RIONE · 2014. 12. 12. · 3 L’A RIONE I l saluto del Sindaco Care concittadine e concittadini,...

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    Il saluto del Sindaco di Emiliano BeozzoSocietà

    Il “bazar” dei Baffetti chiude dopo 60 anni di Mattia FrizzeraNon so dove vado, ma so che vado lontano di don R. TamaniniUn sasso nella corrente di Mattia MaistriDue progetti Anffas Trentino nella coresidenza di M. CadonnaCampane a festa per le brasiliane di Renzo Maria GrosselliNaufraghi di Anna FortiColastici, Gaifassi e ‘Mericani di Samuele Cont

    EconomiaTante mele, ma di bassa qualità di Lucio BernardiPoca uva, ma vini di qualità di Lucio BernardiTre Merlot trentini premiati di Damiano DallagoObiettivo pareggio nel 2015 di Mattia Frizzera

    L’angolo della poesiaCanzone per Natale di Bruno CoveliLa ceséta de Postàl di Alberto Lucianer

    CulturaDal Rio Bondone al Volga di Mattia FrizzeraSogni di note di Mattia Maistri

    PersonaggiLe imprese di Fabio Stedile di Riccardo DecarliCon Fabio Stedile sul Campanil Basso di Alberto Maistri

    AttualitàLa nuova ludoteca Liocorno (LuLi) di Stefano (LuLi)

    Scuola e dintorniEsplorando il volontariato delle insegnati Renata, Loreta e LuiginaI bambini alla scoperta del paese di C. Tomasi, M. Lupi e G. GalvagniFiaccolata per i diritti dei bambini di Antonella ZaccariaI giovani generano energia di Paolo BisestiA lezione di italiano di Ancilla Dominici

    SportSport per 200 ragazzi di Paolo BisestiGinnaste agli italiani di Pesaro di Lisa Paternuosto

    AssociazioniVigili, dal 1858 con altruismo di Daniele VettoriDivertimento e comicità a teatro di Lara CoserOrdine della Torre trionfa a Leno di Silvia AndreattaNasce il Circolo anziani e pensionati di Aldeno di Cecilia SchirAvis fa formazione sui rischi di Giulia CoserLa Banda fa 90 più uno di Giordana Forti

    AmministrazioneRidurre le emissioni del 20%

    Giunta e consiglioAldeno InsiemeAldeno per il FuturoLega Nord

    Dal MunicipioLe scelte dell’Amministrazione

    Autorizzazione n. 959 del 21/05/ 1997del Tribunale di Trento

    Presidente:Alida Cramerotti(Assessore alla Cultura)

    Direttore responsabile:Mattia Frizzera

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    Direzione - Redazione -Amministrazione:presso Comune di AldenoPiazza Cesare Battisti, 5www.comune.aldeno.tn.it

    Lettere e comunicazioni a:L’ARIONEpresso Biblioteca comunaleVia Giacometti, 638060 AldenoTel. 0461/[email protected]

    Grafica e impaginazione:L’ORIZZONTE - Ag. di pubblicità

    Stampa:GRAFICHE DALPIAZ srl

    Foto:Remo Mosna

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    ARIONENOTIZIARIO DEL COMUNE

    DI ALDENOAnno 18 - N. 34 - Dicembre 2014

    Foto copertina:Pensieri, parole, disegni realizzati daibambini per la Giornata dei dirittidell’infanzia e adolescenza (20/11/14).

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    Il saluto delSindaco

    Care concittadine e concittadini,mi sembra ieri quando all’inizio della consi-

    gliatura mi accingevo a scrivere il mio primo sa-luto da sindaco per l’Arione. Questi sei anni sonopassati come un fulmine. Molte cose sono cam-biate e purtroppo non sempre in senso positivo.La grave crisi che stiamo attraversando ha con-dizionato fortemente lo spazio di azione delleamministrazioni locali. Quando ci si rapporta oci si incontra con la Provincia è quasi sempre perdiscutere di tagli dei trasferimenti, di ridimensio-namento dei budget e via discorrendo. Una tri-stezza. Momenti che hanno richiesto e richiedo-no grande lucidità, capacità di individuare le prio-rità e determinazione ferrea. È stato molto im-portante in questi anni avere alle spalle una mag-gioranza unita che ha saputo far quadrato neimomenti difficili e concentrarsi sugli obiettivi delprogramma.

    Penso al grande sforzo che abbiamo fatto pertrovare collaborazioni con i comuni vicini al finedi ottimizzare i costi e non far venir meno i servi-zi ai cittadini. Penso, ad esempio, al momentocruciale della conclusione dei lavori della nuovascuola materna, quando il fallimento della gros-sa impresa edile che si era aggiudicata i lavori,ha rischiato di far slittare i tempi di consegna ol-tre le nostre impellenti necessità. C’è stata in quel-l’occasione una presa di responsabilità diretta, inprima persona, da parte degli amministratori. Lastessa determinazione che è stata necessaria, inmezzo a mille difficoltà e ben tre fallimenti, per

    veder finalmente concluso il progetto della co-residenza nella ex Cantina sociale. Un risultatodi cui siamo orgogliosi e che abbiamo sempre con-siderato come un punto qualificante del nostroprogramma. In questi giorni gli alloggi sono statiassegnati ai soggetti che hanno dimostrato dipossedere i requisiti richiesti dal bando e lo sfor-zo dei prossimi mesi sarà quello di cominciare afar funzionare la struttura che non è soltanto unintervento edilizio ma è molto di più. È la realiz-zazione di un’idea che era stata messa in campouna decina d’anni fa durante l’amministrazioneguidata da Daniele Baldo.

    Una realizzazione innovativa, soprattutto daun punto di vista sociale, che mira a creare inquel complesso un modello nuovo, integrato dicomunità che abbia alla base il valore della soli-darietà e del mutuo aiuto. Allo stesso tempo unacomunità integrata con il paese, che anzi rappre-senti il lievito delle iniziative a carattere sociale evolontaristico. È bello vedere un’idea nuova,unica sicuramente in Trentino e forse anche inItalia, che si concretizza. Il nostro merito è statosoprattutto quello di crederci e di non mollare,nemmeno quando ci dicevano che le disponibili-tà finanziarie erano scarse o quando i cambia-menti di assetto interni all’istituzione provincialemettevano in crisi gli equilibri raggiunti con mesie mesi di contatti, di incontri, di trattative. Orala struttura è pronta e ci sarà consegnata uffi-cialmente fra qualche settimana. Mi piace pen-sare che il compito di farla funzionare e quindi di

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    farla diventare un crogiuolo di iniziative e un ful-cro della vita comunitaria non sia solo un compi-to dell’amministrazione, ma di tutti gli uomini ele donne di buona volontà. In questo centro tro-veranno casa alcune tra le più importanti asso-ciazioni del paese; per loro è un premio meritato,sia per il loro valore che per la pazienza con laquale hanno atteso una sistemazione definitivama le stimola anche ad un impegno nuovo, diconvivenza innanzitutto e anche di generosità edi collaborazione.

    Parlando in generale, credo sia giusto rileva-re che in questo periodo non ci sono realizzazionifacili e questo ci ha impegnati ancora di più a farle cose per bene. A realizzare cioè i progetti che cisiamo proposti e che ci sembrano importanti perla vita della comunità, facendo però grande at-tenzione a far quadrare i conti. È difficile ma sipuò fare. Credo che questo sia il risultato più im-portante di questa amministrazione: aver fattorealizzazioni importanti, avere ottenuto finanzia-

    menti, sia pubblici che privati, per opere che sa-ranno realizzate nei prossimi anni per circa ventimilioni di euro e allo stesso tempo aver provve-duto ad una concreta stabilizzazione del bilancio.Con questa impostazione a fine 2016 il Comunedi Aldeno chiuderà il bilancio in equilibrio per-fetto, tenendo le imposte comunali al minimo,mantenendo un costo dei servizi fra i più bassidella provincia e allo stesso tempo garantendonela qualità. Con grande responsabilità abbiamopensato al presente ma anche e soprattutto al-l’eredità che lasceremo ai nostri figli.

    Ho cercato, in queste poche righe, di sottoli-neare alcuni concetti che mi sembrano importan-ti, visto che si stanno chiudendo l’anno e anchela consigliatura.

    Ed è con vero piacere che colgo l’occasioneper augurare a tutti di trascorrere un Nataletranquillo nell’intimità della famiglia e di ini-ziare il nuovo anno con serenità e un po’ di ot-timismo.

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    Il “bazar” dei Baffettichiude dopo 60 anni

    di Mattia FrizzeraUn grande dispiacere per molti amici e clienti. Finite le scorte dimagazzino si abbasseranno le serrande per lo storico negozio di piaz-za Garibaldi. Per Rosa Baffetti la meritata pensione, futuro incertoper le dipendenti. E se qualcuno decidesse di portare avanti l’espe-rienza?

    C’è chi passa in auto, abbas-sa il finestrino e legge sconti dal30% al 50% fino al 31 ottobre.Chi chiede a Rosa il perché e larisposta recita più o meno così: «èmeglio cascare in piedi». Non sisa ancora se il “Vincenzo Baffettie figli snc” di piazza Garibaldichiuderà a fine anno o proseguiràanche un po’ oltre, dipenderà daquando gli scaffali saranno staticompletamente svuotati. «C’è chisi è fatto la scorta – spiega Rosa –immaginando che per un certoperiodo ci sarà comunque un di-sagio».

    Disagio che significa doverspostarsi in città anche per un pic-colo acquisto: una vite, una lam-padina, un piccolo elettrodomesti-co. Rosa è conscia di questo di-sagio, ma a 75 anni di età dei quali60 di lavoro tra elettrodomestici,tv, varia oggettistica è comprensi-bile che sia arrivato il tempo delmeritato riposo. Fratelli e nipotisono concentrati sull’attività delmobilificio. «Abbiamo propostoanche alle dipendenti di portareavanti la gestione – aggiunge – manon se la sentono».

    Un giro sui tre piani del nego-zio, strettamente collegato all’abi-tazione di Rosa. Con quella com-mistione tipica di chi gestisce bot-tega sotto casa. Basta una rampadi scale per trovarsi in cucina.

    Riapriamo l’”album” dei ricor-di, tornando a inizio anni Cinquan-ta. «A 14 anni, dopo le scuole me-die – spiega Rosa – volevo iscri-vermi alle Iti, mi piaceva molto lameccanica». Apriti cielo! Oggi adesempio in Austria ci sono dei pro-grammi di orientamento che invi-tano le donne a prendere in consi-derazione una carriera lavorativa

    nell’ambito delle professioni tec-niche ed artigianali. Più richieste emeglio remunerate.

    Nel 1954 però il preside delleIti sconsigliò fortemente a Rosa diiscriversi alla sua scuola. Una don-na alle Iti? Una discriminazionepregiudiziale alla quale Rosa rispo-se decidendo assieme a papà Vin-cenzo di mettere in piedi un nego-zio. «Siamo partiti costruendo an-che il mobilio ed il negozio avevala grandezza dell’ingresso di oggi– mostra Rosa – in quelli che era-no i “volti a bot” della casa».

    Papà Vincenzo è stato un vero

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    Rosa Baffetti, storica responsabile del negozio di Piazza Garibaldi.

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    e proprio pioniere imprenditoria-le: dalla prima forma di trasportopubblico con automobile, al nego-zio di riparazione delle biciclette,fino alla pompa di benzina ed al-l’imbottigliamento del kerosene.

    Fino ai mobili. Gabriele primadella pausa pranzo entra nel ba-zar. Non è un volto sconosciuto,siamo passati entrambi per i ban-chi della Facoltà di Economia diTrento. Ci tiene a ricordare chechiude il bazar della zia Rosa, mal’attività nell’ambito dei mobili con-tinua a pieno regime.

    E tra i mobili in via del Perercontinuerà ad essere possibile l’ac-quisto di elettrodomestici da incas-so e anche di quelli da libero posi-zionamento (lavatrici, frigoriferi,cucine a legna…).

    Torniamo da Rosa, che intantospulcia tra licenze ed autorizzazio-ni. Dal 1988 il bazar è in piazzaGaribaldi, prima per un periodo diquasi due decenni era stato in viaDante. Ora il dispiacere non soloper i clienti, soprattutto i più an-

    ziani, «ma mi dispiace molto an-che per le dipendenti; il rapportocon chi lavora è sempre stato mol-to stretto».

    Quattro dipendenti in tenutarosa, che hanno fornito un prezio-so servizio per tanti anni. AriannaDallago si ricorda ancora la datadi inizio dell’avventura per lei, lu-nedì 21 gennaio 1985. Ingrid Bal-do lavora nel bazar da 20, LillaBotticchio da 25, Annamaria La-rentis da 8.

    Sui tre piani del bazar sono pas-

    sate nel tempo anche altre com-messe, tra le quali Anna e Loren-za Muraglia.

    «Non chiudiamo per motivieconomici – sottolinea Rosa – maper una riorganizzazione all’inter-no della nostra famiglia. Ora biso-gna focalizzare attenzioni e risorsesul mobilificio».

    Un po’ alla volta ci sarà la staf-fetta generazionale all’interno del-la famiglia, visto che anche Loren-zo e Giuliano, fratelli di Rosa, sistanno avvicinando al momento nelquale distribuire ad altri gli oneridel lavoro. Un passaggio quindimolto delicato, in tutte le impresea conduzione famigliare.

    Gabriele ricorda che nel bazarsi riuscivano a garantire prezzicompetitivi per quanto riguarda glielettrodomestici «grazie alla coo-perativa d’acquisto Eurocea, del-la quale siamo stati fondatori».Dopo essere saliti al primo pianoed aver visto il punto di contattotra casa e lavoro, viene spontaneochiedere a Rosa quali sono le pri-me cose che vorrebbe fare dopoSo

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    Da sx, Rosa Baffetti, con le dipendenti Annamaria Larentis, Ingrid Baldo e AriannaDallago.

    Rosa e Arianna dietro al bancone all’ìngresso del negozio.

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    aver concluso l’esperienza lavora-tiva. «Fare qualche giorno di va-canza – risponde – e dedicarmi afamiglia, nipoti e pronipoti».

    Rimane il disorientamento del-la clientela. Una media di centoscontrini al giorno fa capire che èforte la funzione di servizio delpunto vendita di piazza Garibaldi.Con Gabriele quindi si prova aragionare su come potrebbe pro-seguire l’attività. L’identikit è que-sto: un/a volenteroso/a che risiste-mi la zona a piano terra e riveda

    un po’ la merceologia concentran-dosi su piccoli elettrodomestici edaltri generi di consumo. Insomma

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    non il grande acquisto, ma le pic-cole necessità quotidiane.

    Riscendendo a piano terra, unafoto della titolare con le quattrocommesse ed il senso che non saràfacile riposizionarsi per loro. Comemai non avete deciso di prenderein mano voi il negozio? «In tempodi crisi economica il momento nonè dei più facili» spiega Ingrid, men-tre Arianna sottolinea «la mancan-za di esperienza in materia di ge-stione». Per riposizionarsi allecommesse vengono spesso richie-ste oltre alla maturità superioreanche la padronanza delle linguetedesca e inglese. Arianna ricordala forza del bazar, avere tantissi-me cose utili in un unico posto.Ingrid pesca dai ricordi quandoandava ad aiutare gli anziani nelsintonizzare il decoder del digitaleterrestre e pensa alle tavole nelbazar quando c’erano le liste noz-ze.

    Piccoli aneddoti di amicizia,gentilezza, piccoli gesti che arric-chiscono una giornata. Il bazarchiude, ma se un/a volenteroso/avolesse provare a portare avantil’avventura, faccia una telefonataallo 0461-842263.

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    Domenica 28 settembre 2014 ha fatto il suo ingresso nella comunitàdi Aldeno don Renato Tamanini. Il sacerdote si presenta ai parroc-chiani, indicando i suoi auspici e quindi risponde ad alcune doman-de sul suo passato e sul presente della Chiesa.

    Non so dove vado,ma so che vadolontano

    di don Renato Tamanini

    Ho scelto questa frase, di nonso quale scrittore, per presentar-mi attraverso l’Arione ai parroc-chiani di Aldeno, Cimone e Gar-niga. Che cosa vuol dire questafrase? Che non voglio avere obiet-tivi immediati né progetti moltodefiniti,

    - perché non c’è meta che nondebba poi essere superata e ridi-mensionata: si fa un passo in avantiche chiede poi un altro passo e unaltro ancora

    - perché si può anche sbaglia-re sia la meta che il percorso: unosi pone un obiettivo e poi si ac-

    corge che non era quella la metaverso la quale dirigersi o che lastrada intrapresa porta da un’al-tra parte

    - perché si rischia di costruireprogrammi sulla base delle proprieinclinazioni o visioni personali sen-za tenere tanto conto né della si-tuazione reale né delle attese edelle possibilità degli interessati

    - perché è importante guarda-re lontano, proporsi un traguardoche resta sempre oltre, in modoche si sia sempre nella necessità enella decisione di essere ancoraper strada, mai arrivati.

    Eduardo Galeano si è postoquesta domanda: ha senso andareverso l’utopia (cioè un mondo ide-ale, un sogno, qualcosa di grandee bello che non esiste in nessunluogo) se ti accorgi che tu fai unpasso verso di essa e essa ne fadue in avanti?

    E si risponde così: il senso è ilcammino. Ecco, è questo che vo-glio dire nel titolo: importante èessere decisi a camminare versouna meta grande, anche se irrag-giungibile nella nostra storia. Lameta per i cristiani non può essereche Gesù Cristo e il suo regno: unmondo in cui tutti gli uomini si sen-tano amati, valorizzati, accolti, incui ogni persona abbia una caricainteriore poderosa di speranza edi amore, in cui tutti sappianoascoltare nel silenzio loro stessi, lanatura e le storie di vita degli altri,in cui Dio sia percepito come lafonte suprema della libertà e dellagioia.

    Una meta come questa, si sa,è sempre al di là di quello che con-cretamente riusciamo a raggiunge-re e per questo il nostro camminonon si esaurisce mai e, nello stes-so tempo, una meta così alta con-So

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    Il saluto del sindaco all’arrivo di don Renato Tamanini.

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    tinua a generare risorse e desiderie a stimolare l’impegno.

    Questo non vuol dire viveresenza una direzione e non vuoldire non fare niente e non sape-re che cosa fare. Viceversa, piùalta e bella è la meta, più fortediventa l’esigenza di muoversinella direzione che ci avvicina adessa, pur sapendo che non si ar-riverà mai ad ottenere il risultato

    finale, che, nella nostra fede, siavrà solo come dono dalle manidi Dio alla chiusura del tragittoumano.

    Camminare guardando allameta, camminare senza che le gior-nate e gli insuccessi intristiscano ilcuore e offuschino lo sguardo,camminare con umiltà, senza pre-sunzione né arroganza, cammina-re insieme, senza fughe individua-

    listiche e senza perdere nessunolungo il percorso, camminare passodopo passo, contenti di ogni pic-colo passo e capaci anche di tor-nare indietro quando si sbaglia,camminare celebrando gli sforzi ele fatiche, i successi e gli insucces-si, camminare e cantare, come di-ceva Sant’Agostino ai fedeli dellesue comunità: cammina e canta,canta e cammina.

    Un sasso nellacorrente

    di Mattia Maistri

    L’incontro con don Renatomi ricorda fin da subito certe at-mosfere del passato: un apparta-mento caldo, un tavolo coperto dilibri e un clima silenzioso, riflessi-vo, che favorisce il dialogo. Unambiente che difetta di frenesia evelocità, e che sembra voler pren-dere le distanze dai caratteri piùtipici del nostro tempo, dove si èattivi 24 ore su 24 e non c’è tem-po da perdere. Per questa ragio-ne, la chiacchierata prende subitouna direzione precisa, che ci por-ta alle origini, quando è iniziato tut-to.

    Chi è don Renato?Bella domanda... Sono un

    uomo di settant’anni, figlio di una

    casalinga e un ferroviere, che fu-rono costretti ad abbandonareTrento, con i loro tre figli, per ri-fugiarsi a Vigolo Vattaro durante

    la seconda guerra mondiale.Sono entrato in seminario in pri-ma media e ne sono uscito unavolta ordinato sacerdote, l’8 di-

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    Don Renato dietro alla scrivania, in canonica.

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    cembre del 1970.

    E da allora è cominciata lavera attività sul territorio.

    Sì, ho fatto il cappellano a Sac-co e a Tione, dove ho pure inse-gnato religione nel locale istitutotecnico.

    Un ruolo educativo, quindi.Cosa significava insegnare re-ligione nelle valli trentine al-l’epoca?

    Per quanto riguarda la discipli-na non si faceva molto, poiché leclassi erano, diciamo così, “biri-chine”. Ma quel periodo è statocomunque un’occasione preziosaper sviluppare e stringere grandirapporti. Lì ho capito quanto sia-no importanti le relazioni tra le per-sone e quanto possano risultareutili per educare. Ricordo che, al-lora, anche le valli Giudicarie era-no percorse dal vento della con-testazione e della ribellione, purrimanendo un ambiente “di pae-se” dove certe esasperazioni del

    movimento degli indiani metropo-litani del ’77 non arrivavano. Ben-ché si mescolassero impegno so-ciale e goliardia, con i ragazzi c’èsempre stato un terreno d’intesadovuto al nostro comune contattocon la terra che ci consentiva dicondividere valori e alcune spinteideali. Possiamo dire che, al di làdei contenuti, ad avvicinarci era unreciproco atteggiamento dialogan-te.

    Un dialogo che assumeva laforma della collaborazione odella dialettica?

    Sicuramente della dialettica,che diventava però il momento peravvicinarci gli uni agli altri, per ca-pirci, insomma. Ricordo, ad esem-pio, che un giorno gli studenti de-cisero di non venire a scuola e discioperare in solidarietà con lepopolazioni del Libano. Decisi discrivere un volantino per ricorda-re loro che essere solidali non si-gnifica sfruttare l’occasione perfare un giorno di vacanza. Quel

    volantino sollevò un animato dibat-tito con i ragazzi e ancora oggi c’èchi se lo ricorda. Dimostrazioneche avevo colto nel segno.

    Se ho ben capito, il suo ruo-lo di educatore e, soprattutto,di religioso non poteva esserediviso da quello di uomo chevive nel suo tempo e si occupadi quello che succede fuori dal-la chiesa.

    Senza dubbio. Proprio perquesto nel 1983 decisi di anda-re in missione in Sudamerica.Scelsi quella meta perché era illuogo della grande sperimenta-zione della Chiesa, dove i pove-ri non erano “individui” ma“massa”. Se volevo capire comepoteva cambiare la Chiesa cat-tolica, dovevo andare nel conti-nente più in fermento da quelpunto di vista.

    Il continente della teologiadella liberazione e della vici-nanza tra Chiesa e movimentipolitici radicali.

    Proprio quello. Tuttavia, peressere al centro del movimentoavrei dovuto andare in Brasile, in-vece mi venne assegnato il quar-tiere di El Alto, periferia de La Paz,capitale della Bolivia. Lassù (la cittàera a quasi 4mila metri di altitudi-ne) i fermenti di trasformazioneerano molto ridotti se non perfinoassenti.

    Di cosa si occupò quindi inquella che di fatto era una me-tropoli, benché formalmenteSo

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    La commemorazione dei caduti.

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    fosse un quartiere della capi-tale?

    El Alto era una zona di rapidaurbanizzazione, dove finivano cen-tinaia di migliaia di contadini chevivevano in condizioni estreme,senza servizi e senza strutture.Anche il cattolicesimo era pocoorganizzato e il nostro obiettivo fuproprio quello di agire su due li-velli: costruire servizi per la comu-nità e riorganizzare la Chiesa. In 8anni abbiamo lavorato per l’alfa-betizzazione e la scolarizzazione dimassa, e per l’assistenza sanitaria,poiché erano del tutto assenti.

    Cosa significava per un re-ligioso europeo lavorare inBolivia?

    Significava, innanzi tutto, capi-re che il cattolicesimo dei conta-dini era legato a ritmi e riti precri-stiani che, una volta giunti in città,loro vedevano indebolirsi, lascian-doli disorientati. Il nostro compitoecclesiale consisteva nello starecon loro e provare a fare comuni-tà, cercando di coniugare il loropassato e il loro presente. Nonsempre era facile trovare un pun-to d’incontro, poiché la ritualitàancestrale a cui facevano riferi-mento doveva essere capita nellesue manifestazioni per essere in-crociata con il cattolicesimo.

    Possiamo dire, dunque, chel’attività culturale andava abraccetto con quella sociale, perpoter raggiungere il medesimoobiettivo: dare senso a una co-munità, altrimenti smarrita.

    Certo. E questo l’ho vissutoanche in un’altra zona della Boli-via, dove ho operato a partire dal1991 con i francescani di Trento.Lì mi occupavo della formazionedei seminaristi e, contemporane-amente, di progetti dedicati allacostruzione di centri sanitari o dipozzi per l’irrigazione e la pota-bilizzazione dell’acqua. Nel 1998il nostro gruppo fu pure coinvol-to nella gestione dell’emergenzadovuta al forte terremoto chesconvolse il Paese. Fu una delleultime attività che svolsi laggiù,prima di tornare.

    Perché ritornò in Trentinonel 1999?

    Per due ragioni principali. In-nanzi tutto, volevo esser vicino amia madre anziana. E poi, volevodare la possibilità ad altri missio-nari più giovani di partire, poichéil vescovo di allora aveva stabili-to che le nuove partenze sareb-bero state possibili solo a fronte

    di un rientro dei “vecchi” missio-nari.

    Di cosa si fece carico unavolta tornato in Trentino?

    Dal 1999 a oggi mi sono oc-cupato della formazione dei semi-naristi. Poi, un po’ inaspettata, èarrivata la chiamata presso la par-rocchia di Aldeno, Cimone e Gar-niga Terme.

    Una chiamata inaspettatache l’ha messa in difficoltà?

    Devo ammettere che si trattadi una grande sfida, perché negliultimi quindici anni ho avuto piùcontatto con i sacerdoti che conle comunità. Ma, allo stesso tem-po, si tratta per me di una missio-ne molto importante, che mi per-mette di sviluppare un senso dipaternità verso la gente.

    Cosa significa fare il “pa-dre” di una comunità multicul-turale e frammentata?

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    Parto sempre dall’idea chel’altro sia una ricchezza e che ab-bia bisogno di essere ascoltato.Soltanto dopo si può fare sintesi.Ad esempio, i giovani sono divisiin subculture diverse e il primopasso per avvicinarli è quello dientrare in relazione senza preten-dere adesioni assolute. Il passosuccessivo lo possono fare solo icoetanei, coloro che vivono lastessa realtà, altrimenti noi risulte-remmo estranei e, per forza dicosa, inefficaci.

    A tal proposito, possiamodire che papa Francesco risul-ti molto efficace, anche nei con-fronti delle nuove generazioni.È possibile che l’attuale ponte-fice stia preparando un nuovoConcilio, sull’esempio del Con-cilio Vaticano II?

    Sinceramente mi sembraun’idea un po’ stiracchiata, anchese ci sono due elementi che papaFrancesco ha ripreso dal Vatica-no II: il dovere di una condottacollegiale e non solitaria della

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    Chiesa, e il richiamo a vivere ilmessaggio evangelico nella suaconcretezza, mettendo al bandol’esteriorità. La dimensione socialedella Chiesa di Francesco è spic-cata e riprende la dottrina socialedella Chiesa contro l’imperialismodel denaro.

    Una presa di posizione nonsempre condivisa in ambientevaticano...

    Sicuramente papa Francesconon è succube alle gerarchie vati-cane, a differenza di Giovanni Pa-olo II e di Benedetto XV. Non mistupisco, perché questa sua mag-giore autonomia rappresenta lacoerenza che lui vive tra aspettiorganizzativi e messaggio spiritua-le, che non possono rimanere se-parati tra loro. Perché la fede nonè esteriorità da funzionari, ma èqualcosa che prende il cuore ecoinvolge tutta la propria esisten-za.

    Un’esistenza che nella pre-carietà della società liquida hasempre più bisogno di risposte.Quali sono quelle di un sacer-dote del XXI secolo?

    Il sacerdote è una persona checerca di voler bene, a prescinde-re. E non in modo riduttivo, maconcreto, dove l’apparenza lasciail posto all’essenza. Questa è larisposta. Molto semplice, se sivuole, ma importantissima. Il sa-cerdote è come un sasso nel tor-rente, che ti aiuta a fare un passopiù in là, nonostante la forza dellacorrente.

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    Due progettiAnffas Trentino

    nella co-residenzadi Maurizio Cadonna

    Nell’immobile ex cantina sociale apriranno anche un Centro socio-occupazionale giovani, per offrire percorsi lavorativi ed educativied una Casa satellite, appartamento che grazie alle tecnologie delladomotica permette di sostenere il percorso di emancipazione.

    Già più volte l’Arione si è oc-cupato della “co-residenza”, lanuova realtà abitativa che sta tro-vando forma nell’immobile ex can-tina sociale, ristrutturato dall’Itea.In queste settimane di fine anno2014 il progetto sta entrando nelvivo, con l’assegnazione dei primispazi abitativi, due dei quali rap-presenteranno, per i giovani diAnffas Trentino Onlus, occasioneper potenziare e migliorare le lorocapacità relazionali, operative, diautonomia personale.

    La co-residenza ospiterà infattiun “Centro socio-occupazionalegiovani”, con apertura diurna, nelquale saranno accolte due tipolo-gie di persone con una disabilitàintellettiva: giovani che hanno ap-pena terminato o stanno terminan-do la scuola e che necessitanoancora di un percorso educativoed occupazionale e giovani adultiche hanno già frequentato percorsisuccessivi a quello scolastico, cheper la loro età e le loro necessitàhanno bisogno di percorsi ad in-dirizzo occupazionale ed educati-vo.

    I posti disponibili saranno 12.Questi giovani con disabilità tro-

    veranno nelle attività del centro unsostegno educativo utile per valo-rizzare al massimo le loro risorse,i loro interessi, la loro capacità diprendersi cura di sé, nel dialogocon adulti educatori appositamentepreparati.

    Le proposte del centro rappre-senteranno per questi giovani unanuova esperienza formativa, che liconferma nel loro essere “grandi”,migliorandone il livello di consa-pevolezza e sviluppandone le au-tonomie sociali, relazionali, psico-logiche.

    All’interno della giornata trove-ranno spazio attività di incontro, diconversazione, di laboratorio per

    favorire l’acquisizione di un pen-siero operativo e la soluzione diproblemi pratici, di rafforzamentodell’autostima. I giovani sperimen-teranno stages e laboratori pressoaltre realtà, anche occupazionali,mentre particolare attenzione saràdata alle abilità comunicative, diragionamento, di lettura e scrittu-ra, anche con ausili didattici, diconoscenza sociale ed ambienta-le. Una volta alla settimana è pre-vista l’attività motoria.

    Un centro, insomma, che lavo-rerà in base a progetti personaliz-zati, “studiati” appositamente sulsingolo ragazzo, in base ad obiet-tivi precisi ed a metodologie defi-

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    La coresidenza vista da ovest.

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    nite. Ogni progetto sarà condivisoe discusso con la famiglia e verifi-cato ogni sei mesi.

    Il risultato che Anffas Trentinosi prefigge è quello di fornire a cia-scun giovane un’occasione percrescere come persona, capace dipensiero autonomo, di gestire leproprie emozioni, di conoscere leproprie risorse ed anche i proprilimiti, per poter impostare un pro-prio “progetto di vita” futura.

    La seconda realtà gestita daAnffas Trentino che troverà spa-zio nella co-residenza riguarda unprogetto di grande portata inno-vativa nel panorama trentino ed ita-liano ed è costituita dalla “Casasatellite”, cioè da un appartamen-to nel quale alcuni giovani-adultiseguiti dall’associazione potrannoabitare sperimentando un nuovoservizio residenziale, semi-protet-to, dotato di un’avanzatissima tec-nologia in grado di sostenere que-ste persone in un percorso diemancipazione verso un’autono-mia più piena.

    Gli ospiti di questo servizio han-

    no un lavoro part-time e sono daanni inseriti in un percorso di resi-denzialità, che ha posto le basi perquesto nuovo passo nella loro vitada adulti.

    Anffas Trentino, in collabora-zione con la Facoltà di Ingegneriadell’Università degli Studi di Tren-to, negli anni scorsi ha infatti svi-luppato una tecnologia in grado diaiutare le persone nello svolgimen-to delle normali attività di una casa.La domotica costituisce oggi unodegli ausili migliori e più avanzatiper favorire un’autonomia quasipiena nella conduzione della vitaquotidiana. I giovani-adulti saran-no accompagnati da personaleappositamente formato, secondogli obiettivi educativi ed abilitatividi ciascuno.

    La collocazione del Centro so-cio-occupazionale giovani e dellaCasa satellite nella co-residenzaavrà un valore importante, in unaduplice direzione: da un lato lepersone che abiteranno gli appar-tamenti della co-residenza potran-no essere sostegno utile ai percorsidi crescita dei giovani di Anffas

    Trentino, con la loro presenza emagari con qualche utile contribu-to nelle diverse attività; dall’altrolato, i giovani frequentanti il Cen-tro e la Casa Satellite potrannoessere utili alle persone della co-residenza fornendo un aiuto in al-cune incombenze della vita quoti-diana o anche soltanto per qual-che momento di apprezzata com-pagnia…

    A sostegno dei due progettisarà valorizzata una rete di volon-tariato, proprio in un’ottica di “ria-bilitazione di comunità”.

    «C’è molto entusiasmo da par-te delle famiglie di Anffas Trentinoverso questi due progetti” – ci diceil presidente, Luciano Enderle,anche lui cittadino di Aldeno –“perché l’ambito di un paese e diuna comunità attenta al socialepotrà dare nel tempo grandi op-portunità di cittadinanza attiva peri nostri ragazzi ed un’inclusione piùserena e più completa rispetto al-l’ambiente cittadino».

    Un “benvenuto” quindi, da par-te della Comunità di Aldeno, ai gio-vani-adulti di Anffas Trentino ed ailoro educatori ed un augurio di unbuon cammino sulle nostre stra-de…So

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    Campane a festaper le brasiliane

    di Renzo Maria Grosselli

    Le pronipoti di Eugenio Coser e Fortunata Friz in visita ad Aldeno.Una storia d’emigrazione partita nel 1897, in direzione Stato di Espi-rito Santo in Brasile.

    Per Aldeno rimarrà “il giornodelle campane”. Quando il suonodei grandi bronzi della Chiesa diSan Modesto assalì all’improvvi-so, fuori di orario, ogni casa delborgo, fin nelle periferie più lonta-ne, ogni uomo, ogni donna. E il rin-tocco delle campane, si sa, puòessere il miglior annuncio di ungiorno di festa ma anche il segnaledi un pericolo. In molti quel 9 set-tembre 2014 si arrestarono sullavia, si guardarono negli occhi den-tro le botteghe, e alla sportellistadella Cassa Rurale sfuggì un so-spiro in quell’ora di sole: “Mio Dio,non sarà che...’”.

    Ma partiamo da lontano a nar-rare una storia che, si dice, sia stataalla base di quel racconto che por-tò Gabriel Garcia Márquez alNobel per la Letteratura, cam-biando il nome del luogo e chia-mandolo Macondo, e cambiandoi tempi della narrazione.

    La vicenda della campaneebbe origine il 10 di agosto del1897 quando Eugenio Coser partìda Aldeno con la moglie Fortuna-ta Friz ed i figli Valerio, Giulia,Carlotta, Paolo, Giovanni Battista,Carlo, Maria e Isidoro, con desti-no a Santa Teresa, “capitale tiro-

    lese italiana” dello Stato di Espiri-to Santo, Brasile.

    Le sgualcite carte del tempo

    dicono che Eugenio era un conta-dino. In realtà, era un un pioniereche avrebbe messo a coltura nuo-

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    Eugenio Coser con due nipoti.

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    ve terre e dato vita ad una stirpegagliarda di brasiliani che portaancora nel cuore quella terra diorigine, quella Aldeno e quellachiesa di San Modesto.

    Era nato nel 1840 Eugenio econ la sua di famiglia attraversòl’oceano sulla nave “Città di Ge-nova”. Narra un superbo libro,scritto da tali Jussara Teresa Se-pulcri Rosalem e Regina Celis Se-pulcri Salaroli, “Tutti insieme. To-dos juntos: memórias de imigran-tes italianos”, che i Coser aveva-no lasciato Aldeno «per le difficoltàfinanziarie in cui si dibatteva l’Eu-ropa e anche a seguito delle guer-re che avevano coinvolto la regio-ne trentina».

    Una regione in cui in quei de-cenni il 20% dei bambini nati vivi,moriva prima del compimento delprimo anno di età e il 50% rende-va l’anima a Dio prima di festeg-giare il 20esimo. E ciò che li por-tava al trapasso era la “debolezzacongenita”, un eufemismo scienti-fico per dire che si trattava di gen-te che poco e male alimentata. Inuna terra che all’epoca era preda

    di malattie disperanti, come lapellagra, dovuta a carente ali-

    mentazione.Quella gente, nella crisi di fine

    Ottocento, molto spesso riuscivaad alimentarsi solo di polenta e dicrauti, talvolta con un pezzo di for-maggio. Contadini sì, ma molti or-mai senza terra. Tra il 1870 e il1890 la metà della terra agricolatrentina aveva cambiato di padro-ne. I piccoli contadini, oberati dalle“stéore” (imposte), avevano per-duto la loro terra.

    Davanti a loro, una sola pos-sibilità, l’emigrazione. Partirono adecine di migliaia: per le minieredegli Stati Uniti, per le haciendasargentine o per ricevere un pezzodi terra nella foresta brasiliana. Perraggiungere la sua nuova Israele,dopo lo sbarco, la famiglia di Eu-genio Coser «viaggiò a bordo diuna canoa fino a Santa Leopoldi-na e poi proseguì a piedi fino aVárzea Alegre», nel comune diSanta Teresa.

    Oggi, i dieci aldeneri partiti nel1897, in Brasile si sono trasfor-mati in più di 1.600 uomini e don-

    ne. Eugenio e i suoi furono accoltia Várzea Alegre dal cugino Fede-rico, che stava in Brasile da anniormai. Si sarebbero poi spostati aTabocas, dove alle vigne del Merlotavrebbero sostituito la coltivazio-ne del caffè Conilón. Eugenio ri-tornò “en Naldem” solo nel 1915,per calmare un poco quella nostal-gia “de la Toresèla” che gli sfian-cava l’anima. Era ormai morta, nel1910, la sua amata sposa Fortu-nata e lui si era andato a vivere adItaguaçu, dove la morte lo colse il5 agosto del 1927, a 88 anni. Lasua, fu la vita di un patriarca, di unvero aldenero: una foto lo ritrae nel1918 in nobile posa sul suo caval-lo, a dimostrazione della strada chel’emigrante aveva percorso daltempo della sua partenza dallaToresèla.

    Ma avviciniamoci al “giornodelle campane”. Da anni, due so-relle, Jussara e Regina pronipoti diEugenio stavano preparando unviaggio. Loro, che già nel 2000avevano visitato il Trentino e laToresèla, sentendo appieno chenon solo i loro cuori ma anche laloro identità aveva un ancoraggiosicuro nella terra del Merlot. Vo-levano che anche le nipoti dai nomisplendidi della fantasia, Stelama-gda, Maria Regina, Leusa Mariae Leila Maria, potessero conosce-re le loro origini, quel lungo fiatoche aveva portato il loro avo inBrasile. Via dunque, non più innave ma con l’aereo. Qualchegiorno a Caoria (terra della nonnaMaria Loss, sposata Coser) epoi... Poi fu il giorno delle campa-So

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    ne.Le sei donne brasiliane (col

    pazientissimo José Cláudio mari-to di Jussara) sbarcarono ad Al-deno. Ad accoglierle sulla pubbli-ca piazza fu il sindaco, EmilianoBeozzo che le accompagnò nellasala consigliare. Perché, attraver-so lui, tutta Aldeno stava dando ilbenvenuto alle pronipoti di Euge-nio. Jussara e Regina consegna-rono al primo cittadino il libro sul-la storia della famiglia. E il sindacodiede loro i libri sulla storia di Al-deno e quell’orologio con la scrit-ta col nome del paese che da allo-ra batte le ore nelle loro case bra-siliane. Un’ora di ricordi, emozio-ni. Poi la visita a quella scuola (oranuova e splendida) di cui parlavail vecchio Eugenio. Quindi la lun-ga camminata fino alla CantinaSociale e qui, la gente che incro-ciavano sussurrava, “ecco le bra-siliane”, e qualcuno proponeva cheda quel giorno la via principalefosse ribattezzata “Via delle Bra-siliane”, in onore a quelle signorema soprattutto in onore a Fortu-nata Friz, la coraggiosa donna cheaveva accompagnato oltre l’oce-ano il marito. Il tempo di stappareuna bottiglia dell’eccellente spu-mante della Cantina ed era giàl’ora di andare. Un passaggio da-vanti alla Chiesa. L’incontro, for-tuito e denso di emozione, con duepatriarchi: Camillo Stedile, stori-co direttore della Rurale, e il sa-cerdote don Valerio Bottura. Maecco, uscire dalla Chiesa di SanModesto Alma Mazzurana e Ser-gio Enderle. E Regina, e Jussara:

    «Le campane, bello sarebbe chele campane...».

    E le campane suonarono, perla commozione del gruppo brasi-liano (e lo spavento di qualcheignaro cittadino). Sarebbe corsarapida poi la giornata. Con la visi-ta a Garniga, la culla dei Coser deiprimordi: la chiesa nuova, il cimi-tero in cui le signore brasiliane rin-correvano i loro ricordi, cammi-nando tra le lapidi che riportava-no il glorioso cognome. Coser. Poitempo que passou, que te trouxee te levou”.

    E le Viòte, le tre cime che Eu-genio aveva tanto amato: CimaVerde, Doss d’Abramo e Cornét.E qui, l’addio al Trentino, la par-tenza per Firenze, poi Roma. Por-tando con loro la nostalgia dellacampane di San Modesto. Men-tre ad Aldeno-Macondo rimane-va il profumo di quel passaggio.Per generazioni avrebbero poi ri-cordato “il giorno delle campane,il giorno delle brasiliane”. Il giornodi Eugenio Coser e Fortunata Friz,ritornati nella loro terra.

    Anni dopo si sarebbe ritrovata

    una lettera di Regina Celis Sepul-cri Salaroli: «Avemmo l’immensaallegria di conoscere la terra deinonni e fu con profonda emozioneche udimmo le campane della chie-sa suonare, camminammo per levie del borgo, conoscemmo lascuola e fummo alla Toresèla. Conmolta emozione donammo la no-stra storia, il nostro libro, al sinda-co Emiliano Beozzo. Immersecome eravamo nella nostra storiasiamo tornate in Brasile contagia-te dalla bellezza della terra nataledel nostro nonno, la nostra ama-tissima Aldeno».

    Di qui si è ispirato Gabo per lasua stesura di “Cent’anni di soli-tudine”. Aldeno e non Macondoera il paese. E il nome di quell’avo,di quel primo seme che aveva por-tato in America tanta nuova forza,non era quello di Aureliano Ben-día ma di Eugenio Coser. Un pic-colo frammento della storia del-l’uomo: del suo nascere, cresce-re, figliare, piantare, poi soffrire edemigrare, rimettere casa. Senzadimenticare il primo amore. E laToresèla.

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    Viaggio all’interno di un mondo, quello giovanile, contraddistintodalla precarietà: elemento che dalla condizione lavorativa si esten-de ad un nuovo modo di intendere la vita.

    Naufraghidi Anna Forti

    Il testo che segue è formatodall’unione di stralci di molte delleconversazioni che mi è capitato diascoltare nell’ultimo periodo. L’in-tenzione è stata quella di far emer-gere attraverso un’unica voce unamolteplicità di esperienze di vitaaccomunate da una stessa realtà acui doversi approcciare. In que-sto modo ho cercato di dar vitaalla frase che più volte mi è stataripetuta: “siamo tutti sulla stessabarca... una barca che sta affon-dando”.

    Non so dove sarò, cosa farò eche genere di persona diventerò.

    Mi dispiace, non posso prender-mi degli impegni qui ed ora, per-ché domani tutto potrebbe esserecambiato. Non capisco perché nonparti anche tu, io fossi in te me neandrei in Nord Europa. Ho deci-so che se non trovo lavoro quiandrò all’estero ad imparare unalingua, non si sa mai. Poi non sose tornerò. Forse andrò in Spa-gna o in Germania, perché non c’ènulla che mi trattenga qui. Al limitepartirò anch’io per l’Australia.Comunque non preoccuparti, cisentiremo in Skype, oppure po-trai venire a trovarmi.

    Lo sai che non ne posso pro-

    prio più di vivere coi miei. Dopootto anni fuori, tornare a casa è unafatica, ma almeno così non spen-do. Nel frattempo ho fatto doman-da per uno SVE (Servizio volon-tario europeo) in Finlandia. Sareb-be una bella esperienza all’esteroper un anno. Magari mi torna utileper il curriculum. Il mio curriculumfa ridere, è pieno di cose totalmen-te sconnesse l’una dall’altra. Io sulcurriculum non so cosa scrivereperché non ho esperienza lavora-tiva, ma ho sempre e solo fattovolontariato mentre studiavo. Tral’altro il volontariato al giornod’oggi mi sembra soltanto un otti-mo modo per sfruttare la gente.

    Lascia perdere, aspetto da unmese che escano i bandi del ser-vizio civile: 430 euro al mese sa-rebbero sempre meglio di niente.In ogni caso con l’Agenzia del la-voro potrei fare un tirocinio mini-mamente retribuito e così almenoper due mesi sarei coperto. Hodeciso che mi adatterò a tuttoquello che troverò, perché ho 30anni e non ne posso più di stagenon pagati. Piuttosto lavoro dieciore al giorno ai mercatini di Nata-le. Mi sembra una fortuna aver fi-nalmente trovato qualcosa da fare.S

    ocie

    “La zattera della Medusa” di Theodore Gericault (1819). www.wikipedia.org.

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    Alle volte mi sento proprio comese nel mondo non ci fosse postoper me. Mi sento inutile. Il pro-blema è che vorrei poter fare qual-cosa per migliorare le cose. In findei conti penso che l’unica solu-zione sia creare qualcosa che an-cora non esiste. Troppo spessovorrei fuggire. Credo di aver im-parato a convivere con l’incertez-za.

    In fondo sono felice del tempodeterminato perché mi crea menovincoli mentali: so che potrebbeessere un’esperienza circoscritta epoi potrò continuare a cambiare.In ogni caso quando mi sta per

    scadere il contratto tentenno, per-ché potrei di colpo dover ripro-grammare tutto. L’incertezza con-tinua mi spaventa. È come esserecostantemente a rischio. Spesso micapita di non capire più chi sono.Sento come se la mia vita non fossealtro che una serie di frammenti acui fatico a dare unità. Chiudo unafase e ne apro un’altra di conti-nuo. Non riesco proprio a fare unprogetto a lungo termine. Mi muo-vo a caso. Ho avuto un attacco dipanico. Ci berrò su.

    È meglio smettere di pensa-re. Alle volte creo mondi fanta-stici e progetti irrealizzabili. Sto

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    sprecando i miei talenti. Non tro-vo il canale adeguato per espri-mermi. Di fondo non so nemme-no chi sono. Penso che non cisia qualcosa di specifico che miappartenga. Non so mai cosascrivere quando compilo un mo-dulo e arrivo alla voce “profes-sione”. Non so se abbia ancoraun senso intendere il lavoro comeparte della propria identità. Sem-bra non essere altro che un sem-plice modo per guadagnare quelche serve per vivere... ma forseè ancora peggio non sapere nem-meno se domani potrò ancoracontinuare a farlo.

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    “E ti de chi set?” ci porta alla scoperta di tre soprannomi, all’inter-no delle famiglie Cont, Cramerotti e Beozzo.

    Colastici, Gaifassi e‘Mericani

    di Samuele Cont

    Un bicchiere di vino, magariuna fetta di lucanica e un caffè, iltutto amalgamato da vecchi rac-conti sul paese di una volta e suivari aneddoti che hanno reso pro-tagonisti i nostri avi. Solitamenteè questo il contesto in cui si inizia

    a divagare fra una storia e l’altra,intrecciando immancabilmente lestorie di una famiglia con le altree di conseguenza un soprannomecon l’altro.

    In un paese con una identitàforte come quella di Aldeno, in cui

    le persone sono legate al territo-rio dove sono nate, i ceppi che locompongono sono relativamentepochi ed intrecciati tra di loro.Probabilmente unendo pochi al-beri genealogici abbastanza anti-chi si potrebbero ricostruire lastoria di tutte le generazioni attuali.

    D’altra parte anche a questoserviva il soprannome: ad aiutarea distinguere una famiglia dall’al-tra, in virtù di qualche accadimen-to o semplicemente dal nome deigenitori (nonni, bisnonni, …).

    COLASTICIQuanto scritto precedente-

    mente è sicuramente vero perquanto riguarda i Colastici. Il so-prannome “Colastici” lo si ritro-va all’interno dell’albero genea-logico della famiglia Cont, lineaMarcior, e fa riferimento ai figli(Lodovico, Giuseppe, Achille,Riccardo e Augusto) nati dal ma-trimonio fra Giovanni Cont e Sco-lastica Betta. Colastici appunto,figli di Scolastica, per distingueredall’altro ramo della famiglia cheprosegue la linea Marcior con ilfratello di Giovanni Cont, Leonar-do.

    La linea Scolastica prosegueSoci

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    I “Colastici”, in piedi da sx Umberto, Lodovico, Guido, davanti da sx Arnaldo, Luigia,Gabriella.

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    con l’unione fra Lodovico Conte Dirce Malpaga, mentre gli altrifratelli emigrano fuori Aldeno. DiLodovico si dice essere stato unamente fina e un gran lavoratore.Commerciante di legname, car-bone, sementi (portò nuovi tipi disemi in paese) e anche vetraio.

    Nel periodo invernale si occu-pava di spalare la neve (el fevala rota) nel triangolo fra Aldeno,i Casoni e Mattarello con l’ausi-lio del cavallo e del slitòm, an-che per poter continuare duranteil periodo invernale i suoi interes-si commerciali.

    La casa di famiglia si trovavain via F abio Filzi, sotto l’attualetabacchino. Lì vi era anche l’oste-ria di Lodovico (si trova tuttorauna mattonella con inciso il nomedi Lodovico), che, all’inizio del‘900, era un ritrovo fisso per unbicchiere di vino e una partita allamòra per gli uomini del paese.

    La generazione prosegue coni figli Giuseppina, Enrico, Guido,Giovanni, Egidio e Bruno. SaràEgidio a portare avanti l’attivitàdell’osteria di famiglia, ma que-sta, alla fine degli anni ’30 dovràchiudere i battenti a causa deicontrasti per ragioni politiche conil podestà dell’epoca (legate so-prattutto alla figura del fratelloEnrico, dissidente e amico di Bat-tisti).

    I rami generazionali che attual-mente sono presenti ad Aldenosono due, quello che discende daifigli di Egidio con Marta Dallago(e i figli Diego, Annamaria, Ele-na, Carlo Alberto, Vanda e Leda)

    e quello legato ai figli fra Guido eLuigia Enderle (e i figli Arnaldo,Lodovico, Umberto, Gabriella eArnaldo).

    GAIFASSI Di diversa origine, e proba-

    bilmente meno sicura, è il sopran-nome Gaifass. Tale soprannomefa riferimento ad un ramo della fa-

    miglia Cramerotti ed inizia conAngelo Cramerotti (classe 1882).L’appellativo “Gaifass” probabil-mente deriva da una contamina-zione con un cognome della zonadi Rovereto. Negli anni a cavallodel ‘900 Angelo probabilmenteandò a prestare opera nei campiper conto della famiglia Gaifas diRovereto e da qui venne nomi-

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    Foto della famiglia Cramerotti (1961): da sinistra, in prima fila, Alfredo, Angelo eCornelio. Dietro: Amelio, Lilia e Carmela.

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    nato dagli altri aldeneri el Gai-fass, ovvero quello che lavoraper i Gaifas.

    Originariamente di via Altina-te, negli anni ’60 i gaifassi si tra-sferiscono in via Roma, zona excantina. Curiosamente qui, nelloro giardino, per qualche annosi erse una torre Eiffel in miniatu-ra. Fu un modo per lasciare visi-bile a tutti, anche in maniera iro-nica, i frutti del proprio lavorodella costruzione del carro per laFesta dell’Uva anche per qualcheanno successivo alla manifesta-zione.

    La generazione, dal matrimo-nio fra Angelo e Olivia Dallago,prosegue con i figli Amelio, Al-fredo, Cornelio, Lilia e Carmela.

    ‘MERICANIIl soprannome ‘Mericani fa ri-

    ferimento ad un ramo della fami-

    glia Beozzo ed in particolar modoai figli di Cipriano Beozzo (1871)e Pia Tonolli (1877).

    L’economia di inizio ‘900 nonera sicuramente florida; erano annidi stagnazione e miseria.

    La famiglia di Cipriano si oc-cupava di campagna e di lavoristagionali nell’edilizia. Sia per lasituazione economica, sia a segui-to di liti legate ad un’eredità, Ci-priano decise di partire per il Bra-sile assieme alla moglie e ai tre fi-gli, Enrico, Alma e Arturo. Scel-sero il Brasile perchè lì c’eranoaltri parenti. Attualmente lì si tro-va ancora un loro discendente, ilvescovo Josè Oscar Beozzo.

    Partirono quindi dal porto diGenova ed in circa 3 mesi di navegiunsero alla volta del Brasile. Lecose qui non andarono nella ma-niera sperata. Gli immigrati infattivenivano trattati alla stregua di

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    schiavi. Si occuparono principal-mente di coltivazione del tabac-co e granoturco e di attività lega-te al disboscamento della forestaper far spazio all’avanzare deicampi agricoli; si può facilmenteimmaginare come fossero le con-dizioni di questo tipo di lavoro,non avendo a disposizione mezzimeccanici.

    In Brasile nacquero altri 4 fi-gli, Iginio, Alberto, Eugenio e Va-lerio.

    Dopo dieci anni, nel 1920, aseguito anche del peggiorare dellecondizioni di salute della mogliePia legate al clima, decisero di ri-tornare al paese di origine. Si puòdire che la famiglia partì povera etornò ancora più povera. In untempo in cui era raro assistere afenomeni di emigrazione/immigra-zione in paese, l’accoglienza fu unpo’ sui toni dello scherno: “è tor-nà i Mericani...” , da qui il so-prannome di famiglia.

    Cipriano e Pia Beozzo.

    Patagania 1927.

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    Tante mele,ma di bassa qualità

    di Lucio Bernardi

    Annata 2014 rovinata dalla grandinata eccezionale dell’11 mag-gio. Per assecondare le richieste del mercato la produzione si indi-rizzerà soprattutto verso varietà come Gala e Red Delicious.

    Nel corso di un incontro avu-to con Armando Paoli, direttoreSft, la sensazione che si percepi-sce maggiormente è quella di unaforte preoccupazione per l’anda-mento del mercato orto-frutticoloche, come per gli altri settori, è inforte contrazione a seguito delladiminuzione dei consumi.

    A differenza dell’uva, per lamela è ininfluente l’anomala pio-vosità del 2014 mentre è statadeterminante, in maniera irrepara-bile per la qualità del prodotto, lagrandinata dell’11 maggio scorso.L’evento si è manifestato in unperiodo dell’anno fino ad ora im-mune da questa tipologia di eventiatmosferici a conferma che l’an-nata è da considerarsi estranea adogni statistica storica. La grandineha danneggiato fin da subito la pro-duzione ed ha interessato l’80%del prodotto coltivato nella nostrazona. Presentarsi sul mercato conun prodotto che presenta uno stan-dard qualitativo medio basso di-venta difficile; la competizione ri-sulta condizionata in un mercatogià in crisi nel quale i prezzi sonobassi anche per i prodotti qualita-tivamente migliori.

    Tale situazione è dovuta alla

    massiccia produzione europea edalla contestuale contrazione deiconsumi. Nella nostra zona è sta-ta raggiunta, per la prima volta, laproduzione record di 430milaquintali di mele; la qualità maggior-mente coltivata è la Golden Deli-cious mentre la seconda, ed an-che in questo caso per la primavolta, è la Granny Smith. Doven-do tradurre le aspettative del mer-cato queste varietà sono tipologiedi prodotto da dimezzare rispettoalle quantità attualmente prodottedirottando la produzione su pro-dotti quali la mela Gala o la RedDelicious. Queste indicazioni ven-gono ormai ribadite da qualcheanno dalla società, la quale ritieneormai inderogabile, sempre per

    soddisfare le richieste del merca-to, procedere alla sostituzione degliimpianti esistenti facendo riferimen-to alle indicazioni dei tecnici, inca-ricati a seguire la nostra zona diproduzione.

    Tornando a produzione e mer-cato è di rilevante importanza lacommercializzazione del conferito;è sottinteso che il prezzo di vendi-ta viene fissato anche per poter ri-conoscere al socio un prezzo ade-guato per quanto prodotto ed inanni nei quali il prodotto è buonoè più facile. Quando invece il pro-dotto è danneggiato, come que-st’anno, si intrecciano due fattoriormai inscindibili all’interno del-l’organizzazione dell’impresa agri-cola. È opportuno aver sottoscrit-

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    iato adeguate coperture assicurati-ve ed è indispensabile continuaread operare in modo corretto incampagna, anche in presenza di unprodotto danneggiato, per garan-tire qualità a quanto rimasto. I duefattori combinati assieme potran-no dare quelle soddisfazioni eco-nomiche simili a quelle di chi è ri-masto immune dalla grandine ed

    ha conferito un prodotto di quali-tà.

    In sintesi il mercato detta dellecondizioni che vanno recepite, l’al-ternativa è quella di rimanerneesclusi e non riuscire a venderequanto prodotto. Va ricercata laqualità ponendo attenzione allaproduzione in campagna dove èindispensabile adottare quelle nuo-

    ve tecniche che vengono introdot-te. E’ auspicabile pertanto la rapi-da sostituzione degli impianti e lamaggiore attenzione a momentiparticolarmente importanti quali lapotatura ed il dirado; queste azio-ni coordinate fra loro potrannocontribuire a produrre un prodot-to di migliore qualità senza perde-re in quantità.

    Poca uva,ma vini di qualità

    di Lucio Bernardi

    Intervista a Walter Webber, direttore della Cantina sociale di Alde-no, che ripercorre l’estate più piovosa che si ricordi. Giudizi positiviper i primi vini 2014 e tanti premi nei concorsi.

    L’estate 2014, la prima a me-moria d’uomo, sarà ricordata perle notevoli precipitazioni che l’han-no accompagnata ed hanno condi-zionato la maturazione dell’uva e lasuccessiva vendemmia. A prodot-to trasformato però, i risultati degliesami di laboratorio, preannuncia-no sorprendentemente un prodot-

    to di ottima qualità.

    Direttore, come è stata lavendemmia 2014?

    Prima di commentare la ven-demmia è opportuno sottolinearel’unicità dell’anno che si sta perconcludere. La stagione si apredopo un inverno durante il quale

    abbiamo avuto temperature parti-colarmente miti e fin dalla primave-ra le precipitazioni hanno accom-pagnato e condizionato la vegeta-zione delle viti. In questo periodosi rilevano inoltre i danni causati daforti venti ed a maggio assistiamoanche ad un’importante grandina-ta. Oltre alle problematiche legateagli eventi atmosferici, a primave-ra, si sono anche manifestate quel-le causate dalla “nottua”, larva del-la falena, ovvero la farfalla nottur-na. I soggetti adulti di nottue, chehanno sviluppo sugli organi aereidelle piante, svernano nel terreno,sotto forma di ninfe ed a primaverainoltrata iniziano lo sfarfallamento ela successiva deposizione di uovasulle pagine inferiori delle foglie, vi-cino ai germogli ed ai fiori. Conqueste premesse inizia, a memoria

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    anche dei più anziani, l’estate piùpiovosa che si ricordi accompagna-ta da poco sole, basse temperatu-re e forti precipitazioni.

    Come si arriva alla raccoltae quanta uva è stata conferita?

    Come detto la stagione condi-ziona la maturazione ed all’iniziodell’estate l’uva prende rapidamen-te forma facendo presagire una rac-colta molto precoce. In seguito, letemperature contenute rallentano lamaturazione ed ai primi di agosto itempi di vendemmia si ipotizzanosimili a quelli del 2013. A settem-bre poi la problematica legata almarciume detta i tempi di vendem-mia e si è costretti ad anticipare laraccolta per evitare danni ben piùgravi. Le condizioni meteorologi-che, in determinate situazioni, fan-no optare per un prodotto menodanneggiato a scapito di una com-pleta maturazione.

    Complessivamente vengonoconferiti 29mila 562 quintali di uvarispetto ai 46mila 279 dello scorsoanno registrando un decrementoassoluto pari al 36,12%. Nel det-taglio la varietà del Pinot grigio pre-senta una diminuzione del 33%, ilMerlot del 34%, la Schiava del44%, il Marzemino del 50% ed ilTraminer del 58%. In tutte le quali-tà sono presenti problemi legati almarciume ad eccezione delle qua-lità più tardive, quali Lagrein, Ca-bernet e Moscati, che soffronomeno per questa problematica. Perquanto riguarda la qualità del Mül-ler si registra il dimezzamento delconferito ma quello prodotto in

    collina presenta una maggiore qua-lità. A vendemmia ultimata il gradozuccherino “medio cantina” è infe-riore rispetto a quello dello scorsoanno di circa 1,5 gradi Babo.

    Con uve così guaste quantoè stata problematica la trasfor-mazione in vino?

    Prima di parlare della trasforma-zione è doveroso ringraziare i sociper l’ottimo lavoro di selezione ese-guito al momento della vendemmia.Oltre all’abituale cura dei grappoliin corso di maturazione i soci hannodovuto affrontare, al momento dellaraccolta, anche l’impegnativo lavo-ro di selezione cernendo la partesana dell’uva da quella guasta. Que-sto impegno è stato fondamentaleper il lavoro che si è successivamentesvolto in cantina, dove da parte no-stra, sono state gestite in manieraprecisa le fasi che vanno dal confe-rimento alla fermentazione. Coordi-nare e prestare attenzione al susse-guirsi della trasformazione ha per-messo di ottenere dei vini che, daiprimi esami di laboratorio ed allo sta-to attuale, risultano avere delle pro-prietà migliori di quanto ottenuto loscorso anno. Se ne può dedurre che,rispetto al 2013, la parte sana del-l’uva conferita, anche se inferiore intermini di quantità, ha garantito mag-giore qualità. Quanto affermato tro-va anche conferma da alcuni grandiclienti che hanno espresso giudizipositivi su più campioni di prodottodella stessa qualità.

    Con queste premesse conti-nua l’impegno per migliorare la

    qualità dei vini prodotti?Come noto la nostra cantina ha

    in corso i “progetti qualità” che pre-vedono degli standard ben definitiad iniziare dal lavoro in campagnaed a seguire in cantina. Questi pro-getti hanno permesso di raggiungerelusinghiere soddisfazioni nel corsodel 2014 raccogliendo i frutti di uncostante lavoro iniziato parecchianni or sono. Per citare i più presti-giosi quest’anno abbiamo ottenutol’oro qui ad Aldeno al concorso diMondo Merlot, per il secondo annoconsecutivo l’oro con il vino SanZeno al concorso internazionale“Emozioni nel mondo”, la Confra-ternita della Vite e del Vino ci hainsigniti del miglior Trento Doc conlo spumante Altinum Brut ed al con-corso internazionale dei vini di Vien-na, a fronte di 9 vini presentati, ab-biamo ottenuto 7 riconoscimenticon un oro, quattro argenti e duediplomi. Continueremo pertanto asviluppare i progetti intrapresi perlo Chardonnay (eccellente per labase spumante e per il vino), ilMerlot, il Lagrein ed il Castel Be-seno. Stiamo progettando anche losviluppo del progetto sulla qualitàdel Cabernet per garantire ulterio-re affinamento del nostro San Zeno.

    In conclusione si può affermareche gli standard di qualità raggiuntidalla nostra cantina sono buoni evengono confermati dai numerosiriconoscimenti ottenuti ai vari con-corsi. Questo ci sprona ad investi-re ulteriormente nella ricerca di unamigliore qualità per portare sul mer-cato un prodotto sempre più ap-prezzato.

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    Tre Merlottrentini premiati

    di Damiano Dallago

    MondoMerlot 2014, alla quindicesima edizione, si conferma mani-festazione di risalto nazionale ed ha portato, nel tempo, ad una cre-scita di qualità delle aziende trentine.

    Si è conclusa domenica sera,26 ottobre, l’edizione 2014 diquesta rassegna che, unica a oc-cuparsi di Merlot, ha portato Al-deno alla ribalta nazionale del pa-norama enovinicolo grazie ancheai grandi media (Il Sole 24 Ore,Italia a Tavola, Il Giornale, Civiltàdel bere, Rai 3 Nazionale, per ci-tarne solo alcuni) che oltre a stam-pa e radio/tv locali hanno parlatodell’evento.

    La manifestazione, va dettosubito, si è confermata un formatvincente e nonostante i suoi quin-dici anni - fra un po’ sarà maggio-renne - è stata ancora una voltaun grande successo di critica epubblico.

    Molto affollato il teatro comu-nale di Aldeno nella tre giorni diMostra dei Merlot nazionali e as-solutamente “sold out” da giorni idue eventi principe: a Palazzo

    Geremia di Trento con la premia-zione e degustazione dei vini vin-citori il 12° Concorso nazionaleMerlot d’Italia (100 presenti insala ad ascoltare la conduzione delvolto di Rai e Sky Adua Villa e deldirettore di “Civiltà del bere” Ales-sandro Torcoli) e a Palazzo Pio-marta di Rovereto con una degu-stazione su vini nazionali e inter-nazionali dal titolo Il Merlot nelmondo (80 presenti alla conduzio-ne di Barbara Tamburini e Anto-nio Garofolin coordinati dal pro-fessor Francesco Spagnolli).

    Grande riscontro di pubblicoanche per le degustazioni sui Mer-lot francesi curata da Ais Trenti-no, per quelle organizzate alla Can-E

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    Walter Webber, direttore della Cantina Aldeno, durante la premiazione.

    Nereo Pederzolli intervista Sebastiano Cont.

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    tina Aldeno sul bordolese SanZeno e sull’abbinamento Merlot/Trentingrana e per tutti gli altrieventi collaterali della rassegna.

    Ancora numeri da record peril Baccanale e la Cucina d’Autorecurata mirabilmente anche in que-sta edizione dal giovanissimo epreparatissimo Sebastiano Cont,collaboratore dello chef stellatoAlfio Ghezzi.

    La cosa che poi ha caratteriz-zato particolarmente questa edi-zione è stato il risultato del 12°Concorso nazionale che quest’an-no ha potuto premiare ben treaziende trentine (Cantina Aldeno,Cavit, Cantina Mori Colli Zugna)sulle dodici salite sul podio dellemigliori.

    È questo motivo di grande sod-disfazione da parte degli organiz-zatori che hanno sempre credutonello spirito propositivo di Mon-doMerlot come mezzo efficace diconfronto per aumentare la quali-tà produttiva delle aziende vinico-le trentine.

    In questo senso vanno letti idati dei punteggi medi che le no-stre aziende hanno ottenuto neiprimi anni della manifestazione -78-79/100 - contro gli 84-85/100delle ultime edizioni.

    Una crescita notevole e quasiimpensabile per i nostri Merlot!

    Un traguardo, questo, raggiun-to grazie anche ad un’attenta zo-nazione applicata sul campo perseguire le linee guida del progettoqualità adottato da qualche anno

    dai viticoltori trentini.Possiamo quindi degustare de-

    gli ottimi Merlot trentini che purnon raggiungendo i parametri al-colici dei toscani o dei siciliani rie-scono però ad affermarsi sul mer-cato per la loro caratteristica or-ganolettica tipica del nostro terri-torio.

    Come dire che ad una buonasemina segue quasi sempre unbuon raccolto. Alla prossima edi-zione!

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    Foto di gruppo per i vincitori del Concorso nazionale Merlot d’Italia.

    Presenze da record al Baccanale.

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    La Famiglia Cooperativa di Aldeno e Mattarello vive la fase diffici-le della recensione dei consumi chiudendo il 2014 in segno meno.Per il 2015 operazione ascolto con i soci e la speranza di far tornareil bilancio in positivo.

    Obiettivo pareggionel 2015

    di Mattia Frizzera

    Luciano Maistri.

    Da L’Arione di giugno Lucia-no Maistri, presidente Fcam, hascritto una lettera a tutti i presidentie direttori di Sait ed in novembreè andato a fare un trekking in Ne-pal sostenendo l’associazione“Ciao namaste”. La distanza traNepal e Italia c’è anche fra Sait eDao, i due consorzi cooperativitrentini, anche se una ha sede aSpini di Gardolo e l’altra a Lavis.Maistri prova a fare da mediatoretra le due realtà, vedendo se èpossibile con una sinergia fare ilbene delle Famiglie Cooperative.

    Sembra un discorso presomolto da lontano, ma il concettoriassunto semplicemente è questo:molte Famiglie Cooperative, Alde-no e Mattarello compresa, hannobisogno di controlli di gestione in-terni per migliorare la propria per-formance economica, ma per po-ter proporre prezzi e condizioni piùcompetitive c’è bisogno che simuova qualcosa a livello di con-sorzio di secondo livello. QuindiSait.

    Tornando ad Aldeno «i datiaggregati mostrano che stiamoperdendo un po’ meno (tra il -3ed il -4%) – spiega Maistri – della

    media delle cooperative provinciali(-5/-6%)». Contrazione dei ricaviche non si concentra soprattuttoin una tipologia merceologica, maè generalizzata. A settembre è statochiuso il punto vendita di via Flo-rida ad Aldeno; i ricavi sono statiassorbiti dal punto vendita princi-pale. Ma l’aspetto che segna unadiscontinuità con il passato è il fattoche questa chiusura ha comporta-to la perdita di un posto di lavoro,aspetto abbastanza raro pensan-do che si ha a che fare con unacooperativa. «Abbiamo fatto unascelta commerciale. Il negozio erain perdita e ci sono stati due mesidi chiusura temporanea (luglio eagosto) per capire il sentore».

    Non si è riusciti a ricollocare lapersona che lavorava in via Flori-da, ma Maistri sottolinea che co-munque non bisogna dimenticarel’aspetto sociale «considerando adesempio che nei punti vendita diRomagnano e Vela non si ragionadi possibili chiusure, proprio per ilservizio che svolgono come unicipunti vendita in quelle comunità».

    I due negozi più concorrenzialirimangono quindi quelli di Matta-rello e Aldeno. «A Mattarello

    l’aspettativa era quella di poter fareun risultato migliore, potendo ave-re un piccolo rimbalzo dopo i la-vori di sistemazione». Ora per il2015 l’auspicio è quello, anchebeneficiando della chiusura delsecondo punto vendita di Aldeno,di riuscire a tornare a chiudere azero. «Continuiamo a tenere altala guardia – spiega Maistri – conmassimo controllo sui punti criti-ci».

    Con il cda del 10 dicembre èpartita ufficialmente l’operazioneascolto nei confronti dei soci, checulminerà a marzo con la distribu-zione di un questionario. A mag-gio poi in assemblea si provvede-rà all’elezione di due nuovi consi-glieri della zona di Mattarello e unodi quella di Aldeno.

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    E’ ancora Nataletu vieni per noi

    fatto bambino a morire di nuovosu legni incrociati, ed un soffio di vita

    riscalda già il cuoredell’uomo che aspetta

    dell’uomo che cerca...speranza ed amore.

    (rit.) Non c’è la capannasi è persa nel tempo

    la gente ora ha freddo di fuori e di dentroha missili atomici e bombe al neutrone, nascoste dovunque

    in ogni nazionein mano al potente cieco

    sordo e incoscientela vita dell’uomo è meno di niente....

    Miseria e doloreintorno e dovunque

    ma viene da sempre Natalecomunque

    odioviolenza e sopraffazionecon l’uomo più debole

    con l’uomo che muore..ma sempre ritorniBambino Gesùa darci la luce

    per un Natale in più..

    (rit)..Non c’è la capanna ecc.

    Un testo scritto 30 anni fa da Bruno Coveli e musicato dal MaestroArmando Franceschini. È stata cantata per qualche anno in chiesae poi è finita nel dimenticatoio.

    Canzoneper Natale

    di Bruno Coveli

    L’an

    golo

    del

    la p

    oesi

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    La ceséta de Postàldi Alberto Lucianer

    Alberto Lucianer, figlio di Silvio e Amelia Zanotti, scrisse questapoesia all’inizio degli anni Cinquanta, quando aveva circa 12 anni.La maestra Camilla Gottardi la lesse e ne fu tanto colpita da farlaimparare a memoria a tutti i suoi alunni, nei lunghissimi anni diinsegnamento alle scuole elementari di Aldeno. Per esaudire il suodesiderio, espresso poco prima di morire, di rendere ancor più pub-blica questa poesia così amata, ora essa – nella sua bella cornicerossa – si trova nell’unico luogo in cui può trovarsi a casa: ‘n te laceséta de Postàl.

    Ceséta che te stai su ‘n te ‘na ròciae te ciàpi le brume del Bondóm,

    te pari propri ‘n fiorelìn che sbòcia‘ntra Garniga, le Pale e lì Zimóm.

    Te vardàva, da pìcol, cói ocióni,da là zó ‘n mèz al spiazàl de la césao vizìn a la banca, ‘ndó che i nòni

    i ciacolàva e i tiréva ‘na presa.

    Ma i tempi i è cambiài, da adès a alóra,no interesa pù nanca la ferata.

    Còsa digo: far i mili a l’óral’è come nar per spàresi e salata.

    Ma la césa che sta su ‘n te ‘na ròciano la cambia né de dentro né so fòr:

    per mi la sarà sempre ‘n fiór che sbòciae che resta zó ‘n fónt en té ‘l me còr.

    L’an

    golo

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    La storia di Nando Molinari e Uber Friz, spediti da Garniga sulfronte russo. A “Incontri con l’autore” la Grande Guerra e l’espe-rienza pionieristica di Renzo Francescotti con questo tema.

    Dal Rio Bondoneal Volga

    di Mattia Frizzera

    Renzo Francescotti con “Ta-lianski” prima e con “La luna an-nega nel Volga” poi si è dedicatoquasi trent’anni fa al tema dei tren-tini prigionieri in Russia durante laGrande Guerra. Quando ancora lavicenda era sconosciuta, o coper-ta da successive strumentalizzazio-ni della storia. La ricerca, il dialo-go con quei reduci che allora ave-vano fra gli 84 ed i 92 anni, fu unapreziosa documentazione che ven-ne poi ripresa anche in uno sce-neggiato radiofonico. «Anche altriscrittori – dice scherzando Fran-cescotti – hanno anche “saccheg-giato” dai miei libri».

    La prima edizione de “La lunaannega nel Volga” è datata 1987,quando ancora il mondo si divi-deva in due grandi blocchi con-trapposti. Giovedì 4 dicembre, suinvito dell’assessorato alla culturadel Comune di Aldeno, France-scotti in sala consigliare ha presen-tato di fronte a 50 persone moltointeressate la ristampa del libro,edita da Curcu e Genovese.

    «Ricordo di un anziano dellaBassa Valsugana – spiega Fran-cescotti – che respirava con affan-no grazie all’aiuto di una bombolad’ossigeno. Mi ha parlato per

    un’ora ininterrottamente finché nonaveva più fiato». Un racconto tut-to d’un fiato per cercare di rispon-dere ad una domanda: su 40milatrentini in guerra come mai ben15mila si sono dati quasi immedia-tamente prigionieri? «La spiega-

    zione di regime era quella che vo-lessero protestare contro l’Au-stria-Ungheria – chiarisce France-scotti – invece la spiegazione rea-le era il fatto che i trentini voleva-no concludere prima possibile laloro esperienza in guerra».

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    Renzo Francescotti con la ristampa del suo libro.

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    Così come avviene per NandoMolinari e Uber Friz, protagonistimaschili del libro di Francescotti,assieme a Tanya, russa che cono-scono durante la loro esperienzada prigionieri in una fattoria.

    Nando e Uber si consegnanoquasi immediatamente ai russi, al-zando bandiera bianca in una bucanel campo di battaglia. Non c’èideologia o partigianeria: i due sisentono italiani e spesso ricorda-no le loro bravate nel paese nati-vo di Garniga, ma allo stesso tem-po sono cresciuti nella fedeltà al-l’Imperatore Francesco Giusep-pe, sotto il quale in Trentino re-gnava pace da 50 anni.

    Arrigo Dalfovo e Chiara Turri-ni del Gruppo Neruda hanno lettodiversi brani del libro: dall’incipitcon gli amici Nando e Uber cheraccontano la loro vita di paese a

    Garniga, fino all’incontro con Tan-ya ed Irina in prigionia. Nando siinnamorerà di Tanya, avrà un fi-glio da lei, ma poi tornerà a Gar-

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    niga a sposare la sua Emma. Laprigionia russa non è così truce,mentre lo è certamente di più quel-la dopo la fine del conflitto all’Asi-nara. Nell’isola sarda infatti Nan-do e Uber vengono spediti al ri-torno a casa, assieme ad altri pri-gionieri del conflitto. Una scenatoccante è il passaggio in treno deidue sotto a Garniga, l’occhiata alcampanile della chiesa e... il trenoche non si ferma. Non si ferma aTrento, ma prosegue fino a Civi-tavecchia. Nando e Uber passe-ranno il Natale del 1918 in traghet-to verso una nuova, immeritata,prigionia.

    Francescotti è anche andato aconoscere delle esperienze di don-ne russe sposate con prigionieritrentini. Donne, spesso infelici, chesono venute a vivere in Trentinocon i loro uomini ed hanno vissutocondizioni di miseria.Renzo Francescotti e Mattia Frizzera alla presentazione de “La luna annega nel Volga”.

    Qualche dedica ai fedelissimi di Francescotti.

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    Un libro di Sandra Tafner che racconta la vita artistica di ArmandoFranceschini e ne intreccia gli sviluppi con la storia della culturamusicale trentina e italiana.

    Sogni di notedi Mattia Maistri

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    Premessa: questo libro non èuna biografia. Quella che SandraTafner racconta nel suo “Sogni dinote” (Edizioni Curcu&Genovese)è, infatti, un viaggio che corre sudue livelli. Il primo è quello perso-nale, che tratteggia la straordinariaparabola di Armando Franceschi-ni, destinato a portare avanti il ne-gozio di famiglia ad Aldeno e finito,invece, grazie al talento e alla vo-lontà, per diventare un artista mu-sicale a tutto tondo. Il secondo, chesi interseca ritmicamente nel primo,è un livello storico, che consente allettore di fare visita ai costumi, ailuoghi e alle persone che hanno in-ciso in modo significativo nel pa-norama culturale trentino e italianodegli ultimi cinquant’anni.

    Il viaggio storico comincia pro-prio ad Aldeno, crocevia di espe-rienze musicali di livello, grazie an-che all’intraprendenza degli sfollatidel periodo bellico, tra cui SilvioBettali, musicista cieco, che conLivio Ober e Francesco Barozzidiede vita al “Trio Bob” e fu pre-senza indispensabile per la nascitadell’orchestra in paese. Ma nellepagine del libro di Tafner si trova-no ulteriori nomi e altrettanti esem-pi della ricca vita artistica aldene-

    se, che costituiscono l’humus per-fetto nel quale ha potuto trovareslancio un talentuoso come Arman-do (mi si conceda la confidenza, daconoscente e compaesano).

    Scorrendo le pagine del testo sivengono così a scoprire i suoi pre-coci passi musicali, condotti grazieai rudimenti insegnatigli da don

    Marco Giuliani e alle lezioni “di se-conda mano” che il fratello Silviogli trasmetteva, dopo averle appreseda Nicola Capuano. Per prosegui-re con il primo grande amore musi-cale, ovvero la fisarmonica, e leimpegnative lezioni di GiuseppeOss che lo iniziò, quasi per gioco,alla passione per la composizione.

    Armando Franceschini

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    “Violenta come un rock” fu unadelle prime canzoni di Armando,segno dei tempi e del temperamen-to giovanile che l’arte riusciva a fil-trare dal bailamme adolescenzialealla disperata ricerca di un senso o,più semplicemente, di uno sbocco.E lo sbocco non fu univoco, bensìpoliedrico: fisarmonica, pianofortee chitarra che lo accompagnaronoa vincere nel 1963 la selezione tren-tina del concorso “Voci nuove peril Clan” voluto da Celentano, (unasorta di talent-show ante litteram),oppure a suonare nelle band checominciavano a punteggiare il Tren-tino (I Dollari, I Delfini, gli Orphe-

    on) e vivacizzavano i locali dellaprovincia, oppure ad avvicinarsi adalcuni dei “grandi” della musica,come Renato Carosone o GiorgioGaber, conosciuti a Milano graziea Peppino Vaccari, padrone dellacasa dove alloggiava il fratello Sil-vio, studente alla Bocconi.

    Diventa difficile rendere conto ditutti i passaggi che portarono Ar-mando a passare dal ragazzo dota-to, che aiutava i genitori in negozio,all’arrangiatore indiscusso che col-laborava a trecentosessanta gradicon i grandi cantautori italiani (Dal-la, Ron, Bindi su tutti); o dall’appas-sionato e fine ricercatore di musica

    antica, al compositore di colonnesonore per il cinema; o ancora, dalgenio dell’arrangiamento negli spet-tacoli televisivi del sabato sera neiruggenti anni Ottanta della televisio-ne commerciale, al direttore del Con-servatorio “Bonporti” di Trento. Tut-to questo, musicalmente e profes-sionalmente, è stato ed è ArmandoFranceschini. E le pagine del libro diSandra Tafner consentono di gode-re di una ricca serie di aneddoti (imigliori, a mio avviso, quelli che han-no Lucio Dalla come protagonista)che disegnano i tratti di una perso-nalità vivace, mai stanca, che trasu-da, pagina dopo pagina, di quel-l’umiltà paesana che, a fine lettura,ci lascia un ritratto di prossimità,come se la storia appena letta riguar-dasse il nostro vicino di casa.

    E in effetti il principale merito dellibro è questo: consegnarci unaconfidenza con il protagonista, al-l’interno di cornici storiche ampie,grazie alla quale ognuno è in gradodi cogliere il filo rosso che uniscel’individuo e la collettività. Dove iritratti familiari a ciascuno di noiassumono una valenza più ampia ela storia si fa più vicina, fino a in-carnarsi al nostro fianco.

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    Armando Franceschini con Sandra Tafner, autrice del libro.

    La presentazione in Sala consiliare del Municipio. Da sx: Danilo Curti, Pres. delConservatorio Bonporti di Trento, Mattia Maistri, Armando Franceschini, Sandra Taf-ner e l’Ass. alla cultura Alida Cramerotti.

    Con il cardiologo, ex Maestro della Banda, Michele Dallago.

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    Le impresedi Fabio Stedile

    di Riccardo Decarli

    Le avventure dell’alpinista di Aldeno dall’Europa fino al Sud Ame-rica. La Bibliioteca della montagna Sat custodirà per il pubblico ilpatrimonio documentale raccolto da Stedile: diapositive, negativi epellicole.

    Quest’anno ricorrono ivent’anni dalla scomparsa di FabioStedile, un lasso di tempo sufficienteper tentare un bilancio dell’attivitàalpinistica e, soprattutto, del ruolodi Stedile nella lunga ed affascinan-te storia dell’alpinismo trentino enon solo.

    Scorrendo l’attività di Fabioemerge subito un dato: l’ampiezzadell’ambito geografico e la diversitàdei “terreni di gioco”. Se inizialmen-te le Prealpi Trentine (Valle del Sar-ca: “Via Similaun” con Angelo Gio-vanetti sulle Placche Zebrate nel1982) e le Dolomiti (prima ripetizio-ne della severa “Via acquario” alPilastro nord di Cima Tosa, nel1994) sono state la sua palestra, conripetizioni di notevole difficoltà, Fa-bio ben presto ha allargato l’orizzon-te a Verdon e Calanques, il paradi-so dell’arrampicata libera; ma ancheil severo Monte Bianco, dove l’al-pinismo prende l’iniziale maiuscola;conosce pure le semisconosciute(all’epoca) Torri di Arenaria in Ce-coslovacchia, strutture dove lo sca-latore si deve confrontare con pre-cari sistemi di protezione su altissi-me difficoltà. Dunque Fabio era unalpinista completo su ogni terreno:

    alta montagna, ghiaccio, ascensionidolomitiche e su granito, arrampi-cata sportiva. Non solo. Di Fabiova sottolineata anche la precocità,fin da giovane mostra le sue qualitàe, non a caso, a soli vent’anni di-venta guida alpina.

    Dunque alpinista completo eprecoce, ma è giunto il momentoper introdurre un altro aggettivo:curioso. Infatti nel 1983 compie unlungo viaggio negli USA, arrampi-

    cando in Colorado, Wyoming, Utahe California. Tra agosto e ottobredel 1984, compie un primo tentati-vo di salita sul Makalù (8463 m),lungo la cresta sud-est, con la Spe-dizione “Città di Trento”, guidata daAlmo Giambisi, con Carlo Claus,Sergio Martini, Tone Valeruz, Fran-cesco Mich, Maurizio Giarolli, Er-manno Salvaterra, Fausto De Ste-fani, Italo Nardi e Michele DallaPalma. La spedizione non raggiun-

    La serata in ricordo di Fabio, in teatro. Da sx gli alpinisti Ermanno Salvaterra, AlmoGiambisi e Fausto De Stefani P

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    ge la cima (Stedile arriva a quota7400, Martini e De Stefani a quasi8000 m), ma mentre stanno per ri-nunciare a causa del fortissimo ven-to, una cordata spagnola chiedeloro aiuto: il canadese Mario Bla-sevich da giorni non dà più notizie.Stedile, Giarolli e Salvaterra lo cer-cano sulla grande montagna, tro-vandolo infine a settemila metri, incondizioni disperate; riescono aportarlo al campo base salvandoglila vita. Nel 1985 Stedile ha di nuo-vo nel mirino il Makalù. La spedi-zione “Project 85”, composta daAlmo Giambisi, Fausto De Stefanie Fabio Stedile, con capo spedi-zione Sergio Martini, raggiunge lavetta il 1° ottobre, assieme all’alpi-nista spagnolo Juanjo San Seba-stian. Si tratta della prima salita ita-liana, compiuta da una spedizioneleggera, in stile alpino, senza spon-sor e senza utilizzo di ossigeno sup-plementare. Nell’autunno del 1986è in Patagonia, dove è atteso daCesarino Fava. Armando Aste gliha suggerito l’obiettivo e il 2 no-vembre, dopo otto giorni in pare-te, assieme ai colleghi poliziotti Ma-rio Manica e Fabrizio Defrancescoè in cima alla Torre Centrale delPaine, dopo aver percorso unanuova via “Rosso di sera” (dedi-cata a Renzo e Giorgio Novella)sugli 800 metri della parete ovest,con difficoltà fino al 7° e A3.

    Nel 1987 Stedile e FabrizioDefrancesco sono in Nordamericacon una spedizione leggera(“Rockies Mountain 87”). I dueatterrano a Los Angeles e su unvecchio furgone percorrono la co-

    sta del Pacifico verso nord (Cali-fornia, Oregon, Washington e Ca-nada). Sulle Montagne Rocciosecanadesi ripetono alcuni itinerarisulle pareti granitiche del Bugabooe Snowpatch, ma l’impresa di mag-giore rilievo avviene a fine luglio, conla salita di una nuova cima nel grup-po del Bugaboo. Dopo tre giornidi arrampicata i due sono sulla vet-ta di un pilastro alto 3300 metri, sulversante sud-ovest delle Howser’sTowers, battezzato “Italian Pillar”e dedicato a Oscar Luigi Scalfaro,ex ministro degli interni. La via pre-senta difficoltà di 7° e A3-A4 suuno sviluppo di 750 metri. Dopo lanotevole ascensione Stedile e De-francesco proseguono il loro viag-gio verso sud e a Yosemite salgono“The Nose” sul celebre El Capi-tan. Il racconto della spedizione vie-ne pubblicato in un lungo articolosu Alp.

    Nell’autunno del 1990 torna inHimalaya, questa volta con OscarPiazza, Angelo Giovanetti e Fran-cesco Mich (che rientra anticipa-tamente in Italia per un’infiamma-zione dentale); l’obiettivo è il ChoOyu (8201 m), da salire lungo ilversante tibetano in stile alpino.Questa volta la fortuna non assistei trentini, che arrivano a 300 metridalla cima. Le rinunce fanno partedell’alpinismo e la forza dell’alpini-sta si misura anche nella capacitàdi superare questi momenti ripar-tendo con nuovi obiettivi. Stedile,Giovanetti e Piazza, con RenatoLorenzi, si ritrovano assieme nel1992 con un ambizioso program-ma: “American Summit ’92", che

    intende salire prestigiose cime ame-ricane, come il McKinley lungo lavia “Orient Express” (giungono invetta e aiutano a recuperare il po-vero Gianni Calcagno). In Patago-nia Stedile e Piazza tentano la Su-percanaleta al Fitz Roy, rinuncian-do per l’eccessivo innevamento eil maltempo; ripiegano così sul Pai-ne dove compiono la traversata in-tegrale del gruppo. Infine i due ten-tano l’Aconcagua, ma rinunciano acausa di un problema tecnico e ri-piegano su altre cime come il Cer-ro Penitentes (nuova via).

    La curiosità di Stedile, unita allagrande passione per gli sport all’ariaaperta, lo spinge ad avventure sin-golari, come il volo a vela o comequando, con Gianfranco Defrance-sco, partecipa alle selezioni in Co-sta d’Avorio per il primo CamelTrophy Italia; Stedile riesce a pas-sare la selezione per il CamelTrophy International e supera pureil programma di prove in Inghilter-ra, ma per poco gli sfugge il sognodi partecipare alla prova finale inBorneo.

    Nel marzo del 1988 è di nuovopronto per una nuova avventura,questa volta sulle nevi francesi: conuna squadra di Campiglio compo-sta da Egidio Bonapace, MaurizioDellantonio, Luca Leonardi e Olin-do Cozzio partecipa al 3° RaidBlanc - organizzato da Thierry Sa-bine, lo stesso della Paris-Dakar -, cogliendo un prestigioso quartoposto. Lo spirito del raid è di met-tere assieme squadre di cinque ele-menti: due professionisti, una guidaalpina e due amatori e fargli com-P

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  • 37L ’

    ARIONE

    piere un massacrante itinerario dicirca una settimana con qualcosacome trentamila metri di dislivello.

    L’anno dopo la squadra sale sulgradino più alto del podio, ma mo-tivi poco chiari viene retrocessa alsecondo posto. Dal gelo della nevedelle Alpi Occidentali al caldo umi-do della foresta pluviale, nel 1989Stedile attraversa la foresta Amaz-zonica in mountain bike (“Trans-Amazonas bike expedition”), per-correndo ben 2500 km.

    Un’attività multiforme, che for-se potrebbe sembrare un po’ di-spersiva, infatti se si fosse dedicatoesclusivamente ad una unica disci-plina, probabilmente sarebbe arri-vato facilmente ai vertici assoluti.Ma questo non faceva parte del suocarattere generoso, spesso impe-gnato anche in progetti per avvici-nare i giovani alla montagna. Oggiquei ragazzi sono adulti e molti ser-bano con commozione gli insegna-menti di Fabio, tanto che in occa-sione del ventennale non pochi chie-dono di saperne di più su quellaguida alpina che amava ripetere:“La montagna non si vince, quel-lo che l’uomo può tentare di fareè capirla, la sua vera vittoria ècapirla”.

    L’ultimo aspetto che merita diessere ricordato è proprio la suacapacità innovativa all’interno delmondo, talvolta conservatore, del-le guide alpine. Fabio credeva checoinvolgendo il mondo del turismo(le Apt, ad esempio) e della scuo-la, modernizzando l’approccio dellaguida al cliente ci sarebbe stato unfuturo per le guide. A vent’anni di

    distanza