RIFLESSIONI DI OSCAR MONTALDO SULL'EDUCAZIONE … · RIFLESSIONI DI OSCAR MONTALDO SULL'EDUCAZIONE...

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CENTRO DI RICERCA E SPERIMENTAZIONE DELLA EDUCAZIONE MATEMATICA RIFLESSIONI DI OSCAR MONTALDO SULL'EDUCAZIONE MATEMATICA a cura di Lucia Grugnetti 10 settembre 1999

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CENTRO DI RICERCA E SPERIMENTAZIONE DELLA EDUCAZIONE MATEMATICA

RIFLESSIONI DI

OSCAR MONTALDO

SULL'EDUCAZIONE MATEMATICA

a cura di Lucia Grugnetti

10 settembre 1999

Sono qui raccolti articoli e note a carattere didattico del Professor Oscar Montaldo pubblicati a

partire dal primo numero dell'aprile 1980 e fino al terzo numero del 1996, sulla rivista

l'Educazione Matematica, da Lui fondata.

Si tratta di articoli e note su tematiche di grande attualità e che evidenziano un'attenzione

particolare e costante al rapporto fra l'allievo e la matematica, passando anche attraverso

riflessioni di tipo storico. Sono messi a confronto un insegnamento tradizionale cattedratico e un

insegnamento che pone l'allievo al centro della costruzione del sapere esaltandone le capacità

creative. Sono prese in considerazione le problematiche diventate ora attuali della continuità tra i

vari livelli scolari, della formazione degli insegnanti e dell'impatto delle nuove tecnologie

sull'apprendimento della matematica.

I problemi del mondo non verranno risolti dagli scettici o dai cinici i cui orizzonti

sono limitati dalla realtà e dalle sue evidenze. Ci vogliono persone capaci di

sognare cose nuove.

John Fitzgerald Kennedy

O. Montaldo CRSEM 1999

LA MATEMATICA È’ DIFFICILE DA CAPIRE O È’ DIFFICILE FARLA CAPIRE?

n. 1 - 1980

Esiste un accordo pressoché unanime sull'apporto strumentale che questa disciplina dà al progresso tecnico-scientifico che si fa sempre più incalzante e strabiliante nei nostri giorni.

Non sono invece molti i non matematici ad attribuirle un valore culturale. La maggioranza delle persone che hanno seguito studi di tipo umanistico si fanno

ancora vanto, infatti, di non aver mai capito la Matematica sin dalle prime classi. Tali persone non la capivano veramente oppure non ne venivano attratte? Da vari anni si ritiene vera la seconda ipotesi: la Matematica perde tutto il suo

fascino, diventando addirittura noiosa, se insegnata, come purtroppo accade in notevole misura, in forma nozionistica, dunque niente affatto formativa.

Si risponde oggi alla domanda del titolo di questo articolo che il difficile non è capire la Matematica, è farla capire.

Capita, diventa una disciplina tra le più interessanti. Per renderla attraente e pertanto capibile occorre però modificare profondamente i

curricoli e, soprattutto, le metodologie dell'insegnamento o, come più propriamente si dice oggi, dell'educazione matematica a tutti i livelli di scolarità.

Per cercare di risolvere questo problema intorno agli anni sessanta è nato in tutto il mondo un vasto fervore di iniziative di alcune delle quali verrà fatto un breve cenno nell'articolo che segue1.

La revisione critica dei fondamenti della Matematica che si è sviluppata a partire dall'inizio del secolo e che ha portato alla matematica assiomatica e delle strutture non poteva non avere incidenza sui curricoli dell'insegnamento di questa disciplina anche nell'arco pre-universitario.

D'altra parte l'anacronismo tra la scuola tradizionale e l'evoluzione della struttura sociale di questi ultimi anni ed il notevole sviluppo della moderna scienza dell'educazione hanno contribuito notevolmente al rinnovamento delle metodologie didattiche dell'educazione matematica.

L'obiettivo comune a molti progetti e sperimentazioni italiani e stranieri è quello di suscitare l'interesse dei ragazzi partendo da situazioni, fatti e fenomeni della loro realtà che ne stimolino le capacità intuitive con ragionamenti via via più organizzati fino ad arrivare ad inquadrare in un medesimo schema logico questioni apparentemente diverse (astrazione).

Naturalmente questo cammino deve essere percorso, con molte cautele e dedizione, passo dopo passo con la partecipazione attiva degli allievi che devono essere i veri protagonisti della "scoperta" della Matematica come interpretazione della realtà nei suoi aspetti naturalistici, economici, linguistici, etc.

Le sperimentazioni condotte in questo senso hanno conferito alla matematica quel fascino e facilità di apprendimento che non aveva nell'insegnamento tradizionale frammentario, nozionistico e confezionato e calato dall'alto della cattedra dal docente su un uditorio passivo e disinteressato.

Il percorso metodologico-curriculare che ho molto sommariamente illustrato e che, come ho detto, dalle sperimentazioni effettuate sembrerebbe portare ad un migliore apprendimento della matematica, è però irto di difficoltà per quei docenti, e sono la maggior parte, che non abbiano una preparazione ed uno spirito di dedizione adeguati.

[Nota del curatore] Grugnetti, L., Montaldo, O.: 1980, Si progetta nel mondo una matematica "capibile", L'Educazione Matematica, n. 1, 3-7.

O. Montaldo CRSEM 1999

LA MATEMATICA E L'INSEGNAMENTO DELLE SCIENZE INTEGRATE1

n. 3- 1981

E' tradizionale il modo di concepire, da una parte le cosiddette scienze integrate, caratterizzate da una reciprocità di scambi intesi ad un fine comune, e dall'altra la matematica a sé stante, chiusa in una torre d'avorio.

Se uno steccato del genere può essere ammesso in certi momenti storici non se ne può certo concepire l'esistenza nei tempi attuali.

Ritengo che non sia nel vero chi sostiene che lo steccato trae la sua origine naturale dalle tecniche diverse con le quali si sviluppano la matematica e le altre scienze, cioè dal fatto che queste attingono le loro leggi dall'osservazione dei fenomeni naturali e si valgono dell'induzione mentre la matematica è una speculazione di natura logica a carattere teorico che si avvale prevalentemente di processi deduttivi.

Sono invece d'accordo con Popper ove dice - tutta la concezione del mondo scientifico si può riassumere in tre parole: problemi, teoria, critiche - e poi ancora - noi non siamo studiosi di certe materie bensì di problemi. E i problemi possono passare attraverso i confini di qualsiasi materia o disciplina -.

Se non si può che concordare con Popper sull'inesistenza dei confini tra le varie discipline, per la matematica questa osservazione acquista un valore quasi universale e investe i suoi rapporti con tutte le altre scienze.

Ciò non significa, naturalmente, che le singole discipline debbano perdere la loro identità e rinunciare alle tecniche tradizionali con cui hanno edificato le rispettive teorie.

Vediamo però ora di esaminare brevemente il ruolo della matematica nell'ambito delle altre scienze.

A livello di ricerca l'apporto della matematica ad altre aree scientifiche ha, come noto, origini antiche soprattutto nel campo della fisica, dell'astronomia, dell'ingegneria.

Numerosi sono gli esempi di matematici, a partire da Archimede, che hanno dato contributi notevoli allo sviluppo di quelle discipline. Ma il ruolo della matematica, salvo i sopraddetti apporti costruttivi, è stata, e in certa misura lo è ancora, considerata strumentale.

Bisogna arrivare al nostro secolo - secolo contraddistinto da approfondita revisione e riflessione, dalla tendenza ad una visione unitaria per una migliore comprensione delle strutture scientifiche e delle loro interdipendenze - per riscontrare l'inizio di un organico processo integrativo delle varie discipline.

Tale processo, destinato certamente a svilupparsi ed approfondirsi in futuro, maturato in prevalenza negli anni della seconda guerra mondiale (la ricerca operativa, nata in quegli anni, ne è forse il primo esempio) ha portato ad eliminare o perlomeno a sfumare i confini tradizionali sia nell'ambito di una stessa disciplina (ad esempio, per la matematica tra la geometria e l'algebra, l'analisi e la probabilità) ma anche nell'ambito di discipline diverse come, ad esempio, la fisica, la chimica, la biologia.

Il ruolo della matematica incomincia ad essere considerato essenziale, oltre che nei campi tradizionali sopraddetti della fisica, astronomia, ingegneria, soprattutto in economia e biologia. Ma si fa strada, sia pure a fatica, anche l'integrazione della matematica con altre discipline come la chimica, la geologia, l'ecologia, la geografia, la sociologia, la linguistica, la musica.

La tecnologia e l'industrializzazione che hanno raggiunto in molti Paesi livelli veramente impressionanti (il recente lancio dello Shuttle ne è l'ultima conferma) e che richiedono apporti matematici sempre più sofisticati, sono stati e sono, probabilmente, lo stimolo principale a cambiare e ad adeguare l'impostazione della ricerca scientifica.

A livello didattico si riscontra, come è forse naturale, un notevole ritardo: la Scuola si muove con molta lentezza in tutti i Paesi e, in particolare, in Italia.

Per tale motivo Enti e docenti particolarmente sensibili e preparati si sono sostituiti allo Stato, anche in Italia, portando avanti ricerche e sperimentazioni intese a rendere

Relazione tenuta il 24-4-1981 al Convegno COASSI su "Educazione scientifica di base" a Montecatini Terme.

O. Montaldo CRSEM 1999

l'insegnamento pre-universitario nei contenuti e nelle metodologie più aderenti alla realtà dei nostri tempi.

Il titolo di questa relazione sembrerebbe voler dire che le scienze non matematiche nell'insegnamento pre-universitario sono già integrate da chi le insegna mentre resterebbe da stabilire come integrare la matematica con le altre scienze.

In realtà le cose non stanno proprio così e, salvo lodevoli eccezioni, si è ancora ben lontani dal realizzare una soddisfacente integrazione anche tra le scienze non matematiche tra loro più affini.

Consentitemi di affermare, e del resto è da tutti riconosciuto, scusando il mio orgoglio di matematico, che i docenti che si preoccupano dell'integrazione dell'insegnamento delle "scienze integrate" sono assai meno numerosi dei docenti matematici che compiono ogni sforzo per collegare, molto spesso senza il conforto della reciprocità, il loro insegnamento all'insegnamento delle altre scienze.

Permettetemi a questo punto anche un'osservazione. Sempre a livello didattico ricorrono frequentemente e non sempre a proposito,

termini come multi-pluri-inter-disciplinarità e cosi via e si ha l'impressione che ci si compiaccia dell'uso di vocaboli alla moda su cui si innestano persino sottili distinzioni dialettiche, ma che, a mio avviso, rischiano di creare una grande confusione.

A me pare che la semplice denominazione di "Educazione scientifica" quando di vera educazione si tratti, sia ampiamente comprensiva di ciò che si vuole o si crede di esprimere con quei termini e contenga tutte le implicazioni che riguardano tempi e livelli di connessione, di interdipendenza, di reciprocità degli scambi tra i vari argomenti provenienti da discipline diverse o dalla stessa materia.

I matematici, in particolare, come ho già detto, sono da tempo fortemente impegnati nel mondo e in Italia nel processo innovativo dell'insegnamento scientifico.

Nel contesto internazionale è degna di menzione l'iniziativa della Commissione direttiva per il programma CTS/ICMI/UNESCO "Cooperazione tra insegnanti di scienze e insegnanti di matematica" intesa a preparare dei libretti di facile lettura a carattere matematico interdisciplinare che diano suggerimenti da utilizzare da parte degli insegnanti direttamente nelle classi di scolarità dagli 11 ai 19 anni.

Nove libretti sono stati già preparati in una prima stesura dattiloscritta e dovrebbero venire pubblicati quest'anno. (Maggiori informazioni sono contenute nel 1° numero della Rivista "L'Educazione matematica" edita a cura del CRSEM di Cagliari).

La metodologia che in questa direttrice seguono attualmente, in genere, i matematici, è quella di motivare a priori l'introduzione di un concetto partendo da una situazione concreta, possibilmente collegata alla storia e tratta dalle scienze sperimentali (è oggi nuovamente sentita l'esigenza della conoscenza della evoluzione storica della Scienza).

Io sono convinto dell'efficacia di questo modo di procedere che è poi quello del Centro che dirigo; ma desidero fare alcune considerazioni cautelative.

Intanto, se è vero che molti spunti sono venuti alla matematica da problemi di altre Scienze (si pensi, ad esempio, al bellissimo spunto dato da DIRAC per la costruzione della teoria delle distribuzioni), è altrettanto vero che molte teorie matematiche astratte hanno avuto notevoli e imprevedibili applicazioni (classico esempio, il calcolo differenziale assoluto di RICCI-CURB ASTRO utilizzato da EINSTEIN per la relatività generale).

Ho voluto citare questi due esempi tra i tanti che si potrebbero citare, per non alimentare nei giovani l'illusoria convinzione che la matematica si costruisce esclusivamente partendo da soli problemi concreti.

Dice ALAN ROGERSON, direttore scientifico del S.M.P.7-13, in un articolo apparso nel primo numero 80 della Rivista "L'Educazione matematica" dal titolo "I molteplici ruoli della matematica": "Uno di tali ruoli, naturalmente, è lo studio della matematica stessa, senza riferimento ad altri argomenti e ciò non dev'essere dimenticato".

Un'altra osservazione che dev'essere tenuta presente è che la situazione "concreta" dalla quale si vuol far scaturire un concetto dev'essere veramente reale e interessare gli allievi.

Bisogna nettamente bandire cioè ogni forzatura: per introdurre dei concetti geometrici a livello di Scuola d'obbligo si inventano talvolta dei giochi e si costruiscono

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macchinette per realizzarli più complicati e noiosi dei concetti stessi che si vogliono introdurre.

Voglio infine osservare, sul tema dell'integrazione della matematica con le altre aree scientifiche, che occorre stare attenti a non sostituirsi alle competenze altrui, cosa che può condurre alla confusione dei ruoli anziché a chiarire ed arricchire le idee.

Il problema va affrontato attraverso una approfondita collaborazione tra le varie competenze.

Il matematico deve aiutare il collega naturalista, chimico, ecc. ad impadronirsi di quei concetti matematici e principi dinamici e dei motivi logici che li governano allo scopo di integrare la comprensione dei propri problemi anche sotto l'aspetto matematico.

Di contro sta al docente interessato far conoscere al matematico - con formulazione chiara ed essenziale - i propri problemi che sono, in sostanza, come ho già detto, problemi di area comune.

Ma vediamo, in concreto, cosa si può suggerire allo stato attuale, perchè l'introduzione di adeguati strumenti matematici, contribuisca con efficacia a quel processo di maturazione scientifica, quale appare oggi indispensabile, nella formazione dei ragazzi.

Nei suggerimenti metodologici che sto fugacemente per dare non farò volutamente distinzione tra i vari livelli di scolarità pre-universitaria, in quanto quasi tutti gli argomenti che si trattano nell'arco di studi pre-universitari, io credo, possano avere l'avvio sin dalle prime classi delle Scuole elementari ed essere via via consolidati, ampliati ed affinati in un processo di apprendimento a spirale che consiste, appunto, nel proporre lo stesso argomento in tempi successivi con gradi crescenti di completezza e rigore.

• Ritengo che come primo passo sia opportuno far riflettere i ragazzi, ovviamente a diversi livelli di approfondimento in relazione alla loro età, sulla connessione tra la matematica e la vita pratica.

Vivendo immersi nella nostra società industrializzata ci sfuggono gli innumerevoli concetti e strumenti matematici, che sono alla base di tale società e che influenzano la nostra vita quotidiana.

E' evidente che alcune delle connessioni sopraddette tra la matematica e le attività pratiche sono state già più o meno interiorizzate dal ragazzo a diversi livelli secondo l'età e l'ambiente in cui vive, ma richiamarle in sede preliminare serve a orientarlo gradualmente verso l'esplicazione delle intuizioni originarie.

Un'educazione efficace consiste appunto nel far emergere ciò che nel ragazzo, proveniente da esperienze di vita familiare e sociale, si trova allo stato nascente, in modo da renderlo gradualmente cosciente delle leggi generali cui sono soggette nozioni nascostamente assorbite per abitudine e rapporti della nostra vita quotidiana.

Una volta che, nell'ambito degli accordi preventivi dei docenti delle varie discipline cui ho accennato, si siano fatte constatare ai ragazzi, in forma esplicita, le interconnessioni della matematica e delle altre aree scientifiche con la vita pratica di tutti i giorni, anche nei suoi aspetti più consueti ed elementari, si potrà passare a presentare in classe problemi che coinvolgono più aree scientifiche, senza il timore che gli allievi li giudichino mere esercitazioni scolastiche.

Per finire vorrei indicare almeno un esempio di ricerca matematica collegata ad altre aree scientifiche che può essere iniziata a livello di scuola elementare e portata avanti gradualmente con gli opportuni approfondimenti fino alla scuola secondaria superiore.

E' ben noto il fascino che esercita la natura sui bambini nell'ambito del loro processo esplorativo dell'ambiente che li circonda.

La Scuola, approfittando di queste loro inclinazioni, deve aiutarli ad interpretare e valutare sistematicamente le loro scoperte.

Sembra particolarmente significativo per il suo contenuto didascalico, l'esempio offerto dalla "Geometria della Natura".

I suggestivi modelli geometrici presenti in natura che inducono KANT ad affermare che "a introdurre la matematica nella filosofia naturale è la natura stessa, non il matematico" sono sotto lo sguardo e alla portata di tutti e a questi ci si può richiamare per dare esempi di curve, di poligoni, di poliedri, di coni, di sfere, tratti

O. Montaldo CRSEM 1999

dall'osservazione sul suolo, nei mari, nel cielo, degli esseri viventi, dei minerali, dei vulcani, dei pianeti, etc.

A modelli di ellissi e parabole, ad esempio, ci si potrà sempre rifare attraverso le orbite dei pianeti, dei satelliti artificiali, di alcune comete. La sezione di una conchiglia di un nàutilo che ne mostri le camere interne, offrirà un ammirevole modello di spirale.

E' del tutto spontaneo riconoscere che è legge della natura il fatto che per ricoprire una superficie con poligoni regolari a guisa di pianelle, gli angoli debbono essere divisori di 360° e per ciò i soli poligoni atti alla costruzione delle cellette degli alveari delle api sono: i triangoli equilateri, i quadrati, gli esagoni regolari. La constatazione che tra questi, la natura non esita ad adottare l'esagono regolare, in quanto legato all'esigenza di un maggior contenuto di miele, ci offre un espressivo esempio di problema di ottimizzazione.

I fiocchi di neve quando sono cristallizzati sono all'incirca poliedri a facce esagonali; solidi regolari si trovano nel regno minerale, come i diamanti e i cristalli di sale, e ancor più tra gli esseri viventi: il fondo dell'Oceano Pacifico e dell'Oceano Indiano è coperto da strutture silicee microscopiche di scheletri di animali vissuti milioni di anni fa che si presentano all'incirca a forma di ottaedro, di dodecaedro, di icosaedro regolari.

Alla forma più comune dei vulcani è associato il concetto geometrico di cono; la luna, il sole, le stelle che appaiono come sfere splendenti, a loro volta sono immagini di un ben definito oggetto geometrico.

Ma la materia in tutti i suoi aspetti, sia che si tratti di organismi viventi o di strutture amorfe o cristalline è sempre intimamente legata nella sua forma e nei suoi sviluppi a fenomeni di movimento, di accrescimento, di trasformazione.

Ed è cosi che nascono, collegate a quelle osservazioni di sola forma, una moltitudine di problemi diversi che coinvolgono la genetica, la biochimica, la biofisica per gli esseri viventi, la fisica e la chimica per la materia inanimata.

In quest'ordine di idee si potranno fare non poche osservazioni: volumi e superficie di numerosi esseri viventi sono in stretta relazione con la quantità di cibo e con gli scambi di calore necessari per la sopravvivenza; la velocità di movimento (camminare, volare, saltare) è in relazione alla grandezza del corpo in movimento, alla gravità e ad altri fattori; tensione superficiale, viscosità, moti browmiani, sono fenomeni di natura fisica che possono ancora riguardarsi in questa medesima ottica unitaria.

Né la natura è meno prodiga di esempi di trasformazioni geometriche. Si può richiamare l'attenzione sulle simmetrie così diffuse in molti fatti naturali che hanno avuto già largo spazio nelle sperimentazioni che da qualche tempo sta attuando il Centro di Ricerca e Sperimentazione dell'Educazione Matematica di Cagliari in tutto l'arco Scuola elementare - Scuola secondaria superiore.

E' questo, senza dubbio, un concetto basilare per interpretare e leggere numerosi fatti e fenomeni naturali e per rendersi conto di molte leggi che regolano la vita animale e vegetale.

Sin dall'osservazione di foglie, fiori, frutti, farfalle, conchiglie, del corpo umano, di cristalli, etc. si potranno scoprire relazioni di simmetria, passando gradualmente dalle simmetrie più semplici con un solo asse di simmetria, a quelle più complicate con più assi di simmetria.

Dall'osservazione del mondo della natura si passerà poi a quello prodotto dall'uomo dove si potranno trovare numerosi esempi di simmetrie semplici e complesse e si noterà che queste attingono ad un grado di perfezione che, in genere, quelle naturali sono lungi dal possedere.

Senza pretesa di ulteriore approfondimento, mi limito a osservare che in ciò è contenuto il germe di quel principio di astrazione che via via gradualmente sviluppato per trattare problemi concreti in modo pratico, dovrebbe, a mio avviso, rappresentare il fine ultimo di ogni corretto ed efficace impegno didattico.

O. Montaldo CRSEM 1999

D'ARCY W.THOMPSON

IRVING ADLER

ALAN ROGERSON

MICHELE PELLEREY

OSCAR MONTALDO

BIBLIOGRAFIA

- Crescita e forma Univ. Scient. Boringhieri.

- Il segreto dei numeri Mondadori.

- I molteplici ruoli della matematica L'Educazione matematica - n° 1, 1980, CRSEM - Cagliari.

- Per un apprendimento significativo del concetto di simmetria nella Scuola elementare L'Educazione Matematica - n°2, 1981, CRSEM Cagliari.

- L'Unità di Cagliari si presenta L'Educazione Matematica n° 1, 1980, CRSEM Cagliari.

O. Montaldo CRSEM 1999

LA SCUOLA OGGI CON UNO SGUARDO AL PASSATO E AL FUTURO E CON UN PARTICOLARE RIFERIMENTO

ALL'INSEGNAMENTO MATEMATICO'

n. 1 - 1989

1. Non si può, a mio avviso, parlare della scuola d'oggi senza rifarsi in qualche modo alla riforma Gentile.2

Tale riforma collocava al di fuori della cultura la matematica e, più in generale, la scienza attribuendo a questa un ruolo essenzialmente pratico.

La filosofia della separazione della scienza dalla cultura alla quale si è ispirata la riforma Gentile, caratterizzando in questo senso per decenni la scuola italiana, condiziona ancor oggi la formazione di una nuova cultura della quale la scienza sia parte essenziale.

La riforma Gentile conservava ed accresceva il ruolo di élite del liceo classico (istituito col nome di ginnasio-liceo in base alla legge Casati del 1859) ed esaltava ancor più il carattere umanistico di questo, potenziando gli studi storico-filosofici a scapito .degli insegnamenti scientifici.

Questi ultimi trovavano una loro più ampia collocazione con l'istituzione di un liceo scientifico quadriennale in seguito alla soppressione del liceo moderno e delle sezioni fisico-matematiche degli istituti tecnici.

Questo liceo, a differenza di tutte le altre scuole secondarie superiori, non aveva un proprio corso inferiore di base. Vi si accedeva mediante un esame di ammissione dal quadriennio inferiore di altre scuole secondarie superiori.

Questo fatto insieme all'altro che dal liceo scientifico si poteva accedere agli studi universitari in facoltà diverse da quelle di lettere e giurisprudenza mentre dal liceo classico si poteva accedere a tutte le facoltà universitarie comprese le scientifiche, dà la misura della considerazione ben diversa in cui in quei tempi venivano visti gli studi classici e scientifici. In merito alla riforma Gentile si levavano varie critiche di illustri scienziati.

Ricordo per tutte un brano tratto dall'articolo di Federico Enriques dal titolo "La riforma Gentile e l'insegnamento della matematica e della fisica nella scuola media"3

pubblicato nel 1928 sul "Periodico di matematiche" [3] "// posto che si è fatto nella scuola media e particolarmente nell'Istituto classico, agli insegnamenti scientifici è inadeguato agli scopi che occorre raggiungere; non ne indago le cause. Riconosco d'altronde, tutto il valore dell'educazione classica e storica che si è voluto promuovere. Però sono convinto che in questa stessa educazione ha parte necessaria lo studio delle scienze fisiche e matematiche... Si deve richiedere che esso sia svolto secondo lo stesso criterio che è domandato per le discipline letterarie: "avviando via via i giovani a lavorare da sé, a ricercare in sé la scoperta della verità, anziché porgente loro la semplice notizia; aiutandosi, ove occorra, con qualche illustrazione storica per chiarire il senso dei problemi e dei metodi"".

Si noti l'attualità di tali indicazioni date allora agli insegnanti che tuttavia, salvo rare eccezioni, rimanevano inascoltate mentre si continuavano a seguire, in genere, i

1 Articolo tratto in gran parte da una conferenza tenuta dall'autore nell'ambito del Convegno "Cultura matematica ed insegnamento" Firenze 30, 31 maggio, 1 giugno 1988.

Giovanni Gentile (1875-1944), filosofo d'estrazione hengheliana, attribuiva la causa della decadenza morale e politica dell'Italia negli anni '20 al forte individualismo ereditato dal Rinascimento e vedeva il fascismo come il continuatore del Risorgimento interpretato come fondato sul concetto che l'individuo vive il proprio destino non disgiunto dalla famiglia, dalla patria, dall'umanità e, più in generale, dal processo storico. Ministro della Pubblica Istruzione (ottobre 1922-luglio 1924) con R. d. 6.5.1923, n. 1054 emanò (in seguito dei pieni poteri concessi al Governo con la legge 3.12.1922, n. 1601) una riforma della scuola che porta il suo nome. L'influenza politica del Gentile a partire dal 1924 andò verso un graduale declino man mano che il fascismo trasformava il processo di socialità dell'individuo in processo di cieca obbedienza collettiva al regime. 3 Intesa come istruzione secondaria, inferiore e superiore per un totale di otto anni.

O. Montaldo CRSEM 1999

tradizionali schemi basati sulla lezione-conferenza che trae la sua origine dalla remota discendenza della scuola secondaria dall'Università.

Condivido le critiche rivolte alla riforma Gentile per l'inadeguatezza dell'insegnamento scientifico nei licei classici. Ma devo anche sottolineare d'aver sperimentato, prima da studente universitario e successivamente da docente, che gli studenti provenienti dal liceo classico erano molto spesso tra i più bravi nei corsi di laurea in matematica, fisica, ingegneria.

Ciò dipendeva certamente dal fatto che i licei classici erano in genere frequentati da giovani provenienti da famiglie di solide tradizioni culturali, che i licei classici rispetto ai giovani licei scientifici potevano vantare una consolidata tradizione, ma, a mio avviso, ciò dipendeva soprattutto dall'approfondito studio del latino e del greco che dava ai giovani una capacità logica, che oggi si ricomincia a riconoscere, che li favoriva nell'apprendimento delle materie scientifiche.

Malgrado le esortazioni che venivano agli insegnanti dagli spiriti più eletti a modificare le metodologie didattiche, queste, come ho già detto, rimanevano basate sulle lezioni cattedratiche in genere non coordinate, su poche e rapide interrogazioni a carattere nozionistico, sul voto finale di promozione o bocciatura con spesso poche conoscenze sulla personalità degli allievi, dei loro interessi, delle loro inclinazioni.

Dice ancora Enriques in un articolo dal titolo suggestivo "Insegnamento dinamico" pubblicato nel 1921 sul "Periodico di matematiche" [4] "Ciò che si deve richiedere all'insegnamento matematico concepito come formativo delle facoltà logiche, è pròna di tutto di svolgere lo spirito di coordinazione... Ciò esige che il maestro vigili continuamente a legare fra loro le diverse parti del suo insegnamento: lezioni isolate l'una dall'altra, capitoli succedetesi l'uno dopo l'altro senza che mai se ne richiami la connessione, se pure accuratamente studiati nei più fini particolari, mal gioveranno allo scopo".

Le lezioni, argomenta sempre Enriques, che debbono portare per gradi l'allievo dal concreto all'astratto, siano svolte piuttosto sull'esempio del metodo di Socrate piuttosto che in maniera rigida, cattedratica (si noti ancora l'attualità di tali argomentazioni) "Confessiamo - continua Enriques - che il compito che ci è proposto è tremendamente difficile. Infatti se il nostro pensiero e la nostra parola debbono muovere l'attività del discepolo, bisogna che qualcosa di vivo che è in noi passi nello spirito di lui, come una scintilla di fuoco ad accendere altro fuoco".

Attualissime sono anche le argomentazioni sulla didattica della matematica di Francesco Severi. In un articolo del 1931 egli afferma "occorre non porre in mostra, fin da principio, tutta l'orditura logica, in quello che ha di meno attraente per chi comincia, che anzi tanto meglio sarà, quanto più la trama logica resterà discretamente dissimulata sotto un tessuto di osservazioni pratiche".

Nella prefazione alla VI edizione del 1936 degli "Elementi di geometria", Severi scrive ancora: "Una teoria fondata sopra concetti e definizioni, posta innanzi a priori come oggetti astratti del pensiero, senza verificarli mediante considerazioni pratiche, sviluppate con qualche ampiezza, le quali annodino legami, non obliabili, fra quei concetti e le osservazioni familiari, è manchevole, perché la sua efficacia è quasi nulla".

Numerosi altri ben noti matematici di allora si interessavano ai problemi della didattica della matematica. Chi volesse una maggiore documentazione e rendersi conto che molte critiche considerate oggi nuove possono farsi risalire a oltre mezzo secolo fa, può consultare l'articolo di Luigi Brusotti del 1950 dal titolo "Matematiche elementari" [1] "Articolo di grande interesse e tuttora molto attuale, che non dovrebbe essere ignorato da chiunque voglia occuparsi della didattica della matematica" afferma Modesto Dedò nella conferenza "Problemi della didattica della matematica" tenuta al X Convegno UMI di Cagliari (1975) [2].

2. Cessati gli eventi bellici della seconda guerra mondiale, l'Italia sconfitta, in un irripetibile slancio, si trasforma rapidamente da paese agricolo in paese fortemente industrializzato fino a collocarsi oggi tra i sette paesi più industrializzati del mondo.

In questa nuova situazione di benessere diffuso, come è naturale, esplode la scuola passando da scuola di élite a scuola di massa.

O. Montaldo CRSEM 1999

Lo Stato non si trova preparato ad affrontare tale evento. Mancano gli edifici scolastici e i docenti.

Si ricorre a doppi turni e talvolta a tripli turni scolari e ad inventare i docenti. I farmacisti possono insegnare matematica nella scuola media senza aver ricevuto nel loro corso di laurea alcun insegnamento matematico, laureati in legge possono insegnare una lingua straniera senza averne alcuna competenza, e così via.

Si accantonano i concorsi nazionali per il reclutamento dei docenti e si arriva con concorsi locali, sostenuti davanti a commissioni spesso non qualificate e attraverso leggi e leggine, sollecitate per motivi demagogici dai sindacati, a collocare in ruolo un gran numero di docenti non sempre all'altezza del loro compito.

La liberalizzazione dell'iscrizione a qualsiasi facoltà universitaria concessa nel 1969 a tutti i maturati provenienti da una qualsiasi scuola secondaria superiore quinquennale e lo scadimento degli esarni di maturità che danno via libera all'iscrizione all'Università in una percentuale prossima molto spesso al 100 % dei candidati, portano ad una Università di massa con conseguenze analoghe a quella della scuola pre-universitaria.

L'evidente scadimento culturale dei docenti e di conseguenza dei discenti è lo scotto che doveva forse essere pagato per realizzare il grande traguardo di una scuola per tutti.

Ma come risalire la china? Cosa si è fatto in proposito? Le metodologie didattiche usate, ma non solo, dal nostro paese, nell'ante-seconda

guerra mondiale non erano, come ho detto, certamente esenti da critiche. Ma la solida cultura, in genere, degli insegnanti, l'abitudine allo studio sistematico

dei giovani privilegiati che frequentavano la scuola e, soprattutto, la pressoché stabilità della società di allora facevano sì che quei sistemi didattici non producessero dei gravi danni.

Un giovane che conseguiva un diploma o una laurea sapeva in che modo avrebbe utilizzato il suo titolo di studio e sapeva anche che ciò che aveva studiato per conseguirlo sarebbe stato più o meno sufficiente, con qualche modesto eventuale aggiornamento, per inserirsi nel settore prescelto del mercato del lavoro.

Oggi le cose vanno diversamente. Non è più possibile, senza arrecare notevoli danni, usare in una scuola di massa, in una società in rapide e tumultuose modificazioni, i sistemi tradizionali d'insegnamento.

3. Con tale consapevolezza negli anni '50-'60 iniziava, come è noto, nel mondo un notevole movimento tendente ad una profonda revisione e a un radicale rinnovamento dell'insegnamento pre-universitario della matematica sia per quanto concerne i curriculi sia soprattutto per quanto riguarda la filosofia dell'educazione.

Tale movimento traeva la sua origine dall'immagine algebrico-formalista data alla matematica dai bourbakisti a partire dagli anni '30-'40 e si consolidava attraverso i congressi in Francia e USA nel 1959 e in Jugoslavia nel 1960.

In Italia, in un Convegno organizzato dalla C.I.I.M. a Bologna nell'ottobre 1961, veniva confermata la necessità dell'ammodernamento in senso strutturale dell'insegnamento della matematica nell'arco di studi pre-universitari.

Ma mentre in vari paesi, in particolare in Belgio e Francia, la cosiddetta "Matematica moderna" riceveva il riconoscimento ufficiale in sede di revisione dei programmi ministeriali, in Italia le nuove tendenze si concretizzavano in una forma sperimentale, frammentaria e disorganica.

Nelle scuole elementari entrava nei programmi, con grande affanno dei maestri, la cosiddetta "insiemistica" che avrebbe dovuto servire di base alla successiva costruzione dell'edificio strutturale della matematica.

Nelle scuole secondarie superiori alcune penultime classi dei licei e istituti magistrali, dette classi pilota, iniziavano, subito dopo il Convegno di Bologna, attraverso due testi stampati nel'62 e'63 a cura del Ministero della P. I. (un ibrido tra l'algebra astratta e la matematica tradizionale) una fase sperimentale fallita, com'era prevedibile, dopo alcuni anni.

Intanto l'ideologia strutturale-razionalistica di stampo prevalentemente francese con la sovraenfatizzazione delle tendenze algebriche a spese soprattutto della geometria non poteva che incontrare una forte opposizione specie da parte del pragmatismo

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anglosassone, portando ad impostazioni diverse o addirittura contrapposte soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti d'America.

Seguiva un periodo di confusione; nascevano in tutto il mondo numerose proposte e progetti i più disparati e contraddittori senza riuscire a trovare indicazioni didattiche univoche fino ad approdare al concetto unificante del cosiddetto "insegnamento per problemi ".

Tale metodologia si basa sull'osservazione che la matematica non deve necessariamente identificarsi con il metodo assiomatico poiché, come la storia testimonia, numerose teorie sono nate dai rapporti con le altre scienze e con la tecnologia.

L'insegnamento per problemi non significa la rinuncia all'astrazione, caratteristica irrinunciabile della matematica. Ma per arrivare all'astrazione che, come dice De Finatti, è il modo migliore di vedere unitariamente il concreto, occorre partire da vari aspetti del concreto ovvero da problemi reali. Ciò non significa un ritorno all'alto Medioevo, come sembra in un certo qual senso paventare in un suo articolo Luigi Pepe [8], se si tiene appunto presente la seconda fase del passaggio all'astrazione.

Tornando specificatamente all'Italia, sempre attorno agli anni '60, nasceva in forma spontanea ad opera di valenti insegnanti di scuole pre-universitarie la ricerca e sperimentazione di nuove metodologie didattiche per il rinnovamento dell'insegnamento della matematica nell'arco di studi pre-universitari.

Questi pionieri si riunivano nel 1968 per confrontare le esperienze e i risultati del proprio lavoro e cercare di costituire dei gruppi organizzati.

Ma solo negli anni 70 si costituivano ufficialmente presso varie università e col supporto finanziatio del CNR gruppi di ricerca e sperimentazione dell'educazione matematica nella scuola media e nella scuola secondaria superiore e successivamente nella scuola elementare.

Le ricerche e le sperimentazioni dei nuclei CNR, pur con gli inevitabili errori e forzature, sono state certamente valide premesse, per arrivare ai recenti programmi di matematica nei quali si è trovato un giusto equilibrio tra l'astrattismo di tipo francese e il pragmatismo anglosassone.

Mi riferisco al programma del 1979 per la scuola media giudicato quasi unanimamente buono ed avanzato; a quello della scuola primaria del febbraio 1985 ed entrato in vigore nelle prime classi nell'anno scolastico '87-'88, che, sorretto dalle più recenti indagini sull'età della pre-adolescenza, rappresenta uno dei programmi più avanzati del mondo.

Ed infine ai nuovi programmi del 1985 in corso di attuazione sperimentale nei bienni della scuola secondaria superiore, anch'essi di notevole interesse per la loro dinamicità ed attualità.

All'avvenimento singolare di aver iniziato ad emanare i nuovi programmi per la scuola media, scuola intermedia del corso di studi pre-universitalio, segue il fatto estremamente positivo, verificatosi per la prima volta in Italia, di aver formulato nuovi programmi della scuola precedente e parte della successiva in perfetta sintonia con lo spirito di quelli.

Fatto che rilevo con particolare compiacimento in quanto la filosofia della continuità dell'insegnamento della matematica nell'arco di studi pre-universitari (dalla scuola elementare alla scuola secondari a superiore) è stato il punto caratterizzante e fortemente criticato in Italia del programma di ricerca e sperimentazione portato avanti dal mio gruppo di Cagliari sin dal 1976.

4. Ma i programmi che ho ricordato, veramente innovativi, trovano gli insegnanti vecchi e nuovi impreparati.

Come spesso avviene in Italia si portano innovazioni talvolta buone ed avanzate ma manca la necessaria preventiva preparazione affinché esse possano essere realizzate.

Che cosa fanno le università per preparare i nuovi insegnanti in modo qualificato e che cosa si sta facendo, per riqualificare gli insegnanti in servizio?

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Purtroppo, le università, in genere, non hanno percepito la necessità di dare al corso di laurea in matematica ad indirizzo didattico una propria struttura culturale e professionale capace di fornire ai futuri insegnanti una formazione atta ad affrontare le esigenze della scuola moderna.

In genere gli studenti si laureano senza la conoscenza diretta degli argomenti che dovranno insegnare, di metodologie d'insegnamento, di processi cognitivi e così via.

Cosa che è sempre avvenuta ma, mentre una volta la laurea dava la capacità al futuro insegnante d'imparare da sé gli argomenti dell'insegnamento pre-universitario non svolti nel corso di laurea e per quanto riguarda le metodologie didattiche il neo insegnante poteva imitare quelle dei suoi professori, data la staticità della scuola e i lenti mutamenti della società, oggi la situazione è ben diversa.

Per sopperire, in una certa misura, alle deficienze culturali e professionali dei neo laureati in matematica e dar loro un primo avviamento alla ricerca didattica, ho ideato e realizzato nell'ambito della C.I.I.M. e col concorso della S.M.I. l'istituzione di una scuola estiva a Perugia che, dopo aver superato varie difficoltà, ha avuto inizio nell'agosto dello scorso anno con risultati soddisfacenti. Di portata molto più vasta è la proposta (1987) della Commissione ministeriale Mencarelli per la formazione professionale iniziale specifica, aggiuntiva ed integrativa della formazione culturale degli insegnanti dei vari ordini e gradi scolastici.

Proposta che condivido e alla quale auguro successo legislativo. Per gli insegnanti in servizio si parla da vari anni di corsi di aggiornamento a tappeto che dovrebbero essere realizzati soprattutto dagli I.R.R.S.A.E. (Istituti Regionali di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi).

Ma finora poco è stato fatto in tal senso, salvo che per l'Informatica con corsi abbastanza nutriti, curati dal Ministero, ma altrettanto mal condotti e, in genere, infruttuosi.

Gli I.R.R.S.A.E. sommersi da una pesante burocrazia e fortemente politicizzati, salvo qualche lodevole eccezione, stentano a decollare malgrado la loro esistenza da oltre dieci anni.

D'altra parte viene ormai riconosciuta l'impossibilità di raggiungere con corsi di aggiornamento diretti tutte le scuole che operano sul territorio nazionale e ci si sta orientando all'uso di video-cassette e di aggiornamento a distanza attraverso il mezzo televisivo.

Numerosi sono inoltre i contributi finanziari che il Ministero, attraverso gli I.R.R.S.A.E. ed altri Enti (Comuni, Regioni), senza un'accurata selezione, stanno elargendo a piene mani a scuole che presentino, e sono ormai numerose, progetti di aggiornamento autonomo soprattutto nel campo dell'Informatica.

In modo, a mio avviso, più razionale e più credibile operano i Gruppi C.N.R. per la matematica che però incidono su un 10 % circa dei docenti.

Mentre un gran numero di docenti, salvo lodevoli eccezioni di singoli o gruppi di docenti capaci di autoaggiornarsi, continua ad insegnare con metodo tradizionale né vengono loro incontro i libri di testo.

Infatti le Case editrici, conscie di quanto sia lenta la scuola ad assorbire le novità, continuano a stampare libri di tipo tradizionale, salvo l'aggiunta degli argomenti entrati nei nuovi programmi, dando così agli insegnanti più pigri un comodo alibi.

Continuare con le vecchie lezioni cattedratiche seguite da interrogazioni botta e risposta è ovviamente la metodologia più comoda che richiede meno lavoro mentale.

Ma con un insegnamento di questo tipo d'altra parte gli insegnanti dei nostri tempi, molto più di quelli di una volta, faticano a tenere a bada, specie nella scuola dell'obbligo, scolaresche irrequiete, svagate, contestatrici.

Infatti, i ragazzini d'oggi, distratti da mille richiami esterni, spesso con gravi problemi, mal si adattano a stare tranquilli seduti sui banchi a sentire lezioni calate in un contesto fuori della loro realtà sociale.

Occorrono pertanto docenti che abbiano la capacità di coinvolgere i propri allievi in un dialogo continuo che parta da questioni che loro sentano proprie e occorre la sensibilità di adattare anno per anno alla classe la metodologia più idonea al tipo di allievi che la frequentano.

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In altre parole, occorrono insegnanti che, partendo dal concreto e col continuo contributo degli allievi, sappiano costruire delle conoscenze che portino via via a produrre pensiero.

Riesce a realizzare ciò, a mio avviso, un insegnante divertente. Cioè un insegnante che sappia coinvolgere gli allievi emotivamente nell'apprendimento.

Un gioco, un problema o un esempio noioso per iniziare un dialogo con gli studenti può non stimolare la voglia di incominciare il discorso, non eccitare la curiosità, il senso della scoperta, dell'esplorazione.

1 bambini, come è ben noto, hanno fantasia e creatività notevoli e, quasi tutti, particolari propensioni, come afferma il neurologo americano Howard Gardner nel suo recente libro "Frames of mind".

Una scuola moderna, soprattutto la scuola materna ed elementare che operano nel periodo più fecondo del cervello umano dovrebbe aiutare gli allievi a sviluppare tali capacità, a scoprire precocemente le attitudini, le versatilità dei ragazzini evitando, come spesso accade, che le loro eventuali particolari propensioni restino allo stato latente con grave danno dei ragazzi stessi e della società.

La scuola tradizionale invece che esaltare e sviluppare la personalità degli allievi, le loro capacità, i loro interessi, le loro inclinazioni finisce via via col mortificare, col soffocare ogni individualismo facendo uscire dalla scuola giovani, in genere, senza interessi, propensioni ben delineate, senza sapere spesso, se intendono proseguire gli studi, in quale facoltà universitaria iscriversi.

Gli insegnanti tradizionali con le loro lezioni-conferenza senza alcun spirito critico, di coordinazione, di aggancio in qualche modo alla realtà, finiscono in un certo qual senso in buona fede, s'intende, col plagiare i propri allievi imponendo loro una visione unilaterale delle cose, i propri schemi mentali.

Prova ne sia che in genere sono considerati i più bravi gli studenti che riescono a rispondere nelle interrogazioni nel modo più fedele, per non dire pappagallesco, a ciò che è stato detto dall'insegnante. E ciò avviene purtroppo in qualche misura anche all'Università.

Con ciò che precede non voglio lasciare l'impressione che io pensi che tutti i giovani che escono dalle scuole italiane siano senza idee, senza fantasia, senza vera cultura.

Ci sono per fortuna dei giovani, e non son pochi, che, malgrado tutto, sanno sfruttare la loro intelligenza, le loro capacità creative e riescono a portare notevoli contributi nell'ambito dei vari campi dell'attività umana. Così pure, anche nell'ambito dell'insegnamento tradizionale ci sono insegnanti validissimi, provvisti di buona cultura e che sanno trasmettere buona cultura.

5. Da quanto ho finora detto, del resto ben noto a tutti, la scuola nel suo complesso non è adeguata ai tempi e non lo è mai stata. Ma mentre nel passato la lentezza di adeguamento alle esigenze della società poteva non avere notevoli riflessi in una società che anch'essa si evolveva lentamente, oggi le cose vanno diversamente in una realtà socio-tecnologica-scientifica ad evoluzione tumultuosa ed imprevedibile.

L'era informatica attuale, basata prevalentemente sull'informazione, utilizza quale risorsa più preziosa il capitale umano, cioè l'uomo attraverso le sue conoscenze critiche, la sua intelligenza, la sua capacità creativa.

Dal ritmo evolutivo estremamente veloce dell'era industriale che la società seguiva stentatamente ma che riusciva a capire e prevederne il futuro, si sta passando ad un periodo evolutivo che si sviluppa con altrettanta e forse maggiore rapidità e che la società stenta ancor più a capire e soprattutto ad immaginarne il futuro.

Stiamo vivendo cioè un periodo storico di transizione che apre numerose possibilità di nuove professioni nei campi dell'informatica, della robotica, delle biotecnologie, dei sistemi diagnostici e così via.

In questa situazione la scuola come reagirà concretamente? Saprà risolvere i suoi problemi ed adeguarsi a preparare i giovani ad un mondo in movimento così rapido che è persino difficile, come ho già detto, prevedere esattamente dove si andrà a parare?

Le più recenti innovazioni, per esempio nel campo della matematica, delle quali ho parlato, giunte dopo un lungo periodo di stasi, hanno inciso solo molto parzialmente, come ho già notato, sull'insegnamento.

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C'è pertanto chi dice, tenendo presente la lentezza con la quale si è sempre mossa la scuola, che le nuove recenti metodologie sono talmente innovative che occorreranno alcuni decenni affinché la scuola le assorba in modo generalizzato.

Guardando al passato tale previsione ha del buon senso. Ma io penso che la scuola dovrà necessariamente in futuro, per quanto ho precedentemente detto, evolversi più rapidamente soprattutto in vista del traguardo dell'integrazione europea del '92.

Ho avuto occasione qualche tempo fa di parlare con un membro della Commissione scuola del parlamento europeo che, a proposito del su citato traguardo, si diceva preoccupato per la diversità delle strutture delle scuole della Comunità europea.

Dalla scuola greca di ispirazione hengheliana al sistema scolastico britannico che notevolmente, si differenzia dagli altri sistemi europei per l'ampio decentramento organizzativo flessibile, dinamico e concorrenziale.

Dalla situazione scolastica francese la cui caratteristica fondamentale è che ad ogni livello, ad ogni classe, all'alunno sono aperte varie possibilità di orientamento; alla Germania federale la cui organizzazione scolastica fa capo ai governi regionali degli 11 Lander ognuno dei quali ha un proprio ministro della pubblica istruzione; e così via [12].

Cercare di uniformare in qualche misura questi vari sistemi scolari a me sembra non opportuno per due motivi:

a) qualunque sistema scolare deve seguire l'evoluzione della società ma restare nell'ambito della propria tradizione, della propria cultura, della propria identità;

b) la competizione tra i vari sistemi scolastici costringerà i più deboli a migliorarsi. Ed è proprio in quest'ultima visione che l'Italia dovrà correggere, possibilmente con

anticipo, la debolezza della sua struttura scolastica. Ciò non è facile ma comunque c'è d'augurarsi che il problema venga in qualche modo seriamente affrontato.

Uno stimolo può venire dall'utilizzo generalizzato, ma cauto e mirato dei mezzi informatici che, tra l'altro, favorirebbero, come avviene già nelle ricerche scientifiche avanzate, la interdisciplinarità.

Cioè a me piace pensare per il futuro a un lavoro in classe guidato non più da un docente di una singola disciplina ma da un'equipe di docenti di discipline diverse. La cosa la vedo realizzabile anche tenendo conto che "l'onda demografica" del boom delle nascite degli anni sessanta tende a restringersi e così, come già accade nelle scuole primarie, ci sarà un esubero di insegnanti.

Ma per avere una scuola del futuro che si muova all'unisono con i tempi credo che ciò non basti, occorrerà anche affiancare periodicamente ai docenti, operatori nel campo della scienza, della tecnica, dell'industria, dell'economia e così via.

Cioè una sorta di professori a contratto come prevede la nuova legge universitaria. La scuola del futuro dovrà utilizzare con più profitto il tempo a sua disposizione.

Attualmente essa ottiene risultati minimi compiendo il massimo sforzo, come amava dire Bruno De Finetti.

Il tempo che i ragazzi impiegano a scuola e quello che dedicano allo studio, a mio avviso, è eccessivo rispetto ai risultati che conseguono. Non occorre imparare troppe cose che, tra l'altro, si dimenticano e annoiano.

Sono modi e modelli culturali quelli della scuola attuale che non potranno reggere a lungo in una società sempre più dinamica.

Basta l'acquisizione di conoscenze essenziali e la comprensione dei legami logici che le collegano.

Il tempo che lo studente dovrà dedicare allo studio vero e proprio verrebbe così ridotto e il tempo restante potrebbe essere dedicato dal singolo a seguire attività che gli sono congeniali per sviluppare le quali si dovrebbero creare le strutture necessarie.

In tal modo sarebbe data ai docenti e ai ragazzi stessi l'opportunità di scoprire le tendenze, le inclinazioni di quest'ultimi che potrebbero essere poi razionalmente valorizzate.

Si eviterebbero in tal modo tanti e frequenti errori d'indirizzo che determinano riflessi negativi sul piano sociale a causa di una non adeguata distribuzione di competenze.

Ma l'acquisizione di conoscenze essenziali ed estremamente attuali, la capacità di ragionare sull'esistente non sono ancora sufficienti per immettersi nella struttura

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produttiva che si profila per il futuro, ancora più dell'attuale, soggetta a rapidi mutamenti o addirittura a inversioni di tendenza. Solo quei ragazzi che avranno sviluppato doti di fantasia e creatività che avranno imparato che la vera conoscenza significa il possesso di un abitus metodologico e di un'agilità mentale priva di schemi precostituiti, potranno liberare una personalità matura ed organizzata, ricca di un essenziale bagaglio culturale che consentirà loro di superare le molte barriere che incontreranno al loro ingresso e proseguono nella vita produttiva.

Vorrei ora concludere, richiamando quanto via via ho detto, con un elenco riassuntivo dei principi sui quali si dovrebbe basare, a mio avviso, l'insegnamento, per il risanamento e la proiezione nel futuro della scuola italiana:

1) La preparazione iniziale universitaria dei futuri insegnanti dovrebbe privilegiare l'approfondimento di una disciplina e dare le conoscenze essenziali delle altre discipline più strettamente ad essa collegate.

Dovrebbe poi dare in parallelo, o in successione, una preparazione professionale nei campi storico-epistemologico, della psicologia dell'apprendimento, della metodologia disciplinare.

2) La formazione continua postlaurea degli insegnanti è oggi indispensable e non deve sostituirsi ad una formazione iniziale insufficiente.

3) La separazione tra le discipline è attualmente inaccettabile. Si potrebbe superare l'ostacolo attraverso un lavoro di équipe di insegnanti che abbiano approfondito una disciplina e che abbiano l'apertura mentale verso quelle discipline con essa collegate.

4) Insegnare vuol dire educare, ovvero, rendere protagonista l'allievo nel processo di apprendimento, attraverso un costruttivo continuo dialogare.

5) Un buon insegnante dovrebbe tener conto della diversità dello sviluppo mentale dei propri allievi, sviluppare ed esaltare le loro capacità creative, scoprire e valorizzare le loro eventuali particolari propensioni.

6) Per insegnare bisogna sapere di più di quanto s'insegna ma non occorre insegnare troppe cose ma saper trarre da ogni disciplina le conoscenze essenziali e mettere in evidenza i legami logici che le collegano.

7) Non basta sapere per saper insegnare ma occorre una sperimentalità permanente atta a non rendere l'insegnamento assai povero di riflessi nel reale ma motivante il coinvolgimento degli allievi nella costruzione, che parta dal reale, di conoscenze che portino a produrre idee.

8) Non basta insegnare bene ogni argomento ma occorre anche trovare il momento giusto per insegnarlo.

9) L'insegnamento deve avere carattere dinamico adattabile al momento storico in cui si vive e prevederne i futuri mutamenti, conservando tuttavia il gene della tradizione e non facendo mai mancare la memoria storica di ciascun argomento che si insegna.

Ma per un rinnovamento così profondo della scuola è necessario un sinergismo della docenza, della dirigenza scolastica e dell'Università. A questo fine si è tenuto nel novembre dello scorso anno a Pugnochiuso (Puglie) un Convegno della dirigenza scolastica (sovrintendenti, provveditori, presidenti I.R.R.S.A.E., ispettori centrali e periferici, presidi) al quale sono stati invitati alcuni professori universitari tra i quali chi scrive.

Ciò però non basta; è necessario che la problematica scolastica diventi popolare e che lo Stato dedichi alla scuola maggiori risorse.

È questo un problema che emerge in campo internazionale e che ha già dato i suoi frutti in numerosi paesi, ultimo, in ordine di tempo, la Francia che ha consentito un aumento del 5 % del bilancio per poter far fronte alle necessità della scuola.

Lo sviluppo generale del paese passa attraverso quello della scuola; è questo che bisogna far capire ai governanti e alla gente: occorre innalzare il livello di preparazione culturale se si vuol far fronte ai problemi degli anni '90.

Occorre in definitiva che la gente e lo Stato si convincano che il migliore investimento è quello di coltivare il cervello dei giovani in modo adeguato al mondo nuovo che si sta spalancando ai nostri occhi.

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BIBLIOGRAFIA

[I] BRUSOTTI L., Questioni didattiche. Enciclopedia delle Matematiche elementari, voi. Ili, parte 11, Ulrico Hoepli, Milano, 1950. [2] DEDO' M., Problemi sulla didattica della matematica. Atti del X Congresso dell'Unione Matematica Italiana, Cagliari, Alghero, 22-27 settembre 1975, Monograf, Bologna, 1977. [3] ENRIQUES F., La riforma Gentile e l'insegnamento della Matematica e Fisica nella scuola media. Periodico di Matematiche, voi. VIII, serie IV, Zanichelli, Bologna, 1928, pp. 68-73. [4] ENRIQUES F., Insegnamento dinamico. Periodico di Matematiche, voi. 1, 1921. [51 GRUGNETTI L., Lineamenti della storia della didattica matematica in Italia dal 1859 al 1950. Archimede, fase. 1, 1985. [6] MONTALDO 0., Problemi didattici nell'accesso alla Facoltà di Ingegneria. Convegno sull'insegnamento matematico nelle Facoltà di Ingegneria. Ancona 2-3-4 maggio 1978. Atti sul suppl. n. 6 del Notiziario UMI giugno 1978. [7] MONTALDO 0., L'insegnamento della Matematica in Italia ieri-oggi-domani. Articolo che apparirà in versione inglese su Mathematics Education into 21st century Chief Editor: Mannoham S. Aurora, Dep. of Math. Bahrain, Arabian GulL [8] PEPE L., La matematica oggi nella società e nella cultura. Problemi della Scuola. Nuova Secondaria n. 1, 1985, pp. 12-17. [9] SEVERI F., Didattica della Matematica. Enciclopedia delle Enciclopedie. Pedagogia, Roma, Formiggini, 1931, pp. 362-370. [10] SEVERI F., Elementi di Geometria, voi. II, Firenze, Vallecchi (VI edizione 1935). [II] VITA V., I programmi di Matematica per le scuole secondarie dall'Unità d'Italia al 1986. Pitagora, Bologna, 1986. [12] Atti del Convegno COASSI, L'insegnamento scientifico nella scuola secondaria in Europa, Montecatini Terme 25-26 aprile 1980, Tecnoprint, Bologna, 1980.

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I COMPITI A CASA SERVONO?

n. 3 - 1991

Angela Crivelli, presidente nazionale dellAssociazione Italiana Genitori, nel presentare nel numero di selezione dal Reader's Digest del novembre 1990, un articolo di Edwin Kiester Jr e Sally Valente Kiester dal titolo "Compiti a casa: perché?" afferma: "/ compiti a casa restano un elemento fondamentale del processo di apprendimento a cui il bambino o il ragazzo deve sottoporsi e un momento significativo nella vita della famiglia sul piano del dialogo e dei sentimenti". Nell'articolo citato viene poi detto: "I compiti insegnano agli studenti l'autodisciplina e la capacità di raggiungere obiettivi, favoriscono l'instaurarsi di buone abitudini di studio e lo spirito di iniziativa ". Ma è proprio così ?

La signora Susanna ogni pomeriggio controllava suo figlio Carlo, che frequentava la scuola elementare, mentre faceva i compiti a casa. Ogni volta che Carlo commetteva un errore, la signora Susanna, credendo ovviamente di far bene, gli dava uno scapaccione. Carlo è andato avanti negli studi fino a laurearsi con l'incubo di sbagliare. Questo della signora Susanna è un caso limite. Ma sono tanti i genitori che credono di aiutare i figli a svolgere i compiti a casa e che invece finiscono col danneggiarli.

Luisa, che frequenta la prima media, deve calcolare a casa l'espressione: (2350 + 5050) + (7500 + 4700). Il padre, che è un professore universitario di matematica, dice a Luisa di non capire perché il suo insegnante abbia usato le parentesi che in questo caso non occorrono e invita Luisa a toglierle e a sommare simultaneamente i quattro numeri.

Il padre di Luisa non è a conoscenza (Luisa lo ha dimenticato) del fatto che l'insegnante ha detto che la prima parentesi indica le somme spese da una certa signora Elvira in un negozio e la seconda parentesi le somme spese in un secondo negozio, cioè che l'insegnante sta introducendo la proprietà associativa dell'addizione. Luisa non sa a chi dare retta e troverà difficoltà in seguito nell'uso delle parentesi.

L'esempio di Luisa mostra come possa nascere un pericoloso conflitto tra un genitore che abbia competenza in una certa disciplina e l'insegnante di quella disciplina quando il genitore non ne conosca la metodologia di insegnamento. Non sono poi infrequenti i casi di genitori che non avendo alcuna competenza specifica s'interessino ugualmente ai compiti dei propri figli suscitando reazioni o smarrimenti di questi ultimi. Tali genitori, che non sono pochi, cercano normalmente di coprire la loro ignoranza didattica col criticare le metodologie degli insegnanti creando in tal modo situazioni ben lontane da quella ideale prospettata da Angela Crivelli.

"Il problema dei compiti crea una grandissima tensione nei rapporti familiari" afferma lo psicologo Fredic M. Levine coautore di Winning the home-work war (Come vincere la guerra dei compiti a casa). L'assegnazione dei compiti a casa ha lo scopo di consolidare l'apprendimento delle conoscenze che dovrebbero essere acquisite a scuola. Pertanto i ragazzini, attraverso lo svolgimento dei compiti a casa dovrebbero verificare da soli se hanno veramente appreso ciò che è stato loro insegnato a scuola. I genitori, a mio avviso, dovrebbero intervenire se ne hanno le capacità e con molte cautele, soltanto se il loro aiuto è richiesto dai propri figli. Cioè, a mio parere, solitamente essi dovrebbero solo invogliare, se necessario, i propri figli a svolgere regolarmente i compiti loro assegnati. Ma mai pretendere che i propri figli svolgano i compiti a casa solo perché sono stati loro assegnati: per autodisciplina.

A fare i compiti tanto per farli è preferibile non farli. Quando un ragazzino non sa svolgere un compito può voler dire che non gli è chiara la teoria che deve applicare, oppure che non ha fantasia, spirito di iniziativa. Chiarirgli la teoria, stimolare la sua fantasia, il suo spirito di iniziativa è compito essenziale dell'insegnante. Soltanto in tal modo, ritengo, si può "vincere la guerra dei compiti a casa" senza, cioè, ipotizzare situazioni ideali che non esistono nel concreto, ma tenendo presente che non sono molti i genitori provvisti di buona cultura, di capacità pedagogiche, di conoscenza della psicologia dell'apprendimento, delle metodologie disciplinari e via dicendo, da potersi permettere di aiutare i propri figli in modo proficuo. Mauro, che frequenta la terza

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media, per le vacanze di Natale, ha da fare a casa numerosi compiti, tra i quali ha da calcolare 10 espressioni matematiche.

Mancano due giorni al rientro a scuola e Mauro è ormai costretto a sedersi per svolgere i compiti in tutta fretta. Incomincia proprio con la matematica che è la materia che più gli piace.

Calcola le prime 3 espressioni e trova con soddisfazione i risultati riportati sul libro a fianco delle espressioni. Mauro sa calcolare le espressioni: non avrebbe bisogno di calcolarne altre 7. Va avanti perché l'insegnante lo pretende, ma con molta noia. Arriva a calcolare la quinta espressione, ma non ottiene il risultato del libro. La ricalcola, ma neanche la seconda volta trova il risultato del libro. Mauro è disorientato; non pensa assolutamente che può essere sbagliato il risultato dato dal libro: la carta stampata per i ragazzini è vangelo. Assegnare troppi compiti a casa, specie durante le vacanze, è una cattiva abitudine: finisce con l'infastidire e annoiare. Specie quando si tratta, come per il povero Mauro, e come avviene molto spesso, di dover svolgere tutta una serie di compiti ripetitivi che, a mio avviso, al contrario di ciò che dicono gli Autori dell'articolo richiamato all'inizio, non favoriscono affatto "lo spirito di iniziativa ".

Ma è proprio tanto necessario assegnare costantemente compiti a casa? Direi proprio di sì se gli insegnanti seguono il metodo tradizionale di insegnamento, purtroppo ancora largamente usato, del raccontare dalla Cattedra agli allievi che stanno passivamente ad ascoltare e di pretendere dagli allievi che raccontino nelle interrogazioni il raccontato.

I compiti a casa, in questo tipo di insegnamento, hanno lo scopo di far entrare nella mente dei ragazzi, cercando di applicarle, come ho già detto, le nozioni che distrattamente hanno sentito raccontare in classe.

Giorgio, a differenza di Mauro, è un ragazzo fortunato1: ha insegnanti che sanno stimolarlo, eccitare la sua curiosità, il senso della scoperta, dell'esplorazione e fargli acquistare in classe, divertendosi, le varie conoscenze.

Cioè, gli insegnanti di Giorgio sanno coinvolgere emotivamente gli allievi nell'apprendimento in modo da costruire, con il loro costante apporto, delle conoscenze che portino via via a produrre pensiero.

Dice una professoressa di scuola media, che usa la metodologia degli insegnanti di Giorgio, e che fa capo al Centro di Ricerca e Sperimentazione dell'Educazione Matematica (C.R.S.E.M.) di Cagliari: "Quando termina la mia ora di matematica, i ragazzini sono dispiaciuti anche se l'ora seguente è di Educazione Fisica".

Laura Galletti, ricercatrice nell'ambito del Nucleo di Ricerca Didattica del Dipartimento di Matematica dell'Università di Napoli, in un articolo dal titolo "Una proposta didattica: problemi formulati a "catena ", pubblicato su questa Rivista, Anno XI, Serie III, Vol. 1, n. 3, Dicembre 1990, espone, a mio avviso, un'idea interessante.

Prendendo lo spunto dal gioco di gruppo di inventare un racconto nel seguente modo: un componente del gruppo dice una frase iniziale, un secondo continua con un'altra frase, che sia logicamente collegata con la precedente e così via finché il racconto abbia un senso, ha provato a seguire con gli alunni di terza media un iter analogo per l'invenzione di problemi.

Un gruppetto di quattro o cinque ragazzini deve inventarne uno seguendo la regola detta precedentemente fino ad arrivare a formulare una o più domande. Il resto della classe ha il compito di rilevare errori, incoerenze o ambiguità e alla fine di risolvere il problema.

In questo modo i ragazzi arrivano a capire spontaneamente che i dati del problema devono essere tutti accettabili, utilizzabili e sufficienti per poter rispondere alle domande.

"Questo tipo di lavoro - dice la Galletti - in cui i ragazzi si sentono protagonisti, sia nelle vesti di inventori, che in quella di osservatori, li induce alla massima attenzione e acuisce il loro senso critico. Per poter inserire un "anello" nella "catena" è necessario inoltre che esercitino la memoria, la creatività e la fantasia e che siano in grado di fare opportune connessioni logiche".

In questo o in altri modi simili che trasformino l'alunno da soggetto passivo in soggetto attivo e l'insegnante da cattedratico in mediatore che, piuttosto che trasferire

1 Le storie di Carlo, Luisa, Mauro, e Giorgio sono veramente accadute.

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informazioni, mette l'alunno in grado di elaborare autonomamente le informazioni che riceve, il ruolo dei compiti a casa viene enormemente ridimensionato.

Ma per sviluppare metodologie di tale tipo, che rendano protagonisti gli allievi nel processo di apprendimento, occorrono docenti preparati e libri di testo che diano gli spunti opportuni per attuare in tale direzione i programmi attuali.

Insegnare in maniera tradizionale, cioè con le lezioni cattedratiche e valutando gli allievi attraverso le interrogazioni "botta e risposta", è ovviamente la metodologia più comoda, che richiede meno tempo e meno lavoro mentale ed è forse la più consona agli scarsi stipendi degli insegnanti.

Né vengono incontro agli insegnanti le Case Editrici che si rifiutano di pubblicare libri impostati su nuove metodologie del tipo detto, per paura di non venderli.

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LE MATEMATICHE NELL'ERA DEI COMPUTERS E DELLA DISSACRAZIONE

n. 3 - 1992

In un articolo comparso nella rubrica "Notizie" nel n. 2 dell'anno in corso di questa rivista, riguardante il premio "Città di Cagliari '92" per la matematica applicata e computazionale, è stata colta l'occasione per accennare ad alcuni dei numerosi contributi fondamentali che questa disciplina dà allo sviluppo delle Scienze e della Tecnologia. Ad esempio, all'Aerodinamica (atterraggio automatizzato degli aerei commerciali, guida di missili, di sonde spaziali... ); alla Medicina (rapporto delle malattie con lo stile di vita e dell'alimentazione, Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), Risonanza Magnetica ... ); alla Ricerca Operativa (pianificazione della produzione industriale, controllo dei magazzini, distribuzione delle risorse...). Ma l'aspetto più profondo delle Matematiche non è quello applicativo, anche se questo dà loro, in genere, maggiore credibilità.

Cioè il pregio migliore delle Matematiche non consiste nell'immensa utilità sociale delle loro applicazioni, ma nei loro valori: culturale (di logica e rigore), estetico, educativo.

Già Platone nei passi 525 c, d di "Repubblica" parlando della Scienza dei numeri afferma che deve insegnarsi ai futuri reggitori della città "non alla volgare maniera, o occupandosene a scopo di compra e vendita, come mercanti e rivenditori, ma in guisa che l'intelligenza loro possa contemplare la vera natura dei numeri poiché questo insegnamento " innalza l'anima e la obbliga a ragionare ... ". Ciò che dice Platone, ma soprattutto ciò che dirò nel seguito, ho paura che sarà difficilmente condiviso da chi ha fatto matematica a scuola.

Fare matematica non significa, come generalmente s'intende e come si è appunto imparato purtroppo a scuola, ridursi a sole attività di calcolo, tanto più oggi che le calcolatrici tascabili e gli elaboratori elettronici ci liberano dalla noia dei calcoli ripetitivi. E non significa neppure imparare soltanto che la somma degli angoli interni di un triangolo è di 180° che il volume del cono si trova moltiplicando l'area di base per un terzo dell'altezza, tanto per fare qualche esempio.

Ciò che interessa è l'acquisizione della mentalità matematica nei suoi vari aspetti detti precedentemente e dei quali l'attuale società dissacratrice ha tanto bisogno.

L'ASPETTO CULTURALE: LOGICA E RIGORE

Tra le finalità di un insegnamento matematico culturale ha particolare importanza quella di educare al ragionamento rigoroso e logico. Su questa affermazione il consenso è pressoché unanime anche al di fuori della comunità dei matematici.

Ma si ha di più. Dice G.W. Leibniz "senza la matematica non si penetra a fondo la filosofia, senza la filosofia non si penetra a fondo la matematica; e senza le due non si penetra a fondo di nulla. La conoscenza della matematica è dunque condizione necessaria per ogni feconda attività del pensiero1'.

Ma non vorrei però generare equivoci: nel ragionamento matematico non si esauriscono tutte le forme di ragionamento. Inoltre un'educazione esclusivamente matematica è incompleta in quanto è poco ragionevole voler distinguere l'apporto dei singoli elementi di cui si compone una formazione culturale.

Pur tuttavia per tutti, ma in particolare per i governanti, come già diceva Platone, è particolarmente utile la formazione mentale che si acquista attraverso la utilizzazione dei metodi matematici. Il ragionamento matematico è infatti di natura particolare in quanto opera su schemi astratti anziché su oggetti del mondo reale. Ciò "obbliga ed avvezza... a rigidità di deduzione e a disciplina di pensiero" dice il matematico Luigi Blusotti in un suo mirabile articolo pubblicato nel 1950 nell'Enciclopedia delle matematiche elementari.

E l'inclinazione della matematica all'astrazione "non significa distacco dai problemi concreti e dagli scopi pratici, ma è proprio il mezzo necessario per trattare i problemi concreti nel modo più pratico che consiste nel depurarli dagli accessori che turbano la visuale e nel riconoscere l'identità logica dei problemi apparentemente diversi per

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appartenere a campi disparati. Anziché significare distacco dal concreto l'astrazione costituisce la quintessenza del concreto e lo strumento pratico più appropriato per dominarlo".

Queste sono parole del compianto prof. Bruno De Finetti in "Matematica logico- intuitiva" 3a Ed. Cremonese, che illustrano tra l'altro l'ultimo periodo con il quale si concludeva l'articolo richiamato all'inizio di questo.

L'ASPETTO ESTETICO

La scuola italiana e, più in generale, la Società italiana, risente ancor oggi, a distanza di 70 anni, dello spirito della riforma della Scuola, operata nel 1923 dal ministro e filosofo d'estrazione hengheliana Giovanni Gentile.

Tale riforma collocava al di fuori della cultura la matematica e, più in generale, la scienza attribuendo a questa un ruolo essenzialmente pratico.

La filosofia della separazione della scienza dalla cultura alla quale si è ispirata la riforma Gentile, condiziona ancor oggi la formazione di una nuova cultura della quale la scienza sia parte essenziale.

In tale situazione non è facile parlare, ai non addetti, del valore estetico delle matematiche.

Ma già nel 1905 H. Poincaré in "La Valeur de la science" cosi si esprimeva. "Les mathématiques ont un triple but. Elle doivent fournir un instrument pour l'étude de la nature. Mais ce n'est pas tout: elle ont un but philosophique et, j'ose le dire, un but esthétique. Elles doivent aider le philosophe à approfondir les notions de nombre, d'espace, de temps. Et surtout leurs adeptes y trouvent des jouissances analogues à celles que donnent la peinture e la musique,\

Più tardi nel 1931 a proposito del valore estetico delle matematiche il matematico G. Scorza nella 19a riunione della Società italiana per il Progresso delle Scienze così si esprimeva: "vi è luogo a valutazioni estetiche per le opere matematiche al pari di quanto accade per le opere letterarie... talune delle sue più elevate teorie, quando siano contemplate nel loro insieme, nel loro armonico dispiegarsi in sistemi coerenti e compatti, di quella veramente ferrea coerenza... di cui sarebbe vano cercare esempi pia imponenti in altri campi dello scibile umano, danno tale un'impressione di alta e pura bellezza quale solo sono capaci di suscitare le più ispirate poesie e le pagine di musica più potentemente suggestive".

1 due giudizi riportati sulla "matematica come arte" sono tra i tanti che sono stati espressi nel passato.

Credo che anche oggi si possa senz'altro assegnare alle matematiche astratte un valore estetico ma forse con meno entusiasmo di una volta.

Infatti l'irruente sviluppo tecnologico e la conseguente tendenza ad un organico processo integrativo delle varie discipline sono stati, probabilmente, lo stimolo principale a cambiare ed adeguare in parte, l'impostazione della ricerca e dell'insegnamento delle matematiche.

Ciò può riassumersi con le parole del filosofo della Scienza Karl Popper in "The open society and its enemies", 1945: "tutta la concezione del mondo scientifico si può riassumere in tre parole: problemi, teoria, critiche" e poi ancora "noi non siamo studiosi di certe materie bensì di problemi. E i problemi possono passare attraverso i confini di qualsiasi materia o disciplina".

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L'ASPETTO EDUCATIVO

Nell'attuale disorientamento della società per la perdita dei valori morali che erano una volta i pilastri sui quali si costruiva una convivenza civile, la scuola, con l'insegnamento delle varie discipline che ad essa fanno capo dovrebbe perseguire fini educativi sia pure adeguati ai tempi dei computers.

L'insegnamento matematico come può contribuire a tali fini? La questione non è certamente nuova; se l'era posta, ad esempio, alcuni decenni

addietro, il matematico milanese Oscar Chisini che in un suo testo di Geometria razionale parla "dell'alto valore morale dell'insegnamento della matematica"; dal già citato matematico pavese Luigi Blusotti in un suo articolo "Insegnamento matematico ed educazione morale" pubblicato nel 1950 nella già citata Enciclopedia delle Matematiche Elementari e da altri.

Più in generale i rapporti tra scienza e morale furono presi in considerazione da H. Poincaré in "La valeur de la science" Paris 1905, da L. Brunnsvigg in "Rev. Metaphys et Morale" 21 (1913) e da tanti altri.

Ma perché cito vecchi contributi al nostro problema essendo tra l'altro la società attuale notevolmente cambiata rispetto a quella di allora?

Lo faccio in quanto penso che l'insegnamento matematico culturale tradizionale ancora oggi contribuisca decisamente alla formazione di un'educazione morale sia pure meno rigida, in generale, che nel passato.

Ritengo infatti che la perdita dei valori morali nella odierna società consumistica sia in parte dovuta all'enorme e rapido sviluppo tecnologico al quale hanno in parte ahimè contribuito le matematiche applicate.

In conclusione ritengo che, d'accordo col già citato matematico Luigi Brusotti, chi abbia penetrato profondamente lo spirito delle matematiche culturali tradizionali, dal loro rigore logico abbia acquisito:

1) La consapevolezza dello staccarsi dalla dirittura morale con conseguente stravolgimento del comportamento civile. Si acquisterebbe, ad esempio, consapevolezza dello staccarsi dalla dirittura morale nella pratica delle "tangenti", fenomeno che da vari anni sembra invece rientrare nella prassi normale.

2) L'essenzialità per la pacifica convivenza della mutua comprensione di opinioni divergenti. Chi infatti abbia penetrato profondamente la struttura dell'edifizio matematico riconosce valida la coesistenza di posizioni tra loro differenti ma tutte ugualmente rispettabili, ciò che purtroppo non accade nella politica, nei fanatismi religiosi e via dicendo.

3) La risoluzione di una questione matematica richiede spesso tenacia di volontà e non sono praticabili quegli accomodamenti che in altri campi (nella politica, ad esempio) permettono di sostituire la questione proposta con un'altra più accessibile. Ciò è una buona palestra per chi nella vita debba affrontare problemi di una dura realtà, come per esempio, per gli otto milioni circa di cittadini italiani esclusi dal benessere dell'assurdo consumismo, della società attuale.

4) Un equilibrio mentale nel comportamento e nel giudizio, un rifiuto al conformismo e una propensione allo sviluppo della fantasia e della creatività. Ciò eviterebbe gli eccessi, ad esempio, negli stadi, negli spettacoli rock; la spregiudicatezza di certi giornalisti; la spersonalizzazione che porta ad un comportamento di massa spesso stupido e pericoloso.

5) La capacità di esprimersi e scrivere con precisione; cioè abituarsi a trovare le parole più adatte a definire i concetti che si vogliono esprimere.

In tal modo non solo si eviterebbero equivoci, ma si affinerebbero anche le idee contrastando così l'aspetto caratteristico, in particolare dell'epoca attuale, del parlare e dello scrivere in modo impreciso, ambiguo ed ermetico molto spesso per incapacità, ma anche volutamente (vedi, ad esempio, il cosiddetto "politichese").

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CONCLUSIONE

Sugli aspetti culturali, poetici, educativi della matematica naturalmente non tutti sono d'accordo; ci sono coloro che accusano la matematica di inaridire le fonti del sentimento.

A questo proposito caratteristico è il giudizio del poeta Alphonse Marie Louis Lamartine (1790-1869) riportato e commentato dal matematico Alfredo Capelli in "La Matematica nella sintesi delle Scienze", Napoli 1888: "L'enseignement mathématique fait l'homme machine et dégrade la pensée".

Ma Lamartine conosceva profondamente la matematica?

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X CONVEGNO NAZIONALE RESIDENZIALE SU

DAGLI IPERTESTI ALLA REALTA' VIRTUALE: IMPLICAZIONI DIDATTICHE IN PARTICOLARE SULL'EDUCAZIONE MATEMATICA

Saluto e introduzione ai lavori

n. 2 - 1995

Mi è gradito portarvi il più cordiale benvenuto e gli auguri di buon lavoro da parte dei Soci del CRSEM (Centro di Ricerca e Sperimentazione dell'Educazione Matematica) di Cagliari, Centro che ha organizzato questo X Convegno Nazionale Residenziale.

Ed ora consentitemi qualche breve considerazione sui temi del Convegno. Negli ultimi ventanni che ho dedicato in buona parte alla didattica della matematica

nell'arco di studi pre-universitari ho, in particolare, insistito su due concetti che dovrebbero, a mio avviso, tenere sempre presenti i docenti di tutti i livelli scolari.

Il primo concetto è il seguente: non occorre fare imparare agli allievi tante nozioni che poi, fra l'altro, dimenticano, ma basta far acquisire loro le nozioni essenziali e i legami logici che le collegano.

Sostenevo che ciò poteva essere ottenuto superando la separazione innaturale che sussiste tuttora nella Scuola tra le varie discipline.

Per eliminare tale inconveniente proponevo l'instaurazione di un lavoro d'equipe di insegnanti che avessero approfondito una disciplina e che avessero l'apertura mentale verso quelle discipline ad essa collegate.

Ed ecco il secondo concetto sul quale ho costantemente insistito: occorre aiutare e stimolare gli allievi a conservare e sviluppare la fantasia e la

creatività, eccitare la loro curiosità, il loro senso della scoperta, dell'esplorazione. Ebbene, i temi di questo Convegno "gli ipertesti" e "la realtà virtuale", ritengo siano

fortemente collegati ai due concetti richiamati e sui quali ho insistito per tanto tempo e, addirittura, ne costituiscono l'applicazione pratica.

Infatti: si prevede che l'ipertesto, nel giro di non molti anni, verrà usato con facilità a partire dai cinque anni di età e, quindi, a partire dalla scuola elementare sarà semplce accedere a quella banca dati onnicomprensiva rappresentata dall'ipertesto.

L'ipertesto contiene un insieme di numerose informazioni di natura testuale e grafica raccolte in diverse aree collegate tra loro secondo una configurazione a grafo che offre all'utente la possibilità di costruirsi un percorso di lettura aperto ad associazioni logiche liberamente scelte.

Con altre apparecchiature collegate è possibile, inoltre, integrare il tutto con inserti musicali e filmati a carattere illustrativo.

Gli effetti dell'utilizzo dell'ipertesto saranno rilevanti in tutte le aree della vita civile e ciò che a noi interessa maggiormente, nella didattica, in particolare, della matematica, in tutti i livelli scolari.

La realtà virtuale trova, come è noto, applicazioni varie: nella modellistica di sistemi microscopici (ad esempio, nello studio delle proprietà delle biomolecole), in telefonia, in anatomia, in linguistica strutturale, nell'addestramento militare dei piloti di aerei e così via.

Ma l'aspetto che concorre notevolmente allo sviluppo della fantasia e che si lega al secondo dei concetti richiamati, è l'aspetto sensoriale tra l'uomo e la macchina.

Basta infatti, come ormai è ben noto, indossare guanti, tute e caschi forniti di auricolari e visori per ottenere un fantastico uso creativo del computer che consente di muoversi in un ambiente artificiale con completa libertà d'azione.

La tecnologia informatica (l'internet in particolare) già notevolmente sviluppata e che andrà costantemente sviluppandosi, consente di aumentare la comunicazione fra le persone e di condividere le loro esperienze.

Ci sono aspetti negativi? Sbaglia chi pensa che l'epoca della sofisticazione informatica porterà alla spersonalizzazione dell'individuo e al suo isolamento come essere umano? La scuola, in particolare, se ne avvantaggerà o ne sarà danneggiata?

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A questa domanda risponderà il prof. Silvano Tagliagambe nella sua conferenza conclusiva.

Io mi permetto, concludendo, di osservare che già viviamo in una società nella quale i governi, i gruppi politici, i gruppi religiosi, etc. attraverso i mass media creano nella mente delle persone pseudomodi di pensare e di vivere.

Ed ora finisco, se me lo consentite, con il compiacermi di aver pensato a questi temi del Convegno, anticipando, senza che lo sapessi, il Convegno internazionale sulla realtà virtuale che si svolgerà in Francia dal 3 al 13 luglio prossimo, organizzato dal CIMPA (Centro Internazionale di Matematica Pura e Applicata), dal CIMI (Centro Internazionale di Matematica ed Informatica) e dall'UNESCO.

Ho proprio terminato, grazie per l'attenzione.

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BREVE STORIA DI QUESTA RIVISTA raccontata del suo fondatore

Oscar Montaldo

n. 3 - 1996

Ho recentemente compiuto 82 anni e si sa che a tale età si vive in gran parte di ricordi.

Consentitemi pertanto di raccontarvi brevissimamente la storia di questa rivista (di cui nel mese di maggio scorso è uscito il 50° fascicolo): perché è nata e come si è modificata nel tempo.

Correva il secondo quinquennio degli anni 70 e la Sezione di Cagliari dell'Unione Matematica Italiana, da me fondata e presieduta per vent'anni, prendeva l'iniziativa di occuparsi di didattica della matematica in tutto l'arco di studi pre-universitari.

Il CNR concedeva contributi finanziari a chi, in campo universitario, si occupava di ricerca didattica della matematica ai vari livelli scolari.

Chiesi anch'io un contributo per la ricerca didattica, ma in tutto l'arco pre- universitario.

M fu invece concesso un contributo solo per la ricerca nell'ambito della Scuola media inferiore. Non si concepiva allora infatti la continuità didattica dell'insegnamento della Matematica dalla Scuola Elementare ala Scuola Media Superiore.

Ma noi a Cagliari non rinunciammo al nostro progetto e lo portammo avanti con molto entusiasmo, malgrado qualche collega non sardo "intelligentemente" avesse coniato il detto che noi ci occupavamo dei ragazzi "dalla culla alla bara".

Credo che il tempo ci abbia dato ragione. Ora la continuità didattica nell'arco di studi pre-universitari è fortemente auspicato.

Le nostre idee avevano fatto presa in tutta la Sardegna e le richieste di Seminari e Conferenze ci arrivavano da moltissime Scuole Sarde.

La Sezione Cagliaritana UMI (unica in Italia) non aveva la forza per sostenere una così vasta attività.

Mi venne allora l'idea - nel 1980 - di fondare il "Centro di Ricerca e Sperimentazione della Educazione Matematica" (CRSEM) e la rivista "L'Educazione Matematica".

Tale rivista aveva allora lo scopo di "raccontare" la nostra attività di ricerca. E infatti, tranne poche eccezioni, quella di Alan Rogerson allora professore visitatore per la didattica della matematica a Cagliari e di Francesco Speranza, gli articoli venivano scritti dal sottoscritto e dai miei validi collaboratori (Lucia Grugnetti, Carla Caredda ed altri).

Ma ben presto la rivista accolse articoli provenienti da varie parti d'Italia e dall'Estero assumendo un ruolo nazionale e addirittura internazionale. Da alcuni anni, infatti, ogni articolo viene pubblicato in due lingue, italiano e inglese (o francese).

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INDICE

La matematica è difficile da capire o è difficile farla capire? 1

La matematica e l'insegnamento delle scienze integrate 3

La scuola oggi con uno sguardo al passato e al futuro e con un particolare riferimento all'insegnamento matematico 9

I compiti a casa servono? 19

Le matematiche nell'era dei computers e della dissacrazione 23

X Convegno Nazionale Residenziale su "Dagli ipertesti alla realtà virtuale: implicazioni didattiche in particolare sull'educazione matematica": saluto e introduzione ai lavori 27

Breve storia di questa rivista raccontata del suo fondatore Oscar Montaldo 29