RITRATTI

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Le partite di calcio con Valentino Mazzola, eroe del Torino naufragato a Superga. Gianni Agnelli che un giorno chiede a bruciapelo:"Perché lei è comunista?". Un profilo al vetriolo di Cesare Romiti. La lunga amicizia con Enrico Berlinguer. Gli incontri e gli scontri con i massimi leader della Prima e della Seconda Repubblica: Andreotti, Cossiga, Craxi, Occhetto, D'Alema. Le conversazioni con i grandi intellettuali, Moravia, Spinelli, Firpo. Aneddoti poco edificanti sull'"infanzia" di futuri famosi, come il giovane Minzolini, inventore di "cronache" parlamentari

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1.Suor Nella,

il mio primo amore

Due sono i fotogrammi più antichi impressi nel filmdella mia memoria: la maestra d’asilo e la motociclettarossa, una “Guzzi”, sulla quale Sergio, il figlio dello zioCarlo, ogni tanto mi inforcava, senza tanti complimenti, perfarmi «vincere la paura», e mi faceva fare, a tutto gas, ungiro dell’isolato, dove abitavamo in Borgo San Paolo: viaCesana, via Luserna, via Perosa, via Perrero.

Ma non è della “Guzzi” che voglio qui parlare, bensì disuor Nella Fracchia, una giovanissima figlia di MariaMazzarello, della famiglia salesiana. È stato il mio primoamore. Avevo tre anni, quando mia madre decise di toglier-si di torno per qualche ora al giorno l’ultimo di quattro figli(Walter di 14, Ezio di 11 e Alfio di 6 anni) iscrivendomiall’asilo di via Cumiana. Non ne volevo sapere di andare inquella scuola. Ogni mattina mi abbandonavo a pianti dispe-rati che non commuovevano però mia madre che letteral-mente, nell’ultimo tratto di strada, era costretta a trascinar-mi. Ho ben vivo il ricordo del suono metallico che produ-ceva lo struscio dei miei piedi sulle griglie poste sul mar-

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ciapiedi all’esterno della grande fabbrica Lancia. Erano gliultimi cento metri i più disperati, quelli lungo corsoPeschiera e via Cumiana dove sull’angolo troneggiaval’Istituto delle Suore di don Bosco. Ogni mattina la stessascena, per parecchie settimane, sino al giorno in cui nelgrande atrio della scuola apparve lei, suor Nella, che congrande dolcezza mi accolse chiamandomi subito per nome,anche se non l’avevo mai vista prima. Aveva il viso di unabambina, incorniciato da una sorta di grande cuffia biancaricoperta da un velo nero, con una pettorina, anch’essabianca, inamidata, come il copricapo. Era bellissima. Daquel mattino smisi di piangere, era scoccata una scintilla, ilclassico colpo di fulmine. Ancora oggi mi chiedo comepossa un bimbetto di tre anni infatuarsi di una persona adul-ta, tanto che alle quattro di pomeriggio, al suono della cam-panella che annunciava il tempo scaduto della ricreazione enell’atrio c’era già chi mi attendeva per riportarmi a casa,non mi staccavo mai da lei.

Quando passai alle elementari, ogni settimana, puntual-mente, il sabato pomeriggio, mi facevo accompagnare dauno dei miei fratelli a trovarla, per raccontarle tutto quelloche facevo alla scuola “più alta”. Poi venne la guerra, checi separò. Per un breve periodo la mia famiglia si trasferì inun quartiere dall’altra parte della città. Eravamo moltopoveri. Mio padre, logorato da tante umiliazioni, si eraammalato, e aveva subito una difficile operazione allo sto-maco: un’ulcera perforata. Da direttore generale di unimportante stabilimento si era trovato, dalla sera al mattino,disoccupato, senza possibilità di avere un nuovo impiego,se non lavori di manovalanza e per di più saltuari. Oggi sidirebbe precario. Cosa era successo? Nel 1931, pochi mesiprima che io venissi al mondo, lo stabilimento minerario

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dell’Argentiera di Valdicastello, in provincia di Lucca,venne chiuso. La proprietà degli impianti era in Belgio e ilregime fascista aveva decretato l’espulsione dall’Italia ditutti i capitali stranieri. Al rientro a Torino mio padre nontrovò più lavoro, o meglio, essendo qualificato come diri-gente d’azienda, aveva l’obbligo dell’iscrizione al Partitonazionale fascista, cosa che lui rifiutò per ragioni di princi-pio, «di dignità», come lui motivava quel gesto, condan-nando però se stesso e tutta la famiglia, per un lungo perio-do, a una vita grama.

Ai bombardamenti, che la notte dell’8 dicembre del1942 colpirono la casa dove abitavamo in corso GiulioCesare, seguì lo sfollamento a Lombardore, un piccolocomune del Basso canavese a una ventina di chilometri daTorino, dove rimanemmo sino alla fine della guerra. Disuor Nella non ebbi più notizie. Seppi soltanto che dallascuola materna di via Cumiana era stata trasferita, semprecome insegnante, in un istituto riservato agli orfani di cara-binieri, in provincia di Alessandria.

Ricomparve improvvisamente nel 1975, un pomeriggiodi una domenica, quando, eletto sindaco nella mia città, erosolito sbrigare la corrispondenza dei cittadini che mi scri-vevano, generalmente per chiedermi qualche cosa: un lavo-ro, una casa, un ricovero in ospedale o in qualche istitutoper anziani, una pratica per la pensione. Ma si rivolgevanoa me per le cose più disparate: anche perché intervenissi persedare contrasti familiari. Nella sua lettera suor Nella miraccontava che prima della guerra aveva conosciuto unbambino, dalla testa ricciuta, di nome Diego, che da tantianni aveva perso di vista. Con molta discrezione mi chie-deva: «È forse lei, Signor Sindaco, quel bimbo che fre-quentò la scuola materna di via Cumiana?». Il giorno dopomi precipitavo ad Agliè, dove si trovava in una casa di ripo-

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so. La riconobbi subito nel gruppo di suore tutte uguali chestavano sedute sotto il porticato dell’antico edificio. Anchelei, prima ancora che una sorella l’avvicinasse per annun-ciarle la mia visita, alla mia vista si alzò di scatto e mivenne incontro con le braccia distese in avanti, per stringer-mi in un lungo abbraccio. Ci commuovemmo come duebambini. Ritornata a Torino, come bibliotecaria semprenell’Istituto di via Cumiana, l’anziana suor Nella mi fumolto vicino nella mia «avventura» di sindaco, ma soprat-tutto durante la lunga malattia che colpì mia madre. Volleassisterla, come soltanto una figlia può fare.

Il mio essere comunista non la imbarazzava. Nelle brevima frequenti visite, mi raccontò, con tono solidaristico,tutto di suo padre, bracciante agricolo nella Bassa padana,iscritto alla Lega socialista, «per difendere i diritti dei lavo-ratori dei campi senza terra».

Pochi giorni prima di morire mi volle vedere. La suorache l’assisteva mi raccontò che tante volte aveva chiesto dime pregandola di rintracciarmi al più presto. Quando fummosoli nella piccola camera dove l’avevano isolata nell’attesadel trapasso, con grande lucidità, anche se con fatica, vollesapere del mio lavoro, del mio impegno. Con un filo di vocemi trasmise la sua ultima raccomandazione: «Comportatisempre bene». Mi chinai e la baciai sulla fronte.

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