ricerca della verità più ipotetico-deduttivi teoremi

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1 La Matematica Strutture Se la matematica, con la filosofia greca, è nata come ricerca della verità , e quindi come strumento di interpretazione univoca della realtà, oggi non possiamo più intenderla nello stesso modo: non esiste una matematica, ma più matematiche, che si fondano su ipotesi differenti, a volte contrapposte, e ciascuna sviluppa una propria teoria, senza alcuna pre- tesa che essa sia in assoluto vera , né l'unica possibile. La realtà si può osservare da punti vista differenti e con differenti strumenti interpretati- vi, ciascuno dei quali è vero in relazione alle ipotesi accettate. La matematica si configura pertanto come insieme di sistemi ipotetico-deduttivi : da un sistema di ipotesi, o assiomi , si deducono le possibili implicazioni, o teoremi. Tutto ciò che si richiede è che la teoria non sia contraddittoria, e cioè che dalle ipotesi poste a fondamento della teoria stessa non si possa dimostrare contemporaneamente un teorema e la sua negazione. (Coerenza del sistema). La matematica ha cessato definitivamente di rappresentare l'emblema della verità dopo i risultati di G ödel del 1931 che affermano l'impossibilità di dimostrare la coerenza dell' a- ritmetica all’interno della stessa, che è a fondamento dell'intera matematica. La Matematica è stata sempre considerata uno strumento fondamentale per capire il mondo che ci circonda, rappresenta una disciplina dinamica, in continuo divenire con tanti problemi non risolti. Oggi è utile far matematica facendo un percorso storico al fine di far trasparire la genesi e la sistemazione del pensiero scientifico, ritrovando così il faticoso cammino intellettuale dell’uomo, che anche il personale cammino che ognuno di noi fa per raggiungere la conoscenza L’apprendimento/conoscenza dei contenuti di ogni disciplina avviene se si capisce il motivo, l’utilità, la necessità di essi attribuendone così una funzione essenziale per l’arricchimento del proprio bagaglio culturale (o della propria esistenza intellettuale) Ogni attività razionale condensa aspetti psicologici (pensare, intuire, percepire), lingui- stici (parlare, scrivere), pratici (l’uso di oggetti, macchine) la matematica spesso assim i- lata alla capacità di ragionare ha tutte queste caratteristiche, nel senso di convenire che ogni Scienza è ragionamento e il ragionamento è Matematica.

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La Matematica

Strutture Se la matematica, con la filosofia greca, è nata come ricerca della verità, e quindi come strumento di interpretazione univoca della realtà, oggi non possiamo più intenderla nello stesso modo: non esiste una matematica, ma più matematiche, che si fondano su ipotesi differenti, a volte contrapposte, e ciascuna sviluppa una propria teoria, senza alcuna pre-tesa che essa sia in assoluto vera, né l'unica possibile. La realtà si può osservare da punti vista differenti e con differenti strumenti interpretati-vi, ciascuno dei quali è vero in relazione alle ipotesi accettate. La matematica si configura pertanto come insieme di sistemi ipotetico-deduttivi: da un sistema di ipotesi, o assiomi, si deducono le possibili implicazioni, o teoremi. Tutto ciò che si richiede è che la teoria non sia contraddittoria, e cioè che dalle ipotesi poste a fondamento della teoria stessa non si possa dimostrare contemporaneamente un teorema e la sua negazione. (Coerenza del sistema). La matematica ha cessato definitivamente di rappresentare l'emblema della verità dopo i risultati di Gödel del 1931 che affermano l'impossibilità di dimostrare la coerenza dell'a-ritmetica all’interno della stessa, che è a fondamento dell'intera matematica. La Matematica è stata sempre considerata uno strumento fondamentale per capire il mondo che ci circonda, rappresenta una disciplina dinamica, in continuo divenire con tanti problemi non risolti. Oggi è utile far matematica facendo un percorso storico al fine di far trasparire la genesi e la sistemazione del pensiero scientifico, ritrovando così il faticoso cammino intellettuale dell’uomo, che anche il personale cammino che ognuno di noi fa per raggiungere la conoscenza L’apprendimento/conoscenza dei contenuti di ogni disciplina avviene se si capisce il motivo, l’utilità, la necessità di essi attribuendone così una funzione essenziale per l’arricchimento del proprio bagaglio culturale (o della propria esistenza intellettuale) Ogni attività razionale condensa aspetti psicologici (pensare, intuire, percepire), lingui-stici (parlare, scrivere), pratici (l’uso di oggetti, macchine) la matematica spesso assimi-lata alla capacità di ragionare ha tutte queste caratteristiche, nel senso di convenire che ogni Scienza è ragionamento e il ragionamento è Matematica.

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PERCHÉ DIDATTICA DELLA MATEMATICA?

PERCHÉ EPISTEMOLOGIA DELLA MATEMATICA? intesa come approfondita riflessione sulla matematica in tutti i suoi aspetti

Oggi è tornato l’interesse per l’aspetto culturale della Matematica. Esso non è nuovo! Fino al ‘700 il reciproco interesse della Matematica e della Filosofia era consi-

derato cosa ovvia. Nella cultura greca procedevano di pari passo. Il razionali-smo di molte filosofie elleniche ha avuto le sue origini nello sviluppo della Ma-tematica astratta: è in Platone ed in Aristotele.

Essi utilizzano la Matematica come esempio di scienza deduttiva. I fondatori della scienza moderna (Galileo, Newton) erano anche filosofi attenti

o filosofi (Descartes, Leibnitz). Fino a Kant, nessun filosofo ignorava la Matema-tica o la Scienza del suo tempo: la critica kantiana si propose come còmpito la giustificazione della Matematica e della Fisica.

Con l’ 800 questo legame si allenta, perché si affermano correnti filosofiche ir-razionaliste e sorgono nuove problematiche scientifiche che non fanno più parte della formazione di base di una persona colta (Geometrie non-euclidee, Logica Matematica, etc. …).

Mutarono profondamente il pensiero scientifico e filosofico; naturale era quin-di che gli scienziati fossero particolarmente attenti a problemi epistemologici:

Gauß, Riemann, Klein, Poincarè, Frege, Hilbert, Enriques, Peano, Vailati, Pa-doa, Castelnuovo, …,

sono matematici a cavallo dell’800 e ‘900 che ebbero vivo l’interesse per pro-blemi filosofici e diedero notevoli contributi alla Filosofia della Scienza.

Fisici come Helmotz, Mach, …, Einstein e filosofi come Russell diedero impor-tanti riflessioni sulla Matematica.

L’inizio del ‘900 si presenta come un momento di grande sviluppo della Scienza.

La Matematica ha nuovi orizzonti da esplorare: la Relatività, la Meccanica Quantistica, … . La crisi dei Fondamenti spinge alla ricerca della giustificazione dell’intera Matematica.

Il positivismo logico apre nuove prospettive all’Epistemologia.

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Si hanno però anche alcuni aspetti negativi di tale sviluppo: 1) una tendenza esasperata alla specializzazione connessa all’aumento del

sapere, poiché spesso si conosce e si vuol fare conoscere un settore ri-stretto innestando una dinamica, diffusa anche oggi, che spinge i giova-ni a cercare risultati nel minor tempo possibile a discapito di una cono-scenza globale e unitaria;

2) una tendenza alla sistemazione della Matematica in teorie formali (strut-turalismo), pertanto non risulta necessario occuparsi di problemi filoso-fici (semantici): negli anni ‘30 il bourbakismo si propose di rifondare la Matematica sulle idee di insieme e struttura ed, in seguito, Mac Lane su quella di categoria;

3) una tendenza politica, forte in Italia, ad escludere la Scienza dalle attivi-tà rilevanti dal punto di vista culturale e formativo: la sensibilità per la Scienza nella riforma Gentile è ben riassunta nelle due frasi dello stesso ministro “l’intrusione delle Scienze nel mondo scolastico ha arrecato dannosis-simi frutti; la Matematica è morta infeconda, arida come un sasso ”, “non esiste un problema della didattica della Matematica; l’insegnante deve fare null’altro che ripetere i teoremi e gli studenti apprenderli”. In questo periodo, per for-tuna, tennero alto l’interesse per la Matematica e la Filosofia della Scien-za: F. Enriques (che continuò a pubblicare all’estero quando le leggi raz-ziali glielo impedirono in Italia), Beppo Levi (che fondò una scuola in Argentina), G. Peano … .

Negli anni ’60, Lakatos, Popper, Kuhn, Piaget, …, affermano l’importanza de-

gli studi fondazionali in cui la Matematica diventa oggetto filosofico: si coordina la Filosofia della Matematica con quella della Scienza, della Storia, della Psicolo-gia, della Pedagogia.

Tre sono i filoni che si studiano con interesse:

1) Lo studio della genesi dei concetti matematici. 2) La riflessione sulla Matematica così come si è sviluppata (riflessione

sul presente basandosi sul passato). 3) I problemi fondazionali, cioè la giustificazione delle teorie matematiche.

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In essi ritroviamo:

4) lo studio della rappresentazione della conoscenza, 5) lo studio dell’elaborazione della conoscenza (come trovarne

un’adeguata), 6) lo studio della programmazione della conoscenza (come studiare la re-

altà)

che sono punti fondamentali nell’ambito delle riflessioni sull’acquisizione della conoscenza e sull’azione sul mondo esterno.

Oggi, forse retaggio dell’impostazione gentiliana della scuola, è diffusa la sen-

sazione che la Matematica non faccia cultura, cioè non sia una componente es-senziale della formazione della persona.

Noi riteniamo che l’Epistemologia (riflessione sulla Matematica) è componen-te essenziale della formazione di ogni individuo: di certo di ogni matematico.

Una conoscenza solo tecnica (conoscenza di teorie, abilità nell’uso di strumen-ti) non consente una visione globale della Matematica e delle connessioni con le altre discipline; non spiega perché è sorta una teoria e perché si è affermata.

A rafforzare tale convinzione vale anche la considerazione che qualora quelle teorie e quegli strumenti venissero superati (cosa già accaduta), il matematico si troverebbe spiazzato.

A nostro parere una buona conoscenza dell’Epistemologia consente una mag-giore flessibilità culturale ed una maggiore apertura mentale e fornisce un’irripetibile occasione di Educazione alla tolleranza ed alla comprensione delle diversità.

Tutto ciò conferma la necessità di introdurre, nella formazione degli inse-gnanti, un corso di carattere epistemologico ed uno di carattere storico, specifici per la disciplina da insegnare.

Ma anche per la formazione degli allievi, i programmi Brocca, nel triennio delle S.S.S., hanno inserito indicazioni per valorizzare aspetti epistemologici del-la Matematica (Geometria non-euclidea), così come negli Istituti Tecnici è stato previsto l’inserimento della Filosofia della Scienza.

Una delle acquisizioni recenti, ma fondamentali, che nasce dallo studio (epi-stemologico) della Critica dei Principi è il riconoscimento della perdita della cer-tezza della Matematica (nel senso comune) a livello dei fondamenti e della ricerca

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di una ridefinizione del senso di tale certezza, che anziché indebolirne la forza culturale, sembra averne moltiplicato le potenzialità.

I tre programmi classici che pretendevano di affrontare, secondo punti di vi-sta differenti, la questione della ricerca di fondamenti sicuri ossia Logicismo, Formalismo ed Intuizionismo hanno sostanzialmente fallito il loro scopo, men-tre si fa avanti con forza la richiesta di automazione computazionale anche nella ricerca e nella dimostrazione in matematica contro le tradizionali nozioni di veri-tà e di certezza. Quest’ultima pone l’esigenza dell’accettazione della fallibilità della matematica con evidenti ricadute sia sulla ricerca sia sull’insegnamento.

Nel periodo fra la fine del secolo scorso e l’inizio del nostro, come abbiamo accennato, vi è stata una profonda trasformazione nella Matematica (diciamo per fissare un riferimento, prima e dopo Hilbert) così come la matematica greca é appena parente di quella dell’800 così esiste uno stacco ancora più profondo tra la Matematica che precede e quella che segue l’avvento dei formalismi.

Prima, la Matematica si interessava principalmente a:

1) considerazioni che riguardano l’estensione dei concetti 2) l’ampliamento progressivo dei linguaggi 3) i mutamenti dei canoni del rigore

Dopo, l’interesse si è indirizzato:

4) Più alla semantica che alla sintassi 5) Confronto strutturale delle teorie 6) Teorie metateorie

Oggi in Matematica convivono tutti questi approcci: astratto, formale, costrut-

tivo. Dobbiamo conoscere gli obiettivi, le finalità e i limiti di ognuno di questi ap-

procci per fornire una visione globale della Matematica. Consapevolezza pedagogica e didattica: vuol dire anche distinguere la Cono-

scenza della Matematica dall’Insegnamento della Matematica.

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Un corso di didattica perché? È possibile insegnare ad insegnare? È comunque compito della didattica chiarire le relazioni tra insegnamento ed

apprendimento. Oggi possiamo affermare che l’apprendimento non dipende so-lo dalla disciplina e dalla metodologia d’insegnamento, ma anche da altri feno-meni legati ai problemi di comunicazione e di ambiente (sociologico ed antropo-logico): ossia, lo slogan (che aveva sempre dominato): “ Se insegnerete bene i vo-stri allievi apprenderanno ” non solo risulto ingenuo, ma, anzi una pura illusione.

In un corso di didattica possiamo cercare di capire e studiare le problematiche dell’apprendimento, di creare dispositivi di ricerca scientificamente significativi che spieghino i fenomeni dell’avvenuto o non avvenuto apprendimento.

L’esperto in didattica, pertanto, può anche essere chi non ha mai insegnato: non è necessariamente solo chi da tempo opera nell’insegnamento.

La “Didattica della Matematica ” è una disciplina che dunque può essere ap-presa; la si deve apprendere. Non si tratta di buon senso, o solo di fare esperien-za sul campo come insegnante.

Oggi la Didattica della Matematica è una novità: l’idea dell’esistenza di una disciplina autonoma, affidata ai matematici e non, o ad esperti dell’educazione.

Esiste pertanto la necessità di trovare un accordo sia sui problemi significativi della ricerca sia sulle modalità nelle quali essa si esplica.

Possiamo dire che esiste già: 1) un insieme di ricercatori che dimostrano interessi comuni e che esistono

problematiche centrali 2) un vocabolario e una sintassi comune sulla quale i ricercatori sono

d’accordo. Un notevole contributo è stato dato dalla Scuola francese che ha creato un vo-

cabolario che poi è diventato comune, e che ha come fine proprio la definizione della teoria della “didattica della matematica ”; questa ufficialità accademica si ve-de anche dal proliferare di cattedre universitarie di didattica della matematica in tutto il mondo, di scuole di specializzazione o di corsi universitari di laurea per la formazione degli insegnanti.

In passato più di uno studioso ha sostenuto che insegnare è un’arte, frutto di doti personali che non si possono né imparare né trasmettere e che pertanto non ha senso una ricerca in didattica della matematica.

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Metodi classici dell’insegnamento pre-Epistemologia.

1) Metodi dogmatici che conducono a studiare le regole e poi a farle appli-care.

2) Metodi maieutici procedono attraverso domande e risposte e simulano una riscoperta delle regole.

3) Metodi attivi privilegiano l’attività manuale: si basano sulla teoria se-condo la quale l’esperienza pratica forma il “sapere ”.

Tutti questi metodi utilizzano le conoscenze anteriori e aggiungono nuove

conoscenze, l’apprendimento avviene come in un misterioso transfert: l’alunno apprende i meccanismi. Poi il senso del meccanismo, o meglio la conoscenza delle occasioni per la sua applicazione, viene creato attraverso le classificazioni di problemi, di situazioni tipo o di speciali percorsi forniti dagli insegnanti.

Esistono pratiche collaudate; inoltre tali pratiche sono facilmente controllate relativamente alla valutazione del lavoro degli allievi.

Esperienze come quelle di Dienes che risente dell’influenza dello strutturali-smo, sono processi studiati in cui si creano momenti ben delimitati e, pur met-tendo il contenuto al centro del dibattito d’insegnamento, non conduce ad inter-rogarsi sulle concezioni e sui comportamenti degli allievi.

L’insegnante, in questo ambiente organizzato e strutturato, offre un particola-re contesto all’allievo il quale non ha strategie diverse da scegliere; le varie si-tuazioni hanno tutte la stessa struttura; l’astrazione o la matematizzazione do-vrebbe scattare quando l’allievo coglie le analogie, la struttura comune; l’azione didattica non è sull’allievo, ma l’attenzione è posta sull’argomento in gioco; qui stanno anche i limiti di questa maniera di vedere la “Scuola ”.

Le capacità cognitive e procedurali restano ancorate al contesto creato . Si riteneva che le competenze così contestualizzate venissero poi trasferite

spontaneamente in altri ambiti: si acquisirebbe, pertanto, per imitazione. Mi piace ricordare anche i pregevoli lavori di E. Castelnuovo che mostrano

una grande sensibilità per l’allievo ed è il primo esempio della matematica cala-ta nella realtà.

Oggi la didattica della matematica pone domande diverse: Come trasportare i saperi? Con quali obiettivi? Perché?

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Essa ricerca anche in settori attinenti alla pedagogia: infatti si interessa a que-stioni inerenti l’apprendimento, a questioni riguardanti la “classe ”, al “mestiere ” di Insegnante, evidenziando problemi ed insegnando a conoscerli e a circo-scriverli.

La Didattica della Matematica è una disciplina autonoma, non è la Didattica Generale, non è né matematica né è l’insieme di tante esperienze di tanti inse-gnanti: è una disciplina legata a studi specifici e soprattutto ricerca del settore.

La ricerca in didattica della Matematica tenta di rispondere a queste domande:

1) Come rendere più efficace l’insegnamento? 2) Come apprendono gli allievi? 3) Quali sono gli strumenti metodologici per adattare l’insegnamento alle ca-

pacità individuali? Alla classe? 4) Come valutare la scelta della metodologia? 5) Che cosa valutare? Oggi, con il superamento del concetto di programma di insegnamento si ac-

cetta l’idea della programmazione (cioè di un progetto culturale) non più vista come intervento di un vertice burocratico, ma come un progetto centrato in pre-valenza su contenuti da trasmettere, intesi come obiettivi formativi mirati all’apprendimento dell’allievo.

La scuola è adesso vista non più solo come Insegnamento (cioè capace di im-partire insegnamento) ma anche come Apprendimento (cioè idonea a produrre apprendimento).

Scuola dinamica pronta a recepire e a responsabilizzare i docenti nella defini-zione di obiettivi, attenta alle esigenze del contesto socio-culturale delle situa-zioni di partenza degli alunni, corresponsabilità degli Organo Collegiali.

Oggi, agli insegnanti, non è richiesto di essere artisti dell’insegnamento: l’intuizione e l’approssimazione, elementi costanti nella formazione (si spera so-lo di quella precedente) sono sostituiti dalla consapevolezza pedagogica e didat-tica.

Cinquanta anni fa, il mestiere dell’insegnante lasciava poca libertà, in quanto la formazione dei nuovi insegnanti aveva modelli univocamente accettati, fon-dati sull’imitazione e ripetitiva di modelli collaudati.

I contenuti e i modi erano quelli codificati per esempio da Enriques, Chellini, Santoboni.

Abbiamo subito una rivoluzione culturale che ha sconvolto le certezze dei no-stri padri, oggi abbiamo la certezza della perdita delle certezze e relativamente

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alla matematica oggi noi parliamo di Matematiche, di Logiche, …, e il processo educativo risente di questa varietà di modi di esistere e di coesistere di diversi linguaggi. Questo fa si che quando dobbiamo tracciare un itinerario educativo siamo coscienti che risulterà un processo dinamico secondo una sequenza circo-lare:

Schematizzando: 1) Analisi della situazione (non solo la valutazione degli allievi, ma

l’ambiente, la classe, gli allievi, i prerequisiti) 2) definizione degli obiettivi (quali competenze si vogliono raggiungere) 3) selezione dei contenuti (cosa insegnare) 4) scelta dei metodi e organizzazione dell’attività 5) scelta dei materiali e degli strumenti 6) strutturazione delle fasi d’apprendimento 7) realizzazione dell’intervento didattico 8) valutazione dell’apprendimento Le variabili che intervengono in un itinerario sono molte e diverse e non suffi-

cientemente studiate dalla prassi e dalla teoria. La prima non può andare dietro a mille esperienze diverse, la seconda non ha

ancora prodotto una teoria univocamente accettata. Un insegnante si forma nel corso di tre periodi ugualmente importanti: 1) il periodo scolastico: amante della matematica, 2) il periodo dell’Università: matematico di professione, il più esaltato (lo

sforzo intellettuale è grande) 3) attività magistrale (aggiornamento continuo).

Pianificazione delle esperienze

Definizione degli obiettivi

Realizzazione

Verifica

Perfezionamento del progetto

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Oggi ci interessiamo del terzo periodo, in quanto siamo coscienti che le idee, in matematica, si evolvono rapidamente e pertanto la formazione deve essere continua.

In questo periodo gli insegnanti possono provocare negli allievi repulsione o interesse per la materia e indurli alla decisione di intraprendere o no, in futuro, la professione di matematico. L’atmosfera creata dagli insegnanti in classe influen-za notevolmente queste scelte.

Qual’è l’oggetto principale della formazione dell’insegnante di Matematica? Il futuro insegnante

deve acquisire conoscenze più approfondite della sua disci-plina deve conoscere i mezzi pedagogici (cioè strategie e metodi).

Ogni riforma dell’insegnamento della matematica, dei suoi programmi, dei suoi metodi, dei suoi obiettivi può riuscire solo se gli insegnanti che devono rea-lizzarlo ne hanno compreso la portata e le tendenze.

Pertanto la formazione degli insegnanti è essenziale. Far fare Matematica significa pertanto: 1) Acquisire conoscenze, meccanismi automatici, memorizzare (esso costitui-

sce l’oggetto di un insegnamento sistematico con tecniche appropriate) 2) Scoprire, Intuire, Confrontare, Criticare, Analizzare, Sintetizzare (esso ri-

chiede all’ insegnante di possedere delle competenze che lo devono portare ad interessarsi a problemi non proprio tipici della formazione del matematico.

È questa la novità quando oggi diciamo che vogliamo fare “Didattica della

Matematica” cioè dedicarsi sistematicamente alla ricerca di come esercitare la propria professione.

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Riassumiamo: 1) L’insegnante (l’autore che può fare riuscire o meno un progetto educativo)

esiste sempre in relazione a ciò che avviene effettivamente in classe. 2) L’insegnante deve equilibrare le esigenze di una presentazione necessa-

riamente elementare destinata all’allievo con delle presentazioni avanzate ad esso soggiacenti (che Lui deve cercare di conoscere).

3) L’insegnante deve costruire una Matematica contestualizzata, deve essere cosciente del suo lavoro che dipende dalle classi che egli guida.

4) L’insegnante deve avere costantemente davanti agli occhi un panorama completo della matematica elementare, deve essere capace di ricostruire tutti gli aspetti di una nozione fino a quando essa abbia acquistato una fi-sionomia veramente matematico (Ricerca storico-epistemologica)

5) Il bagaglio matematico che la scuola secondaria deve trasmettere a tutti i suoi allievi (futuri universitari o no) è enorme; però la matematica si orga-nizza intorno a dei centri come

1) trasformazioni geometriche 2) strutture algebriche 3) sistemi numerici L’analisi storica della creazione matematica, affrontata in un contesto interdi-

sciplinare è uno dei componenti fondamentali dell’insegnamento e della forma-zione matematica.

Freudenthal dice che “ prima si affermava che il modo migliore di insegnare una attività è di mostrarla ” oggi parafrasando diciamo: ”Il modo migliore di apprendere un’attività è di realizzarla ”;

Oggi la scuola si interessa (diversamente di prima) al discente e la creatività matematica viene conquistata durante gli anni scolastici se si fa della Matemati-ca, è un atteggiamento, è un’attitudine globale che la Matematica è in grado di rinforzare.

L’insegnamento della Matematica è in fermento; il progresso scientifico e i

processi industriali e tecnologici da una parte, i cambiamenti della società e del-la famiglia da un’altra parte hanno creato un’evoluzione (o involuzione per al-tri) sempre più rapida.

Sicuramente oggi si richiede ai giovani la massima flessibilità ai molteplici mu-tamenti che la società sta affrontando.

La Matematica (ed il suo insegnamento) ha e mantiene una posizione decisiva per tutti gli aspetti della nostra civiltà, il fondamento della conoscenza matema-

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tica negli anni 50 è stato collocato nello studio di strutture con tutte le relazioni reciproche e di proprietà tra queste strutture (insiemistiche,algebriche, topologi-che,…).

La tradizione razionalista francese parve avere il sopravvento, oggi l’empirismo anglosassone ha preso fortuna, non più filosofie ispirate solo al formalismo ed al logicismo, ma anche filosofie intuizioniste e costruttiviste, oggi i matematici di professione si trovano di fronte a problemi psicologici e pedagogici nuovi e rile-vanti.

Oggi il problema della didattica della matematica, come quella della didattica in generale non è un problema definito e chiuso, anzi si è consapevoli che è un problema che va continuamente ri-affrontato, sia sul piano individuale che su quello sociale e su quello della ricerca al fine di restare aggiornato alla luce delle novità e necessità psicologiche e sociali.

Le ricerche nel campo della didattica della matematica hanno per oggetto di

studio l’acquisizione delle conoscenze matematiche nelle situazioni scolastiche. Questi processi di acquisizione non sono della “persona ” ma sono

dell’alunno, cioè della persona coinvolta in una situazione particolare che è la “situazione didattica ”.

La situazione didattica si articola intorno a tre poli principali: l’alunno (o un gruppo di alunni), l’insegnante e i contenuti dell’insegnamento fra i quali si sta-biliscono molteplici rapporti impliciti ed espliciti.

Le situazioni didattiche si collocano all’interno di un sistema educativo deri-vante da un progetto sociale: l’organizzazione dell’insegnamento, sia a livello nazionale sia nell’ambito del singolo istituto; le determinazioni delle nozioni da insegnare, tutto questo fa capo a scelte della società che segnano i rapporti fra insegnante, allievo e contenuti didattici all’interno della classe.

Interesse centrale nelle ricerche sulla didattica è il significato delle conoscenze matematiche costruite dall’alunno nel corso dell’apprendimento.

La questione è complessa, diversi sono i fattori sociali che interagiscono con il sistema educativo e a volte sono conflittuali.

I contenuti dell’Insegnamento sono il prodotto dello stato attuale delle cono-scenze scientifiche e l’insieme delle conoscenze socialmente riconosciute.

Il sapere trasmesso dall’insegnante è qualcosa che non può essere identificato né con il primo (Sapere =La cultura) né con il secondo (Sapere organizzato).

Le concezioni che l’alunno ha costruito anche fuori dell’ambito educativo rappresentano un altro sapere (Sapere sociale) suscettibile di entrare in contrad-dizione con quello sviluppato dall’Insegnante (Sapere insegnato)

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Esempio: la nozione di numero relativo Del matematico Gruppo additivo, anello Dell’allievo numero con il segno Del “Commerciante” entrata e uscita Dell’Insegnante Elemento del primo ampliamento dei naturali Esempio La retta Del matematico concetto primitivo Dell’allievo entità materiale Del “Commerciante una linea senza curva Dell’Insegnante insieme di punti

La didattica della Matematica centra i suoi interventi nel trattamento di “pro-blemi ” in modo tale che l’alunno costruisca la conoscenza, ritenendo che la so-luzione di problemi è la fonte e il criterio del sapere.

In una prospettiva costruttivista l’apprendimento avviene in situazioni pro-blematiche nuove che obbligano l’alunno a rifiutare o a modificare le proprie concezioni precedenti o a costruire strumenti cognitivi nuovi.

L’apprendimento ha luogo nella situazione scolastica, l’alunno all’interno del-la classe ed in presenza dell’insegnante (banale ma è bene metterlo in evidenza).

La situazione problema è inserita pertanto in una situazione didattica che è contraddistinta da numerose caratteristiche sociali che agiscono sul significato delle conoscenze costruite dall’alunno.

La didattica della matematica analizza e studia le condizioni che devono sod-disfare le situazioni-problema al fine di favorire l’evoluzione del sistema cogni-tivo degli alunni.

Le prime condizioni che studia sono quelle di individuare le variabili che ne assicurano la riproducibilità.

La costruzione del sapere è anche costruzione sociale delle conoscenze.

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Punto centrale dell’Insegnamento Matematico è educare alla prova e alla dimostrazione matematica.

Per prova si intende una spiegazione che ha lo scopo di precisare, di stabilire

la verità di un enunciato relativamente ad un dato momento per una certa co-munità data.

La dimostrazione è in Matematica un tipo privilegiato di prova, essa si pre-

senta come una sequenza di enunciati, ciascun dei quali é un elemento di un in-sieme ben preciso (definizione, assioma, teorema) oppure è derivato, mediante regole accettate da enunciati precedenti.

Per la Matematica o meglio per i matematici la dimostrazione viene usata sia come strumento di comunicazione (per se stessi e per la comunità) sia di valida-zione della loro produzione (teoremi).

Il funzionamento della dimostrazione rappresenta per i matematici, l’unico strumento che comporta l’accettazione sociale delle proprie teorie, ma nell’insegnamento spesso le teorie vengono trasmesse e accettate senza l’ausilio della dimostrazione.

Il lavoro atto a produrre il Sapere è (può essere) diverso dalla trasposizione didattica operata dagli insegnanti.

Per capire un teorema bisogna conoscere: Cosa dice Da cosa è motivato Perché è stato posto Esempi dove si applica o no Le sue conseguenze E infine la dimostrazione Non bisogna limitarsi alle dimostrazioni, in quanto esse non sono la parte più

importante di un teorema; anzi spesso nei corsi compatti non vengono date, ma si lavora molto sulle conseguenze.

Per gli Insegnanti spesso il lavoro è accentrato in un contesto di valutazione dell’apprendimento realizzato dagli alunni; la dimostrazione viene usata dagli allievi come strumento per dimostrare che hanno capito, che hanno imparato e non per dimostrare la verità dell’enunciato: questo non viene, infatti, messo in discussione (cambiamento di punto di vista che porta con sé comportamenti ed attese diverse).

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Gli allievi cercano essenzialmente di soddisfare l’Insegnante o una richiesta dell’Insegnante, anche perché il "si deve dimostrare " resta confinato nel contratto didattico che si viene a creare tra l’Insegnante, l’Allievo e il Sapere.

Per l’allievo la dimostrazione è un modello da imitare formalmente è un mo-dello fornito dall’insegnante o dal libro di testo per:

risolvere un problema per sostenere una tesi (non sua) per esporre una soluzione di un problema (che non nasce da una sua esigen-

za) per dare significato ad una attività proposta dall’Insegnante. Bisogna creare le condizioni che permettono di ricostruire il senso originario

della dimostrazione nell’apprendimento in situazione scolastica, ciò è quindi un problema importante della didattica della Matematica.

Pertanto la dimostrazione si deve collocare tra le pratiche che l’allievo deve

svolgere nell’ambito sociale, dove essere messa in discussione il valore di veri-tà di un’affermazione per la classe, per l’allievo.

Gli allievi devono costruire riconoscere un sistema di validazione (un sistema di regole accettate e condivise personalmente) e l’obiettivo finale sarà quello di appropriarsi ricostruire il sistema di validazione propria della Matematica. Per fare tutto ciò è Necessario-Preliminare FORMULARE pertanto devono costruire un linguaggio; ma la traduzione in

parole pone problemi concettuali che portano alla ristrutturazione dei significati dei concetti.

“La formulazione di una conoscenza matematica non é la semplice espressio-ne, quasi scontata, di una concettualizzazione già formata ”.

Le produzioni linguistiche sono il risultato di costruzioni cognitive dell’allievo (o di chi parla).

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Egli fa intervenire le proprie concezioni sull’oggetto in questione, le proprie rappresentazioni (che elabora dalla situazione) il proprio linguaggio e quello dei suoi partners.

Le eventuali difficoltà di formulazione possono portare a modificare l’analisi della situazione e il rapporto con il milieu.

L’allievo (ri) costruisce così un “senso ” nell’ambito del “concreto ” (la situa-zione), evidenziando valori “concreti ” del proprio “sapere ”.

Si creano o si possono produrre squilibri che si traducono in contraddizioni; esse sono fonte di ampliamento della conoscenza in quanto costringono a rico-struire equilibri del proprio “sapere ”.

La “traduzione in parole ” si basa su due codici linguistici, la lingua naturale e la scrittura simbolica, la formulazione in matematica esige il ricorso all’uso con-giunto e intrecciato di questi codici; l’uso della scrittura simbolica esige il supe-ramento del contesto in quanto implica l’eliminazione dei riferimenti al tempo, all’azione e al soggetto.

Inoltre le tecniche didattiche spesso possono creare difficoltà: infatti, nella ri-soluzione di un problema, la scelta degli oggetti da codificare e la trasposizione nella codificazione dipende dal modello matematico cui si riferisce o al modello scelto dall’insegnante (o dal manuale).

Gli alunni si trovano raramente a scegliere o a costruire un codice, essi sono

portati ad imitare formalmente il discorso dell’insegnante o del manuale. Le loro concezioni sono il risultato di uno scambio permanente con le situazioni pro-blematiche di fronte cui sono posti. L’esteriorizzazione delle concezioni viene favorito dall’elaborazione di soluzioni nuove che risolvono i conflitti di tipo so-cio-cognitivo, che portano a decentrare i propri punti di vista e a condurli a ri-strutturare l’analisi del problema.

Generalmente, il conflitto cognitivo nasce dal permanere di due centrazioni op-poste o dall’oscillare fra centrazioni individuali provvisorie.

Nello scegliere un’interpretazione, una strategia, un’operazione da eseguire gli alunni devono determinare criteri per accettare o rifiutare un’affermazione (fase di formulazione) e mettono così in atto un linguaggio che tutti compren-dono (il milieu) e che tiene conto alla situazione, e segue poi una fase di valida-zione (cioè processi di prova) al termine dei quali devono raggiungere un con-senso sulla validità delle decisioni delle prove.

Comunque le discussioni intorno ad un comportamento non garantisce il su-peramento delle contraddizioni.

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Le relazioni che si instaurano fra l’analisi del problema da risolvere e la presa di coscienza del compito con tutte le sue implicazioni e l’interazione fra i partner si stabiliscono solo lentamente e spesso dopo (o molto dopo) il riconoscimento di contraddizione o difficoltà presenti nella soluzione del problema.

Lungo è il tempo che intercorre per l’elaborazione di spiegazioni in Matema-tica (dimostrazione e prova).

Brousseau nel “gioco a 20” teorizza su questa fase privilegiando di formare gruppi (o squadre) in classe con la consegna che devono are una soluzione co-mune ad un problema, (uguale per entrambe le squadre) con la migliore spiega-zione possibile, la decisione circa la spiegazione migliore deve essere presa in segui-to ad una discussione fra gli alunni alla fine della situazione –problema.

In ogni modo si osserva una stretta relazione fra l’evoluzione delle procedure di soluzione e la ricerca dei modi di esplicitarla; la messa a punto della formula-zione (anche se non è definita) favorisce la strutturazione della procedura.

In quest’impostazione l’insegnamento è visto come un fenomeno sociale e la sua realizzazione in classe mette in gioco una molteplicità di interazioni.

Nell’ambito della Didattica della Matematica, Brousseau concepisce e studia sequenze d’insegnamento (situazione didattica) che chiamano in causa l’articolazione di varie fasi:

1) dialettica dell’azione 2) dialettica della formulazione 4) dialettica della validazione Queste dialettiche sono create dai vincoli della situazione che sono di natura sociale ed interattiva J. Piaget afferma (e noi siamo per cultura assimilata: bourbakisti e piagettiani)

che esiste, come funzione dello sviluppo dell’intelligenza nella sua globalità, una costruzione spontanea e graduale di strutture logico-matematiche.

In che modo avviene tale costruzione? Come può influenzare la scuola? In poche parole le relazioni tra azione e linguaggio sono note? Sono controlla-

bili? Possiamo dire (è stato studiato parecchio) che prima di ogni linguaggio, le a-

zioni che sono ripetibili sono anche generalizzabili e portano già nei bambini al-la costituzione di schemi di assimilazione, questi schemi si organizzano fornen-do le prime leggi di logica.

Si costruisce una logica dell’azione che porta alla costruzione di certe identità e queste si estendono al di là delle percezioni (per esempio la permanenza dell’oggetto nascosto) ed all’elaborazione di certe strutture

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Nel ruolo della formazione matematica, è un grave errore trascurare il ruolo delle azioni; gli allievi devono poter manipolare oggetti, se devono arrivare per es. alla comprensione di relazioni aritmetiche e geometriche.

Istintivamente quest’esigenza era vissuta da parte degli Insegnanti come si-tuazione didattica che potesse creare pregiudizio allo sviluppo del pensiero de-duttivo e puramente razionale-astratto.

Oggi si afferma che alcune azioni sono necessarie per l’educazione al pensiero deduttivo

E sono quelle del tipo logico-matematico che portano a valutare le azioni compiute dall’allievo stesso su degli oggetti (come ordinare, spostare…), l’interiorizzazione da parte del fanciullo di queste azioni, con le coordinazioni che essa suppone possedere trasformano le azioni logiche-matematiche in de-duzione interiorizzata (conservazione della cardinalità, corrispondenza, modelli impliciti).

Questo processo dà origine alla creazione di una particolare varietà di astra-zione che corrisponde all’astrazione logico-matematica (diversa da quella ordi-naria o aristotelica legata alle proprietà fisiche degli oggetti dette astrazioni em-piriche che provengono da azioni di tipo fisico).

L’astrazione logico-matematica fa riflettere, in quanto essa trasporta da un pia-no dell’azione a quello del pensiero o della rappresentazione mentale, organizza e ri-costruisce tutto ciò che è stato estratto dalle coordinazioni delle azioni.

L’insegnante che ha raggiunto un modo di pensare di tipo astratto trova diffi-coltà a porsi nella prospettiva concreta che è, necessariamente quella dei suoi allievi.

L’insegnante può acquistare la consapevolezza dei due livelli, la fase iniziale e la fase finale cioè dal formale all’astratto se è cosciente dello sviluppo spontane-o.

L’insegnante deve inserirsi dando tipi generali di nozioni nei casi particolari di queste nozioni costruite ed usate spontaneamente dai ragazzi, senza che que-ste siano ancora per loro oggetti di riflessione o sorgenti di generalizzazione.

Per l’allievo, la reale comprensione di una nozione o di una teoria, implica la (re)invenzione di queste teorie.

Per essere certi che è avvenuta la vera comprensione, l’allievo deve, attraverso nuove applicazioni spontanee, produrre una generalizzazione attiva, ossia esse-re coinvolto nella comprensione di una situazione, dandone una (re)invenzione.

L’insegnante in questa fase ha il ruolo di organizzare situazioni che destano la curiosità e la voglia dell’allievo di ricercare la soluzione.

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Se l’allievo ha difficoltà, l’atteggiamento corretto non è di correggerlo diretta-mente ma di suggerire controesempi che producano una nuova ricerca che condur-rà l’allievo a correggere se stesso.

La consapevolezza segue di gran lunga l’azione Esempio: Euclide stesso non era consapevole di tutte le strutture operazionali

da lui utilizzate quali per esempio il gruppo delle isometrie. L’allievo è più bravo e più capace di fare e di comprendere l’azione di quanto non

sia capace di esprimersi verbalmente Per rendere consapevole l’allievo è necessario un lavoro di gruppo con par-

tners della stessa età e di età similari (un ragazzo più anziano in posizione di leader di gruppo) che discutano tra loro, ciò rende facile la fase di verbalizza-zione (fase esplicita).

Nell’Insegnamento tradizionale della Matematica per l’allievo erano previste due fasi, che comportavano la necessità di risolvere una gran quantità di pro-blemi :

Prima una fase 1)puramente qualitativa che tentava di esplicitare le strutture logiche dai pro-

blemi 2)successivamente si introducevano fatti numerici e metrici Oggi i programmi sono più qualitativi, la formalizzazione è rimandata ad un momento successivo come una specie di sistemazione delle nozioni già acqui-site. Intuizione poi Assiomatizzazione Intuizione matematica è di tipo operazionale e divide la forma dal contenuto. Deve risultare una necessità non può essere imposta da costruzioni prematu-

re. Relativamente al’apprendimento. L’apprendimento non è un assorbimento di informazioni né di meccanismi

mentali: esso è un processo attivo di ricostruzione e di assimilazione di cono-scenze; Ricostruzione di mezzi e di processi intellettuali già posseduti ; e questi come si posseggono? Se si apprendono! Sembra un paradosso, un circolo vizioso; lo risolviamo deli-mitando l’universo di partenza Se si accetta che l’evoluzione avviene per gradi successivi si deve anche pensare che ogni tappa è caratterizzata da un’organizzazione specifica e che si deve pre-

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vedere una sequenza di tappe, (l’ordine si può prevedere, anche se i tempi pos-sono essere diversi).

Importante riflettere sul fatto che ogni tappa non significa l’abbandono delle organizzazioni precedenti né l’aggiunta di aspetti nuovi.

Ogni tappa pertanto: Riorganizza Rivaluta Rivalorizza le acquisizioni precedenti, con le risorse offerte dai nuovi mezzi

Analizzando gli insuccessi scolastici Gardner in Educare e comprendere mette in evidenza che prima della scolarizzazione, i bambini raggiungono una certa ca-pacità, divertendosi con giochi matematici ma l’apprendimento scolastico delle operazioni aritmetiche risulta loro difficoltoso.

Gli ambienti diversi influiscono nei due apprendimenti il primo, naturale e in-tuitivo il secondo, codificato dai programmi ministeriali.

Situazione che si presenta non solo nelle prime classi elementari, Gardner ri-ferisce di una ricerca fatta alla J.Hopkins-University del Massachusetts Institute of Technology, relativamente a studenti con ottimi voti in corsi di Meccanica, che alla domanda:

Quali forze agiscono su una moneta lanciata in aria e che abbia raggiunto il punto più alto della propria traiettoria?

Invece della risposta corretta, la spinta gravitazionale verso il basso, il 70% forni-sce la risposta ingenua: due forze una verso il basso (gravitazionale) e una verso l’alto derivante dalla spinta in su impressa originariamente dalla mano.

Questa risposta rispecchia l’idea intuitiva e di buon senso, nondimeno erro-neo, che un oggetto non può muoversi, se non a condizione che in qualche mo-do s’imprima una forza attiva (la mano per es. che lancia la moneta).

Diversi studi mostrano che allievi che hanno fatto studi scientifici, mostrano idee sbagliate, sbagliano semplici problemi di algebra, se li incontrano in forma un po’ diversa da quella che si aspettano.

Questi fraintendimenti concettuali e l’incapacità di fornire spiegazioni corrette non solo è della scuola americana, come questa ricerca riporta, ma in tutto il mondo.

Come mai gli studenti non sanno padroneggiare quello che hanno studiato?

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Oggi ha questa domanda si risponde dicendo: “si deve tenere conto delle “concezioni ”, degli “stereotipi ” o dei “copioni ” iniziali che gli studenti porta-no con sé, cercando di farli venir fuori per riplasmarli e sradicarli “.

Freud ed altri psicanalisti hanno dimostrato che la vita emozionale del bambi-no influisce pienamente sui suoi sentimenti e sul suo comportamento di adulto. Alla stessa maniera oggi si dice che:

“È molto difficile inserire informazioni nuove su idee che sono state da tempo concettualizzate in modi decisamente diversi e profondamente radicati “.

Gardner afferma: In quasi tutti gli studenti c’è la mente “non scolarizzata ” di un bambino di cinque anni che lotta per emergere e per esprimersi. Spesso nella scuola si è imposta l’idea che certe prestazioni sono il sintomo del possesso di certe conoscenze o di una certa comprensione (se rispondi in un cer-to modo ad un test, se hai raggiunto una certa classe, se sai risolvere un proble-ma, …).

In effetti la scuola, o meglio l’insegnante, generalmente, non si poneva la do-manda: “ma ha capito veramente?” Così il divario esistente tra ciò che passa per comprensione e la comprensione vera resta enorme. Questo stato di cose rara-mente è stato riconosciuto pubblicamente, ed anche gli studenti che riescono bene avvertono la sensazione che le loro conoscenze apparenti siano fragili. Es-so, inoltre, non è mai stato un obiettivo prioritario per le burocrazie scolastiche.

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Il conflitto cognitivo

Il conflitto cognitivo occupa un posto importante nell’esperienza quotidiana di ogni uomo.

Il conflitto è stato studiato dalla psicologia genetica ed è stato visto sia come fonte potenziale del progresso cognitivo che di perturbazione.

L’origine di questo conflitto è attribuita a stimoli (novità, ambiguità..) che possono sfociare in un conflitto tra risposte simboliche incomparabili oppure pro-durre un comportamento di tipo esplorativo mirante a risolvere tale conflitto con-cettuale grazie ad una attivazione e ad una ricerca epistemica.

L’origine del conflitto si può ricercare anche nella contropposizione fra ipotesi prodotte dall’individuo da un lato e fatti osservabili, constatazioni che confuta-no o suscitano una insoddisfazione intellettuale dall’altro.

I conflitti cognitivi sono più efficaci se si inquadrano in un conflitto di comuni-cazione sociale.

Il conflitto, come fonte di elaborazione di risposte, fa scaturire un’attività crea-tiva in quanto l’individuo elabora strategie atte ad eliminare le dissonanze tra due o più nozioni incompatibili.

L’interazione sociale e conflittuale può essere considerata utile per la struttu-razione e generazione di nuove conoscenze.

Il conflitto interagisce con gli schemi (interni) che ogni individuo si è costruito grazie alle esperienze precedenti.

Il dubbio è fonte di ricerca della certezza, della sistemazione. No al caos, Si all’ordine. Non tutti i conflitti conducono all’elaborazione di strumenti cognitivi nuovi e

più avanzati. Talvolta essi possono interferire ed ostacolare tale elaborazione. L’interazione conflittuale si può creare dall’opposizione di punti di vista,

dall’interazione attiva di una persona che metta in dubbio una soluzione data. Si ottengono risultati più efficaci se in classe (come generalmente avviene) so-

no presenti allievi di capacità cognitive diverse, in modo da creare un conflitto di risposte che provenga da centrazioni opposte e contraddittorie.

Il conflitto cognitivo risolto in classe (in gruppo) instaura una presa di co-scienza da parte dell’allievo sull’esistenza di risposte diverse. (la tolleranza).

L’interazione conflittuale con i coetanei è quella che ha influenza decisiva sul progresso cognitivo.

L’Insegnante ha un ruolo molto importante: Egli induce cambiamenti, pone l’allievo di fronte a stili di pensiero di livello superiore a quello in cui si trova.

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Lo sviluppo intellettuale esige l’appartenenza e la partecipazione ad una co-munità.

Legato al conflitto cognitivo è lo studio degli errori sistematici. Spesso basta chiedere: Sei sicuro? E la risposta viene cancellata , modificata,

alla ricerca di un consenso esterno. Quali sono i motivi che spingono l’allievo a rispondere a caso. Da che cosa dipende l’insuccesso di tanti allievi nello studio della matemati-

ca? Frasi del tipo : Non ha capacità logica, Non ha capacità di ragionamento, Ha lacune

di carattere logico e simili dovrebbero sparire dal frasario degli insegnanti di tutti i livelli scolastici, in quanto non hanno significato , ma soprattutto non hanno alcun modo di essere provate!

Sono forse solo comode affermazioni date perché non si riesce a capire il mo-tivo alcuni studenti non accettano di comportarsi come gli altri: quelli che hanno successo, quelli che imparano in fretta a comportarsi cognitivamente come vo-gliamo noi.

Spesso tra il sapere matematico , cui noi vorremmo fare accedere i nostri al-lievi, e i nostri allievi ci sono delle barriere.

Non è la Matematica che essi non capiscono, ma il sistema nel quale sono immersi (il sistema linguistico, relazionale, cognitivo, affettivo, valutativo, ecc.).

Si rendono conto che molte delle loro acquisizioni cognitive e culturali a scuo-la non servono, anzi possono creare disturbo.

Il sapere istituzionalizzato è già tutto definito, essi sono esterni ad esso non possono interagire, devono in qualche modo accettare di entrare in un gioco già stabilito.

Qui sorge la scolarizzazione del sapere, cioè quell’atto in larga misura inconsa-pevole, attraverso il quale l’allievo, ad un certo punto della sua vita sociale e scolastica delega alla scuola (come Istituzione) e all’Insegnante (come rappre-sentante delle Istituzione) il compito di selezionare per Lui i saperi significativi (quelli che sono socialmente per status riconosciuti e legittimati dalla neosfera1) rinunciando a farsi carico diretto della loro scelta in base a qualche forma di cri-terio personale come interesse, motivazione, gusto.

Si ha pure una scolarizzazione delle relazioni (cioè i rapporti interpersonali, tra studente ed insegnante ed anche tra studente e compagni).

1 Società, insegnanti di altre classi, genitori, apparato scolastico, parenti, ecc..

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Forse, più che nelle altre discipline, la Matematica non ha appigli esterni, con-creti , non c’è modo di ancorare l’apprendimento matematico interno all’aula a qualche esperienza esterna;

pertanto si imparano le regole geometriche perché l’insegnante ha detto di farlo, si risolvono problemi, si fanno calcoli e non si è liberi di farlo a modo proprio , perché l’insegnante ha detto che si fa così..

Ecco perché la matematica, nello studiare il processo d’apprendimento, ha cominciato ad interessarsi a questioni che non le sono strettamente intrinseche; non è migliorando la qualità dell’offerta matematica che si migliora questa si-tuazione; credere questo è stato uno dei motivi del fallimento totale dell’insegnamento della teoria degli insiemi e della cosiddetta matematica mo-derna con tutti i suoi sottoprodotti dienesiani, numeri in colore, abachi multiba-se ecc.:

Non è modificando strumenti e puntando solo su attività pre-confezionate in ambienti artificiali, che si modifica qualche cosa: è gestendo meglio le consape-volezze dei rapporti, indagando sull’affettività, sull’emozionale ,sul metacogni-tivo.

Pertanto è necessario analizzare il triangolo che ha come vertici Insegnante, Sapere, Allievo.

Considerare il sapere come il polo ontologico o epistemologico, l’allievo come il polo genetico o psicologico, l’insegnante come il polo funzionale o pedagogico

Pertanto il lato del triangolo di vertici allievo-sapere si potrebbe chiamare Apprendere, il lato insegnante-sapere Insegnare (trasposizione didattica, inge-gneria didattica),il lato insegnante-allievo Animare.

In questo genere di studi, grande rilievo assume la problematica della Devo-luzione, l’allievo costruisce conoscenza solo se si coinvolge in quanto gli è stato proposto attraverso la situazione didattica.

Esiste un legame tra devoluzione ed istituzionalizzazione quest’ultima rap-presenta l’atto sociale attraverso il quale l’insegnante e l’allievo riconoscono la devoluzione.

Creare un clima relazionale positivo è una necessità, in cui gli allievi si devo-no sentire autorizzati a fare scelte costruttive.

Bisogna adottare strategie che rafforzino le motivazione intrinseche, facendole

diventare estrinseche come , per esempio la strategia dell’incoraggiamento, o in generale, tecniche per l’aumento della fiducia in se stessi che possano favorire la creazione di una motivazione interna di interesse per la Matematica.

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In tal modo l’oggetto dell’insegnamento della matematica non è la matemati-ca ma l’allievo; l’apprendimento non si misura attraverso una vaga ed indefinita quantità di competenze acquisite ma attraverso il piacere, il desiderio, la dispo-nibilità a farne uso. (tutti oggi sanno scrivere e leggere, ma quanti amano scrive-re e leggere spontaneamente?).

La motivazione intrinseca ad apprendere va posta come obiettivo didattico e non solo auspicata come requisito di partenza.

Non bisogna forzare apprendimenti troppo formali, bisogna costruire il pen-siero matematico, con la stretta collaborazione dell’allievo, anche allo scopo di lasciargli ricordi positivi (non solo cognitivi) della disciplina.

Tra le tante strategie realizzate, di particolare efficacia mi sembra quella delle Conferenze: si tratta, un po’ modificato del vecchio espediente della relazione.

Un gruppo di allievi fa una conferenza al resto della classe su un tema di Ma-tematica. Il tema, circostanziato, deve essere concordato con l’Insegnante in mo-do che sia inerente a un tema che si sta trattando in classe o ad esso assai vicino, in modo che l’argomento sia in simbiosi con l’attività di tutta la classe e non crei un percorso disciplinare del tutto disomogeneo.

Si tratta quindi di un tema a latere del programma, ma non troppo. Il gruppo coinvolto prepara la conferenza (seguendo i consigli concreti e cir-

costanziati dell’insegnante), prepara una scaletta degli argomenti come se si trattasse di una lezione, ma lo scopo sarà quello di esporre quanto già i compo-nenti del gruppo sanno, in modo comprensibile ai compagni.

Pertanto questo comporta di adattare il linguaggio ai compagni, ideare esem-pi oltre quelli forniti dall’insegnante, preparare lucidi o disegni illustrativi.

Si deve creare l’ambiente e il tono della conferenza, un’animazione. Questa attività offre diversi punti di riflessione ai componenti del gruppo: Che cosa sanno i compagni?, Che cosa devono sapere per poterci seguire? All’ascoltatore risulta interessante, oltre l’argomento la presentazione del

compagno: i suoi esempi sono come fossero i suoi e non quelli dell’insegnante che ovviamente sa più di lui.

Si nota in questo tipo di attività partecipazione ed entusiasmo e sparisce il di-sinteresse.

Variando con sapiente dosaggio gli ingredienti, si ha a disposizione un eccel-lente sistema educativo.

Si può pensare anche di raccogliere le conferenze in cassette videoregistrate , che si possono poi visionare e discutere insieme con evidenti effetti metacogni-tivi.

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Risulta fondamentale il momento delle domande e della discussione sia per i relatori che per gli ascoltatori.

Dette dall’insegnante le cose si accettano, è una cultura che si assimila come una bevanda.

Se l’insegnante non è particolarmente “bravo” gli allievi non apprendono ma subiscono travasi di matematica.

Ma se il docente è un loro coetaneo, le cose cambiano. Si fanno attenti interpreti di ogni parola, studiano gli esempi proposti, verifi-

cano la correttezza degli esercizi. Si può pensare anche di fare tenere le conferenze non solo per i compagni del-

la stessa classe, ma anche per i compagni di classi parallele o di diverso livello. I più grandi sono stimolati moltissimo a riferire ai i più piccoli. Fa riflettere sulle competenze matematiche possedute, sulle difficoltà supera-

te, sul significato delle parole specifiche usate e i più piccoli si confrontano con altri, diversi dal loro Insegnante, su contenuti di matematica in via di costruzione.

I conferenzieri entrano in possesso di uno strumento matematico nel tentare di renderlo adeguato agli interlocutori: gli ascoltatori accettano il tema come si-gnificativo per il fatto stesso che sono i compagni a parlarne con estrema atten-zione critica cercano di collaborare: la voglia di capire scatta come atto interno.

L’attività influisce positivamente anche sul clima in classe perché è in classe con l’insegnante che poi si commentano il modo, il linguaggio, la scelta dei con-tenuti esposti; si sperimenta un nuovo modello di lezione in cui l’insegnante as-sume un ruolo diverso dal solito: non di docente, direttivo e valutatore, ma di persona conosciuta e competente a cui rivolgersi per critiche e chiarimenti.

Gli allievi prendono fiducia nelle proprie capacità organizzative e di esposi-zione e possono pertanto modificare gli atteggiamenti nei confronti (negativi, di rifiuto, di abbandono) della matematica e, nella pratica didattica, tutta l’attività si rivelerà di grande coinvolgimento emotivo, di grande efficacia cognitiva, me-tacognitiva e motivazionale.

Se accettiamo l’ipotesi costruttivista che vede l’allievo interprete dell’esperienza e soggetto attivo del proprio apprendimento, possiamo capire ed interpretare questa strategia.

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Errori

Ritorniamo alla questione degli errori: si può sintetizzare in questa frase quello che abbiamo appena accennato: Spostare l’attenzione dagli errori degli allievi agli allievi che fanno errori Interessandosi così ovviamente agli allievi in difficoltà in Matematica. Nell’insegnamento vale un’antinomia ed è la seguente:

Riesco ad insegnare soltanto a quelli che imparerebbero lo stesso, mentre non riesco ad incidere su quelli che veramente avrebbero bisogno di me.

Frase spesso sentita, che crea frustrazione negli Insegnanti e nasce dal fallimento degli interventi tradizionali sull’errore. Interventi per curare:

Correggere l’errore dove e quando c’è (così non va perché…,dovevi invece fare così….) Ripetere le spiegazioni Mettere in guardia da errori tipici Suggerire strategie (devi fare così) Questi interventi non sempre funzionano, o meglio funzionano ma solo

con gli allievi “bravi” cioè con quelli che ne hanno meno bisogno! In ogni strategia finalizzata a superare una situazione particolare per

correggere errori presuppone implicitamente o esplicitamente un’analisi della situazione; quest’analisi implica un’interpretazione delle cause degli errori. A sua volta tale interpretazione presuppone l’osservazione dei comporta-menti degli studenti; ma osservare significa dirigere l’attenzione , interpre-tare.

Pertanto interpreto quello che osservo o meglio quello che voglio guar-dare, è essenziale avere schemi interpretativi o dell’ipotesi interpretative. Nell’approccio descritto dove gli interventi sono per “curare”, l’errore è vi-sto come mancanza di conoscenza; ma se l’intervento non funziona ci si deve chiedere se l’interpretazione o l’osservazione che precede l’intervento sono state adeguate.

Proviamo ad osservare in modo diverso.

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Prima osservazione: l’atteggiamento metacognitivo

La differenza tra gli studenti “bravi” e quelli con difficoltà in Matematica, non sta sul fatto che non fanno errori, ma che diverso è il loro comporta-mento; essi non accettano acriticamente l’autorità dell’insegnante, sono in grado di argomentare e di motivare il processo mentale che li ha portati a sbagliare, essi sono responsabili dei propri processi di pensiero matemati-co.

Con essi funzionano gli interventi tradizionali di correzione, di ripeti-zione, di messa in guardia, essi si sanno mostrare consapevoli e riescono ad attivare processi di controllo.

I “bravi” riescono a riflettere sui propri errori, possiedono un buon at-teggiamento metacognitivo e tale atteggiamento è essenziale perché fun-zioni l’intervento locale, permettono un trasferimento di conoscenza dall’Insegnante all’allievo.

Seconda osservazione: l’apprendimento come attività costruttiva

Le teorie psicologiche mettono in evidenza che fin dai primi anni di vita il bambino tenta di interpretare il mondo intorno a sé, strutturando delle ve-re teorie (cioè sistemi di convinzioni organizzate, che i bambini usano in maniera sistematica), che si evolvono e si modificano con il passare del tempo e con l’esperienza. La conoscenza secondo i costruttivisti, è in gran parte costituita dall’allievo, che costruisce interpretando le esperienze fatte, pertanto l’errore non è visto necessariamente come sintomo di mancanza di cono-scenza ma esso può derivare da intuizioni scorrette e precoci che possono coesistere nella mente dell’allievo, con la conoscenza formale successiva-mente acquisita.

L’allievo interpreta i messaggi forniti dall’insegnante! Di fronte ad un errore di un allievo,

l’insegnante deve prima di tutto cercare di capire il tipo di ragionamento che ha seguito

e poi correggerlo; è l’unico modo perché l’errore non si ripeta.

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Ecco un semplice esempio concreto. II elementare: 437-284=253

(modificazione della procedura standard: si sottrae sempre la cifra più bassa da quella più alta). L’errore non è casuale, nasce da conoscenze precedenti e dal tentativo di conciliarle. L’insegnante se non è consapevole della possibile causa di tali errori può interpretare il fallimento come negligenza o come ignoranza completa dell’algoritmo. Secondo l’ipotesi costruttivista dell’apprendimento, la conoscenza è co-struita dall’allievo, che non si limita ad aggiungere nuove informazioni al suo magazzino di conoscenze, ma crea collegamenti e costruisce nuove re-lazioni fra queste strutture. Fin dai primi anni di vita l’uomo è soggetto attivo che costruisce interpre-tazioni dell’esperienza, nel tentativi di dare senso al mondo e di anticipare così le esperienze future. L’ipotesi costruttivista ha messo in crisi il modello tradizionale dell’insegnamento, secondo il quale la conoscenza poteva essere trasferita dall’insegnante all’allievo,

l’unica domanda significativa in tale tipo di approccio era quale fosse il modo migliore per realizzare questo trasferimento. La teoria costruttivista mette in crisi anche la fiducia ingenua che il rigore e la non ambiguità del linguaggio matematico costituisca una garanzia per la comunicazione insegnante-allievo. In realtà anche il linguaggio viene interpretato, la comunicazione fra due individui avviene se le loro rappresentazioni in qualche modo combacia-no. Relativamente all’apprendimento, se le rappresentazioni non combaciano, l’allievo può costruire interpretazioni distorte del messaggio dell’insegnante, in particolare i cosiddetti misconcetti.

L’insegnante manda in classe all’allievo -messaggi intenzionali espliciti e impliciti: -illustra/utilizza algoritmi, -definisce/utilizza termini e simboli specifici -spiega/utilizza proprietà

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-introduce/utilizza nuovi concetti L’allievo interpreta tali messaggi e dà loro un senso.

Egli può distorcere il messaggio che l’insegnante intendeva comunicare. Non si può dare una casistica di tutti i possibili misconcetti, importante è però non tanto che l’insegnante diventi un esperto di errori

ma piuttosto che capisca o si renda conto che lo studente sta seguendo un ragionamento ,

dopo può tentare di capire che tipo di ragionamento ha fatto. Come al solito questo è un cambiamento di punto di vista,

l’insegnante deve cercare di porre domande per aiutare ad esplicitare il processo personale dell’allievo

piuttosto che suggerire risposte per far percorrere all’allievo un cammi-no prestabilito.

Convinzioni: Si può altrimenti indurre negli allievi nei confronti della matematica

l’atteggiamento, la convinzione di non poter controllare la disciplina, con la conseguente rinuncia a pensare.

Vivono la matematica come un insieme di prodotti scollegati tra loro, (in quanto svuotati dei processi sottostanti), producendo un notevole sforzo di memorizzazione;

la matematica diventa incontrollabile, produce risposte a caso, produce la convinzione di non possedere le capacità per controllarla. Per riconoscere le convinzioni dei nostri allievi possono essere utili do-mande molto aperte del tipo, poste alla fine di ogni argomento: Cosa ti è piaciuto di più? Cosa di meno? Perché? Cosa ti è risultato più facile? Cosa più difficile? Perché? Così come verifichiamo se c’è stata acquisizione di conoscenze e abilità

dobbiamo programmare di verificare le convinzioni che stanno co-struendo. Per tentare di conoscere le convinzioni degli allievi che dirigono i loro pro-cessi risolutivi durante l’attività di soluzione di problemi,

possiamo chiedere per esempio di scrivere i ragionamenti , le impressio-ni e le emozioni che hanno provato, le difficoltà che hanno incontrate.

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Gli errori causati dall’interpretazione distorta dei messaggi dell’insegnante sono caratterizzati dal fatto di essere sistematici, ma non necessariamente tipici. In alcuni casi l’interpretazione è estremamente personale e pertanto sono difficili da riconoscere. Chiamare con la parola ipotesi la tesi è un interpretazione distorta di termi-ni; nasce da argomentazione di tipo :

Quando in un discorso normale diciamo “facciamo una ipotesi” dobbiamo in seguito fare vedere che è vera… pertanto la dobbiamo dimostrare. Viene usata la parola Ipotesi nel senso di Congettura. L’uso di termini diversi per indicare la stessa cosa in contesti diversi è causa di difficoltà, di confusione (L’uso del connettivo o, dell’implicazione logica) Può essere frainteso addirittura il linguaggio che l’insegnante usa per presentare i contenuti, piuttosto che i contenuti stessi. Anche i simboli possono essere fraintesi: Il simbolo = che viene interpretato come comando di esecuzione di operazione,

questa interpretazione crea non poche difficoltà in contesti algebrici dove è ri-chiesta invece la comprensione della valenza relazionale del simbolo. L’uso delle parentesi: spesso vengono usate come una stenografia personale, per indicare un ordine.

Lo studente può non sentire il bisogno di (x+1)(x+2) e scrive x+1(x+2) in quanto vede il numero x+1 come numero unico; così se deve moltiplicare x+1 con x+1+k cioè il numero x+1 sommato a k scriverà così x+1[(x+1)+k].

L’allievo sta usando i simboli con una stenografia personale; li usa come ab-breviazione di ragionamenti scritti, o meglio appuntati.

Non vede nei segni alcuna funzione di comunicazione, l’unica cosa che vuole comunicare è il risultato. Altro errore frequente: x+1! sta per (x+1)!

Altro errore frequente si incontra nell’ambito della geometria dello spazio e consiste nella rappresentazione di una retta nello spazio con una sola equazione lineare, ottenuta trasformando un sistema di due equazioni lineare in una sola equazione lineare, considerata ad esso equivalente!

Per esempio

???

??????

123532

zyxzyx

si ottiene l’equazione 4x+y-z=6.

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Per lui questa è l’equazione della retta, in quanto equivalente a tutte e due le equazioni (perché ottenuta operando su tutte e due) e quindi al sistema.

(C’è sotto anche un’altra convinzione ed è che ogni sistema deve essere risolto in qualche modo).

Si tratta ancora di una interpretazione distorta, attenta più alle forme che ai significati, della possibilità di trasformare un sistema in uno equivalente con opportune operazioni. Alcune convinzioni diffuse fra studenti:

-moltiplicare due numeri si ottiene un numero maggiore di entrambi -un numero è negativo se e solo se nella sua rappresentazione compare espli-

citamente il segno – -confusione tra integrale definito ed area. Un’analisi più approfondita di queste interpretazioni distorte mette in luce

che il soggetto spesso fa riferimento ad un modello primitivo tacito del concetto in questione

cioè ad una interpretazione di quella nozione matematica che si sviluppa ad uno stadio iniziale del processo di apprendimento

e che continua ad influenzare tacitamente le interpretazioni e le decisioni riso-lutive. Il termine tacito significa che influenza in maniera inconsapevole l’allievo. Per esempio: moltiplicando due numeri si ottiene un numero maggiore di entrambi può derivare dal modello primitivo di moltiplicazione come addizione ripetuta, dove è necessario distinguere tra operando ed operatore, quest’ultimo deve es-sere un numero intero (3 volte 0,25 ha senso ma 0,25 volte 3 non ha senso), pertanto con questa limitazione la moltiplicazione fa ingrandire. Ogni conoscenza è inseparabile dai fenomeni di rappresentazione esempio

la prima è l’immagine prototipica del rettangolo, per la seconda si sente il bisogno di chiamarlo rettangolo in piedi;

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in questo si riconosce un conflitto cognitivo tra una misconcezione (immagine che sembrava stabile di rettangolo ed è invece in fase ancora di sistemazione)

Questi fraintendimenti sono diffusi, nascono da una esigenza di mettere

ordine tra la definizione verbale e quella figurale. Lo studente si costruisce un’immagine di un concetto C che egli crede

stabile, definitiva; ma ad un certo punto, riceve informazioni di C che non sono contempla-

te dall’immagine che aveva; allora egli deve adeguare la vecchia immagine ad una che conserva le in-

formazioni precedenti ma ne accoglie anche le nuove. La nuova immagine è una costruzione più potente, più vicina al concetto

C ed è una nuova conquista culturale. Questi passaggi da una immagine ad un’altra, si possono legare ad una

successione di costruzioni concettuali che si avvicinano al concetto C. Si arriva ad un modello M del concetto C quando

una certa immagine I a cui si è pervenuta resiste a sollecitazione diverse e si dimostra forte da includere tutte le argomentazioni e informazioni

nuove rispetto al concetto C che rappresenta. Due sono le possibilità

-M si forma al momento giusto, nel senso che si tratta davvero del mo-dello che l’insegnante auspicava per C;

l’azione didattica ha funzionato e l’allievo si è costruito il modello M corretto del concetto C.

-M si forma troppo presto, è solo un’immagine che deve ampliarsi,

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il concetto C non è stato raggiunto, il Modello M risultando stabile risul-ta un ostacolo,

un conflitto per l’acquisizione del concetto C. Esempio

nxm è più grande di n e di m n:m è più piccolo di n e di m sono modelli che sono stati suggeriti dagli insegnanti della scuola ele-

mentare per semplificare, per aiutare è tutto ciò va bene in N; spesso si fanno schemi del tipo: operazioni che accrescono + x operazioni che diminuiscono - :

lo scopo è di dare certezze all’allievo. Oggi attenti alle conseguenze future, per evitare la formazione e l’insorgere di questi modelli erronei si cerca di lasciare immagini non stabi-li, attendendo di poter creare modelli adatti e significativi vicini al sapere matematico che si vuole raggiungere. Evidente è che un insegnamento flessibile, attento a presentare uno stesso concetto o fenomeno in più contesti, da più punti di vista, costituisce un’ottima prevenzione per la formazione di convinzioni errate del tipo de-scritto. Fondamentale non è quindi non far fare errori ma far diventare consapevo-li dell’influenza delle loro restrizioni intuitive e tacite, facendo costruire si-stemi di controllo concettuale, cioè sviluppare capacità di tipo metacogni-tivo (consapevolezza/processi di controllo) che possono permettere una gestione positiva dell’errore. Se assumiamo il punto descritto, possiamo capire come mai interventi che si limitano a correggere il prodotto sbagliato e a sostituirlo con quello cor-retto, eventualmente riproponendo anche il processo corretto, siano desti-nati a fallimento: se l’errore è frutto di convinzioni distorte, una correzione che voglia essere efficace dovrà prima esplicitare e poi rimuovere tali con-vinzioni; in caso contrario l’errore si ripresenterà puntualmente, magari in contesti diversi.

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Terza osservazione: l’epistemologia distorta degli studenti con difficoltà Ritorniamo agli errori cosiddetti casuali, cioè quelli che anche per lo stu-dente sembra il primo a non credere nella risposta data ed è prontissimo a modificarla. In questi casi non è tanto l’interpretazione che l’allievo dà ad un argomen-to specifico ad essere distorta, quanto l’interpretazione globale che egli ha costruito dell’attività matematica. Questa interpretazione, che nasce dal senso dato alle varie esperienze ma-tematiche, agisce da guida nei processi decisionali, come è reso in modo molto efficace L’allievo interpreta il comportamento dell’insegnante (non solo i messaggi diretti) elaborando in questo modo convinzioni: -sugli obiettivi dell’insegnamento/apprendimento -sugli indicatori e sulle cause del successo/fallimento in matematica -sulle proprie capacità -sulle caratteristiche della matematica Costruisce in questo modo una visione complessiva dell’attività matemati-ca, cioè una epistemologia personale , che lo guiderà nei processi decisio-nali. Sugli obiettivi dell’insegnamento Un’inchiesta fatta alle scuole superiori dove si chiedeva di esprimere la propria opinione sull’affermazione: La matematica a scuola si studia per impa-rare a destreggiarsi nei calcoli Almeno il 60% degli studenti (120) si dichiarano pienamente d’accordo , di cui l’80% sono delle scuole tecniche è il 50% nei licei scientifici. Altra convinzione: per studiare Matematica occorre e basta fare esercizi. (teoria del successo) Questa convinzione porta a considerare la teoria oggetto delle spiegazioni dell’insegnante e addirittura dei libri di testo come “istruzioni per l’uso” e quindi può essere dimenticata appena si acquisisce la tecnica.

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Questo tipo di convinzioni riflette, in genere fedelmente, le scelte didatti-che dell’insegnante (i suoi criteri di valutazione, le sue richieste…) scelte didattiche a loro volta guidate dalle convinzioni, spesso implicite, dell’insegnante stesso. Pertanto queste teorie sono convincenti in un certo contesto, con un certo insegnante, perdenti in un altro, con un altro insegnante. Nel passaggio da un ordine di scuola ad un altro non cambiano solo i pro-grammi, i contenuti: cambiano spesso anche le teorie del successo degli insegnanti, la loro epistemologia personale, all’università per esempio è perdente fare solo esercizi mentre al liceo può essere vincente. Altra convinzione: Il buon senso in matematica non serve, anzi… In matematica quello che conta sono i prodotti e non i processi In matematica ci vuole molto memoria La matematica è una disciplina incontrollabile (dato che non si può ricor-dare tutto, allora rispondo a caso) La costruzione di una visione della matematica come disciplina incontrol-labile è alimentata da alcune scelte e pratiche didattiche: se l’insegnante non esplicita i processi (gli studenti si possono convincere che certe cose le può fare solo l’insegnante). se si privilegia la memorizzazione di molte formule (trigonometria) se si divide un fenomeno in tanti casi particolari (ognuno con il suo nome!) senza fare cogliere la logica sottostante se non si insiste sulla sistemazione rigorosa delle conoscenze precedenti (l’aritmetica è presentata nella scuola dell’obbligo come un insieme di fatti e di procedure, alle scuole superiori lo studente è maturo per comprendere e capire tali processi che stanno alla base di tali fatti e procedure, l’aritmetica viene sacrificata ad argomenti considerati più utili (la geome-tria analitica, la trigonometria, l’analisi); aumentano così le difficoltà all’approccio dell’algebra favorendo una visione distorta proprio delle basi della matematica, che continuano ad essere viste come prodotti e non co-me processi. (Un’inchiesta al superiore ha verificato che moltissimi studenti non sono in grado di arg o-mentare l’algoritmo della moltiplicazione di fattori con più cifre, su 383 solo il 20% rispond o-no correttamente, il 15% risponde “perché mi hanno insegnato a fare così” altro 15% non ten-

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ta di argomentare e producono risposte di vario tipo, il restante 50% risponde non lo so o non risponde). La matematica è incontrollabile anche per una altra convinzione ed è quel-la di non possedere la capacità per controllarla, cioè ad un scarso senso di auto-efficacia. Questo scarso senso di auto-efficacia può avere origine dallo sforzo inutile di capire quelle che sono in realtà definizioni o convenzioni, sforzo che produce confusione e senso di inadeguatezza. Nasce dal ripetersi di esperienze percepite come fallimentari. Quarta osservazione: le emozioni È possibile la mancanza di lucidità associata a fattori emotivi che sfuggono al controllo, anche su questo aspetto l’insegnante può fare molto, così l’ansia o la paura sono spesso associate in studenti con difficoltà alla per-cezione di non poter controllare la situazione. Conclusioni Per le osservazioni fatte, possiamo concludere che all’origine degli errori ci può essere una grande varietà di cause: ostacoli epistemologici; mancanza di conoscenze; interpretazione distorta di procedure, termini, simboli, proprietà, concetti; interpretazione distorta dell’attività matematica che si articola in: convinzioni sulla matematica convinzioni su di sé e che spesso associata a: emozioni negative. Concluse in un certo senso le fasi preliminari di osservazione ed interpre-tazione, viene naturale pensare all’intervento di prevenzione e di recupero.

Che fare? Non è possibile evitare gli errori; anzi non ha senso cercare di evitare gli errori.

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Il valore dell’errore è stato ormai recuperato a livello epistemologico e didattico, anzi l’uso dell’errore nella didattica della matematica come stimolo naturale per riflessioni ed esplorazioni che altrimenti risulterebbero artificiosamente imposte. Questo tipo di approccio richiede che l’insegnante per primo accetti e faccia ac-cettare il rischio dell’errore. L’abitudine di proporre schede molte strutturati e percorsi che minimizzano il rischio di sbagliare, di evitare domande troppo difficili, di privilegiare l’attività di esecuzione di esercizi di routine a quella di soluzioni di problemi. Si vuole creare un blocco delle occasioni di errore, gli esercizi sono raggruppati sistematicamente, dopo che alcuni sono presentati come esempio, le istruzioni sono chiare ed è difficile commettere errori, ciò da risultati apparentemente po-sitivi. Quello che è oscuro per l’allievo resterà oscuro. Dà illusioni ai professori e agli alunni è un insegnamento che non vuole assumere i rischi del comprendere e si accontentano dei più sicuri compromessi delle risposte corrette

Esercizi: 1) 15 amici si dividono 5Kg. di biscotti. Quanti biscotti spettano a cia-

scuno? 2) Da un quintale di grano si ottengono 0,75 quintali di farina. Quanta

farina si ricava da 15 quintali di grano? 3) Un chilo di detergente viene usato per produrre 15 chili di sapone.

Quanto sapone può essere fatto con 0,75 chili di detergente? 4) Una bottiglia di aranciata, che contiene 0,75 l. costa 2 mila lire. Qual è

il prezzo di un litro? 5) Una bottiglia di aranciata che contiene 2 litri, costa 6mila lire. Qual è

il prezzo di un litro? 6) Intorno ad un tavolo ci sono 4 ragazze e 7 ragazzi. Quanti sono? 7) Giovanna ha speso 4mila lire, ha in tasca 7mila lire Quanti soldi ave-

va? 8) Roberto ha perso 4 punti nella prima partita, alla fine della seconda

partita è in vantaggio di 7 punti. Che cosa è successo nella seconda partita?

I problemi 2 e 3 per esempio hanno la stessa struttura, gli stessi dati nu-merici e richiedono le stesse operazioni.

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Ma nel problema 2 il ruolo di operatore (cioè quel numero che indica quante volte si deve sommare il primo numero ) è svolto da 15, un nu-mero intero, mentre nel problema 3 è svolto da 0,75. Alla richiesta di scegliere l’operazione risolvente appropriata, si sono avute (a livello di scuola superiore) il 76% delle risposte corrette per il 2 e il 35% nel 3 (Fischbein in Modelli taciti e ragionamento matematico,Pitagora 1992) I problemi 4, 5richiedono di calcolare 2:0,75 e 6:2 la prima operazione crea resistenza; molte risposte sono del tipo: 0,75:2=1:x x=2/0,75 , questo non crea resistenza in quanto è richiesto dall’algoritmo 2/0,75 prende un senso diverso, questa operazione viene imposta , non è una questione di scelta ,di decisione personale. Si esegue una procedura, che risulterà essere una serie di passaggi au-tomatici, per i quali abbiamo avuto consenso e delega, e per i quali non dobbiamo più darci, dentro di noi , una giustificazione passo-passo Come riconoscere la presenza di eventuali Misconcetti? Come intervenire?

Oggi si può correre il rischio di sostituire alla tradizionale diagnosi del fal-limento degli studenti: Non hanno abbastanza conoscenza con

Hanno troppi misconcetti che può essere improduttiva. Per la loro stessa natura, i misconcetti non sono facili da individuare. Non si riconoscono generalmente con domande dirette, perché l’allievo spesso ha attivato dei processi di controllo che gli permettono di fare ri-corso alla conoscenza formale acquisita.

Se invece l’allievo si trova in condizioni tali da concentrare la sua atten-zione in altre direzioni, può essere facile che i misconcetti vengono alla luce.

Ad esempio se chiediamo ad un soggetto se il numero –a è negativo, pro-babilmente ci sentiremo rispondere correttamente,

ben diverso è il caso se la domanda che ci interessa è inserita in un gruppo di domande, possibilmente numerose, come nella seguente ta-bella:

Negli esempi che seguono a è un numero diverso da zero, segnare una sola casella alla volta:

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a2+1 è un nume-ro

positivo negativo dipende

-a è un numero positivo negativo dipende a2+5 è un nume-ro

positivo negativo dipende

aaa+3 è un nume-ro

positivo negativo dipende

a è un numero positivo negativo dipende 300+a è un nume-ro

positivo negativo dipende

-5 a2 è un nume-ro

positivo negativo dipende

+a è un nume-ro

positivo negativo dipende

In questo caso, i processi diminuiscono notevolmente: come conseguen-za, cresce in modo impressionante il numero degli allievi che risponde che –a è negativo sempre.

Ideale è anche , per utilizzare contesti diversi, che costringano l’allievo a concentrare i propri processi di controllo in altra direzione, utilizzare dei problemi da risolvere.

Esempio I ragazzi conoscono il principio di induzione, hanno già fatto con un certo

successo esercizi su questo argomento, nel senso che hanno prodotte risposte corrette, ma sicuramente non c’è stata comprensione, visti i risultati che anche io ogni anno ottengo dopo la somministrazione di questo esercizio.

Si tratta di evidenziare errori di ragionamento nell’applicazione del principio di induzione che porta a dimostrare che:

Enunciato Sia data una qualsiasi collezione di n ragazze bionde. Se almeno una delle

ragazze ha gli occhi azzurri allora tutte hanno occhi azzurri. Dim.n=1 è ovvio Il passaggio da n a n+1 può essere illustrato indicando il passaggio da n=3 a

n=4. Ammettiamo dunque che l’enunciato sia vero per n=3 e indichiamo con G1,

G2, G3, G4 quattro ragazze bionde tra cui ve ne è almeno una, poniamo G1, con gli occhi azzurri.

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Prendendo G1,G2, G3 insieme e usando il fatto che l’enunciato è vero per n=3, troviamo che anche G2 e G3 hanno gli occhi azzurriRipetendo il ragionamento con G1,G2 e G4 troviamo che anche G4 ha gli occhi azzurri.

Dunque tutte hanno gli occhi azzurri. Un ragionamento analogo ci permette di passare in generale da n a n+1. Corollario Tutte le ragazze bionde hanno gli occhi azzurri. Dim. Poiché esiste almeno una ragazza bionda con gli occhi azzurri, possiamo ap-

plicare il precedente risultato all’insieme formato da tutte le ragazze bionde. Nota Questo esempio è dovuto a G. Póyla, il quale osserva che forse il lettore vorrà

verificare sperimentalmente il risultato. Le osservazioni tipiche sono: -Lei ha supposto vera P(n), ma non l’ha dimostrata -Lei ha dimostrato P(1), ma poi non l’ha utilizzata -Il principio di induzione vale per i numeri non per le persone Gli stessi studenti negli esercizi fatti precedenti avevano accettato come vera

P(1), avevano controllato P(1) senza poi utilizzarla… Questo esempio mette in evidenza tante convinzioni degli studenti, voglio

mettere in evidenza è che le interpretazioni distorte del principio di induzione (quale appunto che P(n) va dimostrata, prima di dimostrare P(n+1)…) vengono alla luce in un contesto di problema che per gli studenti è maggiormente signifi-cativo, in quanto legato alla realtà e quindi al controllo della realtà stessa.