ci interpella comeeducatrici in questo mondo “senza confi-ni”, dove però rinascono fortemente e fon-damentalmente le identità nazionali, religio-se, etniche, culturali.

Una Rete per la verità della persona

Il giornalista Mario Calabresi, direttore delquotidiano italiano La Stampa, sostieneche: «Andare al cuore dell’informazione si-gnifica non anteporre la critica ai fatti e la-sciar parlare la realtà. Dobbiamo rimetterela realtà al centro, in questo modo non cisono percorsi obbligati, strade da cui nonsi può uscire. Oggi assistiamo all’utilizzodel falso come mezzo per attirare la gen-te con l’idea che la ragione stia dalla par-te di chi la spara più grossa. Io invece pen-so che non bisogna perdere di vista l’uo-mo e che è necessario uno sguardo posi-tivo perché ci sia qualcosa di vero che co-pra il falso, il negativo. La realtà è testarda,non è possibile per nessuno inquinarla omanipolarla per sempre, se teniamo vivoquesto sguardo positivo».Altre parole per dire che informare è paro-la composta dal prefisso “in”, che in quest’u-nico caso nella lingua italiana ha un’acce-zione accrescitiva. Informare uguale a edu-care. Anche in questo campo ci giochiamoil nostro impegno: educarci ed educare aguardare oltre e dentro la storia e gli even-ti che viviamo ogni giorno, a non fermarsie accontentarsi di dividere il mondo tra“buoni e cattivi” per sentirci dalla parte giu-sta, a mettere in discussione la voce dei me-dia per “dare voce a chi non ha voce”.

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DELLA OBIETTIVITÀ

Se, come vuole l’etimologia della paro-la, “in-formare” significa letteralmente“dare forma”, “plasmare”, “modellaresecondo una determinata forma”, l’infor-mazione è quella notizia, quel dato chefornisce elementi di conoscenza, cioèche informa su qualcosa. Ma a che cosa danno forma le informa-zioni? Poiché non c’è praticamente nul-la di cui non si possa dare informazione,informando si dà forma alla realtà, almondo. In questo senso “dare forma”equivale a “dare ordine”, inteso in due si-gnificati: sia come eliminazione del disor-dine sia come riduzione di ciò che ècomplesso, cioè come semplificazione.Far circolare le informazioni, perciò,serve a creare un mondo in cui le perso-ne stesse circolano meglio, una realtà incui è più agevole muoversi, lavorare, vi-vere. Non c’è bisogno di essere specia-listi dell’informazione o affermati giorna-listi per avvertire la necessità di sottomet-tersi docilmente alla legge dell’infor-mazione; essa è capace di appianare lastrada generando partecipazione ed em-patia, condivisione e solidarietà, ma puòfarlo soltanto se di essa vengono rispet-tate le sue prerogative fondanti: la man-canza di neutralità, ovvero la capacità dischierarsi e prendere posizione, e l’im-parzialità, cioè la capacità di mantener-si equanimi nel giudizio.L’impegno a tenere unite queste caratte-ristiche apparentemente contrastanti,mentre orienta ad una onesta ed integraricerca del vero, consente di mantenereelevato il livello di autenticità e correttez-za nell’informazione.

LUCECONTRO

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Dopo alcuni giorni riceve per posta tre li-bri: uno su Laura Vicuña, un altro su suorMaria Troncatti e un altro su Madre Mazza-rello. «Nel leggere questi libri, sopratuttoquello di Madre Mazzarello, cresceva in mela “nostalgia” di vivere consegnata a Dio alservizio degli altri».Tre mesi dopo fa un’esperienza di 8 giorninell’aspirantato di Medellin. «La vita comu-nitaria serena e felice e l’apostolato in unquartiere di gente povera, mi hanno per-messo di sentire la voce di Dio che mi chia-mava a rimanere per sempre con le fma...non subito però». Dopo questa esperienza torna a casa perparlare alla sua famiglia, salutare amici eamiche e lavorare ancora un mese. «Mia mamma piangeva per la gioia di ave-re un figlia religiosa, ma anche per il dispia-cere di dovesi separare dalla sua figlia mi-nore. Mio papà invece dopo qualche gior-no di riflessione mi chiese: “Luz Inés, haiavuto una delusione amorosa e per ques-to vuoi farti suora?”, allora gli ho spiegatoche non era così e lui mi detto: “A me nonpiace molto l’idea, però non voglio che infuturo tu dica che per colpa mia non sei fe-lice. Rispetto quindi la tua decisione”». I suoi fratelli e le sue sorelle le danno il lo-ro appoggio e l’aiutano con i propri consi-gli. Le sue amiche invece all’inizio voglio-no farla uscire per conoscere alcuni ragaz-zi, pensando in questo modo di farle cam-biare idea. Ma alla fine si arrendono.

Intervista a suor Luz Inés Valdés Zapata

La nostra bella vitaAnna Rita Cristaino

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Luz Inés Valdés Zapata, è nata a Medellin(Colombia), ed è cresciuta a Tuluà Valle do-ve attualmente vivono i suoi genitori, isuoi fratelli e le sue sorelle. La sua è una storia vocazionale vissutaall’interno della sua famiglia. È la sorellaBetty infatti ad essere mediazione neldiscernimeno di Luz Inés. «Nell’invernodel 2002, mentre aspettavamo in un parcola processione del Santo Sepolcro, parla-vo del futuro con le mie due sorelle. Mia sorella Betty ci raccontò che negli an-ni del collegio aveva coltivato il desideriodi diventare suora, ma che poi la vita leaveva fatto capire che erano altri i piani delSignore per lei. Raccontò come era la vi-ta delle suore francescane con le quali la-vorava nella pastorale, dicendo come fos-sere gioviali, generose, vicine. Dopo averascoltato mia sorella dissi: “Esistono suo-re normali? E allora io voglio andare a ve-dere come vivono le suore!”».Betty, in quel periodo lavorava con i salesia-ni, racconta ad un sacerdote incaricatodella pastorale giovanile, il dialogo avutocon Luz Inés e lui le regala un depliant vo-cazonale, nel quale era indicato l’indizzo e-mail della FMA incaricata per la promozio-ne vocazionale. «Tornando a casa, dopo unlunga giornata di lavoro, ho trovato ques-to foglietto nella mia camera, l’ho letto e hosentito una certa gioia nel cuore». Il gior-no dopo Luz Inés, scrive una e-mail alla suo-ra, lei risponde e iniziano a conoscersi.

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Nel periodo precedente all’anno di aspiran-tato, Luz Inés lavora con suo fratello in unfabbrica di gelati. Dopo la scuola seconda-ria, lei ha desiderio di continuare gli studiuniversitari, le piace psicologia o studi so-ciali, materie che le permetterebbero di la-vorare per la gente. Ma i suoi genitori nonpossono permettersi le spese universitarieper lei e l’altra sorella. Inizia quindi a lavo-rare per poter mettere da parte il necessa-rio per mantenersi allo studio. «Papà emamma ci hanno insegnato che dobbiamoguadagnarci le cose, che bisogna lavorareper avere quello che si desidera». Luz Inés attualmente è a Roma. In ottobreha ricevuto il Crocissifo missionario e si pre-para a partire per le missioni. «La mia voca-zione missionaria l’ho scoperta quando eropostulante: una suora che era stata 25 an-ni in Africa, era tornata in comunità. La sua testimonianza di vita felice e le suestorie tra gli africani più poveri, hanno fat-to crescere in me la vocazione missionaria,che dopo si è andata purificando e fortifi-

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cando con il tempo, con le esperienze fat-te nelle diverse comunità dove ho speri-mentato la missione e la vita comunitariadella nostra bella vita religiosa salesiana».Dopo la prima professione vive in quat-tro comunità: in Urabá-chocoano (zonadi misisone) come catechista; nel colle-gio Maria Auxiliadora del El Santuario-Antcome coordinatrice del convitto, maestrae incaricata di alcuni gruppi di pastoraletra cui l’infanzia missionaria; è assisten-te nell’aspirantato, nel postulato e nel no-viziato. Se le si chiede una sintesi dellasua esperienza di vita da fma risponde:«Felicità, fedeltà, fecondità».«Nei momenti di difficoltà mi hanno da-to forza l’Eucaristia, la preghiera e il pen-sare a tutti quelli che soffrono, spronan-domi a stare bene per poter fare il be-ne11. La gioia più grande è stata conseg-nare la mia vita al Signore per semprenell’istituto delle FMA».

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Toccante, raffinatoracconto che diventalezione di vita

Ispirato ad una vicenda minimae forse anche comune «ne è na-to un film assolutamente noncomune nella sua estetica essen-ziale, nell’approccio realistico,nel racconto poetico» commen-ta concorde la critica. Fa perno sulla protagonista AhTao che, appena nata, viene da-ta in adozione ad una famiglia ilcui padre muore durante l’occu-pazione giapponese e la madrela manda - ancora adolescente- a servizio presso i signoriLeung, una famiglia abbiente, di-ventando così una «amah», cioèuna serva a vita. La incontriamoa 70ntanni di età, dopo i 60 di la-voro presso di loro. Alcuni com-ponenti sono morti, altri sonoemigrati negli Stati Uniti. AHong Kong é rimasto solo il

giovane Roger, oggi produttorecinematografico a cui Ah Taocontinua a dedicarsi come ad unfiglio. Lo accudisce e lo vizia an-cora, cucinando ad esempio isuoi cibi preferiti da condivide-re con gli amici o raccomandan-dosi continuamente perchépensi alla sua salute. Un giorno, tornando a casa, Ro-ger trova la donna in preda a unictus e a questo punto i due ruo-li si invertono: sarà lui a prender-si cura di lei. La porta precipito-samente in ospedale, ma quan-do si rimette, proprio per nonessere in nessun modo d’in-tralcio all’amato figlioccio, Taosceglie di andare in un ospizio.Un luogo - non importa quantodeprimente o squallido - dovepotrà incontrare una nuova “fa-miglia” da accudire e tanti anzia-ni sconosciuti a cui offrire la suainnata generosità.Tutta la cifra stilistica del film èinconfondibilmente quella di

Ann Hui che accarezza con lamacchina da presa i corpi deisuoi personaggi, ma soprattuttole espressioni, anche le menopercettibili, carpendo sguardi eammiccamenti furtivi tra duepersonaggi che spesso non ne-cessitano neppure di parole percomunicare il reciproco affetto.Quello che arriva al pubblico èuna specie di empatia che supe-ra lo schermo e cresce man ma-no che Roger e Tao capiscono dirappresentare la famiglia nellasua totalità, l’uno per l’altro.Non è frequente trovare film co-sì fortemente radicati nell’am-bientazione di origine e al con-tempo capaci di parlare di tema-tiche universali. L’opera della regista è profonda-mente asiatica: la sua scelta del-l’amah - sorta di badante che siinserisce nel contesto famiglia-re appena adolescente e accudi-sce genitori, figli e nipoti per de-cenni, diventando una quasi pa-

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A SIMPLE LIFE - (Una Vita Semplice) di Ann Hui – Cina/Hong Kong – 2011

A SIMPLE LIFE nasce dall’incontro di 2 donne: AnnHui, la prima regista donna che ottiene l’OscarAsiatico, e l’attrice Deanie Yip che, per questo film,ha vinto la Coppa Volpi 2011 alla Mostra Interna-zionale del Cinema di Venezia dov’è stato presen-tato in concorso, raccogliendo un pieno di rico-noscimenti e Premi. Oltre alla Coppa Volpi per lamigliore interpretazione femminile riceve la men-zione speciale del Premio SIGNIS, il Premio “LaNavicella Venezia Cinema” della Fondazione En-te dello Spettacolo, il Premio “Nazareno Taddei”,quello “Pari Opportunità”, e tre collaterali. Ispi-rato a fatti e persone reali, il film narra di Chung

Chun-Tao, detta AhTao, costretta daglieventi a trascorreresin dall’infanzia unavita al servizio deglialtri, ma che ha sapu-to infondere a questa

sua umile donazione una dignità e una passioneesemplari. Per quanto semplice, la storia vera diquesta straordinaria persona che da sessant’anniè serva presso una famiglia borghese ricevendo-ne poi rispetto e amore, regala un inno tenerissi-mo alla vecchiaia. “Hui la traduce in una regia sen-za trucchi, imprimendo sulla realtà uno specialesegno di trascendenza”, scrive acutamente Levan-tesi. Un richiamo eccellente all’affetto che si de-ve alle persone sul “viale del tramonto”.

a cura di Mariolina Perentaler

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rente dei padroni di casa – evi-denzia un ruolo svolto in manie-ra così totalizzante solo a quel-le latitudini. Forse per questo ètornato difficile (per non direscomodo) a molti spettatori oc-cidentali apprezzare la profon-dità del sentimento/messaggioche ne lega i protagonisti. “ASimple Life” sa parlare di senti-menti riscontrabili in ogni luogo.

Immortala trasformazioni socia-li che investono qualsiasi so-cietà economicamente avanza-ta. Attraverso l’immigrazione abasso costo infatti, arrivano stra-nieri che fanno i domestici inmodo diverso, come lo cono-sciamo noi, mentre il mestiere diamah va scomparendo con il ri-schio che Tao, la nostra protago-nista, personifichi un mondo in

via d’estinzione. Invecchia comeaumenta l’età media della popo-lazione del suo paese, si amma-la come la gente di Hong Kong(e/o del mondo) è ammalata disolitudine, e vede disgregarsiun’istituzione chiave come lafamiglia, atomizzata per effettodi un lavoro che lascia pochissi-mo tempo alle relazioni affetti-ve e la sparpaglia ovunque.

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L’idea del filmLanciare un messaggio alle nuove generazio-ni che tendono a vedere gli anziani come unpeso.

“Questa storia – confessa la regista cinese –ha subito toccato una corda dentro di me,perché ognuno di noi ha una persona comeTao nella sua vita” e l’ha ricreata come un per-sonaggio splendido. Un personaggio in cuitraspare tutta l’umiltà e la bontà di una don-na che sente di aver ricevuto tanto dalla vi-ta anche se in realtà non ha fatto altro che ser-vire e dedicarsi alle esistenze altrui. Puravendo vissuto sessant’anni a contatto conla stessa famiglia, si è sempre mantenuta aimargini – il posto che sceglie e sente suo –per cui fatica ad accettare qualsiasi tipo di gra-titudine. Il suo personaggio risplende anco-ra di più grazie al rapporto con Roger, l’adul-to che soltanto tardi si rende conto dell’im-portanza di questa dolce creatura con cui rie-sce ad intessere un rapporto molto più na-turale rispetto a quello con la madre e conqualsiasi altra donna della sua vita. I lorostraordinari duetti regalano momenti digrande tenerezza e vera commozione soprat-tutto nel mettere in scena il tentativo di rein-serirla e farla sentire davvero parte della fa-miglia, della sua vita. Sono attimi in cui il vi-so di Tao si riempie di gratitudine, orgoglio,felicità, così come il cuore degli spettatori.

Il sogno del filmRimettere a fuoco l’invito più umano e profon-do della coscienza universale nei confronti dichi ci ha cresciuti. Il dovere di rimanere loroaccanto, di ricambiare il loro amore.

«Raramente – scrive la regista – i film di HongKong parlano delle persone anziane. Invecchia-re è un tema universale e mi piacerebbe far ve-dere come i Cinesi trattano i loro anziani, inmodo diverso rispetto agli Occidentali. Diven-teremo tutti vecchi un giorno, ma la differen-za sta nel modo in cui decidiamo di vivere fi-no agli ultimi giorni la nostra vita. Gli anzianipossono aver perso la loro giovinezza, ma an-cora sognano quello di cui tutti abbiamo biso-gno: l’amore di un’altra persona, puro e sem-plice». L’autrice usa uno stile lineare e realisti-co, ma commuove ed edifica. L’aver iniziato co-me regista di documentari ha sviluppato in leiun forte interesse per l’indagine e l’osservazio-ne della vita e della gente comune, tanto da di-ventare un vero e proprio tratto distintivo del-la sua filmografia che dedica prevalentemen-te a spaccati di vita quotidiana, soprattutto deipiù sfortunati. Confermando ancora una vol-ta la sua finezza espressiva, anche in “A SimpleLife” riesce a catturare l’emozione dello spet-tatore spingendolo a riflettere sulla realtà chelo circonda. In questo caso l’abbandono deglianziani negli ospizi e nelle case di cura.

PER FAR PENSARE

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(interpretato da George Clooney). Avvocato dimezza età è il fiduciario di una vasta proprietà di ter-ra vergine per conto dei “Discendenti” (titolo ori-ginario). Sua moglie Elizabeth ha appena avuto unincidente che l’ha gettata in coma, e non si ripren-derà più. Non resta che “staccare la spina”, come la-scia scritto nel suo testamento biologico. Da annitroppo concentrato sul suo lavoro, Matt si ritrovacon due figlie di 10 e 17 anni che ormai non cono-sce più, scoprendo inoltre che la moglie lo tradiva.Dovrà quindi elaborare ben più di un lutto, eprovvedere da solo alle due figlie, diversamente maugualmente difficili. Ce la farà? «A rispondere è lasua vita che forzatamente non sarà mai più quelladi prima. È soprattutto il regista/autore che gli tie-ne la camera addosso, nonostante ci fossero temiultra-sensibili nel copione (testamento biologico,proprietà privata ecc.) per prendere la tangente. In-vece no, Payne riesce a ‘carburare’ attraverso l’otti-ma interpretazione di Clooney una profonda ed ef-ficace riflessione multi-prospettica su lutto e rina-scita, perdita e “guadagno”, amore e perdono».

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PARADISO AMAROThe DescendantsAlexander Payne, USA 2011

Film da 5 nomination all’Oscar, che negli Stati Uni-ti non ha portato a casa nemmeno una recensionenegativa e viene giudicato come l’opera migliore delregista. È stato definito “uno straordinario esempiodi compostezza estetica e volontà di scavare inprofondità dentro la psicologia e i sentimenti di uo-mini comuni”. Alexander Payne costruisce Paradi-so amaro secondo il suo stile di regia lineare, maiostentato, che inquadra volti e ambienti lasciandoche siano loro e i dialoghi di una sceneggiatura uma-nissima a creare la sostanza del film. Il risultato è unacommedia molto toccante, abile nello scavaredentro figure che si differenziano pochissimo da noi.La vicenda ci porta nelle Hawaii, un paesaggio distraordinaria suggestione turistico/ambientale, manon più il paradiso in terra, almeno per Matt King

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cente, James rifugge dal mondo di tutti: comunicasoltanto con Nanette, nonna di buon senso e dibuon cuore, e Miró, un cagnetto nero che si credeumano. Sicuro di non voler andare al college, il ra-gazzo passa forti momenti di incomprensione conla famiglia e con un dipendente della galleria di suamadre cui gioca uno scherzo che non viene apprez-zato. Soltanto la morte improvvisa della nonna loindurrà a fare i conti con se stesso e il proprio fu-turo. Asciutto e lineare, il film aderisce al romanzodi formazione di Cameron cogliendone l’anima: “lepercezioni sociali, le relazioni interpersonali, le vi-sioni sulla realtà, l’aria del tempo, la ‘normalità’ in-tesa come rinnovamento morale e non come rou-tine sclerotizzata”. Nell’attesa di non andare alcollege e dentro una galleria in cui nessuno com-pra mai niente, il giovane capirà che non ci si puòsottrarre alla vita, anche se ancora non si sa che co-sa si vuole da essa. Ma per viverla, un giorno il do-lore accumulato gli sarà utile insieme a quanto lanonna gli ha lasciato. Un tesoro immenso, custodi-to per sempre nel cuore.

UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARÀ UTILERoberto Faenza, ITALIA/USA 2011

Trasposizione del romanzo omonimo di Peter Ca-meron è il 2° film americano di Roberto Faenza, cheguarda agli adolescenti della solidissima tradizioneletteraria USA e realizza il ritratto di un ragazzo com-plesso, profondo e curioso che assume il volto e lasensibilità di Toby Regbo. È il ritratto umoristico eappassionato della New York di oggi (dov’è stato in-teramente girato), raccontato attraverso gli occhi delgiovane James e della sua squinternata famiglia. «Ilritratto asciutto e lineare di un ragazzo curioso inbalia di una ribellione silenziosa, scrive Marzia Gan-dolfi. 17 anni e nessuna voglia di essere raggiunto:dal cellulare, che butta in un bidone artistico, e da-gli adulti che lo vorrebbero consumatore di ogget-ti e affetti». Figlio di genitori separati e fratello mi-nore di una sorella che si è invaghita di un suo do-

a cura di Mariolina Perentaler

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Kristin Kupfer DIO È ANCHE CINESEPaoline 2011

L’autrice è una giornalista tedesca e WangTing è la giovane cinese cattolica, che si è re-sa disponibile a una specie di lunga intervi-sta: per parlare di sé, del suo lavoro, della suavita cristiana vissuta in un contesto politiconon facile. Il lettore incontra una donnasimpatica, libera, coraggiosa. Viene da una famiglia contadina di antica tra-dizione cristiana, lavora come assistente so-ciale ed è sposata con un uomo che condi-vide con lei la fede: con coerenza tale da stu-pire noi occidentali, così tiepidi e sradicati.Nasce tra le due donne un vero rapporto diamicizia: la giornalista ha la possibilità di es-sere accolta negli ambienti di vita e di lavo-ro di Wang, cogliendone in diretta lo svolger-si del vissuto quotidiano, i problemi, le gioiee i dispiaceri. Conosce i genitori, la parentela di lei, ne am-mira l’antica saggezza e la cortese dignità tut-ta cinese. La colpisce la fede semplice e convinta, per-fettamente integrata con la vita. Ecco un dia-logo colto al volo in cucina, dove i due gio-vani coniugi, tornati dal lavoro, insieme pre-parano il pranzo. La giovane sposa cinese èpreoccupata: da tempo lei e suo marito de-siderano un figlio … “Non so che cos’ha inmante Dio per noi – dice mentre lava i pomo-dori- ma voglio avere fiducia. Già il solo esempio di Abramo e sua mogliedimostra che nulla è impossibile a Dio”. Il marito annuisce seriamente: i fatti della Bib-bia sono davvero per loro parola attuale diDio! Non ignorano la difficile situazione del-la Chiesa cinese, ma non si permettono digiudicare. Conoscono e amano il Papa, san-no cje è nelle sue mani il timone della Chie-sa. Forse hanno qualcosa da insegnarci …

Rosemary LynchIL DESERTO FIORIRÀEd. ICONE 2011

Una donna eccezionale questa suora france-scana che ha speso tutte le energie della sualunga vita per la causa della pace. La pace di suor Rosemary è però indissocia-bile dalla non violenza attiva e s’ispira appun-to a San Francesco che, in tempo di crociate,ardì presentarsi inerme al sultano per parlar-gli di Gesù. Fiera, da giovane, di essere citta-dina della grande America, suor Rosemary erapure così onesta e intelligente da scoprire,con il tempo e la riflessione, le gravi respon-sabilità del suo Paese: rovinosi interventimilitari, strapotere oppressivo delle multina-zionali, ostinazione con cui si profondevanoenormi risorse finanziare per compiere peri-colosissimi esperimenti nucleari. E cominciò la sua “campagna”: impavida,con immensa libertà interiore: seguita dai po-chi che condividevano il suo coraggio, sen-za limitarsi alle proteste verbali, ma osandoviolare le recinzioni di filo spinato entro lequali la difesa americana effettuava segreta-mente nel sottosuolo le micidiali esplosioni:la gente, diceva, non deve ignorare…Arrestata più volte per tali violazioni e ancheper la solidarietà con gli indiani d’Americasfrattati dai territori in cui vivevano da seco-li, finiva col diventare amica dei suoi accusa-tori, incapaci di resistere alla forza della sualogica evangelica. La vecchiaia non l’ha colta inoperosa o rinun-ciataria. Sempre sostenuta dalla sua Congre-gazione, ha lavorato fino a 94 anni, e ci lasciaun messaggio da meditare: “C’è qualcosa checiascuno di noi può fare, qui dove siamo, eadesso”

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a cura di Adriana Nepi

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questo la relazione con l’anziano conosceiniziali difficoltà e analoghi silenzi, maquesti saranno sempre più colmati quandole fragili esistenze di entrambi conosceran-no sguardi che dicono il riconoscimentodell’altro, la bellezza e lo stupore di qual-cuno da cercare perché si desidera qualcu-no sul quale poter fare affidamento. Alla fine di un secolo, dunque, inaspettato,Zeno irrompe nel silenzioso e nascostoquotidiano di Simone Coiffman. Il termine di una stagione estiva è metafo-ra dell’esistenza; qualcosa può mutarequando una presenza imprevista entranella vita di chi si è chiuso in se stesso, de-cidendo troppo presto di non esistere, no-nostante una soddisfacente carriera lavo-rativa, una donna al proprio fianco, ottimamoglie e madre, e nonostante il dono del-l’amicizia. In Italia le leggi razziali vengono promulga-te il diciassette novembre del 1938, lo stes-so giorno nel quale nasce Simone Coif-mann, ebreo. Si sarebbe dovuto chiamare Yitzhak, ilneonato, ma le leggi antiebraiche appenapromulgate lo sconsigliavano. Saranno le leggi razziali a segnare il cuoree i giorni di chi vede deportare il proprio pa-dre, di chi è costretto a cambiare molto spes-so dimora, di chi si sente dire dal proprio fra-tello: “Devi inseguire qualcosa. E mirarla. De-vi bramare e cercare... Dai ospitalità alla spe-ranza e all’inquietudine... Intesi?”

L’estate alla fine del secoloEmilia Di Massimo

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Ci sono incomprensioni che resterannosempre indecifrabili; difficili da spiegare, sisono sedimentate intorno al cuore, allamente, paralizzando ogni espressione ver-bale. L’abitudine alla reciproca assenzanon genera il desiderio di annullare le di-stanze, anche se si è molto vicini. Eppure i legami incancellabili del cuore nonsi spezzano, dentro di loro la vita continuaa pulsare anche se si decide di non dareun’anima alle parole. Forse è così la danza che vicinanza e distan-za sanno intessere e che prende corpo nel-l’estate del 1999, quando un preadolescen-te si siede su una panca e vede per la pri-ma volta il proprio nonno materno: sino aquel giorno ne ignorava l’esistenza. Zeno giunge con la madre Agata a Colle Fer-ro, una isolata località montana ligure, do-ve il nonno, Simone Coiffman, ha deciso divivere dopo aver perso la moglie Elena; unascelta scaturita anche dal passato, in quan-to l’anziano signore aveva trascorso a Col-le Ferro, durante la seconda guerra mondia-le, la propria infanzia. Zeno resta sorpreso quando vede le propriefoto, una per ogni anno della sua vita, attac-cate in una bacheca della casa del nonno;fotografie inserite da Agata in brevissime let-tere alla quale Simone Coiffman ha puntual-mente risposto. Zeno, spensierato, estroverso e amantedei fumetti, è turbato dai silenzi misterio-si vissuti tra la madre e il nonno, anche per

RIVISTA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICEdma damihianimas

a cura di Emilia Di Massimo

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Ciascun evento dell’esistenza di SimoneCoifmann è scandito da una preghiera:“Shema Israel Adonai Elohenu AdonaiEhad”: sarà tale invocazione a dare il ritmoad ogni accadimento, ad ogni incontro, an-che se non sempre esplicitata, anche se nonsempre pronunciata con convinzione.Il dialogo tra Zeno e Simone Coifmann si in-tesse in modo perfettamente simmetrico;il mondo di Zeno è scandito dai capitoli,quello del nonno da una progressiva cro-nologia che è il “riassunto della mia vita perquanto è concesso ricordare o ricostruireo immaginare: dove la memoria illumi-na…” L’alternanza è sapientemente narra-ta, l’una chiarisce l’altra, passato e presen-te si intrecciano: Zeno conoscerà sia ilproprio passato sia il proprio futuro, e Si-mone Coifmann? Egli si schiuderà alla vita, alla gioia di esiste-re. Zeno sarà colui che gli permetterà diaprirsi ad una vita negata dagli eventi sto-rici; l’anziano abbandonerà le catene con le

quali voleva concludere il suo non-esiste-re, lo “Shema Israel Adonai” del proprio es-sere inciso su diesse, come un urlo silen-zioso che si innalza a Colui che è l’autoredella vita. Un anziano che a volte sembra trasformar-si “in un bambino piagnucolante”, nonperché lo sia, ma perché non è semplicecondividere le proprie verità; spesso gli al-tri non comprendono l’importanza di quan-to si sta dicendo tra le lacrime; è quantocomprende misteriosamente Zeno: “in miononno c’era un intero universo di silenziche avevo perforato. Non sapevo come. Maero sicuro di averlo fatto.” Sì, il ragazzo sa-prà ascoltare la richiesta di una vita che chie-de di essere amata e accolta, che preceden-temente pensava di nascondersi per nonesistere e per non soffrire. La storia di Simone Coifmann si rifà alla sto-ria vera di Franco Debenedetti Teglio, par-tigiano, alla cui memoria il libro è dedica-to. Forse è per questo che le pagine del dia-rio sono evocative, anche se espresse in unostile lineare, asciutto e chiaro, commo-venti nella loro narrazione limpida e fresca.Il romanzo è ricco di svariati argomenti: ilnord e il sud, la politica e l’economia, gliaspetti culturali e sociali di un’epoca; ma an-che l’amicizia, l’amore e, trattato con raffi-natezza, l’incontro della preadolescenza edell’età senile, della vita con la morte. Il libro di Fabio Geda si potrebbe riassume-re in quanto afferma Andrej Tarkovskij:“Lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stan-co e non ce la fai più. E d’un tratto incon-tri nella folla lo sguardo di qualcuno, unosguardo umano, ed è come se ti fossi acco-stato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più sem-plice.” “Shema Israel Adonai Elohenu Ado-nai Ehad”: nell’incontro di un ragazzo conun anziano.

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Ci portiamo ora in cortile, davanti alla cappella del Collegio: troveremo un pozzo Simbolo della vita, della fatica edella purificazione, della comunio-ne nello Spirito, della gioia del “va-do io”. Il pozzo è la terra del donodove Gesù ci raggiunge dissol-vendo le nostre difese al contattocon l’acqua viva che egli ci offre.Quale acqua daremo alle giovanigenerazioni?

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Come possiamo restituire alle nostre comunità il sapore di Mornese? Come battere i sentieri della quotidianità

rivestendoli della novità dell’incontro?

Tu, Maria Domenica, donna di una sola idea, avevi capito che alla radice di una vita orientata verso Dio

c’è il desiderio di santità. Una santità robusta eppure gioiosa, luminosa, piena di speranza.

Questa idea era una presenza: Gesù Cristo. Vivere alla Sua presenza continuamente

era garanzia di accompagnamento, infondeva sicurezza, offriva fiducia.

Dal messaggio della Madre in occasione dell’apertura

dell’anno 140° di fondazione dell’Istituto

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PAROLE

SII UMILE E COME UN BAMBINO. NON C’È MODO PIÙ SEMPLICE

PER CONTEMPLARE LA BELLEZZA DELLA NATURA

LINUS MUNDY