Riflessioni sul lavoro | di Letizia del Bubba

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RIFLESSIONI SUL LAVORO di Letizia Del Bubba In questi giorni sto riflettendo su tutta questa tematica del lavoro, del nostro rapporto con il lavoro, con tutti i vari lavori possibili che mol te giovani donne si sono anche inventate, e con tutte le difficoltà che giovani donne e giovani uomini affrontano oggi x un lavoro dignitoso. Da una parte abbiamo davanti una realtà fatta di precariato, non solo per persone giovani, ma anche x uomini e donne di circa 40 anni, ancora precari o espulsi dal lavoro a tempo determinato, immigrati pagati a cottimo, al nero, super sfruttati, per caricare le casse ai mercati centrali, o a lavorare nei campi nelle campagne italiane, obbligati alla clandestinità. Dall’altra ci sono persone, giovani donne come ad es. mia nipote Martina, che scrive: “non era importante quello che sarei andata a fare, ma piuttosto allontanarmi dai meccanismi inglobanti della Città-società, che ormai stavano soffocando le mie aspirazioni e i miei sogni, lasciando il posto ad un senso di inquietudine ed estraniamento alla vita quotidiana”. Diritti, sogni, aspirazioni, desideri. Quindi un groviglio di questioni, perché le donne “ al mercato portano tutto” come ha scritto Luisa Muraro. La mia generazione si è affacciata al mondo del lavoro con tutta una serie di regole di convivenza civile, di diritti, che, in questi ultimi dieci anni, piano piano, sono stati messi completamente in discussione. Non si tratta di privilegi, come ad esempio la possibilità, nel Pubblico impiego, di andare in pensione con 20 anni di anzianità. Questo non è mai stata una conquista sindacale ma una elargizione della politica paternalista e patriarcale della DC, per cui le donne erano soprattutto madri, quindi potevano lavorare senza professionalità ed essere sottopagate perché comunque avevano un marito che le manteneva, e potevano smettere di lavorare presto per una pensione minima, un optional x pagarsi “i vizi”. Insomma, le donne erano comunque sotto tutela degli uomini. Io parlo invece del diritto di assentarsi dal lavoro per seguire persone con handicap, per diventare madre, di essere malata, di rinnovare il contratto di lavoro. Diritti che pensavamo ormai acquisiti. E poi invece vedo tutte queste persone senza alcun diritto, che mi fanno quasi venire un senso di colpa, come se io fossi una privilegiata perché a 22 anni ho vinto un concorso per un lavoro fisso, ma che non amo e, dopo 41 anni di contributi, potrò andare in pensione. Desiderare di vivere in campagna, di coltivare la terra, di curare i giardini di altri dovrebbe essere un lavoro tutelato e riconosciuto come quello dei e delle precarie dell’Università, delle scuole, dei servizi. Un'altra voce che sento circolare in giro, spesso da parte di amministratori, è che “i precari sono un lusso che non ci possiamo più permettere”. Come se questi lavoratori e lav oratrici nei servizi, perché nella P .A. il precariato è impiegato soprattutto nel settore dei servizi alla persona, fino ad oggi avessero svolto un lavoro completamente inutile e fossero stati assunti solo per “raccattare consenso e voti”. E’ una visione completamente falsata della realtà. Quindi l’ingiustizia non è solo verso queste persone a cui si vuole negare il diri tto al lavoro, ma anche a noi cittadini e cittadine, che usufruiamo dei servizi da loro forniti. Oggi non esiste alcun soggetto politico che rappresenti, anche se in modo insufficiente, in modo a volte contradditorio, il mondo del lavoro. E questo è un triste dato di fatto con cui dobbiamo fare i conti. Io penso che il lavoro, i lav ori, dovrebbe essere il tema centrale della riflessione politica ma non nella sua astrattezza generica, ma nella carne e nel sangue, perchè è bene ricordare anche che a lavoro si può morire, della realtà viva delle persone. Associazione centrodonna Evelina de Magistris - www.evelinademagistris.it Materali di studio e riflessione in occasione dell’incontro “per ripensare assieme al lavoro...” | Livorno - 11 Dicembre 2010

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8/8/2019 Riflessioni sul lavoro | di Letizia del Bubba

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RIFLESSIONI SUL LAVORO

di Letizia Del Bubba

In questi giorni sto riflettendo su tutta questa tematica del lavoro, del nostro rapporto con

il lavoro, con tutti i vari lavori possibili che molte giovani donne si sono anche inventate, econ tutte le difficoltà che giovani donne e giovani uomini affrontano oggi x un lavorodignitoso.Da una parte abbiamo davanti una realtà fatta di precariato, non solo per persone giovani,ma anche x uomini e donne di circa 40 anni, ancora precari o espulsi dal lavoro a tempodeterminato, immigrati pagati a cottimo, al nero, super sfruttati, per caricare le casse aimercati centrali, o a lavorare nei campi nelle campagne italiane, obbligati allaclandestinità. Dall’altra ci sono persone, giovani donne come ad es. mia nipote Martina,che scrive: “non era importante quello che sarei andata a fare, ma piuttosto allontanarmidai meccanismi inglobanti della Città-società, che ormai stavano soffocando le mieaspirazioni e i miei sogni, lasciando il posto ad un senso di inquietudine ed estraniamento

alla vita quotidiana”.Diritti, sogni, aspirazioni, desideri. Quindi un groviglio di questioni, perché le donne “ almercato portano tutto” come ha scritto Luisa Muraro.La mia generazione si è affacciata al mondo del lavoro con tutta una serie di regole diconvivenza civile, di diritti, che, in questi ultimi dieci anni, piano piano, sono stati messicompletamente in discussione. Non si tratta di privilegi, come ad esempio la possibilità,nel Pubblico impiego, di andare in pensione con 20 anni di anzianità. Questo non è maistata una conquista sindacale ma una elargizione della politica paternalista e patriarcaledella DC, per cui le donne erano soprattutto madri, quindi potevano lavorare senzaprofessionalità ed essere sottopagate perché comunque avevano un marito che lemanteneva, e potevano smettere di lavorare presto per una pensione minima, un optionalx pagarsi “i vizi”. Insomma, le donne erano comunque sotto tutela degli uomini. Io parloinvece del diritto di assentarsi dal lavoro per seguire persone con handicap, per diventaremadre, di essere malata, di rinnovare il contratto di lavoro. Diritti che pensavamo ormaiacquisiti. E poi invece vedo tutte queste persone senza alcun diritto, che mi fanno quasivenire un senso di colpa, come se io fossi una privilegiata perché a 22 anni ho vinto unconcorso per un lavoro fisso, ma che non amo e, dopo 41 anni di contributi, potrò andarein pensione.Desiderare di vivere in campagna, di coltivare la terra, di curare i giardini di altri dovrebbeessere un lavoro tutelato e riconosciuto come quello dei e delle precarie dell’Università,delle scuole, dei servizi.

Un'altra voce che sento circolare in giro, spesso da parte di amministratori, è che “i precarisono un lusso che non ci possiamo più permettere”. Come se questi lavoratori e lavoratricinei servizi, perché nella P.A. il precariato è impiegato soprattutto nel settore dei servizi allapersona, fino ad oggi avessero svolto un lavoro completamente inutile e fossero statiassunti solo per “raccattare consenso e voti”. E’ una visione completamente falsata dellarealtà. Quindi l’ingiustizia non è solo verso queste persone a cui si vuole negare il diritto allavoro, ma anche a noi cittadini e cittadine, che usufruiamo dei servizi da loro forniti.Oggi non esiste alcun soggetto politico che rappresenti, anche se in modo insufficiente, inmodo a volte contradditorio, il mondo del lavoro. E questo è un triste dato di fatto con cuidobbiamo fare i conti. Io penso che il lavoro, i lavori, dovrebbe essere il tema centrale dellariflessione politica ma non nella sua astrattezza generica, ma nella carne e nel sangue,

perchè è bene ricordare anche che a lavoro si può morire, della realtà viva delle persone.

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8/8/2019 Riflessioni sul lavoro | di Letizia del Bubba

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Un tempo c'erano “gli esuberi” ora “i precari”, termini così anonimi che invece, siriferiscono a persone in carne e ossa, con una loro storia, sogni, aspirazioni, desideri,necessità.Mi sembra che il nodo politico di fondo sia che questo mondo abbia perso completamenteil senso della convivenza civile, della solidarietà, dell’uguaglianza dei diritti fondamentali,

come quello di non essere sfruttati, il senso della giustizia. E’ da qui, credo, che bisognaripartire, riscrivere le regole della civile convivenza o, come la chiama Michela Murgia,“l’amicizia civica”.E tutto questo percorso politico deve essere fatto senz'altro nelsindacato, senz'altro nei partiti che si dicono di sinsitra, ma anche e soprattutto in ognunae ognuno di noi, nelle pratiche quotidiane.Perchè solo instaurare rapporti, confrontarsi,costruire reti di solidarietà può renderci più consapevoli, più forti e anche più libere.

2 dic 2010

 

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