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Rilievi sull’ecclesiologia di Calvino PIETRO BOLOGNESI Le due grandi questioni che travagliavano le persone nel ‘500 erano fondamentalmente due. La prima era: “come posso trovare pace con Dio?” , la seconda: “qual è la vera chiesa?”. Una aveva un profilo individuale, l’altra, uno comunitario. Mentre in ambito protestante la prima questione ha avuto sostanzialmente una risposta unitaria, la seconda ha registrato una risposta diversificata. In campo protestante la dottrina della chiesa è rimasta un campo aperto. Capire pregi e difetti delle ecclesiologie esistenti, può contribuire a rinnovare la riflessione in un campo così delicato. Anche se non mancano studi sull’ecclesiologia di Calvino, molti di essi si concentrano sull’origine (l’elezione divina), sull’organizzazione (ministeri, predicazione, culto), sugli ordinamenti (la disciplina ecclesiastica), sui rapporti con lo stato. Lo studio delle linee ecclesiologiche di fondo rimangono un po’ nell’ombra. Quasi vi fosse una sorta di pudore nell’a ffrontare le questioni più profonde in rapporto alla dottrina della chiesa. Tale pudore potrebbe derivare dal fatto ch’è difficile, dopo aver seguito lo sviluppo del pensiero di Calvino con la crescente persuasione della sua integrale adesione all’autorità della Scrittura, cominciare a dubitarne sulla dottrina della chiesa. Si potrebbe, infatti, pensare che vista l’usuale coerenza teologica della riflessione sia abbastanza improbabile che Calvino scivoli su certi temi ecclesiologici e questo indebolisce l’analisi e il discernimento. Con questo contributo si vorrebbe tentare di fare alcuni rilievi sulle questioni di fondo della dottrina calviniana della chiesa. La loro comprensione può servire a rimettere in moto la riflessione e, caso mai, offrire spunti in grado di far fronte in modo più fecondo a certi fermenti che ancora attraversano le chiese protestanti. Tutto questo non elimina del tutto un’oggettiva titubanza. Siccome l’insieme del pensiero riformato rimane una piattaforma insostituibile per ogni teologia che si rispetti, è oggettivamente faticoso pensare in termini radicali. Si tratta però d’ una sfida che dev’essere colta visto che l’unica autorità per il lavoro teologico rimane l’insegnamento biblico. Per semplicità didattica vale la pena mettere a fuoco quattro nodi. Essi sono evidentemente interconnessi, ma può essere utile analizzarli separatamente. 1. La struttura bipolare: invisibile e visibile Una prima caratteristica della concezione della chiesa da parte di Calvino è la distinzione tra invisibile e visibile. Da un lato c’è la chiesa davanti a Dio che include solo i figli di Dio, dall’altro c’è una moltitudine di uomini che comprende “buoni” e “ipocriti”. Da un lato c’è la chiesa invisibile fatta dei veri credenti e dall’altro quella visibile che include anche dei non credenti. Per cominciare è quindi opportuno interrogarsi sulla legittimità di questa categoria concettuale per l’ecclesiologia. Calvino si esprime molto chiaramente. “Abbiamo notato infatti c he la sacra Scrittura parla della Chiesa in duplice modo. A volte il termine indica la Chiesa quale essa è nella sua realtà dinanzi a Dio, in cui sono inclusi soltanto coloro che per grazia di adozione sono figli di Dio e, mediante la santificazione dello Spirito, sono veramente membra di Gesù Cristo. In tal caso non solo fa allusione ai santi che abitano in terra, ma a tutti gli eletti che hanno vissuto sin dall'inizio del mondo. Spesso invece col nome di Chiesa è indicata la moltitudine degli uomini che, sparsa in diverse parti del mondo, fa professione comune di amare Dio e Gesù Cristo, ha il battesimo come attestazione di fede, e partecipando alla Cena dichiara avere unità nella dottrina e nella carità, dà il suo assenso alla Parola di Dio e ne vuole mantenere la predicazione secondo il comandamento di Gesù Cristo. In questa Chiesa parecchi sono gli ipocriti frammisti ai buoni che non hanno nulla di Gesù Cristo fuorché il nome e l'apparenza, ambiziosi gli uni, avari gli altri, maldicenti alcuni, dissoluti altri, tollerati per un certo tempo sia perché non si possono

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Page 1: Rilievi sull’ecclesiologia di Calvino - ifeditalia.org · Rilievi sull’ecclesiologia di Calvino PIETRO BOLOGNESI Le due grandi questioni che travagliavano le persone nel ‘500

Rilievi sull’ecclesiologia di Calvino

PIETRO BOLOGNESI

Le due grandi questioni che travagliavano le persone nel ‘500 erano fondamentalmente due. La prima era: “come posso trovare pace con Dio?”, la seconda: “qual è la vera chiesa?”. Una

aveva un profilo individuale, l’altra, uno comunitario. Mentre in ambito protestante la prima questione ha avuto sostanzialmente una risposta unitaria, la seconda ha registrato una risposta

diversificata. In campo protestante la dottrina della chiesa è rimasta un campo aperto. Capire pregi e difetti delle ecclesiologie esistenti, può contribuire a rinnovare la riflessione in un campo così delicato.

Anche se non mancano studi sull’ecclesiologia di Calvino, molti di essi si concentrano sull’origine (l’elezione divina), sull’organizzazione (ministeri, predicazione, culto), sugli

ordinamenti (la disciplina ecclesiastica), sui rapporti con lo stato. Lo studio delle linee ecclesiologiche di fondo rimangono un po’ nell’ombra. Quasi vi fosse una sorta di pudore nell’affrontare le questioni più profonde in rapporto alla dottrina della chiesa. Tale pudore

potrebbe derivare dal fatto ch’è difficile, dopo aver seguito lo sviluppo del pensiero di Calvino con la crescente persuasione della sua integrale adesione all’autorità della Scrittura,

cominciare a dubitarne sulla dottrina della chiesa. Si potrebbe, infatti, pensare che vista l’usuale coerenza teologica della riflessione sia abbastanza improbabile che Calvino scivoli su certi temi ecclesiologici e questo indebolisce l’analisi e il discernimento.

Con questo contributo si vorrebbe tentare di fare alcuni rilievi sulle questioni di fondo della dottrina calviniana della chiesa. La loro comprensione può servire a rimettere in moto la riflessione e, caso mai, offrire spunti in grado di far fronte in modo più fecondo a certi

fermenti che ancora attraversano le chiese protestanti. Tutto questo non elimina del tutto un’oggettiva titubanza. Siccome l’insieme del pensiero riformato rimane una piattaforma

insostituibile per ogni teologia che si rispetti, è oggettivamente faticoso pensare in termini radicali. Si tratta però d’una sfida che dev’essere colta visto che l’unica autorità per il lavoro teologico rimane l’insegnamento biblico. Per semplicità didattica vale la pena mettere a fuoco

quattro nodi. Essi sono evidentemente interconnessi, ma può essere utile analizzarli separatamente.

1. La struttura bipolare: invisibile e visibile

Una prima caratteristica della concezione della chiesa da parte di Calvino è la distinzione tra invisibile e visibile. Da un lato c’è la chiesa davanti a Dio che include solo i figli di Dio,

dall’altro c’è una moltitudine di uomini che comprende “buoni” e “ipocriti”. Da un lato c’è la chiesa invisibile fatta dei veri credenti e dall’altro quella visibile che include anche dei non

credenti. Per cominciare è quindi opportuno interrogarsi sulla legittimità di questa categoria concettuale per l’ecclesiologia.

Calvino si esprime molto chiaramente. “Abbiamo notato infatti che la sacra Scrittura

parla della Chiesa in duplice modo. A volte il termine indica la Chiesa quale essa è nella sua realtà dinanzi a Dio, in cui sono inclusi soltanto coloro che per grazia di adozione sono figli di

Dio e, mediante la santificazione dello Spirito, sono veramente membra di Gesù Cristo. In tal caso non solo fa allusione ai santi che abitano in terra, ma a tutti gli eletti che hanno vissuto sin dall'inizio del mondo.

Spesso invece col nome di Chiesa è indicata la moltitudine degli uomini che, sparsa in diverse parti del mondo, fa professione comune di amare Dio e Gesù Cristo, ha il battesimo

come attestazione di fede, e partecipando alla Cena dichiara avere unità nella dottrina e nella carità, dà il suo assenso alla Parola di Dio e ne vuole mantenere la predicazione secondo il comandamento di Gesù Cristo. In questa Chiesa parecchi sono gli ipocriti frammisti ai buoni

che non hanno nulla di Gesù Cristo fuorché il nome e l'apparenza, ambiziosi gli uni, avari gli altri, maldicenti alcuni, dissoluti altri, tollerati per un certo tempo sia perché non si possono

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convertire con provvedimenti giuridici, sia perché la disciplina non è sempre esercitata con la fermezza che sarebbe richiesta. Pure, come è necessario credere quella Chiesa, a noi invisibile

e nota solo a Dio, così ci è chiesto di onorare questa Chiesa visibile e di mantenerci in comunione con essa”1.

Da un punto di vista storico va notato che Calvino parte dall’idea di chiesa invisibile.

Questa nozione gli permette un’elaborazione capace di prendere le distanze dal cattolicesimo romano. L’opposizione alla chiesa di Roma lo avvicina comprensibilmente a Lutero2 e ad altri

riformatori3 che avevano già ipotizzato questi due poli. In questo modo si evita d’identificare

1 « L’Ecriture sainte parle de l’Eglise de deux manières. En utilisant ce terme, elle évoque, parfois, l’Eglise telle

qu’elle est en Vérité, et qui ne comprend que ceux qui, par la grâce de l’adoption, sont enfants de Dieu et, par la

sanctification de son Esprit, sont de vrais membres de Jésus -Christ. Dans ce cas, elle envisage non seulement les

saints qui habitent sur la terre, mais aussi tous les élus depuis le commencement du monde.

Souvent aussi, l’Ecriture évoque, par le nom d’Eglise, la multitude de personnes disséminées partout dans le

monde, qui fait profession d’honorer Dieu et Jésus -Christ, qui atteste de sa foi par le baptême, témoigne de son

unité en matière de doctrine et d’amour, et adhère à la Parole de Dieu, dont elle veut garder la prédication selon

le commandement de Jésus-Christ. Dans cette Eglise se trouvent, mêlés aux autres membres, des hypocrites qui

n’ont rien de Jésus-Christ, sauf le nom et l’apparence : les uns sont ambitieux, les autres avares, d’autres sont

médisants, certains mènent une vie dissolue. Ils sont tolérés pour un temps, ou parce qu’on n’a pas de preuve

pour les condamner, ou parce que la discipline n’est pas toujours ce qu’elle devrait être. Mais de même qu’il

nous faut croire l’Eglise qui est invisible, pour nous, et connue de Dieu seul, de même, il nous est ordonné

d’avoir en honneur cette Eglise visible, et de nous maintenir dans sa communion.” J. CALVIN, Institution de la

religion chrétienne [1559], 2009, IV.1.7, 954-955. Per la traduzione in italiano, salvo diversamente indicato, si

fa riferimento a G. CALVINO, Istituzione della religione cristiana [1559], (a cura di), G. TOURN, Torino, Utet

1971, 21983 (=Ist.). Nell’edizione francese del 1545 si legge: « La saincte Ecriture parle de l’Eglise en deux

sortes. Car aucunes fois en nommant l’Eglise, elle entent seulement celle qui est devant Dieu [Latino del

1543: quae revera est coram Deo. In quella francese del 1560: l’Eglise qui est telle à la vérité.], en laquelle ne

sont comprins sinon ceux qui, par la grâce d’adoption, sont enfans de Dieu, et par la sanctification de son esprit,

sont vrays membres de Iesus Christ.

Souvent (saepe) par le nom d’Eglise elle signifie toute la multitude des hommes, laquelle estant esparse en

diverses régions du monde, fait une mesme profession d’honorer Dieu et Iesus Christ a le baptesme pour

tesmoignage de sa foy, en participant à la Cène, protestent d’avoir unité en doctrine et en charité : et consentante

à la Parole de Dieu, de laquelle elle veut garder la prédication, suyvant le commandement de Iesus Christ. En

ceste Eglise, il y a plusieurs hypocrites meslez avec les bons, qui n’ont rien de Iesus Christ hors que le titre et

l’apparence : (…) lesquels sont tolerez pour un temps (…) des hypocrites qui n’ont rien de JC, sauf le nom et

l’apparence : les uns sont ambitieux, les autres avares, d’autres sont médisants, certains mènent une vie dissolue.

Ils sont tolérés pour un temps, ou parce qu’on a pas de preuve pour les condamner, ou parce que la discipline

n’est pas toujours ce qu’elle devrait être. Pourtant comme il nous est nécessaire de croire l’Eglise invisible à

nous, et cognue à un seul Dieu: aussi il nous est commandé d’avoir ceste Eglise visible en honneur (latino del

1543: quae respectu hominum Ecclesiae dicitur) et de nous maintenir en la communion d’icelle». L’accento

sulla invisibilità della chiesa « società » di « tutti gli eletti » è fortemente accentuata anche nella Instruction et

confession de foy; I.C., Opera Omnia III, Vol 2: Instruction et confession de foy don on use dans l’Eglise de

Genève (1537), Genève, Librairie Droz 2002, p. 61. 2 Legata com’era a molteplici fronti, l’ecclesiologia di Lutero registrò una certa evoluzione. Il progressivo rifiuto

del papa fu anche il rifiuto di un modello di chiesa. Il papa, definito “prete spirituale” (ein geistlicher,

immerlicher priester, Il papato di Roma contro l’illustre romanista di Lipsia [1520], WA 6,305,12) fu

contrapposto a Cristo considerato invece il “prete interiore” della chiesa. Il primo appartiene all’”ordinamento

umano” (WA 6,301,9-10), ma aspira, purtroppo, ad essere un “prete interiore”. Siccome bisogna distinguere una

chiesa gloriosa davanti a Dio e una debole davanti al mondo, una trionfante e una terrestre e combattente ,

l’esclusione dalla chiesa visibile non ha alcuna influenza per l’appartenenza a quella invisibile visto che

quest’ultima è così alta, profonda, nascosta che nessuno può vederla o conoscerla, c fr. MARTIN LUTERO, I concili

e le chiese [1539], a cura di GIUSEPPE FERRARI, Torino, Claudiana 2002; HENRY STROHL, Il pensiero della

Riforma, Bologna, il Mulino 1971, pp. 267-70 (orig., La pensée de la Réforme, Neuchâtel 1951). 3 H. BULLINGER, Décades [1549-1551], ed. Parker Society, Cambridge 1852, vol. IV, 17, aveva stabilito una

distinzione netta tra “la chiesa interiore e invisibile” che viene confessata nel Credo e “la chiesa visibile e

esteriore, .. che gli uomini riconoscono come chiesa attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la partecipazione ai

sacramento e attraverso la confessione pubblica della loro fede”. Sulla sua ecclesiologia , cfr. PETER OPITZ,

Heinrich Bullinger als Theologe. Eine Studien zu den “Dekaden”, Zürich, Theologischer Verlag 2004, pp. 417-

461.

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la chiesa coi limiti delle istituzioni temporali e storiche. Si concorre inoltre a demolire le pretese umane, e quindi l’ambizione della gerarchia cattolica stessa, d’amministrare il divino.

La chiesa si configura quindi più come “corpo mistico” che è oggetto di fede. Secondo alcuni studiosi i due poli dell’ecclesiologia calviniana andrebbero collegati

all’alleanza di grazia e all’alleanza delle opere conclusa da Dio col padre dei credenti

Abramo4. Col passare del tempo si può capire come Calvino abbia sentito la necessità di focalizzare la propria attenzione sulla chiesa visibile. Dopo aver messo l’accento su quella

invisibile bisognava fare i conti con la realtà più prossima. I suoi interlocutori non erano più semplicemente la chiesa di Roma o gli anabattisti, ma i ginevrini, per cui era con questi ultimi che bisognava fare i conti.

La realtà della “chiesa” è sicuramente una realtà complessa. Qualcosa che rimanda all’azione trascendente dello Spirito Santo (Ef 4,4) e a una serie di elementi immanenti

percettibili sul piano empirico. Com’è vero che Dio “non abita in templi fatti da mani d’uomo” (At 17,24), è anche vero che egli abita nel cuore dei credenti (2Cor 6,16; 1Pt 2,5). La chiesa non garantisce quindi l’azione dello Spirito, né ne è necessariamente separata. In

quanto comunione dello Spirito, beneficia di un fecondo intreccio tra dimensione spirituale e dimensione visibile e concreta. Si può quindi capire l’insistenza della Scrittura a far sì che la

chiesa rimanga un popolo di autentici professanti. Viene allora da chiedersi se sia lecito ricevere senza riserve la polarizzazione tra

invisibile e visibile. Dicendo chiesa invisibile e visibile, o celeste e terrestre, o astratta e

concreta si disegna un particolare universo concettuale. Si usano categorie che aprono a troppe problematicità per quanto concerne la dottrina della chiesa. Esse appaiono delle imposizioni pregiudiziali che inibiscono la riflessione anziché mobilitarla. Sembra che anche

Calvino non sia del tutto sereno con categorie come visibilità e invisibilità tant’è vero che tali categorie finiscono per attraversare contemporaneamente sia la chiesa universale che quella

locale. E’ lecito chiedersi se una struttura bipolare come “invisibile – visibile” sia compatibile

con i dati biblici. Da un lato c’è il rischio di fare dipendere lo spirituale e l’invisibile dal

materiale e visibile attraverso la dimensione sacramentale della chiesa (cattolicesimo). Dall’altro c’è quello di fare dipendere il materiale e visibile dallo spirituale e invisibile

(protestantesimo). Ma tale struttura non è suggerita dalla Scrittura che ha semmai altri fuochi. Con la distinzione invisibile - visibile non si rischia solo di stabilire piani diversi nell’opera di Dio, ma si rischia d’introdurre in modo surre ttizio nella realtà visibile qualcosa di meno

ambizioso rispetto alla categoria d’invisibile. Come se fosse lecito modificare o attenuare le esigenze di Dio.

Nella sua preghiera, il Signore Gesù stesso ha voluto che per il suo regno la volontà fatta in cielo fosse fatta anche in terra (Mt 6,10). La chiesa è il processo di questa interpenetrazione tra celeste e terrestre non della loro separazione. C’è una regolare

correlazione tra il credere al lieto messaggio del regno e il battesimo (At 8,12), tra la dimostrazione di Spirito e di potenza, e la predicazione umana (1Cor 2,4-5). Perché la chiesa

non potrebbe essere presente in un dato luogo e tempo, essere quindi una realtà pienamente storica, fisica e sociologica e nel contempo non cessare d i partecipare della natura divina (2 Pt 1,4)?5 Chi entra a farne parte non stabilisce forse un collegamento “al Signore stesso” (At

11,24)?

4 AUGUSTE LECERF, «La doctrine de l’Eglise dans Calvin », Etudes calvinistes, Neuchâtel, Delachaux et Niestlé

1949, 55-68, poi Aix-en-Provence, Kerygma 1999, p. 58. Lecerf sostiene che pur riferendosi a una sola e

medesima realtà, una “realtà ontologica che è il corpo mistico di Cristo”, la distinzione visibile – invisibile

esprime due ordini di fatti non pienamente sovrapponibili, AUGUSTE LECERF, op. cit., p. 57. 5 Si potrebbe stabilire un parallelismo con l’incarnazione in cui Dio ha abbracciato la finitudine umana senza

cessare d’essere Dio (Fil 2). In Cristo Dio ha adattato la propria rivelazione alla condizione umana (ad modum

recipientis).

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La struttura invisibile – visibile lascia eccessivamente nell’ombra concetti e metafore bibliche relative alla chiesa non proprio trascurabili. Temi come quelli di popolo, corpo,

famiglia, sposa, tempio, edificio sembrano oscurati e indeboliti. E’ noto quanto possano essere importanti le metafore6 e come ci si possa interrogare sull’effettiva comprensione ed elaborazione di esse7, ma esse non sono per nulla trascurabili nell’articolazione teologica.

Esse possono contribuire a generare una vera e propria pulsione per la freschezza e il rinnovamento della vita e delle strutture. Proprio mentre si aspira ad una chiesa più poliedrica

e capace di rispondere alle necessità del tempo, c’è bisogno di categorie sufficientemente fluide come quelle che si trovano nella Scrittura evitando il rischio di paradigmi statici.

Bisogna altresì notare che nella Scrittura le categorie di “visibile” e “invisibile” non

vengono riferite alla chiesa, ma alla pienezza dell’opera di Cristo che tutto comprende, persino le potenze angeliche (Col 1,16)8. Vale quindi la pena chiedersi se sia legittimo servirsi

di strutture concettuali che nella Scrittura vengono riferite a un tema così diverso da quello della chiesa.

In questo caso la nozione di chiesa “visibile” e “invisibile” di Calvino e quella biblica

non sembrano coincidere. Quando la Scrittura indica la chiesa che si trova a F ilippi, Efeso o Roma, insieme a una localizzazione evoca una delocalizzazione e quindi un’estensione

approssimativa. La visibilità è superata da qualcosa che autorizza una comunicazione con qualcosa di diverso dal visibile e quindi lo trascende pur rimanendovi strettamente collegato.

Se è vero che alcuni caratteri della chiesa possono essere invisibili, la chiesa del

Nuovo Testamento non è mai ipotizzata come un’entità invisibile. Le varie chiese potevano ricevere lettere, essere convocate, insegnate, crescere sul piano numerico, qualitativo e strutturale. L’ubiquità che caratterizza questa realtà è tale per cui nessuno può pensare di

poter fare parte del popolo di Dio senza una risposta (udibile e visibile) alla Parola. Ad un cuore che crede corrisponde una bocca che dichiara (Rm 10,10). L’impegno a obbedire fa ,

infatti, parte dell’opera invisibile che è in definitiva ben visibile. L’invisibilità sarebbe infine un concetto troppo precario per poter costruire gli

obblighi che incombono sulla chiesa stessa. Per promuovere l’unità della chiesa, esercitare i

diversi carismi e vivere ogni concreta espressione di pietà, c’è bisogno d’elementi autenticamente “spirituali” e “invisibili”. Sono essi che costituiscono la forza propulsiva

permettendo manifestazioni visibili. L’esortazione di Paolo a mantenere l’unità dello Spirito (Ef 4,3) implica dimensioni molto concrete.

2. La matrice originaria: mater et schola

Alla struttura bipolare “visibile – invisibile” Calvino associa l’idea di “mater” e “schola”. La chiesa è “madre”9 in quanto ha in qualche modo a che fare col concepimento. Il popolo di Dio

è concepito nel seno della chiesa attraverso la Parola e lo Spirito Santo. Le persone sono rigenerate nella chiesa e sono da essa nutrite così che possano essere condotte “a un’intera perfezione”10 . “La chiesa è la madre comune a tutti i fedeli, genera nel Signore, nutre e

6 PAUL RICOEUR, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica: per un linguaggio di rivelazione (orig. Paris, Seuil

1975), Milano, Jaca Book 1981, 20105. 7 Cfr. EDMUND P. CLOWNEY “Interpreting the Biblical Models of the Church” in D.A. CARSON (ed.), Biblical

Interpretation and the Church. Text and Context, Exeter, Paternoster 1984, pp. 64-109. 8 La cosa è giustamente sottolineata da JEAN-NOËL ALETTI, Colossiens 1,15-20. Genre et exegèse du texte,

Rome, Biblical Institute Press 1981, p. 60. 9 Ist., IV.1.4. “Affinché essa eserciti una cura materna costante nel guidarli sino al raggiungimento della

maturità, anzi della meta finale della fede. Non è lecito, infatti, scindere queste due realtà, che Dio ha congiunte:

essere la Chiesa madre di tutti coloro di cui egli è padre” , Ist., IV.1.1. La nozione di “madre” per la dottrina della

chiesa in Calvino è talmente importante da dare luogo anche a studi specifici, cfr., LÉOPOLD

SCHüMMER, L’Ecclésiologie de Calvin à la lumière de l’Ecclesia Mater, Berne, Peter Lang 1981. 10 Com. de 1 Tm 3,15, CO 52, 288: “Ut crassius exprimam: nonne ecclesia mater est piorum omnium, quae ipsos

regenerat Dei verbo, quae educat alitque tota vita, qua confirmat, quae ad solidam perfectionem usque

producit?”. Il confronto del testo francese di Calvino con catechismi e testi cattolici fa trasparire sorprendenti

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governa sia i re che il semplice popolo”11 . Fuori da essa non si può sperare di ricevere remissione dei peccati, perché “è la madre dei fedeli”12. Essendo infatti “quanto Dio aveva

prescelto per la nostra salvezza” 13 , questa chiesa visibile, volendo contrastare il rigetto anabattista d’ogni ministero, sembra assai prossima all’idea cattolica d’istituzione di salvezza. L’idea della chiesa come “madre” rappresenta un novum nel pensiero ecclesiologico di

Calvino, perché non è presente nelle prime edizioni della Istituzione. Quando ci si chiede da chi possa provenire tale nozione, si deve pensare ai padri della chiesa 14 , anche se non

mancano accentuazioni diverse15. Essa era anche presente nel Grande Catechismo [1529] di Martin Lutero16, come pure nel suo Commento della lettera ai Galati [1535]. Lutero collega infatti Agar e Sara, rispettivamente, alla sinagoga e alla chiesa, alla legge e all’evangelo 17, e

quindi la chiesa visibile alla Gerusalemme celeste. “La Gerusalemme nuova e celeste che regna e che è libera, è stata costruita da Dio, non in cie lo, ma in terra, affinché sia nostra

madre nella quale siamo stati generati e siamo generati ogni giorno”18. Anche se non è noto se Calvino abbia letto il commento di Lutero sulla lettera ai Galati, nel proprio commento alla lettera ai Galati si colloca sulla stessa scia interpretativa. La chiesa è la madre che “ha anche

del latte e del cibo solido con cui ci nutre continuamente dopo averci generato”19.

somiglianze, JEAN CALVIN, Commentaires de J.C. sur le NT, t. 4 [su 1 Tm 3,15], Paris, Librairie Meyrieis et Co.

1855, p. 221: “L’Eglise n’est-elle pas mère de tous les fidèles, laquelle les régénère par la parolle de Dieu, les

nourrit et entretient toute leur vie, les conferme et les amène iusques à une entière perfection?”, e per esempio, il

Catechisme ou abregez de la doctrine chretienne cy-devant intitulez Cathecismes de Bourges par Monsieur de la

Chétardie, curé de Saint Sulpice de Paris…, Lyon, Leonard Delaroche 1736, p. 105: “je croi qu’il y a une Eglise

Catholique répandue dans toute l’univers, Epouse de Jesus -Christ, dépositaire de la verité & Mère de tous le

Fidéles”. 11 I.C., Opera Omnia II, Vol 16: Commentarii in Pauli Epistolas ad Ephesios [su 4,12], Genève, Librairie Droz

1992, pp. 232-3: “Et certe Ecclesia communis est piorum omnium mater, quae tam reges quam plebeios gignit in

Domino, nutrit et gubernat”, (JEAN CALVIN, Commentaires de J.C. sur le NT, t. 6: Epîtres aux Ephésiens [1548],

Genève, Labor et Fides 1965, p. 197). 12 I.C., Opera Omnia II, Vol 16: Commentarii in Pauli Epistolas ad Galatas [su 4,26], Genève, Librairie Droz

1992, p. 110, (JEAN CALVIN, Commentaires de J.C. sur le NT, t. 6: Epîtres aux Galates [1548], Genève, Labor et

Fides 1965, p. 99). 13 Ist., IV.1.1. 14 La nozione di “madre” la si trova in CIPRIANO, De ecclesiae unitate 6, in PL 4, 519: "Non può avere Dio per

padre chi non ha la Chiesa per madre" (“Habere non potest Deum patrem, qui ecclesiam non habet matrem”) e

AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, 88, serm. 2,14 [PL 37,1140]: “Amiamo il Signore, Dio nostro; amiamo la

Sua Chiesa! Amiamo lui come Padre, la Chiesa come madre” (“Amemus Dominum Deum nostrum, amemus

Ecclesiam eius: illum sicut patrem, istam sicut matrem”). 15 Un confronto sembra sottolineare una maggiore prossimità di Calvino con Agostino, CHA JAESUNG “Calvin’s

concept of the Church as mater fidelium (Mother of Believers), view through his concept of Accomodation”

Journal of Reformed Theology (2015), pp. 182-201. 16 MARTIN LUTERO, Il Grande catechismo [1529], a cura di FULVIO FERRARIO, Torino, Claudiana 1998, Seconda

parte, Il Credo, Terzo articolo, “una comunità particolare, che è la madre”, p. 238. 17 “Ora questa Gerusalemme celeste, la Gerusalemme dell’alto, è la chiesa, e cioè i credenti sparsi nel mondo

intero che hanno lo stesso Evangelo, la stessa fede in Cristo, lo stesso Spirito Santo e i medesimi sacramenti” , M.

LUTERO, WA XV,662.25ss. (Commentaire de l’Epître aux Galates, Oeuvres t. XVI, Genève, Labor et Fides

1969, p. 154). 18 M. LUTERO, WA XV,663.21ss. (Commentaire de l’Epitre aux Galates, ibid., p. 155). “La nostra cittadinanza è

nei cieli” non indica una localizzazione, ma vuol sottolineare che il cristiano è nei cieli nella misura in cui crede.

“Così Sara, o Gerusalemme, nostra madre che è libera, è la chiesa stessa, la sposa di Cristo, dalla quale tutti

nasciamo… Perché è ella che insegna, intrattiene, ci porta nel suo seno, sulle sue ginocchia e nelle sue braccia,

che ci forma e ci perfeziona per condurci alla forma di Cristo”, Ibid., (p. 156). Per questo al di fuori di essa non

v’è salvezza, Wochenpredigt über Johannes VII, 41, WA XXXIII,453b: “Nu ist ausser dieser christlichen

Kirche kein Heil noch heliger Gesist”. 19 I.C., Opera Omnia II, Vol 16: Commentarii in Pauli Epistolas ad Galatas [su 4,26], op. cit., p. 110: “Habet

eadem lac et cibum, quo procreatos perpetuo alit. En cur Ecclesia vocetur fidelium mater”, (JEAN CALVIN,

Commentaires de J.C. sur le NT, t. 6: Epîtres aux Galates [1548], op. cit., p. 99). Nel suo Sermone 30 sulla

Epîtres aux Galates [1552] CO 50, 646, si dilunga in modo ancora più diffuso: “Ecco dunque come Dio vuole

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E’ però nel suo esilio a Strasburgo, a contatto con i riformatori di questa città, che s i era precisata la realtà della “chiesa visibile” insieme alla nozione di “madre”. L’influenza di

Bucero e la pressione del protestantesimo radicale e spiritualista, lo inducono a recuperare una certa visibilità della chiesa e a cercarne un fondamento biblico. Non è solo un recupero strumentale, ma un tentativo di trovare un criterio teologico adeguato e affidabile. Un modo

per sottolineare l’unità della chiesa davanti alle lacerazioni20 anche se tale unità rimane pur sempre “oggetto di fede”21.

Bucero si era abbondantemente servito delle metafore della paternità e della maternità della chiesa per sottolineare in particolare l’atteggiamento che i pastori dovevano avere nei confronti della loro comunità22. Calvino sembra dilatare tale funzione alla chiesa in quanto

tale. Così nella sua replica a Sadoleto [1539], si mostra ancora più audace di Bucero. Dopo aver accennato alle caratteristiche della chiesa autentica secondo la Scrittura, afferma che tra

quella chiesa e quella ginevrina “non sussiste alcun contrasto, anzi la consideriamo come una madre”23. L’uso del concetto di “madre” non è un semplice espediente polemico, ma una sua convinzione teologica. Poco prima della risposta a Sadoleto, Calvino aveva scritto che la

chiesa “è la madre di tutti noi”24. Si ha come l’impressione che l’idea della maternità sia una sorta di reazione dei

riformatori nei confronti dell’eccessiva disinvoltura mostrata dagli anabattisti. L’altro fronte, quello cattolico romano, non sembrava evidentemente così problematico. In quest’ultimo, l’idea della maternità della chiesa era però fortemente legata alla mariologia e al sacerdozio in

termini di potere, piuttosto che di servizio25.

governare i suoi fedeli, cioè quando avrà la sua parola come un deposito e un tesoro inestimabile di salvezza p er

la sua Chiesa affinché noi siamo rigenerati e nutriti … Perché essa è madre dei figli di Dio”. 20 Sull’unità della chiesa in modo da evitare sia il settarismo che il sincretismo cfr. Responsio ad Sadoletum

[1539], CO 5 (tr. it. J. SADOLETO – G. CALVINO, Aggiornamento o riforma della Chiesa? , a cura di G. TOURN,

Torino, Claudiana 1976); G. CALVINO, Ist., III.2.39; JEAN CALVIN, Brève Instruction chrétienne [1538], Cléon

d’Andran, Excelsis 1996, p. 48: “Cette société est catholique, c’est-à-dire universe’lle, car il n’y en a pas deux

ou trois. Tous les élus de Dieu sont unis et conjoints en Christ de telle manière qu’ils dépendent d’un seul Chef,

qu’ils croissent comme en un seul corps, et qu’ils sont attachés les uns aux autres par une disposition semblable

à celle des membres d’un même corps. Ils ont été vraiment faits un, parce qu’ayant une même foi, une même

espérance, un même amour, ils vivent d’un même Esprit de Dieu et sont appelés au même héritage : la vie

éternelle »; EMIDIO CAMPI, “Jean Calvin et l’unité de l’Eglise” Etudes théologiques et religieuses 84 (2009), pp.

329-344. 21 Ist., IV.1.3. 22 M. BUCERO, Von der waren seelsorge [1538] (Sulla vera cura d’anime). In essa Bucero sostiene che l’amore

manifestato da Cristo verso i suoi deve trovare un’analoga relazione del pastore (Seelsorger) verso la comunità:

il pastore “non deve porsi come un dominatore, essere scortese, al contrario deve essere umile e materno

così come una balia si prende cura del suo bambino”. Sul prendere il giogo di Cristo cfr AMI NELSON BURNETT ,

The Yoke of Christ: Martin Bucer and Christian Discipline , Kirksville, Sixteenth Century Essays & Studies

1994, pp. 105-113. La nozione di “madre” si trova anche in HEINRICH BULLINGER, Décades, vol. IV, op. cit., pp.

90-92. I collegamenti tra l’ecclesiologia di Calvino e gli scritti di Bucero appaiono abbastanza evidenti per cui

uno studioso ne ha fornito la traccia, tra l’Istituzione del 1543 e gli scritti di MARTIN BUCERO, Enarrationes in

Evangelia, 1536, p. 595, FRANÇOIS WENDEL, Calvin. Sources et évolution de sa pensée religieuse, Paris, PUF

1950, p. 224. 23 Responsio ad Sadoletum [1539] CO 5,385-416 (tr. it. J. SADOLETO – G. CALVINO, Aggiornamento o riforma …

op. cit., pp. 66-7). Non va dimenticato il fatto che Sadoleto stesso, nella sua propria lettera alla popolazione di

Ginevra, si era dispiaciuto che si fossero allontanati dalla “nostra madre, la chiesa”. Una ragione di più per

considerare che su questa nozione non ci fu, tra i riformatori, un ripensamento di fondo. 24 J. CALVIN, Institution [1539]: ”E’ chiaro dunque quanto sia necessario credere la chiesa, infatti per essere

rigenerati in vita immortale bisogna che essa ci concepisca, come la madre concepisce i suoi bambini: per essere

conservati occorre che essa ci intrattenga e ci nutra nel suo seno. Perché essa è la madre d i tutti noi a cui nostro

Signore ha affidato tutti i tesori della sua grazia: affinché essa ne sia custode e li dispensi per mezzo del suo

ministero”. 25 Cfr. la Costituzione apostolica, Providentissima Mater Ecclesia (Benedetto XV, 27/5/1917): “la chiesa, nostra

madre molto prudente … dovendo, per obbedire ai precetti del Signore, insegnare e governare tutte le

nazioni…”; Enciclica Divini illius Magistri (Pio XI, 31/12/1929): “la Chiesa … madre molto feconda, educatrice

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Per quanto riguarda Galati 4,26-27 è necessario comprendere quale sia l’obiettivo di Paolo. Il centro della sua argomentazione ha che fare con la relazione tra il patto sinaitico e il

nuovo patto. In questo contesto non suggerisce una contrapposizione tra i due patti. Egli vuole sottolineare che la vera madre delle comunità etnico-cristiane è la Gerusalemme di sopra. In questo modo è come se polemizzasse implicitamente col ruolo della comunità di

Gerusalemme in quanto “chiesa-madre”. Anziché preoccuparsi delle speranze legate alla glorificazione della Gerusalemme terrestre, Paolo respinge ogni speranza escatologica che la

riguarderebbe. Lui sostiene che quello che conta non è tanto la Gerusalemme empirica che si ha davanti, bensì quella “di lassù” che è veramente libera. Mentre la Gerusalemme terrestre è transitoria, databile e storica, quella celeste è caratterizzata da attributi inalienabili e i credenti

dipendono quindi da lei partecipando già alle benedizioni escatologiche. Comunque si concepisca la Gerusalemme celeste, Paolo non la paragona mai alla

chiesa. Se si può utilizzare l’idea di “madre” per la chiesa, lo si può fare in un’ottica storica nel senso che una chiesa può aver ricoperto un ruolo fondante o di accompagnamento nei confronti di altre chiese com’è stato il caso per la chiesa di Gerusalemme. Ma una simile

espressione ha a che fare più con l’itinerario storico e sociologico che con quello teologico. Se si assume l’idea di “madre” in termini teologici si rischia di fare della chiesa la

mediatrice della salvezza o di considerarla come l’esclusivo canale delle benedizioni divine. Si finirebbe per pensare che essa non sarebbe il luogo dell’azione dello Spirito Santo, ma la collaboratrice de jure di Dio e intermediaria istituzionale tra Cristo e il mondo. Quasi che la

chiesa fosse un prolungamento dell’opera di Cristo e depositaria dello Spirito Santo. Ma la chiesa non va divinizzata. Essa non può né determinare, né garantire la presenza dello Spirito. E’ semmai lo Spirito che deve produrre la chiesa, non viceversa.

Si potrebbe forse sostenere che l’idea di “madre” non è in Calvino così accentuata come talvolta si può credere e che su questo punto il suo pensiero rimanga elastico26. E’ però

chiaro che questa idea comporta rischi importanti in quanto collega in maniera troppo rigida Dio a un’istituzione con connotazioni tipicamente umane. Per evitare un simile rischio si dovrebbe forse cercare d’articolare meglio il rapporto divino – umano che caratterizza la

chiesa. Bisognerebbe favorire un’adeguata fluidità tra la dimensione dell’istituzione e quella dell’evento, tra oggettività e soggettività, tra Cristo e lo Spirito Santo.

E’ infatti quest’ultimo che “costituisce il legame mediante il quale il figlio di Dio ci unisce a sé con efficacia”27. E’ lui la “radice e la semenza della vita eterna”28, il “maestro interiore delle anime”29, “pegno e suggello della nostra eredità”30, “quasi un canale mediante

cui scende sino a noi tutto ciò che Cristo è e Cristo possiede”31. E’ allora chiaro che la vita della chiesa dipende dall’azione dello Spirito. Il fuoco sulla sua azione aiuta a capire perché

Calvino abbia anche affermato che “la dottrina è nostra madre”32. Prima la dottrina o la Parola e solo in seguito la chiesa. “Se il fondamento della Chiesa è rappresentato dalla dottrina che ci hanno lasciato i profeti e gli apostoli, occorre che tale dottrina risulti certa prima che la chiesa

sovrana e perfetta”. L’idea della “chiesa madre e maestra” si ritrova ancora nel Catechismo della chiesa cattolica

[1992], III. La vita in Cristo. Sez I, capitolo terzo, art. 3. 26 Calvino se ne serve, infatti, per evocare il fatto che la stessa Scrittura “accondiscende alla nostra debolezza,

come fa una madre” Ist., III.21.4. 27 Ist., III.1.1. 28 Ist., III.1.2. 29 Ist., IV.14.9. 30 Ist., III.1.3. 31 Ist., IV.17.12. 32 I.C., Opera Omnia II, Vol 16: Commentarii in Pauli Epistolas ad Galatas [su 4,24], op. cit., p. 108: ”Doctrina

enim mater est”, (JEAN CALVIN, Commentaires de J.C. sur le NT, t. 6: Epîtres aux Galates [1548], op. cit., p.

97).

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cominci ad esistere”33. Ecco perché “la dottrina di nostro Signore può dirsi l’anima della Chiesa, la disciplina, come i nervi di un corpo”34.

In quanto scuola e madre, la chiesa di Calvino tende ad inglobare nel suo seno credenti e non credenti. E’ come se si mirasse a far sì che la chiesa visibile si riversi in quella invisibile35. La chiesa viene pensata come la storia della restaurazione dell'ordine del mondo e

quindi dell'imago Dei nell'uomo. La conseguenza è che la chiesa non può essere separata dal mondo come qualcosa di sicuro e definito. Preoccupato di trovare una fondazione alla dottrina

della chiesa visibile, Calvino perde il focus della Scrittura lasciando prevalere interessi ecclesiali per cui viene da chiedersi quanto questa elaborazione sia coerente con lo stesso impianto teologico precedente.

Sempre per quanto concerne questa idea della chiesa come “madre” si possono fare altre osservazioni. E’ vero che Paolo parla di paternità spirituale, ma egli afferma senza

esitazione che anche se i Corinti possono aver beneficiato d i diversi educatori, è lui che li ha “generati in Cristo Gesù” (1Cor 4,15). Qualcosa di simile poteva essere detto per Tito e per Timoteo. In questo caso si parla però di paternità e non di maternità (1Ts 2,11) 36 . Né si

potrebbe legittimare, a partire dall’affermazione paolina, una sorta di simmetria in cui Dio sarebbe Padre e la chiesa, madre.

Pur assumendosi pienamente le responsabilità di guida nei confronti delle persone che Dio gli aveva affidato, Paolo concepiva il ruolo dei servitori come qualcosa di "inutile" nel senso di non essenziale. La generazione spirituale ha a che fare con l’azione della Parola e

dello Spirito Santo che sono i veri artefici della generazione spirituale.

3. La composizione mista: un corpus mixtum

Nell’ottica di Calvino la chiesa appare anche come un corpo misto. Da un lato essa è dalla

parte di Dio, dall’altra sembra condizionata dai limiti dell’uomo. La relazione con Dio implica un’autentica unità37 per cui allontanarsi da essa è giustamente qualcosa di “pernicioso

e mortale”38, dall’altro essa sembra partecipare per principio ai condizionamenti umani. “In questa Chiesa parecchi sono gli ipocriti frammisti ai buoni che non hanno nulla di Gesù Cristo fuorché il nome e l'apparenza, ambiziosi gli uni, avari gli altri, maldicenti alcuni,

dissoluti altri, tollerati per un certo tempo sia perché non si possono convertire con provvedimenti giuridici, sia perché la disciplina non è sempre esercitata con la fermezza che

sarebbe richiesta”39. Così “l’esperienza insegna che dalla grande moltitudine che si chiama chiesa, parecchi si allontanano e scompaiono, tant’è vero che ne rimane solo una piccola parte”40.

Qualche volta il riformatore arriva a sostenere che bisogna trattare come fratelli persone che non sono degne d’essere considerate tali perché devono essere “tollerati”41. La

chiesa rimane infatti una santa mescolanza in cui gli ipocriti saranno presenti “fino alla fine

33 Ist., I.7.2. 34 Ist., IV.12.1. 35 AUGUSTE LECERF, op. cit., p. 62. 36 Un’eccezione può essere rappresentata da 1 Ts 2,7 in cui Paolo , per evocare la dimensione pastorale del

proprio ministero, si serve del termine “nutrice” (trophos non matèr), cfr JEFFREY A.D. WEIMA “Infants, Nursing

Mother, and Father: Paul’s Portrayal of a Pastor” CTJ 37 (2002) pp. 209-229. 37 In modo lapidario afferma: “che tutti quelli che si separano dai loro fratelli si separano anche dal regno di

Dio”, I.C., Opera Omnia II, Vol 16: Commentarii in Pauli Epistolas ad Ephesios [su 4,4], op. cit., p. 220: “eos

omnes se alienare a regno Dei, qui a fratribus se disgiungunt”, (JEAN CALVIN, Commentaires de J.C. sur le NT,

t. 6: Epîtres aux Ephésiens [1548], op. cit., p. 187). 38 Ist., IV.1.4. 39 Ist., IV.1.7. Cfr. IV.1.8; IV.1.15 in cui s’afferma che “I pastori non esercitano sempre una vigilanza rigorosa”;

ID., Comm sul Sal 26,5, CO 31.266; HERMAN J. SELDERHUIS « Church on Stage: Calvin Dynamic Ecclesiology

», in DAVID FOXGROVER (ed.), Calvin and the Church, Grand Rapids, Eerdmans 2002, 46-64, spec. pp. 51-54. 40 Ist., III.21.7. 41 Ist., IV.1.7.

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del mondo”42. Ciò non impedisce comunque alla chiesa d’essere se stessa perché il giudizio appartiene in maniera definitiva solo a Dio43. La chiesa rimarrà quindi imperfetta fino alla

fine dei tempi per cui è necessario essere clementi perché come per la rete usata per i pesci, bisogna accettare che essa prenda ogni tipo di pesce (Mt 13,47)44.

Calvino vuole sicuramente respingere l’idea anabattista della chiesa come comunità

dei santi e si orienta così verso un giudizio di carità. Sottolinea l’idea dell’ordine voluto da Dio in quanto lui solo deve “governare e regnare su di essa e avere in essa ogni preminenza”,

ma poi si serve di “luogotenenti”45. Si tratta dei ministeri attraverso i quali Dio governa la sua chiesa. In questo modo Calvino giunge ad affermare che Dio ha affidato “ad uomini la salvezza e la vita eterna affinché fosse mediata agli altri per mezzo loro”46.

Si ha così l’impressione che l’articolazione tra il ruolo di Dio e quello degli uomini rischi di mettere in discussione alcune chiare acquisizioni come quella della mediazione.

Quasi che l’opera soggettiva dello Spirito Santo nell’applicazione dell’opera oggettiva del Signore Gesù non fosse sufficientemente valorizzata. Una salvezza mediata da uomini non rischia di lasciare nell’ombra il preciso ruolo dello Spirito Santo?

Il pudore che sembra aver determinato un’identificazione troppo marcata tra l’impegno umano e l’iniziativa divina riaffiora qui in un’altra cornice. Il bisogno di collegare

l’azione divina con quella umana finisce così per affidare ai ministeri della chiesa quella funzione che si è voluta evitare attraverso l’accettazione della chiesa come un corpo misto. Sembra, infatti, impossibile evitare un qualche collegamento tra quanto avviene sul piano

visibile e quanto rientra nel disegno invisibile di Dio. Non essendo realtà del tutto sganciate, la chiesa invisibile e quella visibile devono trovare qualche tipo di connessione.

In questa cornice la chiesa rischia di perdere una sua peculiarità, quella della santità.

Come si fa a predicare sulla santità della chiesa? La Scrittura afferma chiaramente che essa è “santa” (Ef 5,27), ma come si fa a sottolineare tale verità 47? Si ha l’impressione che tra

l’affermazione oggettiva della santità della chiesa e la sua dimensione esistenziale vi sia in Calvino una tensione non facile da gestire. E’ noto che la chiesa è santa “nel senso che quotidianamente ricerca ma non possiede ancora la sua perfezione” 48 , ma questo non

autorizza a considerarla, per principio, “commista di buoni e di malvagi”49. Non è forse vero che Dio ha rivolto “una santa chiamata” (1Tm 1,9), ha eletto perché si fosse “santi e

irreprensibili” (Ef 1,4; Col 3,12), perché vi fosse finalmente un “sacerdozio santo” (1Pt 2,5), una “gente santa” (1Pt 2,9) e un tempio santo” (1Cor 3,17)? Che senso avrebbe evocare la communio fidelium per cui “tutti sono santificati dal Signore attraverso la rigenerazione

42 JEAN CALVIN, Leçons de M. I. Calvin sur le livre des propheties de Daniel , Geneve 1569 [su 11,33,34], p.

157b : « Et faut puis apres noter au second memebre, qu’il ne se peut faire autrement qu’il ne se mesle plusieurs

hypocrites parmi les enfants de Dieu, voire mesme lors que Dieu purge tellement son Eglise, qu’il n’y demeure

que une bien petite poignee de gens… Et si Dieu vient à examiner les petites Eglises, encores s’en trouvera -il

plusieurs hypocrites en un petit nombre. Iamais n’en a esté autrement, & ne sera encores tant que le monde

durera. » 43 Ist., IV.12.9. 44 Ist., IV.16.31. Nel Commentarius in Harmonia Evangelicam, CO 45, 376: “ecclesiam Dei quamdium in terra

versatur permixtam esse bonis et malis, numquam vero sordibus et inquinamentis puram esse” (fintanto che

esite nel mondo la chiesa di Dio è un misto di buono e malvagio e non è mai libera da macchie e inquinamenti). 45 Ist., IV.3.1. 46 Ibid. 47 Davanti all’affermazione che essa “è santa”, Calvino si preoccupa di affermare che essa deve essere tale

“davanti agli occhi del Signore e non secondo l’opinione degli uomini”, I.C., Opera Omnia II, Vol 16:

Commentarii in Pauli Epistolas ad Ephesios [su 5,27], op. cit., p. 270: “Sistendi verbo significat Paulus in

oculis Domini, non hominum opinione”, (JEAN CALVIN, Commentaires de J.C. sur le NT, t. 6: Epîtres aux

Ephésiens [1548], op. cit., p. 225). 48 Ist., IV.1.17. 49 Ist., IV.1.13.

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spirituale” 50 se sono compresi anche degli ipocriti? La santità richiama la dimensione trascendente, e s’innesta nell’evangelo apostolico che implica una rigenerazione spirituale e

quindi una risposta a quanto udito. Una cosa è la debolezza e la disobbedienza degli uomini, un’altra la loro estraneità alla vita di Cristo.

Quando la Scrittura evoca la chiesa sembra rimanere entro questi contorni. La chiesa

non è definita come un corpo misto, ma come l’assemblea del popolo dell’alleanza con Dio. La Scrittura traccia, infatti, una linea assai netta tra i nati d i nuovo che sono parte della “casa

di Dio” (1Tm 3,15) e quelli “di fuori” (1Cor 5,12). Si tratta di uomini e donne chiamati da Dio alla comunione col Figlio che grazie all’opera dello Spirito Santo sono nati di nuovo e sono quindi passati attraverso il pentimento e la fede (At 2,37-47; Ef 2,19-22). La chiesa

esiste quindi per la decisione di Dio, grazie all’opera del Signore Gesù Cristo e diretta dallo Spirito Santo. Il suo profilo è definito da Dio ed è quindi necessario impegnarsi in questa

direzione. Concepire la chiesa come un corpo misto significa assumere un tragico equivoco

rispetto a temi come “la sposa” (Ap 19,7), la “casta vergine” (2Cor 11,2), il “corpo di Cristo”

(1Cor 12,27), al “monte di Sion, alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, alla festante riunione delle miriadi angeliche, all’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei

cieli” (Eb 12,22-23). Significa incamminarsi su una via scivolosa che finisce per abbassare l’alto profilo che Dio indica per essa.

Può accadere che per un tempo più o meno prolungato vi siano persone non credenti

che vengono confuse coi credenti all’interno della chiesa. Si tratta di persone che però “non erano dei nostri” (1Gv 2,19). Possono aver beneficiato di certi privilegi e ricoperto anche ruoli di responsabilità, ma erano per principio estranei alla vita autentica della chiesa in cui

possono aver vissuto per un tempo. Secondo alcuni studiosi anche Calvino avrebbe voluto una chiesa di confessanti e non

una chiesa moltitudinista. Il fatto è che non sembra aver elaborato una dottrina della chiesa in grado di far fronte de jure a un simile rischio51. Una chiesa può de facto avere al proprio interno persone non credenti, ma una cosa è la loro presenza come un fatto inevitabile dovuto

a limiti umani (de facto), un’altra la loro presenza come un legittimo principio da collegare alla stessa natura della chiesa (de jure).

Accettare per principio la chiesa come un corpo misto significa assumere i fatti come norme. Significa invertire l’ordine del conoscere e l’ordine del vivere. Bisogna invece distinguere ciò che può essere creduto (πιστια) da ciò che può essere fatto (πρακτα). Anche se

non tutto ciò che può essere conseguibile (πρακτος) deve essere conoscibile sul piano teoretico (θεωρητος) esiste una relazione tra le due dimensioni. Come esempio di ciò si può

pensare al fatto che la vita eterna consiste nel conoscere Dio (Gv 17,3) che in questo senso è conoscibile (θεωρητα). Egli sarà, infatti, contemplato, e questo può essere collegato a qualcosa di reale e vissuto tant’è vero che è detto che “chi osserva la sua parola, in lui l’amore

di Dio è veramente completo. Da questo conosciamo che siamo in lui” (1Gv 5,5). Se è impossibile sondare i cuori, è possibile osservare dei frutti. Mentre questi ultimi non devono

diventare norma della realtà spirituale, possono però evocarla. Un interrogativo profondo ha a che fare con la storia stessa della redenzione. L’idea

d’un regime misto per la chiesa non rischia di spezzare la narrazione redentiva? La storia

della redenzione non è forse la storia di un passaggio? Non riguarda forse degli schiavi che trovano la libertà? L’impegno della chiesa ha a che fare con tale passaggio. Problematizzarlo

significa problematizzare anche la sua missione. Come se chi si sta allontanando dalla terra di schiavitù fosse ancora nelle mani del faraone! Una simile prospettiva lascerebbe allora

50 I.C., Opera Omnia III, Vol 2: Instruction et confession de foy don on use en l’eglise de Geneve , Genève,

Librairie Droz 2002, p. 61: «tous les eleuz de Dieu sont tellement unis et conjoinctz en Christ que, …. sont tous

sainctifiez du Seigneur par regeneration spirituelle». 51 G. SERR “Eglise de croyants, de professants ou de multitude?” Etudes évangéliques (1953/4), pp. 232-244.

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intendere che non ha alcun senso interrogarsi sulla celebrazione, sulla militanza, sul discepolato, sul ministero, sulla disciplina se quel popolo è ancora un popolo di schiavi e

redenti insieme. Per quanto riguarda la parabola delle zizzanie Calvino lascia intendere che essa

insegnerebbe l’opportunità di non distinguere, nella chiesa, tra credenti e non credenti 52. Il

Riformatore poteva rifarsi ad Agostino che respingendo l’opinione di Parmeniano, aveva sostenuto la necessità di lasciar crescere insieme il grano e la zizzania per evitare di sradicare

l’erba buona insieme alla zizzania53. Il fatto che il brano sostenga la necessità di lasciare crescere il grano insieme alla zizzania sembrerebbe giustificare la coesistenza di entrambi nella chiesa. Anche se la parabola ha avuto una lunga storia 54 al punto da essere stata

utilizzata anche nel contesto dell’inquisizione55, anziché l’interpretazione di Calvino sembra preferibile quella di Gesù stesso. Egli spiega senza ombra di dubbio che il campo corrisponde

al mondo (Mt 13,38). Se la sua interpretazione delle sue parabole è quella giusta ogni altra deduzione è sbagliata. Se si assume l’interpretazione del Signore Gesù come normativa per ogni credente, l’idea di far coesistere di diritto nella chiesa, cristiani autentici e ipocriti è

totalmente priva di fondamento. L’idea della chiesa come “corpo misto” è suffragato in Calvino dall’idea che i figli dei

credenti sono, apparentemente senza restrizione, "figli di Dio" 56 . Secondo lui essi apparterebbero al "corpo di Cristo"57 e non sarebbero estranei ad essa58. Altrove sottolinea però l'eredità adamitica dei figli59 e riconosce che i bambini sono peccatori e hanno bisogno

del perdono e della remissione dei loro peccati60. In questa ottica rimprovera coloro i quali si "immaginano d'avere non so qual seme di elezione radicato nei loro cuori fin dalla nascita"61.

Bisogna allora riconoscere che su questi punti il pensiero di Calvino non sembra così

rigoroso come altrove. Si ha l’impressione di una certa ambiguità. O si è figli di Dio e si

52 Ist., IV.1.13; J. CALVIN, Commentaires de Jehan Calvin sur le Nouveau Testament , t. 1, Sur la concordance

ou Harmonie composée de trois évangélists asçvoir S. Matthieu, S. Marc et S. Luc, Geneve [1563], CO 45.369.

Nella Defensio orthodoxae fidei Calvino, ricordando il comando di Gesù «sinite zizania cum tritico crescere»,

sottolinea che il senso della parabola non può essere quello di abbandonare ogni rigore nei confronti dell’eresia,

bensì di invitare alla tolleranza del male che non sia estirpabile senza danno per il bene, I.C., Opera Omnia IV,

vol 4: Defensio orthodoxae fidei, Genève, Librairie Droz 2009, p. 20. 53 Contro il rigore di Parmeniano che si chiedeva cosa avessero in comune la paglia e il grano invitando a

“separare le folle infruttuose e sterili dei peccatori dalla venerata messe dei giusti” , Agostino sosteneva che si

doveva procedere solo quando non vi fosse il “pericolo di scisma”, AGOSTINO, Contro la lettera di Parmeniano

III,2,13.18 [PL 43.92.95]. 54 Altri riformatori l’hanno letta allo stesso modo, per esempio ULRICO ZWINGLI, Replica di H. Zwingli contro

Geronimo Emser, assertore del canone della messa [1524], in Scritti pastorali, a cura di E. GENRE e F.

FERRARIO, Torino, Claudiana 1996, p. 112: “tra i cristiani ci sono sempre i malvagi e gli infedeli, anche se non li

riconosciamo finché non si manifestano tali attraverso i loro frutti. Questa chiesa l’ha dipinta con splendidi

colori Cristo stesso in Matteo 13”. 55 Si sa che l’immagine della retta fede intesa come grano, e l'eresia intesa come la zizzania, sarebbe stata

un'immagine abusata dagli inquisitori, ROLAND H. BAINTON “The Parable of the Tare sas the Proof Text for

Religious Liberty to the end of the Sixteenth Century” Church History (1932/1-2) pp 67-89; ADRIANO PROSPERI

“Il grano e la zizzania : l’eresia nella cittadella cristiana” in PIER CESARE BORI (a cura di), L’intolleranza: uguali

e diversi nella storia, Bologna, il Mulino 1986, pp. 51-86, ora in ID., America e Apocalisse e altri saggi, Pisa-

Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali 1999, pp. 211-232; GAETANO LETTIERI “Tollerare o

sradicare? Il dilemma del discernimento. La parabola della zizzania nell’Occidente latino da Ambrogio a Leone

Magno” in GIUSEPPE RUGGIERI (a cura di), “La zizzania nella chiesa e nel mondo. Interpretazioni di una

parabola” Cristianesimo nella storia 26/1 (2005) pp. 93-110. 56 Ist., IV.15.22. 57 Ist., IV.16.22. 58 Ist., IV.15.22. 59 Ist., II.1.7. 60 Ist., IV.16.22. Infatti “tutta la discendenza di Adamo reca con sé, sin dal ventre materno, la propria

dannazione”, Ist., IV.16.31. 61 Ist., III.24.10.

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appartiene al corpo di Cristo o l’ered ità adamitica ha conseguenze tali da rendere necessaria la remissione dei peccati. Si tratta di verità che si escludono a vicenda e che obbligano a una

scelta. La riflessione di Calvino sulla chiesa va evidentemente collocata in una prospettiva

più ampia. Quella che tende a identificare la chiesa con la società 62 . Il proposito di far

coincidere la società civile con la società ecclesiale con la giusta ambizione a trasferire i valori dell’una all’altra, anche se portata avanti nell’ottica di un reciproca integrazione, finisce

per confondere piani diversi. Come se fosse legittimo assimilare l’ordine della creazione a quello della redenzione. Ma i nuovi nati non possono essere assimilati ai nati di nuovo. L’ordine creazionale e quello redentivo hanno caratteristiche profondamente diverse e ogni

sovrapposizione tra i due appare illegittima perché obbligherebbe a prescindere dalla rottura dovuta al peccato.

Si può capire il desiderio di far sì che il primato di Dio sia ovunque presente, ma questo non autorizza a confondere ciò che il Signore ha compiuto alla croce con quello che accadrà alla fine dei tempi quando Dio sarà tutto in tutti.

4. L’articolazione biblica: il tema dell’alleanza

I rilievi sull’ecclesiologia di Calvino non possono prescindere dall’idea che il riformatore ha

dell'alleanza 63 . Il tema dell’alleanza è un paradigma fondamentale per l’articolazione tra Antico e Nuovo Testamento o tra Primo e Secondo Testamento 64. Il riformatore ritiene che vi sia una stretta corrispondenza tra AT e NT e che l’elemento distintivo risieda solo nella forma

d’amministrazione. “La sostanza e la verità dell’alleanza stipulata con i padri antichi è talmente simile alla nostra da poter essere considerata una stessa cosa. Differisce solamente nella forma della dispensazione”65. Evocando poi il regime dell’antica alleanza afferma che

“per quanto viva fosse, risentiva in qualche modo l’oscurità di quel tempo di preparazione”66. In seguito, “da diversi popoli, Dio ne ha fatto uno ed ha stabilito un’unione fraterna fra coloro

che erano stranieri”67. In questo modo Calvino sottolinea l’importanza dell’elezione segreta di Dio che domina al di là della vocazione esterna68.

Si capisce che il tema dell’alleanza è un implicito sfondo ai temi che si sono fin qui

accennati. Si deve, infatti, riconoscere che se nell’AT i contorni del popolo di Dio potevano dare adito a qualche incertezza identitaria, nel NT il popolo di Dio è chiaramente identificato

in modo da rendere discutibili le categorie di “visibile” e “invisibile”. Allo stesso modo nel 62 E’ noto l’obbligo d’assistere al sermone nella Ginevra di Calvino con la relativa difficoltà nella disciplina

ecclesiale, HARRO HÖPFL, The Christian Polity of John Calvin , New York, Cambridge University Press 1982. 63 Il termine “alleanza” o “alleanze” figura quattro volte già nella prima edizione della Istituzione [1536] nel

capitolo relativo ai sacramenti. 64 Nell’edizione finale della Istituzione, Calvino tratta della relazione tra AT e NT in Ist., II,9-11. ALEXANDRE

GANOCZY afferma: “congiungendo la sua teologia politica alla sua ecclesiologia pneumatica, Calvino ha

contribuito alla sopravvivenza e allo sviluppo della Riforma”, “Calvin” in PIERRE CHAUNU (ed.), The

Reformation, Goucester, Alan Sutton Publishing 1989, p. 136. 65 Ist., II.10.2. Poi afferma che il popolo d’Israele è “simile ed eguale” a noi, Ist., II.10.5. 66 Ist., II.11.6. “L’Evangelo non ne è distinto se non in quanto ne rappresenta una manifestazione più ampia”,

Ist., II.9.4; tant’è vero che fino alla venuta del Signore Gesù la verità dell’evangelo “era stata espressa in modo

generico” Ist., II.9.2; con linee “tracciate grossolanamente”, I.C., Opera Omnia II, Vol 16: Commentarii in Pauli

Epistolas ad Colossenses [su 2,17], op. cit., p. 434 (“impolitam et quasi primae manus fuisse representationem

Christi”), (JEAN CALVIN, Commentaires de J.C. sur le NT, t. 6: Epîtres aux Colossiens [1548], op. cit., p. 359);

“come lo schizzo della pittura definitiva”: I.C., Opera Omnia II, Vol 19: Commentarius in Epistolam ad

Hebraeos [su 10,1], Genève, Librairie Droz 1996, p. 153 (“quae sunt veluti adumbratio vivae picturae.” (J.

CALVIN, Commentaires de Jean Calvin sur le Nouveau Testament , t. 8/1, L’Epître aux Hébreux [1549], Aix-en-

Provence, Kerygma; Marne-la-Vallée, Farel 1990, p. 134). 67 I.C., In primum Mosis librum qui Genesis vulgo dicitur, Commentarius Iohannis Calvini, [su Gn 9,27],

Genève, Robert Estienne 1554, CO 23.1-622; Commentaire sur le premier livre de Moyse, dit Genèse, Genève,

Jean Girard 1554 (tr. it., Commentario su Genesi, Caltanissetta, Alfa & Omega 2008, p. 211). 68 Ist., III.21.7: “Questa vocazione esterna, senza l’efficacia segreta dello Spirito Santo, è dunque come una

grazia intermedia fra la reiezione del genere umano e l’elezione dei credenti, che sono veramente figli di Dio”.

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NT l’opera del Signore Gesù Cristo e la sua applicazione agli eletti attraverso l’azione dello Spirito Santo sono nozioni talmente chiare da superare ogni idea di mater e schola. Nel NT

infine, il popolo di Dio ha dei contorni così nitidi da legittimare la disciplina ecclesiastica come lo strumento per far sì che esso non sia un corpus mixtum, ma la “sposa”, la “casta vergine”, il “corpo di Cristo” stesso.

Uno studio rigoroso del tema dell’alleanza induce sia a escludere una totale contrapposizione tra i due Testamenti, che una loro assimilazione. Se non ha senso

“cristianizzare” l’Antico Testamento, non ha neppure senso “giudaizzare” il Nuovo 69. Calvino sottolinea senza esitazione che, grazie al compimento di Cristo, il Padre celeste ha manifestato più abbondantemente la sua potenza e le promesse prima oscure sono state

chiarite in modo magnifico. E’ infatti vero che “tutto quello che i padri hanno avuto dei doni spirituali è stata come una cosa accidentale nel loro tempo”70. Cristo è, infatti, la sostanza

dell’Antico e del Nuovo patto 71 . Questa sottolineatura è importantissima, ma poi bisogna declinarla nell’ambito della storia della redenzione per tenere conto del suo progresso.

Si tratta allora d’articolare gli elementi di continuità e discontinuità tra i due

Testamenti. Bisogna cioè adottare una teologia che permetta di sottolineare la fragranza progressiva del messaggio biblico. Va allora detto che tutto ciò che precede la venuta di

Cristo è caratterizzato da una certa dualità. Benché l’alleanza con Abramo sia qualcosa di prioritario e inviolabile (Gal 3,15-17), si deve ammettere l’esistenza di due alleanze parallele o concomitanti. Abramo ebbe, infatti, “due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera”

(Gal 4,22). Agar e Sara non sono solo due diversi momenti nell’articolazione della relazione dell’uomo con Dio, ma costituiscono un duplice registro di lettura già all’interno dell’Antico Testamento. Ciò significa che pur essendo figli dello stesso padre Abramo si può nascere

“secondo la carne” o “in virtù della promessa”72. Un filone incarna la schiavitù, l’altro la libertà.

Per quanto concerne l’antico patto non sembra corretto ragionare in termini di “nazionalità”73 , perché al suo interno si devono riconoscere due regimi. Uno ha carattere provvisorio e temporaneo, l’altro ha invece un carattere definitivo ed eterno. L’uno fornisce

un quadro di riferimento elastico, l’altro si definisce come un paradigma definito e inalienabile per chi è nell’alleanza. Uno ha a che fare con le creature di Dio, l’altro ha a che

69 Con ciò non si vuole attribuire a Calvino tale opinione come giustamente notano , WILHELM NIESEL, The

Theology of Calvin, London, Lutterworth 1956, pp. 104-5; EMILE DOUMERGUE, Jean Calvin: Les hommes et les

choses de son temps, Lausanne, George Bridel 1910, vol. 4, p. 199. 70 I.C., Opera Omnia II, Vol 19: Commentarius in Epistolam ad Hebraeos [su 8,10], op. cit., pp. 131-132:

“Praetera quicquid spiritualium donorum consequuti sunt patres, quasi accidentale fuisse eorum seculo.” (J.

CALVIN, Commentaires de Jean Calvin sur le Nouveau Testament , t. 8/1, L’Epître aux Hébreux [1549], op. cit.,

p. 115). 71 CO 9.177: “Quia etsi commu nisutriusque substabtia est Christus, non tamen aequalis est euis exibitio ”. Cfr

anche I.C., Opera Omnia II, Vol 13: Commentarius in Epistolam Pauli ad Romanos [su 10,4], Genève, Librairie

Droz 1999, p. 216: “Quod Lex omnibus suis partibus in Christum respiciat” (J. CALVIN, Commentaires de Jean

Calvin sur le Nouveau Testament, t. 4, Epître aux Romains [1539], Genève, Labor et Fides 1960, p. 243: “la

legge in tutte le sue parti guarda a Cristo”. I.C., Opera Omnia XI/1: In evangelium secundum Johannes

Commentarius Pars Prior [su 5,39], Genève, Librairie Droz 1997, p. 180: “Conspicuus enim gloriae Dei

splendor rifulget in Mose” (La gloria di Cristo rifulge chiaramente in Mosé), (J. CALVIN, Commentaires de Jean

Calvin sur le Nouveau Testament, t. 2, Evangile selon Saint Jean [1553], Genève, Labor et Fides 1968, p. 156).

Altre citazioni sulla superiorità del nuovo patto si trovano in RONALD S. WALLACE, Calvin’s Doctrine of the

Word and Sacrement, Edinburgh, Oliver and Boyd 1953, rist., Scottish Academic Press 1995, pp. 33-39. 72 Calvino sembra riconoscerlo quando parla che il patto spirituale viene “ristretto” e che bisogna cercare “la

salvezza nella stirpe d’Isacco”, ma poi non sembra trarne tutte le conseguenze, I.C., In primum Mosis librum qui

Genesis vulgo dicitur … [su Gn 17,19-20], (tr. it., Commentario su Genesi, op. cit., p. 314). 73 E’ purtroppo quello che fa GEERARDUS VOS, Biblical Theology, Grand Rapids, Eerdmans 1948, p. 79 (tr. it.,

Teologia biblica. Antico e Nuovo Testamento, Caltanissetta, Alfa e Omega 2005, p. 139: “Il principio

dell’elezione, abolito per quanto riguarda la nazionalità…”).

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fare invece con chi è anche figlio di Dio. Le vicende dell’Antico Testamento vanno dunque lette tenendo presente questo duplice registro.

Credenti come Abramo e Davide sono da collocare in un’alleanza di grazia che per sua natura è nuova ed eterna. Essa è già presente per anticipazione nell’Antico Testamento. Le altre persone, anche se genericamente appartenenti al popolo d’Israele, non sono

beneficiari della promessa, ma solo la sua cornice. I primi sono giustificati, i secondi perduti. Questi ultimi fanno parte di un regime modificato nel tempo e al servizio dell’alleanza di

grazia, ma non partecipano ai suoi benefici spirituali. A causa di questa dualità, in certi contesti, appare riduttivo servirsi del termine

“popolo d’Israele”. Se la Scrittura non esita ad affermare che non tutto Israele è Israele (Rm

9,6)74, quando si racconta la storia biblica bisogna imparare a fare certe distinzioni. Bisogna che sia chiaro che accanto ad un Israele etnico ce n’è uno spirituale e che solo quest’ultimo

sarà il vero beneficiario della promessa. Non esiste, infatti, alcuna garanzia che l’appartenenza all’Israele etnico garantisca l’appartenenza al rimanente erede della promessa. Le due nozioni d’Israele e “resto” non sono sovrapponibili (Rm 11,5)75. Con la venuta del

Signore Gesù si opera una selezione tra i rami dell'ulivo. Quelli secchi sono palesemente troncati (Rm 11,17).

La difficoltà a trarre le conseguenze necessarie dall’articolazione dell’alleanza nell’Antico Testamento induce Calvino a ingiustificate contorsioni. Afferma così che “tutti gli Israeliti sono stati membri della chiesa, figli di Dio ed eredi della vita eterna. … Ci sono

dunque due generi di figli che escono dalla chiesa; infatti, così come l’intero corpo del popolo è radunato da una stessa voce nell’ovile di Dio, tutti senza eccezione sono ritenuti – in base a questo rapporto – figli di Dio, ed il nome della chiesa è comune a tutti. Però riguardo al

santuario di Dio che ci è nascosto, sono ritenuti figli di Dio solo coloro per cui è ratificata la promessa”76. Per un verso si afferma “senza eccezione” e per un altro si dice che “solo coloro

per cui è ratificata la promessa…”. Ci sono quindi dei “figli” e dei “bastardi”, anche se non si chiarisce il profilo nazionale dell’alleanza e quello proprio alla grazia.

Sembra che la questione abbia sollecitato la riflessione di gran parte dei rappresentanti

della teologia riformata nel corso del tempo rendendo anche difficile trovare un pensiero pienamente unitario. Dopo aver distinto l’alleanza di predestinazione alla salvezza con Cristo

che riguarda gli eletti e l’alleanza di grazia conclusa con Abramo che riguarda eletti e riprovati77 , viene affermato che le differenze tra Antico Testamento e Nuovo Testamento hanno semplicemente a che fare con una diversa amministrazione78. In ambito riformato si

tratta di una vexatio quaestio che ha dato luogo ad una lunga serie di distinzioni79 per evitare

74 I.C., Opera Omnia II, Vol 13: Commentarius in Epistolam Pauli ad Romanos [su 9,7], Genève, Librairie Droz

1999, p. 193: “Quod autem omnes qui sunt ex Israele, negat esse Israelitas, et omnes qui sunt ex semine

Abrahae, esse filios, species est parônomasias; quandoquidem in priore membro universam progeniem

complectitur, altero germanos tantum filios designat, qui scilicet non degenerant” (J. CALVIN, Commentaires de

Jean Calvin sur le Nouveau Testament, t. 4, Epître aux Romains [1539], Genève, Labor et Fides 1960, p. 219:

“Quando [Paolo] dice che tutti quelli che sono d’Israele non sono Israeliti, e che tutti quelli che sono della

semenza d’Abramo non sono figli, si serve d’espressioni che possono dar luogo a equivoco. Il primo membro

comprende, infatti, tutta la razza e la generazione d’Abramo; il secondo intende solo i veri figli e cioè quelli che

non s’allontanano dalla retta via”. 75 Ibid., [su 11,5], p. 235: “paucos servari, praeunt magna est eorum copia qui nomen populi Dei ad se trahunt”

(p. 263: “poca gente è salvata, rispetto al gran numero di quelli che si gloriano d’essere [parte] del popolo di Dio

e si fregiano di questo titolo”). 76 I.C., In primum Mosis librum qui Genesis vulgo dicitur, Commentarius Iohannis Calvini [su Gn 17,7], op. cit,,

(tr. it., op. cit., pp. 304-5). 77 AUGUSTE LECERF, Etudes calvinistes, op. cit., p. 58; ID., “Des moyens de la grâce. Notes dogmatiques II” La

Revue Réformée (1955), N. 22, p. 57. 78 PIERRE MARCEL, “Le baptême, sacrement de l’Alliance de Grâce”, La Revue Réformée (1950), N. 2-3, p. 71. 79 Un ampio resoconto si trova in LOUIS BERKHOF, Systematic Theology, Grand Rapids, Eerdmans 1932, pp.

274-289. Si evocano due alleanze, interna e esterna (Th. Blake); due aspetti (P. Mastricht e altri); l’essenza e

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certe semplificazioni, ma che finisce anche per legittimare una “ragionevole certezza” che permette “una ragionevole attesa” per cui il legame legale esterno implicherà la comunione di

vita con Dio80. La Scrittura distingue a più riprese due alleanze. Una è “antica” (Eb 8,13; 2Cor 3,14;

cfr. Rm 7,6) o “prima” (Eb 9,1,18) e una è “nuova”81. La distinzione non deve essere formale,

ma deve comportare un’effettiva novità, una novità tale da superare ogni forma d ’incertezza presente nell’”antica”. La venuta del Signore Gesù sottolinea senza ambiguità l'inadeguatezza

dell'alleanza sinaitica e la necessità della sua sparizione (Eb 8,13). La morte sacrificale di Cristo ha inaugurato l’alleanza mediante il suo sangue (Eb 9,12-14; 10,19,29; 12,24; 13,12,20). Solo questa nuova alleanza, inequivocabilmente interiore, potrà costituire la piena

realizzazione delle promesse di Dio (Ger 31,31-34). Essa farà sì che non ci sarà più una vigna bastarda e inaffidabile (Ger 2-3), ma una vigna capace di dare sempre più frutto (Gv 15); non

vi sarà più un gregge disperso (Ger 23,3), ma un solo gregge con un solo pastore (Gv 10). Se nell’antica alleanza solo un rimanente fedele poteva godere per anticipazione dei benefici della nuova, con la venuta del Signore Gesù “gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione

(Ap 5,9) partecipa a tali benefici. Il popolo dell’antica alleanza si rapportava a Dio attraverso una struttura tribale in cui

figure mediatoriali svolgevano un compito importante82. L’accento è, infatti, spesso posto su tali conduttori che permettono ad altri di beneficiare o meno delle benedizioni divine. Ma la nuova alleanza comporterà dei cambiamenti drammatici per cui ciascuno avrà una

responsabilità diretta (cfr. Ger 31,29-30)83. Si capisce allora come il Nuovo Testamento possa delineare le caratteristiche di un tempo non più segnato dalle ambivalenze proprie al regime precedente. Mentre l’antica alleanza lasciava sussistere una certa ambiguità formale nel senso

che si poteva far parte dell’Israele etnico senza partecipare interiormente alle benedizioni dell’alleanza, con la nuova alleanza le categorie si definiscono senza incertezza.

La coerenza dell’azione di Dio ha a che fare col fatto che egli ha sempre guardato al cambiamento del cuore. Ora un simile cambiamento può essere concesso solo da Dio, ad personam e per l'eternità (Ger 31,29-37; cfr. 33,14-26). In quest’azione non c’è nulla di

generalizzato. Ciò che conta per essere veri figli d’Abramo, non è mai stata la continuità naturale, bensì la fedeltà di Dio alla sua promessa (Gal 4). Con la venuta del Signore Gesù

tale verità emerge in tutta la sua formidabile chiarezza. La promessa che l’intera comunità avrebbe conosciuto il Signore (Ger 31,33-34) si è finalmente realizzata. In contrasto con gli israeliti riuniti al monte Sinai (Eb 12,18-21), i credenti del nuovo patto sono già riuniti per

incontrare Dio nella “Gerusalemme celeste” (Eb 12,22-24). Grazie all’azione dello Spirito Santo essi sono già venuti (προσεληλυθατε, tempo perfetto) alla loro destinazione finale

anche se ne attendono la consumazione. Questi elementi potrebbero indurre qualcuno a interrogarsi sulla coerenza trinitaria

della riflessione ecclesiologica di Calvino. La prima legittima preoccupazione di Calvino ha a

l’amministrazione (C. Olevianus, F. Turrettini); una assoluta e una condizionale (J. Koelman); due aspetti (A.

Kuyper, H. Bavinck, A.G. Honig); relazione legale e comunione di vita (G. Vos). 80 Ibid., p. 287. 81 Il termine “nuovo” può essere collegato alla nuova alleanza evocata da Geremia 31,31-34 anche se c’è una

certa discussione sul significato del termine (eb., hadas; LXX, kainos) e sulla sua effettiva novità. Va preso

come un semplice rinnovamento (Lam 3,22-23) o come espressione di qualcosa di qualitativamente diverso (Es

1,8; Dt 32,17; 1Sam 6,7; Eccl 1,10)? Sembra preferibile determinarlo tenendo conto dell’ambito della storia

della redenzione, WILLIAM J. DUMBRELL, Covenant and Creation: A Theology of the Old Testament Covenants ,

Carlisle, Paternoster 1984, p. 175; G. K. BEALE, A New Testament Biblical Theology, Grand Rapids, Baker 2011,

pp. 727-49. 82 Cfr. D.A. CARSON, Showing the Spirit, Grand Rapids, Baker 1996, pp. 150-8; ID., “1-3 John” in Commentary

on the New Testament Use of the Old Testament , edd., G.K. BEALE and D.A. CARSON, Grand Rapids, Baker

2007, p. 1065. 83 D.A. CARSON, Showing the Spirit, op. cit., p. 152.

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che fare con la necessità d’onorare la sovranità dell'elezione. Dio vi svolge giustamente un ruolo primario. La seconda ha a che fare con l’impegno a sottolineare l'oggettività della

salvezza. Con la sua opera Gesù Cristo l’ha realizzata una volta per sempre. L’interrogativo riguarda l’applicazione di tale opera qui e ora. L’azione dello Spirito Santo è veramente tale da avere un ruolo preciso in questo disegno redentivo? L’impressione è che per quanto

concerne l’ecclesiologia le prime due persone della trinità abbiano un ruolo chiaramente definito mentre non sembra si possa dire lo stesso quanto a ll’opera dello Spirito Santo. Si ha

l’impressione che il momento della fede personale in quanto opera dello Spirito Santo sia in qualche misura minimizzato.

Da un punto di vista storico si deve anche tenere conto dei fattori sociologici. Sembra,

in effetti, difficile pensare che l’ecclesiologia di Calvino si sia sviluppata a partire da lla semplice esegesi del testo biblico. E’ più facile pensare che le pressioni anabattiste e

cattoliche abbiano avuto il loro peso e che abbiano condizionato l’elaborazione dell'ecclesiologia calviniana. Anche se l’impianto teologico di fondo del riformatore è rimasto sostanzialmente biblico, la costruzione ecclesiologia ha risentito delle controversie del tempo

ed è rimasta dipendente da un’impostazione prevalentemente costantiniana. E’ vero che ogni ecclesiologia è sempre ecclesiologia viatorum nel senso che è

elaborata in un preciso contesto e che l’opinione altrui deve essere tenuta presente, è chiaro però che se si vuole rispettare la rivelazione biblica non bisogna accontentarsi d’opporsi a eventuali distorsioni e che bisogna osare andare il più in profondità possibile nella sua

comprensione. Va tuttavia sottolineato che pur non avendo potuto beneficiare di una rifondazione completa, l’ecclesiologia di Calvino non può essere considerata un’ecclesiologia “ecumenica”84. Anche se ci sono percorsi da approfondire, il pensiero del riformatore non fa

molte concessioni a mode “ecumeniche”. La predicazione della Parola di Dio e l’amministrazione corretta degli ordinamenti del Signore sono rimasti pilastri fondamentali

per il discernimento della vera chiesa. A questo punto sarebbe necessario un ulteriore approfondimento. Oltre allo studio

dell’Istituzione della religione cristiana, dei Commentari e dei sermoni, bisognerebbe

studiare anche gli scritti polemici, i catechismi, la corrispondenza. Per illuminare la pratica del riformatore bisognerebbe poi tenere presenti anche i Registri del concistoro di Ginevra

alla sua epoca insieme alle ricerche sociologiche sulla vita religiosa popolare. Le considerazioni sull’ecclesiologia di Calvino non possono dunque dirsi terminate perché andrebbero allargate a tutti questi settori. Sembra tuttavia che si siano delineate le linee di

fondo per una riflessione. Da quanto è emerso fin qui si ha l’impressione d’un impianto concettuale

insufficiente. Una struttura che non sembra valorizzare a sufficienza la funzione dello Spirito Santo nella costituzione della chiesa. L’azione dello Spirito Santo permette di pensare alla chiesa come un’entità contrassegnata dalla molteplicità di luoghi (πολυτοπια), ma anche

dall’ubiquità (πανταχουσια). Scrivendo alle varie chiese Paolo poteva presupporre una reale corrispondenza tra certe chiese e l’entità spirituale che esprimevano. Esse potevano essere

espressioni locali di una realtà sopralocale. Le due realtà non erano confuse, ma non dovevano neppure essere separate. Anche per questo esse potevano essere sollecitate ad una maggiore consacrazione al disegno di Dio.

Grazie a lui le chiese non erano concepite come delle realtà miste in cui potevano trovare legittimo posto credenti e ipocriti. Anche se accadeva che al loro interno

s’insinuassero dei falsi dottori e dei falsi fratelli, veniva incoraggiato l’esercizio della disciplina perché le chiese nel loro insieme rimanessero “colonna e sostegno della verità”

84 I tentativi per appropriarsi “ecumenicamente” di Calvino lasciano evidentemente nell’ombra ogni aspetto che

non pare allineato all’impresa, GERARD MANNION & EDUARDUS VAN DER BORGHT (edd.), John Calvin's

Ecclesiology. Ecumenical Perspectives, Edinburgh, T & T Clark International 2011.

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(1Tm 3,15). Esse dovevano, per principio, essere il popolo del patto che celebra, vive e annuncia il Re dei re e il Signore dei signori “per mezzo dello Spirito di Dio” (Fil 3,3).

La coscienza di certe distorsioni dell’insegnamento biblico, la consapevolezza che la polemica non dev’essere assunta come parametro dominante e che c’è bisogno di categorie concettuali adeguate, sollecita una ripresa più attenta dei temi ecclesiologici. L’assunzione di

paradigmi più rigorosi, una valorizzazione delle molteplici immagini e metafore bibliche, una più attenta articolazione tra Antico e Nuovo Testamento, una più stretta connessione con

l’opera dello Spirito Santo, possono allora offrire un immaginario più rigoroso e fecondo e tale da adattarsi sempre a nuove situazioni superando certe staticità ed essere costantemente ravvivato e controllato dallo Spirito Santo.

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SELEZIONE DI TESTI SULL’ECCLESIOLOGIA DI CALVINO

EMIL DOUMERGUE «La pensée ecclésiastique et la pensée politique de Calvin», Jean Calvin,

les hommes et les choses de son temps, Lausanne, 1889-1927, tome V; K. FROELICH, Gottesreich, Welt und Kirche bei Calvin, Münich, 1930, 48-74; PETER BARTH «Calvins Verständnis der Kirche», Zwischen den Zeiten, 8 (1930), 216-233; R. VOETZEL, Vraie et

fausse Eglise selon les théologiens protestants français au XVIIe siècle, Paris et Strasbourg, Presses Universitaires de France 1935; WILHELM NIESEL «Wesen und Gestalt der Kirche nach

Calvin», Evangelische Theologie 3 (1936), 308-330; HENRI STROHL «La notion d’Eglise chez les réformateurs», Revue d’histoire et de philosophie religieuse (1936/3-5), 265-319; AUGUSTE LECERF «La doctrine de l’Eglise dans Calvin », Etudes calvinistes, Neuchâtel,

Delachaux et Niestlé 1949, 55-68, poi Aix-en-Provence, Kerygma 1999; FRANÇOIS, WENDEL «L’Eglise», Calvin, sources et évolution de sa pensée religieuse, Paris, Presses Universitaires

de France, 1950, 221-236; ALEXANDRE GANOCZY, Calvin théologien de l’Eglise et du ministère, collection Unam Sanctam, n° 48, Paris, Le Cerf, 1964, 182-222; JACQUES

COURVOISIER «La dialectique dans l’ecclésiologie de Calvin», in Regards contemporains sur

Jean Calvin. Actes du Colloque Calvin, Strasbourg 1964, Cahiers de la Revue d’histoire et de philosophie religieuses, n° 39, Paris, Presses Universitaires de France, 1965, 86-101;

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