Ricerca di pianeti extrasolari...Ricerca di pianeti extrasolari Microlensing Planet Finder...

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Alma Mater Studiorum di Bologna Dipartimento di Fisica e Astronomia Laurea triennale in Fisica Ricerca di pianeti extrasolari Microlensing Planet Finder Candidato: Simone Natalini Matricola 792668 Relatore: Prof. Roberto Casadio Anno accademico 2019 - 2020

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  • Alma Mater Studiorum di Bologna

    Dipartimento di Fisica e Astronomia

    Laurea triennale in Fisica

    Ricerca di pianeti extrasolari

    Microlensing Planet Finder

    Candidato:Simone NataliniMatricola 792668

    Relatore:Prof. Roberto Casadio

    Anno accademico 2019 - 2020

  • 3

    Sommario

    Questa tesi studia il fenomeno astronomico chiamato lente gravitazionale, in cui unoggetto massivo (lente) causa una curvatura della luce proveniente da un oggetto sullosfondo (sorgente). Il lavoro è una ricerca bibliografica che parte da manuali di relativitàgenerale e ne approfondisce gli argomenti con articoli scientifici più specifici e alcunitesti di presentazione di progetti pubblicati dalla NASA.

    Nel dettaglio si tratta il caso particolare dei fenomeni di microlensing, in cui l’effettodella lente sia piccolo e non si riesca ad individuare più di un’immagine distinta. Lostudio di questo tipo di fenomeni è molto importante nel campo della ricerca di pianetiextrasolari poiché copre un range di osservazione che non sarebbe possibile con altrimetodi.

    Lo sviluppo dell’argomento procede partendo dallo studio della lente gravitazionalecome caso generale per estrarre successivamente l’equazione ottica. Vengono poi stu-diati i parametri associati a quest’ultima e l’analisi dei modelli necessari per spiegareil fenomeno in esame. A ciò segue l’analisi delle caratteristiche e dei vantaggi di unaricerca planetaria di questo tipo eseguita da un telescopio orbitale. In conclusione simostrano le caratteristiche e lo scopo di una proposta di missione spaziale presentataalla NASA per eseguire un censimento di pianeti extrasolari che possa misurare tuttele possibili distanze di ciascuno di essi dal proprio sole. In essa si rileva la necessità didedicare una missione spaziale alla osservazione di una sezione di cielo appartenentealla costellazione del Sagittario per eseguire un censimento planetario statisticamen-te accurato, altrimenti impossibile a causa della bassa sensibilità dell’osservazione delcielo con un telescopio posizionato a terra e della totale mancanza di altri metodi perosservare corpi orbitanti e non orbitanti con masse così piccole.

  • Indice

    1 Introduzione alle lenti gravitazionali 91.1 Deflessione della luce e fenomeni associati . . . . . . . . . . . . . . . . 91.2 Principio di Fermat nelle lenti gravitazionali . . . . . . . . . . . . . . . 10

    2 Lenti nel caso generale 152.1 Lenti con distribuzione di massa

    tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152.2 Equazione ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162.3 Potenziale ottico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172.4 Ingrandimento e deformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192.5 Approssimazione al secondo ordine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

    3 Modelli di lente 233.1 Lenti con massa puntiforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233.2 Lenti con simmetria assiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

    4 Microlensing: ricerca di pianeti extrasolari 274.1 Lensing di stelle isolate su stelle isolate . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274.2 Lenti binarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 304.3 Applicazione nella ricerca di pianeti extrasolari . . . . . . . . . . . . . . 32

    5 Microlensing Planet Finder (MPF) 355.1 Scopo della missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355.2 Caratteristiche tecniche della missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 375.3 Vantaggi rispetto alle rilevazioni da terra . . . . . . . . . . . . . . . . . 385.4 Osservazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

    Bibliografia 43

    5

  • Prefazione

    La storia che ripercorre la scoperta di pianeti extrasolari è molto recente poiché laprima conferma avvenne nel 1995. L’esistenza di pianeti extrasolari fu però ritenuta piùche plausibile, tanto che le speculazioni scientifiche risalgono all’inizio del XVIII secolo.Annunci di scoperte si susseguirono durante il XIX secolo, ma le tecniche di osserva-zione dell’epoca non erano sufficientemente accurate e tecnologicamente sviluppate perconfermarle con sicurezza.

    La ricerca di pianeti extrasolari va oltre ad uno scopo puramente accademico. Ca-pire come sono correlate le caratteristiche di pianeti appartenenti allo stesso sistemao di sistemi diversi permetterebbe di comprendere meglio i meccanismi di formazioneplanetaria legati all’origine dell’universo, come anche lo studio dell’origine della vitavalutando l’abitabilità planetaria. Molti astronomi si domandano perché molti pianetiextrasolari di grandi dimensioni si trovino molto vicini alla loro stella. Rispetto a quellidel nostro sistema solare, per esempio, τ Bootis ha un pianeta 4 volte più grande diGiove a meno di un quarto di unità astronomica (UA) di distanza. Una delle cause èdata dal fatto che la maggior parte dei metodi di ricerca favoriscano l’individuazione diquesto tipo di sistemi. Un pianeta più piccolo, ad una distanza maggiore, interagiscepiù debolmente con la propria stella e risulta meno individuabile. È stato quindi neces-sario usare nuovi metodi di ricerca per coprire un range maggiore di masse e distanze.Il più recente e avanzato di questi si basa sull’analisi di fenomeni gravitazionali otticichiamati microlensing.

    In questa tesi si mostrano le caratteristiche fisiche dei fenomeni di microlensing spie-gando la necessità e i vantaggi dell’osservazione del fenomeno da un telescopio orbitale.In particolare si è preso in esame un progetto della NASA chiamato Microlensing PlanetFinder (MPF). La tesi si può dividere in tre parti:

    • I primi due capitoli costituiscono il nucleo introduttivo. In questa parte si esegueun’analisi intuitiva del fenomeno seguita da uno studio analogo alla meccanicaanalitica partendo dal Principio di Fermat. Una volta trovata l’equazione otticaviene analizzato il significato fisico dei suoi parametri, come il potenziale otticoe i coefficienti di ingrandimento e deformazione.

    • I capitoli tre e quattro introducono il fenomeno di microlensing nello specificospiegando prima i modelli e le approssimazioni usate, come per esempio len-ti con simmetrie puntiformi e assiali, poi l’applicazione nella ricerca di pianetiextrasolari.

    • Il capitolo conclusivo introduce scopo e caratteristiche tecniche della MPF pro-posta nel 2006 alla NASA. In questo capitolo sono evidenziati vantaggi e criticitàdella missione per eseguire un censimento statistico di pianeti extrasolari estraen-do il rapporto tra massa e raggio orbitale del corpo celeste individuato. Sono

    7

  • 8 Prefazione

    quindi estrapolati i risultati della missione effettivamente realizzata rispetto allaproposta originaria.

  • Capitolo 1

    Introduzione alle lenti gravitazionali

    1.1 Deflessione della luce e fenomeni associatiFino dai tempi di Isaac Newton (1643-1727) si hanno fonti che provano le specu-

    lazioni riguardo la curvatura della luce causata dalla presenza di corpi massivi. JohnMitchell (1724-1793) e Henry Cavendish (1731-1810) eseguirono anche il calcolo perla deflessione, supponendo una natura della luce totalmente corpuscolare, ma si do-vrà aspettare fino all’inizio del ’900 perché Johann Soldner pubblichi la prima relazio-ne. Il risultato pubblicato da Soldner è solo metà della deflessione reale: è calcolataignorando la curvatura locale dello spazio tempo vicino ad un corpo massivo.

    In ogni caso, anche senza le complete equazioni della relatività, è possibile direche i corpi massivi deflettono la luce basandosi sul principio di equivalenza. Secondoquesto principio, gravità e accelerazione non possono essere distinte. In altre parole, unosservatore in caduta libera non può percepire l’effetto della gravità e un osservatoreaccelerato può interpretare la forza inerziale come risultante di un campo gravitaziona-le: Come dimostra l’esperimento mentale di Einstein, supponendo di avere l’osservatore

    Figura 1.1: Esperimento mentale dell’ascensore di Einstein [2].

    dentro un ascensore forato su un lato (fig.(1.1)), se l’ascensore è accelerato verso l’altol’osservatore interpreterà la forza agente su di lui come una attrazione gravitazionaleverso il basso. Supponendo che un raggio luminoso entri dal foro e si propaghi versol’altro lato dell’ascensore, mentre l’ascensore si muove verso l’alto la luce colpirà laparete opposta in un punto più basso rispetto a dove è entrata. Dunque in un ascen-sore accelerato la traiettoria della luce appare curva. Quindi, basandosi sul principiodi equivalenza, la luce deve essere deflessa dalla gravità. Infatti si può immaginaredi invertire l’esperimento lasciando l’ascensore fermo in un campo gravitazionale la

    9

  • 10 Capitolo 1. Introduzione alle lenti gravitazionali

    cui intensità coincida con la precedente accelerazione: se la luce non fosse deflessa,l’osservatore potrebbe distinguere tra gravità e accelerazione, violando il principio diequivalenza.

    Per ottenere il valore corretto della deflessione della luce data da un corpo di massaM , dobbiamo usare la Teoria della Relatività Generale (Einstein, 1916). In accordocon questa teoria, il percorso della luce è descritto da geodesiche, le quali seguonola curvatura dello spazio-tempo. La traiettoria della luce nello spazio-tempo curvo sipiega verso il corpo massivo che causa la curvatura, originando i seguenti fenomeni:

    • diventano possibili percorsi diversi per aggirare una singola massa. L’osservatore,il quale vedrà l’immagine della sorgente sulla tangente della traiettoria che arrivanella sua posizione, potrà osservare immagini multiple della stessa sorgente;

    • la deflessione di due traiettorie vicine può essere differente. La traiettoria passantepiù vicina alla massa si curva maggiormente verso di essa, quindi l’immagineosservata risulterà deformata. Per lo stesso meccanismo, la sorgente può ancheapparire più o meno grande di quanto sia realmente;

    • dato che i fotoni non sono creati o distrutti dall’effetto della lente, la luminositàsuperficiale della sorgente rimarrà costante. Dato che la dimensione non è con-servata, ciò implica che la luminosità totale dell’immagine può differire da quellaoriginaria;

    • nel caso in cui siano possibili molteplici traiettorie tra sorgente e osservatore, datoche sono caratterizzati da lunghezze differenti, il tempo necessario a percorrerlesarà differente per ogni immagine: alcune appariranno prima di altre.

    1.2 Principio di Fermat nelle lenti gravitazionaliPartendo dalle equazioni di campo della relatività generale, la deflessione della luce

    può essere calcolata studiando le curve geodesiche. È anche vero che si può descrivereequivalentemente il fenomeno usando il principio di Fermat, come in ottica geometrica.

    Per prima cosa necessitiamo di un indice di rifrazione n perché il principio di Fermatdice che la luce percorre una traiettoria della quale il tempo di attraversamento,∫ n

    cdl, (1.1)

    sia estremale. Come nell’ottica geometrica, cerchiamo un percorso ~x(l) per cui lavariazione

    δ∫ BAn(~x(l))dl = 0 (1.2)

    e in cui i punti di inizio e di fine sono mantenuti costanti.Per trovare l’indice di rifrazione, assumiamo in prima approssimazione che la lente

    sia debole e che la sorgente sia piccola rispetto al sistema complessivo composto dalente, sorgente e osservatore. Con "lente debole" si intende un sistema in cui il potenzialegravitazionale Newtoniano Φ sia molto più piccolo di c2, Φ/c2 � 1. È da notare chequesta approssimazione è valida idealmente in tutti i casi di interesse astronomico.

  • 1.2. PRINCIPIO DI FERMAT NELLE LENTI GRAVITAZIONALI 11

    Figura 1.2: Percorsi tra i quali si selezionano quelli con tempi massimali[2].

    La metrica dello spazio-tempo imperturbato è la metrica di Minkowsky,

    ηµν =

    1 0 0 00 −1 0 00 0 −1 00 0 0 −1

    ,

    della quale l’elemento di curva è

    ds2 = ηµνdxµdxν = (dx0)2 − (d~x)2 = c2dt2 − (d~x)2. (1.3)

    Una lente debole perturba la metrica in modo che

    ηµν → gµν =

    1 + 2Φ

    c20 0 0

    0 −(1− 2Φc2

    ) 0 00 0 −(1− 2Φ

    c2) 0

    0 0 0 −(1− 2Φc2

    )

    ,

    per cui l’elemento di curva diventa

    ds2 = gµνdxµdxν =(

    1 + 2Φc2

    )c2dt2 −

    (1− 2Φ

    c2

    )(d~x)2. (1.4)

    La luce si propaga nello spazio di Minkowsky su linee di tipo luce, ds = 0, da cuiotteniamo (

    1 + 2Φc2

    )c2dt2 =

    (1− 2Φ

    c2

    )(d~x)2. (1.5)

    La velocità della luce nel campo gravitazionale è quindi

    c′ = |d~x|dt

    = c

    √√√√1 + 2Φc21− 2Φ

    c2

    ' c(

    1 + 2Φc2

    ), (1.6)

    dove abbiamo assunto che Φ/c2 � 1 . L’indice di rifrazione risulta quindi

    n = c/c′ = 11 + 2Φ

    c2

    ' 1− 2Φc2, (1.7)

    con Φ ≤ 0, n ≥ 1, e la velocità della luce c′ ≤ c. L’indice di rifrazione n dipendetipicamente dalle coordinate spaziali ~x e in generale dal tempo.

  • 12 Capitolo 1. Introduzione alle lenti gravitazionali

    Sia ~x(l) una traiettoria della luce. Si ha che il tempo di percorrenza di questatraiettoria è proporzionale a ∫ B

    An[~x(l)]dl, (1.8)

    e la traiettoria deriva dalla condizione

    δ∫ BAn[~x(l)]dl = 0. (1.9)

    Questo è un problema variazionale classico, il quale porta alle note equazioni diEulero. Nel nostro caso abbiamo

    dl =∣∣∣∣∣d~xdλ

    ∣∣∣∣∣ dλ, (1.10)con un parametro della curva λ arbitrario, quindi si trova

    δ∫ λBλA

    dλn[~x(l)]∣∣∣∣∣d~xdλ

    ∣∣∣∣∣ = 0. (1.11)L’espressione

    n[~x(l)]∣∣∣∣∣d~xdλ

    ∣∣∣∣∣ ≡ L(~̇x, ~x, λ) (1.12)svolge il ruolo di Lagrangiana in meccanica analitica, in cui le derivate sono preserispetto al parametro della curva λ. In conclusione abbiamo le equazioni di Eulero

    d

    δL

    δ~̇x− δLδ~x

    = 0 (1.13)

    con in particolareδL

    δ~x= |~x|δn

    δ~x,

    δL

    δ~̇x= n ~̇x|~̇x|. (1.14)

    Evidentemente, ~̇x è un vettore tangente alla traiettoria della luce, il quale si può assu-mere normalizzato da una scelta appropriata di λ. Abbiamo quindi |~̇x| = 1 e scriviamo~e = ~̇x per il versore tangente alla curva. Ne consegue

    d

    dλ(n~e)− ~∇n = 0, (1.15)

    oppuren~̇e+ ~e · [(~∇n)~̇x] = ~∇n, ⇒ n~̇e = ~∇n− ~e(~∇n · ~e). (1.16)

    L’ultimo termine è la derivata lungo la traiettoria luminosa, quindi tutto il secondomembro dell’equazione è il gradiente di n perpendicolare alla curva, ovvero

    ~̇e = 1n~∇⊥ lnn. (1.17)

    Dato che n = 1− 2Φ/c2 e Φ/c2 � 1, lnn ' −2Φ/c2, allora

    ~̇e ' − 2c2~∇⊥Φ (1.18)

  • 1.2. PRINCIPIO DI FERMAT NELLE LENTI GRAVITAZIONALI 13

    Figura 1.3: Angolo di deflessione dato da una massa M [2].

    L’angolo totale di deflessione della traiettoria si trova calcolando l’integrale su −~̇elungo la curva,

    ~̂α = 2c2

    ∫ λBλA

    ~∇⊥Φdλ. (1.19)

    La deflessione è dunque l’integrale sulla "attrazione" del potenziale gravitazionale per-pendicolare alla traiettoria della luce. Si noti che ~∇Φ è direzionato esternamente alcentro della lente, al contrario di ~̂α.

    Strutturata in questo modo l’equazione per ~̂α non è di grande utilità, dato chesiamo costretti ad integrare sul percorso effettivo della luce. In ogni caso, dato cheΦ/c2 � 1, ci si aspetta che l’angolo di deflessione sia piccolo. Possiamo applicarein questo modo l’approssimazione di Born della teoria delle collisioni e integrare sulpercorso non perturbato.

    Supponendo che un raggio di luce esca nella direzione +~ex e passi in una lente inx = 0, con parametro di impatto b, l’angolo di deflessione sarà dato da

    ~̂α(b) = 2c2

    ∫ +∞−∞

    ~∇⊥Φdx. (1.20)

    Dato che la velocità della luce è inferiore in un campo gravitazionale, c′ = c/n, iltempo di percorrenza lungo la traiettoria perturbata è più grande di

    δt =∫ dlc′−∫ dl

    c=∫

    (n− 1)dl = − 2c3

    ∫Φdl. (1.21)

    Questa è chiamata la variazione di Shapiro (Shapiro, 1964).

  • Capitolo 2

    Lenti nel caso generale

    2.1 Lenti con distribuzione di massatridimensionale

    L’angolo di deflessione di una massa puntiforme dipende linearmente dalla massaM . Questo garantisce che la deflessione di una successione di lenti segua il principiodi sovrapposizione.

    Figura 2.1: Modello di approssimazione di schermo sottile in cui sonoevidenziati il piano sorgente e quello ottico, mentre α è l’angolo dideflessione [2].

    15

  • 16 Capitolo 2. Lenti nel caso generale

    In un sistema nel quale si ha una distribuzione in ordine sparso di N corpi massivisu un piano, quando le posizioni e le masse sono ~ξi e Mi con 1 ≤ i ≤ N , l’angolo dideflessione della luce che attraversa il piano in ~ξ sarà:

    ~̂α(~ξ) =∑i

    ~̂α(~ξ − ~ξi) =4Gc2∑i

    Mi~ξ − ~ξi|~ξ − ~ξi|2

    . (2.1)

    Consideriamo ora la più realistica distribuzione tridimensionale. Anche nel casodi lente data da un insieme di galassie, la grandezza della lente è molto più piccoladelle distanze tra osservatore, lente e sorgente. La deflessione si applica quindi solo inun breve tratto del percorso, permettendo così di usare l’approssimazione di schermosottile (fig. 2.1): la lente è approssimata da una distribuzione planare di materia,chiamata piano ottico.

    In questa approssimazione, la lente è accuratamente descritta dalla densità super-ficiale di massa,

    Σ(~ξ) =∫ρ(~ξ, z)dz , (2.2)

    dove ~ξ è un vettore bidimensionale sul piano ottico e ρ è la densità spaziale di massa.Finché l’approssimazione di schermo sottile rimane valida, l’angolo di deflessione

    totale si ottiene sommando i contributi di tutti gli elementi di massa Σ(~ξ)d2ξ :

    ~̂α(~ξ) = 4Gc2

    ∫ (~ξ − ~ξ′)Σ(~ξ′)|~ξ − ~ξ′|2

    d2ξ′ . (2.3)

    2.2 Equazione otticaPer prima cosa definiamo un asse ottico, perpendicolare al piano sorgente e al piano

    ottico e passante per l’osservatore. Quindi misuriamo la posizione angolare sulla lentee sul piano sorgente rispetto al nostro asse di riferimento.

    Consideriamo una sorgente nella posizione angolare ~β, la quale sta sul piano ad unadistanza ~η = ~βDS dall’asse ottico, come visto in figura (2.1). L’angolo di deflessionedella luce ~̂α uscente da quel punto e avente parametro di impatto ~ξ = ~θDL è datodall’equazione (1.20). Grazie alla deflessione, l’osservatore riceve il segnale luminosocome se fosse emesso nella posizione angolare ~θ.

    Se ~θ,~β e ~̂α sono piccoli, la posizione reale della sorgente e la sua immagine osservatanel cielo sono connesse da una semplice relazione, ricavata dalle proprietà geometrichedel sistema. Questa relazione è chiamata equazione ottica ed è scritta come

    ~θDS = ~βDS + ~̂αDLS, (2.4)

    dove DLS è la distanza radiale tra lente e sorgente. Definendo l’angolo di deflessioneridotto

    ~α(~θ) ≡ DLSDS

    ~̂α(~θ), (2.5)

    dall’equazione (2.4), otteniamo~β = ~θ − ~α(~θ). (2.6)

    L’equazione trovata, apparentemente molto semplice, esprime la particolare naturadei fenomeni in quanto ~α dipende da ~θ.

  • 2.3. POTENZIALE OTTICO 17

    Si è soliti scrivere l’equazione (2.4) in forma adimensionale. Definiamo un fattore discala ξ0 sul piano ottico e un fattore corrispondente η0 = ξ0DS/DL sul piano sorgente.Quindi definiamo i vettori adimensionali

    ~x ≡~ξ

    ξ0, ~y ≡ ~η

    η0, (2.7)

    come anche l’angolo di deflessione riscalato

    ~α(~x) = DLDLSξ0DS

    ~̂α(ξ0~x). (2.8)

    Fatte le opportune sostituzioni, l’equazione (2.4) può essere infine scritta come

    ~y = ~x− ~α(~x). (2.9)

    2.3 Potenziale otticoUna distribuzione estesa di materia è caratterizzata dal potenziale ottico effetti-

    vo, ottenuto dalla proiezione opportunamente riscalata del potenziale Newtoniano sulpiano ottico:

    Ψ̂(~θ) = DLSDLDS

    2c2

    ∫Φ(DL~θ, z)dz. (2.10)

    La controparte adimensionale di questa funzione è data da

    Ψ = D2L

    ξ20Ψ̂. (2.11)

    Questo potenziale soddisfa due importanti proprietà:

    1. il gradiente di Ψ dà l’angolo di deflessione riscalato:

    ~∇xΨ(~x) = ξ0~∇⊥(DLSDLξ20DS

    2c2

    ∫Φ( ~x, zdz)

    )

    = DLSDLξ0DS

    2c2

    ∫~∇⊥Φ( ~x, zdz)

    = ~α(~x); (2.12)

    2. il Laplaciano di Ψ dà due volte la convergenza:

    ∆xΨ(~x) = 2κ(~x). (2.13)

    Quest’ultima è definita come una densità superficiale adimensionale

    κ(~x) ≡ Σ(~x)Σcr(2.14)

    conΣcr =

    c2

    4πGDS

    DLDLS,

  • 18 Capitolo 2. Lenti nel caso generale

    in cui Σcr è chiamata densità superficiale critica, una quantità che caratterizzail sistema di lenti e che è funzione della distanza radiale tra lente e sorgente.L’equazione (2.13) è derivata dall’equazione di Poisson,

    ∆Φ = 4πGρ. (2.15)

    La densità superficiale di massa è

    Σ(~θ) = 14πG

    ∫ +∞−∞

    ∆Φdz (2.16)

    eκ(~θ) = 1

    c2DLDLSDS

    ∫ +∞−∞

    ∆Φdz. (2.17)

    Introduciamo ora un Laplaciano bidimensionale

    ∆θ =δ2

    δθ21+ δ

    2

    δθ22= D2L

    (δ2

    δξ21+ δ

    2

    δξ22

    )= D2L

    (∆− δ

    2

    δz2

    ), (2.18)

    da cui deriva∆Φ = 1

    D2L∆θΦ +

    δ2Φδz2

    . (2.19)

    Inserendo la (2.19) nella (2.17) otteniamo

    κ(~θ) = 1c2DLDLS

    DS

    [∆θ

    ∫ +∞−∞

    Φdz +D2L∫ +∞−∞

    δ2Φδz2

    dz

    ]. (2.20)

    Se la lente è confinata gravitazionalmente, δΦ/δz = 0 sul bordo e il secondotermine dell’equazione (2.20) si annulla, allora dalle (2.10) e (2.11) troviamo

    κ(θ) = 12∆θΨ̂ =12ξ20D2L

    ∆θΨ. (2.21)

    Dato che∆θ = D2L∆ξ =

    D2Lξ20

    ∆x, (2.22)

    usando le quantità adimensionali la (2.21) diventa

    κ(~x) = 12∆xΦ(~x). (2.23)

    Integrando l’equazione (2.13), il potenziale ottico effettivo può essere scritto neitermini della convergenza come

    Ψ(~x) = 1π

    ∫R2κ(~x′) ln |~x− ~x′|d2x′, (2.24)

    da cui si ottiene che l’angolo di deflessione riscalato è

    ~α(~x) = 1π

    ∫R2d2x′κ(~x′) ~x− ~x

    |~x− ~x′|. (2.25)

  • 2.4. INGRANDIMENTO E DEFORMAZIONE 19

    2.4 Ingrandimento e deformazioneUno dei tratti caratteristici delle lenti gravitazionali è la deformazione che queste

    inducono sulla sorgente. Questo è particolarmente evidente quando la sorgente nonha una dimensione trascurabile. Per esempio, alcune galassie di fondo appaiono comelunghi archi tra aggregati di altre galassie. La deformazione nasce perché i fasci di luceadiacenti tra loro sono deflessi differentemente. Idealmente la forma dell’immagine puòessere determinata risolvendo le equazioni della lente per tutti i punti appartenentialla sorgente. In particolare, se la sorgente è molto più piccola delle dimensioni ango-lari entro cui cambiano le proprietà fisiche della lente, la relazione tra posizione dellasorgente e della sua immagine può essere linearizzata localmente. In altre parole, ladeformazione delle immagini può essere descritta dallo Jacobiano

    A ≡ δ~yδ~x

    =(δij −

    δαi(~x)δ~xj

    )=(δij −

    δ2Ψ(~x)δ~xiδ~xj

    ), (2.26)

    in cui xi indica la componente i-esima di ~x sul piano ottico. L’equazione (2.26) mostracome gli elementi dello Jacobiano possano essere scritti come una combinazione dellederivate seconde del potenziale ottico. Per comodità di scrittura, si userà la notazioneabbreviata

    δ2Ψ(~x)δ~xiδ~xj

    ≡ Ψij. (2.27)

    Possiamo ora separare la parte isotropa dallo Jacobiano:(A− 12trA · I

    )ij

    = δij −Ψij −12(1−Ψ11 + 1−Ψ22)δij

    = −Ψij +12(Ψ11 + Ψ22)δij

    =(−12(Ψ11 −Ψ22) −Ψ12

    −Ψ12 12(Ψ11 −Ψ22)

    ). (2.28)

    Questa è evidentemente una matrice antisimmetrica a traccia nulla chiamata matricedi taglio (shear). In questo modo si quantifica la proiezione del campo gravitazionaletidale, il quale descrive la deformazione delle sorgenti di fondo. Possiamo così definirelo pseudo-vettore ~γ = (γ1, γ2), chiamato shear, sul piano ottico, i cui componenti sono

    γ1(~x) =12(Ψ11 −Ψ22), (2.29)

    γ2(~x) = Ψ12 = Ψ21, (2.30)

    Gli autovalori della matrice di taglio sono

    ±√γ21 + γ22 = ±γ. (2.31)

    Quindi, esiste una rotazione di angolo φ per cui(γ1 γ2γ2 −γ1

    )= γ

    (cos 2φ sin 2φsin 2φ − cos 2φ

    ), (2.32)

    dove il fattore 2 davanti all’angolo appare perché le componenti dello shear sonoelementi di un tensore 2× 2 e non di un vettore.

  • 20 Capitolo 2. Lenti nel caso generale

    La parte rimasta dello Jacobiano è invece

    12trA =

    [1− 12(Ψ11 + Ψ22)

    ]=

    (1− 12∆Ψ

    )δij = (1− κ)δij. (2.33)

    Quindi, lo Jacobiano diventa

    A =(

    1− κ− γ1 −γ2−γ2 1− κ+ γ1

    )

    = (1− κ)(

    1 00 1

    )− γ

    (cos 2φ sin 2φsin 2φ − cos 2φ

    ). (2.34)

    L’ultima equazione spiega il significato sia della convergenza che dello shear. Ladeformazione indotta dalla convergenza è isotropica, quindi le immagini sono solo ri-scalate di un fattore costante in tutte le direzioni. Lo shear invece schiaccia la formaintrinseca della sorgente lungo una direzione privilegiata. Per questa ragione, una sor-gente circolare, piccola in confronto alla scala della lente, è mappata in una ellissequando κ e γ sono entrambe non-nulle. I semi-assi maggiore e minore sono

    a = r1− κ− γ , b =r

    1− κ+ γ , (2.35)

    in cui r è il raggio della sorgente circolare.Una conseguenza importante della deformazione è l’amplificazione (magnification).

    Attraverso le equazioni delle lenti, l’elemento di angolo solido δβ2 è mappato nell’an-golo δθ2. Dato che il teorema di Liouvillie e l’assenza di emissione o assorbimentodi fotoni durante la deflessione gravitazionale della luce garantiscono la conservazionedella luminosità superficiale della sorgente, il cambiamento dell’angolo di osservazioneimplica che il flusso ricevuto da una sorgente è amplificato o smorzato.

    Data l’equazione (2.26), il fenomeno di amplificazione è quantificato dall’inversodel determinante dello Jacobiano. Per questa ragione, la matrice M = A−1 è chiamatatensore di amplificazione. Definiamo quindi

    µ ≡ detM = 1detA =1

    (1− κ)2 − γ2 . (2.36)

    Gli autovalori del tensore di amplificazione misurano l’amplificazione nelle direzionitangenziale e radiale e sono dati da

    µt =1λt

    = 11− κ− γ , (2.37)

    µr =1λr

    = 11− κ+ γ . (2.38)

    L’amplificazione diventa idealmente infinita quando λt = 0 e λr = 0. Queste duecondizioni definiscono due curve sul piano ottico, chiamate rispettivamente linea criticatangenziale e radiale. Un’immagine lungo la linea critica tangenziale è fortementedeformata tangenzialmente alla curva. Al contrario, un’immagine lungo la linea criticaradiale è fortemente deformata nella direzione perpendicolare alla curva.

  • 2.5. APPROSSIMAZIONE AL SECONDO ORDINE 21

    2.5 Approssimazione al secondo ordineNella sezione 2.4 sono stati discussi gli effetti delle lenti in approssimazione al primo

    ordine. Evidenziamo ora alcuni fenomeni che emergono al secondo ordine di appros-simazione. Usando una espansione di Taylor intorno all’origine, le coordinate nonperturbate sono connesse con quelle perturbate attraverso la seguente equazione

    yi 'δyiδxj

    xj +12

    δ2yiδxjδxk

    xjxk. (2.39)

    L’effetto della lente è descritto in approssimazione al primo ordine dallo Jacobiano A.Ora introduciamo il tensore

    Dijk =δ2yiδxjδxk

    = δAijδxk

    . (2.40)

    Quindi, l’equazione (2.39) si può leggere come

    yi ' Aijxj +12Dijkxjxk . (2.41)

    Con qualche banale passaggio algebrico, si dimostra che

    Dij1 =(−2γ1,1 − γ2,2 −γ2,1−γ2,1 −γ2,2

    ), Dij2 =

    (−γ2,1 −γ2,2−γ2,2 −2γ1,2 − γ2,1.

    ), (2.42)

    quindi gli effetti della lente in approssimazione al secondo ordine possono essere espressiin funzione della derivata dello shear.

    Costruiamo ora le seguenti quantità complesse

    F = F1 + iF2 = (γ1,1 + γ2,2) + i(γ2,1 − γ1,2), (2.43)G = G1 + iG2 = (γ1,1 − γ2,2) + i(γ2,1 + γ1,2), (2.44)

    le quali sono chiamate rispettivamente prima e seconda flessione e descrivono la defor-mazione dell’immagine al secondo ordine di approssimazione.

    La flessione è responsabile della curvatura e di altre deformazioni non isotropichedell’immagine. Si noti che il vettore ~F di componenti F1 e F2 è dato da

    ~F = ~∇κ . (2.45)

    Infatti:

    γ1,1 =12(Ψ111 −Ψ221) , (2.46)

    γ2,2 = Ψ122 , (2.47)γ2,1 = Ψ121 , (2.48)

    γ1,2 =12(Ψ112 −Ψ222) . (2.49)

    Quindi si ha:

    F1 =12(Ψ111 −Ψ221) + Ψ122 ==

    12(Ψ111 + Ψ221) =

    δκ

    δx1, (2.50)

    F2 =12(Ψ112 −Ψ222) + Ψ121 ==

    12(Ψ112 + Ψ222) =

    δκ

    δx2, (2.51)

    Questo significa che la prima flessione può essere usata per ottenere il campo diconvergenza.

  • Capitolo 3

    Modelli di lente

    Di seguito si studiano alcuni modelli di lente gravitazionale, nei quali si supponeuna distribuzione regolare di corpi massivi nel piano di lente. Questo semplifica note-volmente i calcoli introducendo un errore teorico che si suppone inferiore alla sensibilitàdegli strumenti di misura. Ciascuno dei modelli sarà applicabile con accuratezza deirisultati solo in situazioni reali simili a quelle descritte. Verrà in primo luogo appro-fondito il modello di lente con massa puntiforme poiché viene utilizzato nello studiodei fenomeni di microlensing.

    3.1 Lenti con massa puntiformeIl primo modello preso in considerazione è quello di lenti con masse puntiformi.

    L’angolo di deflessione di un corpo massivo puntiforme è

    ~̂α = −4GMc2b

    ~er , (3.1)

    in cui ~er è il vettore unitario in direzione radiale. Non c’è una direzione privilegiata inuna situazione con simmetria assiale come quella in esame, quindi si può identificare~er come un asse coordinato e ridurre il problema ad una dimensione. Perciò abbiamo

    α̂ = 4GMc2b

    = 4GMc2DLθ

    , (3.2)

    in cui è stato espresso il parametro di impatto b in funzione dell’angolo θ, b = DLθ. Ilpotenziale ottico è dato da

    Ψ̂ = 4GMc2

    DLSDLDS

    ln |~θ| , (3.3)

    e si può mostrare che usando∇ ln |~x| = ~x

    |~x|2(3.4)

    l’equazione ottica si leggeβ = θ − 4GM

    c2DLθ

    DLSDS

    . (3.5)

    Usando la definizione del raggio di Einstein,

    θE =√

    4GMc2

    DLSDLDS

    , (3.6)

    23

  • 24 Capitolo 3. Modelli di lente

    abbiamoβ = θ − θ

    2E

    θ. (3.7)

    Con qualche passaggio algebrico e sostituendo y = β/θE e x = θ/θE, si ottienel’equazione ottica in forma adimensionale

    x2 − xy − 1 = 0 , (3.8)

    la quale ha due soluzioni:x± =

    12

    [y ±

    √y2 − 4

    ]. (3.9)

    Quindi, una lente con massa puntiforme ha due immagini per ogni sorgente, a pre-scindere dalla sua distanza y dalla lente. Non ne ha tre poiché la superficie di ritardotemporale non è deformata in modo continuo a causa della presenza di una singolaritàdi massa.

    Se y = 0 e x± = ±1 allora una sorgente perfettamente allineata con la lente ha unaimmagine circolare ad anello di raggio θE. Con β → ∞, si nota che θ_ = x_θE → 0,mentre ovviamente θ+ = x+θE → β, cioè quando la distanza angolare tra la lente e lasorgente diventa grande, l’effetto della lente si perde, anche se formalmente c’è ancoraun’immagine in θ_ = 0.

    L’amplificazione si trova dallo Jacobiano. Quindi per qualunque lente con simmetriaassiale si ha

    detA = yx

    δy

    δx=(

    1− αx

    )(1− δα

    δx

    )

    =(

    1− 1x2

    )(1 + 1

    x2

    )= 1−

    (1x

    )4⇒ µ =

    [1−

    (1x

    )4]−1. (3.10)

    Si noti che limy→∞ µ_ = 0 e che limy→∞ µ+ = 1. Anche se l’equazione ottica ha sem-pre due soluzioni, per una grande distanza angolare tra sorgente e lente un’immaginescompare perché la sua luminosità viene smorzata sotto la soglia di osservazione.

    L’azione di lenti con massa puntiforme su sorgenti puntiformi sarà discussa più indettaglio in seguito, in ogni caso si possono già fare alcune considerazioni: a meno chela lente non sia più massiva di 106M�, la distanza angolare tra le immagini è troppopiccola per essere osservata. Si riesce a rilevare l’azione della lente sulla luminosità nelcaso in cui la sorgente sia in moto relativo rispetto alla lente stessa. Infatti, dato chela luminosità osservata è una funzione della distanza angolare tra sorgente e lente, sipotrà rilevare una variazione temporale nella traiettoria della luce.

    3.2 Lenti con simmetria assialeIl vantaggio principale di avere lenti con simmetria assiale è che la loro densità su-

    perficiale è indipendente dalla posizione angolare rispetto al centro. Analogamente allalente con massa puntiforme si può ridurre il problema ad un problema unidimensionaleottenendo

    α(x) = M(ξ0x)πξ20Σcr

    1x≡ m(x)

    x, (3.11)

  • 3.2. LENTI CON SIMMETRIA ASSIALE 25

    in cui è stata introdotta la massa adimensionale m(x) come

    α(x) = 2x

    ∫ x0x′κ(x′)dx′ ⇒ m(x) = 2

    ∫ x0x′κ(x′)dx′ . (3.12)

    Studiando poi lo Jacobiano troviamo la convergenza e i componenti dello shear:

    κ(x) = 12xdm(x)dx

    , (3.13)

    γ1(x) =12(x

    22 − x21)

    (2m(x)x4

    − dm(x)dx

    1x3

    ), (3.14)

    γ2(x) = x1x2(dm(x)dx

    1x3− 2m(x)

    x4

    ). (3.15)

    Si osserva un numero dispari di immagini (esclusi casi con singolarità).Questo modello comprende diversi casi di diversa distribuzione di massa:

    • la sfera singolare isoterma suppone una distribuzione della massa come se si avesseun gas ideale confinato in un potenziale gravitazionale centrale. Il gas si supponesia in equilibrio termico e idrostatico ottenendo il seguente profilo di densità

    ρ(r) = σ2v

    2πGr2 , (3.16)

    in cui σv è la dispersione della velocità delle particelle di gas. Questo profilodi densità ha una singolarità nel suo centro, dove la sua densità è idealmenteinfinita. In ogni caso, il modello è utilizzato per descrivere la distribuzione dellamateria nelle galassie, specialmente perché può riprodurre le curve di rotazioneplanare delle galassie a spirale;

    • la sfera isoterma continua è una variante alla distribuzione di massa precedente,nella quale però viene inserito un raggio interno rc nel potenziale per evitare ladiscontinuità. Si ottiene quindi

    Ψ =√x2 + x2c ⇒ ~α(~x) =

    ~x√x2 + x2c

    ; (3.17)

    • il profilo di densità di Navarro-Frenk e White (NFW) corrisponde numericamenteal profilo degli anelli di materia oscura nel range di masse 3 ·1011 ≤Mvirh/M� ≤3 · 1015:

    ρ(r) = ρs(r/rs)(1 + r/rs)2. (3.18)

    La pendenza logaritmica di questo profilo di densità indica nel centro una curva-tura inferiore alla sfera continua ed esternamente una curvatura superiore. I dueparametri ρs e rs indicano rispettivamente la densità caratteristica e il raggio discala.

  • Capitolo 4

    Microlensing: ricerca di pianetiextrasolari

    Un modello semplice come la lente con massa puntiforme è molto utile per descrive-re una classe di fenomeni chiamati microlensing, caratterizzata da lenti piccole rispettoalla dimensione del sistema nel suo insieme. In altre parole, per classificare un eventocome microlensing, sono necessarie masse piccole e lenti distanti dalle sorgenti. Tipica-mente, una massa che può dare come effetto un fenomeno di microlensing è compresanell’intervallo 10−6 ≤ M/M� ≤ 106 e il raggio di Einstein corrispondente è più piccolodi un millesimo di secondo di arco.

    4.1 Lensing di stelle isolate su stelle isolateConsideriamo il caso più semplice: una stella isolata sullo sfondo e una stella iso-

    lata come lente. Nel regime considerato, lente e sorgente sono distanti sull’ordinedei parsec. La curvatura dello spazio-tempo può essere trascurata, quindi assumiamoDS = DL + DLS. Oltretutto, possiamo adottare l’approssimazione di lente e sorgen-te puntiformi senza perdere di accuratezza, come giustificato dalle caratteristiche delsistema in esame:

    • la distribuzione della massa di una stella può essere assunta di simmetria sferica.Questo implica che la proiezione planare della distribuzione ha simmetria assiale,indipendentemente dalla direzione. Il libero cammino medio dei fotoni è piccolose non sono negli strati più esterni dell’atmosfera stellare. Si considera quindila stella non trasparente: la luce che la colpisce con un parametro di impattoinferiore al suo raggio verrà completamente assorbita, mentre la luce avente pa-rametro di impatto maggiore del raggio della stella passerà attraverso la lentedeviando dal suo percorso originario di

    α̂ = 4GMc2b

    , (4.1)

    in cui M è la massa della stella. L’approssimazione di massa puntiforme saràaccurata fintanto che abbiamo un parametro di impatto maggiore del raggio dellastella;

    • l’ordine di scala che caratterizza la lente è il raggio di Einstein, θE. Questodefinisce la separazione tra immagini multiple, ∆θ ∼ 2θE. La sorgente può essere

    27

  • 28 Capitolo 4. Microlensing: ricerca di pianeti extrasolari

    approssimata puntiforme nel caso in cui le sue dimensioni angolari siano inferioria θE. Questa condizione si viene a formare nella maggior parte dei fenomeni dimicrolensing come in figura (4.1).

    Figura 4.1: Il grafico mette a confronto il raggio di Einsein θE conla dimensione angolare della gigante rossa associata alla stessa massa.Si può notare come quest’ultima sia trascurabile rispetto a θE e siaaccurata l’approssimazione di massa puntiforme [2].

    Il raggio di Einstein è troppo piccolo per poter osservare un fenomeno di micro-lensing analizzando le immagini della sorgente sullo sfondo. In ogni caso il moto dellaTerra e delle stelle della nostra galassia partecipano alla rivoluzione della galassia sulsuo centro. Si ha quindi un sistema in cui la lente è in moto relativo rispetto allasorgente. Dato che il coefficiente di luminosità di un’immagine dipende dalla posizionedella sorgente, come visto nell’equazione (3.10), la luminosità totale rilevata sarà lasomma della luminosità delle singole immagini:

    µtot = |µ+|+ |µ_| =y2 + 2

    y√y2 + 4

    . (4.2)

    Questo introduce la variabilità della luminosità della sorgente come

    L[y(t)] = µ[y(t)]L̂ , (4.3)

    in cui L̂ è la luminosità intrinseca della sorgente. La scala dei tempi in cui si nota unavariazione di L è data dal tempo impiegato dalla sorgente per attraversare l’anello diEinstein,

    tE =DLθEv⊥

    , (4.4)

  • 4.1. LENSING DI STELLE ISOLATE SU STELLE ISOLATE 29

    in cui v⊥ è la velocità trasversale della sorgente rispetto al sistema osservatore-lente.Assumendo che il moto della sorgente sia rettilineo lungo tutta la durata del fenomeno,la traiettoria della sorgente è rappresentata da

    y(t) =√y20 +

    (t− t0tE

    )2, (4.5)

    in cui y0 è la distanza minima dalla lente e t0 è il momento in cui la sorgente è alladistanza minima, y(t0) = y0. Combinando le equazioni (4.2) e (4.5), deriviamo le curveper valori differenti del parametro di impatto y0 come in figura (4.2). Queste curve

    Figura 4.2: Il grafico mostra il parametro di amplificazione della lu-minosità in funzione del tempo per diversi parametri d’impatto y0[2].

    sono descritte da quattro parametri:• la luminosità della sorgente, L̂;

    • il tempo di distanza minima, t0;

    • il punto di distanza minima, y0;

    • il tempo di attraversamento di Einstein, tE.Di queste L̂ può essere misurata quando la sorgente è ad una grande distanza angolaredalla lente; t0 è preso come l’istante in cui l’intensità raggiunge il massimo; y0 puòessere misurato se la posizione della lente è nota, il che succede raramente. In ognicaso, y0 dipende solo dalla posizione arbitraria della lente rispetto alla sorgente. SolotE contiene informazioni fisiche del sistema poiché dipende dalla massa della lente M ,dalla distanza tra lente, sorgente e osservatore (DL, DS, DLS) e dalla velocità trasversalev⊥. Assumendo che la distanza tra osservatore e sorgente può essere determinata inqualche modo, rimangono tre parametri ignoti legati in tE. Si noti anche che, seppurla maggior parte delle volte la luminosità della lente è molto piccola rispetto a quelladella sorgente, la luminosità osservata dipende anche da un parametro aggiuntivo: laluminosità della lente LL. Questo rende la determinare tE ancora più complicato.

  • 30 Capitolo 4. Microlensing: ricerca di pianeti extrasolari

    4.2 Lenti binarieConsideriamo ora un caso importante per la ricerca di pianeti extrasolari: una lente

    composta da due corpi massivi puntiformi. Assumiamo che questi abbiano masse Mae Mb, rispettivamente. Grazie alla proporzionalità diretta tra angolo di deflessione emassa, l’angolo sarà dato dalla sovrapposizione dei contributi dei singoli corpi:

    ~̂α(~xi) = 4Gc2left[ Ma

    |~xi− ~xia|2(~xi− ~xia) +

    Mb

    |~xi− ~xib|2(~xi− ~xib)] . (4.6)

    La presenza della seconda lente rompe la simmetria assiale del sistema. Il fenomenorisultante è molto differente dal caso di lente singola. Per prima cosa si nota che la lentediventa astigmatica. Questo risulta in un profilo di amplificazione della luminositàcompletamente diverso e nella presenza di caustiche estese. Le caustiche dividonoregioni con differenti molteplicità di immagini. Quando la sorgente attraversa unacaustica durante il suo moto relativo al piano di lente, nuove immagini sono create edistrutte. Come nel caso della massa puntiforme, le separazioni tra le immagini sonotroppo piccole per essere viste, ma il profilo luminoso è generalmente più complesso epresenta numerosi picchi e asimmetrie.

    Grazie alla presenza del secondo corpo nella lente, ci sono tre nuovi parametri checaratterizzano il profilo luminoso:

    1. il rapporto tra le masse, q = Ma/Mb;

    2. la separazione tra i due corpi della lente, d, che è comunemente espressa in unitàdi raggi di Einstein della lente puntiforme di massa pari alla massa complessivadel sistema, M = Ma +Mb;

    3. l’angolo tra la traiettoria della sorgente e la linea che collega le due lenti.

    Grazie al grande numero di parametri coinvolti, la soluzione analitica delle linee cri-tiche e delle caustiche di lenti binarie è molto complicata. Qualitativamente, possiamoindividuare tre regimi (fig. 4.3):

    1. quando le due lenti sono lontane (d > 1), agiscono come lenti singole che perce-piscono debolmente le reciproche perturbazioni. La caustica puntiforme diventaun asterisco antisimmetrico con quattro cuspidi. La linea critica corrispondenteè un’ovale;

    2. quando la separazione si avvicina a 1, le linee critiche e le caustiche corrispondentisi uniscono. Inizialmente si toccano in un punto, poi, per una diminuzione ulte-riore della distanza, si avranno una singola caustica caratterizzata da sei cuspidie una singola linea critica;

    3. quando la separazione raggiunge 8−0.5, due regioni dentro la linea critica si sepa-rano e la caustica si separa in tre parti. Riducendo ancora la separazione le duecaustiche triangolari si allontanano da quella centrale, la quale rimpicciolisce.

    Basandosi sul fatto che più del 50% delle stelle fa parte di un sistema binario, ungrande numero di fenomeni di microlensing è originato da lenti binarie. Non tuttipossono essere identificati attraverso il profilo di luminosità poiché la sensibilità deglistrumenti di osservazione è limitata: due lenti vicine appariranno come fossero una,mentre due lenti distanti appariranno come fossero isolate tra loro. Per questa ragione,solo il 10% dei profili di luminosità mostra effetti di lenti binarie.

  • 4.2. LENTI BINARIE 31

    Figura 4.3: Le immagini mostrano come la struttura delle linee critichee delle caustiche cambi al variare della distanza tra le lenti. I segni +e - indicano la parità dell’immagine che si forma sul piano di lente. Inparticolare la distanza decresce in ordine dalla figura in alto a sinistraa quella in basso a destra [3].

  • 32 Capitolo 4. Microlensing: ricerca di pianeti extrasolari

    4.3 Applicazione nella ricerca di pianeti extrasolariUn tipo particolare di lenti binarie consiste in una stella ed un pianeta che le or-

    bita intorno. In questo caso, la lente è caratterizzata da un rapporto tra le masseq = Mp/M∗ � 1, in cui Mp e M∗ sono rispettivamente le masse del pianeta e dellastella. Il profilo luminoso di questo sistema corrisponde a quello di lente singola conuna perturbazione data dall’orbita del pianeta. L’osservazione delle anomalie nei profililuminosi di stelle lontane è uno dei metodi di ricerca di pianeti extrasolari più utiliz-zati. Questo metodo è sensibile a masse piccole quanto la Terra e sta dando risultatiinteressanti.

    Figura 4.4: Questa immagine raffigura il sistema di lente binaria nelcaso di un pianeta che orbita intorno ad una stella [2].

    È conveniente esprimere le grandezze in funzione del raggio di Einstein, θE. Essendoq � 1, quest’ultimo è determinato dalla sola massa della stella,

    θE(Mp +M∗) ' θE(M∗)

    =(4GM∗

    c2DLDLSDS

    )1/2

    = 4.42AU(

    M∗0.3M�

    )1/2 (DS

    8kpc

    )1/2[x(1− x)]1/2 , (4.7)

    in cui x = DL/DS e DLS ' DS −DL.Un evento planetario di microlensing ricade in due gruppi definiti di fenomeni,

    differenziati in base a quando e come la perturbazione planetaria agisca sulla lente.Tipicamente, in questi sistemi binari, il rapporto tra le masse e le distanze tra lecomponenti è tale che sia il pianeta sia la stella sviluppano caustiche estese separate.C’è sempre una caustica centrale vicino alla linea osservatore-lente, la quale nascedalla caustica puntiforme degenere della stella, leggermente perturbata dalla presenzadel pianeta. Anche una o due caustiche planetarie sono presenti. La loro posizione,

  • 4.3. APPLICAZIONE NELLA RICERCA DI PIANETI EXTRASOLARI 33

    dimensione e orientamento dipende dal rapporto tra le masse e dalla posizione dellaproiezione dell’orbita del pianeta. La massa orbitante dovrebbe anche sviluppare unacaustica puntiforme, ma la forte perturbazione data dalla stella la trasforma in una piùestesa.

    Figura 4.5: Le immagini mostrano i risultati dell’osservazione dei duetipi di fenomeni di microlensing, in alto l’evento di attraversamento ein basso l’avvicinamento a due caustiche. Le linee più o meno spesse siriferiscono rispettivamente a sorgenti di maggiore o minore dimensione,invece le linee tratteggiate mostrano l’andamento del grafico in assenzadi perturbazione planetaria [2].

    Se una stella sorgente ha moto relativo non nullo rispetto alla lente e passa attraver-so una caustica planetaria, si osserva un fenomeno di microlensing planetario di primotipo, chiamato evento di attraversamento, mostrato nel pannello superiore della figura(4.5). Il primo picco corrisponde al passaggio della stella vicino ad una cuspide dellacaustica planetaria, gli altri due corrispondono all’evento di attraversamento. L’eventodi secondo tipo si osserva quando la stella passa vicino alla caustica centrale. La traiet-toria della sorgente che passa vicino a due cuspidi appartenenti a due caustiche diversecrea una perturbazione nel profilo della luminosità che rivela la presenza del pianeta,come mostrato nel pannello inferiore della figura (4.5). La presenza del pianeta creaun picco di dimensione contenuta mentre è molto maggiore l’azione della stella. Inentrambi i casi si rivela la presenza di un pianeta.

    Dato che la probabilità che si verifichi un fenomeno di microlensing è molto bassa,c’è la necessità di monitorare con attenzione il profilo luminoso per ottenere informa-zioni sulla lente. Alcuni gruppi di ricerca compiono osservazioni di routine della ViaLattea e delle Nubi di Magellano. Quelli attivi sono i progetti OGLE e MOA. Il primousa un telescopio di 1.3m posizionato in Cile, il secondo esegue le rilevazioni con untelescopio di 1.8m in Nuova Zelanda. Entrambi i gruppi di ricerca analizzano le imma-gini in tempo reale e nel caso in cui si osservi un profilo luminoso diverso da una lente

  • 34 Capitolo 4. Microlensing: ricerca di pianeti extrasolari

    singola viene informata la comunità scientifica. Successivamente, altri gruppi di ricercaeseguono osservazioni successive di questi eventi per poterne misurare in dettaglio ilprofilo luminoso e verificare la veridicità delle rilevazioni.

    Naturalmente ci sono anche altri metodi che sono stati usati per trovare pianetiextrasolari. I più comuni sono:

    • astrometria: consiste nella ricerca della perturbazione nel moto proprio dellastella attorno a cui orbita il pianeta. Però le perturbazioni sono così piccole chenessuna delle rilevazioni effettuate fino ad oggi è stata confermata;

    • effetto Doppler: la spettroscopia ad alta precisione permette di osservare la pre-senza di pianeti intorno ad una stella sfruttando l’effetto Doppler. Sia la stellache il pianeta orbitano intorno al centro di massa del sistema. La componentedi velocità del moto lungo l’asse di osservazione viene misurata indirettamenteattraverso la variazione della posizione delle linee spettrali causata dall’effettoDoppler. Questo metodo, anche se ha portato molti risultati, funziona solo conpianeti con piccolo raggio orbitale e non rileva differenze nel caso in cui il pianoorbitale sia quasi perpendicolare all’asse di osservazione;

    • transito: con questo metodo si cerca l’ombra del pianeta sulla sua stella. Funzionasolo nei casi in cui l’orbita del pianeta sia perfettamente allineata con l’osservatoree può essere usato solo con sistemi molto distanti;

    • tempo di pulsar: la presenza di un pianeta attorno ad un pulsar è evidenziatadalle anomalie nella regolarità delle onde provenienti dal pulsar stesso. È chiaroche questo metodo può essere applicato solo ad una specifica classe di lenti.

  • Capitolo 5

    Microlensing Planet Finder (MPF)

    Nel 2010 è stato proposto un progetto di missione spaziale con l’obiettivo di fare uncensimento dei pianeti extrasolari. Per realizzarlo è necessario servirsi di un telescopioche permetta di sfruttare appieno le capacità dei fenomeni di microlensing, ovveroevidenziare pianeti liberi e orbitanti con rapporto di massa tra le due lenti confrontabilecon quello tra Terra e Sole. In questo capitolo saranno illustrate le caratteristiche delprogetto e le misure adottate per metterlo in pratica.

    5.1 Scopo della missioneIl progetto del MPF fornisce un censimento statistico dei pianeti extrasolari che

    hanno masse maggiori di M∗ e separazione orbitale che va da 0.5AU a∞. Esso includetutti i pianeti del nostro sistema solare eccetto Mercurio, poiché è troppo vicino al Sole,e Plutone, poiché troppo piccolo e lontano. Kepler, un telescopio orbitale lanciatonel 2009, è invece molto sensibile alla presenza di pianeti a piccola distanza dallaloro stella e quindi i due si completano. La capacità di rilevare pianeti extrasolaridel MPF si estende anche a pianeti liberi, offrendo l’unica possibilità di calcolarnestatisticamente numero e masse. Atri metodi, includendo l’osservazione da terra, nonpossono avvicinarsi alla sensibilità che può fornire uno studio dallo spazio di questo tipo.L’MPF è quindi l’unico modo per completare il censimento planetario cominciato daKepler e ottenere maggior comprensione della struttura dei sistemi planetari, necessariaper capirne la formazione e l’abitabilità.

    MPF è in grado di rilevare pianeti con masse fino ad un decimo di quella terrestre.La probabilità di un segnale planetario rilevabile e la sua durata scalano come RE ∼M

    1/2P ma ipotizzando un allineamento ottimale il segnale di pianeti con piccola massa

    è discretamente forte. La massa limite per questo metodo si ha quando il raggio diEinstein è più piccolo della proiezione del raggio della stella sorgente. In ogni caso lamaggior parte degli eventi planetari è stata rilevata con stelle nane di raggio moltoinferiore anche al nostro sole, di conseguenza la massa limite in queste rilevazioniraggiunge un decimo di quella terrestre. Questo fatto è stato comprovato anche dalledettagliate simulazioni al computer eseguite sulla missione MPF.

    La stella appartenente alla lente dei pianeti rilevati è un campione casuale di unastella che passa davanti ad una sorgente nella Via Lattea, quindi tutti i tipi più comunidi stella sono campionati. Lo studio degli effetti di microlensing ha maggiore sensibilitàcon una separazione planetaria di circa RE grazie al maggiore effetto della stella a taledistanza, ma la sensibilità si estende anche a separazioni arbitrariamente grandi. Sono

    35

  • 36 Capitolo 5. Microlensing Planet Finder (MPF)

    Figura 5.1: Nella figura si può vedere come MPF è sensibile ai pianetisopra la curva viola nel grafico della massa sul semiasse maggiore. Leregioni gialla, verde e azzurra indicano rispettivamente le aree di sensi-bilità degli studi sulla velocità radiale, del SIM e di Kepler. I pianeti delnostro sistema solare sono indicati con la lettera iniziale del loro nome[5].

    solo i pianeti dentro ad RE che non possono essere rilevati poiché le immagini stellaricreate da questi pianeti interni contribuiscono in maniera minima alla luminosità to-tale osservata. Queste caratteristiche si possono vedere in fig. (5.1) nella quale sonocomparate con altri programmi di ricerca pianificati e in corso tuttora.

    Bennett & Rhie (2002) hanno eseguito simulazioni degli studi sui fenomeni di mi-crolensing. Queste simulazioni includono variazioni nelle capacità della missione perpermettere di capire come può cambiare l’output scientifico. Si possono vedere in figura(5.2) i risultati di tali simulazioni.

    Il rapido avanzamento nella ricerca sui pianeti extrasolari è guidato dall’osservazionedel comportamento di stelle così come dalla formulazione di nuove teorie e modelli diformazione planetaria. La caratteristica più interessante e inaspettata su quest’ultimoargomento è la grande diversità delle proprietà dinamiche di ciascun pianeta, ma questeproprietà anomale riguardano per lo più pianeti molto massivi o molto vicini alla lorostella. La teoria di accrescimento suppone che la maggior parte dei pianeti abbia unamassa molto inferiore ad un gigante gassoso e il limite per capirne la formazione è lacosiddetta linea di neve, collocata nella regione di maggiore sensibilità ai fenomeni dimicrolensing. La linea di neve stabilisce la distanza minima dalla stella oltre la qualel’acqua si presenta in forma solida; i pianeti formati al di là di questa linea assumonole caratteristiche di pianeti gassosi come Giove, al di qua si avranno pianeti rocciosicome la Terra e Marte.

  • 5.2. CARATTERISTICHE TECNICHE DELLA MISSIONE 37

    Figura 5.2: Nel pannello di sinistra si osserva il numero di aspettazionedi pianeti scoperti in funzione della loro massa, partendo dal fatto cheogni stella si suppone abbia un singolo pianeta per ogni range di separa-zione. Nel pannello di destra si osserva invece il numero di aspettazionedi pianeti liberi scoperti in funzione della massa [5].

    5.2 Caratteristiche tecniche della missioneIl MPF utilizza un telescopio con un campo visivo ampio per tenere in osservazione

    2 × 108 stelle della Via Lattea per nove mesi l’anno. Per tre mesi, il sole è vicinoal quadrante in osservazione e il telescopio è in uso per altri scopi. Il MPF percorreun’orbita geosincrona inclinata per mantenere il collegamento a terra: ha un periodoorbitale pari al giorno siderale terrestre. Due volte l’anno, il MPF ruota di 180 gradiper evitare che il sole entri nel campo visivo della strumentazione.

    Figura 5.3: Nella figura è rappresentata la configurazione ottica diOTA [5].

    La strumentazione consiste in Optical Telescope Assembly (OTA), basato su undesign ottico anastigmatico a tre specchi. I componenti principali di OTA sono elencatinella tabella (5.1). La luce entra in OTA dove viene raccolta dallo specchio primario e

  • 38 Capitolo 5. Microlensing Planet Finder (MPF)

    Parametro ValoreConfigurazione Triplo specchio anastigmatico conico

    Apertura 1.1mCampo visivo 0.95o × 0.68o

    Lunghezza focale 15.5mCampionamento 0.24 sec di arcoRange spettrale da 600nm a 1700nm

    Limite di diffrazione < 1µmCopertura specchi Argento

    Angolo di sfuggita solare > 45o

    Tabella 5.1: Parametri tecnici del telescopio con i rispettivi valori [5].

    concentrata sullo specchio secondario, quindi si riflette indietro nel foro centrale dellospecchio primario prima che l’immagine sia ridirezionata e centrata sul piano focale (fig.5.3). Il rilevatore sul piano focale è di 146.8 megapixel ed è raffreddato passivamente. Iparametri chiave sono mostrati in tabella (5.2). Si noti che questi sono i requisiti minimidi performance e che le effettive capacità del rilevatore sono notevolmente superiori,conferendo un ampio margine di successo per la missione.

    Parametro ValoreRange spettrale da 600nm a 1700nm

    Media della lettura singola di rumore < 30eDimensione pixel 18µmFormato array 2048× 2048Operabilità 95%

    Tabella 5.2: Parametri tecnici del piano focale con i rispettivi valori[5].

    5.3 Vantaggi rispetto alle rilevazioni da terraLo studio dei fenomeni di microlensing si basa sull’alta densità di lenti e sorgenti

    nell’area che comprende la Via Lattea per ottenere l’allineamento necessario per rile-vare un evento, ma questa alta densità significa anche che le sorgenti non hanno unprofilo definito nelle immagini prese da terra. Capita spesso che un cumulo di stelleangolarmente vicine diventi indistinguibile da terra a causa della bassa definizione datadalla presenza dell’atmosfera e da possibili condizioni non ottimali di osservazione co-me foschia o fenomeni atmosferici (fig. 5.4). Questo significa che la precisa fotometrianecessaria per rilevare pianeti di dimensioni inferiori a quello terrestre non è praticabileda terra a meno che l’amplificazione data dalla lente non sia moderatamente grande.Quindi l’osservazione da terra è sensibile solo a pianeti molto vicini all’anello di Ein-stein. L’osservazione completa di pianeti terresti su tutte le orbite maggiori di 0.5AUpotrà esserci solo partendo da osservazioni orbitali.

  • 5.4. OSSERVAZIONI FINALI 39

    Figura 5.4: Nella figura sono mostrate le immagini della stessa sezionedi cielo prese da terra (immagine di sinistra) e da un telescopio orbitale(immagine di destra) [5].

    Per la maggior parte degli eventi, i parametri planetari base (rapporto di mas-sa stella-pianeta, separazione) possono essere estrapolati dalla deviazione planetaria.Possibili ambiguità nella interpretazione degli eventi sono state studiate in dettaglio(Gaudi & Gould 1997). Possono essere risolte avendo profili luminosi continui di altaqualità, i quali sarebbero facilmente ottenuti da uno studio orbitale.

    Si è visto che, per quasi tutti gli eventi di microlensing, un punto di osservazionefuori dall’atmosfera è necessario per rilevare la stella intorno a cui orbita il pianeta eche la posizione della stella permette la conoscenza della massa sua e del suo pianetacosì come la conoscenza della separazione tra di essi. Questa operazione può essereeseguita tramite le osservazioni del telescopio orbitale Hubble per un numero ristrettodi eventi, ma non basta per la mole di eventi previsti da MPF.

    Chiaramente le simulazioni sui risultati della missione sono stati verificati partendoda misurazioni a terra oppure da dati del telescopio orbitale Hubble. Per ottenerequesto è stata verificata la precisione dello studio fotometrico necessario per MPF, e ilmodello utilizzato deve solo essere automatizzato per eseguire un’analisi sistematica.

    5.4 Osservazioni finaliCirca un terzo delle stelle intorno cui orbitano pianeti rilevati dal MPF sono lumi-

    nose almeno quanto il 10% della sorgente e quindi visibili. Per queste stelle, possonoessere ottenute informazioni aggiuntive da rilevazioni a terra. Quando possibile, sa-rebbe importante ottenere la velocità radiale, il moto proprio e la metallicità. Questipermetterebbero di calcolare la frequenza planetaria simultaneamente alle funzioni diposizione galattica e all’abbondanza di metalli. Ci aspettiamo che il moto proprio siaderivabile con i soli dati del MPF. Nei casi più rari nei quali la lente è più lumino-sa della sorgente, velocità radiale e metallicità possono essere ottenute dallo studiospettroscopico dopo l’evento.

    In preparazione alla missione è necessario eseguire un’osservazione meticolosa deicampi visivi candidati per l’analisi con MPF da parte di telescopi a terra (OGLE-III

  • 40 Capitolo 5. Microlensing Planet Finder (MPF)

    e MOA-II) per definire la sezione di cielo più idonea da osservare al fine di rilevareil maggior numero di eventi. I campi candidati saranno anche osservati con la massi-ma risoluzione possibile da uno dei grandi telescopi in Cile per creare una mappa dipopolazione stellare, funzioni di luminosità dello sfondo, arrossamento, ecc..., con unacaratterizzazione dei colori di ogni possibile stella sorgente. Queste immagini permet-tono anche di ottenere una calibrazione fotometrica a multibanda di migliaia di stellerelativamente isolate tra loro, permettendo una accurata calibrazione del MPF e fun-gendo da mappa per determinare la posizione per eseguire osservazioni spettroscopichedi follow-up.

    L’interesse umano riguardo i pianeti extrasolari è guidato per la maggior partedai risvolti scientifici legati allo studio della vita extraterrestre e dal fatto che l’unicaforma di vita di cui siamo a conoscenza si è originata sulla Terra. La nostra ignoranzasull’origine della vita è quasi totale e la comprensione della formazione dei pianeti è perlo più primitiva e incompleta. È corretto dire che abbiamo una visione semplicisticae approssimativa della misurazione dell’abitabilità planetaria, ovvero della valutazioneche un pianeta possa supportare la vita. È conveniente concentrarsi sullo studio delleproprietà dei sistemi planetari in generale e della loro formazione prima di concentrarsisui pianeti terrestri: i dati ottenuti vanno a costituire una valutazione globale statisticadei possibili fenomeni alla base della genesi planetaria anche dei pianeti terrestri. Perquesto motivo, l’ultimo Decadal Survey ha riconosciuto come prossimo passo quello dieseguire un censimento dei pianeti extrasolari per determinare le proprietà dei sistemiplanetari. Le scoperte finora conseguite suggeriscono che la maggior parte dei sistemiè incompatibile con la formazione di pianeti terrestri. Quindi è importante eseguire uncensimento statistico in grado di misurare l’occorrenza di pianeti terrestri nel cosmo,anche se relativamente bassa. L’ideale della missione MPF è di completare questocensimento. Quindi MPF è ottimizzato per:

    • eseguire la prima raccolta di pianeti analoghi a quelli del nostro sistema solare,con sensibilità che sono incompatibili solo nel caso di Mercurio e Plutone;

    • scoprire 66 pianeti terrestri, 3300 giganti gassosi e 110 giganti ghiacciati (stimecorrette nel caso in cui il nostro sistema solare sia tipico);

    • scoprire pianeti terrestri a distanze comprese tra 1AU e 2.5AU dalle loro stelle,anche se solo una piccola percentuale di esse possiede pianeti terrestri;

    • scoprire pianeti liberi, non legati gravitazionalmente ad alcuna stella;

    • dare la misura diretta del rapporto di massa stella-pianeta, oltre che delle massedei pianeti e della loro distanza orbitale.

    L’unica regione dove il MPF ha bassa sensibilità è a separazioni inferiori a 0.7AU, maquesta è la regione di maggior sensibilità della missone Kepler. Quindi, la combinazionedi Kepler e MPF completa il censimento dei pianeti extrasolari permettendo di calcolarel’occorrenza di formazione a tutte le possibili separazioni di pianeti terrestri in modoaccurato e su basi del tutto generali .

  • Sintesi del progetto e sviluppisuccessivi

    È stato visto come si sviluppa la teoria gravitazionale che studia i fenomeni di cur-vatura della luce da parte di lenti gravitazionali. Nei precedenti capitoli si è arrivatipasso passo al modello binario di lente, utile nella ricerca di pianeti extrasolari. Questomodello risulta dalla sovrapposizione dei contributi dei singoli corpi massivi alla de-viazione della luce proveniente da una sorgente sullo sfondo. L’azione combinata delledue masse provoca una variazione della luminosità della sorgente vista dall’osservatore(telescopio), che è massima nel caso in cui il pianeta nel piano di lente sia ad unadistanza dalla sua stella pari al raggio di Einstein. Solo nel caso di un’osservazionein orbita ci appare un profilo luminoso chiaro, con dati accurati senza la necessità diosservazioni di follow-up. I motivi per cui un telescopio orbitale è l’unico metodo perottenere dati accurati sono principalmente la presenza dell’atmosfera che non permetteun’immagine definita della sorgente, le misurazioni da terra che hanno dati di grandez-za paragonabile al rumore di fondo e che hanno necessità di verifiche multiple da partedi altri telescopi, l’occorrenza degli eventi osservati che è molto rara. Si conclude cheMPF è il progetto necessario per colmare le lacune di un’osservazione da terra.

    La Exoplanet Task Force (ExoPTF) ha rilasciato una valutazione di tutti i metodidi ricerca e studio dei pianeti extrasolari proposti e correnti e ha espresso il propriofavore per microlensing orbitale. Le sue conclusioni: "Il microlensing orbitale è l’ap-proccio ottimale per ottenere un censimento statistico accurato di sistemi planetarinella Galassia, in un range di semi-asse maggiore accettabile, e può essere condottocon successo con una missione di tipo Discovery" sono in accordo con il 2006 Disco-very Review Panel, il quale ha valutato verosimile il piano di spesa del MicrolensingPlanet Finder. Il sostegno della ExoPTF verso il microlensing orbitale è espresso an-che nella raccomandazione B.II.2, la quale dice: "Senza cambiare il prospetto di lanciodella missione astrometrica citata sopra, è bene lanciare una missione Discovery sulmicrolensing orbitale per determinare le statistiche di massa e separazione del pianetain funzione del tipo di stella e della posizione nella galassia."

    Il team del MPF è guidato dal Principal Investigator, David Bennett, che è unpioniere nel campo del microlensing gravitazionale, avendo contribuito all’avvio delprogetto MACHO, il quale ha portato all’osservazione del primo evento di microlen-sing gravitazionale nel 1993. È stato il primo a mostrare che questo tipo di fenomenipoteva evidenziare la presenza di pianeti terrestri simili alla Terra, ed ha ricoperto unruolo importante nell’analisi delle successive scoperte di pianeti extrasolari. Il MPF ègestito dal NASA/Goddard Space Flight Center, con l’aiuto del MPF Goddard Scien-ce Team Leader, John Mather. La navicella spaziale del MPF è fornita da MartinLockheed e il telescopio e il piano focale sono forniti da ITT e Teledyne Imaging Sen-sors, rispettivamente. Un gruppo dello Space Telescope Science Institute si occupa

    41

  • 42 Capitolo 5. Microlensing Planet Finder (MPF)

    Figura 5.5: Tabella organizzativa del MPF con riserva finanziaria eanalisi dei tratti critici [5].

    dell’analisi dati primaria e dell’archiviazione, mentre un gruppo sotto la direzione delPI e dell’Univesità di Notre Dame si occupa dell’analisi della curvatura della luce. IlMPF è stato proposto nei concorsi NASA Discovery del 2004 e del 2006, ha ricevutouna valutazione scientifica positiva nel 2004. Questo progetto è l’unica proposta suipianeti extrasolari che non è stata valutata ad alto rischio nel 2006. Il progetto hauna tempistica di quattro anni e l’organizzazione specifica è stata strutturata come infigura (5.5). La missione è tuttora in atto. Fino ad ora i pianeti confermati con questometodo sono 98 mentre altri 9 sono candidati non confermati.

  • Bibliografia

    [1] Ray d’Inverno. Introducing Einstein’s Relativity. Oxford University Press, 1992.

    [2] Massimo Meneghetti. Introduction to Gravitational Lensing.

    [3] Wambsganss J., Kochanek,C.S., Schneider, P.. Gravitational Lensing: Strong, Weak& Micro.

    [4] Scott Gaudi, Andrew Gould. Planet Parameters in Microlensing Events. TheAstrophysical Journal, 1997.

    [5] D. P. Bennett, I. Bond, E. Cheng, S. Friedman, P. Garnavich, B. Gaudi, R. Gilli-land. Completing the Census of Extrasolar Planets in the Milky Way. Response forthe Astro2010 Program Prioritization Panel, 2010.

    [6] D. P. Bennett, I. Bond, E. Cheng, S. Friedman, P. Garnavich, B. Gaudi, R.Gilliland. Completing the Census of Extrasolar Planets in the Milky Way. TheMicrolensing Planet Finder, 2006.

    [7] Nicosia, Veronica. La linea di neve svela come nasce un sistema planetario.OggiScienza, 15 Luglio 2016.

    [8] Parisini, Stefano. Pianeti nettuniani oltre il limite della neve. MEDIA INAF (blog),19 Dicembre 2016.

    [9] Exoplanet Catalog - Exoplanet Exploration: Planets Beyond our Solar System.Consultato 21 Settembre 2020.

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  • BIBLIOGRAFIA 45

    RingraziamentiA conclusione di questo elaborato, desidero menzionare tutte le persone che mi

    hanno sostenuto in questo percorso di crescita personale e professionale.Un sentito ringraziamento al mio relatore Roberto Casadio, che mi ha seguito con

    attenzione, passo dopo passo, e che mi ha permesso di approfondire questo interessanteargomento.

    Ringrazio infinitamente i miei genitori che mi hanno permesso di seguire e portarea termine questo percorso di studi.

    Un grazie di cuore al mio collega Andrea, con cui ho condiviso laboratori e lezioni.Senza il quale non avrei superato i momenti più difficili.

    Infine, ringrazio i miei fratelli Davide e Matteo che sono stati mentori affidabililungo tutto il percorso, un esempio per me.